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Maria Teresa D'Asburgo - Corso di storia moderna Maurizio Sangalli, Dispense di Storia Moderna

Riassunto del libro di Maurizio Sangalli

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 01/04/2021

margheb1
margheb1 🇮🇹

4.2

(28)

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Maria Teresa D'Asburgo - Corso di storia moderna Maurizio Sangalli e più Dispense in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! MARIA TERESA D’ASBURGO di Maurizio Sangalli Gli stati asburgici: territori e istituzioni Quando Maria sale al trono nel 1740 si trova a governare su un eterogeneo impero, il cui fulcro è rappresentato dall’arciducato d’Austria che comprende l’Alta Austria (i possedimenti sopra l fiume Enns con capitale Linz) e la Bassa Austria (i paesi sotto Enns con capitale Vienna); Vienna era anche la capitale dell’Impero dal 1617 da quando l’imperatore Mattia la preferì a Praga. - A ovest la contea del Tirolo, da cui dipendono anche i principati ecclesiastici di Bressanone e Trento - il Voralberg, - a sud la contea di Gorizia e Gradisca, Trento e il Litorale. - A questo quadro vanno poi aggiunti gli Stati ereditari asburgici: varie signorie in Svezia e la Brisgovia, l’Austria anteriore con Burgau e Gunzburg; il Regno di Boemia, a nord di Vienna importante per la sua economia che conferiva agli Asburgo un voto all’interno del Consiglio dei Principi Elettori, e quindi un’influenza nell’elezione imperiale. Infine vi sono i territori acquisiti a seguito della successione spagnola: i paesi bassi austriaci, (con i ducati di Brabante, Limburgo, Lussemburgo e Gheldria), lo Stato di Milano (con i ducati di Milano e Mantova) e dal 1737 anche il granducato di Toscana con Francesco Stefano. Oltre alla discontinuità territoriale, tutti questi territori non godevano neanche di un unico sistema politico; il limite del potere asburgico era rappresentato dalle Diete, cioè quegli organismi in cui erano rappresentati i vari ceti. Tra quest’ultimi era il ceto aristocratico che limita più di tutti il potere degli asburgo e questo per tre motivi: il primo perchè possedevano la gran parte dei territori e quindi detenevano un controllo pervasivo a livello locale; allo stesso tempo costituisce il raccordo tra il centro e la periferia e quindi funge da intermediario per l’applicazione delle leggi imperiali. Infine erano presenti a Vienna, nelle Cancellerie e nei Consigli che rappresentano gli interessi dei diversi territori. Il potere degli Asburgo non era limitato solo all’interno dei loro possedimenti ma dovevano tener conto anche degli altri soggetti sovrani gravitanti dentro e intorno al Sacro Romano Impero. Il 1648 costituisce un momento di svolta in quanto emerge l’idea della possibilità di acquisire un titolo regio da parte delle dinastie (la prima sono i Witten di Sassonia con il titolo di re di Polonia nel 1697, 1701 gli Hohenzollern re di Prussia, 1713-1714 nasce la monarchia di Savoia d’Italia e lo stesso periodo gli elettori di Hannover diventano re d’Inghilterra). La Casa d’Austria non può più pretendere di ergersi al di sopra degli altri come aveva fatto fin dal Medioevo ma vi si deve confrontare e trovare dei compromessi; diventa così importante trovare alleanze con gli altri principi minori, sia laici che ecclesiastici, di cui lo sposalizio tedesco è espressione, che riducono ulteriormente gli spazi di manovra all’interno dei singoli territori. Altro obbiettivo della casata oltre alle alleanze è la coesione dei territori ereditari e rafforzarvi il potere monarchico : Die Monarchie wie ein Totum, cioè la monarchia sia, cerchi di diventare un tutto coeso ed omogeneo o non sarà. Il coagulo era rappresentato dalla dinastia che era stata abile a raccogliere l’eredità delle altre casate ed ad affermarsi ma alla fine la dinastia si innesta su un sostrato ancora feudale, dove il sovrano era visto come colui che amministrava la giustizia e si poneva a capo dell’esercito in caso di guerra. Questo concetto creava non pochi problemi nell’esercizio dei poteri e aveva portato ad un sovrapporsi di competenze dei vari organi che creava confusione. Esistevano istituzioni centrali che facevano da coagulo a differenti istanze ed esigenze: a Vienna il Consiglio Aulico dell’Impero (Reichshofrat) che si occupava degli interessi dei territori imperiali e quelli della casata; le relazioni di stato erano affidate alla Cancelleria imperiale, che si occupava delle questioni inerenti il Sacro Romano Impero con un arcicancelliere, scelto fra uno dei tre principi elettori, spesso l’arcivescovo di Magonza, mentre i territori ereditari avevano Cancellerie separate. Il potere politico ruotava intorno al Consiglio o Conferenza segreta o privata (Geheimer Rat oder Konferenz), un’istituzione destianta ad accozzare i limiti imposti dalle autonomie regionali e dai privilegi rivendicati dai ceti; essa viene rifromata in seguito da Giuseppe I agli inizi del 700 con una divisione interna: il Consiglio ristretto che si occupava dei problemi di politica estera (Geheimer Konferenz) ed uno più partecipato che si occupava della politica interna (Obersthofmeister) con a capo il maggiordomo di corte. Infine le finanze erano in mano alla Camera Aulica dei Conti (Hofkammer) che si occupava di riscuotere le regalìe, ovvero le riscossioni dei diritti regi, e i contributivi provenienti dalle singole diete sotto forma di libere elargizioni. A corte Vienna è quindi la capitale dell’arciducato e dal 1617 contemporaneamente dell’Impero; dal secondo seicento la politica di Leopoldo I, orientata al potenziamento dei territori ereditari, porta a predisporre lavori di ampliamento e di ammodernamento della città in quanto la dinastia deve avere una capitale e una corte al medesimo livello che le altre potenze europee. Leopoldo fa incominciare i lavori per la Versaille austriaca a fine 600; verranno poi interrotti nel 1711 e ripresi nel 1743 con Maria Teresa e terminato negli anni 70. Viene così modificato il complesso della Hofburg, sede centrale del potere, allora fortezza e poi trasformata in residenza regio con la costruzione dell’Ala leopoldina, futura sede privata della coppia reale con Maria Teresa. I decenni a cavallo fra Sei e Settecento vedono un rinnovo urbanistico ed architettonico della capitale, spinto dalla volontà regia e delle elites di rinnovarne il volto nel solco dell’esaltazione delle glorie e dei fastigi domestici, ma anche al repentino aumento della popolazione. Il Graben, cuore del centro storico medievale cittadino, si arricchisce di nuove e rinnovate dimore patrizie. Buona parte del rinnovamento architettonico e urbanistico di Vienna ruota intorno alla corte, o alle corti, come luoghi fisici dove si esercita e si rappresenta il potere della dinastia; di incontro tra sovrano e ceti dirigenti con la messa a punto di linguaggi simbolici di valenza socio-politica; celebrare la figura del sovrano. Si affermano figure come: - Maggiordomo maggiore: