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marketing - politiche distributive, Sbobinature di Marketing

sbobine lezione di marketing - politiche distributive: canali distributivi (vendita diretta, vendita indiretta breve/lunga) + criteri di scelta; copertura distributiva (intensiva, selettiva, esclusiva); politiche di incentivazione (push, pull, mista); trade marketing

Tipologia: Sbobinature

2019/2020

In vendita dal 24/09/2020

elena-1997
elena-1997 🇮🇹

4

(1)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica marketing - politiche distributive e più Sbobinature in PDF di Marketing solo su Docsity! POLITICHE DISTRIBUTIVE (ai fini dell’esame le parti più importanti sono i canali distributivi e le politiche di incentivazione) Quando parliamo di distribuzione (cioè come e dove vendiamo i nostri prodotti) stiamo parlando di scelte che impatteranno inevitabilmente sul posizionamento del nostro brand, perché à prendo un prodotto, lo vendo in un punto vendita bello in centro città, o lo stesso prodotto lo vendo in un punto vendita anonimo in una zona marginalizzata, evidentemente penserò che il primo sia migliore del secondo. Dunque la distribuzione è un segnale del valore; i punti vendita stanno evolvendo come luoghi di concetto, quindi trovo il prodotto (non troppo prodotto esposto) ma esposto in modo tale che quel punto vendita sia un teatro della marca; quindi punti vendita belli, dove invitare le persone a passare del tempo e dove spesso si organizzano eventi che arricchiscono di valore la marca. Questo vale soprattutto per i posizionamenti più alti. La distribuzione è importante per i momenti della verità: quando andiamo sui punti vendita incontriamo le persone, le facce, e chi ci vende un certo prodotto ai nostri occhi rappresenta l’insegna distributiva ma anche ci parla del brand che stiamo per valutare; quindi è molto importante capire se possiamo intervenire come produttori sui punti vendita per controllare quello che succede nei punti vendita. Svilupperemo ragionamenti di marketing avendo in mente delle aziende che producono dei beni che vendono sul mercato o direttamente, quindi aziende che si integrano verticalmente verso il basso, produttori che gestiscono anche la distribuzione, oppure se non mi integro sono un produttore che vende tramite qualcuno; quel qualcuno può essere un soggetto indipendente che ascolta le cose che gli dico (quindi vende i prodotti seguendo le mie indicazioni), oppure se ne frega. Lì dobbiamo dunque capire come far collaborare chi vende il nostro prodotto al consumatore finale. Sul punto vendita le decisioni di acquisto possono cambiare in modo imprevedibile, perché ci sono i fattori situazionali, quindi quello che capita nel punto vendita può essere in parte poco preventivabile; quindi è una variabile non completamente preordinabile quella della distribuzione (a meno che la gestiamo direttamente, però questo significherebbe che devo comprare/prendere in allocazione degli spazi, avrò dunque dei costi fissi e del personale; quindi io potrei voler controllare quello che succede nel punto vendita ma attenzione, perché potrebbe essere troppo costoso); dunque la distribuzione diretta a volte è desiderabile ma non sempre praticabile. Il punto vendita può essere uno spazio in cui faccio analisi del comportamento del consumatore; ad esempio L’EYE TRACKING, che è una metodologia per analizzare i movimenti oculari del consumatore sul punto vendita davanti allo scaffale; sono delle indagini che is fanno per capire, ad esempio, dove sia il caso di allocare un certo tipo di prodotto. (vedi immagine slide) le zone rosse sono le zone dove l’attenzione del consumatore è più alta. Sono attività che se vuoi fare nel punto vendita o hai punti vendita, quindi hai una distribuzione diretta, oppure devi cercare la collaborazione del distributore. Possiamo sempre vedere ogni iniziativa di marketing volendo potenzialmente non convenzionale à esempio da slide: ti presento il prodotto in modo itinerante, ti preparo la pasta e te la faccio assaggiare (si tratta di un brand che produce pasta); ha una resa molto più alt rispetto a trovare la promoter sul punto vendita che