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Mario e Silla - la guerra sociale, Sintesi del corso di Storia Romana

Mario e Silla - la guerra sociale, sintesi

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 30/11/2022

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Scarica Mario e Silla - la guerra sociale e più Sintesi del corso in PDF di Storia Romana solo su Docsity! Mario e Silla Optimates e populares Al fallimento dei Gracchi corrispose un aumento di potere per la nobiltà, sulla quale si concentravano tutti gli affari dello Stato, per accrescere ancora una volta il proprio potere personale. Dal momento che i senatori dominavano la società attraverso sistemi verticali di subordinazione personale e clientelare, i ceti medi ed inferiori furono a loro volta coinvolti nei conflitti politici, ciascuno in base alla familia senatoria a cui apparteneva e da cui dipendeva. Pertanto i conflitti senatori si trasformarono in scontri che comprendevano tutti i livelli sociali, compresi i ceti inferiori, turbando l’intera società romana. La vita politica a partire dagli ultimi decenni del II secolo a.C. era caratterizzata dallo scontro tra optimates- ottimati, contrari ad ogni cambiamento costituzionale, e quello dei populares- i popolari, che erano favorevoli alla mobilità sociale. La guerra contro Giugurta Tutte le tensioni politiche che attraversavano Roma si manifestarono in occasione della guerra contro Giugurta. Dopo la creazione della provincia d'Africa nei territori un tempo soggetti a Cartagine, Roma controllava indirettamente la Numidia, considerato un'area nevralgica nel controllo dei traffici commerciali nel Mediterraneo occidentale. Alla morte di Micipsa, re della Numidia, Giugurta, suo nipote, aveva ereditato il regno insieme ai due figli del sovrano, lempsale e Aderbale, ma aveva fatto uccidere i cugini, alleati dei Romani, e si era proclamato unico re. Egli, inoltre, dopo aver preso Cirta (l'attuale Costantina, in Algeria), capitale della parte di regno di Aderbale si rese responsabile del massacro di numerosi commercianti italici romani che si trovavano nella città. Il senato, corrotto da Giugurta, esitava a intervenire; ma in seguite alle pressioni dei cavalieri - danneggiati dalle azioni compiute dal re numida e speranzosi di trarre vantaggio da un'eventuale riduzione a provincia di quel ricco territorio - Roma decise, nel 112 a.C. di dichiarargli guerra. L'intervento militare contro Giugurta non diede i risultati positivi attesi, perché i generali si lasciarono corrompere e addirittura a vendere armi e beni al nemico. L'esercito trovava difficilmente reclute sufficienti e ben motivate. Mai era stata tanto evidente l'incapacità politica e militare dello Stato. Un solo episodio può bastare a provarlo: il re Giugurta, giunto a Roma per spiegare la sua posizione, assassinò un proprio cugino senza che nessuno lo potesse accusare: un tribuno della plebe, da lui corrotto, vietò infatti ogni procedimento nei suoi confronti. l popolo di Roma era in fermento: criticava apertamente la classe senatoria e chiedeva a gran voce una soluzione. L'uomo che di lì a poco pose fine alla guerra contro Giugurta fu Gaio Mario, che subito dimostrò particolari abilità militari unite alla capacità di guadagnarsi la simpatia del popolo. Mario, nato intorno al 157 a.C., nei pressi di Arpino, da una famiglia di modesta condizione sociale, senza ricchezza o antenati illustri, si era fatto avanti nella vita pubblica-non potendo vantare nobili origini era un homo novus, un "uomo nuovo" appunto, grazie all'appoggio della potente famiglia dei Metelli (Fonte 6.1). Dopo aver combattuto valorosamente nell'esercito di Scipione Emiliano in Spagna, egli aveva percorso le cariche politiche usuali dei membri dell'ordine senatorio, guadagnandosi anche una certa notorietà come avversario della grande nobiltà e come capo delle masse popolari di Roma. Comandante della cavalleria nella guerra giugurtina, Mario ottenne vari successi, in modo particolare nella battaglia del fiume Muthul (109 a.C). Ma la resistenza dei Numidi non diminuiva e la guerra, sanguinosa per i Romani, si prolungava. Dall'anno 108 a.C. Mario cominciò a criticare palesemente il sistema militare romano e anche il suo capo ed ex protettore, Cecilio Metello- sostenendo che fosse l’unico in grado di poter sconfiggere Giugurta. E così Mario fu eletto console e gli fu affidato il comando della guerra, promuovendo come prima cosa una riforma dell’esercito, al fine di consentire l’arruolamento a tutti i cittadini romani che si fossero offerti come volontari, anche se nullatenenti. I legionari, dopo aver militato per 16 anni, avrebbero ricevuto come atto di congedo un appezzamento agricolo; l'esercito si trasformava così in esercito professionale, con soldati regolarmente pagati con uno stipendium e in servizio permanente. Durante il servizio militare i soldati erano equipaggiati dallo Stato e vivevano in