responsabile della mensa regia - Gran ciambellano: per controllare gli appartamenti regali - Gran maresciallo: disciplina la vita cortigiana - Gran scudiere Prevalgono, all’interno della corte, tedeschi e austriaci, ma non sono da meno gli spagnoli. La corte è un trampolino di lancio per la mobilità sociale. Dalla seconda metà del 600 la monarchia punta sempre più sulle cerimonie religiose e l’apice di questo indirizzo viene raggiunto con Leopoldo I; è anche il momento in cui l’identificazione dinastica viene superata dal legame sempre più stretto con i domini ereditari. Si fa anche centrale la presenza di religiosi a corte, vengono scelti santi patroni e la monarchia leopoldina ottiene come risultato una maggiore integrazione con una nobiltà proveniente da territori diversi e a volte lontani. Le vere novità del periodo saranno le cancellerie e la militarizzazione della corte. L’apice di magnificenza della corte si raggiungecon Carlo VI, con il quale Vienna assume definitivamente il ruolo di capitale (ancor più con la figlia Maria Teresa). Capitolo 2: Vater und Tochter Questione di eredità soluzione per le sorti del commercio. Connesso a ciò i provvedimenti variati dalla reggenza lorenese sui fedecommessi, manimorte e fuedi, tutte forme di trasmissioni ereditaria o acquisizione volte a mantenere o rafforzare le ricchezze fondiarie nobiliari e ecclesiastiche: 1747 viene emanata una legge che pone limiti all’istituzione dei fedecommessie dovuta a Pompeo Neri; nel 1751 vi è quella sulle manimorte, volute da Giulio Ruccellai e quello sulla riduzione delle giurisdizioni feudali, in particolare in campo giudiziario. L’attacco alle manimorte e fedecommessi sono anche una linea guida per limitare l’invadenza dell’ecclesiastico nel pubblico. Francesco Stefano si concentrerà a risollevare il settore manifatturiero con la liberalizzazione del commercio interno e protezionismo nei confronti dei manufatti stranieri anche se si scontrerà con la rigidità delle corporazioni ed il numero eccessivo di dogane interne. Oltre a ciò volle anche il potenziamento del porto franco di Livorno, limitato non solo dalla concorrenza inglese e olandese, ma anche dai porti franchi dello Stato Pontificio (Ancona e Civitavecchia) e un’economia ancora troppo poco vitale. Una prole numerosa (1737-1756) Giuseppe (1741): erede al trono, diventa imperatore delle terre austriache con il titolo di Giuseppe II Maria Anna: vive a corte fino alla morte della madre e poi diventa priora del Capitolo delle Dame Nobili di Praga Maria Cristina: si sposa con il duca Alberto di Sassonia, della casata dei Witten Maria Elisabetta: finisce in un monastero Maria Amelia: si sposa con il duca Ferdinando dei Borbone di Parma Carlo Giuseppe: muore giovane di vaiolo Leopoldo: diventa Pietro Leopoldo, granduca di Toscana nel 1756 e si sposa con Maria Luisa di Borbone, figlia di Carlo III di Spagna Maria Carolina: muore appena nata Maria Giovanna Gabriella: muore di vaiolo Maria Giuseppina: muore di vaiolo Ferdinando: sposa Maria Beatrice Ricciarda D’Este e acquisisce il ducato di Massa e Carrara Maria Antonietta: si sposa con Luigi XVI, re di Francia Massimiliano Francesco: segue la carriera ecclesiastica e diventa arcivescovo elettore di Colonia, garantendo alla famiglia un voto in più nella Dieta imperiale. Cap 3: Guerre e riforme Fidati collaboratori Maria, quando sale al trono nel 1740, per ovviare anche al debito pubblico che era arrivato a cento milioni di fiorini, conferma i collaboratori del padre: - Ministro delle finanze: conte Gundacker - Primo Cancelliere: Philipp Sinzendorf - Affari Interni: Aloysius von Harrac - Consiglio di Guerra: Joseph von Harrac - Figura centrale dei primi anni di regno di Maria Teresa: Johann Christoph Bartenstein giurista - Primo Cancelliere della Cancelleria Boema: Philipp Kinsky (introdotto da Maria Teresa) - Capo del Consiglio dei Paesi Bassi austriaci: Conte di Tarouca e poi anche duca di Silva (introdotto da Maria Teresa) L’accettazione della Prammatica Sanzione aveva messo al sicuro il diritto successorio di Maria Teresa sui territori asburgici ma non l’accesso al trono imperiale. La prima guerra di Slesia, 1740-42 Carlo Alberto di Baviera rivendica il suo diritto sul trono imperiale avvalendosi del cinquecentesco testamento dell’imperatore Ferdinando I, fratello di Carlo V, che prevede la sua entrata in campo di qualità di legittimo erede, essendosi estinta la linea maschile della dinastia austriaca ed essendo lui discendente della figlia maggiore di Ferdinando (patto di mutua successione del 1546). Boemia e Ungheria, di cui quest’ultimo era diventato sovrano nel 1526, spetterebbero quindi ai Wittelsbach (avendo 3 dei 9 grandi elettori dell’imperatore germanico per l’ascesa al trono imperiale). L’altro rivale era Ferdinando II divenuto re di Prussia nel 1740. Quando sale al potere prevaleva il calvinismo che una maggiore tolleranza nei confronti delle altre religioni; la nobiltà locale si trovava differenziata fra le aziende agricole pro-capitalistiche nei territori occidentali e i Junker al di là dell’Elba con poteri feudali che avevano contribuito a rafforzare il potere dei borghesi. Su questi territori ci saranno concessioni di privilegi e onori e non più solo imposte. In questo modo la nobiltà si installa stabilmente nei gangli del potere centrale, riconoscendo però implicitamente la sua dipendenza dal sovrano, che a sua volta individua lo zoccolo duro della sua preminenza (binomio nobiltà – dinastia). Al tempo stesso, le viene consentito di gestire l’amministrazione locale, legando così i Junker ancora più strettamente alle sorti dello Stato, richiedendo ubbidienza e disciplina, senso del bene comune e prestazioni elevate. Inoltre quando sale al potere si trova a gestire uno fra gli eserciti meglio addestrati e competitivi, rafforzato dalla leva coatta interna imposta dal padre Federico Guglielmo I con il sistema cantonale (reclutamento dei soldati su base territoriale). Ferdinando II non aspirava al trono ma sapeva che con Brandeburgo, uno dei grandi elettori, avrebbe potuto influenzare la nuova elezione imperiale. Fa quindi capire chiaramente che potrebbe garantire il suo voto a Francesco Stefano in cambio della Slesia, uno dei territori più ricchi della monarchia asburgica, importante per il bilancio della stessa. Alla morte di Carlo VI Federico avanzava ufficialmente la proposta della Slesia in cambio di due milioni di fiorini e il suo voto al Lorena per garantire l’elezione a imperatore; tuttavia il 17 dicembre 1740 Federico invade la Slesia; Maria Teresa cerca il sostegno di Carlo Alberto di Baviera sfruttando la parentela con Maria Amelia, la vedova dello zio Giuseppe I, offrendo il ducato di Milano e i Paesi Bassi, enclaves familiare all’interno dei territori germanici (Brisgovia, Gunzburg, Burgau, Voralberg). Tuttavia questo non evita una coalizione anti-asburgo con il trattato di Nymphemburg del 28 maggio 1741: a Francia, Spagna, Baviera e regno di Sardegna si