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Manzoni: vita e ideologia, contesto storico, opere (tra cui Marzo 1821, Il cinque maggio, I Promessi Sposi), Sintesi del corso di Italiano

Appunti e sintesi, vita e contesto storico, caratteristiche letterarie, analisi dell'autore e di alcune opere (Odi politiche: Marzo 1821 e Il Cinque Maggio, Il Conte di Carmagnola, Adellchi, Lettera a Monsieur Cauvet e a Cesare D'Azeglio), con relativi riassunto e analisi. Analisi e riassunto dei Promessi sposi, con tematiche e ideologia, analisi di brani selezionati.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Manzoni: vita e ideologia, contesto storico, opere (tra cui Marzo 1821, Il cinque maggio, I Promessi Sposi) e più Sintesi del corso in PDF di Italiano solo su Docsity! Alessandro Manzoni (1785 - 1873) La vita - 1785: Alessandro Manzoni nasce da Giulia Beccaria e dal vecchio Conte Manzoni. La madre, figlia dell’illustre Cesare Beccaria, è una donna molto colta, innamorata però di Giovanni Verri (fondatore della rivista milanese Il Caffè); il padre, tuttavia, l’ha convinta a sposare il vecchio conte per interesse. Giulia dopo alcuni anni si separa dal marito e si trasferisce a Parigi; proprio per questo, però, le viene impedito di vedere il piccolo Alessandro, che comincia a frequentare i più austeri collegi religiosi della città, sviluppando una forte avversione per la religione. In seguito Alessandro frequenta l’Università di Pavia e conosce Vincenzo Cuoco, Ugo Foscolo e Vincenzo Monti. - 1805: alla morte del padre, Alessandro si reca a Parigi e conosce il nuovo compagno della madre, Carlo Imbonati, ex allievo di Parini; qui, inoltre, si avvicina agli intellettuali illuministi, a quelli cattolici e a quelli romantici. - 1808: Alessandro sposa Enrichetta Blondel, una giovane svizzera calvinista. Con la sua conversione al cattolicesimo prima del matrimonio, anche per lui ricomincia una profonda attenzione alla religione, vista come risposta all’esigenza spirituale della sua anima, senza però dimenticarsi dell’importanza della ragione come guida per l’uomo. Dopo il matrimonio, i due tornano a vivere a Milano. Per il ramo nobiliare da cui proviene, Manzoni potrebbe evitare di lavorare, in quanto non necessita un guadagno; per la matrice illuministica che ben conosce, però, avverte il bisogno di fare lo storico come impegno personale. In questo contesto diventa amico di molti intellettuali italiani, tra cui Cattaneo e i giornalisti del Conciliatore, nonché di romantici e di sostenitori delle idee risorgimentali. Negli anni Venti adatta le forme della canzone, della tragedia e dell’ode alla materia storica: essi rappresentano il momento di maggiore intensità creativa. - 1833: con la morte della moglie, l’agorafobia di Manzoni prende il sopravvento e la sua vita si avvia verso un pessimismo esistenziale. Il suo secondo matrimonio con Teresa Borri, inoltre, non sarà per niente felice, anche perché in quel periodo moriranno alcuni dei sette figli avuti da Enrichetta. Privato della voglia di scrivere, Manzoni si dedica a studi filosofici, storici e linguistici grazie all’amicizia con il filosofo e sacerdote Antonio Rosmini. - 1848: durante le Cinque giornate di Milano, Manzoni si schiera politicamente sottoscrivendo l’appello dei Milanesi a Carlo Alberto di Savoia. - 03/1860: Manzoni viene nominato senatore a vita del Regno d’Italia e si impegna in modo particolare nella lotta per l’istruzione elementare obbligatoria e per l’unificazione della lingua. - 22/05/1873: Manzoni muore a Milano e Verdi compone la Messa da requiem in suo onore. Le opere Dalle opere poetiche e prosaiche e dalle lettere di Manzoni ricaviamo la sua ideologia politica e il suo pensiero religioso: • formazione illuminista: affida alla letteratura la funzione pedagogica di mobilitare le coscienze e di promuovere il miglioramento della società. • adesione al Romanticismo: abbandona i modelli classici; rifiuta la tradizione greco- romana in favore di un realismo sia storico che religioso. • cattolicesimo rigoroso: è interessato all’esperienza collettiva della fede religiosa, non al lirismo moderno (che si concentrava sulla soggettività individuale dell’io poetante). Tutto conduce alla scelta di una letteratura popolare e comprensibile, che vuole essere rivolta ad un pubblico sempre più ampio. Inni Sacri Manzoni aderisce con entusiasmo alle idee cristiane e per questo scrive, a partire dal 1812, alcune poesie che potrebbero essere tranquillamente cantate da un coro di chiesa. L’argomento è ovviamente religioso: Manzoni si rivolge ad un pubblico cattolico parlando di PAGE 1 feste cristiane, ricordandone l’origine e l’importanza ancora odierna. L’intento di Manzoni è quindi quello di sperimentare, sia sul piano tematico che su quello linguistico, una poesia popolare: i valori dell’Illuminismo sono dunque reinterpretati nei termini evangelici della fratellanza di tutti gli uomini in Cristo, affinché la poesia esprima al meglio i valori egualitari e collettivi del popolo cristiano. -> Pentecoste: cinquanta giorni dopo la Resurrezione di Gesù, lo Spirito Santo scende sugli Apostoli e infonde loro il coraggio (per portare la Parola di Cristo al mondo) e la polilingua (sanno tutte le