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Manuale Linguistica Italiana, Sintesi del corso di Linguistica

Il manuale descrive in maniera coincisa ed efficace i fondamenti di linguistica italiana

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 07/03/2021

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chiara-renzetti 🇮🇹

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Scarica Manuale Linguistica Italiana e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica solo su Docsity! Capitolo 1: Alle radici dell’italiano 1.1. Alle radici dell’italiano L’italiano è una lingua di origine indoeuropea (lingua non storicamente accertata, ma ‘ricostruita’: tra IV e III millennio da diverse tribù, tra Europa e Asia). Sono indoeuropee anche l’inglese, l’hindi e lo spagnolo. L’etrusco invece no, anche se ebbe influenza sul latino. Decisamente più importante però è l’influsso esercitato dal greco, a partire dall’alfabeto (es. parole marinaresche come prora, ballaena, Delphinus), che ha fornito le parole e l’impalcatura concettuale di molto lessico astratto e del vocabolario religioso: - attraverso l’assegnazione di nuovi significati a parole già esistenti (ratio: calcolo + ragione) - tramite nuove formazioni - per esprimere nozioni estranee alla cultura pagana (angelus, episcopus) - per sostituire termini latini troppo compromessi col paganesimo (vates > propheta) 1.2. Il latino volgare L’italiano deriva dal latino e appartiene alla famiglia delle lingue romanze, ma solo una parte del vocabolario latino è arrivata fino a noi senza soluzioni di continuità (parole di trafila popolare o ereditarie). La maggioranza è stata recepita nei secoli per via scritta, non presentando le trasformazioni di suono e significato (parole di trafila dotta o latinismi). • Latino classico: denominato da Aulo Gellio (II sec. d.C.), che applicò alla letteratura la divisione della popolazione in diverse classi economiche (prima classe: cittadini emergenti per censo e potere). • Latino volgare: lingua parlata, variava notevolmente a seconda dei luoghi (variazione diatopica), all’origine delle lingue romanze. È il latino parlato dell’uso familiare, con innovazioni ma anche tratti arcaici. La ricostruzione del latino volgare, essendo in primo luogo una lingua parlata, è parziale e indiretta. Le fonti di cui possiamo disporre sono: - Iscrizioni di carattere privato (es. graffiti pompeiani) - Testimonianze di grammatici e maestri di scuola, condannando un abuso linguistico ne attestano la vitalità - Gli scritti di semianalfabeti o di persone con limitata competenza grammaticale - Opere di autori letterari che tendono alla riproduzione dell’uso popolare (commedie di Plauto) - Confronto tra le lingue romanze 1.3. Dal latino all’italiano: i suoni In latino esistevano 10 vocali (A, E, I, O, U) articolate come brevi o lunghe in base alla quantità. Nel latino tardo questo sistema entrò in crisi e nel vocalismo divenne determinante (> valore distintivo) la qualità o timbro (chiuse-aperte). • Dittongamento: prodotto se la è e la ò toniche in sillaba libera o aperta (> iè e uò) e non in sillaba implicata o chiusa: è il motivo per cui si ha fuoco da Fo-cus, ma corpo da Cor-pus. • Anafonesi: chiusura delle vocali toniche é e ó rispettivamente in i e u. - la é dev’essere seguita da laterale palatale (gli), o nasale palatale (gnu), o dai nessi latini - ng- e -nk- (familia> faméglia> famiglia; graminea> gramégna> gramigna; lingua> léngua> lingua) - la ó si ha solo se questa si trova davanti al gruppo consonantico -ng- (fungus> fóngo> fungo) • Epentesi: sviluppo di una vocale o di una consonante all’interno della parola (vidua> vedova) • Prostesi ed Epitesi: incremento all’inizio o alla fine di una parola (scriptus> per iscritto; nòe> none) • Sincope: caduta di una vocale all’interno di una parola (vanitare> vantare; calidus> caldo) - Aferesi: caduta di una vocale, consonante o sillaba all’inizio di parola (illei> lei) - Apocope o troncamento: alla fine di parola (bonitas> bontade> bontà). • Consonantismo: precoce caduta delle consonanti finali + sonorizzazione parziale delle consonanti sorde intervocaliche (lacus> lago; scutum> scudo; amicus> amico; petra> pietra) Alterati risultano i nessi consonantici: La variazione linguistica, studiare i mutamenti di una lingua: - In diacronia: nel corso del tempo - In diatopia: determinati dallo spazio - In diastratia: in base allo strato sociale - In diafasia: legati alla situazione comunicativa - In diamesia: a seconda del canale di comunicazione • Rilatinizzazione: scomparsa di forme popolari usate nell’italiano antico, alle quali si è preferita la forma latineggiante (fedire > ferire). 1.7. Latino e italiano nella letteratura Nel Medioevo la lingua abituale nella quale i letterati scrivevano le proprie opere era il latino; anche i grandi scrittori trecenteschi, padri fondatori della letteratura italiana, hanno scritto in latino una parte consistente delle loro opere o addirittura quasi la totalità, come nel caso di Petrarca. La sua opera più famosa, il Canzoniere, è invece una raccolta di componimenti scritti in volgare, il cui titolo originale è però in latino (rerum vulgarium fragmenta). Solo col XVI secolo si fa strada una corrente avversa al latino e favorevole al volgare (Leonardo Salviati). Il volgare e poi l’italiano conservano però a lungo l’impronta latineggiante nella sintassi e nel lessico, specie in quello poetico, sia in Dante che, oltre due secoli più tardi, in Tasso. Anche Alessandro Manzoni, che rinnovò profondamente la prosa letteraria, quando scrive in versi è ancora legato al linguaggio poetico tradizionale. Tra XV e XVI secolo, si spingevano due diverse sperimentazioni linguistiche letterarie: 1) Macaronico: poesia macaronica, ambiente universitario padovano, prende il nome dal macarone ‘gnocco di formaggio’, nel senso di cibo grossolano risultante da più ingredienti: la sua caratteristica è infatti la fusione di italiano e latino creata per parlare di argomenti bassi e triviali. Le parole hanno una base italiana o dialettale, ma la struttura grammaticale e metrica è quella del latino. Teofilo Foligno è il massimo esponente. 4) Polifilesco: ‘guerra d’amore in sogno dell’amatore di Polia’, opera in prosa di un Francesco Colonna (Venezia, 1499). Il polifilesco rientra nel sistema volgare, ma se ne colloca ai margini, in quanto il tasso di latinismi è accresciuto fino a raggiungere effetti stranianti. 1.8. Latino e italiano nell’uso giuridico e amministrativo Anche se il più antico documento ufficiale in un volgare italiano — placito campano del 960 — è un testo giuridico, per molti secoli la lingua dei testi normativi è stata il latino: statuti dei comuni, nomi di alcuni magistrati (console, podestà), cancellerie operanti nei vari stati della penisola, fino al XV secolo (poi volgare ‘di coinè’). Anche nei secoli successivi il modello latino continua ad agire: - Nella derivazione (ulteri-ore, maggi-ore; in contrasto con le forme più vicino, più lontano) - Aggettivi verbali (laureando, educanda, modellati su gerundivo) Strettamente connessa con il linguaggio giuridico è la lingua degli uffici e dell’amministrazione, che dall’età napoleonica (con la riforma degli apparati statali) accoglie molti latinismi spesso attraverso il tramite del francese. Inoltre dà spazio a espressioni prettamente latine (conditio sine qua no; excusatio non petita, accusatio manifesta, notitia criminis, nulla poena sine lege). Nel 1993, per semplificare e rendere più comprensibile la lingua della burocrazia ai cittadini, la Presidenza dei Consiglio dei Ministri ha emanato un Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche. I suggerimenti mirano a favorire frasi brevi e sintatticamente lineari e, nel lessico, eliminare parole auliche, ma anche vocaboli stranieri o forme poco usate. Uno degli interventi di questo indirizzo è la sostituzione di latinismi rari o libreschi con parole più comuni. 1.9. Latino e italiano nella scienza e nell’insegnamento • La lingua scientifica si è espressa in latino fino all’età moderna, con differenze a seconda dei vari ambiti. Nella medicina sono in volgare, già dal tardo medioevo, opuscoli sull’ostetricia e sui mezzi di prevenzione contro la peste, destinati a donne e uomini di bassa istruzione. Già dal Medioevo sono frequenti i volgarizzamenti di opere redatte inizialmente in latino. Un deciso impulso all’uso del volgare nella fisica viene dal grande scienziato Galileo Galilei, che partire dal 1610 ricorre nei suoi scritti: scelta dettata anche dalla volontà di marcare la propria distanza scientifica dai fautori dell’accademismo di stampo aristotelico, che continuavano ad usare il latino. Introduce alcuni neologismi scientifici creati assegnando a nomi comuni un particolare significato tecnico (pendolo), e con le sue invenzioni (cannocchiale). • Per secoli il latino è stato alla base dell’insegnamento. Nel cinquecento si poteva ancora adoperare la celebre grammatica latina altomedievale, senza preoccuparsi del fatto che gli scolari non capissero quello che c’era scritto. Fino al pieno Novecento la scuola ha trascurato l’insegnamento della grammatica italiana in favore di quella latina. Nelle lezioni universitarie, l’italiano fa la sua comparsa solo nel 1754. Oggi c’è chi ritiene che il latino dovrebbe essere bandito. 