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Manuale di Scienze della religione - Filoramo, Giorda, Spineto, Sintesi del corso di Sociologia Della Religione

Manuale di Scienze della religione - Filoramo, Giorda, Spineto. Mancano cap 6 e 9.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Manuale di Scienze della religione - Filoramo, Giorda, Spineto e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Della Religione solo su Docsity! MANUALE DI SCIENZE DELLA RELIGIONE Sommario INTRODUZIONE ALLO STUDIO SCIENTIFICO DELLE RELIGIONI- Filoramo..............1 STORIA DELLE RELIGIONI – Spineto........................................................................................3 SOCIOLOGIA DELLA RELIGIONE – Valeria Fabretti.............................................................7 ANTROPOLOGIA DELLE RELIGIONI – Comba.....................................................................10 PSICOLOGIA DELLA RELIGIONE – Mario Aletti..................................................................14 DIRITTO COMPARATO DELLE RELIGIONI – Silvio Ferrari..............................................22 SCIENZE COGNITIVE DELLA RELIGIONE E NEUROSCIENZE – Aldo Natale Terrin. .23 GEOGRAFIA DELLE RELIGIONI..............................................................................................32 EDUCAZIONE E RELIGIONE – Alessandro Saggioro..............................................................35 INTRODUZIONE ALLO STUDIO SCIENTIFICO DELLE RELIGIONI- Filoramo Una svolta copernicana Cos’è oggi uno studio scientifico della religione? Due tradizioni di Scienze delle religioni, 1. Più improntata allo studio positivo dei fatti religiosi / 2. Più incline a porsi questioni relative al significato e al valore dell’esperienza religiosa  MA entrambe pensavano fosse possibile, nei vari ambiti disciplinari che le costituivano, uno studio critico degli elementi religiosi presi in considerazione in modo distaccato, distinto dal modo in cui a questi stessi fatti si poteva accostare il credente della religione o il teologo  Punto di vista etico, o dell’outsider, o ‘esterno’ / distinto dal punto di vista emico, o dell’insider, o ‘interno’ Uno studio scientifico e critico della religione presuppone che lo studioso si ponga nello stesso atteggiamento di un medico nei confronti di un oggetto, la religione, che egli deve guardare con distacco, come una malattia. Il credente dovrebbe affidarsi allo studioso della religione per comprendere ‘scientificamente’ la sua religione.  questa posizione tipicamente funzionalista (spiegare la religione riconducendola e riducendola a fattori esplicativi ad essa esterni, senza comprenderla nel suo significato profondo) ha conosciuto molte critiche nel Novecento, è comunque rimasta la visione dominante a caratterizzare la dimensione scientifica dello studio della religione  i funzionalisti credono che la ricerca del sacro e di Dio siano il fenomeno da spiegare, e non la spiegazione in sé / MA questo predominio è stato messo in crisi dal decostruzionismo, che a partire dall’ultimo decennio scorso ha portato a privilegiare le pratiche discorsive nei confronti della possibilità di studio oggettivo e scientifico dell’oggetto ‘religione’  lo sguardo viene spostato dall’oggetto religioso (che il vecchio paradigma considerava come un fatto o una realtà al di fuori dell’osservatore) al modo in cui esso sarebbe stato costruito in realtà dall’osservatore stesso, dallo studioso: il ricercatore è parte del proprio tentativo di cogliere l’oggetto esterno, la sua soggettività non può essere mai messa da parte (no epoché – sospensione del giudizio)  lo studioso, presa coscienza del fatto che la religione che indaga è solo l’effetto dei suoi processi mentali, deve prima di tutto imparare a fare i conti con le pratiche discorsive e gli interessi materiali che hanno portato alla formazione della religione in oggetto. Fortune e sfortune dei Religious Studies Il primo a fornire un testo fondativo serio di riferimento è stato Walter Capps nel 1995 Religious Studies: the making of a discipline  secondo Capps i religious studies a partire dalla loro matrice illuministica, pur con differenti prospettive, hanno perseguito un tema di fondo il cui sviluppo e la cui articolazione possono essere accostati e seguiti come una narrativa continua che dà a questa a questa disciplina la sua unità : ricercare l’intelligibilità del fatto religioso. Nonostante gli sforzi di Capps per fare degli studi di religione una vera e propria disciplina con un suo metodo ed un suo oggetto, priva di legami con la teologia, è bastata una disamina più in profondità della sua impostazione per far emergere una serie di problemi  ritorno della diatriba medievale tra nominalisti e realisti: 1. Non esiste religione al di fuori del soggetto, esiste solo la religione costruita dalla sua mente e dai suoi condizionamenti culturali e politici / 2. I fenomeni religiosi, seppur distorti dalle proprie categorie, esistono indipendentemente dallo studioso, il quale deve quindi rendere ragione di questi fenomeni nel modo più critico e scientifico possibile. Come si rapportano gli studi di religione al problema della scientificità? Prevale in essi la ricerca critica scientifica e cognitiva (che ha come fine il perseguimento di una verità scientifica) / oppure prevale il problema del significato e del valore dell’esperienza religiosa indagata?  Donald Wiebe : gli studi religiosi fanno riferimento a quattro tipi di attività intellettuale: 1. Versione camuffata degli studi teologici = secondo gli studiosi di questa posizione ritengono che la teologia non possa essere esclusa dal campo degli studi religiosi  ‘studi religiosi’ non deve rimandare come espressione a un assemblaggio di punti di vista metodologici, MA essere focalizzata sulla questione fondamentale del significato e della verità della religione in quanto esperienza umana fondamentale e per questo la dimensione teologica non può essere accantonata. 2. Studi religiosi come mezzo per l’educazione religiosa = scopo degli studi religiosi diventa qui quello di mirare a una ‘comprensione esistenziale’ dell’esperienza religiosa, il fine non è scientifico, ma umanistico: formare persone integrali è un tipo di formazione che non può prescindere dallo studio della religione. 3. Studi religiosi come pura impresa scientifica (qui si identifica lo stesso Wiebe) = ‘impresa’ è ogni impegno a fini conoscitivi che duri abbastanza tempo per permettere a chi la intraprende di derivarne una forma di identità ; invece ‘scientifico’ è un’impresa caratterizzata da un’intenzione cognitiva che dà per scontato che le scienze naturali e sociali sono gli unici modelli legittimi per lo studio oggettivo della religione. L’intenzione cognitiva rende questo terzo tipo diverso dai due precedenti, i quali subordinavano la scientificità ai loro scopi confessionali o educativi. indagando temi come quello dell’etica economica delle religioni fornisce alcuni strumenti indispensabili per la ricerca. Continuo scambio anche con la psicologia: da W.Wundt a P. Janet a H.Leuba a W.James sino a S.Freud che nei lavori sull’origine della civiltà e del monoteismo recepisce pienamente le idee correnti sull’uso di strumenti etnologici per leggere la storia religiosa. Crisi e nuovi fermenti La corrente antropologica britannica è stata messa in discussione dall’imporsi della scuola storico- culturale o dei cicli culturali sviluppata da Graebner (1877-1934) e Ankermann (1859-1943)  scuola che mette a punto una metodologia d’indagine dei manufatti delle civiltà orali che consente di individuare aree culturali differenti, rendendo insostenibile il presupposto dell’uniformità del mondo primitivo che costituiva la chiave di volta delle concezioni evoluzioniste. Schmidt (1868-1954) riprende gli studi di Lang, che aveva scoperto in Australia in una civiltà primitiva la presenza di culti dai tratti MONOTEISTI. Schmidt cerca di dimostrare che la prima forma di religione è proprio il monoteismo  idea del MONOTEISMO PRIMORDIALE capovolgeva le teorie evoluzioniste correnti. Dilthey (1833-1911) propone un modello di studio delle ‘scienze dello spirito’ fondato sulla comprensione dei dati (il comprendere), a sua volta possibile attraverso un’esperienza vissuta che si contrappone al modello delle scienze della natura consistente invece nello spiegare. Questi stimoli favoriscono un rinnovamento della storia delle religioni che si realizza nel periodo tra le due guerre, quando la disciplina assume peculiarità sempre più chiare nei confronti delle altre materie sorelle (linguistica filologia antropologia sociologia ecc)  prendono corpo 3 orientamenti : fenomenologico / storicista / strutturalista. 