lingue del mondo per comunicare con l’intera popolazione). Messaggio: anche gli uomini di oggi devono avere il coraggio di portare a tutti la Parola. Odi politiche Sono poesie d’occasione (caratterizzate quindi da un’occasione come incipit, da cui si sviluppa un excursus o volo pindarico e infine una chiusura ad anello) da cui ricaviamo l’ideologia politica di Manzoni, rivolte ad un pubblico borghese risorgimentale. Le due liriche smorzano i toni eroici che il genere potrebbe supporre, a favore di una meditazione sulle sofferenze portate dalla storia. Marzo 1821 Scritta sull’onda dell’entusiasmo suscitato dalla notizia che in Piemonte Carlo Alberto avesse concesso una costituzione liberale, dando così l’impressione di essere disposto a favorire la causa indipendentista e liberare con l’esercito la Lombardia. Manzoni affronta quindi nell’ode la questione dell’indipendenza italiana secondo la prospettiva del nazionalismo risorgimentale. In nome della comune eredità militare, linguistica, religiosa, delle stesse radici storiche ed etniche, e degli stessi ideali, gli Italiani devono liberarsi del “lungo servaggio” che dura dal medioevo in poi, e scacciare gli stranieri. Manzoni dedica l’ode alla memoria di un simbolo della lotta contro l’oppressione straniera, il poeta e soldato per l’indipendenza tedesca Koerner, morto nel 1813 nella battaglia di Lipsia contro Napoleone: rispetta il suo ideale, che sa un esempio per gli Italiani. (all’illustre memoria di Teodoro Koerner [...] nome caro a tutti i popoli che combattono per difendere o per riconquistare la patria) L’ode assume quindi un valore ideologico di opposizione antiaustriaca in Italia. • concetto manzoniano di nazione (una gente che libera tutta, / o fia serva tra l’Alpe ed il mare; / una d’arme, di lingua, d’altare, / di memorie, di sangue e di cor) CFR Berchet, definizione di popolo (o compagni sul letto di morte, o fratelli sul libero suol) • Dio è contro la guerra, ma la accetta se volta alla liberazione dagli oppressori (Dio rigetta la forza straniera; / ogni gente sia libera, e pera / della spada l’iniqua region) -> Dio padre (quel che è padre di tute le genti) • la libertà accomuna tutti i popoli e si ricerca e si guadagna da soli -> autodeterminazione dei popoli: Manzoni è contrario all’intervento straniero per liberare un Paese. Metrica: decasillabo cadenzato -> coinvolgente, popolare, facile da ricordare. CFR coro atto III Adelchi -> il poeta dissuade i sudditi dal confidare nell’azione liberatrice di un popolo straniero, perché questo aggraverà la loro oppressione. CFR Foscolo, Sepolcri -> battaglia di Maratona, ammiraglio Nelson, ecc. Il cinque maggio Fu composta di getto nel luglio 1821, quando Manzoni apprese la notizia della morte di Napoleone avvenuta il 5 maggio a Sant’Elena, dopo essersi convertito. Fino a quel momento Manzoni non aveva mai scritto nulla né in favore né contro Napoleone: da liberale non aveva approvato il suo potere personalistico e autoritario, ma non aveva mai espresso pubblicamente le sue critiche. Manzoni rilegge sotto una nuova luce la parabola umana e politica dello straordinario personaggio, vedendovi il segno di un’imperscrutabile presenza divina nei destini individuali e collettivi -> disegno provvidenziale. Nell’opera vengono espressi i due concetti della storia (alternanza di oppressori e oppressi) e PAGE 1 frenetica e vibrante dei Longobardi. Seconda parte (vv. 31-66): appella direttamente il popolo italiano disperso e senza nome. Descrizione della dura campagna militare affrontata dai Franchi, poi apostrofa i Latini con una sarcastica domanda retorica: pensano davvero che i Franchi abbiano combattuto per loro? (E il premio sperato, promesso a quei forti, sarebbe, o delusi, rivolger le sorti, d’un volgo straniero por fine al dolor?) Gli ultimi versi delineano infatti la nostra servitù delle popolazioni italiche, sottomesse sia ai Longobardi sia ai Franchi. • Ritmo incalzante e fortemente scandito, simile alla marcia, facile da memorizzare (CFR Marzo 1821) • Italici (servo sudor, un volgo disperso repente si desta [...] volgo disperso che nome non ha) -> contrasto tra il popolo oppresso e gli oppressori, sia Longobardi sia Franchi, che sono accomunati da una vitalità travolgente che perdura anche nella sconfitta, mentre i Latini sono esitanti e incerti, oggetti e non soggetti della storia. • CFR Marzo 1821 in cui l’autore giudicava severamente gli Austriaci, che per contrastare Napoleone avevano fatto leva sul desiderio di autonomia nazionale di molti popoli europei, rinnegando poi tali promesse. Nel coro di Adelchi invece il giudizio punta sull’inerzia degli oppressi (i Latini), indegni dei loro antenati Romani, e per i quali l’autore prova pietà e disprezzo. Essi non corrispondono infatti all’ideale ottocentesco di nazione, di cui troviamo definizione in Marzo 1821: nonostante abbiano lingua, religione, memoria ed etnia comuni, non hanno la forza militare e soprattutto sono privi di una coscienza e un’identità unitarie, e della vitalità feroce che invece caratterizza i loro signori -> critica ai suoi contemporanei: che la storia serva loro da monito. Ermengarda è obbligata dal padre a sposare un uomo che non conosce, Carlo Magno, per