1.10. Latino e italiano nella Chiesa Fin dai primi secoli della nostra era, il latino cristiano appare permeato di tratti linguistici volgari. L’adozione di una lingua popolareggiante (il sermo humilis) non solo rispondeva all’esigenza di farsi comprendere facilmente dai fedeli, ma sembrava appropriata per esprimere i contenuti di una religione che faceva del primato degli umili uno dei suoi punti di forza. La predicazione si svolgeva in latino, ma l’invito ad usare i vari volgari risale già al Concilio di Tours (813). Ricaviamo così l’avvenuto distacco tra il latino e le lingue romanze. I predicatori devono abbandonare il latino nelle omelie e adottare la ‘lingua romana rustica’, cioè una lingua romanza — o la tedesca. Il latino è comunque presente anche nella predica medievale. Tra Quattro e Cinquecento, latino e volgare convivevano nei cosiddetti ‘sermoni mescidati’: prediche in cui il predicatore passa dal latino a un volgare fortemente dialettizzato, con funzione comica. Col secolo della riforma Luterana, il cristianesimo si divide anche linguisticamente. Nei paesi riformati (protestanti) i testi sacri sono tradotti e vengono letti anche dal singolo fedele; nei paesi cattolici, la liturgia mantiene il latino fino al 1965: la traduzione delle Scritture in volgare non viene incoraggiata. Già nel 1513 però due monaci veneziani indirizzano un Libellus al papa Leone X perchè disponga la traduzione delle Scritture e arrivano a proporre l’uso del volgare nella liturgia. Anche la Chiesa Cattolica però dà un contributo notevole alla diffusione dell’italiano. Dopo il Concilio di Trento (1545-1563) si diffonde la pratica del catechismo. Oggi la Chiesa assegna di fatto una posizione di prestigio non solo al latino, ma anche all’italiano, che conserva una posizione preminente rispetto alle altre lingue soprattutto nei media vaticani. Capitolo 2: Formazione e diffusione dell’italiano 2.1. Linguistica interna ed esterna • Linguistica interna: studia l’evoluzione di una lingua dal punto di vista delle sua strutture, senza tener conto delle circostanze storiche e culturali che hanno condizionato il suo sviluppo. (evoluzione dell’articolo determinativo maschile dal fiorentino antico all’italiano di oggi: la scelta era condizionata dalla posizione all’interno della frase e dal modo in cui terminava la parola precedente all’articolo per lo regno; per tutto il regno. Oggi dal modo in cui comincia la parola seguente: il pane, l’albero) • Linguistica esterna: si occupa dei fattori esterni che agiscono sulla lingua condizionandone lo sviluppo, che possono essere distinti in 3 tipologie: 1. Fattori extraculturali: configurazione geografica che può condizionare i nomi di luogo 2. Fattori culturali in senso lato: economici, demografici, storici, politici. 3. Fattori culturali in senso stretto: alfabetismo, scolarizzazione, invenzione della stampa 2.2. Il policentrismo medievale Dalla caduta dell’impero romano d’occidente all’unità d’Italia, la penisola è stata caratterizzata da una frammentazione politica, anche per la conformazione geografica. L’evoluzione del latino perciò non ha prodotto una sola lingua parlata ovunque allo stesso modo, ma una varietà di lingue che presentano tratti comuni ma anche discontinuità. • La lenta riunificazione è il frutto di un lungo processo culturale (prestigio di Dante, Petrarca e Boccaccio ad esempio). Eppure il primo volgare parlato in Italia che raggiunse prestigio letterario non era stato il toscano, ma il siciliano illustre adottato nella scuola poetica siciliana, che comprendeva rimatori provenienti da varie regioni d’Italia. Quel siciliano è stato poi tramandato in una veste fonetica toscanizzata. • Nell’area mediana, la nascita di movimenti religiosi (benedettini, francescani) diede impulso alla produzione di una letteratura religiosa composta in un volgare mediano (cioè dell’Italia Centrale), ad esempio il Cantico di Frate Sole (1224-1226), o laudario di Jacopone da Todi. • La Cronica (1357-1358) dell’Anonimo Romano invece è una testimonianza del volgare romanesco, anteriore alla fase di avvicinamento al toscano, iniziata nel Quattrocento. • Testi non letterari — statuti, epistole, ricettari. 2.3. L’ascesa del ceto mercantile e le cancellerie Nel corso del Medioevo comincia ad affermarsi una nuova classe sociale: quella dei mercanti, che per esigenze professionali usa scrivere in volgare. Nelle scuole di tipo pratico infatti lingua d’insegnamento è il volgare. I mercanti devono saper tenere tutte attività che richiedono il ricorso alla scrittura. I loro testi costituiscono una preziosa testimonianza, in particolare le lettere, costituendo per i corrispondenti la prima occasione di contatto con la lingua toscana e fiorentina (dato che i mercanti e i banchieri più potenti erano all’epoca quelli toscani), sforzandosi di depurare la propria lingua locale nel tentativo di facilitare la reciproca comprensione. Nei libri di famiglia invece emerge la specificità dei diversi volgari, con annotazioni anche sentimentali. • Coinè quattrocentesca: primo vero esperimento di lingua sovraregionale. Ogni stato regionale dispone di una cancelleria che gestisce le corrispondenze > ricerca di una soluzione linguistica di conguaglio. Il latino costituisce ancora un collante, e il toscano si afferma - Emigrazione interna ed esterna - Nascita nuovi mezzi di comunicazione (radio, cinema sonoro, televisione) 2.8. Scuola e alfabetizzazione Nel 1868, il ministro della pubblica istruzione Emilio Broglio nomina una commissione, presieduta da Alessandro Manzoni, perchè elabori proposte utili alla questione di una lingua nazionale. Secondo lui, bisogna guardare al fiorentino parlato dalle persone colte e i maestri elementari avrebbero dovuto essere di preferenza toscani, o formati mediante soggiorni studio in Toscana. Solo dopo l’estensione al territorio nazionale della legge Casati (1859- Piemonte e Lombardia) e l’emanazione della legge Coppino (1879) inizia a formarsi il sistema scolastico nazionale e viene introdotto il principio di obbligatorietà dell’istruzione elementare. D’allora in poi si riduce l’analfabetismo: dal 75% (1861) al 14% (1951), anche se con ritmi diversi. • I promessi sposi diventano un caposaldo nella formazione della coscienza nazionale, anche di quella linguistica. • Pinocchio di Carlo Collodi • Cuore di Edmondo de Amicis Le tre opere rispecchiano una lingua piuttosto colloquiale che si avvicina al toscano dell’uso vivo. Per contrastare l’uso del dialetto, i maestri tendono a sanzionare non solo le forme dialettali, ma anche molti elementi lessicali e sintattici tipici della lingua parlata. Inoltre la pratica del tema, favorisce la prolissità e l’uso di formule stereotipate. 2.9. Le migrazioni Tra il 1871 e il 1951 circa 7 milioni di italiani lasciano l’Italia per trasferirsi definitivamente all’estero, o per rimpatriare dopo periodi più o meno lunghi. Gli emigranti non abbandonano il dialetto per l’italiano, neppure in terra straniera, e nell’arco di due o tre generazioni perdono il contatto linguistico con la terra d’origine. Una prima conseguenza dei flussi migratori è la riduzione del numero degli analfabeti. Per tenersi in contatto coi familiari rimasti in Italia prendono coscienza dell’importanza dell’istruzione. Più recente è il fenomeno d’immigrazione di lavoratori stranieri: per ora non sembrano in grado di influire sull’italiano; l’arrivo di questi cittadini pone problemi linguistici di tipo diverso, legati alla necessità di apprendere l’italiano, condizione indispensabile per una piena integrazione. 