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Marketing Media e Industrie Creative - Dagnino, Appunti di Marketing

Il corso di Marketing Media e Industrie Creative tenuto dal Prof. Dagnino. Vengono fornite informazioni sulle modalità di esame e sulle tematiche trattate nel corso. Viene inoltre approfondito il concetto di industrie creative, il loro ruolo nell'economia e la loro origine nel Regno Unito degli anni '90.

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 03/03/2023

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Scarica Marketing Media e Industrie Creative - Dagnino e più Appunti in PDF di Marketing solo su Docsity! MARKETING MEDIA E INDUSTRIE CREATIVE – DAGNINO Da studiare: slides + appunti + letture integrative (per ogni lezione) in italiano che sono obbligatorie, ne verranno caricate anche alcune in inglese che però non sono obbligatorie, sono solo per chi vuole approfondire Il 14 dicembre (ultima lezione del corso) ci sarà un parziale  test scritto della durata di 1.45 h che vale il 70% del voto finale. Non c’è bisogno di iscriversi, basta presentarsi a lezione, nella prima parte si farà un recap dei contenuti e poi si può sostenere la prova. A giugno negli appelli ufficiali ci sarà comunque un esame orale in cui la Prof potrà farci qualche domandina sui contenuti del corso e si discuterà il project work (realizzato con la Prof.ssa Piredda)  30% del voto LE INDUSTRIE CREATIVE Il titolo del corso contiene le tre parole chiave: 1. Marketing 2. Media 3. Imprese creative: Sono temi molto complessi, anche in relazione tra loro. Le industrie mediali, il settore dei media e del marketing possono essere considerati come un sotto settore delle industrie creative  in altre parole le industrie creative sono un macro settore all’interno del quale ci sono diversi sotto settori, tra cui i media (televisione, radio, cinema, media digitali, media, marketing ecc…). Quindi da una parte “industrie creative” è un termine ombrello che comprende anche marketing e media, ma allo stesso tempo il marketing è (oltre ad essere un settore autonomo delle industrie creative) un’attività che fa parte delle filiere produttive, distributive e di promozione di altri sotto settori delle industrie creative tra cui ad esempio i media. Es. media audiovisivi  investimenti che gli Studios Hollywoodiani fanno nel marketing dei film che producono sono cresciuti in modo significativo negli ultimi decenni, il marketing è una voce di budget sempre più preponderante all’interno del piano finanziario della produzione e distribuzione di un prodotto mediale. Quindi c’è questa specie di paradosso per cui possiamo trattare queste 3 parole chiave separatamente come macrosettore e sottosettori ma allo stesso tempo il marketing rientra nei singoli sottosettori che compongono l’industria creativa con un peso sempre più rilevante. Cosa ci viene in mente quando pensiamo alle industrie creative? Agenzie pubblicitarie, cinema, teatro, musica, moda, design, editoria, musei ecc… Ma qual è il filo rosso che individuiamo tra questi settori? 1 L’innovazione, la cultura ecc…  l’aspetto di penetrazione delle industrie creative è fondamentale anche per i governi che vogliono emanare delle politiche a sostegno delle industrie creative. Il concetto di industrie creative ha origine nella metà degli anni ’90 nel Regno Unito, stato che stava vivendo un periodo di crescita economica abbastanza forte. La Gran Bretagna aveva acquisito anche una rilevanza dal punto di vista culturale. Il periodo copre la metà degli anni ’90, già negli anni 2000 siamo oltre (quindi è un periodo breve), viene soprannominato periodo della “Cool Britannia”: ci dà idea del fascino, del nuovo e della modernità del paese. Il termine è un gioco di parole preso da una canzone dell’impero britannico nel periodo coloniale che si chiamava Rule Britannia. Cool Britannia è un termine giornalistico per indicare anche l’elemento patriottico legato alla produzione culturale inglese. Quali erano le caratteristiche di questo periodo? Avevamo un periodo di grande fortuna legata alla cultura pop:  La Union Jack diventa anche un brand che ritornava tantissimo nel merchandising  Diverse copertine con Liam Gallagher e la fidanzata (una modella), diventano un po’ il simbolo di questo periodo, così come i Blur e le Spice Girls (furono un fenomeno globale enorme, danno la nascita alle girl band moderne)  Mondo della moda, abbiamo alcune supermodelle come Kate Moss e Naomi Campbell e il grande stilista inglese Alexander McQueen  Cinema, ad esempio abbiamo tutto il filone delle commedie romantiche con Hugh Grant (es. Notting Hill) Questo fenomeno era così forte e importante a livello di brand che Ben & Jerry creò una limited edition venduta dal 1995 al 1998 chiamata “Cool Britannia”. Inoltre in questo periodo c’era una forte vicinanza tra il mondo dell’intrattenimento e della cultura popolare e quello della politica. In una foto infatti abbiamo Noel Gallagher e Tony Blair, candidato premier del partito laburista inglese  siamo nel 1996, c’è la campagna elettorale per l’elezione del nuovo primo ministro inglese, Blair era il candidato dell’opposizione che costruisce la sua immagine attraverso la vicinanza con alcune componenti di questa Cool Britannia, si presenta come nuovo, come un politico giovane, cool, interessato alla modernizzazione del paese ecc… Blair viene eletto nel 1997, diviene primo ministro e rimane in carica per 10 anni. Una delle azioni che fa è di rinominare un dipartimento, un ministero precedente chiamato del patrimonio nazionale (National Heritage) in “Dipartimento della cultura, dei media e dello sport” (cerca di svecchiare il nome e di segnalare 3 attività chiave su cui vuole puntare). All’interno di questo ministero costituisce una Creative Industries Task Force, un gruppo di esperti da lui nominati per occuparsi del tema delle industrie creative. A capo viene messo Chris Smith dal 1997 al 2001. L’obiettivo di questa Task Force era di consigliare e dare forma alle politiche del nuovo governo nei settori delle industrie creative. La Task Force era costituita anche da persone che lavoravano nelle industrie creative, tra cui David Puttnam, un produttore cinematografico di successo, ha realizzato diversi film molto importanti della storia del cinema inglese e americano, tra cui il premio oscar “Momenti di gloria”. Puttnam rientrava anche nella sfera politica laburista e collaborava con il partito ancora prima dell’elezione di Tony Blair. In un report dice «abbiamo fatto in modo che i politici vedessero le arti o quelle che allora definimmo industrie creative (perché questo è stato il grande cambiamento, spostare le parole dalle arti alle industrie creative) come un potenziale motore economico e non semplicemente come qualcosa di bello da avere» Questo spunto è interessante perché ci da una chiave di lettura su come è stato coniato il termine “industrie creative”, che prima dell’avvento al governo di Blair non era di uso comune. Esisteva un precedente alla Creative Industry Task Force che era uno studio del governo australiano (Creative Nation), che uscì nel ’94 2 affrontato su una sorta di base scientifica deduttiva di esperimenti. Le industrie di cui stiamo parlando sono molto più incentrate sull'intuizione individuale: qualcuno scrive un libro, qualcuno scrive una canzone, qualcuno crea un videogioco, qualcuno crea un nuovo concetto di moda. Sono atti individuali di creatività che hanno una qualche radice nelle arti e nella cultura piuttosto che nella scienza, e il loro vero valore sta nel fatto che generano proprietà intellettuale. Il valore è nel concetto piuttosto che nel prodotto, per così dire» C’è questa idea della creatività come un concetto che nasce dalla singola persona (che poi magari può anche essere sviluppato da un gruppo, ma la scintilla è individuale secondo la Task Force), è qualcosa che ha a che fare con l’arte e la cultura ma è diverso, perché i prodotti della creatività generano proprietà intellettuale, qualcosa che può essere commercializzato al fine di generare ricchezza. Newbigin fa l’esempio delle industrie farmaceutiche, perché una mozione che gli era stata posta è che allora tutto può essere creativo, allargando troppo la prospettiva si rischia di svalutare tutto. Newbigin però dice che loro (la Task Force) hanno in mente solo un certo tipo di creatività, per cui il vero valore di un prodotto è nel concetto, è immateriale. Definizione di industrie creative nel “Creative Industries Mapping Document” (prodotto principale della Task Force, è una mappatura delle industrie creative): Il concetto di industrie creative fa riferimento a «quelle attività che hanno origine nella creatività, nell'abilità e nel talento individuali e che hanno un potenziale di creazione di ricchezza e di posti di lavoro attraverso la creazione e lo sfruttamento della proprietà intellettuale». È una definizione che ha avuto un grandissimo successo, ancora oggi si fa riferimento a questa. Gli elementi da tenere presente sono creatività, abilità e talento individuali, quindi c’è una visione individualistica di questi settori (idea del genio creativo, individuale) e c’è un passaggio in più: questo lavoro deve avere un potenziale di creazione di ricchezza e di posti di lavoro, quindi il lavoro creativo diventa proprietà intellettuale, c’è un passaggio giuridico). Il riferimento ai posti di lavoro è interessante e non scontato, perché il documento deve influenzare la politica del governo in maniera culturale, sono settori strategici nei quali il governo dovrebbe investire, non solo in virtù del loro valore artistico e culturale ma soprattutto economico. Quali sono quindi questi settori? La Task Force ne individua 13: 1. Pubblicità 2. Architettura 3. Arte e antiquariato 4. Artigianato 5. Design 6. Moda 7. Cinema 8. Software interattivi per il tempo libero (videogiochi) 9. Musica 10. Spettacoli dal vivo 11. Editoria e stampa 12. Software ad uso professionale 13. Televisione e radio Questi settori sono stati segmentati attraverso l’omogeneità e la comparabilità degli input (e non degli output): ciò che li accomuna non è l’output, quindi il prodotto (es. software come ppt o Excel, non hanno niente in comune con un edificio o una pièce teatrale), ma l’input, bisogna chiedersi “cosa contribuisce alla creazione di un prodotto, cosa entra nella produzione che fa sì che non siano tutti diversi?” L’elemento 5 creativo, il talento e l’abilità individuale. Questa segmentazione non è scontata, le industrie creative sono state perimetrate in vari modi e il modo in cui vengono segmentate va ad influenzare il modo in cui le politiche, i governi e le autorità vanno a sostenere le attività collegate a questi settori. Caratteri distintivi che accomunano i settori delle industrie creative:  Il loro output è frutto dell’intuizione e del talento (ossia della creatività) individuale  «verifica culturale»  Il loro output può essere commercializzato attraverso lo sfruttamento della proprietà intellettuale  «verifica funzionale», qualcuno ci deve poter fare qualcosa  La commercializzazione dei loro output può generare ricchezza e opportunità di impiego anche al di là dei soggetti che ne detengono la proprietà intellettuale  Il potenziale commerciale dell’output risiede nel loro valore espressivo-culturale, dunque immateriale, piuttosto che materiale, es. ciò che mi interessa di un film non è il supporto su cui è stato girato ma il contenuto immateriale Che cosa si intende per valore espressivo - culturale dei prodotti delle industrie creative? Noi lo scomponiamo in queste 6 sottocategorie, ma nella realtà un singolo prodotto ne può presentare diversi (in David Thorsby, Economia e