rafforzare il potere della sua famiglia; quando s’innamora di suo marito, non riesce ad avere figli e viene quindi ripudiata per una principessa germanica, essendo dunque costretta a chiudersi in convento, dove muore di dolore (unico personaggio di Manzoni che parla d’amore: ne muore). Vive inoltre un conflitto interiore perché l’amore che prova per suo marito è più forte della sua devozione per Dio. - La morte di Ermengarda -> descritta attraverso aggettivi sparsi nel testo (trecce morbide, affannoso petto, pia, pupilla cerula, gentil, mesta, biondo crin, tenera, pallida d’amabile terror (spaventata che il marito si ferisse nella caccia). Sta morendo nel monastero di Brescia, appresa la notizia della morte di Carlo. Nel delirio dell’agonia dialoga con la sorella, facendo riaffiorare i ricordi della sua vita da regina (sempre al pensier tornavan gli irrevocati dì), l’amore mai cessato per il marito e la gelosia per la nuova sposa. Il coro delle suore la compiange in quanto vittima della ragion di Stato, ma annuncia anche la sua salvezza eterna. In particolare, per evidenziare il ricordo terribile e doloroso, fa una similitudine chiastica (CFR il cinque maggio): COME la fresca rugiada su un cespuglio di erba seccata fa scorrere nuovamente la vita negli steli bruciati che rinascono di nuovo verdi nell’alba tiepida, così il fresco conforto delle parole amiche [delle suore] scende sul pensiero che la spietata forza dell’amore affatica e rivolge il cuore verso la gioia senza turbamenti di un altro amore [dell’amore di Dio]. MA COME il sole che ritorna all’alba risale il cielo infuocandolo e incendia l’aria senza vento con il suo calore insistente e brucia di nuovo i gracili steli appena rinati al suolo; così altrettanto rapidamente l’amore assopito, dimenticato per breve periodo, ritorna invincibile e assale l’animo spaventato e richiama le immagini che erano state allontanate al dolore ben conosciuto. Il coro si riferisce ora al destino dell’intera umanità e delle donne vittime della storia (Altre infelici dormono, che il duol consunse; orbate spose del brando, e vergini indarno fidanzate; madri che i nati videro trafitti impallidir). La Provvida Sventura -> ultime due strofe similitudine (il sole al tramonto solca le nuvole ma non giunge più bruciante sulla terra) indica il riscatto per Ermengarda pacificata nella morte, ed è motivo di speranza di un futuro migliore per il pio colono: la Provvidenza divina consente la presenza del male nel mondo e può riscattarlo. Ermengarda non si sarebbe mai salvata da sola dalle sue colpe (eredità di un popolo di oppressori, fallimento nel dominare la passione amorosa con la volontà razionale nel bene e l’amore per Dio), infatti muore sopraffatta dalla nostalgia della sua vita di regina e di donna; ma morendo da vinta e oppressa, condivide la sorte di altre infelici e di tutti gli oppressi amati da Dio: è quindi restituita all’innocenza da un disegno crudele e incomprensibile gli uomini. La salvezza di Ermengarda come quella di ogni uomo è indipendente dalla sua volontà, ma è cristianamente possibile. • Riflessione esistenziale sulla storia come alternanza di oppressori e oppressi (Adelchi ed PAGE 1 Ermengarda nascono oppressori e muoiono oppressi, CFR Napoleone): la sconfitta dell’eroe lo restituisce all’innocenza, altrimenti interdetta. • Riflessione storica sul fatto che dopo un tiranno (i Longobardi) ne arriva sempre un altro (i Franchi): esorta gli Italiani a non aspettarsi altro dagli stranieri (CFR Marzo 1821) -> nazionalismo italiano. • Messaggio religioso: la storia sarà sempre negativa (concezione pessimistica) perché gli uomini agiscono per brama di potere e non secondo il vangelo, senza imparare dalla storia. CFR Il cinque maggio e Marzo 1821, ritmo di marcia; La morte di Ermengarda, malinconica, musicalità lenta e triste. Gli scritti di poetica 1815-1825: decennio di massima produttività in cui conduce una ricca riflessione su problemi morali storici e letterari in forma di trattati e lettere pubbliche, generi ereditati dall’Illuminismo e ripresi nel dibattito intellettuale del Romanticismo. Particolarmente importanti sono la Lettera al Sig. C.*** sull’unità di tempo e luogo della tragedia, in risposta indiretta a Victor Chauvet, che aveva recensito Il conte di Carmagnola uscito in quegli anni, criticando Manzoni per non essersi attenuto alle unità aristoteliche, e la Lettera sul Romanticismo a Cesare D’Azeglio, che giudicava superate le ragioni del Romanticismo. Lettera al Signor Chauvet Riprende e approfondisce gli argomenti della Prefazione alla prima tragedia, focalizzandosi su due aspetti: • Le unità aristoteliche nella tragedia e nel romanzo storico: il poeta tragico quando si ispira alla storia deve respingere le regole di unità di spazio e tempo e rispettare le dinamiche reali dell’episodio. • Il rapporto tra storia e invenzione sia nel dramma sia nel romanzo: lo scrittore non deve inventare i fatti, ma attenersi a quelli realmente accaduti e studiati dallo storico, indagando sull’interiorità dei personaggi e integrando o completando gli avvenimenti oggettivi ricostruiti. Per questo crea azioni e situazioni conformi a quelle che hanno luogo nella vita reale (verosimile): il rischio del