2.10. I mezzi di comunicazione di massa • Il passaggio dai giornali locali ai quotidiani diffusi a livello nazionale comporta importanti trasformazioni linguistiche e stilistiche, contribuendo a diffondere un modello di italiano unitario, aperto anche alle parole straniere e alle strategie linguistiche della comunicazione pubblicitaria. • La radio, il cinema e la televisione agiscono sulla diffusione dell’italiano molto più dei giornali perchè sono in grado di raggiungere anche la popolazione analfabeta, con impatto differente. - il cinema sonoro (1930) si serve di una lingua lontana dall’uso reale e prossima al parlato teatrale: aulica. La pratica del doppiaggio ha evitato la discriminazione tra alfabetizzati e non, che i sottotitoli avrebbero prodotto. La lingua realmente parlate irrompe solo con la stagione del cinema neorealista di Rossellini e De Sica. Nelle commedie degli anni successivi trova spazio una dialettali esasperata e stereotipata. - La radio, attiva come servizio pubblico dal 1924, inizialmente utilizza una comunicazione unilaterale, con lingua lontana alla spontaneità del parlato. A partire dagli anni 70 si apre un dialogo con il pubblico, che può telefonare in diretta, inviare messaggi ecc.. - La televisione, dal 1954, diventa il mezzo più popolare. Inizialmente un lusso per pochi • La pubblicità: diffusione di ‘tormentoni’, loghi • Musica leggera: canzonetta melodica, fenomeno di massa dal 1951, con l’istituzione del festival di San Remo. Testi semplici e facilmente memorizzabili. Capitolo 3: Italiano e dialetti 3.1. La frammentazione linguistica della penisola La discontinuità geografica ha favorito una frammentazione etnica e linguistica. Le etnie assoggettate dai romani erano circa una ventina e ciascuna potè conservare la propria lingua: non si preoccuparono di latinizzare i popoli. In alcuni casi questi popoli impressero alla lingua dei dominatori alcune caratteristiche della propria (sostrato). La decadenza dell’Impero accentuò i particolarismi. L’insediamento dei Longobardi produsse la frattura dell’Isola in 4 settori: 2 longobardi e 2 bizantini; perpetuando la frammentazione. Ancora oggi si possono individuare 3 aree dialettali: 1) Area settentrionale (a nord di una linea ideale che collega Rimini-La Spezia) 2) Area toscana e mediana 3) Area meridionale (a sud di una linea Roma-Ancona) 3.2. Dai volgari ai dialetti Anche il dialetto è una lingua. La differenza con l’italiano consiste soltanto nella sua più limitata diffusione e nella sua minore importanza politica, spesso collegata a un minore prestigio socio-linguistico. Al tempo di Dante si riteneva che il latino fosse una lingua artificiale, creata dai dotti per disporre di uno strumento di comunicazione rispondente a regole grammaticali ben precise. Nel De vulgari eloquentia, è descritto come una lingua di secondo grado (locutio secondaria), rispetto alla quale i vari volgari sono lingue di primo grado, apprese naturalmente imitando la nutrice. È possibile parlare di dialetti in senso proprio solo con il sorgere dell’italiano, cioè a partire dal Cinquecento, quando l’affermazione del fiorentino letterario trecentesco abbassa al rango di dialetti tutte le altre parlate. Ma è solo tra la fine del Seicento e l’inizio del Settecento che si prende coscienza della differenza tra italiano e dialetto, anche grazie al fiorire di una vasta letteratura dialettale consapevolmente alternativa a quella in lingua. 3.3. L’affermazione del fiorentino La fortunata proposta fatta da Bembo nel 1525 di fondare la lingua scritta sul fiorentino letterario del Trecento (in particolare quello stato da Petrarca e Boccaccio) segnò una svolta: la soluzione della questione della lingua non poteva che arrivare per via colta. Bembo guardò a una lingua antiquata che potesse, un po’ come il latino, offrire regole sicure perchè tratte da modelli inalterabili. Una lingua pensata per le esigenze della comunicazione scritta. Ecco perchè l’italiano di oggi ha mantenuto un’inconfondibile impronta fiorentina (famiglia , lingua, zucchero anziché fameglia, lengua, zuccaro) certo, anche con differenze (prego, darmelo anziché priego, darlomi). > fiorentino argenteo: fiorentino successivo all’età “aurea”. 3.4. L’uso riflesso del dialetto Uso riflesso: qualsiasi uso non spontaneo del dialetto, non riprodotto scientificamente, ma forzato o deformato per ragioni stilistiche. • I più antichi esempi che possono essere ricondotti a un uso riflesso del dialetto sono i cosiddetti “testi in improperium”, caratterizzati dalla parodia della parlata altrui. • In seguito si accompagnerà un intento più chiaramente polemico, di rivalsa da parte del mondo contadino emarginato nei confronti della città. • La commedia cinquecentesca dà voce alle parlate escluse dalla cittadella letteraria: esibisce un plurilinguismo molto accentuato, in cui ogni dialetto caratterizza certi personaggi. • Diverse ragioni ideologiche: veicolo di protesta dei reazionari; rappresentazione del sottoproletariato giovanile borghese • Nel cinema viene utilizzato con la grande stagione del neorealismo e dagli anni sessanta in funzione comica dalla “commedia italiana”: il più usato il romanesco, anche se la lingua messa in scena è più un italiano venato di tratti locali, comprensibile a tutt’Italia. 3.5. Chi parla dialetto oggi? Al momento dell’unità d’Italia, la gran parte della popolazione parlava e capiva soltanto dialetto (italofoni circa il 9,5%). Le cose non migliorarono in seguito: alla scarsa diffusione dell’italiano c’era l’analfabetismo e la scuola funzionava male. I ragazzi erano spesso impiegati nei lavori di manodopera. Dalla metà del Novecento la situazione è cambiata rapidamente, anche grazie all’avvento della televisione, che ha svolto un ruolo fondamentale nel diffondere un modello comune di italiano parlato. Oggi sono pochissimi (poco più del 5%) gli italiani esclusivamente dialettofoni, cioè che usano solo o prevalentemente il dialetto. La competenza dialettale è tuttora largamente diffusa, almeno nei rapporti confidenziali. Recentemente si ha una nuova percezione collettiva del dialetto: non più marca d’inferiorità socioculturale, ma consapevole opzione in grado di soddisfare i più vivaci bisogni espressivi. Anche la lingua della narrativa si concede aperture al dialetto, sia pure con diverse funzioni: • Dialetto per dispetto: dialetto mescolato al linguaggio giovanile, come trasgressione nei confronti della norma scolastica Competenza linguistica: grado di padronanz che un parlant possiede di una lingua - Competenza attiva: produrre atti linguistici appropriati - Competenza passiva: comprendere atti linguistici prodotti da un interlocutore - Competenza minima (dialettofonia o italofonia pura): esclusiva competenza attiva del proprio dialetto o dell’italiano - Competenza massima (dialettofonia o italofonia): competenza attiva sia del proprio dialetto sia dell’italiano (bilinguismo o diglossia) • Bilinguismo: compresenza di due codici linguistici diversi ma di pari dignità • Diglossia: ai due codici vengono assegnati ruoli e ambiti d’uso differenziati • Italiano centrale (toscana e romana) • Italiano meridionale (campana e pugliese) e meridionale estremo (siciliana e calabrese) - L’italiano regionale campano si caratterizza per la confusione, dovuta in parte alla lenizione, tra i suoni p e b, t e d, k e g (rinchiuto per rinchiudo). Un fenomeno assai rilevante è costituito dai metaplasmi di genere, favoriti in qualche caso dal tentativo di sostituire la vocale finale indistinta (“schwa”) con una vocale di timbro definito (lo scatolo, gli analisi). Frequente anche l’uso dell’infinito passivo nelle completive (voglio essere fatto un servizio) e più tipicamente di stare e tenere per essere e avere. - L’italiano regionale siciliano è condizionato sul piano della pronuncia, dal tipico sistema a cinque vocali. Sono comuni i costrutti con l’infinito passivo in dipendenza da verbi volitivi o desiderativi (fabio vuol esser comprato il trenino). Possibili costrutti perifrastici ricalcati sul siciliano come per esempio ‘essere privo di’ > essere impossibilitato a (sono privo di uscire perchè ho gli operai in casa). • Italiano di Sardegna 3.10. Parole dialettali passate in italiano Degli oltre 10mila lemmi di origine dialettale, più della metà è entrata in Italiano dopo l’unità. In particolare un furto gruppo di espressioni e di vivaci locuzioni idiomatiche (far ridere i polli, essere una mezza calzetta, cribbio!, mandare a quel paese..). il settore in cui l’italiano ha accolto il maggior numero di parole provenienti dal dialetto è la gastronomia (tortellini, tagliatelle, cotechino, vongole, caciotta). In ambito burocratico-amministrativo (questore, anagrafe, scontrino), militare (pelandrone, naia), naturale (brughiera, lava), arti e mestieri (mezzadro), mondo dell’illegalità (bustarella, malavita, pizzo, mafia). Molto più forte il debito che hanno contratto con l’italiano, specie per quanto riguarda il lessico astratto e intellettuale (spurtunatu invece di malasutatu, vidua invece di cattiva). Capitolo 4: Scritto e parlato 4.1. Lingua scritta e lingua parlata • Nello scritto il destinatario può essere anche molto lontano nel tempo e nello spazio, e di solito conosce solo la redazione finale (il processo di composizione rimane invisibile al lettore). • Il parlato è strettamente legato al qui e ora della situazione comunicativa; rende possibile il cosiddetto feedback da parte dell’emittente (ovvero il controllo immediato sulla ricezione e comprensione di quanto viene detto) e del destinatario (possibilità di manifestare comprensione, accordo, disaccordo..). ha svolgimento lineare: non è possibile riascoltarlo, tornare indietro, andare oltre. Chi parla non è così attento alla precisone sintattica e coesione testuale. Coesione: qualità che fa riferimento alle sue connessioni sintattiche e morfologiche, formali. Coerenza: