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Manuale di storia medievale Zorzi, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto del Manuale di storia medievale di Zorzi

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Manuale di storia medievale Zorzi e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! MANUALE DI STORIA MEDIEVALE - ZORZI 1. L’idea del medioevo e le sue interpretazioni Uomini e donne del Medioevo non ebbero mai la percezione di vivere nel Medioevo, infatti la nozione di Medioevo è un’invenzione intellettuale posteriore, esso non è mai esistito se non nell’immaginario comune della società occidentale degli ultimi 500 anni. L’idea di medioevo fu inizialmente formulata nell’ambito di un pregiudizio negativo anche se in più momenti è stato rivalutato come un periodo capace di esprimere valori positivi. Per un millennio le popolazioni europee avevano come percezione quella di vivere nell’Impero Romano, a percepire per primi che l’età antica fosse estranea alla loro società furono gli umanisti italiani del XIV-XV secolo, essi sostenevano che ci fosse un lungo intervallo di tempo che li separava dalla cultura degli antichi, che essi avevano preso come modello per promuove una rinascita intellettuale. A metà del XV secolo si diffuse nei loro scritti un’espressione nuova, quella di età di mezzo, “medium aevum”, un lungo periodo visto come decadenza della civiltà. Nel 1550 Vasari definì “gotica” quell’arte che aveva perso quel senso classico della misura, riemerso poi dopo il ‘300 con Giotto. Melantone (collaboratore di Lutero) compose una storia universale che rivendicava la funzione positiva dell’impero tedesco, accusando la Chiesa romana di averne provocato la rovina; per i protestanti il declino non era stato causato delle invasioni barbariche, ma della mondanizzazione della Chiesa legata all’affermazione del papato. Grande diffusione ebbe la Historia ecclesiastica (1559-1574) di Vlacic, che contribuì a divulgare nel mondo protestante l’interpretazione negativa di un periodo della storia, caratterizzato dalla degenerazione della Chiesa dalle origini fino al XIII sec, quando il papato sarebbe divenuto l’incarnazione dell’Anticristo. Prese copro l’idea di una totale coincidenza tra il periodo medievale e la storia del cattolicesimo romano. La cultura cattolica rispose con la ricostruzione della storia della Chiesa, fondata su una documentazione rivolta a rivendicare i valori positivi del cattolicesimo e il primato del papa. Nel 1643 ad Anversa, il gesuita Bolland avviò il progetto di raccolta di testimonianze scritte sulla vita dei santi (Acta sanctorum), esaminati con metodo filologico, con lo scopo di dare un fondamento documentario al culto dei santi, bersaglio della polemica protestante. Nel 1681 il benedettino Mabillon pubblicò l’opera De re diplomatica, che stabiliva le regole per riconoscere la documentazione falsa da quella originale, distinguendo per periodi la scrittura latina, quest’opera diede le fondamenta alla paleografia e alla diplomatica come scienze storiche e critiche. Contemporaneamente Du Cange pubblicò il primo vocabolario del latino medievale, in cui il concetto di “infima latinità” si riferiva al latino dell’epoca tarda rispetto al latino classico. Nel XVII secolo gli uomini del tempo capirono di vivere in un’età totalmente originale rispetto al passato. Horn pubblicò nel 1666 una storia universale che proponeva un’inedita periodizzazione: l’evo antico (vetus), medioevo intermedio (aevum medium) e medioevo recente (recentior aevum), solo l’invenzione delle armi da fuoco e della stampa, le scoperte geografiche e la rinascita culturale avevano chiuso questo periodo. Horn fissò i termini di questo periodo tra la caduta dell’Impero Romano d’Occidente (476) e quello d’Oriente nel 1453. Questa scansione fu ripresa da Keller che 1688 scrisse Historia medii aevi, un manuale ad uso didattico che definiva in maniera precisa il Medioevo. 8L’illuminismo rielaborò il medioevo con Voltaire, che gli diede un’interpretazione globale, di tenore polemico nella sua opera Saggio sui costumi e lo spirito delle nazioni e sui principali fatti storici da Carlomagno a Luigi XIII : le invasioni barbariche e il potere della chiesa segnarono un periodo di rozzezza, violenza e superstizione di cui la società iniziò a liberarsene solo nel XVIII secolo quando iniziò ad utilizzare i dettami della ragione e della giustizia. Nel 1776 Gibbon interpretò il millennio come periodo di lungo declino e decadenza dell’Impero romano, evidenziando però come il medioevo espresse anche valori propri, come quelli delle popolazioni germaniche, arabe e turche e fenomeni nuovi come le crociate e le trasformazioni religiose. Nel XVIII secolo l’immagine negativa del medioevo è stata sottoposta a revisione grazie all’erudizione storica, fondamentale il lavoro di Muratori che tra il 1723 e il 1751 diresse una raccolta di cronache del periodo tra il VI e il XVI secolo, gli Scrittori di storia italiana. Egli si rese conto che l’Italia aveva una tradizione storica comune, che si era formata non in età antica ma nel medioevo, perciò ricostruì i tratti comuni: lingua, costumi, leggi, istituzioni, commercio, cultura, morale e religione; utilizzando non solo le cronache ma anche i documenti d’archivio. Compose così le Antichità italiane del medioevo prima indagine sulla civiltà medievale in Italia. La diffusione di un’immagine positiva del medioevo si ebbe con il Romanticismo, che si diffuse in Europa dalla fine del XVIII secolo. La nuova sensibilità fu attirata dagli aspetti irrazionali e passionali del medioevo, che lo rivalutarono in primis come età di fede religiosa rassicurante e pacificatrice. Importanti sono i Canti di Ossian (1760), una raccolta di poesie di Macpherson, ispirate dall’epica gaelica, in cui si dispiegava una sensibilità acuta per la natura e la bellezza dei paesaggi. Contemporaneamente si diffusero il gusto per i ruderi delle abbazie e castelli come soggetti pittorici e i romanzi storici ambientati nel medioevo, come Ivanhoe di Walter Scott. Il romanticismo contribuì a sviluppare un’originale idea di medioevo, epoca in cui rintracciare le radici di uno spirito nazionale. Fu la cultura tedesca per prima a rivendicare le peculiarità delle popolazioni germaniche, contrapponendo la decadenza del tardo impero romano con il vigore, la fede e la capacità di fondere individualismo e solidarietà delle istituzioni giunte al massimo splendore con Carlo Magno. Per reazione la cultura francese si appropriò del mito di Carlo Magno, valorizzando il 1 ruolo della Gallia. La riflessione sul ruolo dell’identità Germanica nell’800 fu sostenuta da una ricostruzione storica fondata sui documenti di archivi e biblioteche, nel 1818 fu creata la “Società per la documentazione dell’antica storia” tedesca con lo scopo di pubblicare le fonti della storia medievale tedesca e nel 1826 vengono stampati i primi volumi di Monumenta germaniae historica. Il professore Rancke nel 1825 definì i criteri di metodo per l’utilizzo delle testimonianze scritte, dando più attendibilità ai documenti emessi dalle istituzioni pubbliche, rispetto ai testi cronistici e letterari. Fondamentale per lo sviluppo degli studi storici in Francia fu Guizot, che nella Storia di Francia del 1858, vide le origini della civiltà moderna nella fusione delle popolazioni germaniche con quelle romane, sotto l’influenza cristiana. In Italia a Firenze fu fondato nel 1842 l’Archivio storico italiano, un periodico scientifico dedicato alla promozione dello studio della storia nazionale. In Inghilterra l’interesse era volto alle origini del sistema costituzionale, basato sull’equilibrio tra monarchia e parlamento, individuato nell’integrazione delle istituzioni dell’epoca sassone con quelle della monarchia normanna. Nel clima del positivismo (metà dell’800) gli storici erano interessati ad individuare nel passato le leggi del funzionamento della società, con il presupposto che esse avessero la stessa natura oggettiva di quelle osservabili dalle scienze naturali. Così nacque l’interesse per la storia della politica, del diritto, della società e dell’economia del medioevo. In Inghilterra Maitland studiò la formazione del common law, in Germania si guardava alle istituzioni della città e alla genesi dei poteri pubblici dello stato del medioevo, in Italia si dava attenzione allo scontro di interessi tra le classi, sulle condizioni giuridiche dei contadini, etc…, in Francia De Coulanges dà importanza allo studio della proprietà fondiaria per spiegare le funzioni di potere delle istituzioni politiche del medioevo, in continuità con l’età antica. Nella prima metà del ‘900 gli storici si impegnano per una visione coerente e unitaria per rivendicare l’originalità del medioevo, l’olandese Huizinga utilizza la metafora stagionale in Autunno nel medioevo per descrivere come la civiltà francese e nelle Fiandre alla fine del medioevo avesse la sensazione di vivere il crepuscolo di un’epoca. L’italiano Falco nella Santa romana repubblica descrisse il medioevo come un’epoca in cui la società realizzò gli ideali cristiani sotto la guida di istituzioni universali, come impero e papato. Le ricostruzioni economiche e sociali erano messe a confronto con discipline come la geografia, l’archeologia, le tradizioni popolari; furono due storici ad indagare su questo: Pirenne in Maometto e Carlo Magno (1937) indagò il passaggio dal mondo antico a quello medievale, negando che le invasioni barbariche avessero mutato il sistema economico, trovando invece nell’espansione islamica nel Mediterraneo la fine delle relazioni commerciali, che avrebbero fatto ripiegare l’Occidente sull’economia agraria. Solo l’azione dei mercanti delle città avrebbe successivamente rilanciato l’economia degli scambi e dato origine all’Europa moderna (La città del medioevo). Bloch presentò la società francese dal IX al XIII secolo ne La società feudale sottolineando i legami di solidarietà e dipendenza, le forme dell’organizzazione sociale e le raffigurazioni mentali che le tenevano insieme; rispetto a quest’ultime egli ne I re taumaturghi (1924) approfondì l’atteggiamento psicologico che per tradizione attribuiva poteri miracolosi ai sovrani francesi e inglesi, in particolare di guarire dalla scrofola mediante il tocco delle mani. Ormai si parla di civiltà del medioevo al plurale, evidenziando i confronti, i conflitti, le mediazioni e le integrazioni tra attori sociali, politici, religiosi e culturali diversi. La globalizzazione porta a superare il punto di vista eurocentrico per aprirsi a fenomeni come le migrazioni, le diaspore e le reti economiche e sociali. Le trasformazioni dell’800 sollecitando la ricerca di stili artistici e architettonici volti alla salvaguardia dell’eredità del passato, in Inghilterra Morris rilanciò l’artigianato in stile “medievale”. I movimenti dei preraffaelliti e dei nazareni recuperano le forme pittoriche medievali. In Francia Le-Duc restaurò la chiesa di Notre-Dame e Saint-Denis depurandole di ogni elemento non medievale. In Inghilterra si diffuse una narrativa di argomento medievale che sfociò nel fantasy, soprattutto in Tolkien; nel medioevo sono ambientati anche molti best-sellers da Umberto Eco, a Ken Follet e poi con Dan Brown. La cultura di massa statunitense ha attinto al passato medievale come fonte di invenzione fantastica. Alle tendenze che dall’800 hanno diffuso un’immagine ideale e astorica del medioevo, si usa dare il nome medievalismo (termine coniato dal critico dell’arte inglese Ruskin, alla metà dell’800, per indicare la riproposizione di forme e contenuti ispirati medioevo) per distinguere la distanza che separa il medioevo indagato dagli storici, da quello descritto dai mezzi di comunicazione. La sua presenza nella società contemporanea alimenta immaginari e fantasie come lo ius primae noctis, oppure il Codice Da Vinci, il Santo Graal; il medievalismo è una fabbrica di luoghi comuni. 3. La trasformazione del mondo romano Crollo impero romano d’Occidente-> Terminate le guerre d’espansione l'economia cominciò a ristagnare, la spesa pubblica superò l’ammontare delle entrate e la coniazione di moneta sempre di minor valore fece crescere l'inflazione. Il divario tra ricchi e poveri si accentuò e moltissimi artigiani e piccoli proprietari terrieri furono costretti a vendere i propri beni e a cercare lavoro come braccianti nei latifondi dei senatori. Nel corso del III secolo le elezioni degli imperatori dipesero sempre più dall’esercito, composto da soldati di mestiere reclutati sempre più tra le popolazioni barbariche confinanti. Carestie, epidemie e saccheggi compiuti dagli stessi soldati provocarono rivolte tra i contadini. Fu Diocleziano, imperatore dal 284 al 305, ad avviare un periodo di riforme: egli associò al trono 2 sentimenti di chiusura si alternarono a tentativi di integrare le popolazioni barbariche, soluzioni pragmatiche furono tentate attraverso le formule della foederatio e della hospitalitas; con la prima truppe barbariche sottoposte al comando dei capi tribali vennero inquadrate in veste di alleate, ricevendo un compenso, questa soluzione si rivela efficace per esempio con i franchi, che combatterono a lungo a difesa della Gallia settentrionale. La seconda prevedeva invece la concessione di un terzo delle tasse sulle terre di una determinata regione a gruppi etnici di rilevanti dimensioni che, insediandovisi dichiaravano fedeltà all’impero e si impegnavano a fornire un appoggio militare pur rimanendo indipendenti. La mancata concessione di questo sistema indusse i visigoti al saccheggio di Roma nel 410. All'inizio del V secolo cedettero le frontiere dell'impero; la Britannia fu abbandonata nel 406 esponendola alle incursioni dei pitti e degli scoti, per fronteggiarli fu favorito l'insediamento come federati degli angli e dei sassoni, che crearono dei regni che indussero le popolazioni britanniche a ritirarsi nell’attuale Galles e oltre la manica, nella regione che da allora prese il nome di Bretagna. Il Reno fu attraversato nell’inverno del 406-407 da diversi gruppi, soprattutto alani, vandali, burgundi che dilagarono nella Gallia incontrando la sola opposizione dei federati franchi, che nel 409 li spinsero a stanziarsi oltre i Pirenei nella penisola iberica. Su incarico dell’impero tra il 415 e 418 i visigoti dispersero gli alani, stringendo i vandali nell'estremo sud, che prese il nome di Vandalusia, cioè l'odierna Andalusia. Sotto Valentiniano III l'impero seppe reagire in Gallia attraverso azioni militari decise che rivelarono la debole coerenza delle etnie barbariche. Il generale Ezio ebbe un ruolo decisivo: contenere le pressioni dei visigoti a sud e dei franchi sul Reno, stanziare i burgundi nella Sapaudia; soprattutto in alleanza con franchi e visigoti respinse l'invasione degli unni guidati da Attila, sconfitto in battaglia nel 451 e ritiratisi anche dall’Italia nel 452. Ma per intrighi di palazzo Ezio fu fatto uccidere da l'imperatore nel 454, che subì analoga morte l'anno dopo. Nel Mediterraneo invece i vandali si erano spostati nell’Africa del nord nel 429 dove invano l'impero cercò di federarli. Sotto la guida di Genserico essi occuparono Cartagine nel 439, da dove esercitarono una continua azione di pirateria nel Mediterraneo e invasero la Sicilia nel 440, le Baleari, la Corsica e la Sardegna nel 455 e sempre via mare saccheggiarono Roma nel 455. Quando le migrazioni sembrano finalmente cessate i rinnovati contrasto ai vertici dello Stato, dove si succedettero una serie di imperatori privi di reale potere, ne indebolirono la capacità di controllo ormai limitate all’Italia e ad una parte della Gallia. Qui il generale romano Siagrio rese dal 464 al 486 un dominio personale tra la Loira e la Senna, che costituì l’ultimo avamposto gallo-romano in un contesto ormai germanizzato. In Italia invece nel 476 generale Odoacre depose il giovane Romolo Augusto e restituì le insegne imperiali, dando vita a un dominio personale che non fu però riconosciuto dall'imperatore d'Oriente Zenone. Zenone affidò invece l'amministrazione della prefettura dell’Italia a Teodorico, che nel 488 aveva guidato gli ostrogoti al saccheggio di Costantinopoli. Sconfitto Odoacre nel 493, Teodorico diede di vita un regno che avrebbe governato la penisola fino al 553. Romani e barbari -> A lungo gli storici hanno ritenuto che la fine dell'impero romano in Occidente fosse stata dovuta alle invasioni barbariche e dalle distruzioni da esse perpetuate. Ma come avevano già compreso alcuni scrittori romani, le migrazioni dei germani non avevano dato luogo a una contrapposizione di civiltà, bensì a un più complesso processo di acculturazione reciproca. Il mondo barbarico era seminomade, rurale, tribale e pagano; quello romano stanziale, urbano, socialmente organizzato e progressivamente cristianizzato. Il contatto tra due culture così diverse produsse inevitabilmente conflitti e violenze ma anche integrazioni e convivenze. Sia il mondo romano sia quello barbarico erano molto eterogenei al proprio interno: molte province dell'impero pur essendo romanizzate avevano mantenuto forti identità locali; i popoli barbarici a loro volta erano costituiti da tribù di identità etniche fluide. L'irruzione e lo stanziamento delle tribù germaniche all'interno dei confini dell'impero romano occidentale non lo sconvolse all'improvviso, ma si diluì nel tempo, dalle prime incursioni del II secolo alle ultime migrazioni del VI secolo. I nuovi venuti non erano numerosi a fronte delle popolazioni residenti e dunque il loro impatto fu graduale, le violenze e le distruzioni furono numerose, ma prevalsero gli elementi di integrazione, diede un contributo fondamentale anche il processo di conversione al cristianesimo da parte delle popolazioni barbariche. L’afflusso di beni romani accentuò le stratificazioni sociali ed economiche all'interno delle tribù e acuì la differenza di rango tra i vari capi. Il regolare aumento dei guerrieri germanici nell'esercito romano favorì la creazione di forti nuclei di potere all'interno delle genti barbariche, interlocutori privilegiati di Roma. Nel complesso il processo di acculturazione vide prevalere i modelli romani, nonostante che le popolazioni latine fossero quasi sempre escluse dal potere militare e politico nei regni post-imperiali. Ciò spiega perché i germani contrastarono spesso l'integrazione con i romani, scegliendo talora di non mescolarsi (come fecero vandali e ostrogoti) e resistettero all’assimilazione totale. 4. L’Occidente post imperiale Regni romano-barbarici-> Lo stanziamento dei barbari entro i confini dell'impero d'Occidente promosse la formazione di una serie di regni nel corso del V secolo. Per i romani si trattò di elaborare nuove forme di convivenza con i barbari sotto l’autorità dei loro sovrani; non a caso i regni vengono chiamati romano-barbarici proprio a 5 sottolineare la natura mista sul piano etnico e istituzionale. La società romana mantenne forme di coesione nonostante le accentuazioni di fenomeni di crisi. Al crescente abbandono delle città corrispose la sempre maggiore importanza del mondo rurale, i latifondi rimasero saldamente in mano all’aristocrazia senatoria che mantenne autorità e prestigio, esercitando la propria influenza su schiere sempre più ampie di clienti, contadini, coloni e schiavi. La conversione al cristianesimo dell'aristocrazia romana si accentuò anche per effetto della diffusa sensazione di angosciosa fine di un’epoca. Nel progressivo venir meno delle strutture imperiali, furono infatti le istituzioni ecclesiastiche a garantire l’inquadramento delle popolazioni latine e la continuità con il passato. Nelle campagne, i monasteri si offrirono come nucleo importante di coesione sociale e culturale. Nelle città abbandonate dai funzionari imperiali, i vescovi si fecero carico dell'assistenza degli abitanti, svolgendo compiti amministrativi e giudiziari, provvedendo alla difesa e al rifornimento alimentare. I barbari dovettero misurarsi con questa realtà, essi furono ovunque una netta minoranza rispetto alle popolazioni di origine romana. Il loro stanziamento si concentrò in territori relativamente ristretti, intorno ai centri politici e ai luoghi di difesa strategica, in molte aree rurali ma anche urbane, l'insediamento fu invece del tutto assente. Il possesso di terre produsse anche una differenziazione sociale per esempio tra i semplici guerrieri e i capi militari dotati di proprietà più estese. I re erano innanzitutto capi militari eletti dagli uomini armati riuniti in assemblea. Nel corso del tempo la loro funzione dovette tramutarsi dalla semplice abilità di comandare sugli uomini alla più complessa capacità di governare un territorio. I loro poteri erano ampi in linea di principio, ma difatti, crollata con l’impero anche ogni capacità di imporre le tasse, le risorse di cui potevano disporre provenivano soprattutto dal fisco regio. Nell’impero romano con il termine fiscus si intendeva il patrimonio dell’imperatore (il demanio) ossia i patrimoni pubblici distinti dalle sue proprietà private. Nei regni romano-barbarici e poi nell’impero carolingio la ricchezza pubblica fu costituita dal patrimonio fiscale, cioè dalle proprietà del re senza distinzione tra pubblico e privato. Il termine fisco venne ad indicare le aziende agrarie di proprietà del re, amministrate da appositi ufficiali, detti gastaldi nel regno longobardo o conti in quello franco. L’amministrazione centrale rimane in mano a poche persone, di solito romane, le uniche ancora alfabetizzate. Nel territorio l’apparato di rappresentanti del re (gastaldi, conti) rimase sempre rudimentale. Mentre i romani continuavano a vivere seguendo le regole del diritto romano, i barbari conservarono le loro consuetudini giuridiche, che privilegiavano la personalità del diritto ed erano prive di diritto pubblico. Solo quando i regni si consolidarono si pensò di mettere per iscritto quelle che erano delle consuetudini tramandate oralmente dagli anziani. Queste compilazioni, redatte in latino, erano il segno del processo di acculturazione in atto nelle popolazioni barbare. Le leggi barbariche subirono l’influenza del diritto romano e di quello canonico e con il tempo assunsero una validità territoriale, estesa a tutti i sudditi del regno. Le raccolte normative si rivolsero inizialmente ai diversi gruppi etnici, secondo il principio della personalità del diritto. Il re visigoto Recesvindo fu invece il primo sovrano a disporre nel 654 una legislazione valida per tutti. Là dove l'integrazione tra le due componenti fu più accentuata i regni si rivelarono più stabili. Importanti a riguardo furono i tempi di conversione al cattolicesimo e il rimodellarsi delle istituzioni imperiali in funzione della convivenza. Vandali-> L'assetto più fragile fu quello del regno dei vandali nell'Africa del nord; essi attuarono un duro dominio militare, un pesante sfruttamento economico e una rigida intolleranza religiosa che non portarono all’appoggio delle popolazioni romane. I vandali rifiutarono il sistema dell'hospitalitas e confiscarono le terre dei grandi proprietari latini, favorirono la chiesa ariana dandogli i beni e le proprietà dei vescovi cattolici. Essi furono però attenti a mantenere alcuni aspetti dello stile di vita romano e a conservare una forma di legittimazione imperiale: ad esempio re Genserico diede in moglie al figlio la figlia dell'imperatore d'Occidente e fece coniare monete che riportavano il nome dell'imperatore. Ma mancava la volontà di stabilire con le popolazioni locali un rapporto pacifico e di integrazione culturale. La conflittualità permanente all'interno nel regno offrì all'imperatore Giustiniano il pretesto per intervenire nel 533, in quanto nel suo disegno voleva ripristinare l'integrità territoriale dell'impero. Con una rapida campagna militare i bizantini riconquistarono nel 534 l'Africa e le isole mediterranee, ponendo fine al regno e disperdendo i vandali che divennero schiavi o furono incorporati nell'esercito dell'impero romano d'Oriente. Ostrogoti-> Nel regno ostrogoto in Italia i romani conservarono le proprie prerogative di fronte alla minoranza barbarica, re Teodorico attuò inizialmente una politica di convivenza, con un governo rispettoso delle istituzioni romane e dei cristiani di fede nicena. La soluzione fu quella di tenere separate le popolazioni, ciascuna con le proprie leggi, lingua e religione. L’aristocrazia sanatoria fu influente presso la corte di Teodorico dove tra gli alti funzionari ci furono gli intellettuali maggiori della tarda antichità come Boezio, Cassiodoro e Simmaco. L'amministrazione civile fu gestita dalla popolazione Latina, mentre il comando militare delle guarnigioni fu preso dai Goti. Teodorico, con Ravenna la capitale, promosse anche l'edilizia pubblica e il mantenimento delle vie di comunicazione e diede impulso alle bonifiche agrarie e allo sviluppo dell'artigianato. La convivenza però fu una coesistenza sul medesimo territorio di due corpi distinti, senza sforzi significativi di assimilazione reciproca. L'unione si rivelò fragile quando Bisanzio lanciò una politica di unità religiosa perseguitando gli ariani in Oriente e minacciando gli stessi Goti. Teodorico 6 rispose con una dura repressione antiromana e antinicena che portò alla morte degli stessi Boezio e Simmaco e alla carcerazione di Papa Giovanni I nel 526. Le lotte per la successione al trono si intrecciarono alla lunga guerra con l'esercito bizantino che pose fine al regno nel 553. Visigoti-> Il regno dei visigoti durò a lungo nel tempo fino all’avanzata degli arabi nel 711-716, a testimonianza della solidità della loro esperienza di convivenza con le popolazioni romane. L'integrazione fu progressiva muovendo dal hospitalitas e dall’iniziale distinzione di ruoli, militari per i goti e civili per i latini. Superata la fase delle guerre che consolidarono il regno nella penisola iberica difendendolo anche dall’avanzata bizantina nel 553-554 (nel V secolo il dominio è giunto a estendersi tra la Spagna e la Gallia), re Leovigildo creò strutture di governo ispirate al modello romano, rinnovò l'apparato legislativo e spense gli ultimi focolai di ribellione. Il successore Recaredo decise di convertirsi al cattolicesimo, vincendo le resistenze del clero ariano e dell’aristocrazia visigota, per conferire all’autorità regia una base più ampia e coinvolgere i vescovi niceni attraverso ampie concessioni di competenze civili e giurisdizionali. La cooperazione tra le varie componenti del regno si espresse nei concili generali, aperti dal 633 alla partecipazione dell’aristocrazia laica per occuparsi non solo delle questioni di fede, ma anche delle grandi scelte politiche e amministrative. La fusione etnica, favorita anche dai matrimoni misti, fu suggellata al tempo di re Recesvindo dalla ripubblicazione di un corpo di leggi valido per entrambe le popolazioni (Liber iudiciorum). Più in generale tra il VI e il VII secolo si assistette a una notevole fioritura culturale di cui fu massimo esponente il vescovo di Siviglia Isidoro, autore di una monumentale enciclopedia dello scibile umano le Etimologie, che avrebbe influenzato a lungo la cultura medievale. Franchi-> Una piena integrazione fu quella realizzata nel regno dei franchi; più che una popolazione etnicamente definita essi costituivano un insieme eterogeneo di tribù sparse, rispetto alle altre popolazioni i franchi si stabilizzarono più precocemente scegliendo di fondersi con le popolazioni gallo-romane e per lungo tempo vissero sottoposti ai romani. Fu Clodoveo re dal 481 al 511 che con il pretesto di essere il discendente del leggendario Meroveo (da cui il nome della stripe Merovingi) a superare il frazionamento tribale e ad affermare la sua autorità sugli altri capi militari, ponendo le basi per la costruzione del regno ed estendendolo con nuovi territori. Nel 486 egli sconfisse l'ultimo nucleo di resistenza gallo-romana, il regno di Siagrio, espandendo i domini e innestò il suo potere sulle precedenti strutture amministrative romane, che erano ancora sostenute dall’aristocrazia locale, da cui prese gran parte del patrimonio fiscale. Clodoveo arginò poi la pressione dei turingi a est e respinse gli alamanni sulla riva destra del Reno nel 496. Infine, nel 507 a Vouillè sconfisse i visigoti occupando tutta l’Aquitania, grazie anche all’appoggio della popolazione locale e dei vescovi e li costringe a spostarsi in Spagna. Nel 496 si fece battezzare dal vescovo di Reims, Remigio, presentandosi così alla popolazione gallo-romana come protettore delle chiese. La conversione diretta dal politeismo al cristianesimo niceno agevolò il rapporto con il clero e le popolazioni di fede nicena, che riconobbero l’autorità del re legittimandone l’azione politica. Questo rapporto fu rafforzato dalla convocazione dal 511 dei concili del regno, nei quali i vescovi vedevano consolidato la propria posizione di capi delle diocesi e il re poteva esercitare il diretto controllo su di essi. Clodoveo promosse inoltre la fondazione di nuovi monasteri il culto di San Martino, un gallo-romano che divenne il patrono dei franchi. Nel 508 ricevette dall'imperatore bizantino il titolo di patricius e nel 510 fece redigere il Pactus legis salicae che fissava per iscritto le norme di convivenza della sua popolazione. Alla morte di Clodoveo nel 511 la concezione patrimoniale del potere portò alla spartizione del regno fra gli eredi; quello dei franchi fu in realtà sempre un insieme di regni tra loro conflittuali, benché non fosse venuta mai meno l'idea di un organismo politico comune, ogni re si intitolava re dei franchi. Né la frammentazione impedì ulteriori espansioni tra il 531 e il 536: l'annessione della Provenza, la sottomissione dei burgundi, l’assoggettamento dei turingi e degli alamanni tra il Reno e l’Elba. Nella grande potenza territoriale che viene così formandosi si distinguevano alcune regioni: l’Austrasia che resta sempre la regione più fortemente germanizzata; la Neustria dove più profonda era stata la compenetrazione tra la civiltà latina e germanica; la Burgundia che conservò tenacemente la sua individualità politica e culturale e l’Aquitania che non costituì mai un regno a sé, dove assai scarsa era la presenza dei franchi e più radicate le tradizioni gallo-romane. I regni riuscirono a superare i conflitti e a trovare una certa unità sotto i re Clotario II e Dagoberto, essi dovettero però concedere ampie prerogative di governo locale all’aristocrazia. Questa fondeva ormai l’elemento germanico con quello romano, non solo si celebravano sempre più frequentemente matrimoni misti, ma vi era convergenza tra gli stili di vita. L’aristocrazia gallo-romana avviava i propri figli alla carriera militare e quella germanica puntava alle carriere ecclesiastiche, constatando il prestigio sociale e il peso politico dei vescovi. Dalle famiglie aristocratiche locali erano reclutati anche gli ufficiali pubblici: i conti che perlopiù risiedevano nelle città con compiti giudiziari militari e i duchi (termine di origine latina che fu utilizzato nei regni romano-barbarici per indicare i capi militari a cui il re affidava responsabilità di comando e poi più in generale i capi dotati di potere militare e civile, delle circoscrizioni territoriali in cui vengono suddivisi regni) a capo di più ampie circoscrizioni territoriali. Approfittando della debolezza dei reni il corso del VII secolo l'amministrazione dei vari regni può sempre più controllata dai maestri 7 dalla concessione di terreni trasmissibili in eredità, i soldati contadini non gravarono più per il loro mantenimento sulle finanze pubbliche. Nel 678 gli arabi assediano Costantinopoli, nel 681 i bulgari crearono un regno nei Balcani e negli anni successivi Bisanzio perse gli ultimi avamposti nell'Africa settentrionale aprendo la via alla conquista araba della Spagna. Difronte a tali pressioni esterne solo il cristianesimo restava a baluardo dell’identità collettiva dell'impero. Iconoclastia-> Nel 726 l'imperatore Leone III proibì la venerazione delle immagini sacre, aderendo al movimento che ne considerava idolatrico il culto e ne predicava la distruzione, gli iconoclasti negavano che il divino fosse rappresentabile, anche per l'influenza dell’ebraismo e dell’islam che avversavano il culto delle immagini considerandolo un retaggio dell'idolatria pagana. Gli iconoduli, cioè adoratori dell’immagine, ritenevano invece che l'incarnazione di Cristo rendesse legittimi la sua rappresentazione e il culto della sua immagine. Tra gli obiettivi c’era quello di indebolire il potere dei monasteri, che anche grazie a tale culto avevano influenza sulla popolazione e di confiscare le terre per redistribuirle ai soldati. La mancata adesione delle regioni bizantine dell’Italia centro- settentrionale segno però l'allontanamento della Chiesa di Roma da quella orientale. La crisi politica si chiuse con la riammissione del culto delle immagini nell’843. Slavi e bulgari-> Provenienti dalle pianure a nord dei Carpazi percorsi degli unni, gli slavi si erano insediati sin dal VI secolo nei Balcani in piccole comunità di villaggio. Gli slavi furono guidati militarmente dalle etnie turche degli avari e dei bulgari: con i primi assediarono Costantinopoli nel 626, inquadrati dai secondi diedero vita nel 681 a un regno nel basso Danubio che nel corso dell’VIII secolo si estese alla Pannonia e riportò diversi successi sull’esercito bizantino. Costantinopoli favorì allora l'opera di evangelizzazione degli slavi per assimilarli alla civiltà bizantina; il re bulgaro Boris si convertì nel 864 ma decisiva si rivelò la missione dei monaci Cirillo e Metodio che, per favorire la diffusione del cristianesimo, tradussero la Bibbia in slavo elaborando un nuovo alfabeto derivato dal greco detto poi cirillico. Gli slavi occidentali (croati, sloveni, boemi, moravi, slovacchi e polacchi) furono invece cristianizzati da missionari legati ai franchi e alla chiesa di Roma. I bulgari, i serbi e i macedoni come poi gli slavi orientali (ucraini e russi) rimasero legati alla chiesa di Costantinopoli. Bisanzio-> Approfittando della crisi dell'impero islamico, Bisanzio riprese l'iniziativa nella seconda metà del IX secolo. I discendenti di Basilio I riuscirono ad affermare la successione ereditaria al trono, in discontinuità con la tradizione elettiva della carica imperatore. Ciò permise alla dinastia dei macedoni di guidare l'impero a una rinnovata fase di sviluppo politico, economico e militare. In Asia minore la riconquista si spinse fino alla Siria, alla Mesopotamia e all’Armenia. Il recupero delle isole di Creta e di Cipro segnò la fine dell’egemonia navale araba e riavviarsi delle relazioni commerciali con l'occidente. Espugnata nell’871 dall’imperatore d'Occidente Ludovico II, Bari torna sotto il controllo dei bizantini nel 876 e posta al centro di un thema e poi, dal 975, di un nuovo funzionario, il catapano: alto ufficiale bizantino a cui era affidato il governo di provincia comprendenti più temi. Dal X secolo si indica con questo titolo il governatore a Bari, con poteri militari e civili straordinari inviato da Costantinopoli per riorganizzare i domini imperiali nell’Italia meridionale. Basilio II riconquistò l'intera penisola balcanica, annientando il regno dei bulgari. Alla sua morte l'impero era tornato ad essere la forza politica più importante del bacino del Mediterraneo orientale e nell’Europa balcanica. L'esercito impegnato nelle guerre di espansione era tornato a essere composto da soldati stipendiati, la piccola proprietà fu comunque tutelata e i villaggi rimasero le unità fiscali di base. Il sistema dei temi fu esteso alle regioni riconquistate all'impero, ma l'amministrazione civile fu nuovamente separata da quella militare e la burocrazia ritrovò un più efficiente controllo centrale. Tutto ciò fu reso possibile dalla ripresa economica, che favorì la rifioritura delle città, qui venne formandosi una nuova aristocrazia che possedeva terre ma soprattutto uffici pubblici. Il ruolo dello Stato era infatti determinante nell'economia bizantina. I mercanti erano sottoposti invece a forti vincoli da parte dello Stato che controllava produzione, distribuzione e consumo dei beni, l'investimento nel commercio può sempre marginale nella società bizantina, la ricchezza continua a basarsi sulla terra. I vincoli posti al commercio si trasformarono in fattori di debolezza quando cominciarono ad operare in Oriente i mercanti occidentali: la concessione nel 1082 di privilegi commerciali ai veneziani segnò l'inizio del declino economico di Bisanzio. Ai segnali di crisi economica si accompagnarono poi quelli militari: la sconfitta a Mantzikert in Armenia nel 1071 avvia l’erosione territoriale dell’impero da parte dei turchi selgiuchidi. Nel 1054 si era prodotto anche lo scisma tra la chiesa di Costantinopoli e quella di Roma. Pur avviandosi al declino, la civiltà bizantina mantiene vive le proprie caratteristiche: le tradizioni imperiali, il predominio dell’elemento greco e la connotazione ortodossa del cristianesimo. 