aggiungono Sassonia e la Prussia. L’11 settembre del 1741 Maria Teresa si presenta davanti alla Dieta ungherese nell’odierna Bratislavia; in cambio del loro aiuto e il riconoscimento del marito Francesco Stefano come coreggente, i nobili chiedono alla sovrana: - Il diritto alla trattazione degli affari ungheresi riservato solo ai nobili locali - Esenzione fiscale per la nobiltà - Freno all’acquisto di proprietà da parte di stranieri, che fino ad ora avevano accesso alla Dieta - La riconferma dell’indipendenza delle istituzioni ungheresi, anche con quelle con sede a Vienna come la Cancelleria Il 9 ottobre 1741, Federico II decide di concludere l’armistizio di Klein-Schnellendorf (accordo segreto fra Prussia e Austria) ed esce temporaneamente dalla scena. Intanto la disfatta di Mollwitz (10 aprile 1741 in cui la Prussia viene sconfitta dall’Austria) spinge la Francia ad intervenire attivamente a favore della rivendicazione imperiale di Carlo Alberto di Baviera, spinge l’alleanza franco-bavarese ad invadere Praga con i Sassoni il 26 novembre 1741. Intanto il generale Ludwig riprende il controllo dell’Alta Austria, invade la Baviera e occupa Monaco. Al successo asburgico fa seguito quello prussiano con la vittoria della battaglia di Chotusitz il 17 maggio 1742. Interviene l’Inghilterra per porre la pace fra i due contendenti con il trattato di Bratislavia dell’11 giugno (capitale della Slesia) e con la pace di Berlino del 28 luglio si conclude la prima guerra di Slesia; Praga, ancora in mano ai francesi verrà liberata il 2 gennaio 1743. Persa la Slesia quello che conta è riprendere il controllo su quel che resta del regno di Boemia conteso con l’alleanza franco-bavarese che avverrà qualche mese più tardi con l’incoronazione di Maria Teresa e del marito a Praga. Tale campagna militare sarà importante perché vi è la promessa dell’abolizione del servaggio in cambio dell’arruolamento volontario dei contadini. La seconda guerra di Slesia e la fine della guerra di successione austriaca, 1744-48 Nell’estate del 1744 le truppe prussiane invadono la Boemia e occupano Praga per tutto il corso dell’autunno. La controffensiva austriaca, all’inizio del 1745, riesce a ricacciare i Prussiani e a invadere la Slesia con l’obbiettivo di raggiungere Berlino. Rispetto alla guerra precedente il conflitto ormai non è più tra Asburgo e Valois, poi Borbone ma tra Francia e Inghilterra; l’Inghilterra di Giorgio II si impone come burattino d’Europa, come si vede dal trattato di Worms del 13 settembre 1743 per cui Maria Teresa cede possedimenti lombardi al re di Sardegna Carlo Emanuele III, con l’obbiettivo di indebolire le borboniche Francia e Spagna per distrarle dalla concorrenza portata al commercio britannico oltremare. E sia Luigi XV sia Filippo V cadono nella trappola con la la dichiarazione di guerra nei primi mesi del 1744 porta al trattato di Aranjuez (1745) con la coalizione delle forze borboniche di Parigi, Madrid e Napoli. Il punto di svolta è la morte dell’imperatore Carlo VII il 20 gennaio 1745: l’uscita di scena della Baviera, nella persona di Massimiliano Giuseppe, facilita le chances di Francesco Stefano; intanto Francesco II ha la forza di imporre lo scambio tra il suo voto in qualità di gran elettore a favore di Francesco Stefano in cambio del riconoscimento decisivo dell’acquisizione prussiana della Slesia. Francesco Stefano viene eletto imperatore il 13 settembre 1745 ma senza il riconoscimento prussiano; ma i continui successi federiciani e i contemporanei rovesci austro- piemontesi in Italia portano alla pace di Dresda (dicembre 1745) per cui vi sarà il definitivo riconoscimento della Slesia alla Prussia. L’incoronazione del marito non consente a Maria Teresa di diventare imperatrice-consorte ma divenne arciduchessa d’Austria, regina di Ungheria e Boemia; solo con l’elezione del figlio Giuseppe ella diventerà imperatrice-madre. L’ultimo biennio di guerra aveva messo in mostra anche una nuova potenza: la Russia della zarina Elisabetta I. Alla morte di Pietro il Grande aveva eredita uno stato profondamente mutato: esercito rinnovato, nuova flotta militare, nuovo impulso alle manifatture, amministrazione riformata, nuovi impulsi intellettuali; la fondazione di Pietroburgo nel 1703 consente lo sbocco sul mare e un nuovo impulso al commercio. La zarina Elisabetta, sempre aratoria, e soprattutto basato solo sulle dichiarazioni dei diretti interessati, che ovviamente tendevano a falsale a proprio piacimento. (le terre feudali erano divise tra una parte dominicale, di pertinenza signorile, e una parte colonica, servile o rusticale, lavorata autonomamente). Le fila di questi primi tentativi di mappatura catastale vengono ripresi da Giuseppe I che dà il via ad una mappatura vera e propria affidata a commissari inviati ad hoc. Il prelievo fiscale era concentrato sulla parte servile delle terre anche se buona parte del rusticale era stato incorporato nel domenicale. La nuova frontiera, dopo la conclusione del catasto giuseppino-carlino 1748, è quello di estenderlo anche alle terre dominicali. Denominato tecnicamente exaequatio dominicalis, cioè livellamento, pareggiamento rispetto alla parte rusticale già censita, questo catasto prende vita 1750 anche se per molti anni si ha notizia di violenze perpetrate dagli agenti dei signori nei confronti dei contadini. Ciò che ancora non viene intaccato è rappresentato da una parte delle corveè e dall’altra dagli abusi signorili, molto spesso ad esse connesse. Tuttavia l’economia deve essere costituita anche dal sostegno delle manifatture e ai commerci. La soluzione, adottata già a partire dal 1746, è quello di creare un nuovo organo, il Direttorio Universale del Commercio, la cui priorità è quella di una semplificazione e razionalizzazione dei differenti sistemi doganali interni ai territori asburgici, e verso incentivi alle manifatture . Per proteggere o per stimolare la produzione nazionale, vengono innalzati i dazi sui prodotti di importazione e in particolare sui prodotti di lusso anche se ciò porta a una immediata reazione da parte delle potenze straniere, che innescano guerre doganali. A Vienna e nel regno di Boemia vengono impiantate manifatture di porcellana o vengono offerti aiuti a chi vuole impegnarsi nella produzione di velluti o di altri articoli tessili. Lo sviluppo industriale è dettato anche dalla necessità di compensare in breve tempo la perdita delle manifatture tessili della Slesia. Un altro ostacolo alla produzione manifatturiere era costituito dalle corporazioni, che con le loro rigide regole frenano l’iniziativa imprenditoriale. Le autorità pubbliche contengono questo strapotere eliminando le limitazioni imposte al numero delle officine e alla quantità di personale impiegatovi, consente il lavoro femminile e minorile e liberalizza il lavoro a domicilio. Vengono finanziati gli ammodernamenti nelle miniere di rame e metalli preziosi in Slovacchia, Transilvania, Banato, Craina e Carinzia. I commercianti hanno però bisogni