1. Orientamento FENOMENOLOGICO = ogni approccio che proponga una classificazione dei fatti religiosi. Per fenomenologia in senso stretto si intende una precisa corrente metodologica: idea di un divino che si rivela nell’esperienza umana (concezione di Schleiermacher la religione nasce dal sentimento dell’infinito e con l’impostazione comprendente di Dilthey). Punto di riferimento è l’opera del teologo Rudolf Otto per il quale concetto chiave è quello di SACRO (≠Durkheim) inteso come realtà totalmente altra che sottende i fenomeni religiosi conservando una sua fondamentale trascendenza rispetto ad essi. Caratteristiche del sacro sono il suo essere un ‘mysterium fascinans’ e un ‘ mysterium tremendum’ e queste si possono cogliere solo descrivendo l’esperienza del fedele, soprattutto esperienza mistica che è il punto di partenza di ogni indagine. Eliade  definisce i fenomeni religioni IEROFANIE, cioè manifestazioni del sacro (sempre in riferimento a Otto) che presentano accanto a una dimensione storica / anche una dimensione astorica nella misura in cui incarnano ‘archetipi’ (modelli esemplari). L’inoggettivabilità del sacro e la sua inesauribilità fanno sì che le ierofanie si prestino a una interpretazione senza fine  dal momento che la tensione dell’uomo verso il trascendente è direttamente collegata alla sua finitezza, l’essere umano è considerato fondamentalmente religioso (homo religious). 2. Orientamento STORICISTA = nasce nel periodo tra le due guerre una scuola programmaticamente volta a conciliare la fedeltà ai contesti socio-culturali con l’idea dell’autonomia del religioso e della fecondità della comparazione interculturale. Questo è lo storicismo di R.Pettazzoni 1883-1959 che è stato il primo titolare della cattedra di storia delle religioni in Italia. Quella tra fenomenologia e storicismo non è un’opposizione radicale per Pettazzoni: la fenomenologia non può prescindere da una base storica / e gli orientamenti storici fanno riferimento a considerazioni di ordine strutturale. Pettazzoni ha sviluppato tematiche fenomenologiche e ha promosso un incontro tra lo storicismo – che garantisce il controllo storico e filologico del materiale nonché la sua contestualizzazione culturale – e la fenomenologia – cui sono collegate la giustificazione dell’autonomia del fatto religioso, la sua considerazione all’interno di classi e strutture e la ricerca del sui significato. Riferimenti per ricerche successive: - Brelich sviluppa il tema già pettizzoniano della comparazione ‘differenziante’ cioè finalizzata all’individuazione delle particolarità culturali, anziché delle costanti cui sono interessati i fenomenologi. Le similitudini fra certe pratiche religiose si spiegano sulla base dell’unità della storia umana e cioè del fatto che la prima cultura è comparsa in una certa epoca e una certa zona della terra a partire dalla quale si è diffusa. RELIGIONE è concepita come modo per ridurre al controllo umano e dare significato a realtà che altrimenti non lo avrebbero. - De Martino pone alla base delle credenze e delle idee religiose delle civiltà orali il ‘rischio di non esserci’ per poi riconoscere in esso la base di tutta la vita magico- religiosa. Al rischio di non esserci l’uomo reagisce attraverso la sottrazione dei momenti critici all’iniziativa umana e la risoluzione degli eventi nella ‘iterazione dell’identico’ che avviene tramite strumenti mitici e rituali. - Sabbatucci porta all’estremo la scelta di campo storicista e antifenomenologica, ritenendo che la rinuncia all’oggettivazione del dato religioso associata al rifiuto dell’etnocentrismo conduca alla vanificazione dell’oggetto religioso. Come si vede nessuno di questi autori accoglie la suggestione pettazzoniana della sintesi fra storicismo e fenomenologia. 3. Orientamento STRUTTURALISTA = insiste sugli elementi strutturali delle religioni. Principale esponente è Dumezil 1898- 1986 che si dedica alla ricostruzione di quella che definisce ‘ideologia indoeuropea’  le produzioni culturali (soprattutto mitologia e religione) delle civiltà che parlano lingue indoeuropee presenterebbero una struttura soggiacente caratterizzata da una ripartizione della realtà in 3 funzioni: sovranità magica e giuridica / della forza / della fecondità. [ DUMEZIL VEDEVA NEI MITI UNA VIA PRIVILEGIATA PER COGLIERE IL SISTEMA PROPRIO DELLE POPOLAZIONI INDOEUROPEE] Lo strutturalismo di Dumezil non aspira a individuare forme universali di pensiero, ma modalità di organizzazione della realtà valide per un contesto specifico. Se Dumezil vedeva nei miti una via privilegiata per cogliere il sistema proprio delle popolazioni indoeuropee, Levi-Strauss 1908- 2009 studia le mitologia come espressioni della tendenza della mente umana a mettere in ordine il reale. Le strutture che Levy Strauss cerca e individua dietro l’apparente caoticità dei dati culturali non sono proprie di un particolare contesto ma valgono indipendentemente dal contesto. Caratteristica di base dello strutturalismo è l’antistoricismo  MA la storia si appropria di alcune categorie strutturali, come avviene nell’opera di M.Foucault. La messa in questione degli approcci tradizionali Uno dei primi concetti ad essere decostruiti è stato quello di ‘mito’, mentre il termine ‘sacro’ è visto con sempre maggiore sospetto, soprattutto in ambito antropologico, e la comparazione come strumento euristico è sottoposta a una critica radicale. Nel quadro della crescente interdisciplinarità degli approcci va rilevato il posto centrale degli STUDI COGNITIVI, fondati sulla premessa di un radicamento della religione in capacità cognitive generalmente umane esercitate secondo modalità specifiche intendono chiarire, con un approccio empirico e un riferimento all’evoluzione, i modelli del comportamento religioso, fra i quali sono primari quelli di ordine rituale. Storia e scienze delle religioni Ultimi trent’anni  come si pone la storia delle religioni in rapporto con le scienze delle religioni? Il filo che unisce le prospettive e le personalità che costellano lo sviluppo della storia delle religioni sembra essere in primo luogo una certa FEDELTà ALLA STORIA , che mette i diversi contesti culturali al centro della considerazione anche se il loro studio diventa il punto di partenza per considerazioni di ordine generale e anche con pretese di universalità  ma la fedeltà alla storia non è sufficiente: si associa infatti alla considerazione secondo la quale, al di là delle differenze culturali, qualcosa accomuna credenze, comportamenti e simboli che si annoverano sotto l’etichetta del religioso: solo tenendo conto di tale peculiarità si possono cogliere dinamiche che diversamente non sarebbero visibili. Questo dà alla storia delle religioni una vocazione trasversale anche quando la si impiega per leggere un momento storico circoscritto e la rende inseparabile dalla pratica della comparazione. A forza di negare che si possa parlare in maniera scientificamente affidabile sembra si corra il rischio di cadere in quello che è chiamato ‘il paradosso di Don Ferrante’, che muore di peste dopo aver dimostrato scientificamente che la peste non esiste.  i modelli di lettura dei fatti religiosi contemporanei sono forniti volta per volta dai sociologi psicologi e antropologi : la storia delle religioni ha tradizionalmente integrato gli approcci di tutte le discipline sorelle e potrebbe continuare a svolgere questo suo ruolo anche nella realtà culturale di oggi. SOCIOLOGIA DELLA RELIGIONE – Valeria Fabretti Riflessione sulla società moderna nel tentativo di individuare le regole che governano un mondo sociale che appare e viene esperito come una sorta di caos inestricabile che i sociologi si confrontano con il fenomeno della religione Rivoluzione assiale  rispetto alle forme tribali e arcaiche di religioni in cui il sacro è immanente nella realtà naturale e sociale, l’età assiale inaugura l’idea di TRASCENDENZA come radicale distanza tra la dimensione della divinità e il mondo degli uomini e avvia quel processo di differenziazione non solo tra natura e società ma anche tra individuo e società che caratterizzerà la modernità. innescata con la modernità ha diverse matrici e lavora sia all’interno delle confessioni tradizionali che affiancando ad esse le altre religioni, cioè i NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI. Questi hanno proliferato a partire dagli anni 50 nel mondo occidentale e conosciuto una particolare effervescenza tra gli anni 70 e 80 in occidente e in altre zone del mondo. Nell’europa occidentale, ad incidere sulla diversificazione del panorama religioso sono poi, a partire dalla seconda metà del Novecento, i crescenti flussi migratori diventa centrale la questione del rapporto tra le religioni maggioritarie e quelle minoritarie e le varie chiese e il rapporto con lo stato : la condizione delle comunità e dei gruppi religiosi nei paesi ospitanti dipende per lo più dal riconoscimenti giuridico dello status di religione e delle relative libertà nell’esercizio e nell’espressione pubblica del culto. A questo si unisce il nodo del riconoscimento sociale e culturale che può provenire o meno da parte della società in generale in termini ad esempio di stima sociale e di aperta