6. Islam Il vasto territorio della penisola arabica era sempre rimasto ai margini dell'impero bizantino e persiano. L’Arabia era abitata da tribù di beduini che praticavano l'allevamento e il commercio lungo le grandi piste carovaniere che collegavano le oasi e che assicuravano la circolazione delle merci dalle fertili regioni meridionali verso i mercati dell’Egitto e della Siria e della Mesopotamia. L'unico elemento di coesione era costituito dal pellegrinaggio al 10 santuario della Ka’ba in occasione della fiera annuale che si teneva nella città di Mecca. A garantire il culto a tutte le fedi e organizzare la fiera era il potente clan dei Qurayshiti. Nato a Mecca intorno al 570 da un ramo del clan dominante, Maometto crebbe nel mondo delle carovane ed entrò così in contatto con le religioni più diffuse, dall’animismo politeista al monoteismo ebraico e cristiano. Ritiratosi in meditazione spirituale ebbe nel 610 la rivelazione fondamentale: l'angelo Gabriele gli ordinò di diffondere la parola di Dio (Corano). La predicazione di un monoteismo rigoroso, senza compromessi, che richiedeva la sottomissione assoluta (Islam) del fedele alla volontà di Dio, lo pose in contrasto con le grandi famiglie meccane, che fondavano il proprio potere sul rispetto delle varie religioni, base della fortuna economica della città. Il profeta fu costretto a riparare con i seguaci nell'oasi di Medina nel 622 la data della cosiddetta migrazione da cui inizia il calendario islamico. Sin dall'inizio l'islam propose un modello politico in cui la sfera spirituale era indistinguibile da quella temporale; Maometto guida personalmente le razzie contro i vari clan, costringendoli a sottomettersi e dopo anni di conflitti anche Mecca cadde nel 630 e fu eletto a luogo sacro dell'islam. Da allora il mondo arabo si trova a godere di un’eccezionale compattezza religiosa e politica da essere identificato con il mondo musulmano. Alla morte di Maometto nel 632 il problema della successione alla guida della vita pubblica fu risolto con la creazione della figura del califfo (in arabo il termine significava vicario e disegnava il capo supremo della comunità islamica), incaricato di tenere unita la comunità e di far rispettare le legge divina (sharia). I primi quattro califfi furono tutti i parenti di Maometto e guidarono anche sistematiche campagne di guerra contro i più ricchi e fertili territori bizantini e persiani che confinavano con le regioni desertiche dell’Arabia. Nel giro di pochi decenni caddero in mano degli arabi l’Egitto, la Palestina, la Siria, la Mesopotamia, la Persia. on le lezioni di Alì nel 656 esplose il conflitto tra quanti (gli sciiti) pretendevano che il califfo dovesse appartenere alla famiglia di Maometto e quanti (i kharigiti) sostenevano il principio che questo potesse essere eletto tra qualsiasi fedele. Nel 661 quest’ultimi ebbero la meglio sui seguaci di Alì che fu ucciso. Lo scontro aprì anche una frattura dottrinale fra musulmani sunniti e musulmani sciiti che perdura tutt’oggi. Gli sciiti dall'arabo “il partito di ali” richiamavano l'insegnamento del quarto califfo, discepolo e genero di Maometto e sostenevano che il compito di guidare la comunità islamica fosse un diritto esclusivo della famiglia del profeta e dei suoi discendenti, essi sono tutt’ora assertori che la funzione di capo religioso (imam) della comunità sia inscindibile dall’autorità politica. Largamente maggioritari sono invece da sempre i sunniti, i musulmani cioè che seguono la tradizione del profeta cioè la sunna, essi mantengono distinte autorità religiosa e autorità civile. Dinastia omayyade-> Il nuovo califfo Mu’awiya, del clan degli Omayyadi, introdusse un modello imperiale sugli esempi bizantini e persiani, con una capitale amministrativa posta a Damasco a capo di una salda rete di funzionari provinciali e affermò il principio ereditario del califfato. Sotto la dinastia omayyade l'impero raggiunse la sua massima estensione. La conquista di Cipro, Creta e Rodi diede alla flotta araba il predominio sul mare, che sancì la definitiva rottura dell'unità politica del Mediterraneo. L'espansione si arrestò solo di fronte alla reazione dei franchi, che si opposero agli arabi a Poitiers nel 732 e dei bizantini, che sconfissero l'esercito islamico in Anatolia nel 740. La rapidità e il successo dell’espansione furono dovuti all’organizzazione dell’esercito, alla debolezza degli imperi confinanti e ai conflitti etnici e religiosi che laceravano le regioni periferiche bizantine. Inizialmente gli arabi costituirono un’élite militare a cui era impedito avere delle terre e che si mantenne separata dalle popolazioni locali, che poterono conservare tradizioni culti e sistemi amministrativi: ebrei e cristiani potevano vivere in una condizione di protetti pagando un tributo che li poneva al riparo dalle persecuzioni. Quando l'impero finì con l’inquadrare una varietà di popolazioni si moltiplicarono le conversioni all'islam, che consentivano di entrare nell’élite dominante e di godere dell'esenzione fiscale. Si avviò così un processo di integrazione sancito dal califfo Omar II con l'abolizione dello status separato dagli arabi e la creazione di un sistema politico fondato sull’uguaglianza di tutti i musulmani. La riforma di Omar II cercò di fronteggiare le tensioni crescenti tra le diverse componenti etniche e religiose. Dinastia abbaside-> Abul Abbas, rovescio gli omayyadi nel 750, dando il via alla dinastia califfale degli Abbasidi. Muovendo la capitale da Damasco a Baghdad il baricentro dell’impero si spostò dal Mediterraneo verso l'Asia. Il potere centrale imitò il modello imperiale persiano, con un apparato burocratico distinto in tre rami: cancelleria, esattoria fiscale e amministrazioni militari e posto al sotto il controllo del visir, potentissimo funzionario di corte. Il territorio fu diviso in province rette da governatori locali, gli emiri (il titolo designò inizialmente i comandanti militari e i governatori provinciali e fu poi adottato come titolo generico per indicare i sovrani locali dotati di crescente autonomia rispetto al califfo). Sul piano religioso l'interpretazione sunnita della fede islamica si impose definitivamente sulle altre. Lo spostamento verso Oriente dell’impero frenò ulteriori espansioni in Occidente e lasciò spazio alla ripresa navale bizantina nel Mediterraneo. Nell'età degli abbasidi l'impero conobbe un considerevole sviluppo economico; nell’agricoltura il miglioramento delle tecniche favorì la bonifica di vaste aree e l'introduzione di nuove culture, lo sviluppo della città creò una domanda crescente dei prodotti di consumo e diede impulso alla produzione artigianale. La circolazione di denaro, in monete d'oro e d'argento fu cospicuo e stimolò il perfezionamento delle tecniche di credito e di cambio. L'enorme estensione raggiunta dall'impero, che spaziava 11 dall’oceano Atlantico e quello Indiano, acuì già nella seconda metà del IX secolo le spinte secessioniste delle regioni periferiche. L'unità politica dell'islam cominciò a disgregarsi quando gli emirati cominciarono a promuovere politiche autonome. Si affermarono così dinastie locali che si sottrassero progressivamente al potere centrale degli abbasidi: i Rustamidi nel Magreb, gli Idrisidi in Marocco, gli Aghalabiti in Tunisia, i Tulunidi in Egitto e nell’Asia centrale i Tahiridi, i Saffaridi e i Samanidi. Un ramo degli omayyadi diede vita a un emirato in Spagna e si fregiano del titolo di califfo anche i Fatimidi che regnarono in Egitto e poi anche in Siria dal 969 al 1171. A Baghdad nel 945 la dinastia persiana dei Buwayhidi ebbe la delega del governo dagli Abbasidi che conservarono solo nominalmente il titolo califfale. Ai persiani si sostituì nel 1058 la dinastia turca dei selgiuchidi che assunse la guida dell’Islam, conducendolo nel 1071 alla conquista dell’Anatolia bizantina. Eccezionali furono le esperienze dell’Islam europeo, nell’«al-Andalus» iberico governato dagli omayyadi e nella Sicilia conquistata dagli emiri aghlabiti tra 827 del 902. In Spagna una straordinaria miscela etnica e religiosa fece del califfato e della capitale Cordova un luogo di convivenza civile di eccellenza intellettuale e artistica, che filtrò in Occidente l'antica cultura ellenistica grazie a filosofi, medici e matematici come Avicenna e Averroè. Tra il IX e il X secolo Palermo e la Sicilia divennero una delle aree più fiorenti dal punto di vista economico e culturale. La civiltà islamica si pose all’avanguardia sul piano culturale come mostra la raccolta di novelle Le Mille e una notte intorno alla figura del califfo abbaside Harun al Rashid. La fede musulmana -> Islam, in senso letterale, significa sottomissione. I musulmani ritengono che l'Islam discende dalle tradizioni religiose del patriarca biblico Abramo, considerato da Maometto come il suo più autorevole predecessore: e per questo è l'Islam è considerato una religione abramitica, al pari dell’ebraismo del cristianesimo. I musulmani ritengono che Maometto abbia ricevuto il Corano da Dio attraverso l'arcangelo Gabriele, che glielo avrebbe dettato in lingua araba: è per questo che gli atti liturgici sono recitati in arabo in tutto il mondo islamico. Momento è ritenuto l'ultimo di una serie di profeti che inizia ad Abramo e che, tra gli altri, comprende anche Mosè, inviato da Dio agli ebrei e lo stesso Gesù di Nazareth, che non sarebbe il figlio di Dio ma un profeta. Essendo però il Corano l'ultima e definitiva versione della rivelazione, i testi sacri precedenti sono considerati dai musulmani superati, se non falsificati dagli ebrei e dai cristiani e dunque inaccettabili. Oltre il Corano i musulmani fanno riferimento anche alla Sunna cioè consuetudine, basata sulle tradizioni che raccoglie gli episodi della vita di Maometto, le sue ho parole e i suoi atti. Fanno parte delle credenze fondamentali dell'islam anche la fede negli angeli, nella resurrezione finale, nel giudizio universale nella vita futura, in paradiso per i credenti e all'inferno per gli altri. Compito essenziale del musulmano è quello di adempiere alla volontà divina fissata nella sharia. L'islam non contempla né dogmi né sacramenti né clero e prevede che per manifestare la propria fede il credente debba adempire a soli 5 precetti, noti anche come i pilastri dell'islam: la professione di fede, che proclama «non vi è altro Dio al di fuori di Allah e Maometto è il suo profeta»; la preghiera, da compiersi rivolti alla mecca 5 volte al giorno in orari prestabiliti secondo formule e gesti rituali, dopo essersi purificati mediante abluzioni; il digiuno nel mese di Ramadan, che comporta l'astinenza da cibi, bevande, fumo e rapporti sessuali durante le ore di luce del giorno; l'elemosina legale, che consiste nel versamento di una percentuale di i beni a favore degli indigenti e della comunità; il pellegrinaggio a la Mecca, da effettuarsi almeno una volta nella vita da parte di chi abbia salute e i mezzi per farlo. La maggioranza sunnita dei musulmani non ammette gerarchie clericali dal momento che l'islam non crede che possa esistere alcun intermediario fra Dio e le sue creature. Solo per la minoranza degli sciiti è fondamentale la figura dell'imam, inteso come capo religioso e politico della comunità. 7. Europa carolingia Carlo Magno-> Alla morte del padre Pipino il Breve nel 768 e del fratello Carlomanno nel 771, Carlo poi detto Magno ereditò il regno franco secondo le tradizioni germaniche. Carlo guidò l’espansione militare su larga scala che procurò terra e bottini alle grandi famiglie franche e che nel volgere di un trentennio diede vita a un imponente costruzione politica nell'Occidente europeo. Sospese il ribellismo di regioni come la Borgogna, l’Aquitania e la Provenza dove furono sostituite le dinastie dei conti e fu rinsaldato il legame con il re. Nel 772 fu avviata, oltre il Reno, una lunghissima guerra fino all’804 contro i sassoni ai quali fu imposta con la forza l'evangelizzazione e l'assimilazione ai franchi. Nel 774 fu conclusa la conquista del Regno longobardo, che era stata sostenuta dal papa. Nel 788 fu sottomessa la Baviera e nel 796 distrutto il regno degli avari sul Danubio. Le conquiste di Pamplona, della Navarra e della Catalogna tra il 801 e il 813 portarono alla costruzione della Marca Hispanica a nord del fiume Ebro. Nel Natale dell'anno 800 Carlo Magno fu incoronato imperatore da papa Leone III; egli si presentava come il sovrano cristiano, difensore della Chiesa di Roma, la dignità imperiale costituiva una sorta di omaggio alla persona che aveva unificato e con la forza convertito al cattolicesimo l'Europa. L'impero franco si proponeva infatti quale erede di quello romano e delle sue ambizioni universalistiche, ma mentre l'impero di Roma era incardinato nel baricentro Mediterraneo, quello carolingio spostava verso nord, nel cuore del continente europeo il baricentro politico. Seguendo la tradizione franca il re si spostava costantemente per affermare la sua presenza in tutto il dominio, soggiornando nelle proprietà del fisco regio. Carlo stabilì una sede privilegiata di residenza ad Aquisgrana, dove a imitazione delle capitali della 12 regio fece sì che i vescovi ampliassero i propri poteri dalla cura pastorale fino ad assumere funzioni civili e di supplenza, per esempio in ambito giudiziario. Tra il VII e l’VIII secolo il potere carolingio riuscì a ripristinare un’effettiva bipartizione di funzioni tra le competenze degli ufficiali pubblici e quelli dei prelati. Con la dissoluzione dell'impero carolingio il vescovo acquisì la pienezza dei poteri pubblici e questo rese inefficace la presenza dei conti nelle città. Sotto la pressione della seconda onda di scorrerie e invasioni, in molte aree i vescovi assunsero responsabilità pubbliche in città provvedendo direttamente alla difesa delle popolazioni. A riconoscere l'esercizio di tali poteri di fatto intervenne poi, dal decimo secolo, la concessione formale da parte dell’imperatore del discrictus, cioè del potere di costringere e obbligare, tale giurisdizione riguarda in genere l'area urbana e la fascia territoriale adiacente alle mura. La fase matura del regime politico episcopale nelle città si sviluppò nell’XI secolo, quando il vescovo agiva ormai come il primo rappresentante dei suoi cittadini. Sin dalle origini il vescovo fu espressione dei gruppi dirigenti locali, delle maggiori famiglie cittadine; figura autorevole intorno alla quale si congregavano spontaneamente i cittadini alla ricerca di guida, tutela e conforto. Nell'esercizio delle sue funzioni il vescovo si circonda di collaboratori, vassalli e concittadini che nelle curie episcopali elaborarono competenze nel governo della città. La sua attività giurisdizionale e amministrativa fu sostenuta dal gruppo professionale dei giudici e dei notai. Soprattutto nelle città italiane, essi sia affiancarono ai proprietari fondiari, ai mercanti e gli artigiani nel dare corpo a una società articolata, nella quale già dal X secolo, maturarono le prime espressioni di autonoma iniziativa politica da parte delle comunità dei cives al di fuori della rappresentanza vescovile. Crisi dell’impero carolingio-> Nella seconda metà del IX secolo la divisione dinastica dell'impero carolingio, combinandosi con la sempre maggiore autonomia delle aristocrazie locali portò alla deposizione di Carlo il Calvo nell’887 e questo portò alla distruzione dell'impero in più regni e all’attribuzione della dignità imperiale al titolare del regno italico. Sia gli imperatori sai i re dovettero la loro posizione all’appoggio dei gruppi aristocratici locali, il loro potere fu però quasi sempre precario perché all'interno dei regni si formarono grandi dominazioni politiche quasi autonome, che si usano indicare con il termine di principati. Avvenne infatti che gli ufficiali pubblici (conti e marchesi) inizialmente di nomina imperiale riuscirono a rendere ereditaria la propria funzione. I conti e i marchesi si trasformano in grandi signorie e dinastie locali: l'origine della loro autorità deriva dall'ordinamento imperiale, ma il loro potere era fondato su nuove basi, ampiamente svincolate dal controllo di qualsiasi autorità pubblica. Dalla fine del IX secolo i conti e i marchesi esercitano le loro funzioni sul territorio ormai differenti dalle circoscrizioni pubbliche, perché di minore e diversa estensione, e che gli storici preferiscono chiamare contee e marchesati. All'interno dei principati l'autorità dei titolari incontrò un’opposizione crescente da parte degli enti ecclesiastici e delle famiglie aristocratiche. In particolare, vescovi e monasteri ottennero dai sovrani delle concessioni di immunità che esoneravano le loro proprietà dell'autorità del controllo degli ufficiali pubblici; anche i grandi proprietari laici ottennero progressivamente esenzioni simili. Il regno dei franchi occidentali, distaccatosi ormai dall’888 da ogni effettiva dipendenza dal potere imperiale subì un accentuato frazionamento causato dall'emergere di potenti principati e solo la fine del X secolo si affermò la potenza dei conti di Parigi che con Ugo Capeto ottennero il titolo regio nel 987. Il re non riesci mai a esercitare una vera e propria autorità su tutte le regioni da cui pure derivava il suo titolo, di fatto il suo dominio si limitò ai territori che riusciva a controllare direttamente e a quelli che costituivano il suo patrimonio personale cioè la regione compresa fra la Senna e la Loira, intorno a Parigi e a Orleans. La dipendenza dei grandi signori dal re fu poco più che formale, soprattutto nel sud della Francia, dove accanto ai vari ducati e contee ampiamente autonomi, si formarono anche due regni di carattere regionale: quello di Borgogna è quello di Provenza. Regno italico-> Più stabile fu la situazione che si determinò nel regno italico, territorialmente continuarono a rimanere fuori i domini bizantini, arabi e longobardi nel meridione. A contendersi la corona furono soprattutto gli esponenti di quattro grandi famiglie che avevano le radici in principati territoriali: i duchi e marchesi di Spoleto, di Toscana, di Ivrea e del Friuli. Schierati in fronti contrapposti e si coinvolsero nei loro conflitti anche i re di Borgogna e di Provenza e i duchi di Carinzia. Dopo alcuni decenni di regno di Berengario di Friuli fu poi la volta di Rodolfo di Borgogna, di Ugo di Provenza e di Berengario II di Ivrea. Al titolo di re d'Italia era connessa la dignità imperiale, con la consuetudine carolingia dell’incoronazione da parte del pontefice. Per questo quando il re di Germania Ottone I fu sollecitato dal papato e intervenire contro Berengario II ricevete oltre a quella di re d'Italia nel 961, anche la corona imperiale del 962. Da quel momento si saldò il nesso tra le corone e i re di Germania cominciarono a scendere periodicamente in Italia per poter cingere le altre corone. Germania e gli Ottoni-> Nel regno dei franchi orientali, le elezioni di Arnolfo di Carinzia nipote di Ludovico il Germanico, ritardarono di qualche tempo la crisi dell'autorità regia, che anche in Germania dovette fronteggiare la presenza di ampi ducati regionali di origine o di derivazione carolingia. Il re, eletto dai grandi del regno, appartiene sempre a queste stirpi ducali ed ebbe soprattutto ruolo simbolico di giudice supremo di guida militare. Enrico di Sassonia acquistò prestigio proprio organizzando l'esercito che si oppose vittoriosamente agli ungari nel 933. Alla sua 15 morte il figlio Ottone I riuscì a sua volta a essere eletto re ad Aquisgrana con un solenne rituale di tradizione carolingia. Nel suo lungo regno dal 936 al 973 Ottone rafforzò in modo decisivo l’autorità regia. Privo di una rete di ufficiali, egli integrò nella gestione del potere vescovi e abati dei grandi monasteri, di cui si assicurò la nomina. Respinse le invasioni ungare, vinte definitivamente nel 955 a Lechfeld e avviò l'espansione verso l'Oriente slavo inglobando il ducato di Boemia e creando nuove sedi vescovili come quella di Magdeburgo. L'incoronazione a Roma nel 962 di Ottone I restaurò l’autorità imperiale su nuove basi. Rispetto all'età carolingia, essa era ormai fortemente centrata sull’area tedesca e da allora i re di Germania divennero i naturali candidati alla dignità imperiale. Non potendo contare su un apparato burocratico, gli imperatori della dinastia sassone rinunciarono a emanare leggi e a esercitare la giustizia, puntando a concedere privilegi ai propri interlocutori locali attraverso diplomi, che non sono norme né atti di governo validi per tutti subiti, ma provvedimenti con un destinatario unico. Per assicurarne la durata il diploma era scritto in genere su pergamena e per garantirne l’autenticità era munito di sigilli e di fregi. Con il privilegium del 962 Ottone riconobbe le donazioni carolingie la chiesa, ma stabili che il papa una volta eletto dovesse prestare giuramento all'imperatore. L'attivazione di relazioni diplomatiche matrimoniali con gli imperatori bizantini consentì ad Ottone di accreditare la sua autorità ad Oriente. Fu soprattutto il nipote Ottone III a vagheggiare una renovatio imperi carica di elementi simbolici di tradizione romana ed elaborata dagli intellettuali di corte, come il teologo Gerberto d'Aurillac che fece eleggere papa nel 999. Il suo progetto ideologico universale si scontra con la realtà dei forti poteri locali e alla sua morte l'impero sopravvisse come impero «teutonico». Nuove invasioni-> La perdita di autorevolezza degli ultimi imperatori carolingi fu determinata in parte anche dall’incapacità di garantire la sicurezza del territorio dell'impero dalle incursioni che dal IX secolo furono condotte da popolazioni estranee. A differenza delle grandi migrazioni delle stirpi barbariche, i nuovi aggressori non miravano a insediarsi stabilmente ma a razziare. Le prime manifestarsi furono le incursioni dei saraceni: nome con il quale la cristianità chiamava le popolazioni di varia origine etnica stanziate lungo le coste e le isole del Mediterraneo e accomunate dalla conversione all'islam, il termine indicò in particolare i gruppi di musulmani dediti a una attività di pirateria. Le incursioni via mare erano un'iniziativa di autonomi gruppi di predoni, che utilizzarono per esempio gli emirati italiani di Taranto e Bari come base per attacchi mirati soprattutto verso le grandi abbazie. Il saccheggio più celebre fu quello della Basilicata vaticana a Roma nel 846. I saraceni costruirono anche insediamenti fortificati dai quali muovere per ulteriori razzie, l'avamposto più importante fu Frassineto in Provenza da dove dall'890 circa al 973, compirono incursioni nella regione in Liguria e nel Piemonte occidentale. Solo con la fine del X secolo le scorrerie saracene andarono esaurendosi. Dalla fine del IX secolo cominciarono a compiere periodiche spedizioni di saccheggi in vaste regioni dell’Europa centrale e in Italia, una popolazione di nomadi allevatori e cavalieri provenienti dalle steppe attorno agli urali settentrionali e insediatisi nell'antica pannonia, la regione che dà loro prese il nome di Ungheria. In Italia compirono la prima incursione nell‘899 saccheggiando Pavia nel 924 e si spinsero fino alle ricchezze delle grandi abbazie campane nel 937. Le loro spedizioni furono contrastate solo quando in Occidente cominciò a diffondersi la cavalleria leggera, furono i re di Germania della dinastia sassone a imporre loro delle disastrose sconfitte. Da quel momento gli ungari si stabilizzarono nel proprio territorio, dedicandosi principalmente all'agricoltura e si convertirono al cristianesimo cattolico sotto il re Stefano I. Con la denominazione di nortmann cioè uomini del nord in lingua Franca apparvero sulle coste dell’Europa del nord dalla metà del IX secolo gruppi di pirati proveniente dalla penisola scandinava, capaci di risalire con le navi da pescaggio il corso del fiume e così depredare città e abbazie all'interno. Dalla Norvegia mossero verso la Scozia, l'Irlanda, l’Islanda e la Groenlandia i cosiddetti vichinghi. Dalla Svezia risalirono nei grandi fiumi dell’Europa orientale fino a spingersi verso Bisanzio e cosiddetti vareghi o rus, che diedero poi vita al primo embrione della Russia incentrato su Kiev. Dalla Danimarca si spinsero verso l'Inghilterra e la Francia i Normanni. Nel X secolo le iniziali incursioni si trasformarono in conquiste territoriali, particolarmente rilevante fu la creazione di un ducato nella Francia settentrionale che dà loro prese il nome di Normandia ad opera del capo Rollone, al quale nel 911 il re Carlo il Semplice assegnò il titolo di conte ottenendone in cambio il giuramento di vassallaggio. 9. I poteri locali Sistema curtense-> In età carolingia le grandi proprietà fondiarie organizzarono l'attività agricola intorno ad aziende dette curtes in Italia e villae in Europa del nord caratterizzate da una bipartizione funzionale. Nella riserva padronale o domìnico, il proprietario faceva condurre i lavori direttamente dai propri schiavi che vi risiedevano a totale carico, alloggio e vitto del padrone. Nella parte a conduzione diretta o massarìcio i lavori erano portati avanti da famiglie di coltivatori liberi o servi, cui erano affidati degli appezzamenti compatti a lunghissimo termine. Lo stretto legame tra le due parti è rappresentato dall'obbligo per i contadini del massarìcio di prestare curvees sulle terre del dominico, a integrazione del lavoro degli schiavi. Questo modello di organizzazione economica, detto sistema curtense, prese corpo nell’VIII secolo nelle aziende agrarie regie e abbaziali situate tra la Loira e il Reno e si diffuse in Italia solo dopo la conquista franca. Il sistema curtense perseguì sempre l’obiettivo di autosufficienza, per soddisfare i bisogni 16 immediati, ma poiché non tutte le aziende producevano tutte le merci di cui avevano bisogno si intensificò lo scambio delle eccedenze. Il surplus agricolo fu commercializzato, con gli strumenti di lavoro e gli altri manufatti artigianali, in delle città vicine o negli emporia sul Mare del Nord per gli scambi a lunga distanza. Il sistema curtense fu redditizio e permise notevoli accumulazioni di ricchezze. La progressiva riduzione del dominico a vantaggio del massarìcio che si osserva ovunque tra il IX e l'XI secolo non fu resa necessaria solo dall’aumento della popolazione, ma indicò la volontà di ottimizzare la rendita delle aziende ricavando più ricchezza della gestione indiretta affidata alle famiglie contadine. La frammentazione della proprietà fondiaria favorì l’emersione di una piccola e media proprietà dei contadini indipendenti. Accanto ai coltivatori del massarìcio, che oltre ai lavori stagionali erano tenuti a corrispondere al padrone un canone in natura o in denaro, nei villaggi convivevano proprietari di varia estrazione sociale: piccoli contadini, proprietari e medi proprietari che non coltivavano direttamente le proprie terre e che costituivano l’élite dei villaggi. La crescita di ricchezza dei grandi proprietari avvenne a spese dei contadini indipendenti; dal IX secolo tutti coloro che lavoravano la terra con le proprie mani si ritrovarono sottomessi al potere signorile. Episodi come la rivolta contadina di Stellinga in Sassonia nell’841 furono il sintomo della formazione di un dominio aristocratico sempre più oppressivo. Ordinamento signorile-> Protagonisti della frammentazione dei poteri locali non furono solo le grandi famiglie di ufficiali pubblici, conti e marchesi, ma anche famiglie ed enti ecclesiastici. Alla metà del IX secolo i beni fondiari della Chiesa ammontavano ormai a un terzo circa di tutta la terra disponibile. Nell’età postcarolingia venne così affermandosi un sistema sociale orientato in senso aristocratico, che si fondava sulla ricchezza proveniente dal sistema curtense. La necessità di mantenere uniti e di trasmettere tali patrimoni determinò tra il X e l'XI secolo un importante cambiamento nelle strutture familiari aristocratiche. Ai vasti gruppi costituiti da persone imparentate per via paterna e materna si andò sostituendo una famiglia formata soltanto dei discendenti in linea maschile, di un medesimo antenato che si usa chiamare lignaggio patrilineare. Accanto ai terreni posseduti in piena proprietà (detti allodi) quasi sempre si annoveravano terre concesse in beneficio (o feudo) dal re o da un signore maggiore e poi resi ereditari. Se la famiglia aveva dinastizzato una carica pubblica inglobava nel patrimonio familiare anche territori in origine appartenenti alla circoscrizione amministrativa corrispondente. Intorno alle grandi proprietà laiche ed ecclesiastiche vennero così affermandosi poteri di comando, di giustizia e di esenzione fiscale, che costituirono il fondamento del potere signorile. Due tendenze caratterizzarono questo potere: il carattere territoriale (esteso cioè a tutti i residenti di una certa zona) e la patrimonializzazione delle istituzioni regie che i signori assimilarono nei propri patrimoni privati. La costruzione di fortezze e castelli, che si moltiplicarono tra noi nel X secolo, rafforzò la fisionomia locale del potere, garantendo ai signori un controllo più efficace del territorio e dei suoi abitanti. Tra il X e l'XI secolo la natura dei poteri e dei diritti che il signore esercitava su persone e beni era molto ampia: l'amministrazione della giustizia, l'organizzazione della difesa militare e la riscossione delle tasse. A proventi che erano tipici dei sovrani, di cui i signori si appropriarono: il frodo (in origine si trattava di una tassa di natura pubblica che tutti i liberi possessori di terre erano tenuti a pagare per il mantenimento del re e dei suoi funzionari, consistente in genere in foraggio per i cavalli) e l’albergaria (in origine il termine indicava il diritto dei conti a essere alloggiati con i propri uomini e cavalli in casa e a spese dei contadini e dei monasteri) i signori sommarono altri tributi spesso straordinari e donativi, censi e richieste di varia natura ed entità. Quando il signor esercitava tali diritti nei limiti del suo possesso fondiario e sui suoi lavoratori si usa parlare di “signoria fondiaria”. Il caso più frequente era la signora estesa a tutti i residenti di una determinata area, indipendentemente dalla proprietà delle terre che potevano appartenere al signore stesso, ad altri proprietari o agli stessi contadini: in tal caso si parla di “signoria territoriale” o di “banno”. Vassalli e benefici-> La rete di relazioni di fedeltà personale costituì il vero collante della società occidentale europea tra l'VIII e l'XI secolo. Furono i franchi a perfezionare nel corso dell’VIII secolo uno speciale rapporto di natura personale che vincolava tra loro due individui, prevedendo uno scambio tra servizio militare e beneficio. Il successo politico e militare dei carolingi dipese in larga misura dalla diffusione di tali legami di fedeltà armata. Con il giuramento di fedeltà a un individuo eminente (signore) il vassallo (dal termine celtico latinizzato vassus, servitore) entrava nella clientela di un potente, impegnandosi a prestare per lui un servizio in genere militare, in cambio il signore si impegnava a mantenerlo concedendogli delle fonti di reddito, quasi sempre terre da sfruttare, il bene concesso era chiamato “beneficio”. Questo tipo di rapporti vassallatico-beneficiari si diffusero in tutto il territorio dell'impero carolingio a ogni livello e il moltiplicarsi dei legami richiese una crescente disponibilità di terre, si fece così ricorso al patrimonio ecclesiastico, incamerandolo con l'occupazione o con contratti di cessione a lunghissimo termine. Nell’ordinamento carolingio alla morte dei titolari sia le cariche di ufficiale pubblico sia i benefici dovevano ritornare al re che li assegnava a un'altra persona, nella prassi era però comune che i grandi benefici e gli uffici pubblici fossero riconfermati agli eredi del defunto. Il capitolare emanato nell'877 a Quierzy-sur-Oise dall'imperatore Carlo il Calvo, alla viglia di una campagna militare, sancì che le cariche e i benefici che fossero rimasti vacanti non dovessero essere attribuite ad altri prima del rientro dei figli dell’ufficiale o del vassallo deceduto. La tendenza a 17 benedettina. Fondati dai sovrani delle grandi famiglie aristocratiche, i monasteri divennero presto destinatari di donazioni e lasciti. Proteggendo i monasteri e immettendovi i propri membri, l’aristocrazia ne fece dei luoghi di inquadramento della popolazione e di