Cultura, da integrare con la lettura da Blackboard): 1. Valore estetico: il prodotto ha proprietà come la bellezza, l’armonia e la piacevolezza della forma  nell’ambito del design, la sedia Vertex: ha un chiaro valore funzionale che deve assolvere, ma per fare ciò basta avere un piano orizzontale e delle assi verticali. In questo caso, però, abbiamo anche un’elaborazione estetica. Nell’ambito dell’arte dell’antiquariato le opere d’arte, come “L’Annunciata” di Antonello Da Messina 2. Valore spirituale: in senso religioso o anche lato, indica la capacità del prodotto di suscitare conoscenza e illuminazione  nell’architettura la Chiesa di San Giovanni Battista a Mogno. L’architettura è l’arte più funzionale di tutte ma qui attirano la spiritualità diversi elementi: il fatto che sia bicroma, il grande lucernario ecc… tutti gli elementi presenti vogliono favorire il raccoglimento, la meditazione, la preghiera 3. Valore sociale: contribuisce a far comprendere il contesto sociale nel quale si vive, le identità e i legami all’interno della comunità  negli spettacoli dal vivo (qualcosa che purtroppo si è perso molto durante la pandemia) e nel cinema, vedi il filone storico del neorealismo e pellicole come “Roma città aperta” di Rossellini, con l’obiettivo di riflettere e rappresentare uno spaccato della società italiana che stava uscendo dalla guerra, dunque volontà di rappresentare il reale 4. Valore storico: il prodotto riflette le condizioni e il periodo storico nel quale è stato creato, quindi crea delle connessioni tra passato e presente, può suggerire informazioni sul periodo da cui proviene  televisione e radio: un esempio sono gli archivi RAI, valorizzati al giorno d’oggi da programmi come “Techetechete”, che ci raccontano un’epoca passata. 5. Valore simbolico: è connesso al significato che il fruitore trae dal prodotto  la pubblicità ha tendenzialmente sempre una portata di valore simbolico, soprattutto quella a “stampa”, che in un’unica statica fotografia deve comunicare tantissimi significati (come la pubblicità di H&M con le modelle curvy che non aderiscono ai canoni di linea tradizionali). 6 6. Valore di autenticità: è il valore che risiede nel fatto che il prodotto sia realmente ciò che afferma di essere  paradigmatico il caso della moda e l’incidenza nel mercato del falso per i prodotti Made In Italy Tutti i prodotti di questi settori sono particolarmente eterogenei, ciò che li accomuna è il messaggio nel senso del contenuto immateriale. Cosa succede però quando prendiamo dei prodotti il cui valore è di tipo immateriale e dobbiamo commercializzarli? Quando il bene diventa economico, inserito in un mercato? Ci sono principalmente tre categorie di beni e servizi economici:  Beni e servizi pubblici:  Sono caratterizzati dalla non rivalità: il loro consumo non ne preclude il consumo da parte di qualcun altro, non c’è rivalità per il consumo del medesimo bene  Sono beni non escludibili, pertanto nessun individuo può essere escluso dal consumo di quel bene o servizio (chiaramente entro limiti ragionevoli e della legalità)  Beni e servizi privati:  Sono beni rivali, quindi il consumo da parte di una persona impedisce a un’altra persona di consumare quel medesimo bene  Sono beni escludibili: il proprietario può attivare dei meccanismi per escludere alcune persone e alcune categorie di persone  Beni e servizi misti:  Condividono alcune caratteristiche con i beni pubblici e altre con i beni privati  Ci sono beni rivali e non escludibili  Ci sono beni non rivali ed escludibili In questa tripartizione, dove si collocano quindi le industrie creative? Se le consideriamo come un unico macro – settore rientrano nella categoria dei beni e servizi misti:  Il valore culturale / immateriale rende i beni non rivali: uno stesso film / canzone / libro può essere consumato da più persone, anche contemporaneamente, senza che il suo valore si esaurisca  Il valore materiale / funzionale rende i beni escludibili: l’accesso al consumo del bene può essere limitato a coloro che pagano un biglietto / abbonamento / tassa (es. sale cinematografiche, musei, concerti, Pay TV, canone ecc…)  Inoltre, all’interno del macro-settore delle industrie creative troviamo sia sotto-settori che rientrano pienamente nella tipologia dei beni privati (es. moda) sia sotto-settori che rientrano in quella dei beni pubblici (es. architettura) Le industrie creative rientrano pertanto in quella che viene definita come un’economia mista, che si riferisce ad un sistema economico che presenta al contempo:  Elementi tipici dell’economia capitalista, quali: libero mercato, proprietà privata delle imprese, regime di concorrenza (es. casa di produzione cinematografica)  Elementi tipici dell’economia socialista, quali: pianificazione produttiva, proprietà pubblica delle imprese, situazioni di monopolio (es. sussidi statali erogati a beneficio dei giornali, quindi intervento pubblico in un contesto di mercato non interamente capitalista dove lo Stato altrimenti non esisterebbe) 7 La definizione dell’UE del 2018 è molto simile quella del DCMS UK del 1998: “Il concetto di industrie creative fa riferimento a quelle attività che hanno origine nella creatività, nell'abilità e nel talento individuali e che hanno un potenziale di creazione di ricchezza e di posti di lavoro attraverso la creazione e lo sfruttamento della proprietà intellettuale”. In entrambe si insiste sulla creazione di posti di lavoro e sulla proprietà intellettuale, anche i termini utilizzati sono gli stessi (evidenziati in grassetto). L’UK però insisteva di più sull’individualità, mentre la Commissione Europa riconosce anche delle espressioni collettive di creatività. Inoltre questi settori comprendono sia quelli direttamente coinvolti nello sviluppo e produzioni di prodotti culturali ma anche altri che ne prevedono la diffusione, la gestione, la conservazione ecc… Quali sono dunque le differenze e le analogie fra le industrie creative del governo britannico (DCMS, 1998) e le industrie culturali e creative dell’UE (Europa Creativa, 2018)?  Cinque settori rimangono sostanzialmente invariati: architettura; artigianato (artistico); musica; spettacolo dal vivo; editoria  Emergono due nuovi settori risultanti dall’accorpamento di altri: Design (che comprende Moda) e Audiovisivi (che comprende cinema, TV, videogiochi e contenuti multimediali)  Due settori sono frutto della separazione di settori precedentemente accorpati: Radio (precedentemente insieme a TV); e Arti visive (precedentemente con Artigianato)  Ci sono infine cinque settori nuovi o frutto di ridefinizione di settori precedenti: Archivi (l’unico settore che era effettivamente assente); Biblioteche e musei; Patrimonio culturale materiale e immateriale; Festival; Letteratura La divisione in sezioni elaborata da Europa Creativa e ripartizione del budget: 1. Sezione cultura: architettura, patrimonio culturale, design, letteratura e editoria, musica, arti dello spettacolo  sezione potenzialmente più larga ricomprendendo diversi sotto-settori, ma in realtà riceve solo una piccola parte dei fondi di Europa Creativa, elargiti per la maggior parte agli audiovisivi a causa di svariate motivazioni (la precedentemente citata sussidiarietà: per questi settori esistono già degli incentivi a livello statale. Il settore mediale è poi a livello europeo quello con la tradizione più lunga di sostegno pubblico, già dagli anni ’70)  8.6% del budget 10 2. Sezione media: comprende le attività a sostegno del settore degli audiovisivi  58 % del budget 3. Sezione transettoriale: comprende le attività volte e promuovere le collaborazioni fra diversi settori culturali e creativi  33% del budget Abbiamo visto l’esempio dell’Unione Europea, adesso passiamo al livello nazionale con degli esempi su come l’Italia gestisce la categorizzazione delle industrie culturali e creative da un punto di vista di politiche pubbliche di sostegno e gestione. Anche il governo italiano adotta una classificazione basata sulla differenziazione ma compresenza di industrie culturali e creative e adotta un’organizzazione che si ispira al modello dei cerchi concentrici. C’è un elemento di novità che si ritrova in questa lista, c’è una distinzione anche temporale tra i settori: da una parte si parla di patrimonio (legato al passato, che già esiste), dall’altra di creatività contemporanea (prodotti creativi che sfuggono alle altre categorizzazioni, non sono ancora patrimonio ma vengo realizzati nel presente). Un altro aspetto da sottolineare è come di tutti questi settori, 9 fanno capo ad un unico ministero, quello della cultura (i settori dall’1 al 9), solo il turismo è escluso. All’interno del ministero della cultura ci sono poi delle sotto unità che si occupano di ciascun settore (prendono il nome di direzione generale), es. direzione generale cinema / direzione generale spettacolo ecc… Il settore del turismo fino all’anno scorso (2021) era compreso nel ministero della cultura, che si chiamava ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo. Dal 2021 invece il governo Draghi decide di scorporare questi due macro settori (turismo e cultura) e di creare il ministero della cultura (MIC) e di separarlo dal ministero del turismo. Vediamo più nel dettaglio quali sono queste unità all’interno del ministero della cultura: 1. Direzione generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio: si occupa degli scavi e della tutela del patrimonio archeologico e della tutela del patrimonio storico, artistico, architettonico e paesaggistico. Gestisce il complesso monumentale nazionale  patrimonio artistico culturale in senso tradizionale 2. Direzione generale cinema e audiovisivo: sostiene la creazione, produzione, distribuzione e diffusione delle opere cinematografiche e audiovisive e dei settori industriali collegati, incluso l’esercizio e le industrie tecniche  facciamo qui un salto nel presente 11 3. Direzione Generale Spettacolo: sostiene le attività legate alle arti performative, di  spettacolo dal vivo con riferimento alla musica, alla danza, al teatro, ai circhi, allo spettacolo viaggiante ed ai festival teatrali e di promozione delle diversità delle espressioni culturali  rientrano delle competenze e delle attività culturali molto ampie, dal balletto, opera e teatro al circo e allo spettacolo viaggiante 4. Direzione generale Biblioteche e diritto d’autore: si occupa di gestire il sistema delle biblioteche pubbliche nazionali, di gestire e tutelare il patrimonio bibliografico e di vigilare sulla Società Italiana Autori ed Editori sul tema del diritto d’autore  da una parte abbiamo la responsabilità per il patrimonio bibliografico e la rete di biblioteche nazionali, dall’altra la vigilanza sulla SIAE (società pubblica che si occupa di gestire e remunerare il diritto d’autore) 5. Direzione generale Educazione, ricerca e istituti culturali: promuove, gestisce e valuta programmi di formazione per i professionisti e per il pubblico nei settori di competenza del MIC, anche in collaborazione con enti e università italiane e straniere  non abbiamo a che fare direttamente con la produzione di creazioni artistiche o culturali ma con la formazione sul tema della cultura e della creatività 6. Direzione Generale Sicurezza del Patrimonio Culturale: si occupa di garantire la sicurezza del patrimonio culturale mobile e immobile e di coordinare gli interventi di messa in sicurezza a seguito di eventi emergenziali  garantisce la scurezza fisica del patrimonio culturale, es. in presenza di un terremoto 7. Direzione generale Creatività contemporanea: si occupa di sostenere e promuovere l’arte e l’architettura contemporanee, incluse fotografia e la video-arte, le arti applicate, inclusi il design e