ti offre il pacco di pasta da prepararti poi tu a casa. La distribuzione sta cambiando tanto; vediamo ad esempio l’autogrill (vedi immagine slide) à ha una parte di esposizione commerciale molto pronunciata; ora troviamo delle aree di servizio dove ci sono de veri e propri centri commerciali, c’è una grande varietà; sono i cosiddetti nuovi luoghi del consumo, cioè nuovi spazi che le aziende hanno individuato per arrivare al distributore secondo canali distributivi aggiuntivi ai soliti. Parliamo di autogrill, stadi di calcio, le stazioni ferroviarie e gli aeroporti (che stanno emergendo come nuovi canali distributivi); cinema multisala,.. Il messaggio dunque qui è: dobbiamo no dare mai per scontato che i canali distributivi utilizzati fino a quel momento siano gli unii che possiamo utilizzare, anche qui ci può essere creatività, possiamo creare un nuovo canale o possiamo tradurre un nuovo spazio che non è mai stato commerciale in uno spazio commerciale. C’è incrocio con l’e-commerce, cioè come incrociamo la vendita offline con quella online; stanno emergendo vari modelli. In generale l’idea può essere quella di trasformare qualsiasi punto di una città (come abbiamo visto per il marketing non convenzionale) in un momento in cui vendere anche il prodotto à esempio: tramite una pensilina dove ci sono dei capi con il QR code, che può collegare all’e-commerce di quel brand. Pimkie lancia mini fashion bar, ovvero trovi nell’albergo una serie di capi nuovi che Pimkie ti propone, li puoi misurare e se ti piacciono paghi alla cassa dell’albergo (quindi faccio un accordo commerciale con le strutture alberghiere affinché diventino uno dei possibili canali per intercettare il consumatore). 1 stanno cambiando tante cose, noi come marketer dobbiamo capire verso dove va il mercato; 2 la creatività deve sempre essere un chiodo fisso per noi, in qualsiasi momento. SCELTA DEL CANALE: esistono 3 categorie di canali commerciali à 1 – CANALE DIRETTO (il produttore decide di arrivare direttamente al mercato, quindi integra la catena del valore verso il basso; mi gestisco la distribuzione da solo, faccio distribuzione diretta) 2 – CANALE INDIRETTO che può essere breve e lungo (indiretto perché fra il produttore e il consumatore c’è almeno un altro soggetto, che è un intermediario commerciale o retailer, ovvero qualcuno che per mestiere compra dal produttore e vende a qualcun altro. Indiretto breve à fra il produttore e il consumatore c’è un solo passaggio commerciale, quindi avremo un dettagliante. Indiretto lungo à prima del dettagliante areno il grossista, quindi abbiamo un’azienda produttrice che vende a un grossista, questi vendono ai dettaglianti, questi vendono al consumatore finale). Quindi, o vendo direttamente, o tramite un dettagliante, o vendo ad un grossista che vende a un dettagliante che vende poi al consumatore finale. Dettagliante = sia negozietto vicino casa, sia supermercati, ipermercati; è dettagliante perché in questo caso compra o dal grossista o dal produttore e vende al consumatore finale; ciò che lo discrimina è il fatto di avere a che fare con il consumatore finale, la vendita al dettaglio. CANALE DIRETTO: gestiamo direttamente la distribuzione. Come lo possiamo fare? Creo dei punti vendita con il mio marchio, il cosiddetto PUNTO VENDITA MONOMARCA, cioè punti vendita che vendono solo il mio brand. Sono punti vendita di proprietà; investo direttamente, sostengo dei costi fissi (che devo poi ammortizzare) per vendere il prodotto al consumatore finale. Avrò quindi un certo numero di negozi dove la superficie distributiva l’ho comprata/presa in allocazione e ho dei dipendenti; devo arredarli, gestirli, gestisco tutto quello che serve per essere presente sul mercato. Posso fare la vendita porta a porta: è sempre una distribuzione diretta (quindi venditori che vanno nelle case e cercano di entrare per poi chiudere delle trattative; vediamo Bimby, Folletto, ecc). Possiamo vendere tramite internet, quindi fare l’e-commerce; oppure la versione molto 1,0 dell’e- commerce che è la vendita per catalogo, corrispondenza (vedi Olio Carli: ti mando il catalogo a casa, tu scegli quello che vuoi ricevere, poi