organizzazione del consenso. Per questo il monachesimo alto medievale fu innanzitutto un'esperienza aristocratica. Lo stile di vita monastico arricchiva le comunità con le biblioteche e gli scriptoria dove si conservavano e si copiavano i manoscritti dell'antichità e con opere artistiche come miniature, vetrate e costruzioni architettoniche. I monasteri furono anche dei centri di organizzazione economica e politica della società rurale. Numerosi monasteri divennero grandi nucleo di organizzazione agricola, promotori di bonifiche e colonizzazioni, gestori di aziende curtensi, centri di produzione e smercio di derrate alimentari e di manufatti artigianali. Intorno ai monasteri maggiori si tenevano mercati e si raccoglievano numerose famiglie di contadini, che trovavano in essi protezione e migliori condizioni di vita. Molte abbazie furono fortificate e difese da un sistema di castelli custoditi da cavalieri legati a esse per via vassallatica. Gli abati finirono spesso con l’esercitare poteri di tipo pienamente signorile. Monopolio ecclesiastico della cultura-> La società occidentale dei secoli VIII e IX fu una società analfabeta, tre furono le cause principali: 1) la scomparsa delle scuole dell'impero tra il V e il VI secolo; 2) la cultura orale e le differenti tradizioni delle popolazioni barbariche accentuarono il mancato ricorso alla scrittura; 3) i nuovi assetti economici e politici non incentivavano la produzione e la conservazione dei documenti scritti. Leggere e scrivere era ormai necessario solo agli uomini di chiesa per accedere alle scritture e diffondere il messaggio. Dal VI secolo le scuole cristiane, che erano sorte presso le chiese cattedrali, divennero il luogo dell’apprendimento elementare, non più solo dei chierici ma anche dei laici. Dall'VIII secolo si diffusero scuole anche presso molti monasteri. La scrittura e la produzione culturale divennero monopolio della chiesa, basti osservare come le storie di alcune popolazioni barbariche furono composte da vescovi o da monaci. Nei centri scrittori, gli scriptoria vescovili o monastici, si redigevano commenti alle scritture, testi agiografici, raccolte omelitiche e si ricopiavano i testi della classicità latina (Virgilio, Ovidio, Cicerone, Seneca e altri). Accanto a essi vennero letti e diffusi anche gli scritti dei padri della chiesa come Tertulliano e Agostino e opere enciclopediche come le Etimologie di Isidoro vescovo di Siviglia. Le nozze di Mercurio e Filologia di Marziano Cappella un autore tardoantico, suggerirono la ripartizione delle discipline del sapere tra le arti del trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del quadrivio (matematica, geometria, astronomia e musica) che ispirarono la formazione superiore. Carlo Magno promosse l’istruzione per formare adeguatamente i funzionari destinati all'amministrazione e il clero impegnato nella cristianizzazione. Tre furono gli interventi: la riforma della liturgia, volta a far pregiare tutti chierici dell'impero nello stesso modo; il miglioramento della loro formazione, soprattutto nella conoscenza della lingua e della grammatica latina; la riaffermazione dell’importanza della scrittura nell’amministrazione e negli affari politici. Presso la corte dei sovrani si raccolse un'accademia di intellettuali detta anche schola palatina, che approfondì la conoscenza delle opere classiche e produsse testi letterari originali. Libri-> Per i secoli precedenti al XII non è appropriato parlare di libri, si tratta di codici: le pagine dei codici erano di pergamena e non di carta, ed erano coperte di lettere scritte a mano in grandi dimensioni, illustrate e decorate da miniature. Leggere una pagina di un codice è un’esperienza estetica. Si trattava di un viaggio attraverso la pagina, in cui il tempo impiegato per la lettura era considerato secondario rispetto al valore delle verità che venivano scoperte, quasi fisicamente dal lettore. La pratica della lettura silenziosa esisteva già ma era ben poco frequente: Sant’Agostino parlava con ammirazione del suo maestro, Sant’Ambrogio, che ogni tanto leggeva un libro senza neppure muovere le labbra. La lettura nei monasteri, fino al XII secolo, è sempre considerata un momento sacro, proprio perché annunciava pubblicamente un episodio della storia della salvezza. Il libro era l'oggetto fisico che permetteva questo annuncio e per questo finì per divenire esso stesso un oggetto sacro. Riforme della chiesa-> Le famiglie aristocratiche che avevano fondato chiese e monasteri privati e che erano in grado di condizionare la designazione dei vescovi, abati e chierici cercarono di impossessarsi in maniera duratura delle cariche ecclesiastiche rendendole ereditarie. Tali cariche erano lucrose, gli aristocratici che riuscivano a ottenerle erano però quasi sempre sprovvisti di un adeguata preparazione e spesso anche di un’autentica vocazione. Accadeva così molto spesso che i vescovi e gli abati continuassero a seguire lo stile di vita dell’aristocrazia laica, a occuparsi di politica, a combattere in guerra, a svagarsi in caccia e ai banchetti e a mantenere concubine. A sua volta, il clero inferiore era in genere incolto e spesso nemmeno in grado di leggere e comprendere le scritture. La necessità di interventi di riforma fu avvertita già dai sovrani carolingi. Si puntò a migliorare la formazione del clero, rafforzando la rete di scuole episcopali monastiche, dove si insegnava la grammatica, cioè il latino e lo studio delle scritture, la conoscenza dei cannoni e la corretta pratica liturgica. Fu promosso un riordinamento territoriale delle sedi episcopali, secondo un modello gerarchico subordinato ai metropoliti, che rafforzata anche l'articolazione diocesana in pievi battesimali. Fu istituita nel 779 la decima: con questo termine si indica la decima parte del raccolto e del reddito in generale, che i proprietari coltivatori pagavano alla chiesa per il sostentamento del clero, un corrispettivo 20 delle funzioni che la chiesa svolgeva per i fedeli. I sovrani carolingi sancirono l’obbligatorietà del versamento, ma in seguito alla dissoluzione dell'impero, furono i poteri signorili e imporre la decima ai propri rustici. Solo nel corso del XIII secolo i vescovi riuscirono a recuperare gran parte del pagamento delle decime. A tutte le comunità monastiche furono estese le regole benedettine e furono organizzate anche le comunità canonicali, formata da preti che vivevano in comune secondo una propria regola, che fu anche se uniformata tutto l'impero. Le donne religiose furono escluse dall'amministrazione dei beni della chiesa e fu loro precluso ogni contatto al di fuori dei monasteri. Soprattutto in Germania i legami tra i re e i vescovi rimasero stretti e furono rafforzati dalla concessione di beni e di diritti di giurisdizione in cui si distinse particolarmente la dinastia degli Ottoni. Vescovi e abati divennero supporto dell'autorità regia, che si assicurò la facoltà di designarli, scegliendoli tra figure di elevato vigore morale. Con il Privilegium del 962 Ottone I ribadì anche il controllo imperiale sull'elezione pontificia che era già stato sancito dalla Constitutio romana di Ludovico il Pio nell'824. Da allora e fino al 1058 i papi furono tutti legati al trono imperiale. Dal X secolo si fecero sempre più avvertite, in diversi ambiti della società cristiana, due esigenze principali di riforma: la moralizzazione dei costumi del clero, auspicato più degno e adeguato a svolgere il proprio ruolo pastorale e liturgico, e la tutela delle istituzioni ecclesiastiche dalle ingerenze e dai condizionamenti del mondo laico. Più che in ambito vescovile, fu all'interno del mondo monastico che si avvertì inizialmente la necessità di ridare prestigio e credibilità morale alla chiesa. Protagonisti principali furono i monaci dell'abbazia di Cluny, fondata nel 910 in Borgogna dal duca d’Aquitania Guglielmo. Pur nascendo come monastero privato l'abbazia riuscì ad acquistare una forte autonomia, sotto la guida dei grandi monaci come Maiolo e Odilone. La riforma promossa da Cluny non contestava le ricchezze e i beni ecclesiastici, che anzi erano visti come legittimi perché dimostravano il fulgore della chiesa. Essa proponeva invece di rimodellare in senso monastico tutta la chiesa, privilegiando la centralità delle preghiere, la purezza del corpo, la funzione del clero quale mediatore del sacro. I monaci di Clunye elaborarono un nuovo stile di vita monastica basato sulla specializzazione liturgica, sulle opere di misericordia e sullo studio. Il lavoro manuale fu invece demandato ai conversi e ai servi. Con il termine conversus si indica in ambito monastico i laici che pur facendo atto di professione seguendo una vita analoga a quella dei monaci, non avevano ricevuto gli ordini sacri. I conversi vivono in spazi separati e attendevano ai lavori manuali della comunità. Riconoscendo il primato papale, Cluny ottenne l'autorizzazione a porre sotto la propria autorità i monasteri che accettassero il nuovo modo di vivere la regola benedettina. Decine di cenobi furono fondati e centinaia di altri riformati, dando vita a una potente congregazione che raggiunse all'inizio del XII secolo circa 1200 priorati tutti dipendenti dall’unico abate di Cluny e probabilmente 10.000 monaci sparsi in tutta l'Europa. L'ordine cluniacense divenne una potenza imponente della chiesa riformata. Ispirandosi ai padri del deserto figure come quelle di Romualdo di Ravenna e Giovanni Gualberto diedero vita ad eremi che garantivano ampi spazi di isolamento e di ascesi individuale: Camaldoli e Vallombrosa in Toscana o Fonte Avellana nelle Marche. Anche nel clero secolare emersero nel corso del X secolo impulsi a forme di vita più rigorose e spirituali. Ferivano la sensibilità dei fedeli l’attaccamento alle ricchezze materiali, la compravendita delle cariche ecclesiastiche (simonia), le pratiche di concubinato (nicolaismo), gli interessi dinastici più che pastorali, le violenze e le spoliazioni di chiese di cui si rendevano spesso protagonisti vescovi e preti. L'offensiva moralizzatrice, nella quale si distinse nell’XI secolo anche figure come il cardinale Umberto di Silvacandida o il monaco Pier Damiani, puntò alla deposizione dei sacerdoti simoniaci alla scomunica dei preti concubinari. Una forte spinta al rinnovamento viene anche dal laicato, in particolare dagli ambiti della città. Oggetto di contestazione furono le ricchezze accumulate e gestite dai prelati e il loro coinvolgimento nelle questioni temporali. I prelati erano i membri del clero secolare e regolare che esercitavano le cariche maggiori, dotate di giurisdizione, come i cardinali, i vescovi e gli abati. La polemica si concentrò contro l'alto clero episcopale, agendo spesso di concerto con i papi che nello stesso periodo tentavano di controllare le chiese locali. Lotte violente si ebbero nei 10 anni centrali dell’XI secolo a Firenze e soprattutto a Milano, dove il movimento popolare prese il nome di “pataria” e giunse a non riconoscere la validità dei sacramenti amministrati da sacerdoti concubinari e indegni e a chiedere l'accesso diretto dei laici alle Scritture in assenza di chierici adeguati al compito. L'imperatore Enrico III agì a sostegno dell’istituzione pontificia, deponendo nel 1045 tre contendenti appartenenti a famiglie romane e nominando una serie di papi riformatori. Significativa fu l'opera del cluniacense Leone IX che chiamò a Roma alcuni dei principali esponenti riformatori e ingaggiò una dura battaglia contro simonia e concubinato. Alla morte di Enrico III la minorità dell'erede diede occasione a Nicolò II di conferire una decisa accelerazione alla spinta riformatrice, convocando nel 1059 un concilio che fissa nuove regole per l'elezione pontificia. La scelta fu riservata ai soli cardinali, escludendo di fatto la partecipazione dei laici, compresa quella dell'imperatore. Effetto immediato fu che la nomina del successore, Alessandro II, uno degli ispiratori della pataria milanese, non fu riconosciuta dalla corte imperiale. Il cardinale indica nell’alto medioevo i vescovi titolari delle basiliche confinanti con quella di Roma e poi i preti titolari delle chiese di Roma e infine i diaconi di San Giovanni in Laterano e dei rioni di Roma. Sono i consiglieri e i principali collaboratori 21 del pontefice negli affari della chiesa. Dal XIII secolo l'assemblea dei cardinali fu detta Sacro collegio e i cardinali occuparono le più alte cariche di governo. La dignità cardinalizia era conferita esclusivamente dal papa. Matrimonio dei chierici-> Pur formalmente proibito sin dal IV secolo, il matrimonio dei chierici fu tollerato dalla chiesa per tutto l'alto medioevo, al punto che era ammessa anche l'ordinazione di uomini sposati. Il concubinato (l'unione stabile di un uomo e di una donna non sancita da un vincolo matrimoniale, ma che riconosceva giuridicamente ai figli la condizione di figli naturali ammessi all’eredità) rappresenta spesso la soluzione formale. Il divieto ribadito con la forza del riformatore Gregorio VII non poté che suscitare reazioni vivacissime, perché il provvedimento colpiva una pratica assai diffusa tra gli ecclesiastici e i religiosi. Nemmeno la proibizione del matrimonio per tutti i chierici che avevano ricevuto gli ordini maggiori proclamata dal Concilio lateranense del 1123 riuscì a contenere il fenomeno. Fino alla fine del medioevo non furono rari i casi di sacerdoti sposati o concubinati. 11. La chiesa pontificia Gregorio VII-> Con l'elezione a pontefice del cluniacense Ildebrando di Saona nel 1073, il processo di riforma delle istituzioni ecclesiastiche raggiunse il suo culmine. Il progetto di Gregorio VII fu quello di imporre alla chiesa un modello fortemente gerarchizzato del corpo ecclesiastico, escludendo i poteri laici da ogni ingerenza nella vita religiosa. Nuovo impianto monarchico della chiesa, con il papa unico vertice e la netta separazione degli stili di vita tra laici ed ecclesiastici. Fino ad allora il potere era stato diffuso orizzontalmente tra le varie chiese locali e il papa aveva goduto solo di un primato onorifico tra i vescovi. La nuova struttura gerarchica che enfatizzava il ruolo del papa minava l’autorità del potere imperiale. La rivendicazione gregoriana della libertà della chiesa da ogni potere laico mise in discussione la natura dei rapporti tra papato e impero. La sacralizzazione del potere imperiale tradizionale nell'impero bizantino era riemersa in Occidente con Carlo Magno, mediata dall’incoronazione da parte del papa. Essa diede spazi frequenti prevaricazione sulla chiesa, sintetizzata dalla plurisecolare pratica imperiale di eleggere i Papi. Privare l'imperatore di tale prerogativa significava minare la sacralità del suo potere. Gregorio VII diede fondamento dottrinale al primato papale attraverso un testo redatto nel 1075 noto come Dictatus papae, costituito da un insieme di proposizioni che ne definivano ruoli e funzioni. Solo il papa poteva istituire e deporre i vescovi, convocare i concili, giudicare e legiferare senza essere a sua volta giudicato, deporre gli imperatori, sciogliere i sudditi dall'obbedienza ai sovrani. Chi si opponeva alla sede romana poteva essere accusato di eresia, era così delineato il progetto di una monarchia universale della chiesa che fu attuato progressivamente da Gregorio VII e dai suoi successori. Il papato aveva trovato sin dal 1059 un importante appoggio politico dei normanni, che si erano dichiarati fedeli alla sovranità pontificia in cambio del riconoscimento dei titoli di duca di Puglia e di Calabria. Gregorio VII puntò a fare riconoscere la supremazia del papato da parte dei numerosi sovrani cristiani, che gli si dichiarano vassalli: dal principe di Kiev ai re d’Inghilterra, Ungheria e Croazia, ai reni iberici. La contrapposizione tra papato e impero si formalizzò sulle designazioni dei vescovi, la rivendicazione del papa alla nomina sovvertiva la consuetudine dei sovrani di scegliere i vescovi investendoli di poteri pubblici; ma proprio l'investitura laica era ritenuta all'origine della corruzione del clero episcopale. Nel 1076 Enrico IV convocò un concilio di vescovi tedeschi che dichiarò deposto il papa, aprendo un duro conflitto. Gregorio VII reagì scomunicando l'imperatore e sciogliendone i sudditi da ogni obbedienza. Di fronte alle prime ribellioni aristocratiche Enrico IV indusse il pontefice a revocare la scomunica con un clamoroso atto di penitenza: nell’inverno del 1077 si umiliò stando per tre giorni davanti al castello appenninico della contessa Matilde di Canossa, dove Gregorio era ospite, finché non fu ricevuto. Una volta rilegittimato Enrico IV riprese le ostilità facendo eleggere come antipapa l'arcivescovo di Ravenna, Guiberto e insediandolo con la forza Roma nel 1084. Tratto in salvo dai fedeli normanni, Gregorio VI morì a Salerno nel 1085. Dopo conflitti e trattative si giunse a un accordo sottoscritto a Worms nel 1122 da Callisto II ed Enrico V, il concordato stabiliva che l'elezione dei vescovi dovesse essere fatta ovunque, nel rispetto dei canoni, dal clero e dal popolo della città e distingueva la consacrazione spirituale, riservata al clero, dall’investitura temporale, lasciata all'imperatore. In Germania il sovrano poteva investire i vescovi di funzioni e beni prima della loro consacrazione; in Italia e in Borgogna questa doveva precedere l'investitura temporale. Uscì comunque rafforzata l'autorità pontificia, mentre l'ideologia imperiale fu minata e da allora le ambizioni universalistiche degli imperatori furono ridimensionate. La chiesa romana cominciò a operare come curia, cioè come centro di governo. Tornarono a essere frequenti i concili ecumenici, ora convocati dal papa direttamente a Roma e perciò detti “lateranensi” dal nome del palazzo Laterano che li ospitava. Le attività di cancelleria aumentarono per il crescente volume di lettere spedite ai principi e ai chierici della cristianità, si diffuse anche l'uso di inviare in paesi lontani rappresentanti del pontefice, detti legati, spesso provvisti di ampi poteri disciplinari e giurisdizionali. Esito generale fu il forte ridimensionamento dell’autonomia delle chiese locali e dei poteri dei vescovi, che segnò un netto punto di svolta nell’ordinamento della chiesa. Proponendosi come guida suprema della cristianità il papato animò anche la lotta contro i suoi nemici, guidando il movimento crociato che dalla fine dell'XI secolo si propose la liberazione dei luoghi santi della Palestina, occupata dai musulmani. 22 crociata contro gli infedeli. I massacri e gli incendi delle sinagoghe posero le basi dell'antisemitismo europeo, che vedeva negli ebrei dei nemici irriducibili del cristianesimo e che sospettava nella loro vita appartata la pratica di culti abominevoli, come la profanazione delle ostie consacrate e l'omicidio per procurarsi sangue di bambini cristiani da impostare nel pane azzimo durante la Pasqua. Dal XIII secolo i sovrani li espulsero di loro regni, confiscando i e beni annullando i crediti che avevano. La comparsa della peste nel 1348 avviò una nuova ondata di pogrom: accusati di aver provocato volontariamente l'epidemia, gli ebrei furono ovunque massacrati. Secondo alcuni studiosi solo il genocidio promosso dal regime nazista nel XX secolo avrebbe superato le dimensioni dei pogrom del 1348-1350. 12. Crescita demografica, espansione agraria e sviluppo dei commerci Aumento demografico-> A partire dal IX-X secolo iniziò un po' ovunque nell'Occidente europeo una lunga fase di incremento demografico destinato a durare fino a tutto il XIII secolo. Cifre attendibili sulla popolazione si hanno per l'Inghilterra grazie alla sopravvivenza del cosiddetto Domesday Book (Libro del giudizio), una sorta di censimento ai fini fiscali degli abitanti del regno, compilato tra il 1080 e il 1086. L'indizio più significativo dell’aumento della popolazione però è dato dalla fondazione di nuovi villaggi nei secoli XI-XII. L'aumento della popolazione fu un fenomeno comune a tutta l'Europa. Diversi furono però i ritmi di incremento a seconda delle aree e delle condizioni di partenza: in Italia e in Francia, dove la rete urbana aveva origini romane e nelle Fiandre, la densità della popolazione fu maggiore che altrove; più scarsa fu invece in altre regioni come la Spagna, la Germania, Inghilterra ed Europa scandinava orientale. In Spagna la riconquista delle regioni meridionali da parte dei regni cristiani dall'XI secolo si accompagnò alla fondazione di nuovi villaggi accentrati e facilmente difendibili. Espansione delle campagne-> La crescente pressione demografica costrinse a produrre una quantità maggiore di risorse, innanzitutto alimentari. Condizione favorevole fu il miglioramento naturale del clima europeo, se ne avvantaggiarono le coltivazioni un po’ in tutte le regioni europee, ma soprattutto in quelle del centro-nord, caratterizzate da maggiore piovosità e da terreni più profondi. I limiti tecnologici del tempo resero però determinante per l'incremento della produzione agricola l’ampliamento delle superfici coltivate, avviato tra il X e l'XI secolo e che ebbe il suo culmine nel XII. Nella pianura padana si irreggimentarono i corsi d'acqua; nelle Fiandre si costruirono dighe per asciugare gli acquitrini lungo le coste e metterli poi a coltura. Negli ambienti più isolati e disabitati furono inviati coloni per mettere a coltura nuovi terreni. Soprattutto in queste aree si svilupparono nuovi centri di insediamento chiamati ville nuove o borghi franchi che attiravano contadini con la promessa di esenzioni fiscali. L'iniziativa fu promossa dai grandi principi territoriali, dai signori laici ecclesiastici e più tardi delle città. In alcune aree furono i monaci cistercensi e certosini a provvedere direttamente a dissodamenti e colonizzazioni. L'espansione dell'agricoltura contribuì anche il miglioramento degli strumenti di lavoro e l'introduzione di nuovi sistemi di coltivazione. I progressi principali si ebbero nell’aratura: nell’XI secolo si diffuse il collare rigido che poggiava sulle spalle del bue, al posto delle cinghie che stringevano l'animale alla gola e la ferratura dei cavalli, che ne favorì l'impegno nel dissodamento dei terreni e che permise una maggiore forza di traino e l'introduzione di arati più pesanti. Soprattutto nei terreni compatti e argillosi dell’Europa centro-settentrionale si rivelò determinante l'adozione di un nuovo tipo di aratro, il vomere di metallo, munito di un verso capace di rivoltare le zone in profondità favorendone l’ossigenazione, mentre nelle regioni mediterranee continuò a prevalere l'uso di aratri leggeri, interamente in legno, più adatti ai suoli friabili. A partire dal XII secolo fu introdotta anche la rotazione triennale delle terre che metteva a riposo una parte dei campi ogni tre anni, anziché due. Nell’anno intermedio vi si coltivavano cereali primaverili e leguminose, destinabili anche al foraggio degli animali da tiro e quindi alla loro migliore efficienza. Lo spettro della carestia fece la sua comparsa nel IX secolo, e divenne ossessivo nelle cronache dell'XI secolo e rimase una preoccupazione costante anche nei tempi successivi. La produttività dei terreni non crebbe molto a causa della scarsità di concime. Fu perseguita invece la cultura estensiva, soprattutto di cereali da pane e di colture specializzate od orientate alla produzione manifatturiera urbana. Questo colpì soprattutto la varietà dei coltivi che era tipica del sistema curtense. L'effetto non fu solo una minore ricchezza e varietà dell'alimentazione, ma la maggior esposizione del sistema economico locale alle annate sfavorevoli, che determinavano penuria di beni alimentari. La crisi del sistema curtense si accentuò e il dominico tese a scomparire tra l'XI e il XII secolo, frazionato fra i contadini di varie condizioni giuridiche. Le aziende si trasformarono e i campi furono tutti concessi in affitto. Anche le corvees cui i contadini erano stati tenuti scomparvero, sostituite da canoni in denaro. Aumentò corrispondentemente il numero dei coltivatori concessionari di terre, attraverso contratti più elastici, di lunga durata e che richiedevano corresponsione di canoni in denaro o in natura. L'affitto incoraggiava i contadini a produrre di più e meglio e permetteva al proprietario di aumentare la propria rendita fondiaria. Le differenziazioni già presenti nella società rurale si accentuarono. Resi più autonomi, i coltivatori più intraprendenti approfittarono dell’aumento della produzione agricola e della sua commercializzazione, accumulando ricchezze. Grazie alla lunga durata degli affitti e all’esiguità del canone, essi poterono anche consolidare i diritti sulla terra che lavoravano, maturando su di essa in una sorta di possesso (dominio utile) che consentiva loro di lasciarla in eredità o 25 di alienarla (il proprietario manteneva il dominio diretto, riconosciuto dal pagamento di un censo periodico). I contadini più ricchi erano pieni proprietari, concessionari di terra in dominio utile, furono essi a consolidare quelle élites rurali che dal XII secolo cominciarono ad essere attratte dalle città. I grandi proprietari come già in età carolingia, sostennero le innovazioni che accrescevano i loro profitti e promossero le imprese di colonizzazione e dissodamento, commercializzando il surplus prodotto. L'aumento delle rendite fondiarie e della conseguente disponibilità di spesa da parte delle famiglie aristocratiche si tradusse in una domanda di beni e di servizi che creò nuovo reddito nei settori delle produzioni manifatturiere. Anche i coltivatori più agiati furono in grado di vendere maggiori quantità dei loro prodotti e di reinvestire gli introiti in denaro nell'acquisto di merce di altro genere. Da un’economia basata esclusivamente sulle rendite agrarie si passò progressivamente a un’economia trainata dagli scambi. Merito dei signori fu anche quello di investire in infrastrutture che favorirono lo sviluppo commerciale delle campagne: mulini, ponti, strade, approdi fluviali, luoghi di mercato. Tornò a essere curata anche la rete delle vie di comunicazione terrestri e acquee, dopo che per secoli era mancata la manutenzione della lastricatura delle antiche strade romane; certo sull'acqua resta più facile di quello terrestre, furono ampiamente sfruttate le potenzialità dei bacini fluviali, creando approdi, ponti e canali e divenne usuale risalire i corsi d'acqua anche per chilometri lungo il Reno, il Danubio Il Po e altri fiumi. Tra il X e il XIII secolo furono anche disegnati e consolidati quei fasci di strade e sentieri che coprono il territorio europeo fino al XIX secolo. Nei villaggi, nei borghi, nei porti fluviali si creò una rete di mercati periodici. L'espansione degli scambi fu sostenuta da una crescente disponibilità di moneta. Alla riforma monetaria dell’età carolingia fece seguito la proliferazione di zecca e la moltiplicazione di emissione di denaro, a base d'argento. Nell’Europa del nord la domanda di moneta fu soddisfatta dallo sfruttamento delle miniere d'argento della Sassonia avviate al tempo di Ottone I. Tra l'XI e il XII secolo si dovette anche dare fondo ai tesori di chiese e monasteri e svilire la qualità metallica dei denari per far fronte alla crescente domanda di moneta. Trasformazione della società rurale-> Il consolidamento dei poteri signorili, trasformando tutti i coltivatori in dipendenti, modificò i concetti di proprietà e di libertà nelle campagne, colpendo soprattutto i piccoli proprietari. La distinzione tra le terre che il contadino possedeva in allodio e le terre padronali che coltivava in cambio di un censo perse significato. Il livellamento di condizioni fu favorito anche dalle forme di coltivazione collettiva, imposto dal calendario dei lavori agricoli e dalla conformazione del territorio, benché la propria della terra rimanesse individuale. Tra i grandi proprietari si diffuse invece l'uso di sostituire alla compravendita la concessione delle terre in feudo, che divenne il modo abituale con cui la terra passava di mano tra gli aristocratici, come segno distintivo. I piccoli proprietari continuarono invece a cedere e ad acquistare liberamente le terre in piena proprietà. Le grandi proprietà si erano frammentate in tante parcelle possedute tutte dallo stesso proprietario, ma affidate a un gran numero di coltivatori diversi, i quali coltivavano appezzamenti separati e spesso lontani tra loro e talora appartenenti a padroni diversi. Di conseguenza, per molti secoli i contadini abitarono per lo più tutti insieme in villaggi piuttosto che in abitazioni isolate nei campi. Dal XII secolo nelle aree meno popolate furono i proprietari ecclesiastici, per primi i cistercensi, ad accorpare la proprietà intorno ad un centro di gestione padronale, attraverso il sistema delle grange. Dal XIV secolo anche la proprietà urbana avrebbe promosso, attraverso la compravendita dei terreni, all’accaparramento delle tenute in poderi. Le concessioni fondiarie erano di solito a lunga scadenza, con censi in denaro quasi sempre fissi e pertanto destinati a una progressiva svalutazione. Per reazione, a partire dal XIII secolo, alcuni proprietari, soprattutto urbani, introdussero i contratti a breve scadenza, che consentivano di attenuare gli effetti dell'inflazione; nel complesso la condizione dei contadini peggiorò. L'affermazione della signoria territoriale livellò su un unico stato di dipendenza individui di diverso status giuridico: liberi affittuari, servi casati, addirittura piccoli proprietari, che si ritrovavano tutti sottomessi allo stesso modo al potere del Signore. Anche l'alimentazione peggiorò: il sistema autosufficiente della curtis aveva garantito anche ai contadini una dieta variegata comprendente prodotti come il formaggio, la carne di maiale, il pesce e i frutti del bosco. La specializzazione delle culture che si affermò dopo il Mille, centrata su quelle cerealicole, ridusse invece la varietà degli alimenti e i contadini iniziarono a mangiare prevalentemente pane. La nuova dieta povera di proteine favorì l'insorgere di malattie legate alla denutrizione: l’ergotismo (intossicazione alimentare da segale cornuta) conobbe due grandi ondate nel 994 e nel 1089 nella Francia settentrionale e nelle Fiandre per poi propagarsi a tutto l'Occidente. Rinascita delle città-> Il fenomeno cittadino fu conseguenza diretta della crescita della popolazione e l'intensità dell'urbanizzazione non rispose alle regioni a più alta densità demografica. Il tessuto urbano europeo era composto da borghi che svolgevano una funzione di mercato nei confronti del territorio e nei quali viveva una popolazione di qualche migliaio di abitanti. Al di sopra di essi si collocava una serie di città piccole e medie che erano anche i capoluoghi ecclesiastici, giurisdizionali e amministrativi. Poche grandi città si trovano infine inserite in una rete di commerci a lungo raggio, con importanti attività manifatturiere ed erano residenza del potere politico o sedi di università. L'intensità dell'urbanizzazione dipese in parte anche dall’eredità romana. Nella Francia meridionale e in Italia la continuità degli insediamenti non venne mai meno e le città conservarono l'antica preminenza rispetto al 26 territorio circostante: un ruolo rafforzato dai regimi vescovili. Nelle regioni che avevano costituito la fascia periferica dell'impero la rinascita urbana fu l'esito della presenza di alcune sedi vescovili di origine romana e dello sviluppo di nuovi centri, in origine piccoli borghi sorti intorno ai mercati e ai porti, poi rapidamente cresciuti. Più tardivo fu lo sviluppo urbano nella Germania meridionale, intorno a centri mercantili come Francoforte, Norimberga e Augusta. Minore fu infine l’urbanizzazione nelle aree dove la presenza romana era stata superficiale o del tutto assente: in Inghilterra, a partire da Londra si sviluppò una trama di centri di piccola e media dimensione; nella Germania settentrionale, nel Baltico e nella Scandinavia ebbero importante sviluppo le città portuali. Le maggiori città europee erano concentrate in prevalenza nelle regioni delle Fiandre e dell'Italia settentrionale. La fitta rete di centri urbani disposti intorno al bacino fluviale del Po, lungo la via Emilia e nella Toscana centro- settentrionale costituiva il vero cuore urbano del continente. L’eccezionale livello di urbanizzazione raggiunto in queste aree dipese da vari fattori: dall’eredità romana; per i centri lombardi e toscani la loro posizione lungo i grandi assi di comunicazione che inserivano le attività manifatturiere e commerciali locali in una rete di traffici a lunga distanza. Quasi tutte le odierne città dell’Europa occidentale ebbero origine o si svilupparono in quel generale moto di espansione. I mercanti e gli artigiani vi acquisirono un peso politico rilevante che li affiancò all’aristocrazia legata alla terra; questa era una significativa differenza rispetto alle città romane, che erano state dominate dall'aristocrazia dei grandi proprietari fondiari e caratterizzate da un’economia agricola. Nelle città medievali gli abitanti delle città si differenziavano invece da quelli delle campagne per una marcata divisione del lavoro: mentre in ambito rurale continuarono a prevalere i lavori legati all’economia agricola, nella città si svilupparono attività legate alla produzione manifatturiera, al commercio, alle professioni giuridiche, all'insegnamento. La forte espansione urbana trasse la sua forza dalla continua immigrazione verso le città. Il fenomeno coinvolse i diversi gruppi sociali, innanzitutto i contadini poveri o di condizione servile, attratti anche dalle prospettive di liberta, ma a inurbarsi erano anche i contadini più agiati, i piccoli e medi proprietari fondiari, alcuni esponenti di famiglie signorili, chierici e religiosi. La residenza stabile in città rendeva i suoi abitanti dei cittadini differenziati per condizioni economiche e status giuridico dei lavoratori della terra e dell’aristocrazia signorile. La città importava dalla campagna prodotti agricoli, materie prime e manodopera e la campagna aveva a sua volta bisogno dei prodotti cittadini. Rispetto alle città del nord nate intorno a porti, a borghi e mercati abitata quasi esclusivamente da mercanti artigiani (borghesi, cioè gli abitanti del burgh, che godevano di particolari privilegi giuridici ed economici concessi dei re, principi o vescovi da cui la città dipendeva, il termine non indica una classe sociale, ma una condizione privilegiata di cittadinanza) l’articolazione sociale delle città italiane era molto più varia, comprendendo anche i proprietari fondiari, titolari di diritti signorili, giudici e notai. Le città italiane mantennero sempre una funzione di centralità rispetto al territorio, mentre