la moda, e la qualità architettonica e urbanistica  non siamo più nel discorso del patrimonio storico ma della contemporaneità, anche qui c’è una grande diversità di output creativi e culturali 8. Direzione generale Archivi: si occupa di tutela e conservazione del patrimonio archivistico statale e degli archivi privati riconosciuti di interesse storico importante  garantisce la protezione ma anche l’accessibilità agli archivi, sono entrambi fondamentali, se queste risorse rimangono chiuse ma non accessibili al pubblico se ne perde una grande parte del valore 9. Direzione generale musei: coordina le politiche di gestione, fruizione e comunicazione dei musei statali per garantirne lo sviluppo e l’accessibilità 10. Ministero del Turismo: cura la programmazione, il coordinamento e la promozione delle politiche del turismo nazionali, in rapporto con le Regioni e con gli Enti locali, in collaborazione con il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, con le Istituzioni Europee e con gli Organismi sovranazionali, nonché con le Associazioni di categoria e le imprese. Il Ministero è stato istituito tramite il decreto legge n. 22 del 1° marzo 2021  non abbiamo a che fare con un settore di produzione culturale diretta, tant’è che nei cerchi concentrici il turismo si trovava nella fascia più esterna, ma è spesso motivato da ragioni cultuali, es. viaggiamo per vedere le città d’arte, dei monumenti ecc… Quindi l’industria turistica è un’industria anche a sostegno di quella culturale Concludiamo l’analisi economica delle industrie culturali e creative introducendo 4 concetti importanti che riguardano il mercato dei prodotti culturali e creativi. Sono delle caratteristiche critiche perché introducono delle criticità nel mercato con le quali gli operatori del settore e gli addetti al marketing si devono 12 In questa illustrazione c’è un grafico che ci mostra l’evoluzione dei costi di produzione cinematografica delle major hollywoodiane dal 2001 e il 2007. La parte rossa indica i costi di produzione del prototipo: il costo medio di produzione di un film è passato da 47 milioni di $ a 70 milioni (solo nel giro di 6 anni). Anche i costi di marketing tendono a crescere ma in maniera meno importante. Purtroppo dal 2007 questi dati non sono stati più pubblicati perché complessi da ottenere e monitorare. 3. I BENI-ESPERIENZA: Una caratteristica tipica dei beni il cui valore principale per il consumatore è di tipo immateriale – come i prodotti delle industrie culturali e mediali – è che essi sono beni - esperienza. Il valore di questi prodotti è percepibile e apprezzabile solo dopo che il consumatore ha potuto conoscerne il contenuto, ossia dopo che ne ha fatto esperienza. Per arrivare a decidere di fare esperienza di un prodotto (libro, film, album musicale, ecc.) il consumatore deve fare un investimento di denaro, tempo, attenzione, energia, e solo dopo averlo fatto il consumatore sa se tale investimento è stato ripagato  non è la stessa cosa se pensiamo ad altri prodotti, come un’automobile: il suo valore e prezzo di mercato denota tutta una serie di caratteristiche meccaniche, di design ecc… che sottintendono determinate qualità del prodotto, quindi sulla base del prezzo sappiamo cosa aspettarci, sappiamo qual è il suo valore. Stessa cosa per un gioiello, il prezzo ci fa capire il valore del diamante incastonato ancora prima di comprarlo, non dobbiamo indossarlo per capirlo. Il prezzo per andare al cinema è lo stesso, indipendentemente dal film che andiamo a vedere, quindi non possiamo sapere se ci piacerà. Questa caratteristica è legata anche all’imprevedibilità della produzione culturale e mediale, proprio perché è solo l’esperienza finale di consumo che può determinare il successo o insuccesso di un prodotto. Ci sono dei modi per indirizzare il consumatore potenziale a fare esperienza di quel prodotto e quindi a decidere di investirci, tutto l’aspetto visivo del marketing è legato a questo. Es. locandina di Freaks out: elemento di distopia, mostruosità, colori accesi ecc… + “dal regista di…”, si rivolge ai consumatori che hanno fatto esperienza di Lo chiamavano Jeeg Robot e che l’hanno apprezzata, si fa appello alle potenziali esperienze positive dei consumatori per invogliarli a ripeterle 4. IL MERCATO DEI BEST-SELLER: Il mercato dei prodotti culturali e mediali segue un modello economico e commerciale, comune a diversi altri ambiti, noto come «legge dell’80/20» o «legge di Pareto». Pareto (economista italiano) descrive per la prima volta la legge in riferimento al fatto che l’80% delle terre italiane (possedimenti terrieri) erano possedute dal 20% della popolazione (la percentuale non è fissa, può essere anche 70 – 30 ecc…). La legge descrive una distribuzione statistica (approssimativa) che ha poi trovato applicazione in molti altri settori. Nel nostro caso si riferisce al fatto che, nel settore culturale e mediale, l’80% dei ricavi sono generati dal 20% dei prodotti. Quel 20% prodotti in grado di generare l’80% 15 dei ricavi è costituito dai prodotti best seller. I ricavi generati dai best seller permettono all’azienda che li produce di coprire anche i costi degli altri prodotti (la maggioranza) che non hanno ottenuto sufficiente successo economico. Questa legge domina il mercato culturale e dell’intrattenimento da sempre, es. se andiamo in una libreria ci sarà lo scaffale dei bestseller, stessa cosa se andiamo su Amazon, è una categoria usata anche dal punto di vista di marketing. All’inizio degli 2000, con l’inizio della digitalizzazione di massa, viene introdotto un modello economico che cerca di ribaltare il modello di Pareto, la “Teoria della coda lunga”: Anderson ne parla per la prima volta in un articolo su Wired nel 2004, diventa poi anche un libro (2006) grazie al successo ottenuto. L’idea alla basa di questa teoria è che il futuro del mercato dell’intrattenimento non risiederà più nei bestseller (lui li chiama heats), quindi in quel 20% che descriveva Pareto, ma nell’80% dei prodotti che sono sul mercato che non sono attrattivi per dei consumatori di massa, ma sono più di nicchia. Cumulativamente però, anche se ciascuno di loro genera ricavi più bassi, possono eguagliare o superare i ricavi generati dai prodotti heats. Quindi Anderson insiste sull’idea della coda lunga, vuole rivalutare il valore economico di quei prodotti che vendono meno ma che essendo di più garantiscono delle entrate per i produttori e per i detentori di diritti. Es. libro tratto da una storia vera di un incidente in montagna, ha un discreto successo e permette la riscoperta di un libro che era già stato scritto su quella vicenda che inizialmente non aveva avuto grande successo. Il libro viene riscoperto e finisce per avere ancora più successo dell’altro. ≠ Secondo Anderson, il mercato dei best seller (Pareto) è legato all’epoca pre – digitale, caratterizzata da:  Scarsità: di risorse e spazio fisico per distribuire, immagazzinare ed esporre i prodotti. Questo vale sia per i prodotti di intrattenimento distribuiti su supporto fisico (DVD, libri, giornali, ecc…), sia per i prodotti diffusi attraverso lo spettro delle frequenze analogiche (programmi televisivi e radiofonici)  intorno al 2012 l’Italia, con un certo ritardo, avvia lo switch off, cioè il passaggio dalla televisione analogica terrestre alla televisione digitale terrestre: cambia il sistema delle frequenze e in un medesimo spettro possono essere ospitati molti più canali, che si sono moltiplicati (oggi abbiamo accesso a centinaia di canali, sembra scontato ma non è sempre stato così). Quando un broadcaster (es. RAI) aveva a disposizione solo 3 canali per trasmettere il proprio palinsesto, dovevano tenere conto di avere uno spazio limitato, quindi valeva il discorso dell’80 - 20, era difficile raggiungere le nicchie dei consumatori, prevaleva la tv generalista. Poi ovviamente c’erano delle differenziazioni tra i canali: Rai 1 era il canale generalista per eccellenza, Rai 2 più per i giovani e Rai 3 più incentrato sui contenuti culturali. “La scarsità esige gli hit visto che sugli scaffali espositivi e nell’etere lo spazio è limitato, e quindi la cosa più ragionevole è colmarlo con i titoli che vendono meglio. Se non c’è nient’altro disponibile, la gente li comprerà. [….] Un normale negozio di dischi deve vendere almeno quattro copie di uno stesso CD all’anno perché valga la pena trattare quell’articolo; corrisponde all’affitto di un centimetro di scaffale. E via dicendo, per videoteche, negozi di videogiochi, librerie ed edicole di giornali.” 16  Localizzazione: il mercato fisico e analogico è localizzato, ossia il bacino di potenziali consumatori è limitato alle sole persone che vivono nell’area geografica dove si trova il rivenditore, o dove sono ricevibili le frequenze analogiche terrestri o via cavo  oggi questa forte restrizione geografica non c’è più, grazxie alla tecnologia digitale e a internet possiamo vedere anche canali francesi, americani ecc… Con le piattaforme digitali non siamo più vincolati alla disponibilità di un libro nella libreria sotto casa, con i rivenditori online abbiamo a disposizione dei magazzini infinitamente più estesi. “[I] venditori tratteranno solo gli articoli in grado di generare sufficiente domanda da autosostentarsi. Comunque, ognuno di loro può contare solo su una limitata popolazione locale – magari un raggio di dieci miglia per un cinema, meno per librerie e negozi di dischi, e meno ancora (giusto un miglio o due) per i videonoleggi. Per un documentario non basta avere un pubblico potenziale di mezzo milione di spettatori; quel che conta è quanto pubblico può avere nella parte settentrionale di Rockville, Maryland, o tra i frequentatori dei centri commerciali di Walnut Creek, California.” Secondo Anderson, con la diffusione della distribuzione digitale di contenuti, il mercato dei prodotti di intrattenimento si frammenta in nicchie ed entra in un’epoca non più caratterizzata scarsità e localizzazione ma da:  Abbondanza: la tecnologia digitale consente alle aziende di inserire nel proprio catalogo e vendere un numero virtualmente illimitato di prodotti e titoli, tra cui il consumatore può scegliere e può avere accesso via internet  Accesso illimitato: gli e-store e le altre aziende che distribuiscono prodotti online sono accessibili in tutte le aree del paese, anche al di fuori delle zone urbane, allargando così molto significativamente il bacino di potenziali clienti e consumatori. “Per necessità, l’economia di vendita tradizionale, fondata sugli hit, limita la scelta. Se potete diminuire radicalmente i costi di collegamento tra domanda e offerta, ciò si ripercuote non solo sui numeri, ma su tutta la natura del mercato. Si tratta di un cambiamento non solo quantitativo, ma anche qualitativo. Rendere disponibili le nicchie rivela la domanda latente di contenuti non commerciali. Poi, mentre la domanda si sposta verso le nicchie, la capacità di rifornire quelle nicchie e crearne di nuove migliora ulteriormente, dando vita a un feedback positivo che trasformerà intere industrie, e la cultura, negli anni a venire”  Questo nuovo sistema basato sull’abbondanza e sull’accesso illimitato consente l’emersione di comunità di consumatori che prima rimanevano nascoste, perché non c’era un’offerta così sistematica che andasse incontro ai loro gusti, perché bisognava dare spazio a dei prodotti generalisti, che potessero piacere a un bacino molto ampio e diversificato di consumatori. Il passaggio più evidente dal mercato dei best seller a quello delle nicchie è dato da Amazon, il cui catalogo è enorme, es. se cerco un libro giallo con la parola “morte” nel titolo mi escono più di 8.000 risultati: ci siamo abituati così in fretta