genere romanzesco è infatti il falso. L’essenza della poesia non consiste nell’inventare fatti, poiché non c’è nulla di più comune e volgare di tali creazioni: tutti i grandi monumenti della poesia hanno invece per base avvenimenti dati dalla storia o che sono stati un tempo considerati storia. Il poeta è distinto dallo storico per il suo diritto di inventare fatti, ma se gli si toglie questo cosa gli resta? La poesia, che esprime tutto ciò che è passato sotto silenzio dalla storia, ovvero le emozioni e i pensieri dei personaggi, che manifestano la loro individualità: tutto ciò che la volontà umana ha di forte e misterioso, e la sventura di religioso e profondo, il poeta può indovinarlo, o per meglio dire scorgerlo afferrarlo ed esprimerlo. La poesia drammatica consiste infatti nel creare fatti per adattarvi dei sentimenti. Lettera a Cesare d’Azeglio sul Romanticismo Rispetto agli eccessi fantastici e irrazionalistici del Romanticismo europeo, Manzoni dà un’interpretazione più sobria del Romanticismo, basato sull’attenzione al vero e sulla funzione etico-civile dell’arte, respingendo i tre punti fondamentali dell’estetica neoclassica (la mitologia, falsa e contraria alla morale religiosa; il concetto di imitazione e le regole classiche come le tre unità aristoteliche della tragedia; un’idea di bellezza separata dalla storia). Vi contrappone l’estetica romantica: l’utile per iscopo, il vero per soggetto e l’interessante per mezzo, garantendo all’arte moderna l’equivalenza tra verità storica e verità morale cristiana, fra il bello e il vero, sia storico sia morale. Per poter svolgere un’alta funzione morale ed educativa, l’arte deve • Essere utile all’uomo e alla società (scopo) • Avere un contenuto storicamente attendibile, quindi vero (soggetto) • Ricorrere a un repertorio tematico e stilistico tale da renderla interessante per il pubblico più ampio possibile (mezzo) PAGE 1 Pars destruens: critica al Romanticismo europeo (troppo sentimento, troppo romanzesco) Pars costruens: aspetti positivi del Romanticismo (abolizione della mitologia, storicismo, buona introspezione psicologica, grande spiritualità) Romanzo europeo ‘800 • Narra avvenimenti realmente accaduti con storia e personaggi verosimili; ambientato nel passato -> romanzo storico; ambientato nel presente -> romanzo sociale (Il Rosso e il Nero, Anna Karenina, ecc.) • Romanzo d’introspezione psicologica • Romanzo d’avventura • Romanzo gotico • Romanzo poliziesco • Romanzo del terrore (ex. Edgar Allan Poe) I Promessi Sposi 1. Perché il romanzo storico? (CFR Lettera a Cesare d’Azeglio) • Pubblico sempre più ampio • Ambientato nel ‘600: momento particolarmente tragico: Milano sotto dominio spagnolo. Attraverso ciò -> critica alla Milano dei suoi tempi (sotto dominio austriaco), monito per i suoi contemporanei che vivono sotto la mancanza di libertà. Manzoni viene considerato il massimo esponente del Romanticismo italiano, poichè esso è adesione alla storia -> romanzo nazional-popolare per Gramsci. 2. 3 edizioni • Fermo e Lucia (1823) diverso dai successivi: stessa fabula ma diverso intreccio, personaggi più semplicistici * • La 27ana (1827), La 40ana (1840) identiche in fabula e intreccio, diversa la lingua: l’edizione del 1827 presentava parole con derivazione lombarda, ma poiché voleva scrivere un testo nazionale (sciacquare i panni nell’Arno) pulì la lingua dal milanese, sostituendovi il fiorentino -> nasce la lingua italiana. 3. Fonti: (grande lavoro da storico) • Topografiche (luoghi reali e precisi) • Storiche (contestualizzazione storica, fatti reali o verosimili) • Giuridiche (le grida emanate in quel periodo) • Economiche (qualità e modi di vita, funzioni delle aziende e dell’economia) • Letterarie (orribili romanzi del ‘600 per giustificare l’uso dell’espediente del manoscritto, buoni romanzi del ‘600-‘700 per l’introspezione psicologica) 4. Manoscritto -> espediente letterario per dire ciò che pensa senza entrare nella storia. Finge di aver trovato un manoscritto del ‘600, decide di copiarlo ma traslandolo nell’italiano dell’800 • Moda dei romanzi “finti”, copiati: tipico dell’800 • Prendere le distanze dalla storia per commentare personalmente • Evitare la censura 5. Fabula (semplice), intreccio (complesso), sistema dei personaggi (complesso: molti personaggi “secondari” -> grande introspezione psicologica) 6. Avvenimenti storici dell’opera (dominio spagnolo, Milano povera e assalto ai forni, peste, Cardinal Federigo...) 7. Personaggi storici e verosimili • Storici: Cardinal Federigo, Monaca di Monza, Innominato, Viceré spagnolo Ferrèr • Verosimili: Renzo, Lucia, Don Rodrigo, Don Abbondio, Fra Cristoforo (rappresenta la Chiesa militante); alcuni sono metatemporali, altri propri del tempo. 