disapprovazione o addirittura stigma. La diversità religiosa e il paesaggio frammentato del sacro fin qui descritto mettono in discussione l’idea di una dimensione collettiva e pubblica della religione come veicolata attraverso forme definite che si impongono sui suoi membri e aderenti. La dimensione collettiva della religione appare invece un processo in cui si costruiscono e ricostruiscono e quindi legittimano nel reticolo delle relazioni tra attori religiosi e secolari i vissuti, contenuti e stili religiosi. Sociologia ed esperienza religiosa: soggettività, credenze e pratiche individuali Studiare la religione ha significato anche sforzarsi di comprenderne le implicazioni nella vita del credente e/o del praticante e dunque leggerla come forma di mediazione nel rapporto tra individuo e società. Weber  il razionalismo moderno è ricondotto ad un processo più lungo e complesso di evoluzione delle diverse culture etiche che hanno caratterizzato le grandi religioni universali: un processo che il sociologo tedesco descrive nei termini di progressivo ‘disincantamento’ delle immagini mitiche del mondo e che giunge a maturazione nell’etica protestante. Il punto da mettere a fuoco è che in queste ricostruzione l’etica religiosa (l’ethos puritano e il calvinismo in particolare) diviene condotta di vita, ispirata alla intenzionale e metodica dedizione al proprio compito, incarnata nelle traiettorie individuali e a sua volta capace di ricadute sociali macroscopiche, le transizioni nella morale occidentale e le conseguenze sui sistemi di produzione economica. Simmel  contributo che aiuta a mettere in relazione la dimensione collettiva e quella individuale nello studio della religione : Simmel distingue tra istituzionalizzazione del sentimento religioso (la religione in senso proprio) e la religiosità come sentimento individuale, originario e irriducibile a qualsiasi forma sociale.  i sentimenti che uniscono l’individuo e il suo dio rispecchiano il tipo di rapporto tra l’individuo e la società di appartenenza. Cioè le forme dell’esperienza religiosa riproducono quelle delle relazioni sociali [ non dissimile da Durkheim  il rapporto con la divinità è fonte di legame sociale] PERO’ lo specifico del religioso per Simmel sta nel concetto di UNITA’, dunque un’insita aspirazione alla cooperazione e alla convivenza privata dell’elemento della competizione e della concorrenza che tormenta invece le relazioni sociali. Luckmann  la religione è sistema di significato globale, trascendimento della natura biologica che ha le sue radici nella tensione dell’individuo verso il fuori di sé Berger  come per Luckmann la religione funziona come costante antropologica, elemento di rassicurazione rispetto alla ricerca di sensatezza dell’esperienza e dell’universo agli occhi umani. Questa funzione riordinatrice rispetto al caos morale e cognitivo che troverebbe origine nella compketa assenza di norme si svela nei segnali del trascendente, che sono riscontrati dalle persone nella vira di tutti i gironi. ANTROPOLOGIA DELLE RELIGIONI – Comba Modernità e antropologia delle religioni Edward B Tylor (1871)  panorama di sviluppo delle forme religiose dal primitivo ANIMISMO (parola che viene coniata proprio da Tylor) fino alle forme più elevate di religioni monoteistiche Frazer (1890) affresco di culti e tradizioni mitologiche incentrato sull’inquietante figura dell’antico re-sacerdote di Diana presso il Lago Nemi Smith (1889)  ricerche sulla religione degli antichi Semiti Stocking (1987)  era come se l’uomo primitivo nel tentativo di creare la scienza avesse creato incidentalmente la religione, e l’umanità avesse trascorso il resto del tempo evolutivo nel tentativo di rettificare quell’errore. MA dal momento che un filo ininterrotto di sviluppo evolutivo legava le prime forme selvagge di pensiero e pratica religiosi alle religioni contemporanee, un analogo giudizio negativo ricadeva anche su queste ultime. Lo studio delle religioni si accompagnava in questi autori alla critica e alla condanna della religione in generale, come aveva ben espresso Evans- Pritchard nel suo eccellente studio sulle teorie antropologiche della religione. Questo atteggiamento fa dei primi antropologi i rappresentanti di quel pensiero critico e dissacrante nei confronti della religione, che caratterizza il passaggio alla modernità e che si ritrova in molti altri pensatori dell’epoca, i quali hanno contribuito a porre le basi per la nascita delle scienze umane: Auguste Comte, Karl Marx, Sigmund Freud ad esempio.  ‘modernità’ non si riferisce tanto a un preciso periodo storico quanto a una modalità di pensiero, una consapevolezza temporale che definisce il presente in contrapposizione al passato. Così, se il passato era contrassegnato dal dominio delle credenze religiose e dalla teologia, il presente moderno viene visto sotto l’insegna del razionalismo, del secolarismo e dello sgretolarsi delle istituzioni religiose.  Charles Taylor (2007) ETA’ SECOLARE : l’affievolirsi e il trasformarsi delle forme di vita religiosa. È in questo clima culturale che prende forma una nuova scienza, la scienza delle religioni e con essa l’antropologia delle religioni. Il paradigma primitivista Levi-Srauss  lo sviluppo dell’etnologia non costituisce tanto la nascita di un nuovo dominio scientifico, quanto la riproposizione della forma ‘più antica e più generale di quello che noi designiamo con il nome di umanesimo’  3 tappe fondamentali: - Rinascimento : riscoperta delle culture del mondo antico, soprattutto greco e romano - Oriente : conoscenze delle civiltà - Novecento : l’antropologia ha esteso i suoi interessi alle culture prive discrittura dei continenti extraeuropei Tutti e tre questi momenti hanno implicato l’incontro della civiltà europea con forme di religiosità e di pensiero lontane nel tempo e nello spazio, ma al tempo stesso hanno determinato varie forme di distanziamento e di differenziazione: il mondo antico per quanto ammirano e idealizzato costituiva pur sempre un’antitesi rispetto al mondo moderno  Levi-Strauss ci dice che è stato lo sviluppo del sapere antropologico a creare la grande alterità rispetto al mondo occidentale, quella dei ‘popoli primitivi’  il concetto di PRIMITIVO nasce di fronte alla sorpresa e al disagio provocati dal confronto con mondi lontani e delle caratteristiche sorprendenti e incomprensibili. Era allora necessario trovare strumenti di interpretazione che rendessero conto del senso di estraneità e di incommensurabilità che queste differenze provocavano. Alla base c’è l’impresa di evangelizzazione, attraverso la quale i missionari cercavano di scardinare i saperi indigeni e le forme di sacralità presenti nelle comunità native per sostituirli con la verità portata dalla religione cristiana. Nasce così l’immagine del selvaggio o primitivo, dominato da ignoranza e superstizione che si trascinerà per molti anni nel linguaggio antropologico. L’atteggiamento generale di fondo non è cambiato, solo il termine di contrasto rispetto alle superstizioni e stravaganze delle religioni indigene, che per i missionari era costituito dalla più elevata e perfezionata religione cristiana, diviene per gli antropologi delle religioni il pensiero razionale fondato sulle conoscenze scientifiche, cosicché anche lo stesso pensiero cristiano finiva nel gran calderone delle superstizioni e delle false credenze. Negli ultimi anni nasce il concetto di EPISTEMICIDIO per identificare il processo che ha portato alla svalutazione e denigrazione delle forme di sapere dei popoli colonizzati, considerate come irrilevanti e infondate, a scapito delle forme di conoscenza sviluppate nei grandi centri della cultura del mondo occidentale. Oggi sta crescendo in molti contesti scientifici la consapevolezza che un recupero delle conoscenze tradizionali di molti popoli potrebbe contribuire in maniera significativa a una miglior comprensione della realtà e alla realizzazione di progetti per la difesa dell’ambiente, per uno sviluppo sostenibile e per la risoluzione di molti problemi dell’umanità contemporanea. Questo insieme di sapere e di pratiche non è qualcosa di primitivo, ma un patrimonio culturale degno di rispetto e di considerazione. Ambiguità della religione e ubiquità dei simboli Il problema della definizione dei fenomeni religiosi si pone fin dai tempi di Durkheim e comporta un problema che ha già le sue coordinate in una visione antropologica della religione: come trovare un elemento comune, un comune denominatore che permetta di abbracciare l’intero spettro della variabilità dei fenomeni religiosi, senza escluderne alcuno? Durkheim  distinzione tra sacro e profano  SACRO è l’elemento trasversale che consente di trovare qualcosa in comune tra le grandi religioni universali e le piccole sperdute nei più remoti angoli del mondo. Quello di sacro è un concetto che esclude il riferimento a una o più divinità nella definizione del fenomeno religioso, viene così consegnata alle generazioni