qualità che riguarda i legami logici e semantici, sostanziali. > Testo: compattezza e autosufficienza (produzioni scritte) > Discorso (orale) Esistono diverse tipologie di parlato: - Parlato spontaneo (in situazione) - Parlato non spontaneo (come il parlato-letto o il parlato-recitato) - Parlato monologico (come una lezione universitaria) - Parlato dialogico (come un’interrogazione) - Parlato in presenza - Parlato in assenza (come il parlato telefonico) - Forme ibride (come l’annuncio letto da un annunciatore radiofonico o la trascrizione fonetica di un discorso) Le funzioni jakobsoniane: emotiva, conativa, poetica, fatica, metalinguistica, referenziale 4.2. Due punti di vista diversi • Il testo scritto è caratterizzato da forte coesione testuale e sintattica (diviso in capitoli, paragrafi, punteggiature, sintassi serrata e lessico non ripetitivo). • Nel parlato troviamo: - esitazioni, cambiamenti repentini, ridondanze. Il “rumore” ha una funzione comunicativa e valore informativo: ad esempio le esitazioni (io.. eh.. mm..). - Sintassi è lasca, lessico meno rigoroso, ripetitivo. - Mezzi non linguistici come la prossemica (codice che utilizza in funzione comunicativa lo spazio tra gli interlocutori, come la distanza che può indicare confidenza, o il braccetto) e la gestualità (mimica e insieme dei gesti del corpo, come l’occhiolino > ironia). Entrambi i mezzi sono soggetti a variazioni culturali e antropologiche. - Pause, vuote (silenzio) o piene (ehm..), può segnalare imbarazzo, disagio, sorpresa. - Tratti soprasegmentali, ovvero le caratteristiche prosodiche del parlato: intensità, ritmo, intonazione. Tramite quest’ultima diamo senso interrogativo, esclamativo, enfatico… - Deitticità: legame di ogni enunciato con il contesto extralinguistico, come i gesti ostensivi (“Prendi!”), o elementi linguistici tramite i quali possiamo determinare lo spazio (questo), il tempo (ora), o i protagonisti della comunicazione (io). - Coesivi: rimandano al contesto linguistico. Pronomi personali, forme dal valore anaforico o cataforico. > stile dominato dalla semantica e dalla pragmatica. 4.3. La grammatica del parlato Una parte importante ha nel dialogo anche la presupposizione, con cui si allude a conoscenze date per condivise. Chi parla poi dà massimo rilievo alle informazioni che ritiene più importanti, viene messo in risalto il focus d’interesse. Tipici del parlato sono i segnali discorsivi: • Formule di attenuazione (per dire, diciamo) • Formule di esitazione (mh, beh, insomma) • Formule di esemplificazione (mettiamo, diciamo) • Formule di riformulazione della frase (cioè) • Formule di controllo dell’avvenuta ricezione o comprensione (capito?) • Demarcativi (parole /locuzioni con funzione di aprire o chiudere il discorso: che si dice?) 4.4. Gli atti linguistici Ogni enunciato costituisce un atto linguistico. Perchè la comunicazione abbia luogo, l’interlocutore deve possedere una competenza pragmatica, ovvero la capacità di comprendere l’effetto degli enunciati linguistici sul contesto comunicativo, effetto basato su convenzioni comunicative, cioè su regole implicite e variabili da cultura a cultura. Grazie alla competenza pragmatica possiamo quindi decodificare l’atto linguistico e rispondere correttamente. se, in un dato contesto comunicativo, le parole vanno prese per quello che significano alla lettera o in senso scherzoso, ironico, sarcastico; se vanno prese per quello che fanno (chiedere, ordinare, offrire) > atti illocutivi, azione che si compie nel dire qualcosa (posso chiudere la finestra?) Gli atti perlocutivi sono quelli che producono effetti diretti: ad esempio con verbi performativi (giuro, maledico). Gli enunciati performativi sono espressioni fisse che hanno il potere di ottenere l’effetto che quelle parole descrivono (io ti battezzo: avviene il battesimo). Perché possa agire nella realtà è necessario che siano rispettate alcune procedure convenzionali (es. prete che battezza il bambino con il nome sbagliato: il battesimo non avviene; matrimonio cinematografico: non ha valore). 4.5. La conversazione • Perchè la conversazione abbia successo, gli interlocutori devono per prima cosa cooperare, osservando alcune regole di logica e pertinenza. Secondo Grice, le massime conversazionali sono quattro: - Di qualità (cercare di fornire un contenuto vero) - Di quantità (non essere né reticenti né ridonanti) - Di relazione (essere pertinenti) - Di modo (evitare ambiguità) • Introduce però anche la nozione di implicatura conversazionale: se le massime vengono violate, e abbiamo motivo di ritenere che l’interlocutore voglia ugualmente collaborare alla conversazione, ipotizziamo che lo abbia fatto in maniera deliberata, per comunicarci in quel modo qualcosa. • Punto di rilevanza tradizionale (PT): momento in cui l’interlocutore può inserirsi nella conversazione non appena capisce che l’altro sta per terminare il suo turno. È in generale contrassegnato da un abbassamento del tono di voce ad esempio. Se chi parla non ha selezionato il parlante successivo, o se qualcuno si inserisce mentre un turno di parola è in corso, si potrà verificare una breve “lotta” per la conquista: alzamento di tono, cenno con la mano di attendere. • Sequenze complementari - coppie adiacenti: strutture fisse per avviare, far procedere o chiudere la conversazione (es. a un saluto corrisponde un altro saluto, alle scuse una minimizzazione..). Sono una sorta di cerimonia linguistica priva di contenuto informativo. Esemplare il caso di chiusura di una telefonata (a presto, ciao, arrivederci); se non le utilizziamo possiamo apparire bruschi o scortesi. Esistono forme preferenziali per completare una sequenza complementare: per rifiutare un invito non è così semplice, ci vuole una spiegazione, una pausa. Oppure “come stai?”, se uno dovesse rispondere “male” si creerebbe una situazione di disagio, imbarazzo, obbligati a chiedere il motivo> la conversazione comincerebbe inceppata, perchè il sistema linguistico si trova spiazzato di fronte a una risposta non preferenziale. 4.6. I registri del parlato Il parlato si articola in una gamma di registri dominata da tre parametri: diafasia, diastratia, diatopia. Nella situazione attuale infatti un parlante può disporre di vari registri: italiano Tecnificazione: parole della lingua comune alle quali viene attribuito un nuovo significato scientifico (es. base in chimica: ‘sostanza capace di acquisire protoni o cedere doppietti) Negli ultimi tempi l’inglese ha influenzato notevolmente la lingua scientifica > aumento della presenza di anglicismi nell’italiano scientifico e tecnico (range, randomizzare: prestito, morbidità su modello inglese morbidity). Le lingue speciali ricorrono soprattutto a procedimenti di affissazione e composizione, che hanno il triplice vantaggio di: 1) Utilizzare pochi elementi formativi 2) Essere molto trasparenti 3) Creare classi di vocaboli aperte > rapporto biunivoco tra vocabolo e significato + utilizzano l’elemento in unione con qualsiasi base, generando una parola dal significato immediatamente comprensibile (es. suffisso ato in chimica designa i nomi dei sali derivati da acidi: zolfato < zolfo) 5.3. Il linguaggio delle scienze “dure” Scienze molli: psicologia, antropologia, economia Scienze dure: discipline che sottopongono i risultati dei propri studi sulla realtà a una rigida matematizzazione (matematica, fisica, chimica). La loro lingua possiede il più alto tasso di tecnicità, alcune caratteristiche: - Tecnificazione o Risemantizzazione: ricorso alla lingua comune per creare tecnicismi specifici (forza, lavoro, massa), che provengono anche da lingue classiche (funzione, direttrice, ellisse, plasma), che secondo il fenomeno del transfert (un termine appartenente a una lingua speciale migra in un altro linguaggio settoriale) ha attraversato nel tempo 3 lingue speciali (geometria, chimica e medicina). Apporto importante viene anche dall’inglese. - Abbondanti i derivati, spesso creati con suffissi rigorosi (neutrone, elettrone, fotone) - Produzione di sigle e formazioni abbreviate dalla circolazione ristretta - formule, tabelle, diagrammi e grafici > sintassi semplificata, con formule di raccordo (è noto, dato che, ne segue). 