8. Linguaggio -> varia a seconda del personaggio. Ex: Latino come espediente per ingannare PAGE 1 Bonaventura, ma, non essendoci il prete, decide di visitare la città. (Assalto ai forni) Così si ritrova in mezzo a una rivolta popolare contro un forno, nella quale i cittadini protestano per l'aumento del costo del pane. Prende parte alla rivolta e il forno in poco tempo viene completamente saccheggiato. I cittadini tentano anche un attacco al palazzo del Vicario di Provvigione, ma interviene Ferrer, vice procuratore di Milano, che mentendo riesce a riportare la situazione alla normalità. Alla fine della giornata, Renzo, discutendo assieme ad altre persone, parla troppo animosamente della faccenda del pane al punto da essere udito da un poliziotto. L'uomo, allora, decide di condurre il giovane all'osteria della Luna Piena dove lo fa ubriacare e gli fa confessare il proprio nome. La mattina dopo il giovane viene arrestato, ma riesce a fuggire grazie all’aiuto della gente che il giorno prima aveva partecipato alla rivolta del pane. Giunge a Gorgonzola ma in un’altra osteria sente da un mercante la storia dei tumulti e la notorietà che ha acquistato in città e, sapendo di essere ricercato, decide di lasciare Milano e di dirigersi a Bergamo, nel territorio della Repubblica di Venezia, dove risiede suo cugino Bortolo. - Seconda digressione (cap. XVIII-XIX): Attilio per avere aiuto contro Fra Cristoforo si rivolge al Conte Zio, che convince il Padre provinciale dei Cappuccini a trasferire il prete a Rimini. Intanto Don Rodrigo ormai ha perso le tracce di Renzo e Lucia è protetta all’interno del convento di Monza, così chiede aiuto all’Innominato, un signorotto della zona di Bergamo, molto più potente e malvagio di lui, per riuscire a rapirla e portarla al suo castello -> storia dell’Innominato. - (cap. XX-XXVII) Quarto nucleo narrativo: Don Rodrigo ottiene l’aiuto dell’Innominato, che si mette subito all'opera e il suo piano con l’aiuto della monaca di Monza riesce perfettamente. L'Innominato dopo un incontro con la fanciulla (cp. XXI) si pente però dell'azione riprovevole da lui stesso compiuta: in cuor suo sente il desiderio di cambiare, vorrebbe diventare un uomo migliore (-> conflitto interiore, conversione). Intanto Lucia fa voto di castità se riuscirà a salvarsi. Quando il Cardinale Borromeo sopraggiunge in città il "pentito" si reca da lui per confessare il rapimento di Lucia e chiedergli di assolverlo per i peccati mortali che ha commesso. Il Cardinale ordina allora ad una donna e a Don Abbondio, giunto in città per rendere omaggio all'uomo di Chiesa, di dirigersi con l'Innominato al suo castello e di restituire alla ragazza la sua legittima libertà. Don Abbondio appare molto titubante: ha paura di venire coinvolto e di finire coinvolto in qualche spiacevole situazione e teme che l'Innominato non si sia realmente convertito e che possa in qualche modo fargli del male. La giovane, invece, viene trasferita in un luogo sicuro e Don Abbondio, lungo la strada del ritorno, incontra la madre di Lucia e la informa riguardo alle sorti della figlia. In seguito viene deciso che la ragazza vada a vivere a Milano a casa di Donna Prassede e Don Ferrante, una coppia di borghesi che si offrono di aiutarla. Intanto la situazione di Renzo è più complicata rispetto a quella della sua amata: tutti gli danno la caccia e lui si nasconde presso il cugino Bortolo sotto falsa identità (Antonio Rivolta). Inizia a scrivere a Lucia: la giovane gli fa rispondere da Agnese che lo invita a rassegnarsi all'idea di rinunciare alla sua amata, poiché ha fatto voto di castità mentre era prigioniera nel palazzo dell’Innominato. - Terza digressione (cap. XXVIII-XXXII): Nel frattempo, la situazione in Europa sta precipitando a causa della guerra: iniziano ad arrivare le truppe tedesche in Italia, scendono nella penisola anche i Lanzichenecchi e si diffondono carestie. Don Abbondio, Agnese e Perpetua, partono alla volta del castello dell'Innominato, dove ricevono ospitalità fino al termine della guerra. Al loro ritorno troveranno tutto saccheggiato. Dopo la carestia e la guerra, una nuova piaga si abbatte su Milano: la peste, e i monatti, le persone che avevano il compito di portare gli appestati al Lazzaretto o alle fosse comuni, hanno preso il possesso dell'intera città. Le autorità milanesi si rivelano incapaci di far fronte al problema, e inizia la caccia agli untori -> Storia della Colonna Infame. - (cap. XXXIII-XXXV) Quinto nucleo narrativo: Tra le vittime della peste c’è anche Don Rodrigo che, recatosi a Milano, dopo aver passato la notte in preda agli incubi e al malessere scopre di essere malato. Il signorotto manda quindi il Griso a chiamare un famoso chirurgo che si preoccupa della guarigione dei malati senza denunciarli alle autorità Sanitarie, ma il suo bravo più fedele lo tradisce e al posto del dottore sopraggiungono i monatti che lo portano al Lazzaretto. La sorte del servitore però non è migliore di quella del suo padrone: la malattia colpisce anche lui e lo porta alla morte. Persino Renzo si ammala e, una volta guarito, decide di ritornare al suo paese perché sente nostalgia di Lucia, ma per le strade incontra Don Abbondio, che lo incita a fuggire e lo ragguaglia sugli ultimi avvenimenti. Il ragazzo, amareggiato per aver trovato il suo paese distrutto (Perpetua è morta e della sua vigna rimane poco e niente) decide di partire per Milano alla ricerca della sua amata. I giorni PAGE 1 successivi egli osserva ogni carro di appestati che incontra, cercando il corpo di Lucia, ma non lo trova. Finalmente giunge alla casa di donna Prassede e scopre così che la ragazza si trova al Lazzaretto. - (cap. XXXVI-XXXVIII) Sesto nucleo narrativo: In questo luogo