facciamo una telefonata e chiudiamo la trattativa, poi ti mando il prodotto a casa). C’è poi la televendita: Eminflex. Vado in tv, faccio la televendita, telepromozione, numero verde, le persone possono chiamare e ordinare il prodotto che riceveranno poi a casa. COSTI DEGLI SPAZI COMMERCIALI DI PROPRIETA’ O IN LOCAZIONE se ho una distribuzione diretta, con dei punti vendita fisici à sostengo un costo per la superficie distributiva e per il personale, per l’allestimento del negozio. Quindi ho costi per le strutture e gli eventuali costi per gli addetti alla vendita all’interno del negozio. Queste sono le categorie di costo più ricorrenti; è chiaro che se vado da un canale diretto a un canale indiretto lungo (quindi i due opposti) cosa succede? à si riducono i costi fissi e aumentano i costi variabili. Più il canale è diretto più i costi sono fissi. DOMANDA TRABOCCHETTO ALL’ESAME PUO’ ESSERE à E’ PIU’ COSTOSO UN CANALE DIRETTO RISPETTO A UN CANALE INDIRETTO? SPESSO SI, MA NON NECESSARIAMENTE. Quindi non posso dire che il canale diretto costi di più, posso dire con certezza però che il canale diretto comporta dei costi fissi (che devi essere pronto ad ammortizzare). MARGINALITA’ à il prezzo di sell-out= prezzo di un prodotto che noi consumatori leggiamo sul cartellino nel punto vendita. È il prezzo pagato dal consumatore finale. Se e solo se io vendo il prodotto in modo diretto, il mio prezzo come produttore e distributore sarà il prezzo di sell-out, perché se io invece vendo il prodotto tramite un intermediario commerciale, il prezzo di sell-out è quello che paga il consumatore finale. Ma io il fatturato lo faccio su un altro prezzo, che è il prezzo di sell- in (= è il prezzo che viene pagato dall’intermediario commerciale all’azienda produttrice). Quindi in tutti i casi in cui io non abbia una distribuzione diretta, il prezzo che devo considerare ai fini del fatturato del produttore è il prezzo di sell-in (perché quello di sell-out viene fatturato dall’intermediario commerciale). Quindi quando ragioniamo sulla marginalità per scegliere il canale distributivo, io considero i costi, poi i prezzi (se non distribuisco direttamente il mio fatturato nasce dal prezzo di sell-in, e non dal prezzo di sell- out).* Il primo modo per spingere i retailer, i distributori a trattarci bene è lasciargli un pezzo di torta bello grande. Se quello che rimane al distributore (la differenza tra prezzo di sell-out e il prezzo di sell-in) il distributore lo può vendere a 200, a me lo paga 50 e gli rimango potenzialmente 150. Quello che gli rimane può essere fortemente motivante per il distributore. Il primo modo per convincere un distributore a trattare bene una marca rispetto alle altre marche concorrenti è lasciargli più margine. Come si fa a far accrescere il margine che rimane al distributore? Ci sono 2 modi. Potrei diventare più efficiente, quindi non perdo margine, a lui faccio un prezzo di sell-in più basso e siamo contenti tutti e due; posso lavorare con le mie politiche di marketing sul consumatore finale affinché faccia meno storie a pagare il prezzo di sell-out al distributore, quindi creo le condizioni affinché il distributore possa vendere meglio. In buona sostanza, più lavoro in modo efficace sul marketing come produttore, più sto offrendo al distributore qualcosa che è potente, che ha mercato, che si vende bene. Se io non lavoro bene però sul marketing, il prezzo di sell-out non cresce, quindi quello che gli rimane è meno interessante. Quindi io devo lavorare per far crescere l’appetibilità del prodotto e per rendere legittimo e giustificabile il prezzo di sell-out, ma io poi fatturo sul prezzo di sell-in. Quindi posso essere magari portato a cedere sul sell-in, anche se potrei chiedere di più in virtù del mio potere contrattuale, per ingraziarmi quel distributore. *Quindi abbiamo costi, prezzi e quantità; più hai bisogno fi fare volume, di vendere tanti prodotti (perché il tuo margine unitario è basso), più la distribuzione tende ad essere quella indiretta (perché la diretta implicherebbe troppi costi fissi, quindi difficilmente è sostenibile come scelta). Prendiamo ad esempio un’azienda campana che