5.4. Il linguaggio giuridico e burocratico • Il linguaggio giuridico si presenta innanzitutto con forte impronta tradizionale, con frasi complesse e tono sostenuto, con latinismi non adattati, ricordando la diretta provenienza del diritto italiano dalla tradizione giuridica romana (de cuius). Non mancano recenti forestierismi dall’inglese (franchising). Il ricorso al tecnicismo è l’unico modo per evitare quell’ambiguità che avrebbe effetti disastrosi in un testo dal valore di legge (distinzione tra multa e ammenda). Caratteristiche di questo linguaggio: - Sostantivi deverbali e deaggettivali - Costrutti assoluti (ferme restando, salvi i diritti) e modi nominali del verbo (un’azione avente; attenuante < circostanza attenuante) - Forme impersonali con il si (si ritiene che) - Formule brachilogiche: frasi particolarmente coincise risultanti da un’ellissi o dalla mancanza di qualche parte del discorso data per sottintesa (la concessione di cui all’art.13) - Formule anaforiche e cataforiche (le disposizioni di cui sopra, le ritenute di cui appresso) • Queste caratteristiche sono condivise anche dalla lingua della burocrazia, anche se il pubblico che abbraccia è più vasto. Alcune peculiarità: - Innalzamento artificioso dello stile rispetto al tono usuale con materiale letterario (esodo x fuga), perifrasi descrittive (moneta divisionale x spicciolo), sinonimi di lunghezza maggiore (nominativo x nome) - Scarsa presenza di tecnicismi specifici a fronte di tecnicismi collaterali, spesso con valore eufemistico (non vedente x cieco) - Tendenza alla ridondanza di significato (elenco debitamente timbrato, apposito cartello) 5.5. Il linguaggio medico Il linguaggio medico si distingue per una grande ricchezza terminologica e fortissima presenza anche nella lingua comune. Appare legata a caratteristiche tradizionali, le sue fonti privilegiate sono le lingue classiche: - greco: diffuso soprattutto nella patologia, descrizione delle malattie - latino: più frequente nell’anatomia (ictus, vertebra) Si registrano anche parole provenienti dall’arabo e l’aumento di anglicismi (by-pass). Grande importanza i processi di composizione basati su lingue classiche (sacro-lombare), elementi moderni (dose-dipendente) e sigle (ACE-inibitore). Si registrano anche impieghi di suffissi specializzati (-ite x processo infiammatorio: bronchite; -osi x patologie degenerative: atrosi; - oma x tumori: linfoma, carcinoma). Per quanto riguarda lo stile, alcune caratteristiche principali: • Tecnicismi collaterali (spiccato x elevato; apprezzare x rilevare) anche con spinte eufemistiche (esito infausto x morte) • Aggettivi di relazione (tifo esantematico da esantema ‘eruzione cutanea’) • Uso del passivo, per rendere impersonale i contenuti scientifici • Frasi nominali (azione cardiaca ritmica tachicardica) • Eponimi: nomi di strutture anatomiche derivati dai nomi di uno scienziato (tube di Falloppio) • Sigle comprese e adoperate anche dai non-specialisti (aids, tac) 5.6. Il linguaggio dell’informatica Nel linguaggio dell’informatica quasi ogni termine ed espressione rimanda all’inglese e molto scarsamente in francese (consolle, informatica < informatique < information + automatique). Da quando anche i singoli utenti hanno potuto acquistare un computer, l’informatica è diventata un fenomeno di massa, e la nostra lingua non è riuscita a reagire alla continua immissione di anglicismi. Solo in qualche caso si è ricorsi al: - calco (finestra/window) - adattamento fonetico (interattivo) o morfologico dei derivati (formattare, computerizzare) - all’attribuzione di un nuovo significato tecnico a parole della lingua comune (linguaggio). - tendenza all’impiego di sigle - Crescente tendenza a sostituire gli anglicismi con alternative italiane (carattere x font, invio x enter, scaricare x download) Altre lingue europee invece si sono opposte alla penetrazione delle forme straniere, come il francese che ha tradotto gran parte della terminologia (computer > ordinateur). 5.7. Il linguaggio dell’economia e della finanza • Lingua dell’economia : linguaggio scientifico a tutti gli effetti, molto rigoroso. Ricorre all’uso di tabelle, grafici, formule, frasi nominali, frasi scandite e brevi. Lessico caratterizzato da anglicismi e perifrasi descrittive italiane, il loro rapporto si può presentare in 3 modi: 1) equivalente italiano ha la stessa frequenza del prestito inglese (fuori borsa/ over the counter), forme ibride (call option / opzione call) 4) Prestito inglese più frequente della forma italiana (share è preferito ad azione), prediletto perchè più preciso e coinciso (rating x classificazione per valutare il merito creditizio) 5) Anglicismo come unica forma disponibile (swap, market maker) • Linguaggio aziendale : parlato dagli impiegati, dirigenti, operatori economici. Condivide molti criteri con la lingua della burocrazia, non rispondendo a veri criteri di tecnicità. Caratterizzata da nomi astratti di tono elevato (problematica per problema), anglicismi non necessari (feedback x risposta, inizializzare x cominciare, proattivo < proactive, meeting). Dal punto di vista stilistico: - Locuzioni congiuntive (al fine di, per quanto concerne) - Tono informale dei contenuti stride con le scelte ricercate del lessico (uso del tu, ciao) stimolato dai mezzi di comunicazione come le email e reti aziendali intranet. - Stile standardizzato con parole e formule stereotipate (crescita: ottimizzazione dei costi, azienda leader del mercato; felicità del cliente: orientamento al cliente; novità del prodotto: miglior prodotto qualità-prezzo, vasta gamma di prodotti) 5.8. Il linguaggio sportivo • Il linguaggio sportivo si caratterizza per un basso livello di tecnicità: - Forestierismi rari in modo esclusivo (tunnel, dribbling), concorrono con le forme italiane (goal/rete, boxeur/pugile, forward/attaccante) - Tecnificazione, coniazione di termini sportivi attribuendo nuovi significati a parole della lingua comune (rete, palo, vasca, difesa) - Transfert di termini da uno sport all’altro (pressing, galoppata, tuffarsi, slalom) - Derivazione poco ricca (-ata > rovesciata, scivolata; -ista > rigorista, fondista) - Composti (rossonero, uomo-partita) - Verbi denominali da anglicismi (dribblare < dribbling) - Innalzamento del tenore lessicale (verticalizzare < passare in avanti la palla) • Lo stile delle cronache sportive è caratterizzato da forte espressività, tesa a favorire il coinvolgimento del lettore tramite l’uso di: - espressioni metaforiche (addormentare la partita) - Metonimie (fischietto < arbitro) • Funzione emotiva: iperbole, cripticomparativi (mangia sano e vivi meglio) 6.4. L’italiano alla radio Il linguaggio radiofonico si esplicita al parlato spontaneo, caratterizzati da “programmazione di flusso”: i singoli programmi non hanno spazio fisso in una giornata, ma inseriti in un blocco continuo che si ripete continuamente > ritmo, velocità, stile diretto e informale. I limiti degli stretti tempi radiofonici impongono tuttavia una serie di espedienti che riproducono la sensazione del parlato non controllato: • Ripetizioni di parole e frasi chiave (tormentoni) • Variazioni melodiche alla voce, esclamazioni.. • Lessico espressivo, giovanile, turpiloquio, anglicismi • Moduli tipici della dialogità • coppia di conduttori che dialogano tra loro o con ospiti. Per quanto riguarda l’informazione, anch’essa ha subito l’influsso della velocità: - Accorciamento dei testi (notiziario flash) - Aumento della velocità di lettura - Frasi coordinate e nominali, rapide Il ritmo rallenta nei radiogiornali delle reti nazionali: periodo articolato, stile giornalistico 6.5. L’italiano in televisione È il mezzo più diffuso in Italia. • paleotelevisione, dall’inizio, 1954, alla metà degli anni 70: funzione educativa, diffusione della cultura, unificazione sociale e linguistica. Italiano vicino alla lingua scritta, accurato, ampio lessico, sintassi complessa, pronuncia professionale. • neotelevisione: vantaggio dell’intrattenimento, fondamentale il livello di audience, specchio della lingua degli italiani. Lingua non più monolitica ma fluida, in 4 categorie: 1) Parlato serio semplice, trasmissioni culturali o scientifiche, media tra complessità dei contenuti trasmessi e necessità di chiarezza, alternando fraseologie colloquiali a tecnicismi 4) Parlato sciolto colloquiale, trasmissioni come i quiz. Monologo del conduttore, lessico comune, sintassi scorrevole. 5) Parlato trascurato o sciatto, trasmissioni come i talk show o reality show. Parlato vicino a quello spontaneo, enfatizzato stereotipicamente 6) Parlato simulato, fiction seriali e dei film. Inserisce dei tratti più diffusi nella resa scritta del parlato, lessico colloquiale, componenti regionali. 6.6. L’italiano al cinema È stato a lungo caratterizzato dalla dinamica tra dialetti e lingua nazionale. Attraversa diverse fasi: • Mescolanza di lingua e dialetto: pellicole neorealiste • Italiano paradossale ed espressivo, regionalismi e improprietà: attori comici • Italiano urbanizzato, regionalismi affermati nazionalmente: commedia italiana • Italiano colloquiale medio, dialetto caratterizzante dei singoli personaggi: cinema contemporaneo Attraverso i film sono penetrate molte parole ed espressioni nuove (amarcord). La principale fonte di novità è rappresentata dal doppiaggio: italiano medio non caratterizzato regionalmente, calchi all’inglese, espressioni e locuzioni (dacci un taglio < cut it off; prego < please x perfavore). Gli stessi dialoghi cinematografici si soffermano a volte su singoli aspetti linguistici, attaccando la convenzionalità dell’italiano stereotipato, fino alla messa in ridicolo di alcuni errori grammaticali (batti, ragioniere! Che fa, mi dà del tu? Nono: batti lei, congiuntivo). 