accampamenti, rimanevano lontani dalla vita civile soggetti alla legge militare; anche i loro diritti civili erano momentaneamente sospesi: per esempio, non si potevano sposare. In questo modo, da un lato, trovavano una soluzione parziale il problema agrario e quello sociale; dall’altro, l'esercito romano si ingrandiva, guadagnandone in compattezza ed efficacia d'azione. L'esercito romano, dalla riforma militare di Gaio Mario in poi diventerà sempre di più lo strumento d'affermazione del potere di ambiziosi generali, dal momento che si andò sempre più consolidando quel cordone ombelicale che si veniva a creare tra il comandante e i suoi soldati, che dipendevano totalmente da lui: era infatti il generale che li arruolava, che li guidava in battaglia, che distribuiva bottini e premi e che li congedava. In tal modo, più che a Roma, il soldato era fedele al proprio comandante. In breve tempo questo tipo di esercito si trasformerà nel braccio armato dell'ambizione del generale di turno, sino a divenire determinante in età imperiale nella scelta dell’imperatore. La riforma mariana diede subito i suoi frutti. Grazie ai nuovi arruolamenti e con un esercito più imponente Mario riuscì a dare una svolta decisiva alla guerra contro Giugurta già due anni dopo, nel 105 a.C. il re della Numidia fu catturato grazie all'astuzia del questore Lucio Cornelio Silla, luogotenente di Mario in Africa e suo rivale politico. Giugurta finì i suoi giorni a Roma, giustiziato in carcere. Roma trionfava ancora una volta e Gaio Mario occupava ormai la scena della vita politica romana. Mario era l’idolo del popolo e il capo dei popolari. Silla invece diventò il campione della parte avversa, ossia gli ottimati. Contrariamente a una consolidata tradizione repubblicana, dopo la vittoria sul re numida, Gaio Mario fu poi eletto altre cinque volte console, nei successivi cinque anni, senza intervallo tra le cariche e al di là di quanto consentito dalla legge. Il Marco Livio Druso, di nobile famiglia senatoria, eletto tribuno della plebe nell'anno 91 a.C., che la questione italica venne finalmente posta all'ordine del giorno; ma la sua uccisione, avvenuta per iniziativa degli avversari politici, provocò la reazione degli Italici, i quali – comprendendo che il senato romano non avrebbe mai accettato le loro richieste – decisero di entrare in guerra. La guerra sociale (91-89 a.C.) Iniziò così la cosiddetta guerra sociale, da socii, ossia "alleati", in riferimento agli Italici, che si rivelò particolarmente impegnativa e difficile per l'esercito romano, in quanto combattuta contro popolazioni che ben conoscevano le tecniche militari dei Romani. La guerra scoppiò ad Ascoli, nel Piceno, nel 91 a.C., quando vennero uccisi alcuni Romani, tra cui il pretore Quinto Servilio Cepione; da lì si estese poi alle popolazioni marsiche, peligne, osche, sannitiche, irpine e lucane. Intorno ai due nuclei principali dei Marsi e dei Sanniti, tutte le altre popolazioni italiche del Centro e del Sud si unirono in uno Stato federale, retto da un consiglio simile al senato romano e dotato di un proprio esercito, guidato da due comandanti. Il nuovo Stato si diede anche una capitale, Corfinium (in Abruzzo, vicino L’aquila), nel territorio dei Peligni, subito ribattezzata Italica, e una monetazione propria. Rimasero fedeli a Roma soltanto l'Etruria e l'Umbria, come pure le città greche e le colonie latine. Questa volta i popoli italici riuscirono, almeno parzialmente, a coalizzarsi contro i Romani e non chiedevano più l'integrazione, ma cercavano di fondare uno Stato separato. Le lotte furono violente e tutta l'Italia centrale ne soffrì molto. Protagonisti furono ancora Gaio Mario e Lucio Cornelio Silla. Nel timore che altre popolazioni insorgessero e per cercare di limitare il più possibile l'estensione del conflitto, il senato romano decise di concedere, seppur in modo graduale, la cittadinanza romana a tutti i socii: nel 90 a.C., su proposta del console Lucio Giulio Cesare, con la lex Iulia de civitate venne concessa la cittadinanza agli alleati rimasti fedeli e tra questi alle colonie latine e alle comunità che avessero deposto le armi; nell’89 a.C. con la lex Plautia Papiria promossa dai tribuni della plebe Gaio Papirio Carbone e Marco Plauzio Silvano, veniva estesa la cittadinanza agli Italici che entro 60 giorni si fossero registrati presso il pretore di Roma. Dopo questi provvedimenti la guerra si esaurì progressivamente nel giro di pochi mesi. Il risultato fu che tutti gli abitanti liberi dell’Italia, eccetto quelli della Gallia Cisalpina, che dovettero attendere i provvedimenti di Cesare, in pochi decenni divennero cittadini romani. Questo momento fu importantissimo per la storia di Roma, poiché per la seconda volta si ingrandiva notevolmente il corpo dei cittadini romani. Tutta l'Italia peninsulare costituiva ormai uno Stato territoriale unitario, di identico statuto giuridico. L’Italia intera aveva ora i privilegi