le città del nord furono quasi ovunque isole protette da privilegi economici, fiscali e amministrativi separate dal territorio circostante. Le città italiane tradussero la propria influenza sulla campagna in un vero e proprio dominio territoriale, costituendo dal XIII secolo dei veri e propri stati di cittadini. In Italia il termine città fu riservato solo ai centri che erano sedi vescovili, così come in Germania la condizione di Stadt fu riconosciuta solo a quelli che avevano ottenuto una carta dall'imperatore o dai principi territoriali. Commercio-> Gli scavi archeologici attestano dal X secolo il ritorno alle costruzioni di edifici in pietra, che richiedevano maggiori capacità tecniche, si ha il passaggio dalle capanne alle case, ma anche chiese, strade e castelli. Intenso fu lo sviluppo delle tecniche di estrazione e di lavorazione dei metalli, per la manifattura degli strumenti agricoli e delle armature per i cavalieri. Nelle campagne si diffuse dall'XI secolo il mulino ad acqua, che divenne presto un elemento tipico del paesaggio locale e che consentì di utilizzare l'energia idraulica per molte attività. Dal XII secolo si diffusero sulle coste atlantiche anche i mulini a vento. Nelle città si svilupparono gruppi di artigiani specializzati, organizzati in corporazioni (arti, gilde). Le corporazioni, di cui facevano parte i padroni ma non gli apprendisti e i salariati, si diffusero tra il XII e XIII secolo per tutelare gli interessi comuni in condizioni di monopolio, nessuno infatti poteva esercitare l'attività senza essere iscritto all'arte. Il settore in più forte espansione fu quello tessile, in particolare laniero. Introdotta dagli arabi in Sicilia, si diffuse in varie aree italiane, francesi e tedesche anche la produzione di tessuti di seta; si svilupparono anche le manifatture di cotone e di fustagno e cominciò a diffondersi la produzione di carta. La lavorazione dei metalli sollecitò lo sviluppo del settore minerario. Il commercio marittimo promosse la crescita dell'industria cantieristica e la lavorazione delle pelli richiese le importazioni dall'Asia Minore di allume. I mercati dei centri rurali e delle città cominciarono a interagire progressivamente con la ripresa dei grandi commerci a lunga distanza. Questi furono favoriti non solo dalla maggiore cura delle vie di comunicazione, ma anche dai miglioramenti tecnici nei trasporti: carovane di muli e cavalli, carri a due e anche a quattro ruote, per le vie terrestri; bussole, carte nautiche e portolani per la navigazione marittima. Il portolano è una carta marittima in uso sin dall'antichità che elencava dettagliatamente i porti e gli scali nautici di una data regione. Lo strumento era molto diffuso nella navigazione commerciale perché descriveva di ogni luogo le caratteristiche geografiche, nautiche e meteorologiche. In alcune regioni a più alta concentrazione di popolazione e di produzione agricola si svilupparono 27 Nel processo di ricomposizione politica e territoriale guidata dalle monarchie ebbero un ruolo centrale le relazioni feudali, al punto che gli storici usano correntemente l'espressione “monarchie feudali”. Il feudo faceva riconoscere l'autorità del regno su tutto il territorio, aggregandovi le forze eterogeneo ed autonome. Le nuove dinastie regie non intesero superare la pluralità dei soggetti titolari di diritti e di poteri, il loro ruolo fu essenzialmente di coordinamento politico e si fondò sui rapporti vassallatici, ora garantiti dall’ereditarietà dei benefici, che consentiranno di mettere in relazione politica con la monarchia il complesso dei poteri locali. Per affermarsi come poteri superiori e per disciplinare le forze aristocratiche i re puntarono al governo diretto del territorio attraverso ufficiali che esercitavano localmente poteri giudiziari, fiscali e di varia amministrazione in rappresentanza del sovrano. Le monarchie si dotarono cioè di apparati burocratici sempre più articolati. Gli ufficiali regi potevano agire efficacemente solo nelle aree di diretto dominio della corona, mentre in quelle feudali dovevano coordinare la propria autorità con le prerogative dei poteri locali. Il numero di sceriffi, prevosti, balivi, castellani dislocati nei territori periferici del regno, tese a crescere nel tempo de questi ufficiali non erano vassalli del re ma degli stipendiati. Rispetto ai sovrani precedenti costretti a concedere in feudo i territori per amministrarli, i nuovi monarchi potevano avvalersi della ritrovata circolazione monetaria e dell’espansione dell'economia europea per remunerare i burocrati. Rispetto ai re delle epoche precedenti, dove il potere si fondava sulle relazioni personali tra re e il suo popolo o tra il re e i grandi del suo popolo, la concezione del potere delle nuove monarchie era diversa: la potestà regia era orientata verso un esercizio territoriale della propria autorità, cioè sulla capacità di comando su tutti gli abitanti di uno spazio definito e fondamentale era il controllo del territorio. Cardine di questo sforzo regio fu l'imposizione del principio della superiorità del tribunale regio su quello signorile, con l'obbligo dei sudditi di fare ricorso alla giustizia del re in caso di delitti particolarmente gravi oppure in appello. Francia-> La dinastia dei capetingi che aveva assunto nel 987 il titolo regio e controllava solo uno dei principati territoriali in cui era frammentata la Francia dell'epoca. Il loro potere non si differenziava, per natura ed estensione, rispetto a quello dei duchi e dei conti vicini; il dominio diretto dei capetingi era limitato a una ristretta compresa tra la Loira e la Senna. La debolezza del potere dei capetingi si trasformò paradossalmente in un fattore di forza per l’affermazione della monarchia. Proprio perché debole, il loro esercizio della regalità non era avvertito come una minaccia effettiva degli altri potenti locali, che lo accettavano in quanto simbolo dell'unità del regno e di garante della pace e della giustizia, per esempio l'intervento arbitrale nelle dispute tra i grandi signori. Per questa via i capetingi mantenere vivo il regno per tutto l'XI secolo e posero le basi per l'aumento del potere nel secolo successivo. Assicurato il pieno controllo del principato reale, infatti capetingi assunsero il compito di protettori delle chiese, di garanti della pace di mercato in aree soggette ad altri principati, così guadagnandosi il sostegno delle gerarchie ecclesiastiche e delle città del regno. Essi seppero costruire una fitta trama di relazioni vassallatiche con i duchi e i conti, che garantì loro la superiorità feudale e rafforzò i vincoli di dipendenza al sovrano. Tra il XII il XIII secolo la propaganda regia presentò l'immagine del re come un personaggio dotato di poteri taumaturgici, cioè il sovrano acquisiva dall’unzione divina nel corso della cerimonia di incoronazione la capacità di curare, con il tocco della mano, alcune gravi malattie come la scrofola. I malati accorrevano in massa in periodiche adunanze per farsi curare e la popolarità del potere soprannaturale dei re di Francia si diffuse nell’immaginario collettivo di molte aree europee e contribuì ad accrescere il loro prestigio e potere. Per un certo periodo un analogo potere taumaturgico fu attribuito anche ai re d’Inghilterra. A partire dall'epoca di Luigi VI e soprattutto di Luigi VII che si avviò un primo decisivo processo di consolidamento delle strutture del regno. Furono sviluppati gli apparati centrali, quelli concernenti l’esazione fiscale e dislocati i primi rudimentali strumenti di controllo regio nel territorio immediatamente soggetto gli altri principati. Decisiva fu la formalizzazione delle relazioni feudali tra i grandi vassalli e la corona: Luigi VII fu in grado di promuovere sistematicamente la diffusione del feudo ligio che premiava la fedeltà al re prima di ogni altra cosa. Anche la superiorità giudiziaria del re cominciò a essere affermata durante il lungo regno di Luigi VII, egli divenne progressivamente il punto di riferimento per la soluzione delle dispute tra i grandi signori. Egli dovette affrontare un lungo e duro conflitto con i più potenti dei loro vicini, i plantageneti che limitavano a Occidente l'espansione del regno di Francia. Plantageneti-> Essi discendevano da Goffredo Conte d’Angiò e da sua moglie Matilde, figlia del re d’Inghilterra e signore dei ducati di Normandia e Bretagna. Il loro figlio Enrico sposò nel 1152 Eleonora, signora di Aquitania e del Poitou e nel 1154 ricevette anche la corona d’Inghilterra. Egli venne così concentrando sotto un'unica autorità un dominio vastissimo, esteso sulle due coste della Manica. L'aspetto paradossale fu dato dal fatto che Enrico era formalmente vassallo del re di Francia per il possesso di vari feudi, soprattutto in Bretagna, ma era ben più potente di lui in quanto controllava di fatto la maggior parte del territorio francese. Il conflitto fu inevitabile, ma pur perdurando a lungo si risolse nel riconoscimento della presenza minacciosa del re d’Inghilterra entro confini del regno di Francia. Il problema della potenza plantageneta fu risolto da Filippo II, detto Augusto, durante il cui regno si ebbe la triplicazione dei territori sottoposti al diretto controllo della corona. La politica matrimoniale assicurò il 30 controllo delle aree orientali del regno, mentre con decise azioni militari furono strappati agli eredi di Enrico d’Inghilterra la maggior parte dei territori francesi. Decisiva fu la vittoria nella battaglia di Bouvines, presso Lille nel nord della Francia, del 1214, dove Filippo Augusto appoggiato da Innocenzo III e dal re di Germania Federico II, sconfisse la coalizione tra l'imperatore Ottone IV e il re d’Inghilterra Giovanni I Plantageneto detto Senzaterra, quest'ultimo fu costretto a cedere alla Francia tutti i possedimenti al nord della Loira. Filippo Augusto sviluppò ulteriormente l'apparato burocratico, destinando l'amministrazione dei beni della corona ai balivi e istituendo i prevosti per amministrare la giustizia regia, riscuotere le imposte e ricevere l'omaggio vassallatico dei signori delle comunità. Inghilterra-> Alla fine del IX secolo il re anglosassone del Wessex Alfredo il Grande riuscì a fermare l'espansione vichinga in Inghilterra e ad avviare un’energica azione di governo, che fu poi ulteriormente rafforzata dai suoi successori. Dalla prima metà del X secolo il regno anglosassone unificò i numerosi poteri locali presenti sul territorio dell'isola britannica. L'iniziativa regia fu accompagnata dall'adozione di un cerimoniale di incoronazione di tradizione carolingia introdotto dall'arcivescovo Dunstano nell'ultimo quarto del X secolo. Il regno era diviso in circoscrizioni territoriali in cui operavano gli agenti del re, incaricati della riscossione dei tributi e dell'amministrazione della giustizia. La società locale era organizzata in insediamenti rurali i cui abitanti partecipavano alle corti giudiziarie in cui si amministrava periodicamente la giustizia. I grandi possessori fondiari svolgevano per il re compiti di coordinamento militare su base territoriale. Dal 1016 si impadronì della corona, con una spedizione militare, il danese Canuto II, detto il Grande perché capace di creare un dominio esteso anche alla Danimarca e alla Norvegia. A sua volta Canuto III designò come proprio successore sul trono anglosassone il fratellastro Edoardo il Confessore, figlio di Emma di Normandia che fu attore nel 1042 dall’assemblea dei nobili. Il regno d’Inghilterra pervenne così ii normanni per rivendicazioni dinastica e per mezzo di una grandiosa operazione militare. Il duca di Normandia Guglielmo, dopo aver consolidato il proprio potere nel 1042 con l'appoggio del re di Francia Enrico I, alla morte senza figli del cugino Edoardo il Confessore (re d’Inghilterra nel 1066 e che lo aveva designato come suo erede sin dal 1051) si oppose all’incoronazione di Aroldo del Wessex. Attraversata la Manica sbarcò sull'isola con il suo imponente esercito di cavalieri e sconfisse le truppe sassoni nella battaglia di Hastings il 14 ottobre 1066, dove fu ucciso Aroldo; nel Natale dello stesso anno Guglielmo fu consacrato re d’Inghilterra con l’epiteto di Conquistatore, nell’abbazia di Westminster. La conquista fu completata solo nel 1071 con l'eccezione del Galles e della Scozza. Il conquistatore mantenne la preesistente suddivisione amministrativa del regno in una trentina di contee e di gruppi di villaggi posti sotto il comando di uno sceriffo, che presiedeva alle funzioni giudiziari, fiscali e militari. Il potere degli sceriffi era il bilanciato della presenza di giudici itineranti che agivano da corte d'appello. Guglielmo impiantò una maglia di castelli su tutto il territorio del regno, posti su unità fondiarie, che concesse in feudo ai baroni (vassalli del re che formarono la più alta aristocrazia) e ai cavalieri in gran parte normanni, badando a non favorire la creazione di signorie territoriali. Il re puntò su uno stretto controllo del sistema feudale ribadendo con il giuramento di Salisbury nel 1086 che la fedeltà dei vassalli minori non doveva essere di pregiudizio all’autorità regia. Con il colossale censimento detto Domesday book, completato nel 1086 il sovrano registrò ai fini fiscali tutte le proprietà fondiarie, i nomi dei vassalli e il numero dei capi famiglia del regno, anche per evitare eventuali usurpazioni. Gli incerti interregni seguiti alle morti di Guglielmo nel 1087 e di Enrico I nel 1135 avevano favorito un clima di guerra interna scatenata dai baroni, risolto solo dall'ascesa al trono di Enrico II primo re della dinastia dei plantageneti capace di riaffermare il potere monarchico. Egli cercò di recuperare i diritti regi sul demanio per assicurarsi una solida base di entrate e provvedere poi a ridurre gli spazi di manovra della grande nobiltà. Molti castelli signorili furono abbattuti e fu introdotta un’imposta che esentava i baroni dal servizio militare, in tal modo il peso militare dell'aristocrazia venne diminuendo mentre il progressivo espandersi dell’amministrazione regia apriva ai baroni la partecipazione agli apparati burocratici. Rafforzato fu anche l'obbligo degli sceriffi di versare periodicamente i proventi fondiari e fiscali delle loro contee davanti alla camera dello Scacchiere, organismo centrale di tesoreria. Nelle assise (assemblee giudiziarie dei signori e dei loro vassalli, nelle quali erano assunte decisioni di valore legislativo) di Clarendon nel 1164, Enrico II emanò delle disposizioni (costituzioni) che rivendicavano alla corona il pieno esercizio dell’autorità giudiziaria. Affermò il principio che chiunque potesse ricorrere alla giustizia del re, si posero le basi per un sistema (common law) in cui le giurisdizioni particolari, a cominciare da quelli feudali, potevano essere spogliate di cause rimesse alle corti regie, la cui articolazione tra tribunale centrale, giudici itineranti e corti locali fu ulteriormente rafforzata. Enrico II cercò di sottomettere alla giustizia regia anche il clero, ledendo il privilegio di immunità garantito dal diritto canonico. Si aprì così un conflitto durissimo relativo al controllo dell’elezione dei vescovi e degli abati, con il Papa Alessandro III e con il clero inglese guidato dall’arcivescovo di Canterbury Thomas Becket, già cancelliere della corona, che fu dapprima costretto all'esilio in Francia e poi assassinato in circostanze non chiare nel 1170. Il clamore del delitto costrinse il re ad alcune concessioni alla chiesa. Il prestigio e la forza della monarchia conobbero però un pesante regresso con i suoi successori. Le lunghe assenze dall’Inghilterra di Riccardo Cuor di Leone, impegnato nella 31 crociata e nelle guerre in Francia, lasciarono nuovamente spazio alle rivendicazioni della nobiltà. Giovanni Senzaterra subì la deposizione dal papa per contrasti con l'arcivescovo di Canterbury, fu sconfitto a Boivines nel 1214 e perse i possessi in Francia. I sacrifici imposti per finanziare le guerre nel continente lo costrinsero a concedere nel 1215 la Magna charta libertatum, che definiva i rapporti tra il sovrano e i sudditi. Il sovrano era chiamato a rispettare le antiche consuetudini e a riconoscere le prerogative dei nobili, del clero e delle comunità mercantili cittadine; nel caso di nuove imposizioni fiscali era richiesta la loro approvazione e fu formato un consiglio 25 baroni che avrebbe dovuto assistere il re nel governo del regno. Europa normanna-> Di origine scandinava, dopo una serie di incursioni effettuate nel corso del secolo IX i Normanni si insediarono stabilmente nell’Europa carolingia, dove si cristianizzarono. La costruzione del loro ducato in Normandia nel corso del X secolo fu accompagnata dall’acquisizione dei costumi sociali di derivazione franca. Essi cominciano a parlare il franco in tempi molto rapidi e rimase la loro lingua anche nelle successive espansioni al di fuori del ducato. Dei franchi fecero propri anche i valori cavallereschi innestandoli sulle proprie attitudini guerriere, fino a militare tra i capi delle prime spedizioni crociate in Terrasanta. Dal regno franco mutuarono anche modelli di organizzazione politica, in primo luogo la compenetrazione con le strutture ecclesiastiche: nel 996 col restauro del monastero di Mont-Saint-Michelle avviarono una politica di patronato che portò all'istituzione di un cenobio della famiglia ducale a Fécamp. Soprattutto dai franchi adottarono la pratica dei rapporti vassallatico-beneficiari, usano i vincoli feudali per legarsi ai sovrani: prima il re di Francia, cui nel 911 il capo Rollone giurò fedeltà diventandone vassallo in cambio dell'investitura della contea di Roue, nucleo del Ducatod di Normandia; poi il papa cui nel 1059 il principale esponente dei mercenari normanni insediatisi nell’Italia meridionale, Roberto d’Altavilla, giurò fedeltà in cambio del titolo feudale di duca di Puglia e di Calabria. All'interno del ducato di Normandia essi seperarono le funzioni militari svolte dai vassalli, dai compiti di natura amministrativa affidati a ufficiali. In tal modo essi furono in grado di esercitare un saldo controllo del territorio che servì da modello quando, nel corso dell'XI secolo, essi diedero vita alle due grandi direttrici migratorie che caratterizzarono la storia normanna: quella verso l'Italia meridionale e quella verso l'Inghilterra. Proprio perché costituiva una novità, la feudalità che essi applicarono nel regno d’Inghilterra e poi nella costruzione di quello nel mezzogiorno italiano fu di grado avanzato: l’inquadramento feudale fu omogeneo, per cui ogni potente locale era effettivamente un vassallo del re e chiaramente distinto dalla rete di ufficiali regi. I modi di applicazione furono diversi: in Inghilterra i normanni conquistarono il regno già organizzato e i re poterono contare su un preesistente apparato amministrativo che faceva capo alla corte; In Italia, dove giunsero come cavalieri mercenari, essi dovettero costruire un dominio unitario, ma già intorno alla metà del secolo XIIa essi furono in grado di effettuare un censimento degli obblighi feudali dovuti alla corona (catalogo dei Baroni). In Inghilterra si assimilarono alla cultura bretone e gallese, elaborando il ciclo letterario di re Artù. In Italia elementi arabi e bizantini fornirono loro strumenti affinati di governo e di comunicazione del potere. Ovunque nei loro domini organizzarono cancellerie e uffici di Corte che sostenessero l'autorità dei sovrani e ciò li avvicino precocemente al pensiero giuridico romano. Regno normanno nel meridione d’Italia-> All'interno di quello che rimaneva del ducato longobardo di Benevento si erano sviluppate due entità autonome, il principato di Salerno e la contea di Capua, mentre la stessa Benevento si era data alla Chiesa di Roma. Il superstite dominio bizantino si limitava ormai alla Puglia, sottoposta a un catapano e alla Calabria retta da uno stratego. Le maggiori città sulle coste campane (Gaeta, Napoli, Sorrento e Amalfi) si erano rese di fatto largamente autonome e proposte a capo di piccole contee. La Sicilia, in mano agli arabi da più di un secolo, soffriva delle crescenti lotte di fazione che dividevano violentemente i dominatori musulmani. La stessa Puglia fu scossa da un’insurrezione contro il governo bizantino fomentata dall’imperatore Enrico III tra il 1046 e il 1048. Nell’XI secolo giunsero al principato dal ducato di Normandia numerosi cavalieri chiamati dai principi longobardi e bizantini in lotta tra loro. Nel giro di pochi decenni alcuni avventurieri normanni riuscirono a costituire piccoli domini come ricompensa per i servizi militari prestati. Rainulfo Drengot ottenne la contea di Aversa dal duca di Napoli nel 1029 e Guglielmo d’Altavilla la contea di Melfi dal principe di Salerno nel 1041. I capi normanni strinsero con Nicolò II a Melfi nel 1059 un importante accordo che in cambio della sottomissione feudale al papato, conferiva a Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo cioè l'astuto, il titolo duca di Puglia e di Calabria, di terra cioè ancora in parte da conquistare e l’avallo alla conquista della Sicilia musulmana. L'accordo di Melfi garantiva al papato un prezioso alleato nello scenario Mediterraneo. Sotto la sua guida i normanni occuparono la quasi totalità dell’Italia meridionale, conquistando la Calabria nel 1060, la Puglia del 1071 e le città campane di Amalfi nel 1073 e di Salerno nel 1077. La sua azione mise fine alle presenze longobarde e bizantine in Italia; egli tentò anche una spedizione contro la Grecia bizantina nella quale trovò la morte nel 1085. Il fratello Ruggero avviò la conquista della Sicilia nel 1061, che terminò con la presa di Noto nel 1091, scontrandosi con la resistenza delle popolazioni locali, nonostante fu espugnata Palermo già nel 1072. Ruggero concesse in feudo piccoli domini ai suoi sostenitori, riservando alla sua famiglia il controllo della maggior parte dei territori. Urbano II gli concesse nel 1098 l’autorità di legato apostolico, 32 d’origine erano chiusi da la primogenitura ereditaria e che nei territori d'oltremare trovano invece occasioni di promozione sociale e di guadagno economico. Per difendere i luoghi sacri e per proteggere i pellegrini furono istituiti degli ordini monastici militari: dai primi i cavalieri del Santo Sepolcro e gli Ospedalieri di San Giovanni nel 1099 e poi Templari nel 1118. Sottoposti a disciplina monastica, i cavalieri dovevano osservare i voti di povertà, castità e obbedienza e difendere la cristianità con le armi. I regni cristiani non furono in grado di resistere a lungo di fronte alla reazione musulmana. La perdita di Edessa nel 1144 indusse il re di Francia a promuovere una nuova spedizione sostenuta dal papa e dalla predicazione del cistercense Bernardo di Chiaravalle, che la raffigurò come un atto di penitenza del re e dei suoi cavalieri. Condotta tra il 1147 e il 1148, la spedizione si risolse però in un nulla di fatto. Pochi decenni dopo si formò una nuova potenza islamica tra Egitto e Siria, sotto il dominio del sultano di origine curda Salah ed-Din Yusuf detto “Saladino” in Occidente, che riconquistò quasi tutti i territori occupati dai cristiani ed entrò trionfalmente in Gerusalemme nel 1187. Egli consenti ai pellegrini e ai mercanti cristiani di continuare ad accederv, ma l'evento ebbe vasta eco in Occidente. Una nuova spedizione fu guidata direttamente dall'imperatore e dai re di Francia ed Inghilterra tra il 1189 e il 1192. Anche questa volta i risultati militari furono scarsi, Gerusalemme rimase in mano musulmana e i cristiani si arroccarono in alcuni centri fortificati sulle coste e fu sancita la fine dei regni crociati. La riconquista musulmana di San Giovanni d'Acri nel 1291 segnò la fine della presenza crociata in Oriente. Pur inquadrandosi nell’idea della militia Christi le prime spedizioni avevano costituito dagli episodi a sé stanti, contingenti e privi di un disegno organico. Esso viene maturando solo a partire dal pontificato di Innocenzo III, durante il quale fu messa fuori l'idea di crociata, che diventa oggetto anche di approfondimento dottrinale. In precedenza, le spedizioni militari in Terrasanta erano state indicate nei termini di pellegrinaggio. Innocenza III per esempio indisse nel 1208 una crociata contro i catari della Francia meridionale. La crociata divenne un aspetto costante nella vita dell'Occidente. I crociati potevano partire individualmente o aggregarsi alle spedizioni minori che ogni anno muovevano per la Terra Santa o per l'est europeo. Le crociate non sì nutrirono solo di ideali religiosi e di interessi politici, offrirono anche occasione di arricchimento ai mercanti che si insediarono nelle città costiere degli stati crociati per incrementare i propri commerci. Furono soprattutto gli interessi dei mercanti italiani, intrecciati con quelli militari, a colpire a un certo punto anche l'impero bizantino. Temendo un peggioramento delle condizioni di commercio a Bisanzio, i veneziani offrirono ai crociati che si erano radunati a Venezia nel 1202 di trasportarli in Oriente in cambio di una spedizione contro Costantinopoli. La città fu presa e saccheggiata nel 1204 e anziché puntare a Gerusalemme i crociati si spartirono con i veneziani i territori dell'impero, dando vita a un nuovo impero latino d'oriente. Dopo di ciò il movimento crociato venne esaurendo gli ideali religiosi originali e si dimostrò incapace di realizzare gli obiettivi militari. Violenza nel cristianesimo e nell’islam-> La guerra condotta in nome del Signore e teorizzata sia nella Bibbia sia nel Corano. Nell’episodio del vitello d'oro Mosè, scoperta la regressione del suo popolo al paganesimo, dopo aver implorato e ottenuto perdono ordina ai Leviti, rimastigli fedeli di uccidere tre mila persone in un giorno ed è ancora più spietato nei confronti delle donne e dei fanciulli catturati a Madian e degli abitanti di Canaan. Giosuè, dopo l'assedio di Gerico, fece eseguire il massacro della sua popolazione. Allo stesso modo nel Corano il famoso verso della spada recita «uccidete politeiste ovunque li troviate» e quello della guerra chiama i musulmani a una lotta mortale contro ebrei e cristiani. Lo stesso Maometto indicato dal Corano come modello, guida di persona delle stragi di ebrei. Vero è anche che entrambi i testi sacri prendono le distanze dalla violenza: il Corano ha versetti che invitano a un alto senso di tolleranza, Il Vangelo invita ad amare il proprio nemico ed è intriso di pacifismo. Il giudaismo conduce la guerra del Signore per la sola terra d’Israele; l'islam invece ha il mondo intero come orizzonte di conquista. Nel medioevo la storia dei rapporti tra cristianità e mondo musulmano vide alternarsi per molti secoli relazioni pacifiche e violente. Le scorrerie dei pirati saraceni contribuirono però a far nascere una reputazione negativa delle popolazioni musulmane tra le popolazioni del Mediterraneo. Ulteriore ostilità fu alimentata dai resoconti dei pellegrini cristiani, reduci dalla Terra Santa dopo la conquista turca di Gerusalemme nel 1071. Ma furono soprattutto i predicatori a far nascere nell’immaginario comune l'idea della società islamica come un mondo nemico, ostile e temibile. Ne era convinto il monaco Bernardo di Chiaravalle principale predicatore della seconda crociata; lo pensava anche Urbano II, che nel 1095 Clermont lanciò un appello ai cavalieri cristiani invitandoli a recare soccorso ai fratelli orientali minacciati dall'avanzata turca, il pontefice introdusse tutti gli elementi tipici della guerra voluta da Dio, momento decisivo dell’eterna lotta tra il bene e il male, promettendo ai cavalieri la salvezza eterna in caso di morte sul campo. Prima del 1095 tra cristiani e musulmani si erano già combattute diverse guerre per motivi politici ed economici. La stessa reconquista spagnola, nelle prime fasi, fu più un conflitto per l'espansione territoriale che una vera e propria guerra contro gli infedeli. Infatti, l'eroe nazionale spagnolo Rodrigo Diaz de Vivar, protagonista del poema epico Cantar del mio Cid, all'inizio fu celebrato sia dai mori sia dei cristiani come cavalieri coraggiosi e senza macchia, pronto a difendere gli oppressi e il proprio onore. I mori lo chiamano el Cid (signore) e i cristiani el Campeador (combattente). Solo dopo la sua morte prevalse l'immagine del guerriero cristiano che strappa 35 agli infedeli le città del suo paese. Il Corano parla spesso di guerra e anche di jihad. Nella sura della vacca il fedele islamico è invitato a combattere principalmente per difendersi senza superare i limiti, «perché Allah non ama coloro che eccedono», nei versetti successivi si legge «uccidete gli infedeli ovunque li incontriate e scacciateli da dove vi hanno scacciati... Se però cessano, allora Allah è perdonatore e misericordioso.» il Corano considera infedele il politeista, questo rappresentò il fondamento e la legittimazione per l'espansione territoriale degli arabi nella penisola arabica: le popolazioni politeiste che la abitavano andavano o convertite o sterminate e tale fu la sorte dei beduini adoratori di idoli che abitavano l’Arabia nel VII-VIII secolo. Diverso fu il comportamento dell’Islam nei confronti dei cristiani e degli ebrei. non erano pagani politeisti, perché credevano anch’essi nel Dio unico, pur non essendo fedeli, cioè seguaci della rivelazione coranica, cristiani ed ebrei non erano nemmeno totalmente infedeli, poiché appartenevano alla gente del libro discendente da Abramo. Perciò cristiani ed ebrei rientravano nella categoria dei protetti e dovevano essere tollerati, evitando conversioni forzate. Nell’impero arabo essi potevano conservare la loro religione a determinate condizioni: dovevano pagare una tassa in denaro, abitare case più basse, rinunciare a predicare la propria fede o esercitare opposizione politica nei confronti dei governanti musulmani. L'interpretazione più diffusa del concetto di jihad, nel mondo musulmano, fu quella militare. Il mondo appariva diviso in due categorie, da una parte la casa dell’Islam e dall'altra la causa della guerra: questa seconda casa era abitata dai popoli non ancora convertiti alla fede vera e per questo potenziali bersagli di attacchi. Lo stesso Maometto fu un profeta armato, tuttavia alcuni teologi musulmani hanno sostenuto che il concetto di jihad non va preso alla lettera, ma interpretato: esso in arabo può anche significare sforzarsi con zelo e indica dunque uno sforzo morale e spirituale più che materiale e militare. Alcune correnti dell'islam hanno insistito nel conferire alla jihad questo valore di lotta all’impurità e all'ingiustizia, da condursi sia nel mondo esterno, sia nel cuore di ogni individuo con metodi non violenti. Oppure non essendo stata la posizione prevalente nell’ Islam, tuttavia essa è presente e operante. Allo stesso modo nel mondo cristiano molti maestri di spiritualità e di pensiero, come per esempio Francesco d'Assisi, predicarono il valore della pace, ricordando l'insegnamento di Gesù. Francesco si recò nel 1119 in Terra Santa per convertire con la parola e non con le armi. Ottenne un colloquio con il sultano Malik-al-Khamil, mentre le truppe crociate assediavano Damietta e se ne tornò salvo tra lo stupore generale. Oggi il concetto di jihad fa parte della retorica dei movimenti islamici radicali, così come le chiese cristiane non parlano più di guerre sante. Nobiltà e cavalleria-> Protagonisti della grande espansione crociata tra l'XI e il XIII secolo furono i cavalieri. Fino al XIII secolo la cavalleria era una professione praticata da persone di gruppi sociali assai diversi. Intorno al Mille i milites (guerrieri a cavallo) potevano avere un umile origine, si trattava di servi che servivano con le armi il proprio signore. Tra l'XI e XII secolo il mestiere di cavaliere venne specializzandosi e diffondendosi anche per l'effetto della sempre minore fedeltà armata dei vassalli dei signori, che si rivolgevano ai professionisti della guerra. Il costo crescente delle armi contribuì a restringere la cavalleria un’élite sociale, mentre il prestigio dell’attività dei cavalieri indusse un numero sempre più elevato di persone di alto rango a intraprendere il mestiere delle armi. Dal XIII secolo l’addobbamento cavalleresco fu riservato quasi esclusivamente ai discendenti dei cavalieri, che costituirono così un vero e proprio ceto ereditario. Furono le disposizioni regie tra il XII e il XIII secolo, che conferirono privilegi ai cavalieri e ai loro figli, a rendere una cerchia di famiglia giuridicamente superiore agli altri sudditi: le prime lettere di nobilitazione non erano altro che dei permessi di diventare cavaliere. La nobiltà cioè utilizzo progressivamente la dignità cavalleresca per differenziarsi dagli altri gruppi sociali. In origine infatti gruppi preminenti non avevano istituito una classe ereditaria, dotata di privilegi sanciti giuridicamente. L’aristocrazia dell'alto medioevo è costituita da una aristocrazia di fatto, definita dall'esercizio del potere, dalla ricchezza e dello stile di vita: un gruppo in continuo ricambio. Tra il XII e XIII secolo la cavalleria e i privilegi feudali chiusero ai nuovi ingressi una nobiltà di diritto: una classe ereditaria, giuridicamente privilegiata e progressivamente organizzata in una gerarchia di titoli e di dignità dispensati dalla corona. Dall'XI secolo furono promosse dai vescovi le “paci di Dio”, assemblee durante le quali i cavalieri giuravano di astenersi da violenze ingiustificate e di non usare le armi in certi periodi dell'anno. Dal XII secolo l'immagine del cavaliere difensore dei deboli fu proposta dall’epica cavalleresca e dai romanzi che narravano le vicende dei cavalieri ispirati della fede (come Parsifal all'inseguimento del Graal). Gli autori di romanzi cavallereschi in lingua d'oil (parlata nella Francia settentrionale) indicano con il termine Graal il calice eucaristico dell'ultima cena, in cui Giuseppe d’Arimatea avrebbe raccolto il sangue di Cristo dopo la deposizione. La coppa sarebbe poi andata perduta e la ricerca di questa reliquia divenne il nucleo narrativo, sia cavalleresco che religioso, del ciclo cavalleresco bretone. Cornice ideologica fu l’immagine tripartita della società elaborata da alcuni intellettuali ecclesiastici dell’XI secolo, Adalberone di Làon e Gerardo di Cambrai: un insieme organico di tre ordini in cui si distinguevano coloro che pregavano per la salvezza dell'anima di tutti (oratores), coloro che combattevano per la difesa della società (bellatores) e coloro che lavoravano per essa (laboratores). 