produce limoncello semi-artigianale; si pone il problema di scegliere il canale distributivo. Si fanno quindi alcune proiezioni da fare con metodo, e si arriva a ipotizzare, ad esempio, che con la vendita diretta che passi attraverso tre punti vendita, negli aeroporti di Milano, Roma e Venezia, con due dipendenti ciascuno (quindi abbiamo indicazione di quanto può costare uno spazio commerciale, in quella città, in un aeroporto, più due persone che si daranno il turno, in modo da coprire gli orari che mi interessano; più o meno riesco a capire quanti costi fissi dovrò sostenere). Dunque ipotizzo di vendere 180 mila bottiglie in un anno, con questi 3 punti vendita in queste 3 location. Prezzo 20 euro a bottiglia (è un prezzo di sell-out, perché è una distribuzione diretta), quindi banalmente moltiplico il prezzo di sell-out per i quantitativi e ottengo il fatturato potenziale. Nei costi cosa metto? à i costi di locazione (che saranno salati), gli stipendi (quindi il costo lordo del lavoro), e i costi per rifornire il punto vendita (quindi per prendere il limoncello dalla campagna materialmente e mandarlo con una frequenza che determinerò in base ai flussi che penso di avere, sul punto vendita). Quindi ho 3 grandi voci di costo, più inizialmente l’allestimento, arredamento del punto vendita. Margine= 2 milioni e 700 mila euro, quindi un margine che potrebbe essere ritenuto interessante. VENDITA INDIRETTA BREVE (quindi non abbiamo dei punti vendita gestiti in modo diretto da noi). Abbiamo 2 commerciali interni (quindi costo fisso) che sono stipendiati, che chiamano dei potenziali acquirenti affinché vengano piazzati gli ordini del limoncello. 6 commerciali esterni (agenti pagati a provvigione, quindi costo variabile), riescono a raggiungere 50 ristoranti sul territorio nazionale (ristoranti di un certo livello), 20 wine bar, 15 retailer quindi negozi, prevalentemente enoteche più qualche ipermercato che voglia metter dentro qualche tipicità locale. 350 mila bottiglie, aumentano i volumi che posso sviluppare; prezzo à qui ragiono sul prezzo di sell-in, che cala rispetto ai 20 euro precedenti perché io dirò al mio cliente che la bottiglia la può vendere a 20, se poi è un esercizio commerciale che fa la mescita, quindi che venderà a bicchiere, potrà vendere ad un prezzo ancora più alto; quindi in questo caso considero il prezzo di sell-in di 7 euro; fatturato 2 milioni e 450 mila euro; le varie voci di costo di 900 mila euro; e il margine di 1 milione e 550 mila euro. Quindi in questo caso vendo più quantità, copro di più il mercato, il margine si riduce. Terzo caso à VENDITA INDIRETTA LUNGA: 4 commerciali interni, che raggiungono un importatore e 5 grossisti; vendono 900 mila bottiglie (anche all’estero); 3 euro a bottiglia (il prezzo di sell-in si riduce perché c’è un passaggio commerciale in più, quindi una quota di margine rimane al grossista e una quota di margine rimane al dettagliante; fatturato 2 milioni e 700 mila; costi per 900 mila; e margine di un milione e 800 mila. Quindi, ricapitolando, in questo caso la vendita diretta risulta quella a maggiore marginalità, quindi quella che sarebbe preferibile secondo questo criterio, se adotto questo criterio. Al secondo posto la vendita indiretta lunga, e al terzo la vendita indiretta breve. Quindi se ragiono sul margine questa è la graduatoria. C’è un però à ho i costi fissi; io qui so se le stime, le proiezioni che ho fatto sono fatte bene, che sarebbe da preferire la vendita diretta, però devo investire un bel po’ di soldi e devo avere una solidità patrimoniale, economica finanziaria di un certo tipo; magari mi oriento di più verso una distribuzione intermediata (quindi indiretta) perché ci sono meno costi fissi e più variabili. Da questo punto di vista dovrei scegliere il canale indiretto lungo, perché è quello che mi dà meno problemi, meno paure, e un margine più alto rispetto l’indiretto breve. Questi calcoli vanno fatti caso per caso, quindi non c’è un canale che margina di più degli altri, dipende dal prodotto che vendi e dalle scelte che la tua azienda ragionevolmente può fare. DOMANDA D’ESAME: IL CANALE DIRETTO E’ QUELLO DALLA MARGINALITA’ PIU’ ALTA? à NON NECESSARIAMENTE. (di converso) IL CANALE INDIRETTO LUNGO E’ QUELLO DALLA MARGINALITA’ PIU’ BASSA? NON NECESSARIAMENTE; l’esempio lo certifica, dobbiamo fare i conti. Sicuramente possiamo dire che da una parte abbiamo costi fissi e dall’altra abbiamo costi più variabili. 