di assenza di barriere interne e di buone vie di comunicazione anche se sarà una strada lunga e solo nel 1766 viene varato un ordinamento delle dogane e dei pedaggi omogeneo per tutti i territori della monarchia . Quanto alle vie di comunicazioni già Carlo VI aveva collegato Vienna a Trieste dove aveva costituito un porto franco nel 1719; nel 1748 viene istituito un servizio pubblico di trasporto. Maria Teresa riprende lo sviluppo di Trieste come porto franco con la concessione della piena esenzione doganale, la creazione in loco della Compagnia del Levante nel 1750, la Borsa nel 1755. Commercio vuol dire anche circolazione della moneta. Nel 1750 viene deciso di unificare il valore delle monete perlomeno negli stati ereditari e tre anni dopo vi è un accordo con la Baviera per l’introduzione del “tallero teresiano”, moneta d’argento ed unico mezzo di pagamento fra i due paesi. Sarà questo il volano per lo slancio dei commerci asburgici anche fra occidente e oriente del Mediterraneo. Il Regno di Boemia: il forziere della monarchia La Corona di San Venceslao (Boemia, Moravia e Slesia) era la parte della monarchia economicamente più ricca: prevalgono le attività estrattive di oro, argento e rame, le manifatture tessili; in campo agricolo già nel 500 erano state affiancate, oltre alla produzione cerealicola, quella del pesce di stagno, carpe e lucci e la fabbricazione di birra. Piotr Wandycz parla di “nazione politica”, rappresentata dal ceto nobiliare, come bacino di difesa di tradizioni, e anche di privilegi, di carattere fortemente identitario; la reazione asburgica alla rivolta boema di inizio Seicento ha senz’altro inferto una brusca frenata a questo processo espansivo. Gli anni venti del Seicento avevano visto anche l’annientamento del protestantesimo boemo ed il cattolicesimo divenne l’unica confessione religiosa consentita all’interno del paese. Alcune famiglie protestanti si trasferirono nella vicina Slesia, grazie al suo statuto particolare del 1648 alla fine della guerra dei Trent’anni in virtù della sua variegata composizione etnica, ma le altre famiglie si sparsero per tutta Europa; tuttavia, sacche di protestantesimo, spesso in forma nicomedica, cioè dissimulata per non correre rischi di persecuzioni e repressioni, continuarono ad esistere in valli dell’Alta e Bassa Austria fino al Settecento, come dimostrano le traduzioni volgari della Bibbia e i libri ortodossi in età dei Lumi. Infine la lingua tedesca viene posta sullo stesso piano del ceco e questa sovrapposizione, in modo particolare presso l’elites provocherà un peggioramento qualitativo nell’uso della lingua locale. Ci sarà poi un affievolirsi del bilinguismo nel corso del Settecento; per non dimenticare tutte le riforme messe in atto da Haugwitz per rendere più omogeneo il regno di Boemia al resto dei territori ereditari, in modo particolare la fusione della Cancelleria boema con quella austriaca. La lunga depressione seicentesca si abbatte anche sulla Boemia in modo particolare nel settore agricolo che costituiva la base per il funzionamento della macchina statuale e il finanziamento dell’esercito. A questo dobbiamo aggiungere l’aumento più o meno arbitrariamente dei giorni di corveès, gli spostamenti coatti di intere famiglie su proprietà del signore poste anche a grande distanza fra di loro e gli abusi grandi e piccoli sono alla base di rivolte contadine. Si ha un grande sommovimento nel 1679-80 poi ripreso nel 1717 e 1735; le riforme di Haugwitz se avevano cercato di ridurre il potere signorile non aveva però messo in discussione il sistema stesso. È solo agli inizi degli anni sessanta che le cose iniziano a cambiare con l’avvento del giusnaturalismo che aiuta a rivalutare la condizione di vita del mondo contadino; a ciò va aggiunto l’aumento demografico e per cui i periodi di crisi risultano ancora più difficili da gestire. Il diffondersi di un’epidemia di peste all’inizio degli anni settanta unitamente alla pessima annata del 1770-1771, con centinaia di vittime, rendono la situazione non più sostenibile; è anche il momento in cui si comprende che sia utile affiancare alla produzione cerealicola quella di patate in modo da scongiurare la fame. La pressoché totale inerzia e l’incertezza dimostrata dal governo portano ad un’insurrezione generale boema nel 1775: i contadini proclamano uno sciopero nei confronti dei signori, affiancato ad alcuni episodi di violenza nei confronti di signori dimostratisi particolarmente brutali. Maria Teresa interviene rendono più tollerabili il sistema delle corveé; i contadini vengono divisi in classi, la maggior parte delle quali vede diminuiti i giorni obbligatori di lavoro nella riserva signorile; viene previsto inoltre che i proprietari terrieri siano tenuti a pagare eventuali prestazioni di lavoro supplementari richieste ai contadini. Tale protesta vista in un secondo momento come una lotta per la libertà nazionale e nell’ottica marxista come primo passo verso l’emancipazione dei lavoratori, non fece altro che accelerare il processo di trasformazione delle corveè in un contributo in denaro; nel 1776 Maria Teresa giunge ad imporre tale riforma a tutti i feudi. Capitolo 4: Altre guerre e nuove riforme Alliances e mésalliances Altro problema da affrontare per la sovrana erano le alleanze internazionali; le opzioni erano le seguenti: continuare l’alleanza con l’Inghilterra, poco affidabile quando gli interessi asburgici non coincidevano con quelli inglesi; avvicinarsi a alla tradizionale nemica, la Francia borbonica, mentre ritiene più fidata la Russia di Elisabetta I, di cui conosce bene le mire su Svezia e Polonia in funzione anti-prussiana. Fondamentale era anche garantire un’efficace difesa in caso di attacco nemico. Oltre aver reso pluriennale la “contribuzionale” (la tassa per gli armamenti deliberata dagli Stati cetuali), l’apparato militare si trasforma da struttura semi-feudale a entità moderna, equipaggiata ed addestrata: vengono aboliti i compensi in natura per soldati e cavalli da parte dei sudditi, addestramento e mantenimento dell’esercito vengono centralizzati e non più delegati al ceto signorile; infine tutti devono sottostare ad un medesimo regolamento e a usi e costumi comuni e omogenei nonostante sia ancora affidato agli aristocratici di armare reggimenti. Il passo successivo è quello dell’introduzione della coscrizione, grazie alla quale ogni territorio deve fornire un dato numero di reclute; anche in questo caso l’Ungheria viene esclusa. Haugwitz guida le riforme istituzionali, Chotek rilancia l’economia, il protagonista della riforma militare è Daun. Daun inizia con la formazione del corpo ufficiali, programmato sin dall’infanzia, con la creazione di una scuola propedeutica al servizio militare, per ragazzi dai 7 ai 13 anni, figli di ufficiali di esigue disponibilità economiche, e la fondazione dell’Accademia Militare di Wiener Neustadt e l’Accademia d’Ingegneria. La sovrana si rende conto che per spronare gli uomini essi dovevano