successive di studiosi e verrà ripresa e rielaborata soprattutto nell’ambito della storia delle religioni. Clifford Geertz  la religione riguarda il modo in cui, in determinati gruppi sociali, vengono creati collettivamente modelli di significato che gli individui utilizzano per dar forma alla propria esperienza e per orientare le proprie azioni nel mondo. Per Geertz vi è una doppia natura dei sistemi religiosi: da un lato l’aspetto di visione del mondo e di schemi simbolici per interpretare la realtà, dall’altro forme di ethos, progetti e guide per l’azione umana. Il momento in cui queste forme vengono a sovrapporsi e a intrecciarsi è quello dell’azione rituale, l’aspetto più concreto hanno ovunque ripreso forza, interesse e vigore, anche in quelle comunità dove l’evangelizzazione cristiana sembrava aver definitivamente soppiantato le forme religiose precedenti. Anche in Europa nascita di movimenti neo-pagani e neo-sciamanici, una vera sfida per l’antropologia in quanto le classiche formulazioni ideate dagli antropologi per lo studio delle religioni indigene dei paesi extra-europei devono ora venir riadattate e ripensate per affrontare il tema delle nuove forme di religiosità  NUOVI MOVIMENTI RELIGIOSI PSICOLOGIA DELLA RELIGIONE – Mario Aletti Premesse e anticipazioni Non è sempre certo che cosa sia propriamente ‘religioso’ nei fenomeni rubricati come tali nelle pubblicazioni divulgative ed anche nei giornali scientifici internazionali.  PERO’ appare evidente che la sempre crescente produzione di psicologia della religione aderisce nel bene e nel male ai cambiamenti in atto nella psicologia mainstream, a livello di oggetti, paradigmi, modelli e strumenti di ricerca. Il lungo percorso di un’autonomia disciplinare Ginevra, primi anni Novecento  titolare della prima cattedra di Psicologia è Theodore Flournoy, il quale enuncia i principi per una psicologia della religione, prospettando nei saggi sugli “Archives de Psychologie” un rigore epistemologico e metodologico che ancora oggi è considerato imprescindibile.  Flournoy ribadiva i fondamenti epistemologici della disciplina, a partire da quello discriminante, l’ESCLUSIONE METODOLOGICA DEL TRASCENDENTALE, sia come oggetto d’indagine, sia come criterio interpretativo della condotta religiosa. Questo principio sarà accompagnato dalla necessità di riconoscere il COEFFICIENTE DI TRASCENDENZA, cioè: lo psicologo deve tenere presente che il comportamento del credente è animato dalla convinzione soggettiva che il trascendente esiste ed è in qualche modo attingibile. In quei decenni la psicologia della religione doveva guardarsi da due opposte derive: ammantarsi di uno statuto propriamente teologico e qualificarsi come una antropologia scientifica che spiegherebbe la religione come prodotto di innate tendenze psicologiche. Negli anni Ottanta del Novecento la psicologia della religione conobbe un risveglio di interesse in ambienti accademici e professionali del centro-nord Europa ed un gruppo di specialisti cominciò a riunirsi in simposi e giornate di studio programmati su temi specifici  sorgere di un nuovo gruppo, prestigioso ed elitario, gli European Psychologists of Religion, che segnarono anche il passaggio dall’uso della lingua tedesca alla prevalenza di quella inglese, ritenuta più internazionale. In Italia nel 1910 era comparsa la traduzione dei tre saggi di Flournoy che portava chiarezza epistemologica ed incoraggiava lo studio della disciplina. I principi di Flournoy furono ripresi in Italia da Sante de Sanctis, eminente direttore del laboratorio di psicologia sperimentale di roma nel suo studio sulla conversione religiosa. La fondazione di una disciplina distinta con dignità accademica in Italia è dovuta all’opera magistrale di Giancarlo Milanesi che, nel manuale intitolato Psicologia della religione prendeva esplicitamente le distanze dalla dizione ‘psicologia religiosa’ usata fino ad allora, per evitare facili fraintendimenti e sovrapposizioni con una visione confessionale. La società italiana di psicologia della religione, sorta nel 1996, unica società su base nazionale della disciplina, è caratterizzata da una larga presenza di psicologi professionisti prevalentemente clinici per via della scarsa considerazione di cui la disciplina ha goduto, fino ad anni recentissimi, negli ambienti accademici e nel curriculum di studi universitari.  ciò ha favorito una declinazione della psicologia della religione intesa come la religiosità vissuta dagli individui lungo il percorso della costruzione della loro identità personale religiosa. ‘americanizzazione’ della disciplina, con una decisa prevalenza di una visione funzionalista (a cosa serve la religione, quali sono i benefici per la vita quotidiana individuale e sociale) sulla visione europea sostantiva (che cosa è la religione, quale relazione, conscia o inconscia, la persona instaura con la divinità e con il trascendente). Questa ultima prospettiva ha avuto il suo centro e la sua costante difesa nella ‘Scuola di Loviano’ e il suo maestro Antoine Vergote  Jozef Corveneyn, allievo di Vergote, evidenzia due elementi: anzitutto l’atteggiamento di strict neutraly nei confronti dei contenuti di varietà della religione e, inoltre, i legami di Vergote e dei suoi allievi con i grandi nomi dell’antropologia filosofica dello strutturalismo e della psicoanalisi francese. Qualificare la psicologia, rispettare la religione Come disciplina scientifica la psicologia della religione rivendica la specificità del suo approccio, in quanto branca della psicologia. D’altra parte rispetta i contenuti peculiari della religione di riferimento dei soggetti studiati. Nel delineare l’ambito della psicologia della religione, occorre difendere tanto la psicologia quanto la religione. Che cosa caratterizza la psicologia della religione per oggetto e metodo?  Popper : come la ‘cosa’ religione diventa ‘oggetto’ della psicologia della religione? Giova ripetere anzitutto che la psicologia della religione è una psicologia. L’oggetto di studio non è la religione come istituzione o come intrinseca natura dell’uomo, ma il vissuto religioso, il percorso psichico e mentale attraverso cui il soggetto si relaziona con il fenomeno culturale ‘religione’ che l’ambiente gli propone. La psicologia della religione indaga ciò che di psichico vi è nella religione. La psicologia della religione, scienza empirica positiva, non si pronuncia sulla verità, l’essenza e l’origine della religione; in particolare si astiene da giudizi sulla realtà ontologica del polo oggettuale della fede del credente, come l’esistenza di Dio, dei miracoli, della grazia e del demonio. La denominazione e lo scopo Le sfumature lessicali sono significative di impostazioni epistemologiche e di pre-comprensioni ideologiche. Perché si potrebbe parlare di psicologia della religione, per la religione, nella religione, pro religione, contro religione o addirittura in una prospettiva opposta di psicologia religiosa.  frequentemente usata nella lingua francese l’espressione psicologia religiosa ha lasciato tracce e prodotto equivoci anche in Italia almeno fino agli anni Settanta del Novecento venne tradotta come psicologia religiosa nel 1967 lasciando incerta la distinzione tra soggetto e oggetto dello studio, potrebbe adombrare un punto di vista o una qualificazione confessionale, anziché meramente psicologica. Al contrario nella dicitura ‘psicologia della religione’ il genitivo oggettivo individua la religione come un comportamento umano specificato, oggetto proprio di indagine psicologia. La psicologia della religione si dedica all’osservazione, alla descrizione e all’interpretazione di ciò che è specificamente psicologico nella religione, secondo i paradigmi , criteri, metodi e limiti della scienza psicologica. Ogni religione proclama la propria unicità, originalità, specificità ed esclusività. Ma pur in queste contrapposizioni si evidenziano alcune caratteristiche istituzionali comuni della religione, almeno delle tre religioni del Libro: autorivelazione di Dio depositata in un testo sacro; linguaggio simbolico e rituale; tradizione e magistero ufficiale e riconosciuto; istituzionalizzazione delle forme e contenuti del credere, del culto, dell’apparenza e dei percorsi di iniziazione. È dato inoltre allo psicologo cogliere un minimo comun denominatore delle religioni: la relazione reale o presunta con il trascendente. Si tratta di ciò che qualifica la religione come tale e rientra nelle diverse definizioni messe in campo dagli studiosi come elemento costitutivo della religione. Religione e religiosità Il riferimento al soprannaturale, al sovrumano o ad una entità che trascende la realtà sensibile è elemento costitutivo nelle definizioni adottate in psicologia della religione. Vergote  prende le distanze dalla deriva ateistica emersa con la filosofia dei Lumi e sottolinea come discriminante la relazione con il soprannaturale: “Preferiamo mantenere l’idea di religione che la tradizione culturale attesta e che, per la sua delimitazione, ci dà l’oggetto specifico di una psicologia della religione, senza imporre in anticipo delle concezioni teoriche. La religione, per noi, è l’insieme del linguaggio, dei sentimenti, dei comportamenti e dei segni che si riferiscono a un essere (o ad esseri) soprannaturale.”  