16. La ricchezza economica 36 Crescita demografica-> L'incremento di popolazione che si è avviato dal IX al X secolo divenne impetuoso nel corso del XIII secolo. La crescita demografica era l'effetto combinato dell’assenza di gravi epidemie e del migliorato sistema alimentare, frutto dell'espansione dei coltivi e dei progressi dell'agricoltura, che consentivano una riduzione della mortalità infantile e una vita media più lunga. L'indicatore più spettacolare della crescita demografica fu l'incremento della popolazione urbana, che riguardò un po’ tutte le regioni europee. Le città furono attraversate da uno slancio edilizio mai conosciuto fino ad allora, con l'allargamento della cinta muraria comprendono nuovi spazi, la riduzione delle aree non ancora edificate e spesso lasciate a campo, la costruzione in altezza dell’abitazione a cominciare dalle torri. Nonostante l’impetuoso fenomeno di inurbamento, che spingeva masse crescenti di popolazione rurale a risiede nelle città, la maggior parte della popolazione europea rimase insediata nelle campagne. La crescita della popolazione urbana portò a un certo punto al calo della manodopera rurale e alla crescita del fabbisogno alimentare della città. Le tecniche agricole erano migliorate m non permettevano però di ottenere rese adeguate alla nuova domanda di cereali. Ciò spinse i proprietari fondiari a mettere a cultura terre marginali e meno fertili, più esposte alle variazioni del clima e alle carestie. L’equilibrio tra il numero degli uomini e le risorse a disposizione si ruppe e tra la fine del XIII e l'inizio del XIV secolo e la popolazione in crescita progressiva da secoli smise di crescere e in alcune regioni cominciò a diminuire. L'inizio della crisi gravissima che sarebbe scoppiata alla metà del ‘300. La tendenza economica espansiva iniziata intorno al Mille proseguì nel corso del XIII secolo, garantendo una congiuntura favorevole alle produzioni e agli scambi. Tra le manifatture ebbe grande sviluppo quantitativo e qualitativo quella tessile, in particolare la produzione della lana. L'impegno di nuovi macchinari, come la gualchiera o il telaio a piedi orizzontale, permise di produrre tessuti più robusti e in minor tempo. I più importanti produttori operavano nelle maggiori città delle Fiandre fiamminghe e francesi utilizzando le lane importate dagli allevamenti di pecore in Inghilterra. Anche le città italiane producevano panni, sebbene inizialmente di minore qualità. Firenze fu la prima specializzarsi nella rifinitura di stoffe acquistate nell’Europa del nord, presto seguita da altri centri. All'inizio del XIV secolo in varie città europee la produzione tessile impegnava la maggior parte della manodopera cittadina, sia maschile che femminile. I tessuti costituivano il principale prodotto che veniva scambiato con sete e cotoni grezzi, con tinture, spezie prodotti pregiati provenienti dall’Oriente e con pellicce, legname, pesce altre merci provenienti dall’Europa scandinava e orientale punto il commercio a largo raggio conobbe nel corso del XIII secolo una grande ripresa favorita dalla maggiore sicurezza delle vie di collegamento garantita dalla maggiore stabilità politica. Nel continente i mercanti si concentrano principalmente in tre aree: le fiere di Champagne, che però persero il prestigio che avevano avuto nel XII secolo; le Fiandre e l'area del Mar Baltico. Furono soprattutto i mercanti italiani a dominare il commercio internazionale, chiamati genericamente Lombardi dagli operatori d'Oltralpe, si fece predominante il ruolo dei fiorentini nella seconda metà del ‘200. In seguito, ebbero un ruolo di primo piano soprattutto Venezia e Genova, che si scontrarono per la supremazia. Il saccheggio di Costantinopoli verso cui si indirizzò la crociata nel 1204 fruttò ai veneziani enormi bottini, il controllo mercantile del Bosforo, l’estromissione dei genovesi e dei pisani dal territorio bizantino e l'apertura di empori in Siria, dai quali alcuni mercanti raggiunsero la Cina attraverso l'Asia, come fece Marco Polo tra il 1271 e il 1275. I genovesi tornarono attivi nell'area al seguito della restaurazione dell'impero bizantino per opera di Michele Paleologo, che compensò l'appoggio militare e finanziario dei genovesi con ampie concessioni per commerciare a Costantinopoli e nel Mar Nero. Nel Tirreno i genovesi si scontrarono con i Pisani per il controllo della Corsica e della Sardegna e delle rotte siciliane, la battaglia navale della Meloria del 1284, che inflisse durissime perdite a Pisa e segnò la supremazia di Genova. Alla figura avventurosa del singolo mercante si sostituirono forme di impresa più evolute, che associavano più individui negli investimenti, nei rischi e nei profitti. Nell'ambito del commercio marittimo si diffuse un tipo di contratto, detto prevalentemente commenda, in cui un mercante raccoglieva i finanziamenti necessari al viaggio da vari creditori ai quali, al ritorno restituiva i prestiti e una percentuale dei guadagni. Il commercio terrestre sollecitò invece la formazione di vere e proprie compagnie, cioè associazioni di capitali a carattere continuativo, che non si esaurivano in un'unica operazione ma duravano nel tempo e impegnavano spesso più individui nelle attività commerciali. Le compagnie sorgevano in genere tra i membri di una medesima famiglia. Per superare il disordine monetario esistente adeguandolo alle nuove esigenze commerciali, tra il XII e il XIII esimo secolo coniarono nuove monete d'argento dette grossi, di maggiore valore rispetto alle circolanti. Soprattutto dalla metà del ‘200 alcune autorità tornarono a battere nuovamente moneta d'oro, nel 1231 Federico II gli augustali, nel 1252 Firenze il fiorino e Genova il ducato, nel 1234 Venezia lo zecchino e a fine secolo la Francia lo scudo. La circolazione di monete di specie sollecitò lo sviluppo di nuovi servizi finanziari, offerti dai cambiatori o banchieri, che assicuravano il cambio delle monete e il prestito del denaro. Essi diffusero nuovi strumenti di pagamento come le lettere di cambio, cioè il documento notarile in cui si attestava il debito verso colui a cui doveva essere effettuato il pagamento di una somma. In pratica si trattava dell’antenato dell’odierno cambiale, che consentiva anche di trasferire accrediti da un banco ad un altro senza spostare la moneta, diminuendo il rischio di rapine. Il termine banco indicava la tavola di legno su cui 37 sostenne l'alleanza tra il re di Francia e Federico II che lo sconfisse nel 1214. Elaborò inoltre quell’organica idea di crociata che ispirò il rilancio della reconquista spagnola con la vittoria Las Navas de Tolosa nel 1212, le spedizioni in Oriente nel 1202 nel 1214 e la crociata contro i catari e nel 1208-09 che inaugurò la serie di guerre interne alla cristianità che i papi avrebbero condotto contro i dissidenti religiosi e nemici politici tra il XIII e XIV secolo. La misura del prestigio acquisito dal papato grazie a Innocenzo III fu data dal IV concilio lateranense che egli convocò nel 1215, dove convenne uno straordinario numero di prelati e dei rappresentanti dei principi vassalli della Chiesa di Roma. Celestino V e Bonifacio VIII-> Nel 1194 fu eletto col nome di Celestino V l'eremita Pietro Morrone, di rigorose spiritualità ma digiuno di esperienza politica, gradito alle componenti della chiesa con evocavano un rinnovamento evangelico: resosi conto delle inesorabili difficoltà che si opponevano ai suoi progetti, abdicò dopo pochi mesi. A succedergli fu Benedetto Caitani, membro di una potente famiglia romana e un uomo di curia, col nome di Bonifacio VIII. Egli celebrò la preminenza dell’autorità pontificia attraverso la programmazione nel 1300 del primo anno Santo (Giubileo) che promise l'indulgenza plenaria a pellegrini che avessero visitato le tombe degli apostoli a Roma. Il termine Giubileo risale a un uso previsto dalla legge ebraica, che imponeva ogni 50 anni, la celebrazione di un anno consacrato al riposo della terra, alla sua restituzione ai proprietari precedenti e alla liberazione degli schiavi. La festività era annunciata dal suono di un corno di capro (Giubileo in ebraico). Nel mondo cristiano il termine indica un anno di remissioni e indulgenze, dal 1475 si dispose che dovesse tenersi ogni 25 anni. Il successo dell'iniziativa non servì per continuare a proporsi come suprema autorità politica: il re di Francia, Filippo IV revocò l’immunità fiscale del clero, aprendo un duro conflitto che minò ogni residua pretesa universalistica dei pontefici. L'elezione del papa, di cui il Concilio lateranense terzo nel 1179 ribadì di esclusiva pertinenza ai cardinali, fu definitivamente disciplinata nel 1174 con l'istituzione del conclave, al fine di abbreviare i tempi e di regolare i modi. I cardinali rafforzarono anche il loro ruolo di principali collaboratori del papa: facevano parte del concistoro, il consiglio del pontefice e lo assistevano nel governo quotidiano della chiesa. I cardinali erano nominati dal papa, che in genere li sceglieva tra la propria clientela. Il papa si riservò anche la nomina dei vescovi, che fu sottratta al clero diocesano e ai canonici delle cattedrali. Le decretali, cioè i pareri richiesti ai papi sulle materie più varie, acquisirono valore di norme e furono integrati nel diritto canonico, che fu oggetto di intenso sviluppo. I cardinali furono chiusi per la prima volta per l’elezione pontificia nel 1216 quando fu fatto papa Onorio III. Francia-> Nel corso del XIII secolo i poteri monarchici conobbero un ulteriore rafforzamento in quasi tutti i regni europei, a contribuire decisivamente al consolidamento furono vari fattori: l'espansione del territorio controllato direttamente dai sovrani, spesso ottenuta per via militare, il potenziamento degli apparati burocratici che collegavano le circoscrizioni periferiche agli uffici centrali. Il crescente esercizio regio delle funzioni militari, fiscali e giudiziarie determinò nuovi conflitti con la nobiltà e le comunità urbane, che vedevano ridotti o contestati i propri diritti e privilegi. I regni vennero accentuando la loro natura composita, in una costante ricerca di equilibri tra le prerogative regie e gli ordinamenti particolari. Le conquiste territoriali avviate da Filippo II furono consolidate dai successori Luigi VIII e Luigi IX, che ampliarono verso sud il controllo regio: la pace di Parigi del 1259 sancì la definitiva acquisizione di gran parte dei territori francesi dei Plantageneti. Luigi IX operò sul piano internazionale favorendo la conquista del Regno di Sicilia da parte del fratello Carlo d’Angiò e promuovendo due sfortunate crociate, in cui trovò la morte. Mosso da profonda religiosità, che gli valse in vita fama di santità, sul piano amministrativo istituì nel 1247 le inchieste del regno per raccogliere le denunce degli abusi dei suoi ufficiali; rafforzò il ruolo degli uffici centrali di corte e avviò l'unificazione delle tradizioni normative giuridiche del ragno. Filippo IV il Bello, limitando l'autonomia giurisdizionale e fiscale del clero entrò in conflitto con papa Bonifacio VIII e convocò per la prima volta il Parlamento (stati generali) nel 1302 per ottenere il sostegno dei sudditi e per rivendicare la discendenza diretta da Dio del potere regio. Inghilterra-> Le perdite in terra francese e la concessione della Magna charta avevano indebolito le prerogative dei re inglesi. Nel suo lungo regno Enrico III dovete confrontarsi ripetutamente con le pretese dei baroni, della piccola nobiltà rurale (gentry) e delle città, che limitarono il potere regio. Il favoritismo nei confronti dei parenti francesi della moglie, Eleonora di Provenza, suscitò la ribellione dell’alta nobiltà, che ottenne l'espulsione degli stranieri e migliori condizioni fiscali con le Provvisioni di Oxford e di Westminster nel 1258-59. Il loro annullamento nel 1261 scatenò una guerra dei Baroni, guidati da Simone di Montfort, che convocarono per la prima volta il Parlamento inglese nel 1264 aprendolo ai borghesi delle città, ma furono sconfitti a Evesham nel 1265. Così Enrico III poté rafforzare l'apparato amministrativo, in particolare quello fiscale, che permise a Edoardo I (successore) di finanziare l'estensione del dominio regio a tutta l'isola. Egli conquistò il Galles nel 1283 e anche se per poco, la Scozia nel 1305, egli espulse gli ebrei dal regno. Sicilia-> Il rafforzamento del potere Regio in Sicilia fu perseguito da Federico II quando poté finalmente insediarvisi dopo l'incoronazione imperiale nel 1220. Con alcune campagne militari e distruzioni di castelli, egli rivendicò a sé i diritti regi usurpati dai baroni e ribadì l’assoggettamento delle comunità urbane. Innestandosi sulla preesistente 40 struttura normanna sviluppo inoltre un efficiente apparato amministrativo. Nel 1231 Federico raccolse nel Liber augustalis la sua legislazione. Egli assicurò al clero la completa immunità giurisdizionale e fiscale. Alla morte gli subentrò il figlio Corrado e alla morte di questi nel 1254 il minore Corradino, che fu usurpato nel 1158 da un altro figlio di Federico, Manfredi. Le lotte di successione indussero il papa francese Urbano IV, signore feudale dei re di Sicilia, ad affidarne la corona a Carlo d’Angiò, fratello del re di Francia Luigi IX, che sconfisse Manfredi a Benevento nel 1266 e occupò il regno ripristinando l'organizzazione amministrativa. Spagna-> La sconfitta dei musulmani nel 1212 consentire agli iberici ulteriori conquiste territoriali. Il Portogallo consolidò il controllo delle regioni atlantiche inglobando l’Algarve, la Castiglia annesse le città di Cordova e Siviglia, l’Aragona conquistò Valencia e le isole Baleari. Nel regno di Castiglia il potere della nobiltà entrò spesso in conflitto con la politica regi, soprattutto al tempo di Alfonso X, che trasformò la corte in un importante centro di cultura e promosse un’imponente raccolta legislativa. Il regno di Aragona si basava sul patto tra il sovrano e le diverse componenti del regno a rispettare le leggi consuetudinarie. Grazie ai mercanti catalani l'economia era soprattutto commerciale e proiettata sui traffici del Mediterraneo e sostenne l'espansione politica e militare dei re aragonesi che si insediarono in Sicilia tra il 1282 il 1302 e avviarono la conquista della Sardegna nel 1323. In entrambi i regni le istituzioni rappresentative (cortes) furono luoghi di mediazione politica tra le disposizioni regie gli interessi della nobiltà, del clero e delle città. Stato pontificio-> Agendo come un monarca, anche il papa rafforzò i poteri temporali sul proprio territorio tra il XII e il XIII secolo nucleo iniziale era stato il cosiddetto patrimonio di San Pietro, cioè l'area tra Umbria e Lazio dove si concentravano i maggiori possessi fondiari pontifici. Fu Innocenzo III ad espandere il territorio, facendosi giurare fedeltà dai nobili delle città del Lazio, dell’Umbria delle Marche e articolando i tratti essenziali dello Stato pontificio intorno a quattro province: Lazio meridionale, Tuscia, ducato di Spoleto e marca di Ancona. Nel 1178 fu aggiunta anche la Romagna. I pontefici curarono lo sviluppo di un apparato burocratico destinato a riscuotere in tutta la cristianità vari tributi, in un sistema fiscale complesso che faceva capo alla tesoreria di curia (camera apostolica) e ad amministrare un numero crescente di cause giudiziarie che richiedevano l'arbitro del papa. Europa orientale-> Nell’Europa orientale slava si erano formati tra l'XI e il XII secolo alcuni regni di grande estensione territoriale quanto debole coesione politica. Le monarchie non riuscivano a dare vita a forti strutture di governo e a contrastare la crescente potenza della nobiltà rurale. Fu la cristianizzazione a offrire un senso di identità a regioni su cui l'impero tedesco riuscì facilmente ad estendere la propria superiorità feudale. Il regno di Polonia, che si era costituito nel 1025 sotto la dinastia dei Piasti, fu scosso da rivolte popolari e da sempre più forti rivendicazioni della nobiltà, finendo col frazionarsi tra XII e XIII secolo in più di una ventina di principati. La più piccola Boemia divenne autonoma solo nel 1158 sotto la dinastia dei Premyslidi. In Ungheria la dinastia degli Arpad si consolidò nel corso dell'XI secolo con l’annessione in Croazia e Slovenia, ma fu costretta a riconoscere nel 1222 importanti privilegi ai nobili, aal clero e alle comunità rurali. La Bulgaria riconquistò la propria indipendenza da Bisanzio nel 1187 e raggiunse il massimo splendore con il regno di Ivan Asen II. Intorno al IX secolo gli slavi orientali erano penetrati nelle grandi pianure tra il Danubio e il Don stabilizzandosi nell'attuale Ucraina e nelle regioni vicine. Contemporaneamente dalla Scandinavia vi si erano insediati anche gruppi di commercianti e guerrieri vareghi che le popolazioni slave chiamavano “rus”. Fu il loro capo, Oleg che nell’882 unificò il principato di Novgorod con quello di Kiev, dando vita al principato di Kiev o Rus. Il regno a maggioranza slava adottò la lingua slava e sotto Vladimir I, che sposò la sorella dell'imperatore di Bisanzio Basilio II, si convertì al cristianesimo ortodosso e si aprì all’influenza della civiltà bizantina. Con Iaroslav il Saggio che raccolse per iscritto le consuetudini in un codice russo, il principato raggiunse la massima potenza e si estese fino a controllare le grandi vie di commercio tra il Baltico, l'Europa e l'Oriente. Dopo un estremo tentativo a opera di Vladimir II di ridare unità al dominio, esso andò incontro a un processo di divisione in vari principati che lo portarono al declino. Dall'inizio del XIII secolo venne formandosi nelle steppe asiatiche una vastissima dominazione per opera di tribù nomadi originarie della Mongolia. Guidati da Temujin, detto Gengis Khan cioè “signore universale”, i mongoli conquistarono rapidamente la Cina settentrionale, l'Asia centrale e la Russia orientale grazie alle truppe di arcieri a cavallo. I successori fecero incursioni verso i paesi musulmani fino all’Egitto, convertendosi in larga parte all’Islam e giungendo a saccheggiare Baghdad nel 1258. In Europa (dove furono chiamati tartari) compirono razzie spingendosi nel 1240 fino alla Polonia, alla Slesia e all’Ungheria, minacciando Vienna e affacciandosi anche sull'Adriatico. Dalla metà del ‘200 i mongoli cominciarono però a ripiegare per le rivalità sempre più accese tra i loro capi. L’enorme impero, che si estendeva dalla Corea alla Persia fino ai confini della Polonia , si divise in khanati. Dopo la distruzione di Kiev nel 1240 per quasi due secoli i principati slavi furono resi tributari del khanato dell'Orda d'oro con capitale Sarai, accentuando il distacco della Russia del resto dell’Europa. 18. Il rinnovamento della cultura Il numero di persone in grado di leggere e scrivere si allargò considerevolmente, coinvolgendo i laici. L'aumento dell'alfabetizzazione fu l'esito della necessità di una società in espansione dove la crescita dei commerci richiese la 41 redazione per iscritto degli accordi e delle transazioni. Si fece così più intensa la produzione e la conservazione dei documenti scritti e redatti dai notai e degli stessi mercanti. Inadeguato rispetto alle nuove esigenze si rivelò il sistema scolastico centrato sulle scuole monastiche e vescovili. Nelle città sorsero così le scuole di base, prima private e poi dal XIII secolo organizzate dalle autorità pubbliche, che insegnavano a leggere, a scrivere e a far di conto, sulla base dei libri d’abaco e le scuole di apprendistato organizzate dalle corporazioni dei maestri. Quando il matematico Leonardo Fibonacci contribuì alla diffusione nell’Occidente europeo delle cifre arabe con il libro dell’abaco nel 1202, il termine passò ad indicare l'arte del contare. È dunque possibile parlare di laicizzazione della cultura. Tra l'XI e il XII secolo si affermò un fenomeno nuovo: la messa per iscritto di testi in volgare. In precedenza, lo scritto era riservato quasi esclusivamente al latino, allora acquisirono dignità letteraria anche le lingue parlate comunemente. Nella definizione dei modelli culturali ebbero un ruolo di rilievo i gruppi nobiliari, con la diffusione della letteratura epica che narrava le gesta dei guerrieri e della poesia d'amore. La prima si sviluppò nel nord della Francia, verso un pubblico che stava elaborando l'etica del cavaliere cristiano: la Chanson de Roland è il testo più rilevante. La seconda affascinò il pubblico della corte e fu diffusa dai trobadori, cioè colore che si esprimevano a parole in musica per mezzo di tropi. Trobadore indicò alla fine dell'XI secolo i compositori di poesie in lingua d'oc destinate a essere cantate e accompagnate con la musica. Gli autori erano quasi sempre personaggi di rango elevato. Nulla a che vedere con i menestrelli e giullari che erano invece dei meri esecutori e divulgatori di testi altrui. Nelle regioni meno romanizzate la comparsa dei testi volgari era stata più precoce: tra l'VIII e il X secolo erano stati composti il poema eroico del Beowulf all'origine della lettura anglosassone e la vasta produzione di saghe dell’Irlanda celtica. Emblema di una rinnovata spiritualità, di forte impronta monastica ne fu lo stile che fu poi detto romanico nel XIX secolo. Esso si diffuse dapprima nell’Italia settentrionale e in Catalogna per poi estendersi a tutto il continente tra il X e il XII secolo; le chiese romaniche rappresentarono il trionfo della pietra quale elemento costruttivo, impiegata per la copertura con volte a crociera e a botte e adattata a tutti gli elementi architettonici, che risultarono più pesanti. Le iniziali forme spoglie, care ai cistercensi, lasciarono progressivamente il posto a rilievi scultori sui capitelli e sulle facciate. Le città si dotarono di nuove cattedrali, simbolo della crescita economica e civile e tra gli esempi più splendidi c’è il Duomo di Pisa eretto tra il 1065 e il 1118. Le forme del romanico furono varia a seconda delle regioni: influenzato dello stile arabo, nelle aree di confine cristiano-musulmane della Spagna e dell'Italia Norman o da quello paleocristiano e bizantino in Italia. La trasformazione del libro nel XII secolo-> Nella seconda metà del XII secolo si produsse una profonda trasformazione del modo di concepire il libro. Il testo venne scritto con caratteri più piccoli e fu diviso in paragrafi e capitoli, dotati di titoli e di sommari per permettere di ritrovare rapidamente un argomento e soprattutto cominciarono ad essere usati gli indici alfabetici per organizzare i materiali contenuti nei volumi. L'alfabeto fonetico esisteva già da quasi 2000 anni ma nessuno fino a quel momento aveva pensato di utilizzarlo come strumento per schedare quindi ritrovare le informazioni. Gli intellettuali cominciarono a usare il libro non come strumento per la meditazione privata sulla storia della salvezza, ma come materiale da ricombinare per creare un testo nuovo. Questa novità culturale si accompagnò ad altri cambiamenti, di carattere materiale: fu necessario disporre di un nuovo supporto materiale la carta più economico della pergamena; si dovete trovare un nuovo tipo di inchiostro, composto da una soluzione di sale metallico e tannino, una sostanza ottenuta dalla bollitura della corteccia delle ghiande della quercia; infine si dovete anche inventare un sistema per tagliare e rilegare insieme i fogli, in modo che potessero essere facilmente consultati e trasportati. Il risultato complessivo di questi processi fu, già molto prima dell'invenzione della stampa, la creazione della pagina come la intendiamo oggi. Da questo punto di vista l'invenzione dei caratteri mobili della stampa, attorno alla metà del ‘400, non fece che meccanizzare rendere riproducibili in grandi quantità un processo che esisteva già. Università-> Cruciale fu l'evoluzione dell'atteggiamento nei confronti degli autori della tradizione latina e patristica, alle cui autorità si cominciò a guardare reputando lecito di non fermarsi a essa ma di ricercare nuove verità. Le curiosità intellettuali fecero leva innanzitutto sul recupero dei testi di autori greci come Platone, Aristotele o Euclide fino ad allora poco o per nulla conosciuti in Occidente. Le traduzioni dal greco, dall'ebraico e dall'arabo consentirono la riscoperta di questi testi. Tramite della circolazione del pensiero greco fu soprattutto la Spagna musulmana, dove vari commentatori arricchirono la tradizione scientifica classica: Averroè le opere filosofia di Aristotele e Maimonide quelle mediche di Ippocrate e di Galeno. L’afflusso di nuove conoscenze e la crescente richiesta di istruzione di carattere avanzato portarono alla formazione di nuovi luoghi di formazione del sapere: gli studi, come allora si indicavano le università. Il primo studium sorse a Bologna alla fine dell'XI secolo per iniziativa di associazioni di studenti interessati a ricevere lezioni di diritto da maestri laici qualificati, mentre a Parigi alla fine del XII secolo, per volontà dei chierici professori di teologia della scuola episcopale di sottrarsi al controllo del vescovo. A Oxford degli studi vi furono importanti in seguito al trasferimento del 1167 di studenti e di maestri da Parigi. Allo stesso modo l'università sorse a Padova nel 1122 per una diaspora di studenti e docenti da quella di Bologna. A Napoli nel 1124 42 autonomia e non indipendenza da ogni altro potere. La libertà delle città significa autonomia ma non indipendenza, perché esse continuarono a riconoscere la formale superiorità di altri poteri, imperiali, regi o principeschi. Il laboratorio politico italiano-> Soprattutto nelle città italiane si impegnarono varie generazioni di intellettuali nell’esaltazione dell’autogoverno cittadino: dal maestro di retorica Boncompagno da Signa, che insegnò a Bologna, Venezia, Padova e Reggio, al notaio e cancelliere del Comune di Firenze Brunetto Latini; dal giudice Albertano da Brescia che rappresentò la sua città nella Lega lombarda e che fu autore di alcuni trattati morali e pedagogici che ebbero grande diffusione nel mondo della citta, il collaboratore giudiziario dei podestà Giovanni da Viterbo; dal predicatore domenicano Remigio de Girolami, discepolo di Tommaso d’Aquino a Parigi, a lungo priore del convento fiorentino di Santa Maria Novella e autore di trattati teologici, etico-politici ed etico-economici che contribuirono a diffondere nelle città italiane il pensiero politico di Aristotele; da Giotto di Bondone che per primo legò la raffigurazione del tema dei vizi e delle virtù alla tecnologia della cittadinanza, in cicli di opere dipinte a Padova, a Firenze e alla Corte milanese di Azzone Visconti, a un pittore come Ambrogio Lorenzetti che tra il 1337 il 1339 affrescò il Palazzo Pubblico di Siena le allegorie del buono e del cattivo governo. Con le loro opere e con le loro riflessioni intellettuali contribuirono a far sì che nelle città italiane la politica venisse riscoprendo l'arte di governare con giustizia, per la libertà dei cittadini e la pace della comunità e educare il buon governante, anche attraverso l’eloquenza pubblica, al perseguimento del bene comune e a reggere la città nell’esclusivo vantaggio dei suoi cittadini. Italia comunale-> Alla morte di Federico II nel 1150, gli assetti interni alle città italiane non ritornarono allo stadio precedenti all’azione lanciata dal sovrano contro Lega lombarda. Lo spazio politico della città, che prima era occupato principalmente dalle istituzioni del comune podestarile, fu condiviso da più soggetti: non solo dal popolo ma anche dalle corporazioni di mestiere, dalle parti e dai poteri personali e signorili. Ciascuna di queste forze si affermò con proprie istituzioni e propri statuti. Nel tempo il sistema tese a farsi sempre più complesso e i conflitti a vertere sempre più duramente sull'accesso al governo e ai consigli cittadini. L'effetto più evidente fu la moltiplicazione dei processi di esclusione dagli affari politici (che si generalizzò dalla seconda metà del ‘200) e sempre più spesso dalle città stesse. I protagonisti principali ne furono le parti che si erano formate all'interno delle città tra i fautori della pars imperi e quelli della pars ecclesiae, nel contesto del conflitto che aveva contrapposto i sovrani svevi e i pontefici tra la metà del XII secolo e la metà del XIII secolo. Alle partes aderivano non solo le famiglie di milites e di grandi banchieri e mercanti, che esprimevano i capi parte, ma anche le rispettive clientele di amici, parenti e vicini. I guelfi e ghibellini erano i fautori della chiesa pontificia e quelli dell'impero. L'origine dei nomi risale a vicende dinastiche tedesche che contrapposero sin dal XII secolo la stirpe degli Hohenstaufen (gli svevi), designata attraverso il nome di un castello , Waiblingen, a quella dei Welfen cioè i duchi di Baviera. L'affermazione violenta di una parte si traduceva nel’ esclusione della città dei nemici di quella avversa; i fuoriusciti, banditi o esiliati si rifugiavano nei castelli del contado o nelle città amiche congiurando per rientrare militarmente nella città di origine e conseguendo una minaccia costante. In alcune città ai governi di popolo che si battevano per l'allargamento della base sociale della cittadinanza non esitarono ad escludere dagli uffici politici numerose famiglie dell'aristocrazia militare che vi erano da tempo presenti. I membri di queste famiglie furono colpiti da una legislazione speciale che li indicò come magnati (potenti), in base all'accusa di praticare uno stile di vita violento, soprattutto quando rivolto contro i buoni cittadini popolani e che combinò l'esclusione dagli uffici politici con pene più gravi rispetto all’ordinario. Nella seconda metà del XIII secolo emerse con evidenza l’inadeguatezza delle istituzioni comunali a configurare sul piano politico la complessità dell'evoluzione delle città, fu in questo periodo che si compì quasi ovunque il superamento dei governi comunali in una varietà di soluzioni spesso ibride: governi di parte, di popolo, di pars e popolo, a guida personale, di signore e popolo, dominazioni esterne e altri. Esito generale fu il venir meno della partecipazione allargata ai gruppi sociali diversi che aveva caratterizzato per qualche tempo la vita politica di alcune città sotto la guida dei governi di popolo. La varietà di configurazioni che potevano assumere i sistemi politici cittadini e ben esemplificata dal caso di Firenze, dove tra il XIII il XIV secolo si alternano governo di popolo, esclusioni magnatizie, bandi ed esili di parte, esperienze signorili e chiusure in senso oligarchico. Tra il 1267 e il 1343 per ben 26 anni la città si diede infatti in signoria ai sovrani angioini, grandi alleati della città, che vi inviarono propri vicari e ufficiali. Un governo popolare delle arti fu istituito nel 1982 e una severa legislazione antimagnatizia fu emanata tra il 1293 e il 1295, sotto il nome di «ordinamenti di giustizia». Le lotte di fazione, originate intorno alla faida tra le famiglie dei Cerchi e dei Donati, portarono nel 1302 al bando della città di centinaia di individui appartenenti alla parte filo ghibellina, tra cui Dante Alighieri. L'esito fu la selezione di un gruppo dirigente guelfo angioino, a guida mercantile, che tra i 1328 il 1332 consolidò a proprio favore meccanismi elettorali di accesso ai consigli e agli uffici di governo. A Modena i governi di popolo si alternarono a predomini di parte di tipo signorile: nel 1306 furono tanti gli individui dichiarati magnati. A Parma al regime di popolo che emanò una dura legislazione antimagnatizia, fecero seguito la signoria di Liberto da Correggio del 1303, un rinnovato governo popolare del 1316 elezione dei Rossi a 45 signorie nel 1328. A Bologna la selezione del gruppo dirigente fu perseguita attraverso una serie di misure antimagnatizie di esclusione politica, con il sostegno del popolo nel 1174 la fazione guelfa dei Geremei si impose su quella ghibellina dei Lambertazzi con migliaia di provvedimenti di bando ed esilio. Fu poi il popolo guidato dalla potente corporazione dei notai a esautorare i capi della parte geremea con un apposito ordinamento antimagnatizio. Nel 1292 si procedette a una complessa revisione delle misure di proscrizione, rinnovando gli ordinamenti e aggiornando la lista dei banditi, moltissimi furono gli individui che negoziarono la loro riammissione in un più ristretto gruppo dirigente. In numerose città i consigli municipali cominciarono a conferire un singolo cittadino eminente (spesso titolare di cariche come quelle di potestà o di capitano del popolo, come fu il caso di Martino della Torre a Milano o di Mastino Della Scala a Verona) un potere incondizionato e svincolato dagli statuti delle città, per un tempo definito o a vita. Al signore così eletto erano assegnati compiti particolari per la difesa militare, la sicurezza e la pacificazione interna della città, così come lo si autorizzava a espellere i membri delle fazioni avverse. A lungo, fino all'inizio del XIV secolo, i cittadini considerano le forme di governo a comune, al popolo e a signore, come risorse possibili a cui ricorrere in funzione delle necessità e delle circostanze. Le signorie-> L'affermazione dei poteri signorili fu più precoce nelle città padane rispetto a quelle dell'Italia centrale. Ciò fu dovuto alla capacità di alcuni grandi signori di costituire dominazioni su città e territori rurali sfruttando i conflitti tra le fazioni e le rivalità tra le diverse città. Il caso più noto è quello di Ezzelino dei conti da Romano, che dai suoi feudi trevigiani estese la sua autorità su Verona, Vicenza, Padova e Treviso tra il 1226 e il 1259. Simile fu l'esperienza di Roberto di Pallavicini, che trasformò la funzione di vicario di Federico II in una diretta signoria su alcune città emiliane e lombarde. Un'analoga dominazione fu stabilita da Guglielmo VII dei Marchesi del Monferrato, che fu dissolta dai Savoia e dai Visconti. Queste costruzioni signorili si estinsero con i loro protagonisti, per la fragilità di domini ramificati sul territorio ma non radicati in alcune città. Più stabili e durature si rivelarono le signorie che si svilupparono all'interno dei singoli centri urbani per iniziativa di famiglie influenti. Il profilo sociale poteva essere assai differente. Gli Este, che si affermarono su Ferrara, derivavano la loro autorità dai legami feudali. Origini comitali avevano i Della Torre che si appoggiavo alle organizzazioni di popolo a Milano. Famiglia cittadina, ma non di milites, era quella dei Della Scala che cominciarono ad affermarsi a Verona, legandosi alla corporazione dei mercanti e ai movimenti di popolo. Stirpe aristocratica, legata all’episcopato, fu quella dei Visconti che nel 1277 si sostituirono ai Della Torre a Milano. In Toscana, dove le signorie si affermarono stabilmente solo dal primo ‘300, era di tradizione comitale la famiglia dei Donoratico che si insignorì di Pisa ed episcopale quella dei Tarlati, signori di Arezzo. Tendenza comune a molte esperienze signorili fu la capacità dei discendenti di farsi attribuire cariche a vita in qualità di signori generali e permanenti, alcuni ottennero anche la facoltà di designare un successore, che doveva comunque essere riconosciuto formalmente dagli organi del comune. L'introduzione del principio ereditario consentì di fondare vere e proprie dinastie signorili. Intorno alle dinastie signorili cominciarono a formarsi delle corti, con ruoli, cerimoniale e stile di vita cavallereschi; la ricerca del consenso passò anche attraverso un processo di legittimazione che adottò i linguaggi dell'architettura, delle lettere delle arti, per diffondere l'immagine encomiastica del signore. Pur diversi nella forma, i governi signorili non cancellano i tratti più tipici del sistema politico comunale, di cui costituirono l'evoluzione e il superamento. La partecipazione politica perse vigore e assunse un tenore consultivo, molte istituzioni di origine comunale rimasero in vita. Il sistema delle corporazioni sopravvisse in quasi tutte le città e ben saldi si mantennero gli organismi mercantili. Quando poi molte città furono sottomesse a signori esterni i gruppi dirigenti non persero il loro ruolo: la limitazione dell'autonomia politica fu spesso compensata dal loro rafforzamento in ristretti patriziati che continuarono a sedere nei consigli e a occupare gli uffici municipali. Verso la metà del XIV secolo si erano ormai stabilmente affermati i governi signorili in quasi tutte le città comunali. Solo in pochissime erano sopravvissute esperienze di comune, come a Siena si era consolidato un nucleo di circa 60 famiglie aristocratiche di orientamento mercantile finanziario, incentrato intorno al governo dei Nove. A Venezia la città era retta da un doge e le grandi famiglie di mercanti reagirono al diffondersi di lotte di fazione e di congiure aristocratiche allargando nel 1297 il Maggior consiglio a uomini nuovi, per procedere poi ad ammissioni selettive: si formò così un elettore d'Italia, coerente per interessi economici, che escluse le casate nobiliari e le famiglie popolane. Più instabili furono gli equilibri a Genova, dove un’oligarchia mercantile-finanziaria elesse doge a vita, il ricco mercante Simone Boccanegra, affiancato da un collegio di anziani scelti fra i popolari, mentre i nobili furono esclusi dagli uffici più importanti. 