avvertire che la loro carica gode del prestigio e del riconoscimento: fa visita personalmente ai diversi reparti dell’esercito, concede il diritto al titolo di nobiltà dopo quarant’anni di onorato servizio e la creazione dell’Ordine di Maria Teresa, che lega alla corona i comandanti più esperti e valorosi. L’artefice del cambio di rotta politico fu il principe di Moravia von Kaunitz a partire dal 1749, con la sua nomina a membro della Conferenza Segreta e per i successivi trent’anni; uomo dotato di grande intelligenza politica e di sottile perspicacia, di giudizio indipendente rispetto al diffuso conformismo degli ambienti di corte, si rende conto che gli Asburgo devono accettare la trasformazione da “potenza dinastica imperiale in una potenza statale austriaca”. Kaunitz fa il suo ingresso nella Conferenza segreta con quella che verrà chiamato il rovesciamento delle alleanze: l’alleanza, a qualsiasi costo con la Francia di Luigi XV, con la conseguenza rottura dell’asse Parigi-Berlino, come unica possibilità per la riconquista della Slesia. Kaunitz viene mandato a Parigi come ambasciatore nel 1750; pur visti come pedina degli inglesi, agli occhi dei francesi faceva più paura la Russia con le sue mire espansionistiche europee; ecco spiegato l’interesse per la successione al trono polacco all’ormai ultracinquantenne Augusto III. La Francia pensa di poter imporre il principe Louis Francois di Borbone-Conti in modo da consolidale un’alleanza fra Prussia, Svezia, Polonia e appunto l’Impero Ottomano. Altro fronte è la successione al trono imperiale: è uso nel corso del mandato di un imperatore che elegga il re dei Romani, colui che sarà con ogni probabilità destinato a succedergli. La Francia non vede di buon occhio il perpetuarsi della corona imperiale nelle mani di un Lorena; la Francia propone un rivale, l’elettore palatino Carlo Teodoro di Wittelsbach, il quale accampa pretese sulla contea di Falkenstein, l’unico possedimento in Lorena rimasto di proprietà di Francesco Stefano, e che gli garantisce un voto nella Dieta. Ma non è solo la Francia ad aver interessi in un accordo con gli Asburgo; l’Inghilterra vuole continuare a perpetuare la rivalità con la Francia in modo che essa sia troppo impegnata per ampliare i suoi possedimenti coloniali nel nuovo mondo; la Spagna con Ferdinando VI (succeduto al padre Filippo V nel 1746) il quale cercava un accordo con Inghilterra e Austria in modo da consentire ai Borbone di Spagna, in particolare ai discendenti Filippo a Parma e Carlo a Napoli, di operare in Italia con tranquillità. In Italia c’è poi Carlo Emanuele III di Savoia che teme la potenza francese per la sua Savoia. La Pace di Aquisgrana del 1748 mette in scena una nuova potenza che potrebbe sostituirsi all’Austria per contrastare la Francia: la Prussia. Il rientro da Parigi di Kaunitz arriva all’inizio del 1753 fondamentalmente con un nulla di fatto, ma con legami importanti alle spalle, come quello con l’amante di Luigi XV, la marchesa di Pompadour, e con qualche apertura nei riguardi di un futuro che nessuno si aspetterebbe tanto prossimo. Nello stesso anno Maria Teresa lo nomina capo della Cancelleria di Stato e le sue riforme sono molteplici: - Accentra tutte le questioni della monarchia nel suo ministero, anche quelle che fino ad allora erano state trattate separatamente come i Paesi Bassi austriaci e il Milanese Napoli e ducato di Parma) ed infine riesce a conservare il titolo imperiale nelle mani della dinastia con il sostegno di Federico II. Una nuova stagione di riforme La conclusione della guerra dei Sette Anni, ha consentito a Maria Teresa di impostare una nuova stagione riformistica il cui protagonista fu il cancelliere Kaunitz; il suo obbiettivo è quello di concentrare il potere in un consiglio composto da poche e fidate persone , dal momento che è convinto che solo centralizzano le decisioni di indirizzo si possano velocizzare i tempi delle medesime e renderle maggiormente efficaci. Si tratta quindi di selezionare nei vari dicasteri persone che vadano a formare un consiglio di funzionari che studiano i punti di debolezza della macchina statuale della monarchia e suggeriscono al sovrano gli opportuni provvedimenti; tale organo entra in funzione nel 1760, quando i rovesci militari rendono pressanti decisioni apidi per il rientro del debito pubblico e per il ridimensionamento dell’esercito. Oltre alla Boemia che già rappresentava il fulcro della monarchia, viene raddoppiato il carico d’imposta alla Bassa Austria e quadruplicato a Carinzia e Carniola. Viene riorganizzato il Consiglio di Guerra, con a capo Daun (1762) e suddiviso in sezioni (giustizia, amministrativo e guerra), in quanto l’esercito non era ancora ai livelli di quelli delle altre potenze europee. Istituisce anche un Consiglio ristretto per gli affari interni (1760); vi fanno parte: Haugwitz (presidente) e Daun (Consiglio di Guerra), il conte Blumegen (governatore della Moravia), il barone von Boriè e von Ehrenstein (componente tecnica), il suo fidato von Kronburg (referendario, ruolo di cancelleria). Kaunitz essendo Cancelliere partecipa alle riunioni ed essendo a capo dei Dipartimenti di Italia e dei Paesi Bassi ciò significa che pure gli affari di questi domini rientravano nel novero delle questioni discusse all’interno del nuovo organo. Nel realizzare questo progetto Kaunitz si ispira al consiglio ristretto del re Sole. Il Directorium viene soppresso e le competenze amministrative vengono traferite alla Cancelleria unificata di Boemia e Austria con a capo Chotek. Vengono create amministrazioni per le varie province della monarchia, con la denominazione di Gubernia: lo scopo è quello di funzionari direttamente dipendenti dal potere centrale che dovranno controllare, arginare e concorrere a deprimere il potenziale centrifugo delle vecchie amministrazioni signorili e feudali. Infine il settore finanziario: la Camera Aulica dei Conti riprende la sua centralità, dopo la soppressione del Directorium, con il compito di soprintendere a tutte le entrate della monarchia (non più solo a quelle ungheresi e di corte). I flussi di cassa vengono poi affidati alla Cassa centrale che unifica le casse e si occupa di gestire le uscite. A controllo di tutto il settore viene istituita una Corte dei Conti, con a capo von Zinzendorf, che controlla il Banco di Vienna istituito nel 1760 e diretta da Hatzfeld. Infine, la Corte sorveglia l’operato della Ministerial-Banco-Deputation, tesa a razionalizzare il sistema bancario della monarchia. Da un punto di vista economico si seguono le nuove teorie fisiocritiche: si è sempre più convinti che la ricchezza dei territori si incrementi sostenendo le produzioni locali o l’impianto di nuove manifatture; ridurre ulteriormente i privilegi delle corporazioni, di allettare imprenditori e maestranze straniere affinché spostino le loro produzioni nei territori asburgici; lo Stato interviene in prima persona a creare nuove opportunità imprenditoriali e lo stesso ceto aristocratico