2. CRITERIO DELLA FLESSIBILITA’ Altro criterio che possiamo adottare è quello della flessibilità, che dice: scegli il canale che anche se non è quello che potenzialmente ti lascia più margine, è quello che ti lascia più tranquillo dal punto di vista dei flussi finanziari, quindi il canale meno rigido. Il canale meno rigido, quindi il più flessibile, è il canale indiretto lungo (perché c’è una disintermediazione), quindi affido lo sforzo commerciale ai grossisti e ai dettaglianti; i costi che sostengo sono prevalentemente variabili (i costi distributivi, non produttivi), quindi è un problema del grossista o del dettagliante prendere il prodotto, metterlo a scaffale, decidere dove venderlo, fare l’assistenza post vendita, ecc. 3. CRITERIO DEL CONTROLLO Ti dice di scegliere il canale che ti dà le maggiori possibilità in assoluto di controllare i momenti della verità. I momenti della verità è ad esempio il prezzo di sell-out, a quanto si vende il prodotto sul mercato; in quali zone di mercato si vende il prodotto; in quali punti vendita si vende il prodotto. Se sono Apple ho interesse che il mio prodotto non venga venduto troppo fuori canale, mi interessa avere un buon controllo. Posso avere tutti i punti vendita diretti? No (anche se sono Apple), perché comunque voglio avere una distribuzione abbastanza ampia, infatti c’è anche la strada della distribuzione MISTA (in parte diretta e in parte indiretta): alcuni punti vendita di proprietà, e alcuni punti vendita non di proprietà ma dove cerco di creare collaborazione con i punti vendita, quindi fare rade marketing. Hanno una distribuzione mista brand come Zara (ha una distribuzione con negozi di proprietà Zara e altri in franchising, diretto + indiretto breve quindi), Nike (ha alcuni negozi ammiraglia, cioè quelli molto belli, per il resto sono negozi non di proprietà ma con i quali Nike cerca una collaborazione). Il criterio di controllo dunque ti porta a scegliere il canale che ti consente un controllo maggiore; qual è? Sicuramente il canale diretto ti permette un controllo al 100%; potremo accettare anche il canale indiretto breve con un trade marketing fatto bene verso il distributore. Nell’ambito della moda i brand si stanno orientando verso l’acquisizione di un maggior controllo; all’inizio molti brand puntavano su retailer locali, quindi una distribuzione indiretta, le partnership non hanno sempre funzionato, molti brand si stanno comprando i distributori locali (stanno quindi facendo un’integrazione verticale, per avere più controllo: voglio vedere come viene venduto il prodotto, a quale prezzo, a chi). Spesso il controllo porta con sé anche una maggiore marginalità, ma non sempre. Non ce n’è uno migliore, dipende dalle specificità aziendali; se è un’azienda con problemi finanziari, dipende molto dalle fonti finanziarie esterne, sicuramente un canale più diretto non ce la fa; se invece è un’azienda con solidità patrimoniale finanziaria si può permettere un canale diretto (se ha senso farlo nel suo mercato). Gruppo Di Martino che fa pasta secca; è una PMI. Vedi slide Hanno fatto una scelta molto coraggiosa; tendenzialmente la pasta secca vuole un canale indiretto lungo se sono un brand che ha un vantaggio competitivo di costo (magari vendo tramite discount, o comunque non voglio primeggiare sul valore); questa è la scelta convenzionale. Questa azienda invece sceglie di passare ad una distribuzione diretta aggiungendo degli elementi di servizio e di esperienza: aprono una rete di pasta store con ristorazione di proprietà; quindi una scelta molto coraggiosa, investimenti diretti e costi fissi, con l’obiettivo di far crescere tanto il brand rispetto ad un prodotto ad elevata rotazione, però loro cambiano la prospettiva perché dicono di non aprire il negozio dove vendono la pasta, ma aprono il negozio dove vendono la pasta trasformata con l’esperienza italiana; diventa