20. Depressione demografica e ristrutturazioni economiche La popolazione europea subì un drammatico calo nel corso del XIV secolo, la spiegazione più plausibile appare quella della cosiddetta sovrappopolazione relativa, vale a dire dello squilibrio che si venne a creare tra disponibilità di risorse alimentari e numero di uomini. A causa della strutturale carenza di concime, l'agricoltura non riuscì a incrementare ulteriormente la produzione cerealicola per sfamare una popolazione sempre più numerosa. La pressione demografica aveva spinto a estendere la coltivazione a terreni marginali che fornivano scarsi raccolti e a 46 sfruttare eccessivamente i suoli finendo con renderli sterili. Certamente influirono una serie di annate di eccezionale maltempo, con inverni più rigidi e piogge più frequenti, che alcuni storici del clima ritengono essere stato l'inizio di un ciclo meteorologico più freddo. Ma la penuria fu generalizzata, non più compensata dalle importazioni a lunga distanza di cereali. La crisi annonaria era strutturale, dovuta agli scompensi dell’economia agricola e all’evoluzione demografica. Dopo molto tempo in Europa si ricomincia a morire di fame. Dalle campagne affamate affluirono in città contadini in cerca di fortuna, ma le autorità cercarono di ostacolarne l'ingresso perché già alle prese con popolazione in precarie condizioni alimentari. I prezzi dei cereali aumentarono fino a 10 volte rendendo proibitivo l'acquisto del pane. Su una popolazione già provata da anni da difficoltà si abbate dal 1347 una terribile epidemia di peste bubbonica (per i rigonfiamenti, detti bubboni, delle ghiandole linfatiche delle ascelle e dell'inguine) o nera (per le macchie scure che produce sulla pelle) proveniente dall'Asia. La malattia fu trasmessa dalla puntura delle pulci parassite del ratto nero e poi nella sua forma polmonare, ancora più micidiale. Il suo dilagare favorito dalle precarie condizioni igieniche e dalla denutrizione colpiva in primo luogo gli strati sociali più umili della popolazione, che soprattutto in città vivevano in condizioni malsane e non potevano fuggire il contagio, come fece invece molti ricchi isolandosi nelle proprietà in campagna. Era dalla fine del VII secolo che l'Occidente europeo non vedeva più epidemie di quel genere, forse a causa dei mutamenti climatici avevano reso il clima europeo inospitale al bacillo. La peste si diffuse attraverso le vie di commercio, dal Kazakistan il bacillo giunse in Europa attraverso le vie carovaniere che collegavano le steppe asiatiche agli empori commerciali del Mar Nero. Da qui, trasportata da topi annidati nelle stive delle navi dei mercanti genovesi, la peste sbarcò dapprima a Costantinopoli e poi a Messina nel settembre del 1337. Dalla Sicilia risalì il continente, toccando il culmine dell’infezione nel 1348, quando il contagio raggiunse l'Italia comunale, la Francia, la Spagna, la Germania e poi nel 1349 l'Inghilterra, la Scandinavia, l’Ungheria e nel 1350 anche la Russia, risparmiando poche aree e causando un enorme numero di morti. Si calcola che nella prima ondata la peste uccise circa un terzo della popolazione europea, con forti differenze tra le diverse regioni e le città e le campagne, dove l'incidenza fu minore. Per circa un secolo furono ricorrenti le ondate di contagio, esse abbassarono ulteriormente i livelli della popolazione e resero effimero a lungo ogni processo di ripresa demografica. Non si assistette cioè a un calo repentino della popolazione, ma ad un calo graduale, che raggiunse il punto più basso solo nei primi decenni del XV secolo. A ripopolare le città di nuovi abitanti furono i flussi di immigrazione dalle campagne più che la crescita naturale della natalità. Il susseguirsi delle guerre in molte regioni europee ebbe molto peso sul declino demografico delle campagne; gli eserciti (in particolare le milizie mercenarie disoccupate) saccheggiavano le aree rurali, razziavano i raccolti e le bestie, compiendo violenza sulle donne, catturando ostaggi e contribuivano a diffondere le epidemie, per le pessime condizioni igieniche in cui vivevano. I saccheggi e le devastazioni spingevano la gente a fuggire dalla campagna e a trovare rifugio nelle città. come nei secoli VI e VII, la crisi demografica f quasi sempre determinata dal combinarsi di questi fattori: le guerre, le carestie e le epidemie. Intere regioni spopolate dalla crisi, come per esempio l’Andalusia e la Maremma, non si ripresero più. Nelle campagne il calo demografico significò una ristrutturazione dell’habitat: diffuso fu il fenomeno dell'abbandono dei villaggi, scomparvero molti piccoli insediamenti, soprattutto quelli non fortificati. Economia-> In alcuni settori e in alcune regioni la trasformazione portò occasioni di sviluppo, in altre accentuò la recessione. Il calo della popolazione significavo meno persone disponibili per la coltivazione dei campi e la lavorazione manifatturiera e meno bocche da sfamare. Conseguentemente i proprietari fondiari e gli imprenditori si contesero un numero minore di lavoratori che li costrinse a offrire loro migliori condizioni: ciò favorì l'aumento dei salari dei braccianti agricoli e dei lavoratori urbani. La crescita dei salari fece però aumentare i costi di produzione e i prezzi dei manufatti, ma il minor numero di uomini determina un calo della domanda sia di beni alimentari sia dei prodotti e quindi i prezzi dei cereali e dei generi alimentari diminuirono. Ciò comportò una riduzione dei margini di profitto sia dei proprietari sia degli imprenditori, che venne compensata da interventi normativi per bloccare i salari e svalutarli. Generalizzato fu il calo della produzione agraria, ovunque furono abbandonate le terre marginali e di bassa rendita, che tornano a ricoprirsi di sterpaglie e di boschi, il risvolto più negativo fu l'abbandono delle bonifiche e dei contenimenti delle acque, che generò erosione dei suoli, impaludamenti, desertificazioni, come per esempio in Sicilia in Andalusia. Il ritorno alla coltivazione di terre migliori consentì di ottenere rendimenti più elevati e dalla caduta dei prezzi dei cereali, molti proprietari diversificarono la produzione verso colture specializzate, più pregiate e redditizie: vino, olio, riso, canna da zucchero, frutta. Le terre incolte furono trasformate in pascoli dando luogo a un eccezionale sviluppo dell'allevamento, soprattutto ovino come in Inghilterra, Germania, Ungheria e Sicilia. Intere regioni si dedicarono alla pastorizia, organizzando la transumanza, cioè lo spostamento stagionale delle greggi dalle montagne alle pianure: in Spagna gli allevatori riuniti in associazione (la mesta) influenzano l'economia di molte aree, spesso in conflitto con i coltivatori; nella Maremma toscana e laziale e nel Tavoliere delle Puglie l'uso delle terre da pascolo fu fatto pagare. La carne cessò di essere una pietanza rara e tornò anche sulle tavole dei contadini e dei salariati. La produzione agricola fu sempre più orientata alla sua commercializzazione, con la specializzazione delle 47 sussistenza in uno stato di crescente indebitamento e il loro isolamento nei poderi ne limitò le forme di solidarietà. Forte sviluppo avevano avuto tra il XIII il XIV secolo la corporazione dei maestri, ne facevano parte i proprietari e i capi delle botteghe, i soci e i collaboratori, tra gli apprendisti, ma non i laboratori salariati. Essi non avevano diritto nemmeno a costituire proprie corporazioni. Una tale divisione sociale e giuridica del lavoro consentiva agli imprenditori di fissare i massimi salariali: misure di blocco furono all’origine di tensioni e sommosse nel mondo delle manifatture, come quelle scoppiate a Firenze tra il 1343 e il 1345. Le città delle Fiandre conobbero per più di un secolo sino al 1297 tumulti e insurrezione, inasprite dal blocco delle importazioni di lana inglese in seguito alla guerra ed al crescente sentimento di autonomia dalla dominazione francese. In molte città gli artigiani tessili, in lotta con gli imprenditori, riuscirono a prendere posto nei consigli cittadini e imporre governi basati sulle arti. Nelle città tedesche si ebbero almeno 80 rivolta di vario genere tra il 1360 e il 1430. Il tumulto più noto fu quello che esplose a Firenze nel 1378 per iniziativa degli operai della lana, chiamati spregiativamente «ciompi» per la loro sporcizia e trasandatezza, che svolgevano la parte meno qualificata della lavorazione. Come nel caso dei rivoltosi inglesi anch’essi definirono le proprie richieste: partecipazione al governo del comune con una propria arte, aumento dei salari, tutela dalle vessazioni giudiziarie della corporazione della lana. Insorti a migliaia i ciompi ottennero inizialmente per i propri rappresentanti un terzo delle cariche di governo, ma furono comunque duramente repressi dalla reazione degli imprenditori. I vagabondi cominciano a essere percepiti come individui pericolosi: in Inghilterra nel 1349 e in Francia nel 1351 furono adottate le prime misure repressive contro di essi. Per combattere la povertà molti governi adottarono politiche di assistenza, fondando enti caritativi e ospizi, distribuendo elemosina in denaro, alimenti e vestiti, raccogliendo i fanciulli abbandonati, costituendo doti per le ragazze povere. Per impulso dei francescani, nelle città italiane furono fondati i Monti di pietà (il primo a Perugia nel 1462), che erogavano piccoli prestiti su pegno a interessi contenuti. Il ‘400-> Dalla metà del XV secolo iniziò una fase di crescita, lenta ma costante, che non conobbe battuta d'arresto sino ai primi decenni del XVII secolo. Il recupero demografico fu più precoce in Spagna e in Italia, più tardi in Francia e in Inghilterra. La ripresa diede luogo anche a una redistribuzione della popolazione, come avvenne in Italia dove il peso demografico del Mezzogiorno si fece più consistente e le città meridionali diventarono tra le più popolose del continente. Nel settore agricolo l'Olanda, la Lombardia e l’Inghilterra meridionale svilupparono un sistema integrato di colture e allevamento progredito per l'epoca. Basato su un avanzato regime idraulico che consentiva l'irrigazione dei prati e la coltivazione di foraggi che nutrivano bestiame allevato in stalle e destinato a fornire concime e prodotti per i mercati urbani. Al contrario, le regioni che si erano aperte all'allevamento brado transumante di ovini andarono incontro all’impoverimento a lungo termine dei terreni, come fu il caso delle aree meridionali dell'Italia e della Spagna. Nel corso del XV secolo si accentuò la trasformazione del mercante da negoziatore impegnato in prima persona nei commerci a lunga distanza, a figura sedentaria a capo di grandi compagnie. La lunga fase attraversata dall'Occidente europeo coincise con l’avvio del periodo di fioritura artistica, letteraria e architettonica che va sotto il nome di Rinascimento. Le spese in opere artistiche costituivano un investimento di profitto in un’economia fiorente. I ricchi alimentarono una forte domanda di beni di lusso: palazzi, chiese, cappelle che necessitavano di arredamenti e prodotti di qualità e di gusto, l’élite mercantili e nobiliari italiane furono l'avanguardia nel fenomeno. 22. Il papato e la società cristiana In occasione del conflitto con il re di Francia Filippo IV, su chi avesse diritto di imporre le tasse sul clero e sui beni della chiesa francese, il Papa Bonifacio VIII portò all'estremo gli ideali teocratici dei suoi predecessori. Nella bolla Unam sanctam del 1302 egli affermò che il potere temporale era affidato ai laici secondo il comando e la condiscendenza del clero e la necessità che ogni creatura umana si sottomettesse l'autorità del pontefice di Roma per la propria salvezza. Ma la nuova realtà politica europea, dove l'antagonista del papato non era più l'imperatore ma un re forte del legame con i propri sudditi, rese anacronistiche tali pretese. Le aspirazioni teocratiche furono ridimensionate e subirono la contestazione non più solo dei sostenitori imperiali ma anche di quelli monarchici. In occasione della discesa in Italia di Enrico VII nel 1310-1313 intenzionato a restaurare l'autorità imperiale pacificando la penisola, Dante Alighieri sostenne la necessità di un impero universale, la cui autorità derivasse direttamente da Dio e che agisse per il bene del mondo. Il fallimento dell'impresa di Enrico VII non spense l'idea imperiale, essa trovò nuove argomentazioni nel pensiero del francescano Guglielmo d’Ockam e del teologo Marsilio da Padova, entrambi consiglieri dell'imperatore Ludovico di Baviera. Guglielmo concepiva la chiesa come una società spirituale nella quale era negato al papa ogni intervento nel dominio politico; Marsilio considerava il potere politico derivante da Dio ma poggiante sul consenso del popolo, che ne delegava le prerogative al principe senza bisogno di alcuna legittimazione da parte dell'autorità religiosa. Lo stesso Ludovico fu incoronato, nel 1328 ad opera di un laico, rappresentante del popolo di Roma. Filippo IV, può essere considerato il sovrano che prima di altri comprese le conseguenze della crisi dei poteri universali e le opportunità che si aprivano per una nuova legittimazione di quelli monarchici. Nel conflitto con Bonifacio VIII egli ricorse agli stati generali per garantirsi il sostegno delle diverse componenti del regno e si 50 circondò di giuristi che teorizzano l'autonomia del potere regio da quello pontificio. In una violenta campagna scandalistica contro il papa, uno di essi Pietro Dubois, giunse addirittura ad accusare Bonifacio VIII di eresia per aver usato attribuirsi il potere temporale. Guglielmo di Nogaret affermò che i re non riconoscono alcun superiore al di sopra di loro e che poteri e diritti imperiali appartengono al re all'interno del proprio regno. Avignone e lo scisma-> Al culmine dello scontro tra Bonifacio e Filippo IV, il re fu scomunicato dal papa, così su consiglio di Guglielmo di Nogaret il re lo condusse davanti a un tribunale francese per sottoporlo al giudizio di lesa maestà. Nel 1303 una spedizione guidata dallo stesso Nogaret e appoggiata dalla famiglia romana dei Colonna, nemica storia dei Caetani a cui apparteneva Bonifacio VIII, giunse ad Anagni, in quel momento sede della curia, dove fu coperto di insulti arrestato. Il papa morì dopo pochi giorni, ma l'episodio dimostrò che le pretese teocratiche dei pontefici non avevano più alcuna possibilità di concreta realizzazione. Nonostante lo scandalo sollevato il re riuscì a fare papa nel 1305 il suo candidato Berard di Got, vescovo di Bordeaux, salito al soglio come Clemente V. Temendo un'accoglienza ostile da parte dei romani nel 1309 trasferì la curia pontificia ad Avignone, dove sarebbe rimasta fino al 1377. La lunga permanenza della curia ad Avignone rafforzò i rapporti tra il papato e il regno di Francia. I 7 pontefici del periodo furono tutti francesi, come lo fu la maggior parte dei cardinali da loro nominati. Lontano dai conflitti tra le grandi famiglie romane che spesso l'aveva paralizzata, la curia poter sviluppare un efficiente apparato amministrativo che consentì ai pontefici di rafforzare la natura monarca del loro governo sulla chiesa, riducendo sempre di più l'autonomia delle istituzioni ecclesiastiche locali. Fu la nomina non solo dei vescovi, ma anche degli abati e delle badesse a essere accentrata, insieme con l'assegnazione degli uffici e dei benefici minori: ogni beneficio era fonte di cospicui introiti fiscali per il papato. La cancelleria, l'organo che produceva e conservava i documenti di amministrazione di governo della chiesa, fu riordinata e ampliata nel 1331. I tribunali di curia si prese una grande quantità di cause fino ad allora delegate ai tribunali vescovili, a risolvere le questioni più spinose furono inviati in loco i cardinali legati, che in alcuni casi si posero anche personalmente a capo delle milizie mercenarie del papa. Le spese politiche e amministrative del papato crebbe enormemente, per questo motivo la camera apostolica divenne l'ufficio di curia più importante, le entrate di cui i papi avignonesi poterono disporre ne fecero la quarta potenza finanziaria d’Europa dopo i regni di Francia, Inghilterra e Napoli. La residenza di Avignone fu caratterizzata anche dall’accentuarsi dei fenomeni di corruzione che affliggevano la curia pontificia. Particolare sviluppo ebbe la vendita delle indulgenze, cioè della remissione delle pene temporali inflitte ai peccatori. In precedenza, erano state concesse a compimento di preghiere, di pellegrinaggi o di partecipazioni alle crociate. Dal XIV secolo fu sempre più facile ottenerle, bastava una semplice elargizione di denaro. Questa pratica contribuì alla perdita di autorità morale del papato, ad accentuarla concorse anche la percezione diffusa che la curia vivesse in una situazione di privilegio, quando nel 1348 la peste nera giunse ad Avignone vi morì circa la metà degli abitanti, i membri della curia pontificia infettati furono pochissimi. Giudizi sprezzanti furono espressi da uomini colti, soprattutto italiani, come Dante Alighieri che scrisse addirittura di una “cattività avignonese”, cioè di una prigionia del papato da parte della corona francese. Sempre più intense si fecero, dalla metà del ‘300, le preghiere perché il papato facesse ritorno a Roma da parte di prestigiose figure del mondo cristiano, come le sante Brigida di Svezia e Caterina da Siena o di uomini di cultura come Francesco Petrarca e Coluccio Salutati. Gregorio XI riportò a Roma la curia nel gennaio del 1377, le speranze di riforma furono presto deluse, la morte improvvisa di Gregorio X nel 1378 aprì un conflitto all'interno del collegio dei cardinali, che si spaccò sull’elezione del nuovo pontefice per i contrasti tra i prelati francesi e italiani. Il conclave si svolse in un’atmosfera turbata da tumulti popolari, dove pare che la folla gridasse per far sì che il pontefice fosse italiano. I cardinali italiani elessero papa l'arcivescovo di Bari, Bartolomeo Prignano, che prese il nome di Urbano VI; i francesi elessero qualche mese dopo il cardinale Roberto di Ginevra, che prese il nome di Clemente VII e si trasferì di nuovo ad Avignone. Si aprì così uno scisma interno alla chiesa d'Occidente: i papi diedero vita a due collegi di cardinali e due curie. Il mondo cristiano si ritrovò diviso per lunghi anni in due schieramenti contrapposti non solo religiosi, ma anche politici in conseguenza anche delle alleanze operanti con la guerra dei Cent'anni. Nuovi fermenti religiosi-> Fu innanzitutto all'interno dell'ordine francescano che una corrente di frati, ispirandosi alle dottrine millenaristiche di Gioacchino da Fiore, riprese gli ideali di povertà assoluta predicata da Francesco in cui la chiesa materiale si contrapponeva alla chiesa spirituale. Gerardo da Borgo San Donnino, che sosteneva che il Vangelo eterno di Gioacchino avesse completato e sostituito il Vangelo di Cristo, fu ritenuto colpevole di eresia, scomunicato e condannato al carcere perpetuo nel 1158. Sempre nella scia di Gioacchino anche Pietro di Giovanni Olivi contrappose l’ecclasia spiritualis guidata dai francescani all’ecclesia carnalis con a capo uno pseudo papà o anticristo e per questo fu inquisito per eresia nel 1174 e le sue tesi furono condannate da Giovanni XXII nel 1327. Le correnti spirituali francescane, assertrice di un pauperismo radicale, si contrapposero di fatto alla chiesa come istituzione di potere. Il Concilio di Vienna nel 1311 condannò la tesi centrale del pauperismo, cioè che Gesù e gli apostoli non avessero mai posseduto nulla. Quando nel 1322 il capitolo generale dell'ordine approvò alcune affermazioni sulla 51 povertà di Cristo, Papa Giovanni XXII le condannò come eretiche. Ubertino da Casale fautore di una lettura apocalittica della storia della Chiesa, fu alla corte pontificia per difendere gli spirituali ma, accusato a sua volta di eresia, fuggì da Avignone rifugiandosi presso l'imperatore Ludovico. La corrente degli spirituali fu duramente repressa dall’inquisizione nonostante l'appoggio dato loro dall'imperatore, che nel 1328 dichiarò deposto il pontefice. Dai francescani si distaccò Gherardo Segarelli, fondando la setta degli apostolici, che si propose di rinnovare la purezza di dottrina e di vita dell'età degli apostoli, rifiutando l'obbedienza all'autorità ecclesiastica e predicando la penitenza: il movimento fu condannato come ereticale e Gherardo messo a morte sul rogo nel 1300. Ne subentrò alla guida fra Dolcino, che aggiornò la profezia di Gioacchino da Fiore predicando l'avvento di una quarta età, che sarebbe venuta dopo quella del Padre, di Cristo e della degenerazione, in cui il papa, cardinali e chierici sarebbero stati deposti inaugurando un nuovo avvento dello Spirito Santo. Clemente V gli bandi contro una crociata e catturato e processato, Dolcino fu condannato a morte insieme ad alcuni compagni nella 1307. Nel 1302 l'inquisizione fece riesumare il cadavere di una donna, la boema Guglielma, che trent’anni prima aveva predicato a Milano sostenendo di essere inviata da Dio: dopo la sua morte nel 1282, i suoi seguaci detti guglielmiti, annunciarono l'avvento di un'era dominata dalle donne e ella fu venerata come una santa, le autorità ecclesiastiche ne bruciarono sul rogo il cadavere, perseguitandone i seguaci. La crescente attesa escatologica che si manifestava nelle correnti pauperiste e spiritualistiche indusse la chiesa a riconoscervi dei pericolosi fermenti di eresia da schiacciare duramente. Tra la fine del XIII e la prima metà del XIV secolo l'Europa cristiana fu attraversata da un’ondata senza precedenti di processi, promossi sia dalle giurisdizioni secolari sia da quelle ecclesiastiche nei quali imputazioni di tipo politico e accuse di eresia si intrecciavano in un'unica strategia repressiva. In Italia fu soprattutto Papa Giovanni XXII, nel contesto di un programma di restaurazione che aspirava a riaffermare il predominio pontificio, a lanciare una crociata armata e una serie di processi per ribellione ed eresia contro numerosi signori e contro intellettuali e uomini di fede. L'accusa di eresia era strumentale alla difesa della sovranità pontificia. Grazie all'influenza del domenicano docente di teologia a Parigi, Johannes Eckhart, le cui deposizioni furono dichiarate eretiche nel 1328, la mistica ebbe notevoli sviluppi in area francese e tedesca. Anche alcune donne che ebbero atteggiamenti profetici, estasi e visioni divine, vennero circondate da discepoli che ritenevano che Dio parlasse attraverso di loro: fu il caso di Caterina da Siena che sollecitò il papa a tornare a Roma. Analoghe aspirazioni ebbe anche il movimento della cosiddetta devozione moderna (devotio moderna) che dai Paesi Bassi si diffuse in tutta l'Europa dalla fine del ‘300. Il suo obiettivo era l'imitazione individuale dell'umanità di Cristo nella vita quotidiana e nella pratica delle piccole virtù attraverso la preghiera personale, la meditazione lo studio dei Vangeli. Alla chiesa visibile del papa e dei sacerdoti, un teologo di Oxford, John Wyclif contrappose una chiesa invisibile costituita da tutti i cristiani, con Cristo a capo. L'autorità del papa non era fondata sulle sacre scritture e dovere del cristiano era di seguire solo la parola di Dio, promosse quindi la traduzione in inglese della Bibbia. Nella sua visione i sacramenti come l'eucarestia e pratiche come la confessione, di cui erano custodi i sacerdoti, perdevano gran parte del loro valore salvifico. Le sue teorie furono dichiarate eretiche nel 1332, ma i suoi seguaci detti lollardi continuarono a predicare per tutto il XV secolo, perseguitati dall'inquisizione. Movimento conciliarista-> I papi contrapposti furono costretti a moltiplicare concessioni e privilegi ai sovrani e ai principi che li sostenevano, ai banchieri che finanziavano, alle chiese locali da cui traevano legittimazione e consenso. L’effetto fu di un profondo indebolimento dell'autorità pontificia. Alcuni principi cercarono di indurre i papi che sostenevano a riconciliarsi con l'avversario, tuttavia la situazione si era così irrigidita che quando i prelati di entrambi i fronti riuscito a convocare a Pisa nel 1409 un Concilio che depose e dichiarò scismatici ed eretici entrambi i pontefici ed elesse nuovo papa l'arcivescovo di Milano, che prese il nome di Alessandro V, gli altri pontefici si rifiutarono di abdicare e i papi divennero addirittura tre. Si diffuse la convinzione che solo un Concilio ecumenico, una grande assemblea di tutte le componenti della chiesa, avrebbe potuto riportare ordine al suo interno. Il problema non era costituito solo dallo scisma, ma anche dalla necessità di avviare un’opera di riforma che arginasse il malessere diffuso nella vita religiosa e la diffusione delle eresie. Riprese le forze sostenitori dell’autorità del Concilio nel governo della chiesa, per frenare la spinta alla centralizzazione pontificia e per riaffermare il ruolo delle chiese locali, come era stato nei primi secoli del cristianesimo. A prendere l'iniziativa fu il re di Germania Sigismondo, che convocò il Concilio nella città imperiale di Costanza in augurandolo il 5 novembre del 1414. Il Concilio di Costanza radunò centinaia di prelati e teologi, oltre a numerosi sovrani e loro rappresentanti e durò fino al 1418. L'approvazione dei decreti Haec Sancta del 1415 e Frequens del 1417 affermava che il Concilio, in quanto espressione della chiesa universale, derivava il suo potere direttamente da Cristo ed esercitava la sua autorità su tutti i cristiani compreso il papa. Si stabilì che il concilio dovesse essere convocato periodicamente. Nel 1417 il primo papa ecumenico dopo 40 anni fu Martino V, che convocò regolarmente nuovi concilia a Pisa e Siena nel 1423 e a Basilea nel 1431. In quest'ultimo furono ridimensionate le prerogative del papa in materia di benefici e di fiscalità, riformato il Concilio cardinalizio drasticamente e ridotto il potere della curia. Tali decisioni riaprirono i contrasti con il 52 autorità; pose a Praga la propria residenza, nel 1348 vi fondò la prima università dell’Europa centrale ed estese il regno incorporando il Brandeburgo. Francese di educazione e di lingua, Carlo fu considerato dai suoi sudditi il padre della patria boema. Durante il suo regno si manifestarono i primi sentimenti nazionali boemi, che sotto i successori Venceslao e Sigismondo si intrecciarono alla diffusione della predicazione hussita che era antigermanica. Ordine dei Cavalieri teutonici e Prussia-> Un principato territoriale particolare fu costituito nelle regioni orientali dall’ordine religioso militare dei Cavalieri teutonici, protagonista dell’espansione tedesca lungo le regioni baltiche soprattutto dopo la fusione con quello di dei Portaspada nel 1237. Essi diedero un nuovo slancio alla conquista e all’evangelizzazione della Pomerania e della Prussia, concluse nel 1283, alla metà del XIV secolo furono acquisiti anche l’Estonia e altri territori più interni. Il principato dell'ordine Teutonico si dotò di un’articolata organizzazione amministrativa centrata intorno al gran maestro residente a Marienburg in Prussia. Il culmine della potenza fu raggiunto alla fine del XIV secolo quando. La pesante sconfitta subita a Tannenberg nel 1410 da parte dell'esercito lituano-polacco aprì una lunga fase di rivolte delle città e della nobiltà rurale, che indebolì il principato costringendolo a cedere la Prussia orientale nel 1466 al re di Polonia e frenò l'espansione tedesca verso est. La fine di Bisanzio-> Dopo il saccheggio di Costantinopoli del 1204, i crociati si spartirono il territorio bizantino in principati secondo le consuetudini feudali dando vita all’”Impero latino d'oriente”, di cui i veneziani monopolizzarono gli empori commerciali. Intorno alla dinastia dei Lascaridi si organizzò a Nicea, sulle coste dell'asia minore, il progetto di riconquista bizantina della compagine imperiale. L'alleanza con i mercanti genovesi consentì a Michele Paleologo di riprendere Costantinopoli nel 1261 e di restaurare la sovranità imperiale su un territorio che però era ormai ridotto alle sole regioni affacciate sul Bosforo e qualche isola nel Mar Egeo. Duramente colpito dalle forze occidentali, l'impero bizantino dovete crescentemente difendersi anche dagli attacchi che provenivano dagli stati slavi nei Balcani e dall’avanzata dei turchi in Oriente. Sin dal XII secolo l'apparato amministrativo e militare bizantino aveva perso importanza rispetto alla grande aristocrazia fondiaria. Sotto la dinastia dei Paleologi la concessione di terre in beneficio divenne generalizzata ed ereditaria. La gerarchia burocratica non fu più selezionata dal potere centrale ma basata sui legami familiari. Il commercio e la finanza restarono nelle mani dei veneziani e dei genovesi, mentre sempre più difficili da reperire divennero le risorse per coprire le spese dell’esercito ormai composto di soli mercenari. La stessa autorità centrale fu minata dopo la morte di Michele Paleologo nel 1182 da guerre dinastiche che si protrassero per alcuni decenni. Nonostante la crisi si sviluppò un'intensa vita culturale che ebbene nella città di Mistra nel Peloponneso il suo centro maggiore. Il movimento culturale che vi fiorì rivendicò l’antico primato della civiltà greca, sostituendo progressivamente il mito dell'universalismo imperiale bizantino. L'unica autorità che non perse forza fu quella del patriarca di Costantinopoli, che assunse una dimensione sempre più ecumenica. All'interno della chiesa ortodossa permaneva viva una dialettica tra un orientamento favorevole a rinunciare allo scisma con la chiesa cattolica e uno deciso invece a rafforzare le differenze. La prima componente fece un estremo tentativo di riconciliazione durante il Concilio di Firenze del 1439, la seconda si strinse intorno al movimento monastico guidato dalle gerarchie del Monte Athos, fautrici di un cristianesimo contemplativo e spiritualistico. Islam dagli arabi ai turchi-> Sin dal 1085 la dinastia turca dei Selgiuchidi aveva assunto la guida di fatto del califfato di Bagdad, dove la dinastia araba degli Abbasidi conservò solo nominalmente il titolo califfale fino all’invasione dei mongoli nel 1258. Nelle regioni occidentali dell’impero islamico anche l'Egitto passò sotto il controllo dei selgiuchidi, quando il sultano il Saladino nel 1171 dichiarò decaduta la dinastia araba dei Fatimidi e costituì una vasta dominazione personale estesa fino alla Siria, alla Mesopotamia e all’Arabia. Dal 1150 vi si installarono i mamelucchi, in origine soldati schiavi di etnia turca che si erano emancipati al servizio dei vari potentati musulmani, il cui sultano governò l'Egitto e la Siria fino al 1517, promuovendo una politica mecenatistica che fece del Cairo il centro della civiltà islamica. Nelle regioni orientali l'invasione dei mongoli aveva reso i Selgiuchidi soggetti al gran Khan, frantumando l’Anatolia in una serie di piccoli emirati. Da uno di questi preso avvio la formazione degli Ottomani, una piccola tribù turca che forte dell’abilità dei propri guerrieri a cavallo cominciò a espandersi in tutta l'Asia minore nei primi decenni del XIV secolo, sotto la guida del fondatore della dinastia l'emiro Osman I. Nel 1354 si insediarono nella penisola europea di Gallipoli, da dove Murad I guidò la conquista della Tracia, ponendo la capitale ad Adrianopoli nel 1365. Nei Balcani gli Ottomani si scontrano con il regno di Serbia. La mancanza di coerenza interna del regno serbo facilitò l'avanzata dei turchi. L’esercito serbo venne battuto nel 1371 sul fiume Maritza e poi sbaragliato a Kossovo nel 1389, dove morì Murad I. I serbi dovettero assoggettarsi ai turchi, come aveva già fatto l'imperatore di Bisanzio nel 1371. L’espansione ottomana proseguì verso la Macedonia, la Bulgaria e la Valacchia, suscitando in Occidente una crescente apprensione. Una crociata fu bandita da papa Bonifacio IX non appena si sparse la notizia della caduta della Morea bizantina: alla spedizione, guidata dal re d’Ungheria Sigismondo, parteciparono i francesi, i veneziani e i genovesi con l'intento di soccorrere Costantinopoli. L'esercito dei cavalieri occidentali fu però sconfitto a Nicopoli nel 1396 e il califfo di Bagdad riconobbe il cappo ottomano Bayazid I il titolo 55 di sultano. In arabo il termine sultano designa il potere e per estensione coloro che lo detengono. Inizialmente indicava