perciò, assumendo che una religione è una specifica modalità religiosa presente all’interno di una cultura, Vergote vi distingue tre ordini di componenti: riti / rappresentazioni simboliche / differenti forme di preghiera, caratterizzati dal riferimento al trascendente  gli ‘elementi religiosi’ sono così chiamati quando fanno riferimento a esseri o a un essere che non è meramente naturale né umano, ma che è ritenuto essere spirituale, divino o trascendente e che è considerato in qualche modo l’origine del mondo e della società, che ha un’influenza sulla vita degli individui, sulla società e talvolta anche sugli eventi naturali. Queste concezioni sono trasmesse attraverso il linguaggio, simboli e riti. Ascoltare il linguaggio religioso, osservare la pratica rituale e percepire le figure simboliche induce una varietà di emozioni o ‘sentimenti religiosi’. La psicologia studia ciò che nella psiche umana rende l’uomo atto a rispondere (positivamente o negativamente) alla sollecitazione che viene dal sistema culturale religioso. La psicologia della religione non incontra la religione, ma l’uomo religioso: studia propriamente non la religione, ma il credente.  La religione non è Dio, ma una narrazione di Dio. La psicologia della religione è anche psicologia dell’ateismo, perché anche l’ateo vive emozioni, conoscenze e percorsi con cui si costruisce una qualche rappresentazione mentale e una narrazione del Dio di cui nega l’esistenza. La RELIGIOSITA’ è intesa come il vissuto religioso, la condotta dell’individuo a fronte della religione che incontra nell’ambiente culturale. Vergote ci dice che religiosi non si nasce, ma si diventa: le persone religione sono degli ‘iniziati’ ad una determinata religione. Venire in contatto con la religione non è venire in contatto con Dio, ma appunto con una narrazione di Dio, mediata da un linguaggio, una cultura, una tradizione. La psicologia opera una rilettura critica dei fenomeni, dei processi e delle motivazioni, consce ed inconsce, dei esistenziali, o anche soltanto bio-vitalistiche. Oppure la religione istituzionale raggiungerebbe la sua espressione più elevata nella spiritualità. MA c’è anche un elemento di DISCONTINUITA’ nel fatto che la religione si presenta come una risposta ai bisogni esistenziali e di senso che fa esplicitamente riferimento al Trascendente.  Non c’è continuità necessaria tra l’universale ricerca del senso dell’esistenza e l’adesione alla specifica risposta religiosa. Sotto l’aspetto psicologico la religiosità: - È un vissuto psichico relazionale : muove dal mondo degli affetti, con un legame (religio) che è relazione personale intenzionalmente orientata al riconoscimenti di un altro. - Rientra nel più vasto quadro delle attività mitopoietiche, rivolte ad una relazione significativa con la realtà, che dia senso al soggetto, al mondo e alla relazione uomo- mondo e anche all’esistenza dell’individuo prima e dopo la vita terrena - Si propone come risposta totalizzante alla domanda di significato e di ulteriorità, che appella al Trascendente come fonte di senso e di valore-interesse ultimativo - È inscritta in diversi sistemi simbolici in funzione sia dei contesti storici e socio-culturali sia delle caratteristiche di personalità attraverso le quali il soggetto vive la sua esperienza di incontro con la religione. La specificità della religione non risiede tanto nell’avere a che fare con le questioni ultime del valore e del significato, ma nel proporre, appellandosi al Trascendente, una risposta che non è meramente concettuale e intellettuale, ma si fonda nell’esperienza relazionale e sull’appagamento dei bisogni emotivo-affettivi. Nella prospettiva psicologica, la religione non è una caratteristica innata (homo religiosus). Non è un vago senso di spiritualità o di sacro (≠M. Eliade)  La religione E’ una delle possibili (non è necessaria) risposte al search for meaning. La domanda di senso è universale MA la religione non è soltanto un sistema di significato: per il credente è una relazione personale ed affettiva, i cui effetti psichici sono considerati dallo psicologo a prescindere dalla questione della verità di contenuto. Quando l’uomo dice Dio, Argomenti e temi di ricerca Quando l’uomo dice ‘Dio’, che cosa veramente dice? Quali processi avvengono nella sua psiche? Nell’esperienza dell’individuo che dice ‘Dio Padre’ trovano espressione processi neurobiologici, imprinting relazionale, rappresentazioni parentali, meccanismi proiettivi e difensivi, apprendimento culturale, condizionamenti educativi e sociali ecc  L’uomo vive la sua religiosità in un contesto specifico istituzionalizzato con credenze, liturgia, forme associative e organizzative determinate. Le conoscenze religiose e la concezione di Dio sono spesso studiate in relazione alla prospettiva piagetiana dello sviluppo dell’intelligenza, dal pensiero pre-operatorio infantile, al pensiero operatorio astratto dell’adulto. La socializzazione e l’educazione religiosa sono poste in relazione con comportamenti pro-sociali, benessere, valori/atteggiamenti morali, senso di colpa e perdono e si studiano i rapporti tra religioni istituzionali e sette e il loro articolarsi nella struttura sociale complessiva. La religiosità viene studiata anche nelle forme e manifestazioni concrete della devozioni. Indagini di questo tipo trovano campo nella religione istituzionale , specialmente nell’ambito della Chiesa cattolica che valorizza la dimensione comunitaria della religione vissuta. Diverse ricerche indagano su concezioni ed atteggiamenti verso la preghiera, la fiducia nella sua efficacia, la reazione al non esaudimento, sulla dimensione comunitaria della fede, sulle pratiche rituali di culto e di meditazione, sull’iniziazione ai sacramenti, sulle apparizioni, miracoli, esperienze mistiche, fino alle conversioni e le apostasie e gli abusi sessuali nelle chiese. Il religious coping Il coping (‘difendersi’) viene definito come un insieme di strategie e processi cognitivi, emotivi e comportamentali con cui un individuo reagisce ad una situazione percepita come stressante , eccedente la sua attuale capacità di gestirla.  Alcuni ricercatori valorizzano la religiosità per i suoi effetti di coping sulla persona credente. Il coinvolgimento emotivo, le credenze e le pratiche avrebbero rilevanti influssi positivi non solo sul benessere psicologico (conforto, speranza, orizzonte di senso in situazioni di stress, ansia o depressione) ma anche sulla salute fisica (minor morbilità e mortalità, maggior longevità, ecc) MA gli oppositori osservano, sulla base di altre ricerche, che questi effetti non sono specifici della religione e sono mediati invece da precetti, convinzioni usi e abitudini che non sono unicamente religiosi  chi nega l’efficacia di coping della religione osserva che spesso, nella ricerca su spiritualità e benessere, la formulazione dell’idea di spiritualità include indicatori di salute mentale, ma anche di religiosità e persino di non religiosità. Cosicché, nel modello di ricerca, tutti sono spirituali compresi atei e agnostici  dal momento che nessun soggetto rimane escluso da questa categoria onnicomprensiva di spiritualità, il confronto è impossibile e la relazione con la salute mentale o fisica semplicemente non può essere verificata, né proposta. Le ricerche empiriche sugli influssi, positivi e negativi, della religione sul benessere mostrerebbero che gli effetti di coping si diversificano in funzione di molte variabili, tra cui l’istruzione religiosa di appartenenza, la modalità individuale di adesione e il criterio di benessere psicologico e fisico adottato dai ricercatori. La psicologia della religione alla luce della psicoanalisi La trasmissione culturale della narrazione religiosa, una volta appropriata dal soggetto, diventa autobiografia, storia del suo incontro con la religione e storia della formazione della sua rappresentazione di Dio. Per cui si può parlare di ‘nascita di Dio vivente’ nell’uomo. Per lungo tempo la storia dei rapporti tra psicoanalisi e religione ha registrato scontri tra istituzioni e conflitti ideologici, piuttosto che dibattiti culturali. Solo a partire dagli anni 70 del Novecento la maggior conoscenza e frequentazione reciproca tra alcuni ecclesiastici e singoli psicoanalisti hanno fatto intravedere il superamento della vexata questio.  