si mostra più intraprendente. Si vede il sorgere di cantieri, fabbriche di velluti, manifatture tessili, vetriere e cuoierie, in maniera particolare tra Vienna la zona boema. Stiria, Carinzia e Boemia continuano ad eccellere nella produzione siderurgica anche se il vero traino rimane la produzione di oggetti di lusso (porcellane e cristalli) che attraverso l’Ungheria via terra e Trieste via mare continuano a riscuotere successo all’interno dei territori del confinante Impero ottomano. La monarchia asburgica tuttavia rimane sul solco del protezionismo non prendendo in considerazione un mercato più libero, privo di monopoli. Non viene invece perseguita la strada del colonialismo in quanto privi di una flotta mercantile adeguata e una marina da guerra per difenderla. Optano invece per l’occupazione di territori di recente acquisizione, sottratti all’Impero ottomano, grazie al trasferimento nei Balcani di intere famiglie (Banato). Ai colini vengono offerti casa, attrezzi agricoli, sementi e appezzamenti di terra; gli ingegneri teresiani costruiscono veri e propri villaggi. Si ha interessi anche a trasferirvi cattolici come forma di evangelizzazione di aree a lungo rimaste sotto il giogo mussulmano, relegando ai margini della monarchia le forme di dissenso religioso. Il regno di Ungheria e le altre regioni orientali: un mondo a parte Il regno di Ungheria aveva costituito fin da sempre una sorta di mondo a parte; i Magiari discendevano dagli ungari di Arpàd che seminarono il panico in Occidente dalla fine del IX secolo a metà del X secolo quando vennero sconfitti da Ottone I (955). Da lì la conversione con Stefano I al cattolicesimo e il suo ruolo di antemurale della cristianità, durato tutto il Medioevo, prima contro i pagani e poi contro i mussulmani. Furono anche secoli di espansione: a est verso la Transilvania, a nord nell’odierna Slovacchia, nel XII secolo il regno di Croazia con Slavonia e Dalmazia; una varietà etnica vissuta serenamente perché il vero discriminante era rappresentato dalle funzioni esercitate, il rango, il posto occupato nella scala sociale. La lingua ufficiale era il latino. La pianura ungherese si presentava alla coltivazione e soprattutto all’allevamento di bovino, che avrebbero costituito la ricchezza del paese fino al Seicento. Il paese era ricco anche di metalli, in primis oro. Il tardo medioevo costituisce un momento di espansione verso ovest e nord dettato anche da un aumento di popolazione e dalla necessità di trovare nuove terre da coltivare. A Oriente vi era la minaccia degli Ottomani, che nel 1453 avevano conquistato Costantinopoli; l’avanzata dei Turchi porta alla sconfitta di Luigi II nella battaglia di Mohacs del 1526 contro Solimano il Magnifico e alla divisione del paese in 3 parti: - La parte più consistente diventa ottomana, Buda compresa - L’Ungheria “reale” cioè Slvacchia e parte della Croazia passano a Ferdinando I d’Asburgo, fratello di Carlo V, dal momento che aveva sposato Anna, la sorella di Luigi II - La Transilvania verrà trasformata in uno Stato Vassallo dei Turchi nel 1541 diventando un’oasi di tolleranza per confessioni religiose oltre a essere già multietnico. La nobiltà era composta da Magiari anche se vi è anche la componente sociale degli Haiduk, contadini fuggiti dai territori romani e dediti alla violenza e ai saccheggi quando non impegnati come forza-lavoro. Oro, ferro e sale faranno la fortuna de principi transilvani. L’Ungheria reale fu caratterizzata dalla diffusione di credi protestanti, in modo particolare dalla piccola nobiltà locale in funzione anti-asburgica; le differenze religiose erano accettate e protette in quanto faceva parte do quel corpus di libertà che, dal basso, si cercava di difendere contro l’intromissione dei poteri costituiti nelle vite dei sudditi. Da un punto di vista economico si verificò un progressivo peggioramento della condizione servile dei contadini, dovuto anche all’innescarsi tra fine Cinquecento e inizio Seicento di una lunga crisi economica. Il regno continuava ad avere le sue istituzioni rappresentative; a differenza della dieta di Boemia che era costituita da una sola camera, qui si conserva il carattere bicamerale: - La Tavola dei Nobili che vede riuniti gli aristocratici e gli ecclesiastici più eminenti in virtù dei loro titoli e delle cariche che ricoprivano - La Camera bassa che comprendeva i rappresentanti delle contee e delle libere città, eletti dagli abitanti delle comitats, le circoscrizioni amministrative del regno, forniti dall’incolato, una sorta di cittadinanza proveniente dal diritto romano, e legato al possesso di terra. - Su tutti domina il ceto nobiliare, che si arroga il diritto di rappresentare la natio hungarica, unita sotto la Corona di Santo Stefano. - Vi erano poi: i comitati, che esprimono un’assemblea locale e sono guidati dall’ alispan (governatore eletto) o dal foispan (rappresentante del re); il palatino o viceré, portavoce della natio, il gran giudice o iudex curiae per l’amministrazione alla giustizia Quella magiara continuerà tuttavia ad essere una nobiltà sui generis, in buona parte filo-asburgica, e quindi cattolica o al cattolicesimo convertitasi, ma mai pienamente integrata a usi e costumi, come dimostra anche la varietà dei diversi organi e la loro fierezza. Con Leopoldo I vi sarà poi la riconquista di alcuni territori dell’antico regno di Ungheria grazie al suo comandante militare Eugenio di Savoia; tale conquista, culminata con la riconquista di Belgrado nel 1717, porta ad una distribuzione delle terre sottratte ai Turchi, con la decisione di mantenere separate le antiche terre di Santo Stefano: l’Ungheria reale che resta sotto il controllo viennese, e il Banato, cioè la parte sud-orientale del paese, trasformata in provincia separata, la Transilvania confermata nei suoi diritti costituzionali ma sottomessa alla sovranità asburgica e poi porta in atto una politica di ricollocazione delle aree spopolate sottratte ai Turchi. Vi è ora una distinzione fra labancok (cattolici e fedeli della dinastia) e kurucok (malcontenti o crociati ostili agli Asburgo). L’insoddisfazione di quest’ultimi trova sfogo tra la fine del Seicento e gli inizi del secolo successivo quando Federen II Rakòczy, protestante covertito al cattolicesimo, riesce a proclamarsi re di Transilvania e Ungheria espellendo gli Asburgo per una decina d’anni; tuttavia la mancata alleanza con la Francia lo porta sulla via dell’esilio che si conclude con la sconfitta di Szatmàr (1711) quando il paese si riconsegna alla dinastia austriaca con l’allora Carlo VI, ma III per il regno di Ungheria. Durante la reggenza di Maria Teresa si è fatto ancora più netto il solco che divide la grande aristocrazia, sempre più rentière, concentrata presso la corte viennese, esente dalle imposte locali e detentrice del potere, e i piccoli nobili, ancora in buona parte calvinisti e per questo esclusi dagli uffici pubblici dal 1731. Il peso della borghesia urbana permane limitato a causa dello