ha occasione di incontrare anche Fra Cristoforo e Don Rodrigo in punto di morte e poi, finalmente, di riabbracciare la sua amata che, però, è sempre intenzionata a tenere fede al suo voto. Il ragazzo non si rassegna e chiede a Fra Cristoforo di intervenire: così il frate scioglie Lucia dal suo voto spiegandole che non è possibile offrire al Signore la volontà di un altro. Poco dopo la pioggia inizia a cadere su Milano portando via la peste. Lucia, uscita dal Lazzaretto viene ospitata in casa della vedova che ha curato e lì apprende della morte di Fra Cristoforo, di Don Ferrante e di Donna Prassede e del cammino di espiazione iniziato dalla Monaca di Monza. Arriviamo così al 1630, anno in cui i due promessi sposi, con Agnese e la vedova riescono a fare ritorno nel paesino natio dove al posto di Don Rodrigo è subentrato un marchese che agevola le loro nozze e acquista le loro case a un prezzo molto più alto del valore effettivo per aiutarli. Le nozze possono così finalmente essere celebrate. Renzo diventa socio di Bortolo e i due acquistano un filatoio, diventando imprenditori. Poco dopo nasce Maria, la prima dei figli della coppia. I due sposi suggeriscono la morale del racconto: quando i guai bussano alla porta ciò che conta è affidarsi a Dio, solo così è possibile riuscire a rendere le disavventure un buon mezzo per costruire una vita migliore. Il sistema dei personaggi - 4 coppie di personaggi principali attorno a cui ruota la vicenda, definite da un sistema di forze e controforze derivanti da: • dalla funzione narrativa Renzo e Lucia: vittime Don Rodrigo e l’Innominato: oppressori Don Abbondio e Gertrude: strumenti dei malvagi Fra Cristoforo e il Cardinale Borromeo: proteggono gli umili. • dall’opposizione tra bene e male Renzo vs Don Rodrigo Lucia vs Innominato e Gertrude Fra Cristoforo vs Don Rodrigo e don Abbondio • dall’appartenenza al mondo laico o religioso Lucia, Don Rodrigo e Innominato: laici Don Abbondio, Fra Cristoforo, Gertrude, Cardinale Borromeo: religiosi • dalla similarità o differenza sociale e morale Don Rodrigo, Innominato, Gertrude, Cardinale Borromeo: aristocrazia Renzo, Lucia, Don Abbondio, Fra Cristoforo: borghesia e/o popolo • unico personaggio storico: Cardinal Borromeo, tutti gli altri verosimili. I rapporti di forza nel romanzo: contraddizioni dei personaggi principali Renzo e Lucia sono posti all’interno di un triangolo ai cui vertici figurano tre coppie di personaggi, rappresentati da: • il potere sociale (Don Rodrigo e l’Innominato) • il potere religioso (don Abbondio e fra Cristoforo, la monaca di Monza e il Cardinale Borromeo) I meccanismi del potere restano immutati nonostante l’esito positivo della vicenda e la conversione dell’innominato. Inoltre accanto al potere e sopra di esso agiscono la lotta tra bene e male e l’azione imperscrutabile della Provvidenza. • Il racconto di Renzo a Lucia e alla madre (cap. III) Renzo ha appreso da Don Abbondio che il suo matrimonio deve essere rinviato a causa dell’intimazione ricevuta da Don Rodrigo; angosciato e fuori di sé, corre a casa di Lucia per informarla degli “impedimenti dirimpenti” addotti dal prete e per ricevere spiegazioni dalla ragazza stessa. Viene così a sapere della scommessa di Don Rodrigo (-> analessi). PAGE 1 Il linguaggio aiuta la caratterizzazione psicologica dei personaggi: • Renzo: spontaneo simpatico sempliciotto arrabbiato istintivo, esprime la sua rabbiosa indignazione (Ah birbone! Ah dannato! Ah assassino!), anche con una gestualità espressiva (corre per la stanza e stringe il manico del coltello). Si avventura negli spazi aperti fuori dal suo ristretto ambiente contadino in spazi diversi da quelli domestici -> maturazione esistenziale e sociale, impara facendo e sbagliando, è sempre in movimento. • Lucia: indecisa timida pudica devota -> fede, invoca continuamente la Vergine e il Signore e teme di apparire “sfacciata” quando invece sa di essere stata prudente. È la figura della riservatezza e della resistenza: nello spazio protettivo della casa, il sentimento di debolezza e vulnerabilità che la fa paurosa all’esterno si muta in un’inflessibile volontà di respingere il male, e a modo suo dimostra audacia e intelligenza: preferisce confidarsi con fra Cristoforo piuttosto che con la madre troppo chiacchierona, propone a Renzo di fuggire insieme dal paeseprima del matrimonio (voi avete un mestiere, io so lavorare: andiamo tanto lontano, chè colui non senta più parlar di noi) • Agnese: donna matura (io son venuta al mondo prima di voi, e il mondo lo conosco un poco) superba, parla per proverbi (Non bisogna poi spaventarsi tanto: il diavolo non è brutto quanto si dipinge. A noi poverelli le matasse paiono più imbrogliate, perché non sappiam trovarne il bandolo; ma alle volte un parere, una parolina d’un uomo che abbia studiato... io so ben quel che voglio dire) e tacita il suo sgomento affidandosi a un’ingenua fiducia (vedrete che vi dirà, su due piedi, di quelle cose che a noi non verrebbero in testa a pensarci un anno) ma anche a un realismo quasi irriverente (cercate di quel dottore alto, asciutto, pelato, col naso rosso, e una voglia di lampone sulla guancia). • Lucia e Gertrude: una solidarietà impossibile (cap. IX) Agnese e Lucia sono