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Marx e la critica al capitalismo: la legge dialettica della realtà e la lotta di classe, Appunti di Filosofia

SociologiaMarxismoStoria del capitalismoTeoria della storia

Marx riconosce la legge dialettica della realtà come totalità di un processo storico caratterizzato da elementi in continua opposizione. Egli critica l'economia borghese per la sua incapacità di pensare la storia in modo dialettico e la sua ignoranza delle profonde contraddizioni interne al sistema capitalistico. Marx ritiene che l'alienazione sia un fatto negativo per la natura umana dovuto a una condizione socio-economica specifica, e che la causa di questo meccanismo che aliena l'uomo dalla sua natura sia la privatizzazione dei mezzi di produzione a favore del capitalista. un quadro di base sulla teoria marxista della storia e della società, con un focus particolare sulla critica al capitalismo e sulla concezione materialista-storica.

Cosa imparerai

  • Come Marx critica l'economia borghese?
  • Come l'alienazione è descritta da Marx?
  • Che cosa significa per Marx la legge dialettica della realtà?

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 01/11/2022

giuliasaaaaa
giuliasaaaaa 🇮🇹

5 documenti

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Anteprima parziale del testo

Scarica Marx e la critica al capitalismo: la legge dialettica della realtà e la lotta di classe e più Appunti in PDF di Filosofia solo su Docsity! Appunti su Marx (HASTA EL COMUNISMO SIEMPRE) Karl Marx fa parte della sinistra hegeliana, cioè i filosofi che, riprendendo il pensiero di Hegel e criticando l’atteggiamento giustificazionista dell’esistente (siccome fondato appunto sulla ragione) e conservatore della Destra hegeliana, interpretano la filosofia come una critica dell’esistente e un progetto di trasformazione rivoluzionaria antropologica (Feuerbach) e politico-economica (Marx). Il primo segno distintivo della filosofia marxiana è la sua irriducibilità al carattere puramente teorico della filosofia: il suo pensiero è profondamente radicato da una volontà materiale di trasformazione e cambiamento della società sulla base delle sue teorizzazioni. La sua filosofia si pone come una generale analisi della società e della storia. L’idea è quella di tradurre quell’unione tra realtà e razionalità che Hegel aveva lasciato solamente sul piano teorico. Ed è proprio questa la massima critica di Marx a Hegel, ossia il fatto che abbia concepito una filosofia troppo speculativa e poco materiale pratica, credendo che sia la coscienza (o spirito che ritorna in sé) a fondare la realtà e non il contrario: secondo Marx invece, materialmente parlando, è la realtà che ci circonda a definire la nostra coscienza. Vi è una frase indicativa di questo atteggiamento: ‘I filosofi finora hanno interpretato il mondo, ora è il momento di cambiarlo’. Le fonti del pensiero di Marx sono la filosofia tedesca di Hegel e Feuerbach, l’economia politica liberale di Smith e Ricardo e il pensiero socialista di cui critica però l’aspetto puramente ideologico (e ideologia ha uno specifico significato in Marx). È innegabile tuttavia che l’hegelismo abbia esercitato un notevole influsso, per affinità o contrasto, su Marx. Lo stratagemma di Hegel secondo Marx è stato quello di trasformare realtà empiriche in manifestazioni necessarie dello Spirito, quindi razionali. Marx parla di misticismo logico, un artificio filosofico dovuto al capovolgimento idealistico dei rapporti di predicazione tra soggetto e oggetto, per cui la realtà deriverebbe dallo Spirito o coscienza. Sulla scia di Feuerbach anche Marx compie un capovolgimento dei rapporti di predicazione: è la realtà che fonda lo Spirito. Dall’altra parte Marx riconosce la legge dialettica della realtà come totalità di un processo storico caratterizzato da elementi in continua opposizione (il motore della storia secondo Marx è la lotta di classe, cioè continui rapporti di antitesi rispetto alla struttura economica dell’epoca). Critica allo Stato moderno e al liberalismo La modernità ha determinato una scissione, una rottura fra società civile e Stato, di cui era convinto anche Hegel stesso: mentre nella polis greca l’individuo si trovava in un’unità sostanziale con la comunità, era parte organica della comunità, senza conoscere antitesi tra privato e pubblico, l’uomo moderno invece è costretto a vivere due vite: una in terra, nella concretezza come un borghese, una in cielo, solo astrattamente, come un cittadino: solo illusoriamente l’individuo crede di vivere come parte integrante dello Stato, ma in realtà non è così. E’ la società civile con i suoi contrasti di interessi, di natura ovviamente capitalista, a dominare il panorama statale e quindi non è lo Stato ad unificare e a sottomettere la società civile ma il contrario. La società moderna rappresenta la società degli idiotismi reali e della fratellanza e universalità illusoria. Individualismo e atomismo caratterizzano la società moderna e l’individuo è solamente immerso in un contrasto di interessi dei più potenti che lo Stato fa prevalere e che non riesce mai a sottomettere. Tutto questo è dovuto alla Rivoluzione francese con la cui costituzione si è sancita per la prima volta la supremazia dell’uguaglianza solo formale e astratta rispetto a quella sostanziale. L’unico modo per creare una società politica e sociale, cioè che unisca la sfera privata e pubblica, è