scarso sviluppo urbanistico che si concentrava per lo più nelle città occidentali prossime ai confini con i ducati austriaci. La condizione servile dei contadini è peggiorata a causa anche dell’esclusione della corrente riformistica che intanto stava interessando il resto dei territori sotto il controllo degli Asburgo: avevano cercato di far leva sulla produzione cerealicola ma vi era l’arretratezza di tecniche e attrezzi, vie di comunicazione inadeguate, popolamento scarso, necessità di bonificare ampie zone paludose al fine di sperare in rendimenti più elevati; infine alla produzione cerealicola è affiancata da quella vitivinicola. L’Ungheria rimarrà fuori anche dal processo riformistico che rivedeva il reclutamento dell’esercito, nonché i rapporti signorili e lo scarso contributo economico versato al potere centrale. La sovrana ritiene però che qualche riforma sia improcrastinabile: nel 1767 emana l’urbarium, che vuole mettere ordine nel settore dell’imposizione fiscale, senza sconfessare il sistema signorile, ma procedendo ad una limitazione degli abusi e conseguentemente ad un miglioramento delle condizioni di vita dei contadini. Questi come gli altri provvedimenti vengono emanati sotto forma di “inarticolati” ovvero regolamenti che ne consentono l’immediata esecuzione. Nel campo dell’istruzione superiore viene fondato nel 1635 a Trnava il primo ateneo ungherese, affiancato, grazie alla sovrana, nel 1769 da una facoltà di medicina come ponte per introdurre nuove riforme nel campo come la creazione di lazzeretti in zone di confine per prevenire contagi, l’apertura di ricoveri e di cura per l’infanzia abbandonata. Nel campo dell’istruzione secondaria, in mano a ordini religiosi, in primis gesuiti, avevano visto il sorgere di scuole in varie città del regno e in centri minori; nel 1773 vi è la soppressione della Compagni di Gesù, che continuerà ad operare all’interno del clero secolare benché in maniera inferiore. Nel 1777 viene scritto la Ratio educationis totiusque rei literariae per regnum Hungariae et provincias adnexas, il testo su cui si fonda la riforma dell’istruzione: il regno viene diviso in 9 distretti scolastici, nei quali in mancanza di professori laici, vi insegnano i rivali dei gesuiti, gli Scolopi; vi è inoltre la presenza di scuole protestanti; infine vi sono anche gli istituti di poterlo meglio controllare). Nel 1765 nasce la Giunta Economale per gli Affari Ecclesiastici con l’obbiettivo di arginare lo strapotere del patriziato milanese, arrocato nel Senato, mettendo ordine tra il clero regolare, avviando un’inchiesta sui beni ecclesiastici, emanando un editto sulle manimorte. In questo ambito le riforme sono spinte dalla considerazione che la Chiesa sia assimilabile a un corpo privilegiato quanto quello nobiliare. (a Vienna bisognerà aspettare fino al 1769 per la creazione del Consessus in publico-ecclesiasticis con le mansioni assimilabili alla Giunta milanese). Questa riforma di matrice giansenista aveva anche lo scopo di separare le funzioni della Chiesa da quelle dello Stato: non più censura ecclesiastica, né tribunale dell’Inquisizione, niente asilo all’interno degli edifici di culto o carceri nei monasteri, soppressione dei piccoli monasteri, e limitazione all’entrata degli ordini ecclesiastici. Il fine ultimo quello di creare una chiesa nazionale il più possibile staccata dalle dipendenze alla Santa Sede. Anche il controllo sull’istruzione, tradizionalmente gestito dalla chiesa, viene assunto dalla Deputazione o Giunta agli Studi, creata nel 1765. Nel settore economico-finanziario nel 1765 un Supremo Consiglio di Economia, presieduto da Gian Rinaldo Carli, viene ad esautorare nella sostanza il Magistrato Ordinario delle Entrate; il conte Pietro Verri con una commissione argina lo strapotere della “ferma generale” greppina. - Anni 1770 – 1780 con Giuseppe II anche se rappresentato in loco dal fratello Ferdinando dal 1771: Questi due decenni di riforme se da un lato avevano risolto dei problemi ne avevano creati altri: troppi nuovi organismi con incarichi non ben definiti e troppe persone con incarichi prlurimi. Questo periodo serve per ritagliare meglio i confini tra le differenti istituzioni: via il vecchio Magistrato Ordinario e il nuovo Supremo Consiglio di Economia per cui il settore economico-finanziario viene concentrato nelle mani del Regio Ducal Magistrato Camerale e della Camera dei Conti come ente di controllo; gli affari giudiziari sono riservati al solo Senato milanese. Da un punto di vista educativo bisogna ricordare che nel 1773 vi era stata l’abolizione della Compagnia di Gesù e nello stesso anno venne fondato il Magistrato agli Studi e l’artefice della riforma è l’abate Giovanni Bovara che stila un progetto basato su una scuola gratuita per ogni borgo, esami di abilitazione per gli insegnamenti, per i quali si istituiscono le “scuole normali” ovvero istituti di formazione, scuole cittadine e programmi comuni . Nel riformare il settore secondario, più legato al controllo dei religiosi, si opta per una lingua nazionale, libri di testo condivisi, semplificazione della grammatica, nuove discipline, in primis scientifiche e continuità tra studi secondari e quelli universitari. Una riforma del settore scolastico, dunque, in cui, semplificando molto, le istanze moderate dei Lumi si incontrano con quelle risalenti al rigorismo giansenista, come scrisse Maurizio Pisero. Tuttavia l’obbiettivo di Giuseppe II è quello di legare tutti i territori asburgici a Vienna, per questo il cammino di riforme teresiano si conclude con l’abolizione del Senato, sostituito da un sistema giudiziario a triplice grado con lo scopo di sopprimere il vecchio e invecchiato pluralismo giuridico con una codificazione univoca; prefigurazione di quello che avverrà con la divisione amministrativa napoleonica con l’avvento delle congregazioni municipali e delle cosiddette “intendenze politiche”, una per ognuna delle otto nuove province in cui verrà suddivisa la Lombardia. I Paesi Bassi meridionali: un mondo lontano La fine della guerra di successione spagnola porta all’acquisizione dei Paesi Bassi meridionali (Artois, Fiandre vallone e francesi, Hainaut, Lussemburgo) posti a sentinella dei Francesi. Questi territori fanno perno sulle attività manifatturiere e sui commerci marittimi; non è un caso infatti che Carlo VI all’inizio degli anni 20 costituisce la Compagnia di Ostenda che finirà a causa delle pressioni inglesi e olandesi e con l’avvento di Trieste come porto franco nel 1719. La religione professata è il cattolicesimo seguendo le evoluzioni religiose dell’impero come la soppressione della Compagnia di Gesù. I plenipotenziari che governavano il paese per conto della sovrana erano: Antonio Botta Adorno, Karl von Cobenzl e Georg Adam von Starhemberg che rivitalizzano l’economia locale mentre come governatore viene scelto il cognato di Maria Teresa Carlo di Lorena; il porto di Ostenda viene potenziato, si migliorano le vie di comuncazione terrestri e