un business un po’ diverso. Il consumatore non ha più fiducia nei mercati, è disorientato, anche i prodotti gastronomici rischiano di diventare anonimi à rischio di banalizzazione. Se c’è la banalizzazione io che non sono leader del mercato rischio di subire di più la contrazione della marginalità, devo fare qualcosa. La piccola impresa quindi o lavora sul consumatore cercando di fare breccia in un secondo tempo sul distributore, oppure va dal distributore dicendogli che non è famoso ma gli certifica di avere un buon prodotto, e che può venderlo (lui distributore) a 15€ e a lui produttore gliene può dare 7. Balconi: merendine di qualità accettabile che puntavano alla convenienza; ad un certo punto si è messa a fare comunicazione sul consumatore finale, quindi pubblicità, per cercare di avere più potere contrattuale verso i distributori, quindi passare da una logica push ad una logica mista (lavorando quindi non solo sul distributore ma anche sulla testa del consumatore). Infine c’è il TRADE MARKETING: come si fa a convincere I distributor a collaborare con I produttori, quali sono le armi à 1. L’arma del margine: ti propongo un prodotto che in virtù di una serie di elementi che cerco di descriverti in modo credibile, ti permetteranno di fare un prezzo di sell-out su quel prodotto tale per cui tolto quello che mi dai come prezzo di sell-in ti lasci un margine interessante. Questo è un elemento di convincimento importante, ma in molti casi non basta, bisogna cercare altre strade. Come faccio a convincere il distributore a vendermi meglio dei concorrenti? à oltre ai margini, potremo lavorare sule scontistiche, quindi per convincerti, sulle prime forniture ti faccio uno sconto lusinga (quindi un super sconto per convincerti a comprare il prodotto) oppure giochiamo sui tempi di pagamento che, in alcuni mercati, sono una manna dal cielo perché permettono alle aziende di giocare poi sui flussi di cassa (cioè anziché pagarmi tra 90 giorni puoi pagare tra 120). Si può giocare sulla logistica, cioè come il prodotto arriva al distributore; oppure non fai pagare al distributore i costi di trasporto; c’è poi l’arma dei prodotti a marchio commerciale (sono le cosiddette private label), sono i prodotti venduti con la marca del distributore ma non realizzate dal distributore. Se io sono Coop e mi sto interfacciando con Barilla, se Barilla mi dice che la pasta a marchio Coop te la fa lui Barilla, ti sto mettendo sul piatto la garanzia della qualità Barilla, quindi il consumatore a scaffale si troverà di fronte la pasta Coop e la pasta Barilla che sono entrambe fatte da Barilla, però una la identifica come marchio commerciale più conveniente e l’altra come la pasta di marca nota industriale. Significa quindi che la pasta a marchio Coop che metterà in vendita a 0,90 Coop la pagherà 0,20, il minimo possibile, in modo che le rimanga un bel margine. Altro modo per convincere il distributore a trattarci bene è proteggerlo dalla concorrenza sleale; io Barilla potrei dire al distributore che la mia pasta la do a te e non la do al discount che opera a 1 km di distanza; però tu il mio prodotto, nel tuo punto vendita lo venderai sempre in un certo modo. Sto creando delle condizioni affinché possa avere più controllo su quello che succede nel mercato. Altro modo per far contento il distributore potrebbe essere non dare il prodotto a troppi retailer (quindi ridurre la concorrenza sulla medesima area territoriale); potrei impegnarmi a non saltare il dealer: significa che ci sono dei produttori che vendono tramite distributori, e contemporaneamente fanno la vendita online, o tramite il loro spaccio aziendale; se il produttore vuole proteggere il rapporto che ha con i distributori, dovrebbe cercare di non saltare il dealer, perché se il consumatore può venire nello spaccio aziendale e trova il prodotto ad un prezzo scontato non andrà a comprarlo nel negozio che tratta quel prodotto. Quindi se c’è il rischio di far saltare il passaggio commerciale, e quindi di non far guadagnare il distributore, questo può essere un elemento importante nella trattativa per ingraziarsi il retailer. Altra cosa, potrei mettere sul piatto