a questo cambiamento che ci sembra scontato, ma non lo è assolutamente, in una libreria fisica il numero di prodotti disponibili è nettamente inferiore. C’è un tono abbastanza entusiastico, un po’ ai limiti dell’utopia, nel modo in cui Anderson descrive il presente e il futuro del mercato dello show business dei prodotti mediali. Anderson aveva sicuramente previsto questo passaggio forte alla personalizzazione e all’individualizzazione dei consumi che la tecnologia digitale ha reso possibile. Mettiamoci nei panni di una casa di produzione cinematografica e non del consumatore: investiremmo seguendo il principio della coda lunga (produrre più titoli con dei budget ridotti)? Un conto è il lavoro del rivenditore, di un intermediario, un conto è il lavoro di chi deve prendere delle decisioni creative e strategiche per definire il proprio catalogo, perché il rischio del produttore è decisamente superiore rispetto a quello del distributore, che ha una maggiore scelta (es. se il prodotto non vende può 17 approccio che non va a modificare il prodotto sulla base dei desideri del consumatore, ma parte dal prodotto come oggetto più importante  Marketing guidato dal cliente (customer-led marketing): mette al centro del processo produttivo e di marketing le esigenze e le preferenze di chi acquista il prodotto, è basato principalmente sull’analisi di mercato e sulla pianificazione e il target è costituito da segmenti del mercato identificabili e distinti in base a specifiche categorie socio-demografiche  si vuole conoscere molto bene il pubblico per andare incontro ai loro desideri, interessi, esigenze ecc… Quindi l’analisi di mercato e la pianificazione sono delle attività che consentono di conoscere meglio il proprio potenziale consumatore e di pianificare l’attività di marketing. Proviamo a tradurre questi 2 approcci nell’ambito delle industrie culturali e creative:  Nel caso delle industrie culturali e creative un approccio di marketing basato sul prodotto mette al centro dell’attività produttiva e di marketing l’integrità del prodotto culturale/creativo e la volontà dell’artista / creativo che lo ha realizzato («art for art’s sake»)  si vuole tutelare la volontà di chi crea il prodotto anche al di là dei desideri del mercato. Questo approccio è abbastanza tradizionale nelle istituzioni culturali e artistiche, in virtù della difficile sostenibilità economica si appoggiano a finanziamenti pubblici per la propria sopravvivenza.  Nel caso delle industrie culturali e creative un approccio di marketing basato sul cliente va incontro alle preferenze dei consumatori, già a partire dalla fase di ideazione del prodotto («il cliente ha sempre ragione») Qual è quindi la soluzione? È un approccio che combini alcune caratteristiche di entrambi gli approcci. Questa combinazione la si trova nel marketing esperienziale. Il marketing esperienziale (o customer- oriented, perché tiene conto dell’esperienza del cliente ma non basa tutta la sua strategia sulle sue esigenze a priori) è un approccio di marketing che negli ultimi anni è diventato predominante nelle industrie culturali e creative (e non solo). Tale approccio supera la dicotomia fra prodotto e cliente per concentrarsi sul momento in cui questi si incontrano: l’esperienza di consumo  non ci si focalizza più solo sul prodotto o sul cliente ma sul loro momento di interazione. 20 Questa teoria è stata ideata da Schmitt, professore della Columbia: “Il marketing esperienziale si differenzia dal marketing tradizionale basato su attributi e benefici (features and benefits, il marketing tradizionale insisteva molto sulle caratteristiche proprie del prodotto che lo rendevano migliore rispetto a quelli dei concorrenti), per quattro aspetti principali: l’esperienza del cliente, il consumo come esperienza olistica, i clienti come animali razionali ed emozionali, l’eclettismo di metodi e strumenti”: 1. L’esperienza del cliente: le esperienze si verificano in seguito all’affrontare, al subire o al superare situazioni. Le esperienze derivano da stimolazioni indotte ai sensi, al cuore e alla mente. Esse, inoltre, uniscono l’azienda e la marca allo stile di vita del cliente e collocano sia le azioni del singolo che l’occasione di acquisto in un contesto sociale più ampio. Le esperienze forniscono valori sensoriali, emotivi, cognitivi, comportamentali e relazionali che sostituiscono quelli funzionali  l’idea di esperienza è quella del momento in cui il prodotto e il cliente si incontrano in una situazione inserita in un determinato contesto socio-culturale, che deve essere considerato dagli esperti di marketing 2. Il consumo come esperienza olistica: il marketing esperienziale si basa sull’idea che i consumatori vedano negli oggetti di consumo e nell’atto del consumo l’espressione di valori socio-culturali strettamente collegati alla propria identità individuale e al proprio posizionamento all’interno della società. In base a questa idea, il consumo fornisce alla persona significati simbolici e gratificazioni che vanno al di là del valore funzionale del prodotto e che hanno a che fare con la sua vita a 360 gradi 3. I clienti come animali razionali ed emozionali: per chi adotta il marketing esperienziale, i clienti prendono decisioni e adottano comportamenti di consumo che non sono mossi unicamente (e spesso nemmeno principalmente) da scelte di natura razionale - funzionale. Il consumo è invece motivato (anche, in certi casi soprattutto) dal raggiungimento di fantasie, sentimenti e divertimento. Pertanto, per spingere un potenziale cliente al consumo occorre intrattenerlo, sollecitarlo, coinvolgerlo emotivamente e stimolarlo a livello creativo 4. L’eclettismo di metodi e strumenti: il marketing esperienziale non applica una metodologia unica, ma è aperto ad una pluralità di metodi e strumenti, che possono di volta in volta essere applicati e valutati in base alle esigenze dell’azienda e agli obiettivi strategici. Questi metodi possono comprendere:  Metodi quantitativi: questionari, analisi di mercato, e tecniche di neuromarketing (es. eye tracking, come si muove lo sguardo del consumatore in un negozio o su un sito)  Metodi qualitativi: quali focus group e interviste in profondità Secondo l’approccio del marketing esperienziale, le esperienze di una persona sono di cinque tipi principali: 21 1. Esperienze sensoriali 2. Esperienze emotive 3. Esperienze razionali 4. Esperienze comportamentali 5. Esperienze relazionali Ciascuna di queste tipologie di esperienza è caratterizzata dall’attivazione di specifici processi neurobiologici e psicologici. Un medesimo stimolo può generare diversi tipi di esperienze allo stesso tempo (le esperienze possono avvenire contemporaneamente, es. possiamo essere stimolati da un punto di visto emotivo e sensoriale contemporaneamente). Secondo il marketing esperienziale, a queste tipologie di esperienze corrispondono altrettanti Moduli Strategici Esperienziali (SEM – Strategic Experiential Module) che l’azienda / brand può mettere in atto per perseguire i propri obiettivi strategici specifici: 1. Il marketing del SENSE mira ad attivare nel consumatore un’esperienza sensoriale, basata cioè su stimoli visivi, sonori, tattili, gustativi e/o olfattivi  es. Algida (Magnum) gli spot non ci permettono di toccare o sentire il profumo del prodotto, ma le immagini cercano di trasferirci la croccantezza del cioccolato; es. Lindt: morbidezza e scioglievolezza del cioccolato 2. Il marketing del FEEL si rivolge ai sentimenti dei consumatori cercando di coinvolgerli in esperienze che, a seconda del prodotto e degli obiettivi dell’azienda, possono essere poco coinvolgenti (ma comunque positive) a molto coinvolgenti (e molto positive)  es. Scavolini, è una comunicazione emotiva che si riferisce all’esperienza della pandemia; Fanta: non ci parla del prodotto, ci vuole trasmettere una sensazione di gioia e felicità 3. Il marketing del THINK fa appello alla parte razionale del consumatore, coinvolgendolo in esperienze cognitive e di problem-solving che ne stimolino l’intelligenza e la creatività  spesso usata nella pubblicità comparativa, es. Tre, cita i principali competitor Tim e Vodafone dimostrando che il suo è l’abbonamento più vantaggioso, fa appello alla parte razionale del consumatore; es. Eurospin, è un discount, si dice ai consumatori che fare la spesa lì è intelligente, perché i prodotti costano di meno 4. Il marketing dell’ACT invita i consumatori all’azione, proponendo esperienze che li coinvolgano a livello fisico e comportamentale  es. Nike, Just do it: appello all’azione, a fare sempre di più di quanto riusciamo a fare 5. Il marketing del RELATE incorpora elementi delle tipologie precedenti ma declinandoli in chiave inter-personale più che individuale, mettendo così il consumatore in relazione con altri individui o comunità di individui  es. Nike: c’è sempre un elemento di call to action ma declinata in modo più relazionale, c’è l’appello alla comunità femminile e alla lotta contro le discriminazioni 22 1. È uno spazio molto grande, è nato nel 1950 per la conservazione dei cereali, ora è uno spazio per la conservazione delle collezioni di Armani (per celebrare i 40 anni del marchio, è stato inaugurato nel 2015) 2. Moda 3. È un’esperienza di consumo culturale 4. Tutto il silos è pieno di riferimenti al brand 5. Feel (è un’esperienza coinvolgente) e sense (materiali dei vestiti). Non c’è il relate, è un percorso che prevede il rapporto solo tra l’esposizione e lo spettatore, ci si isola davanti ai manichini Eataly 1. È un negozio che propone prodotti alimentari e bevande artigianali e di alta qualità 2. Turismo, Eataly nasce come vetrina commerciale della vetrina Slow Food, l’idea è di fare un viaggio nelle culture e tradizioni regionali 3. Acquisto e consumo di prodotti (nei ristoranti)  è costruito come un villaggio, dove tutto è autentico 4. Il logo viene proposto in diverse sezioni, i colori dominanti sono il bianco e il legno 5. Sense, think (tanti cartelloni che ti spiegano le caratteristiche del prodotto, collegamento con Slow Food: si invita ad un consumo che sollecita l’aspetto cognitivo e razionale), act (viaggi, scopri e gusta), relate (propone dei corsi e delle degustazioni, creano un senso di comunità), feel (ti fa sentire a casa) Chiara Ferragni Store 1. Negozio con i prodotti di Chiara Ferragni 2. Moda 3. Il negozio è molto piccolo (nasce più per la voglia di dare legittimità e prestigio al marchio, le vendite principali sono online), hanno cercato di ampliare lo spazio creando un effetto cielo sulle pareti (carta da parati). L’esposizione è abbastanza artistica (es. divisi per colore e non per funzionalità). L’azione è incentivata sullo shopping 4. Il brand è richiamato ovunque, così come gli hashtag e i social media 5. Il sense è il più presente, feel, act (la presenza delle commesse ti invoglia a provare i capi ecc…), il relate non è molto presente (solo un senso di community preesistente di Chiara Ferragni) Supreme 1. Si tratta di uno dei quattordici store che il brand Supreme vanta in tutto il mondo. Supreme è un negozio di abbigliamento, accessori e skateboard. Il marchio, fondato a New York nel 1994, si rivolge in particolare alle culture di skateboard, hip hop e punk rock e, in generale, alla cultura giovanile. Gli skateboard prodotti da Supreme vengono spesso collezionati come opere d'arte moderna e contemporanea. Le scarpe, i vestiti e gli accessori vengono venduti con enorme successo sul mercato secondario, perché l'offerta è volutamente limitata e la domanda, proprio in virtù della cultura dell’hype costruita attorno alla scarsità, è alta. 2. Secondo la definizione dell’UE del 2018, all’interno del progetto “Europa Creativa” promosso e gestito dalla CE, il settore delle industrie culturali e creative a cui appartiene Supreme è il numero 7: Design (compreso il design della moda). L’appartenenza a questo settore risulta particolarmente significativa, visto lo stretto legame tra il brand di moda in questione e il mondo del design. 