la carica di governatore autonomo per lo più provinciale, subordinata alla figura del califfo; con la progressiva decadenza dell'autorità califfale, il termine cominciò d essere usato per indicare la piena sovranità dei potentati locali, fino a diventare l’attributo per eccellenza del sovrano ottomano. I turchi e l’Europa-> Quella degli ottomani era una dinastia di origine turca che diede il nome al più grande impero islamico della storia, un’ampia compagine multietnica e multiconfessionale stesa su tre continenti sulla quale si sarebbero succeduti 36 sultani del 1299 al 1922. L'odierno stato della Turchia è sorto proprio in seguito alla disgregazione dell'impero ottomano dopo la prima guerra mondiale come repubblica connotata in senso laico. Per secoli gli europei designarono i sudditi dell'impero ottomano come turchi, mentre questi preferivano definirsi ottomani, a marcare la dimensione politica più che quella etnica della loro identità. Intorno alla corte del sultano si era sviluppata sin dal XIV secolo una raffinata cultura che fece della letteratura turca, sviluppatasi soprattutto intorno ai toni epici, la terza componente fondante della civiltà islamica, dopo quella araba e quella persiana. Quando Maometto II, il conquistatore di Costantinopoli, vi pose la capitale dell'impero ribattezzandola Istanbul nel 1457, la grande cattedrale di Santa Sofia fu trasformata in una splendida moschea e la città rifiorì rapidamente, diventando il grande centro amministrativo, commerciale e culturale dell'impero. A cavallo tra il XV e il XVI secolo molti ebrei cacciati dalla Spagna cercarono scampo nell'impero; alle diverse confessioni religiose, il potere ottomano, che pure aveva il carattere di una teocrazia in cui gruppi dirigenti dell'impero seguivano i modi di vita dettata dall’Islam sunnita, concesse la libertà di culto, in cambio del pagamento della tradizionale tassa sugli infedeli. Gli ottomani avevano imposto la propria autorità sugli altri principati turchi dell’Anatolia nel primo ‘300 proponendosi al mondo musulmano come fautori della guerra Santa contro i cristiani e per questo intraprendendo sin dall’inizio una politica marcatamente aggressiva nei confronti dell’Occidente. L'Europa cristiana rispose all'espansione militare turca organizzando delle vere e proprie crociate, che non ebbero però la capacità di mobilitazione di quelle dei secoli precedenti: eserciti crociati furono ripetutamente sconfitti nei Balcani. Dopo la caduta di Costantinopoli la poderosa avanzata ottomana in Grecia e nei Balcani finì a minacciare la Croazia, l’Ungheria e la stessa Vienna nel 1529, l'impero ottomano rappresentò una minaccia incombente e costante per gli Stati cristiani europei e il pericolo turco ossessionò a lungo l'azione politica e il sentimento collettivo, finendo col costituire il nemico per antonomasia dell’Occidente. Impero ottomano-> Gli ottomani stavano per puntare alla conquista di Bisanzio quando furono investiti dalla rinnovata espansione mongola. A promuoverla fu un capo Tartaro, Timur-lenk, noto in Europa come Tamerlano, di fede musulmana sunnita, che dalla regione di Samarcanda mosse una serie di fulminie campagne di guerra che gli permisero di ricreare un grande impero asiatico. Entro il 1388 completò la conquista della Persia, nel 1398 saccheggiò Delhi in India, per poi spingersi alla conquista della Mesopotamia, della Georgia e dell’Armenia compiendo incursioni in Siria dove distrusse Aleppo e Damasco e saccheggiò Baghdad nel 1401. Nel 1402 sconfisse e catturò Bayazid I ad Ankara, arrestando l'ascesa dell'impero ottomano e conquistando parte dell’Anatolia. Tamerlano morì nel 1405 alla testa di un grande spedizione diretta alla conquista della Cina. Durante il suo regno Samarcanda conobbe un grande splendore e fu centro di un' intensa vita culturale, giungendo da adottare lingua e costumi turchi. Dopo la sua morte il vasto impero si disgregò in pochi decenni e gli ottomani ripresero l'espansione in Asia, nel Mar Nero e nei Balcani. Di fronte alla minaccia gli imperatori bizantini chiesero invano aiuto all’Europa prostrata dalla guerra dei Cent'anni e dalla crisi della sovranità imperiale e pontificia. Un esercito crociato guidato dal re di Polonia e Ungheria fu sconfitto a Varna in Bulgaria nel 1444 . Momento II cinese d’assedio Costantinopoli che cade il 29 maggio del 1453 e fu saccheggiata per giorni: l'ultimo imperatore bizantino Costantino XI vi morì combattendo. La caduta in mano musulmana di Costantinopoli e la fine dell'impero bizantino suscitarono un'ondata di sgomento in Occidente. Molti profughi greci vi ripararono portando con sé i tesori della propria cultura, nei decenni successivi i sultani sottomisero gran parte della Grecia e dei Balcani, spazzando via dall’Egeo e dalla Crimea avamposti mercantili genovesi e veneziani. Nel 1480 occuparono anche Otranto sulle coste pugliesi, mentre contingenti armati si spinsero in Friuli e in Carinzia. Fu Maometto II ad assicurare l'uniformità amministrativa e giuridica dell’impero, sul fondamento della legge coranica. L’organizzazione politica e religiosa dell’impero fu accentrata nelle mani del sultano, nelle funzioni di primo ministro agivano i vizir, spesso uomini di umili origini, mentre le province dell'impero e gli Stati soggetti venivano governati tramite pascià e governatori. Si trattava di un efficiente burocrazia in cui furono reclutati, anche in posizioni di potere, schiavi cristiani forzatamente convertiti all'islam. Per tal via i sultani legarono a sé una dirigenza ottomana etnicamente slava e greca ma culturalmente islamica, che fece da contrappeso all'influenza dell'aristocrazia turca. Il nucleo della potenza militare era costituito dal corpo dei giannizzeri, istituito nel 1334 dal sultano Orkhan, reclutati tra i giovani cristiani delle province balcaniche dell'impero, convertiti all'islam e sottoposti ad addestramento speciale. Il governo turco fu meno oppressivo di quello bizantino e tollerante della religione delle popolazioni sottomesse, che rimasero in larga parte cristiane ortodosse. 56 24. Dai regni agli imperi La geografia politica dell’Europa occidentale, fatta di grandi monarchie e di principati territoriali, rimase sostanzialmente immutata. Una trasformazione evidente investì invece l'Europa orientale, dove vennero formandosi vaste e più stabili compagini statali, che furono comunque più fragili rispetto a quelle occidentali per la strutturale debolezza della loro composizione sociale e organizzazione politica. Solo in Francia e in Inghilterra si costituirono delle monarchie di carattere nazionale, nelle altre regioni continuò ad essere forte il peso dei poteri territoriali locali. I grandi patrimoni fondiari rimasero nelle mani delle famiglie aristocratiche, consolidandone la potenza economica e la previdenza sociale, le terre appartenenti ai nobili erano parzialmente o totalmente esenti dalla tassazione regia. Fu semmai delimitata l’autonomia di esercizio dei poteri signorili, che le monarchie cercarono di inquadrare nell'ambito dell'amministrazione dei regni. Il plurisecolare processo di sviluppo economico e sociale delle città rese crescente anche l'influenza politica dei ricchi gruppi dirigenti urbani nei confronti del potere regio. In alcune regioni come le Fiandre e la Germania, dove le città avevano raggiunto ampia disponibilità di risorse, privilegi e gradi elevati di autonomia, il rafforzamento dei poteri monarchici e signorili dettero luogo a conflitti. Nei regni più forti, come l'Inghilterra, la Francia e la Spagna la presenza degli ufficiali regie e la pressione fiscale poté essere esercitata più. Anche il clero continuò a godere dei privilegi giurisdizionali e fiscali, nonostante la volontà dei sovrani e dei principi di controllare le istituzioni ecclesiastiche. Per lungo tempo le grandi proprietà fondiarie degli enti ecclesiastici erano state quasi totalmente esenti dalla tassazione regia e chierici colpevoli di crimini erano stati giudicati dai tribunali ecclesiastici. Tali privilegi furono rivendicati direttamente dal papato nel momento di massimo potenziamento monarchico durante il periodo avignonese. Ma lo scisma e il movimento conciliarista ne ridussero fortemente le capacità di intervento. I re finirono col rivendicare la tutela delle rispettive chiese nazionali, stipulando accordi concordati con il papato romano dalla metà del XV secolo. La forza dei poteri locali, che alcuni documenti dell'epoca indicano con il termine di corpi politici, indusse i sovrani a ricercare con essi un dialogo politico, a stringere accordi e a coordinare le diverse istanze. I re si proposero come referenti delle varie componenti del regno offrendo sicurezza e pacificazione. Ciò gli fornì la base ideologica per legittimare il loro diritto a imporre le tasse, ad amministrare la giustizia, a potenziare gli apparati militari. Anche la propaganda monarchica ripresentò i re come i tutori dell'ordine interno, minato dalle rivolte e degli scontri politici e come difensori dello Stato dagli attacchi portati dall'esterno dalle potenze confinanti. Presso la corte, le cancellerie e i consigli che affiancavano il sovrano nel governo del regno si differenziarono un po' ovunque in uffici specializzati, ciascuno con competenze in materie diverse: sorsero così le alte corti di giustizia, le camere fiscali, i consigli del re. Nel territorio si fecero tramite dell'autorità del re un numero crescente di ufficiali, con funzioni sempre più definite. In tale sistema, la nobiltà ebbe modo di allargare il proprio ruolo anche nell'esercizio degli uffici, spesso prestigiosi e lucrosi. In particolare, la nobiltà minore, come la gentry inglese, ne fece un importante canale di affermazione sociale. L'elemento di novità fu rappresentato dalla progressiva formazione dell’idea che l'ufficiale non fosse al servizio diretto del re ma svolgesse qualificate funzioni in senso più generale per il regno, si formò un funzionario che copriva gli uffici non in virtù di un legame di fedeltà ma dietro alla corresponsione di uno stipendio e nella prospettiva di svolgere una carriera regolare. Cominciò a formarsi un embrionale burocrazia non più reclutata in base allo status sociale bensì alle competenze, giuridiche, alla cui formazione servivano proprio quelle università fondate con sempre maggiore frequenza su iniziativa regia. Col tempo gli ufficiali svilupparono un crescente spirito di corpo definendosi come un vero e proprio ceto. La crescita degli apparati amministrativi, la necessità di pagare stipendi in moneta, l'opportunità di concedere prestiti donativi in denaro agli alleati e ai sudditi più fedeli aumentarono costantemente le esigenze finanziarie dei sovrani. Da sempre il nucleo delle loro entrate era costituito dalle rendite dei territori su cui esercitavano un dominio diretto, che però erano insufficienti a coprire tutte le spese del regno. Ampio ricorso fu fatto al prestito dei banchieri internazionali, in particolare italiani, garantendo in cambio introiti futuri, a volte però i re non furono in grado di pagare tutti i debiti e provocarono clamorosi fallimenti. Assicurandosi un più stretto controllo delle zecche, i sovrani procedettero anche con la svalutazione e rivalutazione forzosa delle monete, che potevano assicurare ingenti introiti. Le entrate più cospicue provenivano soprattutto dalle tasse, furono ingenti le spese per il mantenimento degli eserciti a stimolare la creazione di un più efficiente apparato fiscale. Gli introiti più alti continuarono a essere assicurati dalle imposte dirette (che si applicano al reddito o al patrimonio, al contrario delle imposte indirette che si applicano al consumo o al trasferimento dei beni). Più stretti controlli doganali e dei mercanti consentirono di imporre dazi e anche il consumo di prodotti quotidiani come il pane, la carne e il vino fu gravato da gabelle. Gli Stati si assicurano anche il monopolio delle produzioni del sale vendendolo a prezzi stabiliti e talora imponendone l'acquisto a ogni famiglia. Il crescente ricorso alle imposte dirette, che colpivano le ricchezze dei sudditi fu reso possibile dispiegarsi di una rete periferica di esattori fiscali. Tasse come il focatico in Francia e la poll tax in Inghilterra che nel momento della loro introduzione scatenarono rivolte, si fecero sempre più sistematiche nel corso del XV secolo. L'ordine pubblico fu assicurato da appositi contingenti di milizie dislocate nei territori del regno. Nelle provincie giudici itineranti di 57 gabella del sale. Il controllo strategico delle entrate fiscali fu affidato a specialisti: i cosiddetti ricevitori e dopo il 1355 ai generali delle finanze ai loro referenti locali. Questi ultimi erano eletti dagli stati generali a testimonianza del crescente coinvolgimento delle assemblee nelle scelte di governo del regno. Nel 1345 furono convocati per la prima volta anche gli Stati provinciali a cominciare dalla Linguadoca. Quando nel 1392 Carlo VI fu riconosciuto invece incapace di governare, emersero le due fazioni contrapposte. Quella guidata dal fratello del re, Luigi d’Orleans, che assunse la reggenza del regno, sostendo la continuità della politica fiscale che favoriva i gruppi sociali esenti dalle imposte e della crescita degli apparati amministrativi che la rendevano possibile. Le si opponeva la fazione guidata dal duca di Borgogna, Filippo l'Ardito, zio paterno di Luigi d’Orleans, fautrice di una riforma in senso antifiscale che limitasse il potere d'azione degli ufficiali regi e sostenuta da altre componenti sociali del regno: la nobiltà minore, le élite urbane mercantili e le stesse masse popolari parigine. La fazione degli armagnacchi così chiamata quando ne assunse la guida del conte Bernardo d’Armagnac dopo l'assassinio di Luigi d’Orleans nel 1407 sostenne la centralità della corte regia. La fazione dei borgognoni finì invece con l’appoggiare le pretese dei re inglesi sulla corona francese, affiancandoli nella guerra, furono i borgognoni a catturare Giovanna d'Arco e a consegnarla agli inglesi nel 1430. Il sostegno nazionale alla ripresa dell'iniziativa regia con Carlo VII consentì al sovrano di procedere a un marcato accentramento dei poteri monarchici. Sul piano fiscale, la taglia straordinaria introdotta nel 1384 fu resa stabilmente annua nel 1440. Il gettito delle imposte consentì di riformare l'esercito con la creazione di compagnie permanenti di cavalieri e di arcieri. Nel 1454 fu ordinata la redazione per iscritto di tutte le consuetudini territoriali del regno, quale espressione della volontà di controllo regio sui particolarismi locali. Nel 1467 gli ufficiali divennero inamovibili, segno del potere raggiunto dal ceto dei servitori dello Stato che si opponeva alla nobiltà di sangue lo status di una nobiltà detta di toga. Luigi XI fu impegnato soprattutto a fronteggiare l’irrequietezza dell'alta nobiltà, coalizzata nel 1465 nella Lega di «pubblico bene» e sconfitta a Montlhéry. Ciò consentì di recuperare il controllo diretto del regno feudi sui quali la giurisdizione regia era da secoli meramente teorica. Più che negli altri stati in Francia si sviluppò un diffuso sentimento di identità nazionale, a concorrervi furono sia le lunghe e drammatiche vicende della guerra contro gli inglesi, sia l'emancipazione della chiesa locale dall'autorità di quella romana. Nel 1398 e nel 1408 sia il re sia il clero dichiararono di sottrarsi all’obbedienza del Papa avignonese, mentre nel 1438 Carlo VII finì con l’adottare, con la Prammatica sanzione, le deliberazioni di assemblea del clero francese che pur riconoscendo l'autorità spirituale del Papa riconducevano alla Chiesa gallicana il controllo delle istituzioni ecclesiastiche. Anche la vicenda di Giovanna d'Arco, che incarnò il patriottismo mistico in cui la fede di Dio e la libertà della Francia si fondevano, contribuì ad alimentare il sentimento nazionale soprattutto dopo che nel 1431 gli inglesi la fecero condannare al rogo come eretica e sospetta di stregoneria. Riabilitata nel 1456, Giovanna è considerata la santa nazionale francese. Stato inglese-> Fu la crescita della fiscalità regia dovuta alla politica espansionistica promossa da Edoardo I a rendere regolare la convocazione del Parlamento secondo le modalità stabilite nel 1295: accanto ai baroni ed agli alti prelati vi figuravano anche rappresentanti delle contee e della città e il basso clero. Tra il 1320 e il 1340 il Parlamento divenne una vera e propria istituzione di governo, stabile e codificata, con responsabilità legislative e fiscali. Esso venne articolando in una camera alta (House of Lords) e in una camera bassa (House of Commons), che presto si dotarono di un portavoce (speaker) che ne sosteneva gli interessi. Si viene così creando un sistema politico bilanciato tra gli interessi dell'élite regionali e la struttura amministrativa regia che si era venuta precocemente definendo già dal XIII secolo. Gli organismi centrali si stabilirono a Westminster, che divenne la capitale amministrativa del regno accogliendo l'ufficio finanziario dello scacchiere, le alte corti di giustizia affidate ai professionisti e la cancelleria dove progressivamente il personale laico sostituì quello ecclesiastico. Nelle contee, controllate sin dal XII secolo da ufficiali regi (sceriffi) e dove dal XIII secolo operavano anche giudici incaricati di istruire i processi criminali da sottoporre ai tribunali regi, nel 1327 furono introdotti i giudici di pace che ne assorbirono parte delle funzioni giudiziarie e di polizia. La novità era costituita dal fatto che si erano eletti localmente tra la piccola nobiltà per sovrintendere all’amministrazione locale in nome del Parlamento e del re. Nell’assetto politico del regno fu fondamentale il ruolo delle diverse componenti della nobiltà: la media e piccola aristocrazia regionale, cominciò a rappresentare stabilmente le contee nella Camera dei comuni della metà del ‘300 e a crescere ulteriormente di status mettendosi al servizio sia del re sia dei Lords. La grande aristocrazia era costituita invece da poche decine di lignaggi potenti, dotati di titoli conferiti dal re e partecipava a titolo individuale ma ereditario alla Camera dei Lords. Pur dotandosi di grandi clientele essa non riuscì a costituire dei principati territoriali per l'appoggio dato dai sovrani alla piccola nobiltà. I rapporti politici interni al regno d’Inghilterra furono oggetto di riflessione teorica anche da parte dei giuristi: Henry de Bracton sostenne che il re «non ha altro potere sulla terra se non quello che gli conferisce il diritto», mentre John Fortescue osservò come a differenza del re francese, quello inglese potesse governare solo col consenso dei sudditi ottemperando alle antiche consuetudini e alle leggi approvate dal Parlamento. Le conseguenze fiscali della guerra contro i francesi determinarono rivolte e malessere sociale alla fine del ‘300. La perdita delle rendite e dei beni posseduti in Francia schierò contro il sovrano la grande nobiltà alla fine del Regno di Enrico VI. Gli aristocratici si 60 divisero in due fazioni guidate l’una dalla dinastia regnante dei Lancaster e l'altra della casata degli York: la prima ebbe come simbolo una rosa rossa, la seconda una rosa bianca; da qui il nome di guerra delle due rose per indicare le furiose lotte intestine che insanguinarono il paese tra il 1455 e il 1485. I conflitti stremarono i grandi aristocratici, molti dei quali morirono in battaglia. I loro feudi e i loro beni furono confiscati dai sovrani, che li incamerano nel demanio regio. Quando Enrico VI della casa dei Tudor, imparentata con i Lancaster, sconfisse Riccardo III di York nel 1485 e sposò nel 1486 Elisabetta di York, mettendo fine al lungo conflitto trovò un patrimonio della corona enormemente incrementato. L'effetto finale della guerra civile fu così il rafforzamento del potere monarchico. Oltre ai territori francesi definitivamente perduti, le ambizioni di espansione territoriale del regno inglese si rivelarono fallimentari anche nei confronti della Scozia e delle Fiandre. In Scozia nell’interregno seguito alla morte del re nel 1286, Edoardo I aveva prima appoggiato il nobile John Balliol trattandolo come proprio vassallo e poi aveva occupato le Lowlands scatenando una dura ribellione guidata da William Wallace, giustiziato nel 1305 e poi da Robert Bruce, che dopo essere stato incoronato nel 1306, umiliò l’esercito inglese a Bannockburn nel 1314. Gli scozzesi avevano stretto alleanza con la Francia di Filippo IV, che intese così controbilanciare l'appoggio inglese dato alla città delle Fiandre dopo l'occupazione francese nel 1297, fallita per la disfatta inflittagli dalla fanteria fiamminga a Courtrai nel 1302. Nemmeno gli inglesi, per i quali le Fiandre costituivano lo snodo commerciale della loro economia tessile, riuscirono a radicarvi la propria presenza durante la guerra dei Cent'anni, la regione fu infine annessa al ducato di Borgogna nel 1384. Anche in Inghilterra emerse un sentimento di appartenenza nazionale, che a differenza della Francia, riguardò principalmente le élite del ragno. A corte, dove dai tempi di Guglielmo il Conquistatore si era parlato francese, l’inglese cominciò a essere impiegato sistematicamente soprattutto per l'impulso dato dai sovrani come Enrico IV e Enrico V nei primi decenni del XV secolo. L’inglese divenne lingua ufficiale anche nei tribunali nel 1362, mentre la Bibbia fu tradotta nel 1380 e i Racconti di Canterbury di Geoffrey Chaucer nel 1187 fondarono la letteratura nazionale inglese. Il mancato coinvolgimento popolare si spiega invece anche col fatto che la guerra contro i francesi non fu combattuta in terra inglese e non dette luogo a forme di reazione popolare analoghe a quelle francesi. 26. Altre esperienze statali Stati iberici-> Anche nei regni iberici che si erano consolidati dopo la reconquista (Portogallo, Castiglia e Aragona) si possono osservare delle tendenze comuni verso la formazione dello Stato. In primo luogo, il rafforzamento delle strutture amministrative centrali e territoriali, con la formazione di gruppi di ufficiali professionisti. Il peso politico e le l’irrequietezza militare della nobiltà rimasero ovunque centrali, nonostante le trasformazioni interne e i molti privilegi ottenuti dai sovrani. Crescente si fece il ruolo dell'élite delle città, a cui i re avevano concesso ampie autonomie, indebolirono tutti i regni anche violente crisi di dinastiche. Portogallo-> Il rafforzamento dei poteri dei re portoghesi subì un'accelerazione con Dionigi I, che contrappose la potenza nobiliare il sostegno alle élite mercantili, fondando l'università a Lisbona, promuovendo lo sviluppo dei commerci, avviando la creazione di una flotta da guerra. I successori riorganizzarono l'amministrazione della giustizia e costituirono un esercito nazionale. Dopo una crisi dinastica in cui cercò di inserirsi la monarchia castigliana, nel 1385 le cortes acclamarono re Giovani I della nuova dinastia degli Aviz. Essa promosse le esplorazioni geografiche lungo le coste nordoccidentali africane, di cui fu grande artefice il principe Enrico il Navigatore: alla conquista di Ceuta nel 1415, seguirono quelle delle isole di Madera, delle Azzorre, di Capo Verde, delle coste del Senegal e dal Gambia. Il controllo portoghese delle rotte marittime attraverso le basi commerciali e militari lungo le coste diede ai portoghesi il monopolio delle spezie. L’afflusso di grandi ricchezze non trasformò la struttura economica del paese, che rimase sostanzialmente agricola. Castiglia-> Le tendenze all’accentramento dei poteri monarchici apparvero evidenti fin dalla metà del XIV secolo. Già Alfonso X aveva promosso una grande opera di unificazione giuridica che fu ulteriormente completata da Alfonso XI. Le leghe urbane, dette hermandades, che erano riuscite a influire sulle decisioni di governo furono soppresse dallo stesso Alfonso XI. Durante il suo regno nelle città furono inviate dagli ufficiali regi, che integrano la rete preesistente di funzionari periferici, mentre negli uffici centrali crebbe l'importanza della componente formatosi nelle università. Dopo che Enrico II di Trastàmara conquistò il trono con le armi e l'appoggio francese nel 1396, il dualismo politico più intenso divenne quello tra il re e la nobiltà che lo aveva sostenuto. Si formarono delle ampie signorie aristocratiche, dominio dell’economia pastorale e nelle città fu favorita la nobiltà urbana. Il ruolo politico delle cortés perse centralità mentre crebbero le relazioni clientelari che facevano capo alla corte regia. Aragona-> Il carattere composito del Regno d’Aragona fu di freno al rafforzamento delle istituzioni monarchiche. Il regno si configurò come una confederazione in cui le diverse componenti (Aragona, Catalogna, Valencia e Maiorca) formalizzarono per iscritto le proprie consuetudini e negoziarono privilegi generali di tipo diverso con la monarchia, influenzati dalla diversa prevalenza delle forze sociali. Nonostante la ripresa dell'iniziativa regia all'inizio del ‘300 con la costituzione di apparati centrali finanziari e fiscali e la dislocazione di nuovi ufficiali regi periferici, il potere delle 61 cortes rimase condizionante. Esse giunsero a istituire nel 1359 un organo permanente di controllo finanziario e amministrativo. Il governo unitario del regno restò pertanto sempre debole e la lunga guerra con la Castiglia ne segnò l'inizio della decadenza. Una crisi dinastica provocò l'avvento al trono nel 1412 del principe castigliano Ferdinando di Trastàmara. Sin dal ‘200 gli interessi economici dei mercanti catalani, in primo luogo quelli di Barcellona, erano riusciti a incanalare la politica di potenza della monarchia e la vocazione militare della nobiltà del regno verso una politica di espansione nel Mediterraneo. Alla conquista delle Baleari, della Sicilia e della Sardegna, fece seguito nel corso del XIV secolo anche l'acquisto di alcuni possedimenti nell’arcipelago egeo. Nel 1442 fu acquistato anche il regno di Napoli per opera di Alfonso il Magnanimo, che cercò di allargare la sua sovranità anche ad alcuni stati balcanici e creò un vasto dominio Mediterraneo della corona d’Aragona. Il predominio aragonese compromise l'egemonia commerciale dei mercati italiani, in particolare di quelli genovesi. La lunga lontananza di Alfonso, che aveva fissato la sua residenza a Napoli, provocò gravi squilibri politici all'interno del regno che dopo la sua morte degenerarono in una guerra civile che coinvolse negli anni tra il 1462 e il 1472 le campagne e le città catalane. Solo quando nel 1469 Isabella, erede al trono di Castiglia, sposò Ferdinando II, erede al trono d’Aragona, si posero le basi per la pacificazione e la formazione di uno stato nazionale «spagnolo». Il processo di integrazione fra i due regni, riunificati nella corona di Ferdinando nel 1479 ma indipendenti sul piano istituzionale, fu lento e contrastato. Nel 1831 fu rilanciata la reconquista, che portò la caduta nel 1492 dell'ultimo emirato musulmani in terra iberica, quello di Granada. La sua popolazione fu sottoposta a una cristianizzazione forzata e nello stesso anno furono espulse dal regno le numerose comunità ebraiche, già oggetto di persecuzioni fine del XIV secolo. A vigilare sulla purezza della fede dei territori liberati dai suoi nemici fu posto il tribunale dell'inquisizione, guidato dal domenicano Tommaso di Torquemada, che perseguitò ogni sospetto di eresia. Fiandre-> Le vecchie città mercantili delle Fiandre, del Brabante e dell’Hainaut riuscirono ad ottenere nel corso del XIV secolo ampi margini di autonomia dal regno di Francia dopo la vittoria militare a Courtrai nel 1302. Tra il 1337 e il 1345 partì da Gand una rivolta che diede vita a una Lega di città, guidata al borghese Jacob Van Artevelde, in cui l’aspirazione all’autonomia urbana si intrecciano a sentimenti nazionali di carattere antifrancese. La regione fu annessa dal 1334 al ducato di Borgogna, ma mantenne sempre una rilevante autonomia, testimoniata dalla fondazione dell’università a Lovanio nel 1425 e dalla concessione nel 1477, da parte della duchessa Maria, di un Grande privilegio dopo le nuove rivolte di Bruges, Gand, Liegi e dei Paesi Bassi. Borgogna-> Approfittando della guerra franco-inglese, venne fermandosi tra la Francia e l'impero un ampio ducato centrato sulla Borgogna. I duchi, a cominciare da Filippo l'Ardito, acquisirono l'indipendenza dalla Francia nel 1435. Il dominio, per quanto eterogeneo, compresa un’area di avanzata economia agricola e grandi centri manifatturieri e commerciali. Mentre nelle città fiamminghe si sviluppava la grande stagione della pittura realistica, la corte ducale di Digione, si propose come splendido modello culturale e politico per le corti principesche del XV secolo. Solo le pretese di Carlo il Temerario di farsi eleggere imperatore misero fine all’esperienza borgognona, la cui eredità fu spartita tra il re di Francia e gli Asburgo alla morte della duchessa Maria nel 1482. Svizzera-> Un'alleanza tra comunità di montagna si cominciò a formare nel cuore delle Alpi nordoccidentali sottoposta alla giurisdizione degli Asburgo, alla morte di Rodolfo I nel 1291. Le prime associarsi, per tutelare gli interessi economici comuni sui pascoli e sui passi alpini, furono quelle degli Uri, Unterwalden e Schwyz, da cui poi presero il nome di svizzeri tutti i confederati. L'immediata dipendenza dall’impero della Confederazione fu riconosciuta da Ludovico di Baviera nel 1316. Tra il 1332 e il 1353 ai tre cantoni iniziali se ne aggiunsero altri 5, compresi quelli di importanti centri urbani e mercantili come Lucerna, Zurigo e Berna. Nel corso del XV secolo l'alleanza si espanse ulteriormente, affrontando conflitti con le potenze signorili confinanti degli Asburgo, dei Savoia e dei duchi di Milano e di Borgogna, grazie anche a una non comune capacità militare dei fanti svizzeri. Nel 1999 l'imperatore Massimiliano I riconobbe definitivamente l'autonomia della Svizzera. I regni dell’Europa orientale-> Formazioni statali più stabili si affermano tra il XIV e il XV secolo anche nella vasta area europea che dalla Scandinavia scendeva alle pianure orientali abitate dai popoli slavi. La popolazione era scarsa, dispersa in territori immensi e mal collegati, le città erano poche e poco più che borghi di qualche migliaio di abitanti riuniti intorno ai castelli dei signori. Nelle campagne si rafforzò ulteriormente la grande proprietà nobiliare che accentuò le forme di sfruttamento del lavoro contadino. In molte aree si ridussero le libertà rurali in un processo che dal XV secolo vide i coltivatori trasformarsi progressivamente in servi obbligati a risiedere sulla terra, indebitati e gravati di nuovi oneri. La minore articolazione sociale rispetto all'Occidente rese strutturalmente più deboli le istituzioni politiche dell’Europa orientale. Le rare città ebbero gradi molto limitati di autonomia giurisdizionale, assetti istituzionali semplici e scarso rilievo politico. L'unica interlocutrice politica dei sovrani fu la grande aristocrazia terriera. Era la nobiltà rurale ad eleggere i sovrani tra le dinastie locali ma spesso affidandosi anche a re proveniente dall'esterno. I sovrani dipendevano pertanto dal consenso dei nobili, la stessa embrionale organizzazione statale rappresentò un’occasione di consolidamento e di tutela della nobiltà fondiaria. Un appoggio ai sovrani venne invece 62 riaffacciarono in Italia solo nella prima metà del ‘300. La discesa di Enrico VII di Lussemburgo tra il 1310 e il 1313 fu ispirata dal programma di pacificare le lotte interne alla città sotto l'alta sovranità imperiale. Esso si infranse però contro la tenace resistenza dell’alleanza guelfa guidata da Firenze da Roberto d’Angiò, re di Napoli; l'imperatore finì con l’appoggiarsi allo schieramento ghibellino guidato dai Visconti e dai Della Scala e col tentare di creare un dominio diretto in Toscana, ma la sua azione non ebbe successo. Anche la spedizione di Ludovico di Baviera tra il 1327-28, fu sollecitata dal fronte ghibellino ed ebbe come risultato la sua incoronazione a Roma per mano di un rappresentante del popolo romano. L'ultimo imperatore a farsi incoronare a Roma fu Carlo IV di Lussemburgo nel 1355 che rinunciò a ogni ambizione di effettiva autorità in Italia, limitandosi a dispensare diplomi e riconoscimenti. Dopo il 1266 i guelfi assunsero il potere nella maggioranza delle grandi città e vi restarono per lo meno fino alla discesa dell'imperatore in Italia nel 1310. Anche nel regno meridionale si diffusero le parti dei guelfi e dei ghibellini, in seguito alla rivolta che nel 1132 portò alla divisione territoriale tra la Sicilia e il Mezzogiorno continentale. Il riaffacciarsi degli imperatori in Italia offrì l'occasione signori cittadini di rafforzare la propria autorità attraverso l'attribuzione del titolo di vicario, in cambio di cospicui tributi: Enrico VII lo concesse nel 1311 a Cangrande Della Scala su Verona, Matteo Visconti su Milano e a Rinaldo Bonacolsi su Mantova. Irreversibili divennero fenomeni come la dinastizzazione delle cariche, la creazione di organi di governo dipendenti direttamente dai signori, lo svuotamento di poteri delle assemblee cittadine, l'abolizione gli uffici comunali, la formazione di vere e proprie corti, nel quadro di un tangibile consolidamento autoritario del potere. La percezione di una discontinuità nelle pratiche di governo, di un drammatico allentarsi dei rapporti di fiducia e di consenso fece emergere, nel lessico politico delle città italiane e nella dottrina politica e giuridica della prima metà del ‘300, i termini di «tiranno» e «tirannide». Contribuì la rielaborazione del pensiero aristotelico fatta dal teologo Tommaso d’Aquino nel secolo precedente: è tirannica ogni forma di governo nella quale chi detiene il potere lo esercita nel proprio interesse e non per il bene comune; e dunque l'abuso di potere, il perseguire il bene proprio non assicurando né la giustizia né la pace a connotare come tirannico il regime di governo. A sua volta, il giurista Bartolo da Sassoferrato sottolinea come la tirannide consistesse nel carattere essenzialmente oppressivo di ogni governo che non si fonda sul diritto. Il processo di ricomposizione territoriale che altrove in Europa fu realizzato dai sovrani e dei principi territoriali, nell’Italia centro settentrionale fu avviato dalla città che tra l'XI e il XIII secolo costituirono un proprio contado, assoggettando i signori, le comunità rurali e gli latri poteri. A cominciare dagli anni '30 del XIV secolo alcuni centri urbani maggiori e alcuni signori potenti ridussero ulteriormente la frammentazione politica sottomettendo altre città, comunità e signorie rurali. Dall’intensa competizione politica e militare che durò fino alla metà del XV secolo emerse un sistema politico centrato su pochi stati di medie dimensioni regionali e su alcune formazioni politiche più piccole. A differenza di altre regioni europee nell’Italia centro settentrionale i principati territoriali ebbero minore importanza nell’organizzare politicamente il territorio. Essi si svilupparono soprattutto nelle zone alpine ed appenniniche, ai margini dell’Italia delle autonomie cittadine. Principati ecclesiastici furono quelli dei vescovi di Bressanone di Trento, gravitanti nell'area imperiale e quella del patriarcato di Aquileia, che governo gran parte del Veneto orientale in collaborazione con il “parlamento della patria” del Friuli. Un marcato impianto feudale ebbe anche la signoria della casa degli Este, discendente della famiglia marchionale degli Obertenghi, che giunse in globale tra il XIII e XV secolo le città di Ferrara, Modena, Reggio e Rovigo. L'Italia del Sud era da tempo organizzata politicamente in forma monarchica e tendenzialmente accentrata, molto più simile al resto dell’Europa occidentale. Il regno di Sicilia passò dalla dinastia imperiale degli svevi a quella francese degli Angiò. L'espansione catalano-aragonese li investi poi direttamente, determinando la separazione della Sicilia dalle regioni continentali rimasta in mano francese nel 1282, inglobando formalmente l'isola nella corona d’Aragona nel 1409 infine riunificando il regno per opera del re Alfonso il Magnanimo nel 1442. Tra la fine del XIII e la e la fine del XV secolo si osserva una semplificazione della geografia politica italiana. La formazione di domini territoriali da parte delle principali città comunali e signorili polarizza il sistema politico italiano intorno a 5 stati regionali: Milano, Venezia e Firenze, lo stato pontificio, il regno di Napoli e Sicilia, con il contorno di alcune formazioni minori. Le guerre d’Italia e Machiavelli-> Tra la discesa del re di Francia Carlo VIII nel 1494 e l'incoronazione imperiale di Carlo V nel 1530, l'Italia conobbe un periodo tra i più burrascosi della sua storia. A partire dalla fine del ‘400 la penisola divenne terreno di conquista per gli eserciti e le monarchie francese e spagnola. Gli scontri si combatterono prima nel regno di Napoli, che il sovrano francese aveva rivendicato in quanto discendente degli Angiò e poi si estesero alle regioni settentrionali. Il conflitto fu durissimo perché non si risolse solo in un confronto militare fra superpotenze ma rappresentò anche uno scontro fra visioni diverse dell’Europa e il suo destino per il primato politico all'interno della cristianità occidentale e sul mondo extra europeo. La Spagna prevalse sulla Francia: la pace di Cambrai del 1529 sancì la vittoria del sovrano della casata degli Asburgo, riconosciuto sia dal papato sia dalla Francia. Le guerre registrano novità militari profonde quali il ricorso sistematico alle armi da fuoco, l'imponenza degli eserciti, il predominio della fanteria a scapito della cavalleria. Le popolazioni soprattutto quelli delle campagne e dei 65 borghi rurali subirono violenze e depredazioni che la generazione immediatamente precedenti non avevano patito. Niccolò Machiavelli che da segretario della Repubblica Fiorentina dal 1498 al 1512 aveva svolto numerose missioni diplomatiche in Germania, in Francia e negli altri stati italiani, rivela un'acuta percezione della complessità degli eventi e compose opere storiche e teoriche innovative, in primis il Principe, che muovevano da una concezione realistica della politica, dalla volontà cioè valutare l'azione degli uomini per quello che sono e non per quello che dovrebbero essere. Lo scopo ideale delle sue riflessioni era quello della redenzione, della salvezza dell’Italia ormai senza capo, senza ordine, battuta, spogliata. L'unica strategia possibile secondo Machiavelli sarebbe stata quella di costituire un grande stato unitario, almeno nel centro Italia, approfittando del fatto che sul soglio pontificio sedessero due membri della casata Fiorentina dei Medici: Giovanni de’ Medici, papa Leone X e Giulio Zanobi de’ Medici, Clemente VII, figlio e nipote di Lorenzo il Magnifico. Come primo passo si sarebbe dovuto costituire una forza armata indipendente, romana e fiorentina, formata da cittadini e non da mercenari. Attorno alla quale avrebbero dovuto raccogliersi le altre forze italiane per cacciare i barbari. La precoce scomparsa degli esponenti medicei che avrebbe potuto essere i principi del nuovo regno e la perdurante avversione dei patriziati cittadini ad amare il popolo e i cittadini, vanificarono il progetto che Machiavelli suggerì in più occasioni ai Medici. Il sacco di Roma mise definitivamente fino allo splendore dei pontificati medicei. 