Vergote elabora il concetto di CORPO PSICHICO (= stretta interazione tra il soggetto e le sue pulsioni con il suo ambiente culturale, simbolico, linguistico) , apre innovative prospettive per la psicologia dinamica della religione, con importanti suggestioni anche per un’antropologia teologica. La psicoanalisi come archeologia della teologia apre alla possibilità (non alla necessità) della fede. Da questa duplice apertura (alla fede come alla non credenza) deriva il rifiuto sia di ogni utilizzazione della psicoanalisi a fini apologetici della fede, sia del cosiddetto religious coping. Vergote pensa che le componenti umane che sottostanno e strutturano la fede sostengano bene la salute mentale, ma è altrettanto consapevole che l’uso utilitaristico (coping) della religione annulli la verità della religione stessa e conseguentemente le sue caratteristiche che potrebbero essere benefiche.  Vergote sottolinea l’eccellenza della psicoanalisi rispetto ad ogni altro approccio della psicologia della religione: la psicoanalisi è la psicologia che va più a fondo nelle cose e che affronta maggiormente le questioni essenziali sulle quali si lavora anche nella grande filosofia e nella teologia. Anna-Maria Rizzuto  colei che meglio di ogni altro ha saputo coniugare la riflessione teorica con i risultati della pratica clinica. Studia la formazione, l’evoluzione, la trasformazione e l’uso della rappresentazione di Dio lungo l’intero arco di vita e le riconduce alla dialettica tra le rappresentazioni del Sé e le rappresentazioni oggettuali primarie, ne mostra l’origine e la funzione psichica.  Di particolare rilievo per la psicologia della religione è la sottolineature delle caratteristiche inconsce delle rappresentazioni mentali, inclusa la rappresentazione di Dio, e la focalizzazione delle relazioni tra la rappresentazione, prevalentemente inconscia e preconscia, di Dio e l’atteggiamento personale, prevalentemente conscio, nei confronti di Dio. La psicologia culturale e il fondamentalismo La psicoanalisi si sviluppa attraverso la storia narrata (autobiografia) dell’analizzante, mediata dalla forza plasmante della cultura e del linguaggio. Anche l’esperienza religione dell’individuo si realizza, si sviluppa e ha possibilità di essere studiata solo all’interno di un contesto simbolico culturale specificato  PSICOLOGIA CULTURALE DELLA RELIGIONE : si propone di descrivere, investigare e interpretare le interazioni esistenti tra la cultura e il funzionamento della psiche umana. I modelli culturali di azione, pensiero ed esperienza sono creati, adottati e trasmessi congiuntamente da un insieme di individui. La religiosità viene studiata in quanto risultato del coinvolgimento dell’individuo nella religione a livello culturale. L’interazione dialettica tra vissuto personale, contesto religioso istituzionale e il più vasto ambiente storico-culturale pone la questione dell’identità religiosa, delle sue derive fondamentalistiche e, al contrario, del suo approdo al pluralismo. Il fondamentalismo religioso non è una caratteristica intrinseca di una specifica religione, lo psicologo della religione è interessato a cogliere, nella pluralità dei fondamentalismi, le manifestazioni storico-culturali di un atteggiamento psicologico fondamentalista e la loro costruzione culturale. La questione della neutralità La questione della neutralità metodologica deve confrontarsi con le convinzioni religiose dello psicologo ed eventualmente con il suo coinvolgimento personale in forma di fede  non prendere posizione nell’ambito della ricerca sul contenuto di verità ontologica del Trascendente Qualcuno oppone l’impossibile neutralità dell’approccio psicologico argomenta con la questione della circolarità tra osservatore e osservato Spesso gli psicologi della religione sono psicologi religiosi, personalmente coinvolti e particolarmente favorevoli a una religione, quella da loro praticata. E, al contrario, gli psicologi non credenti sono spesso disinteressati al problema della religione, che considerano prodotto di irrazionalità e irrilevante per la psicologia MA per essere psicologi della religione non è necessario essere credenti, né ripercorrere o promuovere una specifica religione, così come, per essere psicologi dello sport non si richiede la pratica attiva di uno sport. integrata con la cultura, ma anche con il corpo, con la percezione tramite i sensi, con la capacità di “interazione” che esiste tra corpo, mente e mondo. La cognizione deve essere dunque “incorporata” (incarnata nelle strutture corporee), “situata” nell’ambiente ed “estesa” nel mondo fisico e sociale  Ripresa di antichi motivi e metodi, non ripetizione ma anche nuovi risultati. Non possiamo parlare di scuole ben definite e sviluppi lineari e diretti perché vi sono interessi e prospettive che si intersecano e si integrano. Se dovessimo indicare due gradi filoni di studio e di ricerca legati tra di loro:  Studi sulla nascita della religione (dove, come e perché nasce)  Evoluzione della religione sia in termini di credenze che di pratiche. Questi due grossi rami sono arricchiti al loro interno da gruppi di ricerca, apporti e metodi nuovi di ricerca.  Tesi su come nasce e dove nasce la religione : Autore di riferimento è Pascal Boyer che compie molti studi di ricerca in Africa. Nasce da lui l’idea di trovare piste diverse per capire come e dove nasce l’idea degli esseri sovrannaturali (extra-umani) negli individui che credono in questi esseri. La sua ipotesi è basata sul presupposto che ogni religione nasce e si spiega a partire dalla nascita e trasmissione di idee contro intuitive  tutti fin dalla nascita hanno degli elementi nel cervello che violano le attese e le aspettative della vita ordinaria, della vita che ci si aspetta e che queste spie della contro intuizione creano la più grande delle idee contro intuitive ovvero l’esistenza degli esseri sovrannaturali. Perché sono contro intuitivi questi esseri? Perché sono invisibili e non possiamo toccarli: dei, spiriti angeli. La contro intuizione è alla base della credenza religiosa in tante sfaccettature, perché questa produzione di simboli contro intuitivi importanti, essenziali e vantaggiosi nella sopravvivenza e nello sviluppo umano. Queste idee sono impregnate di antropomorfismo  Idea del vicino al se degli esseri umani. La potenza della diffusione avviene attraverso quello che Sperber aveva definito un vero e proprio contagio, epidemiologia. Perché reggono queste idee contro intuitive? Perché si diffondono e contagiano le menti degli altri e diventano rappresentazioni condivise. Stretto connubio con la teoria dei Memi, ovvero le unità minime di diffusione della cultura sia nella singola persona, sia nelle comunità di persone (modi di credere, di praticare ecc diverse attività culturali). Questi Memi sono alla base della solidità con cui certi tipi di presenze si diffondono per contagio. La religione è un esempio di Memi più elaborato, un’aggregazione di Memi. Da dove nasce e perché nasce la religione dunque ? Per Boyer la religione nasce da queste idee contro intuitive della mente umana e dalla potenza di contagio che è alla base della diffusione di queste idee ( Sperber). La mente e il cervello viene visto non soltanto come Software ma come Hardware, ovvero una mente agente che produce altri agenti che però sono sovrannaturali. Con questa idea si cerca di capire come la mente crea queste figure sovrannaturali che sono intangibili e invisibili. McNamara dice che l’apparato mentale, di cui tutti siamo debitori, si svilupperebbe a partire dai lobi frontali del nostro cervello, il quale durante l’evoluzione si sarebbe sempre più ampliato fino a raggiungere una forma ipertrofica. Ora, tutto avrebbe origine da questa parte del cervello, chiamata neo- corteccia, la quale sarebbe adibita alle funzione superiori, come il “comunicare” con gli altri, “il progettare”, “l’imitare” e avrebbe anche per sua natura anche la stessa capacità di “simulare”. Abbiamo dunque la capacità di pensare che anche gli altri “progettano”, “pensano” come noi e hanno emozioni come noi. Produzione di intenzionalità non solo umane ma anche extra-umane. Si potrebbe dunque dire che la coscienza di noi stessi si è sviluppata tramite la coscienza degli altri e che noi abbiamo sempre bisogno di costruire modelli per capire la mente degli altri.  Evoluzione della religione:  Primo pensiero è l’Effetto collaterale :” By product” il nostro cervello umano è così evoluto nei pensieri astratti tanto da produrre cose che non sono visibili, che sono intangibili e non possono essere verificati empiricamente. Questo effetto collaterale By product è legato all’ “es - adattamento ”. Esempio : piume degli uccelli che sono nate per questione di equilibrio e regolamento della temperatura interna ma poi hanno suscitato in quegli animali anche il volo. Le piume rispetto al volo sono un esempio di es- adattamento, perché le piume non si sono sviluppate principalmente per il volo ma il volo sarebbe un effetto collaterale. Dunque la religione sarebbe come il volo, ovvero un effetto collaterale di elementi cognitivi che noi abbiamo sviluppato per altri motivi. La religione è anche uno “Spandrel”  Ovvero la religione è uno spazio di possibilità.  