25 3. L’esperienza di consumo che questa destinazione promuove è un’esperienza unica. E non nel senso banale del termine. Infatti, al di là dei rivenditori autorizzati, come accennato sono solo quattordici al mondo i negozi che possono vantarsi di essere dei veri e propri store Supreme. A livello fisico, è solo in queste location che si possono acquistare le new release, ovvero i cosiddetti “drop” di prodotti che vengono venduti online una volta a settimana (il giovedì alle 11:00) in limitatissime quantità. Gli store rappresentano quindi l’unica occasione fisica per provare e acquistare abbigliamento e accessori esclusivi prima che giungano ai reseller, a prezzi almeno triplicati. Inoltre, si può ritenere che Supreme promuova un’esperienza di consumo unica, anche perché si propone al tempo stesso sia come negozio di abbigliamento e accessori in cui scegliere e provare capi, sia quale superamento di questa stessa definizione, configurandosi anche come una sorta di galleria d’arte in cui poter ammirare diverse opere. Come ogni store Supreme, infatti, anche quello di Milano contiene un’intera parete in cui è collocata una colorata installazione, ovvero una selezione di “skateboard d’artista”. Ma non solo. Nei 100 metri quadrati di spazio espositivo ci sono anche opere di artisti e designer vicini al marchio. 4. Come di solito accade negli store di streetwear, l’identità della marca viene comunicata con forza attraverso la pervasività del suo logo, ovvero la scritta “Supreme” in bianco e in font Futura Heavy Oblique su un rettangolo rosso. Si ritrova il marchio distintivo in molti oggetti sparsi per il negozio, come tappeti e scalette. Ancor prima che la presenza del logo, è il modo in cui è organizzato lo stesso negozio a rimandare all’universo del brand. Il fatto che i prodotti siano disposti intorno al perimetro del locale, lasciando un grande spazio vuoto centrale non è casuale: è la stessa organizzazione che presenta ogni store Supreme, pensata per permettere agli skater di entrarvi direttamente con lo skate. Gli altri elementi che collegano lo store al brand sono, senza dubbio, le già citate sculture che rimandano alla tendenza collaborativa di Supreme con grandi designer nella realizzazione delle sue collezioni e gli “skateboard d’artista” collocati al lato destro della parete centrale. Questi ultimi, ad ogni modo, non sono gli unici elementi che rimandano alla cultura dello skate e, in generale, a quella giovanile. Infatti, un ruolo importante è giocato dai video di allenamenti di skater che si susseguono sul grande monitor posto sulla parete centrale, dai murales e dalla musica di sottofondo che spazia dall’hip-hop al punk. 5. Se ad un primo sguardo si può pensare che il Modulo Strategico Esperienziale attivato sia quello del SENSE, per via delle stimolazioni visive e sonore, un’analisi più attenta svela che il Modulo Strategico Esperienziale portante sia quello del RELATE che incorpora elementi delle altre tipologie e li declina in chiave interpersonale. Tutti gli stimoli offerti dallo store, infatti, fanno appello al senso di comunità che il consumatore desidera provare, ovvero sentirsi parte di una cultura giovanile che spazia dallo skate all’hip hop passando per il punk e si riconosce in e da particolari codici estetici e stile di vita. Una cultura con precisi gusti musicali, artistici e di moda che lo store intreccia e riassume alla perfezione proprio come il marchio che rappresenta. Nella maggior parte dei casi, l’elemento di innovazione che caratterizza oggi le industrie creative (cfr. definizione della Commissione Europea) non risiede solo (talvolta neanche primariamente) nel prodotto o servizio in sé, quanto nei significati che i fruitori associano all’esperienza di consumo di quel prodotto o servizio. In altre parole, i prodotti delle industrie creative vengono percepiti come innovativi se e quando sono in grado di generare nuovi significati per chi li consuma  Il marketing esperienziale contribuisce alla creazione e alla trasmissione dei significati che l’azienda/organizzazione vuole che il consumatore associ al consumo del proprio prodotto / servizio Attraverso l’impiego dei SEM, il marketing esperienziale trasforma in esperienza tangibile i valori intangibili e i significati simbolici propri del marchio / organizzazione. Per fare questo, il marketing esperienziale fa 26 largo uso dei valori e dei significati simbolici esistenti nel contesto socio-culturale in cui il marchio / organizzazione opera  I media, in particolare audiovisivi, sono uno strumento potente ed efficace per rappresentare e trasmettere tali valori. Il marketing esperienziale viene teorizzato in un periodo in cui prevalgono le modalità fisiche di consumo: negozi, sale cinematografiche, musei e spazi espositivi, teatri, ecc… (anche nell’esercizio precedente tutti i luoghi da visitare erano fisici). La sfida principale che si trovano ad affrontare oggi i marketers è la trasposizione dei principi del marketing esperienziale alle esperienze di consumo digitale (perché oggi la gran parte dei consumi culturali avviene online). Quindi oggi ci concentriamo su questi 2 aspetti: 1. Uso e ruolo dei media audiovisivi in un contesto di marketing esperienziale 2. Netflix, azienda che fa del consumo digitale il suo core business NETFLIX Netflix in realtà nasce come un’azienda che opera in un settore analogico (home video = intrattenimento casalingo del cinema), ma che fin da subito ha introdotto l’aspetto digitale, si tratta della sua principale novità. Un po’ di storia:  Netflix, Inc. è stata fondata in California nel 1997 da Marc Randolph e Reed Hastings, che è anche l'attuale co-CEO  in origine Netflix operava come negozio online di noleggio di film in DVD  La principale innovazione portata da Netflix fin dai primi anni di attività risiedeva nel suo modello di business, che differiva da quello di Blockbuster, suo principale competitor, per tre aspetti principali: 1. Blockbuster offriva principalmente VHS (supporto fisico nato agli inizi degli anni ’80, è rimasto per Blockbuster il supporto dominante per molto tempo anche dopo l’entrata dei DVD), che il cliente poteva noleggiare (e restituire) esclusivamente in negozio, pagando ciascun titolo individualmente e con cospicue penali in caso di ritardo  modello di business fondato sui negozi fisici, molto diffusi (migliaia negli Stati Uniti e in tutto il mondo), ma erano l’unico touchpoint tra l’azienda e il consumatore, a volte scomodo 2. Netflix offriva film solo su DVD, che i clienti sceglievano e ordinavano senza doversi recare in un negozio fisico, ma attraverso il sito internet dell’azienda. La spedizione e la restituzione avvenivano per posta senza penali in caso di ritardo  quindi non c’era una presenza fisica sul territorio, inoltre lavorando con un supporto come il DVD (meno costoso del VHS) il ritardo nella consegna implicava meno costi per l’azienda, per questo non c’erano penali 3. Già dal 2001 Netflix è passata da un modello di business basato sulle singole transazioni (logica pay per view) a uno basato sugli abbonamenti (si avvicina al S-VOD che conosciamo oggi: il cliente pagava una fee mensile per poter noleggiare quanti titoli desiderava  commistione tra business basato su un prodotto analogico (DVD) e vendita online, c’era già un investimento strategico verso il consumo digitale. Il business di Netflix nasce già 27 Cosa sono i Netflix Originals? Sono delle etichette di marketing che l’azienda mette sui suoi contenuti per sottolinearne un valore aggiunto rispetto ai concorrenti (guadagno di Brand Identity). Gli Originals comprendono:  Full originals: serie / film completamente ideate, commissionate e prodotte da Netflix, es. The Crown House of Cards, Baby ecc…  Co-production / co-financing originals: serie di cui Netflix è co produttore, sono realizzate in collaborazione con altri broadcaster, es. Suburra (Netflix + Rai)  Continuation original: titoli preesistenti presso un altro player che a partire da una certa stagione vengono presi e continuati da Netflix per la sua piattaforma es. Skam Italia (Tim Vision), Black Mirror (Channel 4), La casa di Carta (Antenna 3)  Licensed originals: serie prodotte da soggetti terzi ma di cui Netflix detiene i diritti per la diffusione esclusiva in determinati territori (diversi da dove è stata creata e trasmessa), es. Peaky Blinders (fuori dal Regno Unito è distribuita da Netflix) Quindi Netflix etichetta tutti questi prodotti come Originals, ma c’è una bella differenza tra la sua partecipazione nella realizzazione di questi contenuti: è una strategia promozionale  in un mercato sempre più competitivo come quello delle OTT (over the top television), i contenuti originali sono quelli che consentono di sviluppare la brand identity e di attirare e trattenere i consumatori. Ora vediamo come questi contenuti originali vengono sviluppati per realizzare delle attività di marketing esperienziale. Evoluzione della visual identity di Netflix negli ultimi anni: la palette di colori è rimasta la stessa ma c’è stata una tendenza alla semplificazione grafica (nel 2016 il logo si è ridotto solo ad una N), che risponde anche alla crescente importanza delle applicazioni per smartphone (diventa più mobile friendly). L’identità di un marchio però non è costituita solo da elementi visivi, ma anche sonori, es. suono di Netflix quando comincia un episodio (Tudum), aumenta la brand awareness, associamo velocemente il suono e l’immagine (apertura prismatica del logo con effetto zoom e di avvicinamento allo spettatore) al brand. Netflix ha puntato molto su questo elemento di branding, lo possiamo capire dalla sua stessa attività di promozione, che gioca sempre su questo “tu dum”, su questo elemento sonoro  Tudum stories: pubblicità Netflix, quando sembra che la realtà si stia trasformando in una storia interessate i protagonisti dicono “tudum”. Si combinano gli elementi sensoriali con quelli emotivi (sense + feel), si crea un legame con l’identità del marchio e l’emotività del consumatore, che vede potenziali storie di Netflix dappertutto. 