fluviali, indispensabili per la riuscita di scambi commerciali, si impiantano nuove fabbriche di prodotti di lusso, miglioramento delle tecniche agricole . All’inizio reticente su questo territorio successivamente si rende conto che i soldi di questi sudditi possano finanziare le riforme: facendosi promotrici di iniziative volte a sostenere lo sviluppo della regione, come la fondazione di Bruxelles dell’Accademia imperiale e reali delle scienze e delle belle arti porta ad un’età dell’oro. Come per l’Ungheria il buon governo teresiano poggerà più sul non fatto, ovvero sulle non riforme volte a mantenere le peculiarità del territorio; questo spiega l’ostilità invece nei confronti di Giuseppe ed il decennio segnato dalla rivolta di fine anni ottanta. Landesmutter: l’ultimo quindicennio L’ultimo quindicennio di regno, e di vita, di Maria Teresa è dovuta da una parte dai sempre più accesi contrasti con l’impaziente coreggente, dall’altra, relativamente alla politica internazionale, da preoccupazioni vieppiù pesanti sul fronte orientale; alla fine della guerra dei sette anni l’asse dei rapporti di forza si va spostando sempre più verso oriente, a fronte di una relativa stabilità all’interno delle compagini statuali occidentali. Il nuovo terreno di confronto è la Polonia; essa, unitasi dal 1569 con la Lituania, è diventato uno dei regni più estesi dell’Europa ma debole per il carattere elettivo della corona e lo strapotere della nobiltà locale. Quando nel 1763 muore Augusto III, elettore di Sassonia nonché re di Polonia, porta ad un vuoto di potere; Maria Teresa vede di buon occhio la scelta della Dieta di eleggere un aristocratico autoctono, Poniatowski, il quale tuttavia si rivelerà essere amante della zarina Caterina II; l’attendeismo e la pudenza di Maria Teresa nel riconoscerlo è dovuta al fatto che un rifiuto troppo netto da parte di Vienna possa portare Russia e Prussia ad intervenire in Polonia e spartirsi il bottino. Intanto sale la tensione tra Caterina II e l’Impero ottomano tanto da scatenare una guerra a fine degli anni sessanta; è in questo frangente che si fanno sempre più complicati i rapporti tra Maria Teresa e il suo consiglio segreto, composto da Giuseppe e Kaunitz, entrambi propensi a trovare in Federico di Purssia un alleato per bloccare le aspirazioni russe, come dimostrano i due incontri fra Giuseppe e Federico nel 1748 e nel 1749. Intanto Poniatowski si era reso sempre più indipendente all’interno di un territorio moto diversificato in cui comprende che l’unico motivo di coesione si possa raggiungere con un piano di riforme radicali: abolire il liberum vetum, che impediva alla Dieta polacca di prendere decisioni se vi era anche un solo voto contrario, garantire la libertà religiosa e costituire un esercito nazionale per proteggere il paese dai ricatti e dalle pressioni delle potenze contigue. Gli interessi di Caterina e l’opposizione interna cattolica costituiranno l’ostacolo maggiore. Caterina II si convince che i mancati risultati sul fronte ottomano può essere compensati con l’acquisizione di territori a scapito della Polonia ; quindi quando il fratello minore di Federico, Enrico propone a Caterina una spartizione del regno polacco-lituano lei non esita. Maria Teresa, pur contrariata non può rimanere esclusa; nel 1772 vi è la prima spartizione della Polonia: la frontiera russa viene fatta coincidere con il corso del fiume Dvina e con quella dell’alto Dnepr; gli Asburgo ottengono la Galizia e la Lodomiria, l’impero prussiano annette i territori tra Brandeburgo e la Pomerania, fatta eccezione per Thorn e Danzica, riuscendo a realizzabile una continuità territoriale della Prussia orientale e del Brandeburgo. Da questa spartizione Maria Teresa capisce che la componente slava all’interno della monarchia aumenta in cui il credo ortodosso è maggioritario. La prima spartizione polacca non mette fine al conflitto russo-turco. Alla pace Caterina è costretta per due motivi: uno esterno rappresentato dalla ricostituzione della Svezia con il sostegno della Francia, ritornando a costituire un nemico; dall’altra parte uno interno la rivolta di Pugacev che mette a ferro e fuoco il paese. La pace siglata nel 1774 garantisce alla zarina il tanto agognato sbocco sul Mar Nero e la Crimea, da sempre vassallo turco, diviene libera, anche se di fatto transita sotto la tutela russa. L’Impero ottamano cerca di ingraziarsi gli Asburgo, e l’appoggio contro la zarina, concedendo la Bucovia, nord della Moldavia. La regione è popolata di contadini, il cui potenziale economico basato sulla produzione cerealicola potrebbe aiutare la vicina Transilvania. La totale indifferenza della Francia testimonia ormai la separazione di due mondi, occidentale e orientale. L’ultimo confronto tra Maria Teresa e Federico II avviene per la Baviera con quella che passerà alla storia come la “guerra delle patate”, vista come una guerra di successione al trono bavarese. La Baviera aveva rappresentato un’aspirazione di lungo periodo per gli Asburgo perché annetterlo significava rafforzare l’egemonia austriaca nel centro Europa; tale prospettiva si realizza con la morte di Massimiliano III nel 1777, quando privo di eredi, passa la Baviera al cugino, Carlo Teodoro, figlio di Carlo VII, il quale anche lui privo di figli legittimi, ne ha invece molto illegittimi; per ottenere appannaggi e rendite per loro, cede una parte della Bassa Baviera agli Asburgo. La Prussia non accetta tale situazione facendo leva sui diritti di Carlo Augusto, erede collaterale di Carlo Teodoro; gli Asburgo pensano che la Russia non sarebbe intervenuta essendo occupata sul fronte orientale, ma la zarina provenendo da una delle famiglie principesche tedesche era contraria a modificare lo status quo della struttura geo-politica dell’area germanica; inoltre la Francia, alleata degli Asburgo, non interviene. Nel 1778 le truppe di Federico II invadono la frontiera boema; Maria Teresa, all’insaputa del figlio e sulla scia di un dissidio ormai non più sanabile, invia un suo emissario a Berlino per cercare una composizione con il nemico prussiano; anche Francia e Russia premono per una pace; nel 1779 si sigla la pace: - A Maria Teresa viene riconosciuta una piccola parte della Baviera (Innviertel) - Federico II ottiene la dichiarazione da parte dell’Austria di non opposizione alla futura annessione al Brandeburgo dei due principati franchi di Ansbach e Bayreuth ; Berlino ora rappresenta un valido contraltare a Vienna - Caterina II fa si che la Russia abbia voce in capitolo sulle questioni degli affari tedeschi , che avrebbero avuto ripercussioni su tutta l’area centro-orientale europea Dopo l’incontro tra Giuseppe e Caterina II, l’imperatore ritorna a casa preoccupato per le mire espansionistiche russe, in modo particolare nei confronti dell’area balcanica. Il nuovo re e imperatore si rende conto di avere due agguerriti rivali con cui confrontarsi. Maria Teresa muore nel 1780.
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