della trattativa l’allestimento del punto vendita: ti faccio la vetrina di Natale a spese mie mandandoti i visual merchandiser, che è una persona esperta nella composizione degli spazi in vetrine e nel punto vendita. Quindi la disposizione degli arredi e dei prodotti viene fatta scientificamente, tecnicamente, per poter essere più impattante. Iniziative di comunicazione fatte sul consumatore finale per generare vantaggio per il distributore: io posso quindi fare delle iniziative affinché le iniziative che vanno sulla testa del consumatore ma che contestualmente facciano venir fuori positivamente in questo caso il distributore che magari in quella zona territoriale è l’unico che tratta il mio prodotto. Se sono Adidas e organizzo un tour di intrattenimento basato sulla musica, in 10 città attentamente selezionate, con l’obiettivo di attrarre i giovani, e all’interno dell’evento do un voucher, un elemento promozionale per andare a spendere in quel negozio, che è il negozio di riferimento di Adidas in quella zona territoriale, io sto lavorando sulla testa del consumatore ma contestualmente sto creando un vantaggio per chi vende il mio prodotto; il vantaggio è quello di farti arrivare gente, gente che arriva con un coupon che gli garantirà uno sconto sull’acquisto. Quindi anche questo è trade marketing à investire io come produttore sull’intrattenimento di cui beneficerà l consumatore finale, ma per far avere un vantaggio in questo caso al distributore, che può essere un vantaggio di notorietà, di immagine o di traffico sul punto vendita. Wella (prodotti per capelli) con la linea professional lancia lo specchio magico da piazzare nei migliori saloni di parrucchieri come strumento di fidelizzazione, in un’ottica di trade marketing. Riconosce quindi il bisogno del cliente, gli propone le acconciature del passato, gli prospetta una serie di tagli e acconciature; questo è un elemento di dinamismo all’interno del salone che rappresenta un diversivo nel rapporto con il cliente; è tutto fatto da Wella, a sue spese, ma il beneficio sarà forte anche per il distributore, che potrà fare qualcosa di non convenzionale verso la sua clientela. Alcune iniziative di comunicazione che le aziende fanno sono destinate in modo specifico sul distributore. Perché facciamo queste cose: perché i punti vendita sono sempre più rilevanti rispetto alle scelte finali del consumatore; perché sempre di più sul punto vendita ci giochiamo la partita con i concorrenti; e perché sempre di più ci possiamo aspettare che il punto vendita sia un territorio non solo per vendere, ma anche per raccogliere dati sul mercato. Altro tema molto importante, perché cercare di collaborare con il distributore à perché sempre di più il distributore è un concorrente di produttori industriali. Ci sono una serie di insegne distributive che in realtà sono a tutti gli effetti dei produttori, come Ikea che produce gran parte dei prodotti che vende, in fabbriche di proprietà. È un produttore quindi di mobili e arredi con un certo posizionamento che ha integrato in via del tutto completa la sua catena del valore. Zara: una parte della produzione nasce da fornitori dove Zara ha delle partecipazioni, quindi copre una parte della catena del valore. Decathlon: il prodotto è pensato da Decathlon, sviluppato dal punto di vista produttivo sempre da Decathlon e venduto in un ambiente dove c’è solo il prodotto Decathlon, dove i concorrenti non entrano. Nike: canale indiretto breve, abbinato ad alcuni punti vendita di proprietà quindi si dovrebbe parlare più di distribuzione mista, qualche negozio a gestione diretta e prevalentemente negozi non di proprietà di Nike dove Nike è presente; la logica di scelta del canale è quella del controllo, è fondamentale per Nike presidiare il momento della verità durante la vendita del prodotto; la copertura è selettiva; la logica di incentivazione è mista perché Nike lavora tanto sulle nostre teste affinché si attribuisca a Nike delle valenze distintive e il brand rimanga sempre forte nella nostra mente; lavorano tanto sui punti vendita per incentivarli a venderci bene il prodotto.
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