30 Ma Netflix ha investito anche nel think, attraverso il sito Tudum, che allarga l’esperienza di consumo di Netflix al di là del prodotto principale (piattaforma streaming). Tudum è un sito che mostra dei contenuti aggiuntivi riferiti ai Netflix originals, es. anteprime, contenuti tematici, interviste, contenuti in tendenza ecc… Tudum diventa anche un evento, lanciato per la prima volta a settembre 2021 e rilanciato anche a settembre di quest’anno  evento andato in onda live globalmente sul canale YouTube di Netflix (partnership tra due OTT) durato circa 3 ore, sono state lanciate le preview di molti contenuti originali con la partecipazione di alcune celebrità di questi stessi contenuti, es. Stranger Things, Bridgerton, Squid Game ecc… L’idea è di rivolgersi alle community di fan per sviluppare il senso di appartenenza e fedeltà tra utenti e prodotto ma anche tra gli utenti stessi, infatti Netflix ha promosso attraverso i suoi canali Social un watch party, i fan potevano guardare l’evento e commentarlo in diretta. Attivazione di tutti i Moduli Strategici Esperienziali:  SENSE: visual e audio-visual brand identity  FEEL: campagna Tudum stories (video YouTube)  THINK: sito Tudum  ACT: partecipazione a live-streaming evento Tudum  RELATE: watch party e condivisione con Netflix geeked (pagina social create per permettere ai fan di commentare e interagire) Leva strategica dei contenuti originali per il marketing di Netflix:  Uso degli ecosistemi narrativi per le attività di marketing esperienziale  Netflix originals: in particolare per le attività di co-marketing, glocalizzazione e celebrity endorsement La nozione di ‘ecosistema narrativo’ applica il concetto di ecosistema naturale, tipico delle scienze biologiche, alla descrizione e interpretazione della narrazione (in particolare seriale) contemporanea  ci aiuta a descrivere e interpretare il modo in ci la serialità contemporanea viene strutturata. Il modello della narrazione seriale contemporanea descritto dall’ecosistema narrativo è caratterizzato da grande complessità, e in particolare: 1. Gli ecosistemi narrativi sono sistemi aperti, ossia sono abitati da storie e personaggi che cambiano nel tempo e nello spazio, integrando elementi sempre nuovi 31 2. Gli ecosistemi narrativi sono strutture interconnesse, ossia mantengono una relazione dialogica fra tutte le proprie componenti, es. sequel, prequel, reboot, ecc…, contenuti che derivano da un contenuto originale 3. Gli ecosistemi narrativi tendono a raggiungere e mantenere un certo grado di equilibrio, ossia producono un universo duraturo e persistente che si protrae al di fuori dello spazio dello schermo e che lo spettatore sa riconoscere  pur trattandosi di un mondo fittizio creato per una narrazione finzionale, l’ecosistema creato ha un suo equilibrio dato dalla ricorrenza dei personaggi, di certe ambientazioni, relazioni ecc…, ne permette la riconoscibilità, l’immedesimazione e il piacere di consumo 4. Gli ecosistemi narrativi sono caratterizzati da elementi dichiarativi e non procedurali: la loro narrazione non segue uno schema predeterminato di funzioni, ma descrive ambienti, personaggi e relazioni che si offrono all’esplorazione dello spettatore  es. telefilm degli anni ’80 come La signora in giallo, è una serialità fortemente procedurale, ogni puntata ha una sua struttura verticale autoconclusiva che è sempre la stessa. Nella serialità complessa invece (es. Lost) l’elemento procedurale non c’è, i personaggi assumono delle funzioni che sono imprevedibili e che non seguono uno schema procedurale fisso, la serie offre alla vista e al consumo dello spettatore una serie di ambienti, personaggi ecc… molto complessi. Es. Breaking Bad, la relazione tra i personaggi è imprevedibile e muta nel tempo, es. relazione tra Walter e Skyler. Lo spettatore può apprezzare la complessità di relazioni e che può goderne al di là della trama del singolo episodio, proprio perché siamo oltre la logica procedurale 5. Gli ecosistemi narrativi comprendono sia una componente abiotica (inorganica), sia una componente biotica (organica): la prima è data dal sistema mediale nel quale la narrazione è inserita (es. network, piattaforma); la seconda dalla narrazione stessa, che è viva e in grado di adattarsi a diversi contesti mediali  quindi l’infrastruttura su cui il contenuto è inserito è più o meno fisso ma la narrazione è organica, e come ogni essere vivente, muta per adattarsi al contesto in cui è inserito, es. transmedialità, il contenuto viene adattato ai diversi tipi di fruizione per un contenuto Gli ecosistemi narrativi (compresi quelli costruiti dalle serie Netflix) sono aperti, interconnessi, coerenti, esplorabili e transmediali. Netflix sviluppa attività di marketing che valorizzano queste caratteristiche per offrire ai consumatori un’esperienza coinvolgente, interattiva, sorprendente, prolungata nel tempo ed estesa nello spazio. Queste attività estendono l’esperienza di consumo oltre lo schermo, creando connessioni tra l’universo narrativo e il mondo reale e tra mondo digitale e realtà fisica. Questo processo deve tenere conto dei diversi contesti socio-culturali dei consumatori Netflix, adattando le esperienze a livello locale, ma preservando la stabilità degli elementi portanti dell’ecosistema che rendono il marchio riconoscibile (nella logica del mantenimento dell’equilibrio e della coerenza dell’ecosistema). Il caso Stranger Things  marketing esperienziale per gli ecosistemi narrativi di Netflix Stranger Things è una serie iniziata nel 2016 che ha 4 stagioni. Gli elementi portanti, quindi di stabilità, sono:  I personaggi con le loro rispettive caratteristiche, archi narrativi, evoluzioni ecc…  L’ambientazione: luoghi della narrazione ricorrenti, es. città fittizia di Hawkins, con la strada principale, la scuola, il centro commerciale ecc… + elemento fantascientifico, sottosopra, laboratori ecc…  L’ambientazione nel tempo: la serie è collocata negli anni ’80, come viene trasmesso? Oltre all’aspetto estetico (costumi, vestiti ecc…) anche con dei riferimenti culturali, es. poster di Tom Cruise da giovane (nell’83 era uscito Risky Business, che lo ha lanciato come attore), uno dei 32 Parliamo adesso della pubblicità in Italia, cominciando con alcuni cenni storici (anche Armando Testa è un’agenzia storica):  Nel 1863 l’imprenditore farmaceutico Attilio Manzoni fonda a Milano La Manzoni (ancora attiva), prima concessionaria di pubblicità in Italia: la società vendeva spazi pubblicitari sui giornali e si occupava anche di curare la parte creativa per conto dei clienti (combinava le mansioni che oggi sono di un’agenzia creativa e di una concessionaria)  Tra la fine del 19esimo e i primi decenni del 20esimo secolo, la pubblicità si sviluppa come mezzo di espressione creativa  grandi nomi delle avanguardie artistiche dell’epoca si cimentarono con la grafica pubblicitaria, es. Campari (molte grafiche realizzate da Fortunato Depero, grande esponente del futurismo)  Fino al termine della Seconda guerra mondiale il settore pubblicitario italiano mantiene una struttura artigianale, si sviluppa come una serie di laboratori, non c’è una capitalizzazione e industrializzazione molto forte, rimane un settore dove prevale la creatività del singolo. Le cose cominciano a cambiare negli anni del boom economico che seguirono la fine della Seconda Guerra Mondiale (1448 – 1952), quando tutte le principali agenzie pubblicitarie internazionali (soprattutto americane e britanniche, gli alleati erano molto presenti sul territorio e influenti, grazie al Piano Marshall) aprirono filiali in Italia: J. Walter Thompson (la prima ad arrivare); McCann Erikson; e Young & Rubicam dagli Stati Uniti); Lever International Advertising Service (LINTAS) e Colman Prentis & Varley dal Regno Unito  la maggior parte sono ancora attive oggi. Le agenzie anglo- americane portarono un approccio razionalizzato alla pubblicità, introducendo tecniche inedite per il mercato italiano, come ricerche di mercato su grandi campioni, focus group, ricerca psicologica. Queste agenzie erano strutturate come organizzazioni integrate e avevano al loro interno tutti i servizi di cui un cliente aveva bisogno: dalle ricerche di mercato al design creativo; dalla gestione del budget alla pianificazione strategica; dall'acquisto dei media alla produzione. La competizione di questi grandi gruppi comportò la scomparsa di molte agenzie italiane che, per la loro dimensione e capitalizzazione ridotta, non potevano offrire lo stesso ventaglio di servizi agli inserzionisti.  Nel dopoguerra la pubblicità italiana inizia a svilupparsi come industria moderna, vengono istituiti gli organismi di categoria (le imprese che lavoravano nella pubblicità cominciano ad unirsi per difendere i loro interessi) che rappresentano gli interessi dei principali attori del mercato: o Nel 1947 le agenzie di pubblicità si associano nella FIP - Federazione Italiana della Pubblicità 35 o Nel 1949 gli inserzionisti si associano nell’UPA - Utenti Pubblicità Associati (quindi rappresentano le aziende che investono nella pubblicità)  Negli anni Sessanta, tutti i principali organismi di categoria collaborano alla creazione del primo Codice di autodisciplina pubblicitaria, che entra in vigore nel 1966  Tra il 1950 e il 1960 gli investimenti pubblicitari triplicano, passando da 25 a 90 miliardi, spinti prima dal boom economico e poi, a partire dal 1957, dalla diffusione dei Caroselli televisivi  programma pubblicitario della Rai che raccoglieva una serie di cortometraggi pubblicitari creativi (di solito 4 – 5), finanziati dalle imprese di pubblicità. L’avvento del carosello spinge gli investimenti pubblicitari, perché si aprono nuovi spazi per le imprese per avere una visibilità Com’è strutturato il mercato pubblicitario oggi? Oggi le agenzie di comunicazione attive in Italia sono circa 18 mila, tra queste vi sono grandi differenze in termini di core business, dimensioni, fatturato e la quantificazione esatta del mercato è resa complessa dall’elevato numero di professionisti freelance. Da un punto di vista geografico il mercato è estremamente concentrato: 12 mila imprese si dividono tra le sole città di Milano (circa 7000) e Roma (circa 5000), seguono Napoli e Torino. Tra queste solo 1334 aziende superano il milione di euro di fatturato annuo (tra cui Armando Testa)  stra grande maggioranza di micro imprese ARMANDO TESTA Agenzia italiana più importante di pubblicità:  Nasce nel 1956 a Torino su iniziativa di Armando Testa (grafico, pittore e artista) come agenzia di pubblicità grafica e televisiva.  Poi lo studio progetta e realizza alcune delle immagini più celebri e influenti della storia della pubblicità in Italia (sia grafica stampata che animata, es. grafica realizzata per Punt e Mes / digestivo Antonetto), è la mente dietro la creazione di alcuni caroselli molto influenti  es. Carmencita e Caballero di Lavazza / ippopotamo Pippo dei pannolini Lines  Nel 1978 Studio Testa diventa la Armando Testa s.p.a., apre nuove sedi a Milano e Roma, continuando a consolidare la propria posizione di punta nel mercato italiano. Negli anni la filosofia dell’agenzia rimane la stessa: grande attenzione per la dimensione creativa, idee innovative veicolate attraverso immagini capaci di sintetizzare l’identità e il messaggio dei clienti in modo semplice e sorprendente. Tra i numerosi riconoscimenti ottenuti negli anni: diverse mostre antologiche sull’attività pittorica e grafica di Armando Testa organizzate da importanti istituzioni internazionali. Tra i clienti dell’agenzia: Esselunga, Gruppo FCA, Procter & Gamble, L’Oréal, Giorgio Armani, Heineken, Lavazza, Barilla, Nestlè, De’Longhi, Montenegro, Banca Mediolanum, Chiquita, Ponti, MediaWorld, Yamaha Europe. Con alcuni di questi il rapporto di collaborazione dura da oltre 40 anni  Oggi, Armando Testa è il più grande gruppo pubblicitario italiano con sedi a Torino, Milano, Los Angeles e comprende cinque società. Marco Testa, figlio di Armando, è presidente dal 1995 Una famosissima campagna realizzata per Esselunga è quella “famosi per la qualità”, gioca sulle figure riconoscibili utilizzando prodotti alimentari, es. John Lemon  campagna molto imitata nel corso degli anni. Fabiano Pagliara è Branded Content Unit di Armando Testa. Armando Testa non è la classica agenzia pubblicitaria, perché ha una forte identità basata sulla sintesi (si è sempre per il togliere, per non inserire mai 36 troppi elementi) e sull’essere differenti  distinguersi è fondamentale, ma non per la smania di apparire quanto più per guardare le cose in maniera diversa e dare messaggi nuovi, da altre prospettive. Hanno portato l’obiettivo di distinguersi dalla pubblicità classica al brand entertainment, all’interno dei quali ci sono diversi settori uniti tutti dalla volontà di creare emozioni reali, motivo per cui poi la verità che trasmettono nel contenuto è premiata Caso 1, WWF: Il WWF chiama l’agenzia spiegando che i fenicotteri rosa in pericolo, perché i loro habitat sono delicati e necessitano