state condotte presso il monastero della monaca di Monza, per ricevere ospitalità sicura. Gertrude (la Signora) sta dietro una grata, attraverso la quale interroga la ragazza sull’insidia subita rivelando una sorprendente curiosità per i particolari. Gertrude è osservata dal punto di vista di Lucia e da quello dell’autore: insiste sulla bellezza sbattuta, sfiorita, quasi scomposta, il cui aspetto faceva a prima vista un’impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, e corrisponde allo sgomento della ragazza, che percepisce nella curiosità di Gertrude per i dettagli della sua storia una cert’aria di dubbio maligno. Il risultato è un ritratto della monaca in funzione della sua interiorità: il pallore dell’incarnato, i movimenti repentini e misteriosi di occhi e labbra, la contrazione misteriosa della fronte di diversa ma non d’inferiore bianchezza, che si raggrinzava spesso, la ciocchettina di neri capelli suggeriscono l’inquietudine di una vittima peccatrice, turbata da irrisolti contrasti morali, di cui verrà dato conto con la storia dettagliata della sua monacazione. Il suo sguardo è inoltre irrequieto, ora implorante affetto, corrispondenza, pietà, ora espressione d’un odio inveterato e compresso, e arrossisce con una rapida espressione di rispetto -> contrasto con Lucia che è univoca nei giudizi e nei sentimenti. Gertrude viene riconosciuta come nobile anche da suora (la chiamano la Signora), e rivela la sua anima ombrosa quando si trova di fronte a Lucia: • ha imparato a dubitare dell’autorità sia familiare sia religiosa, e sospetta che Lucia sia costretta come lei a diventare suora, perciò indaga a fondo le ragioni che la spingono a cercare protezione al convento e zittisce Agnese pronta a rispondere in vece della figlia (state zitta voi: già lo so che i parenti hanno sempre una risposta da dare in nome dei figli). • È proprio la natura sessuale della vicenda a incuriosirla, tanto che il riferimento del padre guardiano all’orecchie purissime della reverenda madre la fa arrossire di vergogna. Nella sua capricciosa superbia, si presenta come donna tormentata nell’animo assai più di Lucia, perseguitata nel corpo, e fra le due è la monaca a destare sospetti, ben prima che il narratore la mostri come sventurata. • Lucia e l’Innominato: la vittoria della vittima (cap. XXI) Lucia è stata condotta dal Nibbio nel castellaccio dell’innominato, dopo essere stata rapita con la complicità della monaca di Monza. Posta sotto la custodia di una vecchia, Lucia riceve la visita del terribile signore sorprendentemente inquieto e incapace di appellarsi alla consueta prepotenza. La visita a Lucia da parte dell’innominato è caratterizzata da una forte drammaticità e teatralità. Domina il discorso diretto tra la vittima e l’aguzzino, a cui si aggiungono le battute PAGE 1 La razionalità illuminista e l’etica religiosa della fratellanza impongono a Manzoni la denuncia dell’ingiustizia e la fedeltà alla verità, ma non concedono alcuna simpatia alla massa abbruttita e irrazionale. (CFR confronto col coro atto III Adelchi -> volgo disperso che nome non ha) il popolo è incapace di autocontrollo e moderazione (lì altro non era che una, lasciatemi dire, accozzaglia di gente varia d’età e di sesso, che stava a vedere), Manzoni guarda con paternalismo i ceti inferiori e miserabili e non riconosce loro alcuna dignità di soggetto sociale, capace di organizzarsi per agire nella storia. Solo un ceto di governo all’altezza del compito e che segue la legge del Vangelo può plasmare e guidare la massa. Per Manzoni non è attraverso la lotta di classi né attraverso atti rivoluzionari che si correggono la disuguaglianza e l’ingiustizia della storia. (CFR confronto Marx) Lo spazio: il paesaggio e i luoghi Seguendo la sequenza dei protagonisti i luoghi si sviluppano su due livelli: la città e il paese. Nonostante alcuni dei personaggi principali vivano in ambiente rurale, Manzoni in nome del suo realismo cristiano non concede loro il privilegio della serenità idilliaca: il male è ovunque, sia nella forma storica della prepotenza e del sopruso sia nella minaccia metafisica che sovrasta buoni e cattivi senza differenza. • Addio, monti (cap. VIII) Dopo la notte degli imbrogli gli sposi e Agnese si rifugiano nel convento di fra Cristoforo, da cui partono la notte stessa su un battello messo a disposizione dal frate: le donne andranno a Monza, Renzo a Milano al convento dei cappuccini. Lucia ripensa malinconicamente al suo paese, al suo passato di ragazza e ai suoi progetti di vita infranti (Lucia in questo caso è metatemporale) -> pausa poetica, punto di vista dell’esule. Inoltre segna uno stacco nella trama, che finora si è svolta in un familiare e protettivo ambiente campagnolo, ora si sposta in città. Il tono lirico del testo corrisponde alla malinconia di Lucia (quanto è tristo il paso di chi, cresciuto da voi, se ne allontana!), chiamando in causa chiunque lasci per scelta il proprio paese, spinto da un movente economico: anche il migrante volontario, nel momento della partenza, si meraviglia della propria decisione e si sente spaventato da u ambiente sconosciuto (città tumultuose; l’aria gli par gravosa e morta; le case aggiunte a case... pare gli levino il