Evoluzione pro sociale  ltra tesi rispetto a quella di By product, ma anche allo stesso tempo collaterale, spiega che l’evoluzione della religione è in grado di creare un vantaggio per il gruppo (evoluzione pro-sociale)  Il benessere della comunità è dovuto alla cooperazione che si sviluppa a sua volta grazie alla lealtà. La cooperazione esiste ad ogni elemento storico e fisico e anche i gruppi religiosi servono per sopravvivere nel contesto culturale. Vantaggio sociale dell’essere uniti e credere in stessi elementi religiosi che si sviluppano anche nella pratica.  Le neuro scienze : cercano di studiare direttamente gli stati neurali e perciò tentano di andare direttamente all’ Hardware e cioè il cervello. Si studia dunque il cervello per capire quali sono i luoghi deputati al senso e all’esperienza religiosa nel cervello umani, tramite strumenti sempre più sofisticati. All’interno delle scienze cognitive, le neuroscienze puntano sulla consultazione fisica del cervello. Uno dei campi meglio sviluppato è quello del rito, studiare e riconoscere come nel rito avvenga la perfetta simbiosi di tutta la persona e delle sue emozioni legate al corpo per cui “si mette di nuovo insieme cervello, corpo e mondo”. Si studiano i riti e le performance per capire quali risultati neurologici si hanno all’interno del cervello. Studio di Newberg e D’Aquili che studiano i meccanismi e l’investimento emotivo dei riti attraverso un metodo neurologico e biologico. Studiano come durante questi rituali il cervello cambi dal punto di vista neuro-biologico  operatori olistici (responsabili dell’idea di assoluto) e operatori causali (operatori dell’Agency e dunque producono l’idea che esistano degli agenti extra-umani e sovrannaturali verso cui si compie il rituale). Approccio di Whitehouse del rito come memoria collettiva: ipotizza l’esistenza di riti diversi, riti con carattere dottrinale e con carattere immaginifico. Quelli con carattere dottrinale andrebbero a ricostruire la memoria e la storia del gruppo mentre quelli di carattere immaginifico creano motivazione, sono rituali forti e drammatici (Esempio: creano possessione). Studiare gli effetti fisici di questi riti sui corpi delle persone. Vi sono inoltre stati anche tanti tentativi di leggere il sacro all’interno dei moduli mentali. Si mette a dialogo la concezione di sacro di Rudolph Otto. Il teorico del sacro come modulo mentale è Fodor che pensa che la mente sia costruita attraverso moduli mentali che evolvono.  Scienze legate alla spiritualità in senso terapeutico , studi sugli effetti positivi della preghiera, dei riti e delle esperienze spirituali di vario tipo ( Esempio: meditazione buddhista). Queste esperienze spirituali creano effetti positivi sul nostro corpo e sulla nostra mente. La religione: un fenomeno universale basato sull’architettura della mente Una volta che si riconosce che la religione potrebbe avere alla base una STRUTTURA COGNITIVA propria, si entra di prepotenza nel vasto campo controllato dalle scienze cognitive, con tutte le specificità metodologiche riguardanti quest’ambito d’indagine dove ad esempio la mente umana è assimilata ad un computer (con tutto ciò che ne comporta). Scienza cognitiva della religione  metodologicamente si cerca di comprendere anche la religione come un fenomeno universale dal punto di vista osservativo mentre, dal punto di vista riflessivo, la sua natura ricadrebbe nell’ambito di un fenomeno connesso alle leggi e ai meccanismi della mente. La domanda metodologica che sta alla base è : perché gli uomini hanno una predisposizione naturale e mentale ch eli rende recettivi alle credenze e al comportamento religioso?  elaborare rappresentazioni mentali è indispensabile alla sopravvivenza di qualsiasi sistema che sia in grado di adattarsi al proprio ambiente, sembra che ‘siamo nati per credere’ e che questa credenza ci aiuti a sopravvivere. Ma come comprendere più profondamente la naturalità delle rappresentazioni religiose? Tale naturalità sarebbe data semplicemente dai processi inconsci di tutti coloro che hanno una mente pensante. La scienza cognitiva della religione è in grado di mettere d’accordo tutte le religioni, in quanto simili tra loro poiché tutte le religioni a livello naturale sono supportate dalle stesse strutture e dagli stessi processi mentali naturali. Portata ai suoi estremi la scienza cognitiva della religione si può dire che venga a sostituire la ‘filosofia della religione’ perché ormai si incarna di rendere conto di ciò che è la religione a partire dal mentale. Di fatto anche per la religione occorre ricercare meccanismi causali che possono aver dato luogo alle credenze religiose e alle relative pratiche , secondo una concezione quasi computazionale per cui la mente è un insieme di sottinsiemi atti a risolvere problemi specifici che si presentano nel corso dell’evoluzione. Il punto di partenza è dato dalla stessa questione che si poneva Levy-Strauss: si domandava perché ci fossero delle regolarità osservate dagli etnologi nella produzione culturale e religiosa e suggeriva che queste regolarità dovevano ricercarsi nelle strutture stesse dello spirito umano.  Ci si sforza di capire perché le rappresentazioni, i simboli, le pratiche e le credenze religiose siano come ‘fissate in testa’, abbiano per così dire un imprinting nella mente/cervello e ci si interroga perché tendano a sopravvivere e in che modo continuino poi ad esistere. Tale quesito che si pone a fondamento della nuova scienza cognitiva della religione, lentamente ha guadagnato terreno e oggi propone i suoi dati e con tali dati intende fare scienza secondo teorie e sperimentazioni. Le nuove frontiere della cognizione verso l’incontro con la ‘scienza classica delle religioni’ umani ed evolvere in armonia. In tutto questo la cooperazione è sorprendente, l’evoluzione per selezione naturale è una teoria di successo attraverso la competizione. La tesi è che i gruppi religiosi funzionino come unità adattative nel contesto sociale. Il contributo delle neuroscienze: approccio metodologico Il metodo di studio delle neuroscienze è sperimentale, consiste nell’osservazione diretta del modo in cui reagiscono il sistema neurale e il cervello. Naturalmente, essendo in gioco un metodo del tutto empirico, si tratta di usare dei mezzi, come per esempio degli scanner, per andare a individuare i luoghi deputati al senso religioso o all’esperienza religiosa attraverso le reazioni cerebrali che si possono avere, oltre a misurare, eventualmente, il tipo e la profondità dell’esperienza percepita. Il limite di queste metodiche consiste nel non fornire dati sulla fisiologia dell’organo esaminato né tantomeno sull’elaborazione dei contenuti ideali della religione, ma soltanto nel cogliere preminentemente il luogo cerebrale ed eventualmente l’intensità con cui qualcosa come l’esperienza religiosa si manifesta, rilevando il tutto attraverso alcune tecniche. MANCA MA FORSE INUTILE La ritualità a livello cognitivo e neuro-scientifico Body-Mind-Ritual  i rituali sono le vie più drammatiche per manipolare attraverso il corpo gli stati mentali e così cambiare direttamente le nostre menti (Geertz). Tecniche sono il canto la danza il battere le mani l’ondeggiare con la testa le diverse posture del corpo come l’inchinarsi l’inginocchiarsi. Sono tutte tecniche che a partire da riti del corpo modificano gli stati mentali. Oggi le scienze cognitive e le neuroscienze ci fanno comprendere altri meccanismi ancor più sofisticati di azione sulla mente e sul cervello tramite i riti. Nel rito avviene la perfetta simbiosi di tutta la persona e delle sue emozioni legate al corpo per cui si mette di nuovo insieme cervello corpo e mondo. Tale unità di corpo mente e emozioni porta a una disponibilità eccezionale a condividere emozioni per cui si possono raggiungere vere esperienze eccelse. C’è un investimento emotivo forte che ha conseguenze per la vita. Il rito ha una sua efficacia interna: tocca tutte le corde della cognizione e dell’emozione. Neurobiologia del rito secondo Newberg e d’Aquili Il loro campo di ricerca è dato dallo studio di esperienze presenti sia nella meditazione orientale buddhista sia nella preghiera cristiana profonda. Il meccanismo principale di carattere neurofisiologico prodotto dal rito sarebbe da ricondursi fondamentalmente a un processo di de-afferentazione, per cui si portano alcune funzioni connesse a parti del cervello a un blocco inibitorio. La causa profonda di questo blocco di alcune parti del cervello e della ipertimolazione di altre sarebbe da attribuirsi soprattutto alla tirmicità alla ripetizione come anche alla cantillazione e alla musica che implicherebbero nel contesto dello svolgersi del rito meccanismi inibitori dell’ippocampo e dell’amigdala. Ne risulterebbero delle scariche emotive intermittenti in grado di portare a sensazioni soggettive di assoluta mancanza di limiti che sono poi connesse a sentimenti di pace tranquillità e di unità dell’esperienza. Lo stacco o la