di protezione (è un problema poco noto che non riuscivano a comunicare). Era necessario sensibilizzare sull’argomento, l’approccio più semplice sarebbe quello documentaristico, ma non sarebbe risultato innovativo, anzi noioso. Quindi si è proposto qualcosa fuori dalle righe: con J-AX si è scritta una canzone ad-hoc partendo dalla tendenza del fenicottero rosa gonfiabile utilizzato al mare, a settembre tutti se lo dimenticano (hanno utilizzato un trend). L’artista ha visto il progetto come molto interessante, si è prestato in maniera gratuita nel farlo (perché il WWF non aveva budget). Il video ha riscosso molto successo con il 2500% in più di visualizzazione sulla pagina del WWF, è stato poi ripreso da J-AX e condiviso da telegiornali e radio, questo ha permesso di ricevere dei finanziamenti volti a ridurre il problema. non ‘è un modo giusto per comunicare qualcosa, ne esistono solo alcuni più efficaci, spesso l’ironia aiuta  fa sorridere ma poi il messaggio arriva in modo potente Caso 2, Medusa Film – Supereroi: Paolo Genovese stava lanciando il film “Supereroi” nel periodo di seconda ondata del Covid, racconta la storia d’amore di una coppia (i supereroi sono le coppie che resistono al tempo). Per il lancio e la promozione del film il cliente ha richiesto un’operazione speciale, emozionante. Cosa si può fare con città deserte e nessuno in giro? Si decise di far cantare la colonna sonora del film (una canzone di Ultimo) attraverso una serenata fatta dal cantante sotto casa della coppia più vecchia d’Italia, sposata da 74 anni (Domenico e Domenica) nel periodo di Natale, ha suonato con il pianoforte in mezzo ad una strada deserta  in questo caso hanno puntato su delle emozioni profonde, si sono emozionati tantissimo, il pubblico apprezza ciò che è vero. Il video ha raggiunto in organico quasi 10 mln di visualizzazioni, grazie anche alla ripresa dai telegiornali e dalla radio Quello che viene fuori da questi due casi studio è che ciò che premia è la creatività e la verità, perché è attraverso questa che passa l’emozione, es. quando un film è basato su una storia vera ci commuove di più. Netflix punta tantissimo sulla forza delle emozioni e sulla viralità, spesso vengono condivisi dagli utenti sui social, quindi non raggiungono solo il pubblico delle grandi città (es. Milano e Roma) ma tutti. Netflix riesce ad estrapolare qualcosa di interessante, per raccontarlo da un altro punto di vista per trovare un punto di ingresso  poi da lì la strada è in discesa, la creatività si basa sul trovare il punto chiave. Saper leggere e interpretare il brief è importantissimo (spesso lunghissimo). Dare un brand in mano ad un influencer ti da un a visibilità immediata ma quasi a zero sul lungo termine, non è un testimonial  es. il giorno dopo rinnega quello che ha detto il giorno prima, l’influencer marketing ha senso solo se l’influencer rispecchia a pieno i valori dell’azienda. Es. Camihawke e collaborazione con Esselunga, ha avuto successo perché lei è consona all’azienda, ha sempre parlato bene del supermercato ancora prima della partnership. Non è la stessa cosa se proponiamo una collaborazione con qualcuno non in linea, es. Fedez che fa la pubblicità del Samsung ma nella vita reale usa un iPhone. Pre roll: pubblicità di YouTube che può essere saltata dopo i primi 5 secondi, deve catturare l’attenzione in quei pochi secondi per evitare che la gente la salti. ATTIVITÀ DI MARKETING PER LE INDUSTRIE AUDIOVISIVE 37 i gioielli inoltre, essendoci la crisi, avevano prezzi più bassi ed erano accessibili a più persone, l’anello di fidanzamento esisteva ma solo il 10% di quelli presenti sul territorio americano avevano un diamante. Per rendere il diamante una necessità sociale e psicologica, De Beers dona diamanti e brillanti alle celebrità così che li possano indossare in occasioni pubbliche e far sì che vengano fotografati con essi. Questo ci lega al fatto che attori e celebrità possono costituire un modello di acquisto e di comportamento per gli spettatori, entrando quindi nel celebrity endorsement. 2. Celebrity endorsement / testimonial Si tratta di un accordo tra un individuo che gode di riconoscimento pubblico (celebrità) e un’entità (un marchio) per utilizzare la celebrità allo scopo di promuovere tale entità. È una pratica utilizzata da sempre, un aspetto interessante è che il meccanismo dell’endorsement nei suoi primi anni di vita viene esplicitato in maniera estrema, spiegando al consumatore per filo e per segno cosa fa quella celebrità con quel prodotto e che vantaggi può quindi avere anche il cittadino che compra e usa il medesimo prodotto (es. se usate il suo stesso shampoo anche voi avrete dei capelli belli come i suoi). Oggi se vediamo George Clooney (Nespresso) o Brad Pitt che bevono caffè non abbiamo bisogno di lunghe spiegazioni come un tempo, le caratteristiche e ciò che la pubblicità vuole dire sono implicite. Esempio celebre è quello della Notte degli Oscar 2014 con Ellen Degeneres, che include product placement e celebrity endorsement. In diversi momenti della serata viene utilizzato il cellulare Samsung e il momento più importante in cui si vede è quando viene utilizzato per il selfie con tantissimi attori famosi (la scatta bradley Cooper), il più retwittato di sempre di Twitter  troviamo una commistione tra product placement di Samsung e celebrity endorsement, inoltre il fatto che Twitter dice, dopo aver caricato la foto, con che sistema operativo è stata scattata ha fatto sì che tutti gli utenti online sapessero che la foto è stata scattata con un telefono Samsung (sotto la foto c’è scritto “Twitter for Android”). Tutti gli attori erano consapevoli che stavano partecipando a un momento pagato da Samsung (celebrity endorsment). Ulteriore esempio è il post di Instagram con Selena Gomez (2016, per molto tempo è stato il post con più like in assoluto su Instagram) che regge una bottiglia di Coca Cola con sopra stampati i testi delle sue canzoni (limited edition venduta nel mercato americano). Anche in questo caso c’è commistione di product placement e celebrity endorsement, ma la Coca Cola non risulta essere esplicitamente un messaggio promozionale (non ha scritto che è un contenuto promozionale, anche se lo sarebbe, il contenuto è studiato nei minimi dettagli). Il comportamento delle celebrità come modelli per gli spettatori è basato sul principio della relazione parasociale  concetto elaborato da 2 psichiatri americani Horton e Wohl negli anni Cinquanta, i quali affermano che una delle caratteristiche sorprendenti dei nuovi mass media (radio, tv e film) è che danno l’illusione di un rapporto faccia a faccia con l’interprete / performer. Gli uomini più lontani e illustri vengono ricevuti come se fossero nella cerchia dei propri pari, lo stesso vale per il personaggio di una storia che prende vita in queste media in modo particolarmente vivido e accattivante. Questo apparente rapporto faccia a faccia tra lo spettatore e l’interprete prende il nome di relazione para-sociale. Il personaggio pubblico può essere considerato dai suoi spettatori come amico, consigliere, fonte di conforto e modello  Il concetto è stato adottato dagli studi sui media in diversi ambiti, es. nei fandom: il nostro idolo è visto come un amico e noi ci sentiamo traditi se fa qualcosa che esce dalla figura a cui noi siamo appassionati (soprattutto se un attore è strettamente legato ad un personaggio, es. Daniel Radcliffe in Harry Potter, il suo personaggio pubblico è influenzato da quell’universo narrativo). 40 Tre elementi fondamentali: 1. Lo spettatore è sempre anche consumatore, es. in quel momento stiamo guardando un film sul divano ma poi quando usciamo di casa siamo dei consumatori che vanno ad acquistare i prodotti 2. La celebrity è sempre accompagnata dalla sua figura pubblica, dalla sua vita al di là di quella che interpreta sullo schermo  a questa vita vengono incorporati comportamenti di consumo 3. Il prodotto che noi vediamo in scena e che possiamo quindi consumare e acquistare nella vita reale Ci sono alcune differenze importanti tra il rapporto che alcuni contenuti commerciali hanno rispetto al contenuto mediale: in alcuni casi l’identificazione dell’intento commerciale del contenuto è esplicita (es. Nespresso), in altri casi non c’è una separazione netta tra il momento dell’intrattenimento e quello della pubblicità del prodotto (es. 007 / Oscar /Selena)  questo ci porta alla terza categoria di relazione tra brand e pubblicità, ovvero il branded content. 3. Branded content e Content marketing Si riferisce ai contenuti mediatici di intrattenimento e/o di informazione che sono concepiti, finanziati e prodotti per conto del titolare di un marchio il cui core business è al di fuori del settore dei media ≠ Nel product placement il controllo produttivo del contenuto mediale appartiene a un’azienda mediale (casa cinematografica / broadcaster ecc…) e il prodotto inserito non c’entra invece con il mondo dei media ma è un bene di consumo diverso (es. Coca Cola / Rolex ecc…) = il contenuto commerciale viene inserito in quello mediale (elemento di estraneità). Nel branded content invece il contenuto mediale è finanziato e controllato da un’azienda che non produce contenuti mediali come core business, il branded content è quindi il risultato di questa attività fatta da un non-media company (es. Coca Cola che produce il suo contenuto). Il branded content entra in una più ampia strategia di marketing ovvero il content marketing: approccio in cui un’azienda di consumo costruisce la sua relazione con i consumatori reali e potenziali intorno alla fornitura di contenuti informativi educativi e di intrattenimento che i destinatari percepiscono come dotati di valore e in qualche misura rilevanti per i loro processi decisionali anche se non necessariamente o esclusivamente legati ai prodotti dell’azienda  attraverso il content marketing un'azienda crea, immagina, produce, distribuisce dei contenuti che vengono recepiti dai consumatori come contenuti dotati di un proprio valore (es. di intrattenimento / informativo / educativo), quindi vengono consumati come contenuti mediali, ma sono in realtà dei prodotti finanziati e controllati da aziende che non sono delle media company. In qualche modo siamo all’interno del marketing esperienziale anche qui perché non ci si concentra tanto su una promozione del prodotto, ma sull’esperienza che il prodotto rende possibile per il consumatore, inoltre anche nel content marketing si producono contenuti non necessariamente legati al marchio, spesso infatti esso non è manco nominato o visibile, ma l’esperienza offerta ha comunque valore. 41 Alcuni esempi:  “Be a Lady They Said”: è un video realizzato da parte del magazine digitale di moda “Girls Girls Girls”  il video contiene molte immagini precedentemente pubblicate dalla rivista online. Il contenuto è stato distribuito online con un forte valore emozionale ed educativo ma è stato realizzato da un marchio di consumo editoriale (che si basa molto sulla commercializzazione del pubblico femminile)  Altro esempio è “Lo and Behold”: documentario presentato al Sundance Film Festival, girato da Werner Herzog, autore importante di cinema contemporaneo. Il documentario nasce su iniziativa di un’azienda di sicurezza informatica che finanzia le riprese che hanno come tema la nascita e lo sviluppo delle tecnologie digitali.  