28. Gli stati Stati territoriali-> Tra il XIV e il XV secolo il quadro frammentato e instabile dell'Italia comunale signorile fu imposto in un sistema politico più strutturato e stabile gli Stati territoriali a dimensione regionale. Negli stati italiani le autorità superiori non esercitarono mai la totalità dei poteri sul territorio, ma lo condivisero con una vastità di corpi territoriali, in un ordinamento di tipo dualistico. La differenza che caratterizza l'esperienza della realtà statali italiani fu data invece dal diverso ruolo furono le città. In Italia a promuovere la formazione dei maggiori stati territoriali furono grandi città come Firenze, Venezia e Milano. In Europa non si ebbero esperienze analoghe, le città italiane si imposero assoggettando altri centri urbani, ricchi di tradizione comunale e dotati a loro volta dei territori già disciplinati come contadi. Le città si proposero come interlocutrici privilegiate e dirette delle dominanti, senza la mediazione di strutture rappresentative come i parlamenti nei regni. I gruppi dirigenti locali furono esclusi dal governo degli stati, con rare eccezioni di carattere individuale, ma mantennero il controllo delle risorse economiche e amministrative municipali. Le campagne militari, affidate a truppe mercenarie, accrebbero notevolmente le spese, a cui le dominanti sopperirono con uno incrementando della pressione fiscale e ricorrendo a strumenti finanziari. Il grosso delle entrate continuò a venire dalle imposte indirette, cioè dai dazi sulle merci e dalle gabelle sui consumi, ma su tutte quelle dirette si affinarono i sistemi di accertamento delle ricchezze e di riscossione dei tributi. Nei regimi oligarchici si affermò anche la pratica del debito pubblico consolidato, cioè dell'investimento in titoli emessi dallo stato, che garantivano interessi e potevano essere scambiati: a Genova si creò un apposito banco di San Giorgio per attirare investimenti anche dall’estero. Furono irrobustiti anche alcuni uffici centrali, affidati a funzionari specializzati formati in università appositamente fondate (Pavia e Pisa) e la rete degli ufficiali periferici inviati nelle città assoggettate. I Della Scala di Verona posero dapprima sotto il controllo le città del Veneto con Cangrande e poi estesero il proprio dominio fuori regione su Brescia, Parma e fino a Lucca con il nipote Mastino II. In Toscana ebbe un certo rilievo il dominio costituito dal nobile lucchese Castruccio Castracani su Luca, Pistoia e Volterra, che ottenne anche il titolo di duca da Ludovico di Baviera e sconfisse Firenze ad Altopascio nel 1325. Ducato di Milano-> L’espansione maggiore fu quella guidata dall’arcivescovo Giovanni Visconti in Lombardia, Piemonte, Liguria ed Emilia. L’impulso alla formazione degli stati territoriali italiani fu dato dalla politica espansionistica che caratterizzò tutta l'esperienza dei Visconti. Fu Gian Galeazzo a imprimere nuovamente un forte dinamismo militare al suo dominio che nel 1337, distruggendo le signorie dei Della Scala e dei da Carrara di Padova e si spinse nell’Italia centrale ottenendo anche la signoria di Pisa, Siena, Perugia, Spoleto e Bologna. La tenace resistenza dell’accerchiata Firenze, che si ammantò anche di una polemica antitirannica nel nome della libertà repubblicana, fu gratificata dalla morte improvvisa del duca nel 1402, che ridimensionò le ambizioni che i suoi ideologi avevano propagandato come intenzione di costituire un regno nazionale italiano. Le conquiste territoriali furono disperse nuovamente solo il secondogenito Filippo Maria riuscì a compattarle intorno un profilo più limitatamente lombardo dello Stato visconteo. Nel 1395 Gian Galeazzo Visconti acquistò dall'imperatore Venceslao il titolo di principe e duca di Milano. Il nipote così utilizzò le relazioni feudali per legare a sé sia le signorie locali sia le città e le comunità rurali. Il duca consolidò la propria autorità riformando gli statuti locali, controllando i benefici ecclesiastici, rafforzando i poteri degli organismi centrali: consiglio di giustizia, camera ducale e consiglio segreto. Per finanziare le spese ricorse a prestiti personali, a garanzia dei quali concesse rendite e cespiti fiscali ma anche giurisdizioni e uffici. Negli apparati centrali e quelli periferici nominò individui provenienti da tutto il ducato. Milano infatti non era la dominante ma solo la residenza del duca e il patriziato milanese fu coinvolto in modo non esclusivo 66 nel governo dello Stato: esso diede un ultimo segnale di vitalità alla morte, senza eredi, di Filippo Maria, istituendo una Repubblica ambrosiana che durò dal 1447 al 1450. Firenze-> Dopo la minaccia del Castracani, Firenze già tra il 1330 il 1350 controllava dei centri di rilievo come Pistoia, Prato e Colle Val d'elsa. L'offensiva viscontea determinò una decisiva accelerazione, con l'acquisizione di Arezzo, il controllo di Volterra, la definitiva sottomissione di Pistoia, la conquista di Pisa nel 1406 e l’assoggettamento dei centri come Cortona, Castrocaro e Livorno. L'espansione fiorentina fu agevolata della crisi demografica che colpì profondamente la Toscana, impoverendo di uomini e ricchezze le città che Firenze aveva sottomesso. La relativa debolezza del territorio assoggettato consentì ai fiorentini di imporre una struttura centralizzata di governo. Il frazionamento del dominio rispondeva all'idea di poterlo governare come un contado, patteggiando direttamente con le singole località le condizioni di assoggettamento, in virtù delle ridotte dimensioni territoriali. Ciò indusse a redigere un catasto dei beni e delle ricchezze di tutti i sudditi del dominio nel 1427 e a rafforzare le comunità soggette imponendo la revisione degli statuti e dei consigli locali. Artefice delle costruzioni del dominio fu un gruppo dirigente di matrice mercantile, il cui governo ottenne nel 1355 il titolo di vicario dell'imperatore. Dopo il tumulto dei ciompi, essi accentuarono le connotazioni oligarchiche, limitando l'accesso agli uffici a un gruppo di famiglie che costituivano il cosiddetto «reggimento». Venezia-> Nell’adriatico Venezia controllava direttamente tutte le coste istriane e dalmate e centri di rilievo come Spalato, Ragusa e Durazzo. Nel 1378 quando Genova era giunta a occupare Chioggia e Grado, le sue attività belliche erano state rivolte al predominio marittimo. La minaccia portata da Gian Galeazzo Visconti fin sui margini della laguna determinò nel gruppo dirigente veneziano la svolta strategica di formare un dominio anche in terra ferma, dove Venezia si era limitata a occupare solo Treviso. Tale scelta rappresentò una cesura nella storia politica della città, che tra il 1404 il 1428 assoggettò città come Belluno, Padova, Verona, Brescia e Bergamo e territori più marcatamente rurali. Nella terra ferma il patriziato veneziano rispettò gli equilibri locali, limitandosi a controllare direttamente solo i podestà della città e i rettori delle aree signorili. Attraverso i suoi ufficiali Venezia si ingerii spesso nelle questioni di competenza dei consigli municipali e nei conflitti tra le città soggette e i loro contadi, finendo con l’esercitare un governo di fatto anche dove le istituzioni continuano a rimanere in mano ai patriziati locali. Un apposito consiglio di «savi» di Terraferma affiancò nel XV secolo il doge per la gestione del territorio. Anche il doge ottenne nel 1437 il titolo di vicario imperiale, che consentì di far dipendere feudalmente della Repubblica le aree signorili del dominio. Altri stati signorili e monocittadini-> I tre domini signorili di impianto cittadino erano quelli dei Gonzaga, degli Este e dei Savoia. L'autorità dei Gonzaga si limitò a Mantova e al suo territorio e si fregiò del titolo di marchesi acquisito dall’imperatore nel 1433. La signoria degli Este si concentrò soprattutto su Modena e Reggio, di cui divennero duchi nel 1452 e su Ferrara il cui titolo ducale fu concesso dal papa a Borso d’Este. La signoria dei Savoia si era estesa sui territori rurali delle Alpi occidentali, strategicamente importanti per i passi che collegano l'Italia e la Francia. Nel corso del ‘300 il dominio si allargò al Piemonte, che Amedeo VIII espanse anche a Nizza, Pinerolo, Torino e Vercelli. Ottenuto il titolo ducale nel 1416 egli si diede a un’opera di coordinamento politico e amministrativo culminata nell’emanazione di importanti statuti e nella suddivisione del ducato in 12 province, affidate a balivi, a loro volta suddivise in castellanie. Intercalati agli altri stati territoriali sopravvissero anche alcuni stati monocittadini, vale a dire domini di città che non ne sottomisero altre, ma che si limitarono a controllare i territori rurali po’ più ampi dei contadi di partenza. Fu il caso di Lucca e Siena, che subirono il dominio di Firenze pur riuscendo a conservare la propria indipendenza. Genova pur minacciata dai Visconti non si trasformò in una potenza territoriale come Venezia, ma si limitò a controllare i centri costieri della Liguria e la Corsica. Il suo patriziato si sottomise spesso nel XV secolo signori esterne, dei marchesi del Monferrato ai Visconti, ai re di Francia e agli Sforza. Alla debolezza politica continuò però a corrisponde la prosperità economica degli armatori e dei banchieri. Stato pontificio-> Il dominio dello stato pontificio comprendeva formalmente 7 province, con a capo un rettore: Romagna, marca d'Ancona, ducato di Spoleto, Tuscia, Sabina, Marittima e Campagna e il patrimonio di San Pietro in Tuscia. Nei fatti l'esercizio dell'autorità pontificia fu discontinuo per l’eterogenea presenza di nuclei autonomi di potere. Pur riconoscendo la sovranità del pontefice, queste forze si erano fermate localmente collegandosi con potenze politiche esterne, spesso ostili al parato, come quella che gravitava intorno alla coordinazione ghibellina. Lo spostamento ad Avignone della corte pontificia impoverì il dominio e Roma in particolare, delle cospicue entrate economiche legate alla sua presenza e ne acuì le condizioni di disordine politico. Il senato tornò in balia delle fazioni cittadine capeggiate dalle grandi famiglie dei Colonna, dei Caetani, degli Orsini tutte dotate di vasti possedimenti e castelli nelle campagne laziali. La città stessa, calato il flusso dei pellegrini dopo il giubileo del 1300 e scomparsa la schiera di questuanti che gravitava intorno alla curia pontificia in cerca di prebende e benefici, ripiegò la sua ridotta vita sociale e politica. Tra le rovine dei monumenti dell'età antica vivevano, oltre al clero e ai notai, le potenti famiglie signorili e baronali arroccate in quartieri fortificati e contornate da un popolo composto per lo più di pastori 67 sulle vicende del loro dominio marittimo, minacciato dall'avanzata dei turchi. La vicenda di Francesco Sforza fu la più compiuta di un fenomeno che caratterizzò la scena politica italiana nel Xv secolo, la creazione di domini signorili da parte dei condottieri. Alla base c’era la trasformazione degli eserciti comunali; lo scarso affidamento delle milizie cittadine, il rischio di armare i nemici di parte, le campagne di guerra sempre più lunghe avevano indotto nel corso del XIV secolo mercanti e artigiani ad affidarsi a truppe mercenarie di professionisti. Esse si organizzarono in compagnie permanenti, le compagnie di ventura, guidata da un capo. Furono all’inizio ingaggiate quelle guidate dai condottieri stranieri reduci dai teatri di guerra europei, ma a partire dalle 1380 gli italiani tesoro a reclutare i comandanti italiani e a rendere stabili i rapporti con i condottieri e alcuni di loro finiranno col mettere radici negli stati che servivano, come fu il caso di Braccio da Montone o di Francesco Sforza. A loro volta alcuni signori, soprattutto nei territori pontifici divennero dei condottieri, come è il caso dei Malatesta o di Gian Francesco Gonzaga, signore di Mantova e capitano generale dell'esercito di Venezia dopo il 1427. Una pace fu stipulata a Lodi, nel 1454 sancì l'ascesa di Francesco Sforza al ducato di Milano e alcune delle conquiste di Venezia in territorio lombardo. Tra il 1454-55 fu stretta anche una Lega tra gli stati situati nei confini italiani, esse prevedeva una durata di 25 anni rinnovabili, come poi avvenne e la creazione di un esercito comune per la difesa da eventuali attacchi dall'estero, a cominciare dalle rivendicazioni angioine sulla Sicilia. Alla Lega, promossa dal ducato di Milano, da Venezia e da Firenze aderì il papa, il re di Napoli, il duca d’Este e poi quasi tutti gli altri stati e potentati minori. L'obiettivo di garantire la pace fu raggiunto per circa un quarantennio, nonostante alcuni conflitti locali e una condizione costante di precario equilibrio. Con gli strumenti della diplomazia si prodigò molto Lorenzo de’ Medici, la cui famiglia di banchieri aveva affermato sin dalle 1434 a Firenze una signoria, sia pure all'interno di un quadro istituzionale repubblicano. La sua abilità diplomatica nasce anche dalla consapevolezza che Firenze rappresentava lo stato più debole e più esposto al rischio di perdere la propria indipendenza. Attraverso una stabile alleanza con gli Sforza e con i sovrani napoletani Lorenzo riuscì a frenare i tentativi di espansione veneziani e le ambiguità della politica pontificia. Strumenti essenziali per tessere la trama della mediazione diplomatica fu la costituzione di ambasceria stabilì presso le diverse corti italiane. Per un certo periodo il sistema politico disegnato dalla Lega italica assicurò stabilità ma non tranquillità. Negli stati che ne costituivano l’asse diplomatico si susseguirono infatti alcune congiure che manifestarono la precarietà dei loro assetti interni. Nel 1476 fu assassinato Galeazzo Maria Sforza e assunse la reggenza per il figlio Gian Galeazzo lo zio Ludovico il Moro. Nel 1478 Lorenzo de’ Medici scampo un agguato organizzato dalla famiglia fiorentina dei Pazzi, che gestiva le finanze pontificie ed era sostenuta dal papa. Nel 1485 Ferrante d’Aragona fu oggetto della congiura dei baroni del regno, sobillati dai veneziani e del papa. A incrinare gli equilibri fu la politica di Sisto IV che appoggiò sistematicamente il disegno del nipote Girolamo Riario di crearsi uno stato nell’Italia centrale. Il momento più critico per la tenuta della Lega fu la guerra contro Ferrara avviata nel 1482 da Venezia e da Riario. La pace delle 1484 ridimensiona le ambizioni pontificie ma riconobbe Rovigo e il Polesine a Venezia. Nell'ultimo decennio del XV secolo l'equilibrio tra gli Stati si ruppe portando al collasso il precario sistema politico italiano. La morte quasi contemporanea di alcuni dei protagonisti che si erano prodigati per limitare i conflitti (Lorenzo de’ medici, di papa Innocenzo VIII e Ferrante d’Aragona) contribuì a rendere ingovernabile la crisi che partì dalla richiesta di Ludovico il Moro al re di Francia Carlo VII di Valois di intervenire contro gli aragonesi di Napoli che rivendicavano il ducato di Milano per via dinastica. Con l'appoggio dei veneziani, il re di Francia, che rivendicava a sua volta i diritti su quello di Napoli in quanto discendente degli Angiò, scese con l’esercito in Italia tra il 1494 e il 1495 impossessandosi del regno senza grandi opposizioni. Il coinvolgimento di una grande potenza straniera mise a nudo la strutturale debolezza degli stati italiani. La discesa del re di Francia chiuse la fragile stagione dell’equilibrio autarchico e inaugurò un periodo di contesa dei paesi stranieri per il controllo dell'Italia. 29. L’Umanesimo Umanesimo e Rinascimento-> Questi sono termini entrati in uso nel XIX secolo tra gli studiosi per indicare due vasti movimenti intellettuali e culturali, tra loro strettamente correlati, sviluppatasi tra il XIV e il XVI secolo prima in Italia poi in altri paesi dell'Occidente europeo. Si può dire che l'Umanesimo accompagnò la nascita e lo sviluppo del Rinascimento, così come è corretto affermare che l'Umanesimo fu l'atteggiamento mentale di rivalutazione della vita dell'uomo attraverso gli strumenti intellettuali offerti della classicità, di cui il Rinascimento fu la sostanza sociale, culturale e artistica. Si tratta di due diverse declinazioni, tra loro strettamente complementari, al punto che gli studiosi più recenti usano l'espressione «umanesimo rinascimentale», di una nuova visione del ruolo dell'uomo nel mondo e nella storia. Il Rinascimento fondò nella discontinuità con il medioevo l'autorappresentazione della civiltà occidentale attraverso una nuova periodizzazione della storia europea legata all'idea di progresso. Fu infatti l'Illuminismo nel XVIII secolo a interpretare il Rinascimento come la stagione iniziale della secolarizzazione della cultura occidentale, come il primo passo verso la civilizzazione dei costumi e lo sviluppo tecnologico raggiunto nell’età moderna. Con l'espressione umanae littere si usava indicare il complesso delle discipline classiche erano definite umane perché concorrevano alla formazione dell’uomo. Gli studia humanitatis cioè lo studio della 70 letteratura, della retorica e della filosofia bene corrispondevano all’aspirazione dei moderni ad assimilare lo spirito degli autori antichi. Gli umanisti concepirono sé stessi come coloro che coltivavano le lettere, potevano realizzare quei sentimenti, quei valori e quegli aspetti del mondo che distingue l'uomo, per la sua cultura, delle altre creature. Gli umanisti inseguirono la formazione di un uomo integrale, buon cittadino, buon soldato, uomo colto, capace di godere delle bellezze, di gustare la vita traendo dalla natura tutto quanto essa può dargli. L'Italia ebbe un ruolo preponderante nello sviluppo dell'umanesimo, per più ragioni, riconducibili sostanzialmente due principali: dal XII secolo vi vivevano i maggiori intellettuali laici dell’Europa occidentale, mentre altrove nel continente erano soprattutto gli ecclesiastici a egemonizzare le scuole, gli studia e la cultura. L’Italia nel suo complesso era l'area economicamente e socialmente più sviluppata dell’Occidente, senza contare che vi erano concentrate la maggior parte delle vestigia dell’età romana, a perenne memoria della civiltà degli antichi. Padova fu il centro culturale più vivace all'epoca, sede di un'importante università e il crocevia linguistico tra poesia francese provenzale, volgare italiano e latino. Fu per primo il giudice padovano Lovato dei Lovati copista e collezionista di testi classici a ricavare dallo studio dei poeti antichi gli strumenti per creare una lirica originale, attenta ai problemi del presente. Egli riunì intorno a sé un circolo di poeti che possedevano la più completa conoscenza della letteratura latina della fine dell’antichità, fondata sullo studio dei testi rintracciati in biblioteca come quelle della cattedrale di Verona o dell'abbazia di Pomposa. Un suo discepolo, il notaio Albertino Mussato fu solennemente incoronato storiografo e poeta, secondo l'usanza classica, dai suoi concittadini dopo la lettura pubblica nel 1315 della tragedia sulla tirannide di Ezzelino da Romano, l’Ecrerinis. A Mussato si deve anche l'originale utilizzazione di una prosa di stile classicheggiante in varie opere di storia degli eventi contemporanei. Alle prime generazioni di eruditi e letterati fece seguito la grande figura di Francesco Petrarca (1304-1374 ), che a doti eccezionali di studio di testi antichi e di innovatore nella poesia e nell’epistolografia in latino e in lingua volgare seppe unire una consapevole visione del ruolo degli umanisti, creando intorno a sé una comunità internazionale di intellettuali, legati tra loro da una fitta rete di relazioni e di scambi, capace di conquistare un vasto rispetto tra i potenti del tempo. Cresciuto nell’Italia delle città ma all'ombra della corte pontificia avignonese, Petrarca, che prese gli ordini minori, dotò di una conoscenza cristiana un movimento essenzialmente secolare. Per molti anni viaggiò in Italia e in Europa, impegnato in missioni diplomatiche per il cardinale Giovanni Colonna e la sua notorietà crebbe a tal punto da essere incoronato poeta, al modo antico, dal Senato di Roma nel 1341. Un ammiratore di Petrarca fu il fiorentino Giovanni Boccaccio, che trascorse molti anni presso la corte angioina di Napoli e fu poi commentatore della Commedia di Dante per il comune di Firenze. Maggiore prosatore del suo tempo, perfezionatore dell’ottava rima, Boccaccio fu anche un grande scopritore di testi antichi. Riscoprire grandi autori dell'antichità non significa solamente rivalutare le loro lezioni artistiche e il loro insegnamento morale: significò anche ritrovare manoscritti perduti, raccogliere tutte le opere di un autore, studiare il processo attraverso il quale i testi erano stati tramandati nei secoli. Molti umanisti si dedicarono in prima persona alla ricerca dei codici conservati nelle biblioteche e nei monasteri. Partecipando al concilio di Costanza, Poggio Bracciolini esplorò i monasteri svizzeri, francesi e tedeschi scoprendo varie opere di Quintiliano, Cicerone, Plauto e Lucrezio. Per secoli gli uomini colti avevano letto le opere degli antichi come se fossero contemporanei, gli umanisti li considerarono invece dei documenti di un'altra cultura, di cui occorreva rispettare la fisionomia originale e comprendere il significato autentico. Nacque così la filologia, cioè l'insieme delle discipline che servono a leggere, comprendere e interpretare i documenti. Il nuovo metodo consentì di datare molti codici e di individuare errori di attribuzione e manipolazioni apportate dagli amanuensi nel corso delle numerose trascrizioni. Il cancelliere fiorentino Coluccio Salutati ebbe il merito di rilanciare la conoscenza della lingua greca, istituendo nel 1397 la prima cattedra di greco a Firenze, affidata al dottor bizantino Emanuele Crisolora, che permise la traduzione in latino di numerose opere di Platone, Aristotele, Plutarco e Senofonte. Decisiva fu inoltre la venuta in Italia favorita anche dalla caduta di Costantinopoli di molti eruditi greci che portarono con sé i propri libri come nel caso del cardinale Bessarione che contribuì alla nascita dell’odierna biblioteca Marciana di Venezia. Maturò un gusto per l'imitazione degli ideali di vita e una rivalutazione degli aspetti del mondo antico, che si tradusse anche nella ricerca sistematica non dei soli codici ma anche di ogni manufatto (monete, medaglie e reperti archeologici) che agli occhi degli umanisti potesse costituire una sorta di tesoro. La lezione degli antichi e l'esempio dato dalla cultura classica vennero poste al centro di un programma educativo, questo orientamento rappresentò una rottura rispetto alla tradizione educativa precedente, nella quale aveva maggiore peso una formazione basata sul pensiero astratto, sulla riflessione interiore e non di rado ispirata ai modelli mistici. Il nuovo progetto intellettuale investì a fondo nelle arti, nelle scienze e nel costume per presentarsi come una concezione generale e originale della realtà della vita. Il sapere non era considerato solamente una virtù personale ma, per il valore assegnato all’ideale della vita attiva, un patrimonio che poteva essere messo in comune. Alcuni umanisti non furono soltanto dei dotti ma partecipare attivamente alla vita civile politica della loro città, ricoprendo incarichi pubblici di rilievo, in primo luogo come funzionari di cancelleria. A Firenze dalla fine del XIV secolo fu a capo della cancelleria figure come quelle di Coluccio 71 Salutati, Leonardo Bruni, Carlo Marsuppini, Poggio Bracciolini e dal 1498 ne fu segretario Niccolò Machiavelli. Per questa partecipazione pratica alla vita amministrativa e politica si è parlato a proposito dell’esperienza di città quali Firenze e Venezia di un umanesimo intriso di ideali laici e civili. L'orientamento pratico si riflettè anche nell’attività intellettuale di questi personaggi, Leonardo Bruni non tradusse le opere teoriche di Aristotele o quelle scientifiche, ma i grandi trattati di filosofia pratica come l'Etica nicomachea e la Politica. Fu soprattutto nelle corti signorili cittadine che nuovi sviluppi culturali trovarono il loro ambiente ideale, perché i principi finanziavano generosamente imprese culturali e artistiche, per prestigio dinastico e politico. Umanesimo cittadino e tradizione aristocratica si fusero in una cultura nella quale ritrovarono posto anche gli antichi ideali cavallereschi, secondo il modello tracciato nel fortunato trattato il Cortegiano di Baldassarre Castiglione o nel poema cavalleresco di Ludovico Ariosto. Castiglione delinea la nuova figura sociale come quella di un uomo «universale», abile tanto nelle armi quanto nelle lettere, capace di cantare, danzare, scrivere poesie, corteggiare le dame. È la maniera cortese che distingue la vita della corte: un insieme di regole di relazione, un’etichetta di comportamento che si rifaceva al concetto medievale di cortesia, un misto di grazia e misura, di dolcezza e cultura. Fu soprattutto nelle arti figurative che il rinnovamento portò un evidente rottura rispetto alla tradizione. Esso si tradusse in una rappresentazione più realistica del paesaggio e della natura, anche generi come il ritratto, fino ad allora convenzionali, ebbero una maggiore attenzione sia agli aspetti fisici anatomici sia a quelli emotivi e psicologici. Ai temi sacri tipici dell'arte precedente, si affiancarono oggetti profani a cominciare dai grandi quadri di battaglie. Determinante fu la scoperta della prospettiva lineare. Superando lo spazio a due dimensioni la prospettiva diede concretezza all’idea di centralità dell'uomo nella natura, tipica degli studi umanistici, introducendo il punto di vista soggettivo dell’osservatore e associandola una visione della realtà ancorata a regole razionali. Gli esordi del Rinascimento si intrecciano nell’opera di alcuni artisti fiorentini nei primi decenni del XV secolo: il pittore Masaccio, l'architetto Filippo Brunelleschi e lo scultore Donatello, capiscuola che tracciarono le linee guida del rinnovamento che avrebbe progressivamente raggiunto tutta l'Europa. Brabante e Leonardo da Vinci a Milano, Raffaello Sanzio a Urbino. Dopo aver lavorato a Firenze, Michelangelo Buonarroti fu coinvolto insieme a Raffaello nei grandiosi progetti di rinnovamento della Roma papale portati avanti da Giulio II, Leone X e dai successori: nelle stanze vaticane dipinte da Raffaello e nel giudizio universale affrescato da Michelangelo nella Cappella Sistina, inaugurata nel 1541, l'imitazione dei modelli classici giunse al massimo grado di rielaborazione originale. Le guerre d'Italia segnarono l'inizio della fase finale della grande stagione rinascimentale italiana. Per l'alto grado di alfabetizzazione dei suoi abitanti, per la forte domanda di beni di lusso delle sue élites mercantili e nobiliari, per il mecenatismo promosso dalla signoria dei Medici, il centro propulsore del Rinascimento fu Firenze. Il termine mecenatismo deriva da Caio Clino Mecenate del I secolo a.C., protettore dei poeti Virgilio e Orazio. Il personaggio che forse è meglio incarna lo spirito dell’Umanesimo: Leon Battista Alberti fine letterario e acuto pedagogista, teorico della pittura, della scultura e grandissimo architetto, animato da una straordinaria curiosità per il mondo romano. Sempre a Firenze Filippo Brunelleschi guidò, tra il 1420 e il 1436, il cantiere della grande cupola della cattedrale di Santa Maria del Fiore, risolvendo i problemi tecnici che ne avevano fermato la costruzione sin dal secolo precedente. Una realizzazione geniale in cui si fusero ragionamento scientifico e intuito artistico. Il lavoro dell'artista è rimasto a lungo compreso tra i mestieri artigianali ed era retribuito alla stregua di un lavoro manuale, anche se di lusso. Nel corso del XV secolo si assistette a una trasformazione della figura dell'artista, che si sganciò dalla modesta considerazione di cui godeva per avvicinarsi allo status dell’intellettuale umanista. Raffaello, Tiziano e altri capi scuola che lavoravano per i sovrani d’Europa e per la curia romana, ricevettero enormi ricchezze, titoli e incarichi che portarono lustro alla loro famiglia. Emerso dall’anonimato degli artigiani, l'artista diviene un personaggio dalla spiccata individualità, forte della creatività e talora della genialità a cui doveva la sua fama. Si diffuse una grande fiducia nell’intelligenza umana, che portò ad esaltare la superiorità dell'uomo sugli altri esseri naturali per le sue numerose capacità creative. Il concetto di humanitatis riassume la voglia di conoscenza che distingue l'uomo da tutti gli altri esseri animati. La nuova visione in cui l'uomo era posto al centro dell'universo ed era considerato padrone del proprio destino, costituiva una netta discontinuità con la cultura delle epoche precedenti. Una nuova sensibilità religiosa indirizzò il pensiero sulla strada della laicizzazione, rifiutando i dogmatismi religiosi e affermando la libera ricerca attraverso l'esame critico e la discussione. Il filosofo Giovanni Pico della Mirandola ricostruì i lineamenti di una filosofia universale, che si proponeva di concordare le diverse correnti di pensiero che sin dall’antichità erano accomunate dall'aspirazione alla sapienza in cui l'uomo deve essere inteso come per prosecutore dell'opera divina della creazione. Pico esaltò la libertà che differenziava l'uomo dagli altri esseri: stava a lui degradarsi nelle cose inferiori oppure innalzarsi a quelle superiori. Il filosofo fiorentino Marsilio Ficino si propose di saldare filosofia e religione, elaborando una “docta religio” imperniata sulla dottrina dell'anima umana come centro del mondo e punto intermedio tra la realtà fisica e la realtà divina e sulla dottrina dell'amore, come forza che permette all'uomo di elevarsi dal mondo sensibile fino a Dio. Per volere di Cosimo de’ Medici Ficino fondò nel 1459 l'Accademia platonica al fine di studiare e promuovere la diffusione del filosofo ateniese. La filosofia di 72
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