de-afferentazione del lobo parietale superiore posteriore dell’emisfero sinistro si compirebbero sotto forti stimoli sensoriale che possono andare in direzione opposta: rito ergotopico, si tratta di stimoli eccitatori del simpatico fino al distacco tra i due cervelli attraverso il ritmo la musica la danza / nel rito trofotropico lo stimolo è dato in particolare dal parasimpatico attraverso la meditazione la concentrazione lo sprofondamento meditativo. L’azione rituale secondo Lawson e McCauley Per Lawson e McCauley alla base del rito c’è l’idea di AZIONE  i riti sono eventi di comunicazione cultuale e culturale in cui, a livello della mente, i partecipanti condividono le credenze e accettano le intenzioni socio-culturali. I riti sono essenzialmente veri atti in cui occorre studiare il rapporto tra attori, azioni e oggetti del rito. Il rito è provocatorio a livello emotivo  una stimolazione emotiva nasce là dove si riconosce e si partecipa a un rito in cui l’azione è compiuta da un essere sovrannaturale, che diventa allora la base ultima per l’etica e la questione del significato per la vita. Gli attori nel rito e la strategia dell’azione Come si svolge un rito a livello di azioni e di attori? Con Lawson e McCouley parliamo di un ‘naturalismo rituale’, dove IL SIGNIFICATO SI FA TRAMITE AZIONI. [Siamo oltre strutturalismo intellettualismo e simbolismo]  Che cosa c’è nella mente e che cosa passa nella testa di chi compie un rito? L’attenzione si sposta dalla pratica del rituale al riconoscimento di ciò che avviene in pratica nella mente dei credenti  in un rito solo metà della scena è visibile: si rappresenta, si recita, si canta e si prega. MA l’altra metà della scena è invisibile (sebbene appaia reale vera e diretta a chi partecipa al rito)  Questo rapporto tra reale e invisibile costituisce la grande strategia rituale: L’IMMAGINARIO nel rito DIVENTA REALE La modularità della mente e il ‘sacro’ come modulo Pyysiainene e Hauser  moduli ‘morali‘ che gli uomini condividono con tutti i membri della loro specie, anche se poi il contenuto della moralità è aperto a variazioni. Questo aspetto morale parlerebbe di un meccanismo innato più originario rispetto a quello che potremmo dire ‘religioso’: si tratta di una moralità innata presente nella mente dell’homo sapiens e che non è specifica della religione. Il sacro come modulo mentale L’idea del SACRO di R.Otto è qualcosa come un apriori religioso presente alla nostra mente e assume caratteristiche specifiche e particolari, per cui contempla un insieme di proprietà e di emozioni come il tremendum e il fascinans, sentimenti legati insieme da una specie di armonia dei contrasti  tali sentimenti legati tra loro e indivisibili sarebbero all’origine dell’idea di sacro considerato come un tutto non divisibile e non analizzabile in modo specifico avendo in sé qualcosa di irrazionale nel suo stesso configurarsi ed essere presente nella nostra mente. Il sacro è rintracciabile a livello della mente umana in modo innato, come se esso avesse un imprinting nella mente/cervello. Spiritual Neuroscience A livello prevalentemente terapeutico. Nina Azari  gli effetti positivi del rito, della preghiera e della meditazione profonda sono analizzati con le componenti cognitive ed emotive nello stesso tempo. Si è notata una correlazione importante tra la fede profonda, le relazione positive, pensare positivo e la capacità di regolare meglio il sistema immunitario, dunque anche la possibilità di ridurre il rischio di tumore, di migliorare in genere la salute e di proteggere il sistema cardio- vascolare. Occorrerebbe comprendere le modificazioni fisiologiche nella correlazione mente-corpo, studiare il diverso atteggiamento verso il mondo e, soltanto alla fine, introdurre delle considerazioni in ordine all’efficacia terapeutica. Ma in primisi sarebbe necessario difendere anche un qualche valore di verità dell’esperienza religiosa stessa: ciò invece passa troppo spesso in secondo ordine. In questi ultimi anni le neuroscienze dello spirito stanno avviando un affascinante collegamento con la psico-neuro-immunologia che rientra in qualche modo nella definizione ‘affetto positivo’. GEOGRAFIA DELLE RELIGIONI Geografia delle religioni: ci riferiamo ad un doppio binario perché ci riferiamo ai geografi che si occupano di sacro o di religione  In questo caso abbiamo un movimento che va dalla geografia religiosa (religiosa come aggettivo di geografia perché si occupa anche dell’ambito devozionale) alla geografia delle religioni. Oltre ai geografi abbiamo anche altri studiosi (antropologi, storici, sociologi) che si occupano della religione e delle religioni che hanno, negli ultimi decenni, avuto un maggiore interesse per la dimensione spaziale come dimensione centrale dei loro studi. Dunque doppio binario perché l’esito del percorso ha due grandi insiemi di soggetti rappresentati dello studio: i geografi e gli studiosi di altre materie che hanno introdotto nei loro studi l’interesse per lo spazio. Definire il rapporto tra geografia e religione La geografia che ha come oggetto la religione è un campo recente che nasce all’interno della geografia umana che si occupa sia dell’influenza della religione sull’ambiente geografico e sia l’impatto dei i fattori geografici sulla religione. Dunque è una sotto disciplina della geografia umana che sta a sua volta al di sotto della Geografia. E’ un campo marginale e che sta facendo un percorso molto recente (la sociologia delle religioni o l’antropologia delle religioni hanno una storia e una vita molto più lunga). Il fatto che vi sia un campo che sia nominato come “geografia delle religioni” è un fatto nuovo, l’interesse della geografia per le religioni non è recente, ma l’assunzione di un’identità più precisa e di un “nome” per poter determinare questo ambito è piuttosto recente. Geografia e religione dunque hanno un rapporto reciproco che solo negli ultimi decenni inizia ad acquisire un’identità maggiore ed autonoma. Da un certo punto di vista possiamo avvicinarla alle scienze cognitive legate alla religione. Seconda metà del sedicesimo secolo per la prima volta si utilizza l’espressione “Geografia Sacra” che fa riferimento alla geografia biblica o geografia ecclesiastica grazie a Benito Arias Montano. Fa riferimento appunto al campo biblico o ecclesiastico perché fa riferimento ad un “Apparatus sacer” Spazio: È l’ambiente organizzato trasmesso e riprodotto. Risultato dell’interazione tra le persone che compiono degli atti, rappresentano e interpretano. Lo spazio può essere considerato come spazio astratto  Esempio: spazio sacro. Viene solitamente usato al singolare. Luoghi: Sono porzioni connotate e significative di questo spazio. I luoghi religiosi sono una categoria particolare di luogo perche sono connotati da azioni particolari, ovvero da azioni religiose. La loro identità è costituita dalla pratiche religiose. Viene solitamente usato al plurale quando si parla di luoghi religiosi. Alcune piste di ricerca contemporanee:  Ricerche sull’ecologia, sulla natura e sull’ambiente  Tema della dimensione dinamica degli spazi dedicati ai pellegrinaggi. Da movimenti più tradizionali a movimenti più alternativi.  Tema della materialità legata al culto, agli edifici, all’estetica, alle infrastrutture.  Rapporto tra lo spazio urbano e la religione. Negli anni ’60 si credeva che la città fosse una Città secolare, città come spazio del “senza Dio”  Oggi invece si tende a dire che le città sono il fulcro delle credenze religiose. E’ vero che lo spazio urbano e la religione si influenzano reciprocamente ma è anche vero che non esiste un discorso lineare e un rapporto stabile tra questi due poli, città e religione. Alcuni esempi che rendono difficile il discorso di rapporto tra la religione e la città 1. E’ difficile dividere da cosa sia la città e cosa sia la campagna Un luogo potrebbe avere architetture diverse se situate in campagna o nel centro dello spazio urbano. 2. Difficile capire che cosa sia uno spazio religioso e uno spazio secolare  Uno spazio può accogliere riti religiosi e anche feste secolari  Esempio: Luogo dove si svolge il Kappa Future Festival (parco Dora) che diventa un luogo di incontro per i mussulmani alla fine del Ramadan e per i loro riti e le loro preghiere 3. Difficile anche capire se vi sia una sostituzione o una coesistenza di più credenze all’interno di un luogo 4. Visibilità o invisibilità?  Esempio: Moschea che sembra nascosta che si trova in una delle maggiori e più conosciute vie di San Salvario. Solo chi la conosce sa che esiste una moschea 5. Formalità o informalità? La formalità di alcuni luoghi religiosi è davvero rara Esempio: L’unica moschea formale e riconosciuta legalmente è la Grande Moschea di Roma, mentre vi sono più di mille moschea in Italia considerate informali, cioè non riconosciute legalmente come luoghi di culto. EDUCAZIONE E RELIGIONE – Alessandro Saggioro
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