Anche “The Lego Movie” è considerabile un branded content, perché si tratta di un contenuto di intrattenimento di alto livello, realizzato da Lego che non è una media company ma un marchio di prodotti di consumo. La ricezione critica che questi prodotti poi ricevono viene fatta su riviste cinematografiche a tutti gli effetti, per cui questi esempi di branded content vengono utilizzati come qualsiasi altro prodotto mediale --< es. Lego Movie viene recensita su Indie Wire / Lo and Behold su Variety. Con l’inserimento di queste nuove tipologie di comunicazione pubblicitaria, è bene fare un distinguo tra due strategie di marketing:  Push strategy: tutto ruota intorno al marchio, si insiste per convincere il consumatore ad acquistare il prodotto, es. tutti gli spot pubblicitari  Pull strategy: tutto ruota intorno al consumatore, che non viene spinto al prodotto ma attirato verso il marchio, con contenuti di intrattenimento dotati di valore che lo avvicinano all’acquisto in maniera più soft L’utilizzo di questa strategia, e del content marketing in generale, ha a che fare anche con alcune caratteristiche del panorama mediale contemporaneo ovvero:  Frammentazione mediale: moltiplicazione e diversificazione delle piattaforme  Audience autonomy: aumento delle forme di consumo dei media non lineari e on-demand che permettono più autonomia  Crisi economica (post 2008 e post pandemia): ha causato una riduzione dei budget aziendali per attività di promozione Queste caratteristiche rispondono anche allo scenario mediale ed economico, infatti c’è una domanda crescente di contenuti, una richiesta di contenuti originali con possibilità di circolare su diversi media e una necessità di contenuti di marketing meno costosi e più efficienti per alzare il ROI. 4. Co-marketing e tie ins 5. Merchandising (accennati entrambi nelle lezioni precedenti) 42  Il turismo e il marketing sono legati dal marketing territoriale, ovvero tutte le attività di marketing legate alla promozione del territorio in un’ottica di afflusso dei turisti.  Il turismo e i media sono legati dal cineturismo o meglio il film-induced tourism.  La promozione di un particolare territorio attraverso la presenza dei media e del marketing si situa nel fenomeno del location placement, fenomeno analogo al product placement legato però ad un territorio. 1. Marketing territoriale Disciplina che si basa sull’identificazione dell’insieme dei valori e di vocazioni (simbolici, immateriali e evocativi) che caratterizzano un territorio tale perché, oltre alla componente morfologica e naturale, è identificativo di una comunità che nel corso del tempo ha conferito a un area una personalità, uno stile di vita, una cultura e dei contribuiti economici (riferendosi a chi abita il territorio e contribuisce all’identità, alla personalità del territorio) che lo rendono unico. Es. Trentino: è un esempio di Advertorial (editorial + advertisement), ovvero un testo che assomiglia a un contenuto editoriale (ospitato sul sito del National Geographic) ma ha una specifica volontà pubblicitaria e di sponsorizzazione. Il branded content viene in questo caso sfruttato esattamente come un altro prodotto di consumo ma per una destinazione turistica. In seguito abbiamo visto un’altra pubblicità su YouTube del Trentino, che mette in evidenza, come ogni altra proposta promozionale, gli aspetti più peculiari dell’oggetto in questione e in particolare mette in risalto la Unique Selling Proposition (USP)  argomento portante su cui viene incentrata una comunicazione promozionale, elemento che deve essere unico e in grado di differenziare il marchio rispetto ai competitor e che crea la comunicazione pubblicitaria più immediata e diretta, perché crea un’associazione tra il marchio e un’idea forte che aiuta la memorabilità del brand e la sua identità. La USP viene spesso veicolata con claim memorabili e jingle. Qui la USP è lo scii: la parola viene ripetuta più volte sullo schermo, alla quale vengono associati altri elementi attrattivi (paesaggi naturali, enogastronomia, cultura e tradizioni) anche perché la USP non deve alienare gruppi di consumatori che magari non sono sciatori  potrebbero provare un senso di disinteresse se si parlasse solo di scii., si introducono anche degli elementi aggiuntivi. Questa strategia viene spesso usata anche per riposizionare e reindirizzare un territorio che ha già un’identità forte, uno USP definito, ma che vuole allargare la sua offerta e il suo bacino di turisti. In Italia, paese a forte vocazione turistica, le attività di marketing territoriale sono curate da enti pubblici o semi pubblici su mandato del governo nazionale, regionale o locale. Nel caso del Trentino la campagna è curata da una S.p.A. chiamata Trentino Marketing, il cui socio unico lavora sul mandato della Provincia autonoma di Trento. A livello nazionale è l’ENIT, Agenzia Nazionale del Turismo e prima Ente Nazione italiano (fondata nel 1919) per il turismo, che si occupa di questi aspetti sotto la vigilanza del Ministero del Turismo. Es. Liguria: come testimonial è stata scelta Elisabetta Canalis che da Los Angeles diceva “la mia Liguria”. 45 Es. Calabria: lo spot è stato girato da Muccino; quindi, si tratta di un branded content d’autore con Raoul Bova e la sua fidanzata, ma ha ricevuto molte critiche perché è ricco di cliché ed elementi da cartolina. Secondo le persone trasmette una visione stereotipata del territorio. Uno spot così parla a degli stranieri, perché gli italiani di fronte ad uno spot così rabbrividiscono e lo classificano come un cortometraggio promozionale ma stereotipato (es. To Rome with love). 2. Cineturismo o film-induced tourism L’espressione film-induced tourism, coniata da Sue Beeton e tradotta in italiano con cineturismo, indica tutte le possibili forme di turismo incentivate in modo diretto o indiretto dalla visione di film o altri media audiovisivi. Si differenzia dal marketing territoriale (attività promozionali svolte per comunicare un determinano territorio allo scopo di attirare flussi turistici) per il nesso esclusivo con prodotti audiovisivi e con gli eco sistemi narrativi ad essi legati. Lo scopo delle attività del turismo film induced è di promuovere e gestire flussi turistici in una particolare destinazione in virtù del suo legame con una produzione cinematografica o con un altro evento legato all’industria cine-televisiva  attività create intorno e in conseguenza della rappresentazione di un territorio in un contenuto audiovisivo, che non è stato fatto necessariamente a scopi turistici. La visibilità del film può generare flussi turistici in quel territorio da parte delle persone che hanno visto il film / serie ecc… Il termine cine turismo è imperfetto perché suggerisce sempre un legame causale tra la visione del film e la pratica turistica, mentre non sempre è così, es. a volte visito una città per altri motivi, scopro che c’è un luogo in cui è stato girato un film e decido di andare a vederlo  il termine film-induced-turism permette di cogliere meglio queste sfumature, ma il termine cineturismo è così diffuso che possiamo permetterci di usarlo. Le attività promozionali del film-induced tourism si dividono fra attività on location e off location:  On location fa riferimento a flussi turistici verso luoghi che hanno ospitato riprese e che pre esistevano, si riferisce quindi alla visita di un territorio usato come location cinematografica (es. libreria di Notting Hill / casa di Montalbano)  Off location fa riferimento a visite e flussi turistici verso luoghi che vengono creati appositamente per le riprese (studios) o che hanno un legame con il cinema ma non sono strettamente location cinematografiche: o Film studios (Paramount Studios in LA, Warner Bros. Studios in London) o Parchi a tema (Universal Studios in LA) o Musei e mostre (Museo Nazionale del Cinema di Torino) o Film festivals (Venice, Cannes, Locarno, Berlin, Sundance, etc.) o «Luoghi sacri» per gli amanti del cinema (Walk of Fame e Kodak Theater in LA) o Case delle celebrità  esistono dei tour turistici, soprattutto ad Hollywood o «Planet Hollywood» Il marketing territoriale può incorporare elementi del film induced tourism, facendo riferimento a particolari film e serie tv girati sul territorio. Gli strumenti utilizzati dagli enti locali o aziende per incentivare il film induced tourism sono:  Cartellonistica: informare con segnaletiche e cartelli il turista sul fatto che in quel luogo è stato girato il film, es. una delle location di GOT in Croazia / binario 9 ¾ a King’s Cross 46  Mappe cartacee o digitali: si segnalano i luoghi della città che sono serviti da location per una produzione cinematografica, es. In Bruges, girata interamente nella città (naming placement) / Tutti insieme appassionatamente, mappa digitale dei territori in Austria  Movie tours: questi territori cinematografici vengono sfruttati dagli operatori turistici a loro favore per far fare tour delle location ai turisti e agli appassionati della serie, es. Malta, tour di Game of Thrones  Statue e monumenti: per ricordare il legame tra il film e la città / luogo, es. Rocky a Philadelphia / Paddington a Londra  Mobile app: in molti casi diverse autorità pubbliche e private sviluppano delle app per veicolare e comunicare il legame tra un territorio e l’industria audiovisiva, es. app del Friuli-Venezia Giulia per visitare gli itinerari cine turistici della regione  Montaggio di making of, behind the scenes, interviste ad attori e registi, merchandising In Italia c’è l’Ischia Film Festival, un festival annuale che nasce con l’intento di proiettare e premiare film che diano particolare visibilità alle location dell’isola  quindi anche gli addetti al lavoro usano il termine “cine turismo”. 3. Location placement Tecnica di comunicazione che consiste nell’inserire un territorio e/o nel far pronunciare il nome di un territorio in un lungometraggio destinato alla diffusione al grande pubblico. Questi inserimenti sono deliberati, quindi con accordi tra chi produce e chi vuole promuovere il territorio, e sono stati oggetto di una contropartita finanziaria e/o servizi da parte dell’autorità territoriale interessata le cui motivazioni possono essere lo sviluppo economico locale (a volte in relazione a un settore audiovisivo locale), o lo sviluppo turistico (attrarre visitatori nei luoghi di ripresa), o entrambi  ritornano gli stessi elementi del product placement, qual è quindi la differenza? Nel caso del location placement abbiamo una visibilità deliberata del territorio, un accordo tra le autorità locali e la casa di produzione, basato sulla fornitura o di finanziamenti o di servizi gratuiti che abbassano i costi di produzione del film. Quindi il territorio aiuta gli operatori e ottiene in cambio una visibilità concordata e una promozione positiva. Il location o destination placement dimostra come l'inserimento all'interno di un film di un territorio porta a vantaggi promozionali esattamente come fa un’inserzione pubblicitaria di un prodotto, anzi, a volte con effetti addirittura maggiori, soprattutto quando il location placement diventa un naming placement, cioè i casi in cui il nome del territorio compare anche nel titolo del film (Basilicata Coast to Coast) Es. Bienvenue chez les Ch’tis: versione originale francese del nostro “Benvenuti al sud”, dove in cambio della visibilità ottenuta il governo della regione Nord Passo di Calais (il film è stato girato lì) ha fornito un finanziamento di milioni di euro per la produzione del film (l’8% del budget), il quale in cambio ha messo in luce il calore e l’ospitalità del luogo. Es. Spectre – 007: il film è ambientato in Messico, che ha investito 14 mln di dollari in cambio di visibilità positiva del territorio, in particolare:  Sequenza di apertura ambientata durante il Giorno dei Morti  di grande attrattività turistica  Inclusione di una popolare attrice messicana  È stata cambiata la nazionalità di uno dei cattivi del film in modo che non fosse messicano 47
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