6.7. L’italiano della canzone Il panorama linguistico della canzone è variegato, in base al genere la composizione del testo è influenzata. Attualmente si possono sottolineare due linee di tendenza: 1. Canzonetta tradizionale: • lessico convenzionale di origine poetica • rima convenzionale • presenza del futuro e dell’imperativo rivolti a un tu sentimentale generico • Metafore tradizionali (vita come navigazione) • Materiale obsoleto (t’amo baby) 2. Canzone d’autore: • Aumento della complessità semantica e formale dei testi • Diverso rapporto con la rima, sostituita da echi fonici interni, o dalla ridondanza a eco • Lessico più ricercato ed espressione più elaborata, anche tecnicismi, giochi di parole • Sintassi elaborata, discorso continuo e ricco di subordinate, non frammentato 6.8. Italiano e nuovi media: l’italiano digitato L’italiano digitato è caratterizzato da un abbassamento del controllo sulla lingua con cui si scrive, è informale, confidenziale. • Frequenza di errori di battitura • Errori di ortografia, quando non è presente il word processor • Strutture proprie del parlato o dello scritto poco sorvegliato • Espressività ottenuta per mezzo di espedienti grafici come - Innalzamento della voce (BASTA) - Modulazione del suono (mi annoiooo) - Pronuncia enfatica o ironica (*bravo*, s-p-e-t-t-a-c-o-l-o) - Intonazione concitata (non ci credo?!?) - Emoticon ed emoji 6.9. Italiano e nuovi media: la neoepistolarità tecnologica Neoepistolarità tecnologica: messaggio che prevede una risposta in un lasso di tempo più o meno lungo, sms, mail.. - Semi-sincronia: il destinatario ha facoltà di scegliere quando ricevere e quando rispondere - Copresenza (telepresenza): a prescindere da quando si risponde, la comunicazione avviene sempre come se l’interlocutore fosse presente. Si traduce con ricerca di naturalezza espressiva: • Uso intensivo di saluti, vocativi o appellativi (che fai? Ciao piccoletto) • Segnali discorsivi e interiezioni (ah, ecco, senti) • Deittici (alla fine ci sono andato) In questo tipo di comunicazione prevalgono la funzione fatica e ludica: chi scrive messaggi lo fa con l’intento di apparire simpatico e spiritoso, riducendo la distanza comunicativa: - Fatismi, parole che verificano e confermano il funzionamento della comunicazione (ok, certo) - Emoticon o emoj - Formule tachigrafiche, sigle (tvb, asap, omg) - Grafie consonantiche (nn, cmq) - Grafie simboliche (x, +) - Grafia compitale letterale (u x you, c x ci) - Riduzione di digrammi (k x ch > ke) 6.10. Italiano e nuovi media: esiste un italiano di internet? Sembra quasi impossibile individuare un insieme di caratteristiche che siano comuni a tutte le scritture circolanti in rete: • Scritture di tipo web 1.0. (pagine istituzionali): vicine alla norma tradizionale dello scritto controllato non elettronico • Scritture di tipo web 2.0. (social, blog): riconducibile al livello di neoepistolarità - Blog: diari in rete in cui vengono riportate le proprie esperienze personali o opinioni. La lingua dei post (espressione più sorvegliata) e dei commenti (neoepistolarità) sono molto diverse. Si inizia a mostrare insofferenza nei confronti degli espedienti neoepistolari. Spesso non c’è nulla che distingua i post di un social network dall’italiano colloquiale o giovanile. Semplicemente, nell’italiano usato in internet trovano espressione scritta tratti del parlato che di solito avrebbero spazio solo nell’espressione orale > i testi circolanti in rete da una parte si fanno veicolo di stili già da tempo consolidati nello scritto, dall’altra sembrano assecondare una preesistente tendenza all’informalità dello scritto e alla mancanza di rispetto per la norma grammaticale, tipica soprattutto delle giovani generazioni. Capitolo 7: l’italiano e le altre lingue 7.1. Nessuna lingua è pura Nessuna lingua è pura perchè tutte le lingue naturali sono il risultato di più componenti. L’ingresso di parole straniere non è una minaccia, ma uno dei principali mezzi di arricchimento del patrimonio lessicale. In epoca fascista la lotta al forestierismo ha assunto una dimensione ufficiale e si è avuto un purismo di stato, vietando per legge l’uso delle parole straniere e istituendo una Commissione per l’espulsione dei barbarismi italianizzandoli. Il neopurismo invece (Bruno Migliorini) promuoveva non i principi astratti di bellezza e provenienza di una parola, ma di accettare tutti i prestiti per cui mancasse un corrispondente italiano (prestiti di necessità; per prestito di lusso invece si intende un vocabolo derivato da un’altra lingua sebbene ne esista in italiano un corrispondente, es. scooter invece di motorino). 7.2. Il prestito linguistico Più significativo l’apporto coi dialetti meridionali italiani. Solo con il dominio aragonese (1442) cominciano a diffondersi parole castigliane (infante, posata, gala). • Quando nel Cinquecento con Carlo V divenne lo stato più potente d’Europa, divenne molto diffuso anche in Italia, anche se oggi rimane solo una piccola parte degli spagnolismi entrati in quel secolo (appartamento, tracolla, ronda, complimento, disinvoltura, flotta, rotta, baia, uragano, mais, patata, ananas, banana, cocco) • Scarso l’afflusso che va dal Settecento al primo Novecento (alcool, sigaro, caramella, torero, reclutamento, falange). • Negli ultimi decenni il fenomeno si è fatto nuovamente consistente: parole legate alla rivoluzione cubana (castrismo, lider maximo, hasta la Victoria siempre), o grazie al romanzo nobel di Marquez Cronaca di una morte annunciata (annunciata). Altri prestiti sono legati al diffondersi delle telenovelas e al linguaggio calcistico (goleador) e della danza (tango, rumba). > potere evocativo, tendenza spagnoleggiante e pseudospagnoleggiante (kinder bueno, vamos a la playa). 7.7. Lingue germaniche medievali e tedesco • I più antichi germanismi sono prestiti entrati dal latino già da prima del IV secolo (brace, sapone, vocaboli d’ambito militare: elmo, guerra). Molti prestiti si devono all’azione del superstrato germanico all’epoca delle invasioni barbariche: - Prestiti goti: termini guerreschi (albergo, melma, guercio, grinta) - Prestiti longobardi: nomi di luogo (Lombardia, Garda), lavoro dei campi (gora), termini anatomici (schiena, magone > stomaco).. - Prestiti franchi: bosco, guanto, grigio • L’ambito privilegiato dei prestiti entrati tra Duecento e Seicento è quello militare (guelfi, ghibellini, lanzichenecco). • Tra sette e ottocento entrano termini del lessico minerario (cobalto) e del costume (calesse, Walzer), intellettuale (non-essere, superuomo, plusvalore) • Nel Novecento, gli avvenimenti legati alle guerre hanno fatto sì che il campo privilegiato fosse quello militare (kaiser, fuhrer, lager, kaputt, autarchia). 7.8. Arabo ed ebraico L’elemento ebraico è costituito quasi tutto da vocaboli dei primi secoli del cristianesimo, in gran parte attraverso la Vulgata della Bibbia (amen, pasqua, sabato, calchi dall’ebraico i grecismi angelo, chiesa). Intensi i contatti con l’arabo. Nel medioevo grazie agli scambi commerciali e alla dominazione mussulmana sulla Sicilia giungono: - parole della lingua comune (tazza, albicocca, assassino, scacco matto) - Lessico scientifico, medicina (pomo d’Adamo), astronomia (zenit), chimica (elisir), matematica (cifra, zero, algebra) - Organizzazione politica (califfo, sceicco, sceriffo). L’influsso si arresta a partire dalla caduta di Costantinopoli in mano ai Turchi (1453). Solo negli ultimi decenni si è avuta una ripresa dell’influsso arabo, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione di massa: neoislanismi (chador, kefiah). 7.9. Lingue esotiche Esotismi: complesso di lingue a distanza, geografica e culturale, maggiore; arrivati in italiano soprattutto per il tramite di lingue di altri paesi europei. Cinese I primi italiani arrivano in Cina al tempo della cosiddetta Pax Mongolica (1279-1368) e le loro esperienze testimoniate da Marco Polo. Con l’attività missionaria dei gesuiti italiani si scambi si fanno più intensi (cin cin). Nei secoli rapporti limitati (ma-jong). Negli anni sessanta del Novecento si adottano espressioni in uso nella rivoluzione culturale di Mao Tse-Tung (dazebao). Recentemente grazie alla diffusione di prodotti e discipline (kung fu, feng shui). Giapponese I primi rapporti risalgono alla metà del Cinquecento (geisha, kimono, catana, sakè, cachi). Solo nella seconda metà dell’Ottocento si ha un vero contatto, con la restaurazione di Mejii (moda japonisant, banzai, cho). Neanche la lingua letteraria si sottrae al giapponismo (D’annunzio). Nel Novecento penetrano molti nipponismi - Fenomeni culturali come i fumetti manga, arti marziali (karaoke), giochi enigmistici (sudoku) - Gastronomia (sushi, sashimi) - Medicina alternativa, meditazione (zen), sensibilità estetica (bonsai) - Tsunami (attestato in italiano nel 1908, ma entrato nella lingua di recente) Russo La gran parte dei prestiti va datata all’epoca postrivoluzionaria, anni sessanta e ottanta del Novecento (gulag, nomenclatura, massimalismo, attivismo, quadro). 