respiro). Tuttavia l’esule resiste nell’angoscia dello spaesamento, appellandosi al desiderio inquieto di ritornar un giorno ricco ai suoi monti. Lucia però vive il trauma di un esilio obbligato che non le consente di immaginare un momento stabilito per il ritorno. Il suo sguardo si sofferma quindi sulla casa natia e immagina quella ancora straniera, e ha nostalgia della chiesa che era pronta per le nozze che non si sono celebrate -> idillio impossibile La differenza tra la mesta malinconia di Lucia e quella del migrante volontario sta soprattutto nella coscienza della precarietà dell’infelicità umana, in cui si può trovare conforto solo nella Provvidenza (chi dava a voi tanta giocondità... prepararne loro una più certa e più grande). • Il palazzotto di Don Rodrigo e il castellaccio dell’Innominato (cap. V, XX) - Il palazzotto di Don Rodrigo è descritto dal punto di vista di Fra Cristoforo, lì per cercare di convincere il signorotto a desistere dai suoi intenti su Lucia. La descrizione risulta grottesca e allusiva alla mediocre statura dell’uomo che lo abita. Non è un palazzo sontuoso o austero, ma una bicocca isolata, piccola come la capitale del suo piccolo regno, e domina dall’alto di un poggio sulle squallide case dei contadini e su uno scenario di violenza sempre in agguato. La facciata esterna porta finestre alte difese da doppie inferriate, e tutt’intorno si percepisce un silenzio sinistro, in cui stridono gli urli e le strida dei mastini e dei cagnolini, e si vedono due avvoltoi spennacchiati inchiodati sulla porta, insieme a due bravi di guardia, che rimandano alla prepotenza di un potente che con mezzucci meschini perpetua l’ingiustizia attraverso l’esercizio arbitrario delle leggi, accompagnato da omacci tarchiati e arcigni, vecchi sdentati e irosi, donne sgraziate e minacciose, bambini arroganti già nel gioco. - Il castellaccio dell’innominato è descritto nel paesaggio impervio in cui sorge, in occasione della visita di Don Rodrigo che gli chiederà aiuto per rapire Lucia. Si trova sulla cima di un poggio, al confine tra lo Stato di Milano e la Repubblica di Venezia, ma è isolato in un paesaggio aspro e selvaggio (un andirivieni di tane e precipizi), inespugnabile da un’unica una strada che si spiegava come un nastro serpeggiante, protetto da una guarnigione di bravi che PAGE 1 teneva lassù; è imponente e sinistro, separato da ogni paesaggio umano. Il narratore inoltre lo paragona al nido insanguinato di un’aquila che domina all’intorno tutto lo spazio dove piede d’uomo potesse posarsi: allude a una grandezza solitaria e a una leggendaria ferocia (si raccontavano le storie tragiche degli ultimi che avevano voluto tentar l’impresa, ma erano già storie antiche e nessuno dei giovani si rammentava d’aver veduto nella valle uno di quella razza, né vivo, né morto). • Renzo all’osteria del Gorgonzola (cap. XVI) Renzo è in fuga da Milano verso Bergamo, scampato per miracolo all’arresto. Giunge a Gorgonzola ed entra in un’osteria, dove ascolta i commenti degli avventori sui fatti milanesi: un mercante arriva da Milano e avvince la folla con un racconto della sua versione dell’assalto ai forni, facendo diventare Renzo un capo della congiura, sfuggito alla giustizia e ora ricercato. Renzo è indignato per le bugie ma teme di essere riconosciuto, perciò paga il conto e scappa verso l’Adda. Fortunatamente ha fatto tesoro della precedente esperienza alla locanda della luna Piena, sapendo ora misurare le parole. L’osteria è presentata come un luogo picaresco: le storie ivi raccontate o ascoltate risultano sempre oscillanti tra verità e invenzione. (Maledetti gli osti! Più ne conosco, peggio li trovo) In questo contesto vengono presentati i fatti di Milano da un nuovo punto di vista, quello di un uomo d’affari appartenente alla ricca borghesia, che vede nelle rivolte del popolo un ostacolo all’attività economica e alla proprietà privata (avevo già messo da parte ogni pensiero di viaggio, per restare a guardare la mia povera bottega) : Manzoni non condivide questo punto di vista, ma riconosce essere comune nel ‘600 come nel suo tempo. • Il lazzaretto (cap. XXXV) Renzo, dopo aver contratto la peste ed essere guarito, va a Milano in cerca di Lucia, dove rischia di essere scambiato per un untore, ma si salva saltando su un carro di monatti che lo porta in direzione del lazzaretto, dove decide di entrare sperando di trovarvi Lucia. La scena è descritta dal suo punto di vista, sgomento: capanne e baracche, due interminate fughe di portici, piene, gremite, di languenti o di cadaveri confusi, un via di carri, la concitazione dei presenti, in un caos delirante in cui non c’è separazione tra la vita e la morte, dove i singoli si perdono nella folla (16.000 appestati) in uno stato di abbandono animale. Renzo vede solo volti anonimi abbattuti dal patimento, o contratti dallo spasimo, o immobili nella morte, e oltre la cappella che sta in mezzo, cappuccini e laici intenti a mantenere sgombro un viale da ogni impedimento stabile e a cacciare gli intrusi. Su tale inferno di sofferenza e miseria si estende un cielo minaccioso fitto di nuvoloni scuri e la poca luce emana anch’essa un calore morto e pesante. PAGE 1
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