una volta della sola Roma, e le città dell’Italia divennero tutte simili a Roma anche dal punto di vista urbanistico e architettonico. L’Italia dei municipi La ribellione degli Italici fu domata, ma essi ottennero comunque la cittadinanza. Il territorio dell’Italia fu organizzato in municipi, ed ognuno, a somiglianza di Roma, aveva due magistrati supremi annuali ( duòviri ), due edili, un senato locale, una curia, un foro, un tempio alla triade Giove, Giunone e Minerva. Il censimento del 70 a.C. contò 910.000 capi famiglia. I cittadini più in vista dei municipi entrarono a far parte della classe dirigente romana, e furono ammessi in senato. Come affermò il geografo Strabone, al tempo di Augusto, ormai non vi erano più Sanniti o Lucani o Apuli, ma solo Romani. Dopo la concessione della cittadinanza alla Gallia Cisapina (Cesare), Augusto divise l’Italia in regioni, i cui nomi ricordavano quelli degli antichi popoli italici. Mitridate e Silla Contemporaneamente alla guerra sociale, Roma si trovò alle prese anche con gravi problemi sorti in Oriente, che concorsero ad accelerare in maniera significativa la crisi della repubblica romana. Subito dopo la fine di questa guerra lo Stato romano dovette infatti affrontare Mitridate, il re del Ponto, che cominciava a rappresentare una dolorosa spina nel fianco orientale dell’impero. Mitridate VI Eupatore, nato nell'anno 142 a.C. a Sinope, apparteneva alla famiglia regale del Ponto ( il pezzo della Turchia sotto il Mar Nero), uno Stato ellenistico collocato sulla sponda nord-orientale dell’Asia minore, nel quale si mescolavano tradizioni persiane, barbariche e greche, tant’è che la dinastia pretendeva di discendere dagli antichi re persiani e da alcuni monarchi ellenistici. Retto in modo assolutistico, le lotte tra i membri della dinastia erano all’ordine del giorno, e lo stesso padre di Mitridate fu assassinato nel 120 a.C. e il potere passò nelle mani della sua dispotica vedova, poiché il figlio aveva 12 anni. Fece ritorno nel suo regno nel 116-113 a.C., riprendendo il potere dopo aver soppresso la madre e il fratello. Si dimostrò un uomo brillante, grande generale e astuto politico, si rivelò però anche una personalità crudele e senza scrupoli. Regnò con il pugno di ferro, riuscendo ad ampliare i possedimenti del suo regno, cogliendo infatti i Romani di sorpresa, invadendo nell’89 a.C. le province di Asia e Acaia, presentandosi come una sorta di liberatore dell’ellenismo: in molti lo appoggiarono. A causa della strage da lui ordinata, dove furono uccisi 80.000 persone, tra Romani e Italici, il senato decise di dichiarare guerra a Mitridate e nell'88 a.C. accordò a Silla, come console, il comando delle operazioni militari, ed egli raccolse un potente esercito, concentrandolo a Capua. Ma a Roma il partito popolare, preponderante nelle assemblee, protestò contro questa decisione e impose – anche attraverso l'intervento del tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo - che il comando della guerra contro il re del Ponto fosse tolto a Silla e affidato a Mario, più sensibile ai loro interessi. Di tutta risposta Silla marciò su Roma con i suoi soldati, e con questo atto si evince come dopo la riforma mariana l’esercito fosse strumento delle ambizioni politiche dei generali (come avverrà soprattutto in seguito). Impadronitosi di Roma, Silla fece dichiarare i suoi avversari nemici pubblici e Mario fu costretto a trovare riparo in Africa. Dopo questo atto di forza con la marcia su Roma, Silla instaurò un governo aristocratico, e l’anno successivo (87) si diresse in Oriente per contrastare Mitridate. Tuttavia, dopo poco tempo, il partito dei populares riconquistò il potere con una vera e propria guerra civile. Lucio Cornelio Cinna, schierato con Mario, dopo essere stato deposto e aver messo su un esercito assieme a Mario, ormai anziano, si diresse su Roma, nuovamente espugnata e sotto le mani del vecchio generale, che sarebbe morto due settimane dopo la sua settima elezione a console, il 17 gennaio dell’86 a.C. Nel frattempo Silla combatteva contro Mitridate, mostrandosi ancora una volta un valente generale, riuscendo ad invadere Epiro, Tessaglia e a prendere la città di Atene il 1 marzo dell’86 a.C., con una durissima repressione. Le forse di Mitridate si spostò poi in Beozia, dove sarà nuovamente sconfitto a Cheronea (Grecia centrale). Grazie al suo lavoro Silla riuscì a racimolare un immenso bottino di guerra, ma nonostante le sorti favorevoli della guerra, nell’85, ad agosto, stipulò a Dardano la pace con Mitridate (che poteva mantere il suo regno e perdere le conquiste) poiché preoccupato per il nuovo governo dei populares a Roma. Silla sbarcò in Italia nella primavera dell’ 83 a.C., deciso a restaurare l’ordine degli optimates all’interno della repubblica. Con lui si schierarono anche: Gneo Pompeo nel Piceno, Quinto Cecilio Metello in Liguria e Marco Licinio
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