7.10. Italianismi all’estero • Medioevo : economia > prestigio dei mercanti e banchieri toscani (fiorino, banconota, rischio > risque, Risiko, risk). • Quattrocento : lessico marinaresco e militare (soldato, caporale). • Rinascimento : - Letteratura (sonetto, maccheronico) - Architettura (Balcone, fresco) - Maschere della commedia (pulcinella, pantalone) • Sei e Settecento: - Forme musicali (concerto, sinfonia) - Spartito (adagio, trillo) - Lirica (tenore, soprano) - Strumenti musicali (fagotto, mandolino, pianoforte, violino) • Recentemente: - Gastronomia (Cinquecento: maccheroni, mortadella, risotto, carciofo, sedani; Oggi: pizza, spaghetti, espresso, pesto) - Cinema (paparazzo, dolcevita) - Pseudoitalianismi (frappuccino, tuttifrutti, parlatutti) - Internazionalismi italiani (Toyota Carina; Audi Quattro; Renault Laguna < Fiat Punto, Bravo) Capitolo 8: Parole vecchie e parole nuove 8.1. Il ciclo vitale delle parole Le lingue naturali sono soggette continuamente alla pressione dell’uso e subiscono le conseguenze dei mutamenti sociali e culturali. Il processo di ricambio non segue un percorso lineare: lessico che esce e poi rientra dopo secoli senza connotazione arcaica. Nato dall’operazione arcaicizzante di Bembo, l’italiano è rimasto fino agli inizi del Novecento una lingua quasi esclusivamente scritta e letteraria. 8.2. Parole invecchiate Arcaismi: parole morte, anche se spesso ci si serve di parole desuete. La patinatura arcaica caratterizza la nostra tradizione poetica (Promessi sposi, moda dannunziana). Oggi gli arcaismi trovano spazio con marcatezza espressiva. Questo allo stesso tempo ha provocato nella nostra lingua una notevole resistenza di elementi antichi (povero in canna, darsi la zappa sui piedi). 8.3. La lingua scritta Nello scritto, a differenza del parlato, una lingua uniforme si impone già nel Cinquecento quando si afferma il modello linguistico proposto da Pietro Bembo, esemplato sui grandi scrittori del Trecento fiorentino, però esclusivamente letterario > distacco tra lingua parlata e scritta, ma tradizione linguistica molto compatta (parole rimaste nei secoli: alma, aere, speme, cor). Gli scapigliati e i romantici nell’Ottocento erano riusciti a svecchiare il modello tradizionale, usando solo con intento ironico quelle parole, anche se ancora rimangono frequenti. La pressione dei modelli letterari fanno sì che anche nell’italiano scritto non letterario si trovino forti innalzamenti di registro, aulicismi d’inerzia (forme antiquate selezionate da chi scrive non con una precisa intenzione stilistica, ma per una specie di riflesso condizionato). 8.4. Il sentimento neologico Neologismo: parole nuove che entrano in una lingua o si formano al suo interno. Ma per quanto tempo una parola è nuova? Più che la novità anagrafica, conta la novità soggettiva che i parlanti le attribuiscono > sentimento neologico. Si può provare insofferenza (come i puristi ottocenteschi) oppure grande entusiasmo. Il gusto per la coniazione è molto spiccato nel linguaggio politico e giornalistico > modismi: parole ed espressioni che per un certo periodo godono di una grandissima diffusione poi scompaiono (paninaro, Porcellum). • Neologismi di recupero: parole e locuzioni che da arcaismi, dopo una prolungata scomparsa d’uso, diventano neologismi alla moda (par condicio) • Neologismo semantico: su un significante vecchio s’innesta un nuovo significato (macchina). gruppo sociale o politico (Anita, Stalin). Attualmente il criterio sembrerebbe il simbolismo fonetico (Giulia, Sofia, Tania), ma anche i vecchi criteri (Stella, Leonardo) 2. Toponimia: toponimi sono più conservativi nel tempo. Molti sono derivati dal latino (fanum > Fano), altri tracce di dominazioni straniere, altri da un antroponimo (Migliano > emiliano), altri hanno l’indicazione del tipo di insediamento che caratterizzava (Pieve di Cadore), altri sono collegati alle circostanza che hanno accompagnato la fondazione dell’insediamento (mussolinia, Littoria). 8.10. Dal nome proprio al nome comune Antroponimi e toponimi rappresentano un importante serbatoio per la creazione di parole nuove (Dongiovanni > seduttore) > deonimici, nomi comuni che derivano da nomi propri > deonomastica. • Deonimici per antonomasia: cicerone > guida turistica; narciso > persona vanitosa • Deonimici per metonimia: curio < Marie Curie; legge di Boltzmann; diesel, Boeing • Deonimici per derivazione suffissale: rocambolesco < Rocambole; pastorizzare < Pasteur Anche i nomi di luogo possono dare origine a deonimici (cipria < Cipro; canarino < Canarie). Capitolo 9: Giusto e sbagliato 9.1. La norma e l’errore Per definire ciò che è giusto e ciò che è sbagliato in una lingua, occorre tener conto di una variabile fondamentale: il grado di accettabilità, ossia la reazione dei parlanti di fronte alla violazione di un certo istituito linguistico. Possiamo distinguere 4 gradazioni di “errore”: • Lapsus (Buona botte < buona notte): accettabilità zero. • Violazione di fondamentali regole strutturali (io andare): accettabile solo per bambini o stranieri • Violazione grammaticale largamente rappresentata a livelli disastratici bassi (venghino) • Violazione di norme largamente disattese anche da parlanti colti: accettabile 9.2. Le fonti della norma linguistica Tra le principali fonti della norma linguistica scritta ci sono: • Dizionari: può distinguere tra errori e forme preferibili, suggerisce preferenze. Può darci informazioni anche tacendo, ovvero mostrando solo la forma corretta. Può anche indicare il diverso grado di frequenza nell’uso, oppure pone al primo posto la forma prevalente. • Grammatiche: motivano una norma in base a considerazioni storiche o pragmatiche. • Repertori grammaticali: testi che si soffermano sui principali dubbi e curiosità linguistiche. 9.3. Tipologia e gerarchia degli errori Un errore d’ortografia continua ad avere grande impatto sociale e si riferisce esclusivamente alla lingua scritta, sanzionato duramente per due ragioni: - Prestigio dello scritto - Fissazione del sistema grafico e paragrafematico (simboli oltre i grafemi: punteggiatura, font). Tipologie di errori: • Ortografici: uso scorretto di singole lettere o di segni paragrafematici (per lo scritto) • Ortoepici: fatti di pronuncia rilevanti, esecuzione difettosa di singoli suoni o pronunce regionali, alterazioni fonetiche (areoporto per aereoporto) • Morfosintattici: errata selezione di una forma grammaticale non ammessa dalla norma (dasse < desse) o non ammessa in quel particolare contesto sintattico (con egli > con lui). • Lessicali: uso di una parola per l’altra (malapropismi) o violazione di qualche limitazione di significato (ha inquinato il marito > ha avvelenato) • Testuali: violazione di coerenza o coesione 9.4. Dubbi ortografici 1. Segni paragrafematici (accento grave e acuto, apostrofo) 2. Consonanti scempie e doppie 3. Uso della i superflua (scienza, grigie) 4. Oscillazioni in forme latineggianti (familiare/famigliare) 9.5. Questioni d’accento in alcune lingue la posizione dell’accento è fissa. In italiano, l’unica certezza riguarda polisillabi accentati sull’ultima vocale (virtù: obbligo di segnare l’accento grafico) e bisillabi senza indicazione d’accento, quindi piani (pane). I dubbi possono riguardare: - Parole dall’accentazione latina (rubrìca) - Accentazione di nomi di luogo (Nùoro) - Grecismi giunti attraverso un intermediario latino (èdema gr.; edèma lat.) 9.6. Nomi e pronomi Nelle lingue che distinguono due o anche tre generi grammaticali, non sono sempre prevedibili. Per gli esseri animati c’è una certa corrispondenza tra genere naturale e genere grammaticale, per le cose astratte ogni lingua fa una storia a sè. Le occasioni di incertezza possono essere: • Nomi di città, normalmente femminili (ma: Il Cairo, Urbino ventoso) • Nomi femminili di professione (avvocata, avvocato, avvocatessa?) • Singoli casi di oscillazione (carcere, acme, asma) Esiste un certo contrasto per quanto riguarda i pronomi personali atoni (le ho detto, ho detto loro > gli ho detto: gli discende dal latino, quando ‘ille’ era comune ai tre generi). ‘Gli’ al posto di ‘le’ oggigiorno è molto più condannato di ‘gli’ al posto di ‘loro’: questo perchè tutti i pronomi personali atoni si presentano come monosillabi anteposti al verbo o posposti, ‘loro’ invece — bisillabi e dotato di accento proprio — ne indebolisce l’uso. Normalmente infatti è posposto e conserva la sua autonomia. 9.7. Questo, Codesto e Quello Il sistema dei pronomi e aggettivi dimostrativi presenta tre forme disponibili: questo, codesto, quello (Codesto però è limitato a forma regionale, Toscana, e nella corrispondenza). Oltre che per indicare qualcosa nello spazio, i dimostrativi si usano per richiamare qualcosa detto in precedenza (funzione anaforica) o per anticipare quello che si dirà in seguito (funzione cataforica). Questo e quello conoscono anche una variante letteraria: questi e quegli, utilizzati però solo in funzione di soggetto. 9.8. Indicativo e congiuntivo L’alternativa tra indicativo e congiuntivo è esistita fin dai primi secoli del volgare (es. protasi del periodo ipotetico dell’irrealtà ‘se l’avessi saputo, non sarei partito’). La tendenza a sostituire il congiuntivo e il condizionale con l’imperfetto indicativo affiora già in autori antichi. Altre volte la scelta del modo verbale è condizionata dal verbo della reggente (proposizioni completive: penso che tu sia sincero; mi auguro che tutto vada per il meglio). Si registra sempre più spesso nel parlato e nello scritto informale la tendenza a usare l’indicativo. Contestualizzazione del fenomeno: • Nel francese, il congiuntivo non esiste più nella lingua parlata • Alcune forme del congiuntivo sono indistinguibili da quelle dell’indicativo (porti, portiamo) • Una completiva al futuro non può che costruirsi con l’indicativo (vi pare che vi lasceranno) • Tendenza a percepire alcuni verbi reggenti di completive come incidentali (mi sembra che hai ragione > hai ragione, mi sembra) 9.9. Ordine delle parole La rigidità delle sequenze vale solo nell’ambito del sintagma, unità sintattica di livello inferiore rispetto alla frase, composta da due o più elementi grammaticali o lessicali (articolo + sostantivo la casa) e per alcune proposizioni ben definite, come le relative e le interrogative. Negli enunciati reali, l’ordine abituale (non marcato) soggetto - verbo - predicato viene violato in molti casi (chi vuol venire? Vengo io non io vengo). Le frasi reali tendono a rispettare la sequenza tema + rema e dato + nuovo. Lo stesso vale per le didascalie di un discorso riportato (disse il dottore): il costituente più complesso tende ad assumere il secondo posto. > una norma sintattica generale va calata nella concreta realtà comunicativa e verificata alla luce dei vari condizionamenti che in essa giocano. 9.10. Punteggiatura I segni di punteggiatura sono una prerogativa dello scritto e servono soprattutto a marcare i rapporti sintattici che intercorrono tra le parti di una frase o di un periodo. La scelta tra i vari segni interpuntivi dipende molto spesso dalle abitudini individuali, ma non significa che non esistano regole. • Segno di interpunzione: non va usato in presenza di un blocco unitario - Tra soggetto e predicato - Tra aggettivo e sostantivo - Tra predicato e complemento oggetto - Tra elemento reggente e complemento di specificazione • Virgola: ammessa solo se serve a mettere in evidenza il soggetto o complemento oggetto (parla bene, lui). In alcuni casi è obbligatoria: - Prima dell’apposizione - Prima del vocativo non preceduto dall’interiezione - In caso di ellissi (ho visto lei due volte: la prima, in biblioteca; la seconda, in casa) - Enumerazioni e coordinazioni asidentiche, senza preposizioni - Può essere sostituita in un inciso da lineette o trattini lunghi e parentesi tonde - Non può inserirsi tra reggente e completiva e tra reggente e rel. limitativa (sì esplicativa) • Punto e virgola: si usa • Dizionario dei sinonimi: Tommaseo, 1830. Raccolta di sinonimi • Opere di Rosselli, Pittano, Stoppelli: dizionari dei sinonimi consapevoli di non essere un repertorio di equivalenze, ma che possono suggerire affinità semantiche che assumono valore all’interno di una frase reale. • Opere di Simone e De Mauro: ricchi di riferimenti ai risultati teorici della linguistica moderna e attenzione al comportamento delle unità polirematiche e al rapporto tra parole italiane e straniere. • Grande dizionario analogico della lingua italiana: Raffaele Simone, 2010. La più vasta raccolta lessicografica, più di 130000 parole intorno a 3500 lemmi appartenenti al lessico di base e legate a queste da rapporti di analogia 10.5. Le raccolte di neologismi • Le opere di Panzini e Migliorini: 1905 prima edizione, ripresa nel 1963 col criterio dell’uso incipiente: non vengono registrate le parole legate a un’occasione particolare, ma solo quelle che mostrano qualche possibilità di attecchire, senza fornire contesti. • Dizionari teologici degli anni 80 e 90: ricchi di contesti e datazione puntuale della prima attestazione. • Neologismi della stampa: lemmari tratti dalla banda dati dell’Osservatorio neologico della lingua italiana (onli), comprende più di 11 000 neoformazioni, dimostrano che la lingua dei giornali ha avuto nel rinnovamento del lessico italiano importanza. • Le opere neologiche più aggiornate: mantengono nel trattamento e nella selezione delle neoinformazioni, lo spirito delle opere delle quali rappresentano il completamento. Più fedele al criterio di analisi storica, più orientato verso la comprensione delle caratteristiche e dei cambiamenti della lingua d’uso. 10.6. I dizionari dell’uso: il lemmario La documentazione di un determinato lessico specialistico è riservata ad appositi dizionari settoriali. Il lessico generale deve ospitare solo quel tanto di lessico scientifico che può filtrare nel linguaggio corrente. Allo stesso modo accoglierà un regionalismo solo quando la sua diffusione supera i confini originari; gli arcaismi non sono esclusi del tutto per via della natura conservatrice della nostra lingua; i neologismi devono essere valutabili col necessario distacco (il dizionario dell’uso che si fosse affrettato a registrarli rischierebbe di apparire invecchiato anzitempo). Simile il problema degli anglicismi e dei forestierismi effimeri > è più delicato scegliere cosa escludere piuttosto che cosa includere. • Vocabolario della lingua italiana (VOLIT): treccani, 1994-2008. Si distingue per l’apertura verso elementi della lingua moderna, terminologie scientifiche e formazioni neologiche o diverse connotazioni che parole di uso tradizionale hanno assunto negli ultimi anni. 10.7. I dizionari dell’uso: la definizione e le marche d’uso La definizione di una parola si tratta anche di restituirle la sua stratificazione d’uso. • Dizionario italiano Sabatini-Coletti (DISC): presta attenzione particolare all’individuazione del registro d’uso delle parole, attraverso l’impiego di una marcatura (regionale > re; dialettale > di) e sottolinea il livello di disponibilità. • GRADIT: presta attenzione particolare all’individuazione del registro d’uso delle parole, attraverso l’impiego di una marcatura (regionale > re; dialettale > di) e sottolinea la frequenza d’uso di un lemma: - FO (lessico fondamentale): 2000 ca. vocaboli - AU (lessico di alto uso): più di 2500 vocaboli - AD (lessico ad alta disponibilità): circa 1900 vocaboli rari ma ben noti a tutti - CO (lessico comune): più di 55 000 parole comprese da chiunque - BU (lessico basso uso) più di 32 000 vocaboli rari Nella definizione intervengono scelte ideologiche, molto attenti a non ferire le sensibilità. La definizione del lessico scientifico è ostica perchè si espone a due rischi: risultare impeccabile ma incomprensibile; oppure comprensibile e divulgativa ma imprecisa. 10.8. I dizionari dell’uso: le informazioni grammaticali Il dizionario si consulta anche per risolvere dubbi linguistici e grammaticali (pronuncia, ortografia, accento, verbi irregolari), ma anche per quanto riguarda le reggenze sintattiche (difficile a dire o difficile da dire?), ricavabili attraverso la fraseologia. • DISC: ha introdotto diverse novità: - I verbi vengono classificati a seconda degli argomenti, elementi indispensabili che devono combinarsi col verbo (piove; io sbadiglio; io mangio una mela; io trasferisco questo da .. a ..). - Linguistica testuale: definendo la classe delle congiunzioni testuali. • Dizionario Italiano Garzanti: dal 2003. - Grammabolario: raccolta di schede di teoria grammaticale. 10.9. I dizionari e l’informatica Il primo dizionario concepito per essere consultato, anche in disco ottico, cd rom, è il DISC: presentava un vero autonomo dizionario elettronico. Ne segue il GRADIT, che aggiunse potenzialità di ricerca fino ad oggi, nella quale ogni dizionario venduto reperibile in libreria è accompagnato da supporti CD-ROM di ricerca e ampliamento. Oggi sono preferibili altre soluzioni tecniche, come il supporto USB e l’integrazione del CD-ROM con la possibilità di aggiornare il lemmario e definizioni su internet. Lo strumento più efficace però è quello del dizionario consultabile direttamente online, disposto di un lemmario continuamente aggiornato e amputabile all’infinito: • Lessicografia della Crusca in rete • Sabatini-Coletti • Vocabolario Treccani • Oxford English Dictionary • Dizionari Zanichelli online: a pagamento, permette la ricerca integrata e simultanea su più di venti opere diverse, tra dizionari, sia di lingua, sia tematici e banche dati. 10.10. Oltre il dizionario: le banche dati Archivi di testi e informazioni lessicali in formato digitalizzato.
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