eliminare le disuguaglianze e il fondamento di tale disuguaglianza: la proprietà privata dei mezzi di produzione su cui il capitalismo si basa. Si mira quindi ad un'emancipazione umana della classe che non possiede la proprietà privata, ossia il proletariato. La critica all’economia borghese Marx è convinto che l’economia borghese sia incapace di pensare alla storia in modo dialettico, cioè in una prospettiva storico-processuale: infatti l’economia borghese ha la pretesa di eternizzare il sistema capitalistico, ignara delle profonde contraddizioni che esso presenta al suo interno e che saranno causa della sua caduta e della necessaria nascita della società comunista. Prima contraddizione che Marx nota nel sistema capitalistico e che genera la differenza fra le due classi, borghesia e proletariato, è l’alienazione. Per Hegel l’alienazione era l’uscita necessaria, dialettica dell’idea fuor di sé e della sua perfezione creando quindi l’antitesi. In Feuerbach invece l’alienazione era qualcosa di puramente negativo poiché corrispondeva alla scissione dell’uomo delle sue capacità naturali, preferendo sottomettersi ad una creatura che assumesse le sue caratteristiche anche migliorate, cioè Dio. Con l’alienazione in Feuerbach da antropologia si passava a teologia. Marx, riprendendo Feuerbach, ritiene che l’alienazione sia un fatto puramente negativo per la natura umana, non dovuto tuttavia ad un errore di coscienza, ma ad un fatto reale di natura socio-economica, in quanto si identifica con la condizione del proletario salariato immerso nella società capitalistica del profitto. Per Marx l’alienazione che subisce l’uomo nel momento in cui lavora al servizio di un capitalista è: 1. Rispetto alla propria essenza: secondo Marx infatti l’uomo è per natura un animale lavorante e proprio per questo si differenzia dagli altri animali. Egli è in grado di trasformare continuamente la natura e la felicità dell’uomo consiste proprio nella possibilità per lui di svolgere un’attività libera, universale e creativa per soddisfare i propri bisogni. Nella società capitalistica invece egli è costretto ad un lavoro forzato, il suo lavoro diventa merce perché il capitalista compra il suo lavoro e gode della sua produzione 2. Rispetto al prodotto della propria attività: infatti in virtù della propria forza lavoro egli produce qualcosa che non gli spetterà e che andrà ad alimentare le tasche del capitalista. In cambio a lui spetta un piccolo pagamento per il suo sforzo, il salario. 3. Rispetto alla propria attività: perché egli svolge un’attività forzata dall’alto per fini a lui estranei che non soddisferanno alcun suo bisogno. Quindi lui in fabbrica si trasforma in bestia quando invece dovrebbe sentirsi uomo, perché è il lavoro l’essenza dell’uomo, e si sente uomo quando si comporta realmente da bestia, cioè - presentano le proprie idee come universalmente valide - credono che l'emancipazione umana debba avvenire in base alla formulazione di idee vere - forniscono un quadro mistificante della realtà Il Manifesto del partito comunista L’opera, pubblicata nel 1848, si propone di analizzare la funzione storica della borghesia e il concetto della storia come lotta di classe, e di criticare i socialismi non scientifici. Secondo Marx a differenza delle classi sociali del passato, cioè coloro che detengono la proprietà privata dei mezzi di produzione e quindi del profitto, la borghesia non può esistere senza rivoluzionare continuamente gli strumenti di produzione e i rapporti di produzione. Tuttavia, nota Marx, le moderne forze, sempre più consapevoli della loro importanza sociale, si rivoltano contro i vecchi rapporti di produzione, che invece rimangono statici, e il proletariato perciò non può fare a meno che lottare per superare necessariamente il capitalismo. Marx arriva a dire che la lotta di classe è da sempre stato il motore della storia e la necessaria concretizzazione degli squilibri tra forze di produzione e rapporti di produzione, che ha portato alla nascita di un nuovo modo di produzione. A questo i capitalisti non possono esimersi. Il Manifesto è dedicato anche ad una sezione, in cui Marx tratta il problema dei cosiddetti ‘falsi socialismi’, con cui Marx indica tutte quelle dottrine che non sono ancora giunte ad un socialismo scientifico, cioè quando il socialismo si trasforma in programma di emancipazione del proletariato e scienza della rivoluzione, cessa di essere un ideale, per divenire una necessità storica che determina il tramonto del capitalismo, e si avvale di un metodo scientifico-materialistico per analizzare la società. I tre socialismi che Marx critica sono: il socialismo reazionario che attacca la borghesia secondo parametri conservatori auspicando ad un ritorno o al feudalesimo o alla piccola industria manifatturiera; il socialismo conservatore che ritiene possibile rimediare agli inconvenienti del capitalismo senza però minarlo nelle sue fondamenta; socialismo utopistico che non riesce a riconoscere la necessaria funzione storica e quindi rivoluzionaria del proletariato, muovendosi in un ambito appunto utopistico. Il Capitale Nel Capitale Marx dimostra a livello economico le contraddizioni che minano la solidità del capitalismo e danno modo di iniziare la rivoluzione – il capitalismo è un modo di produzione caratterizzato da: separazione fra lavoratore e mezzi di produzione, monopolio dei mezzi di produzione della classe capitalistica, trasformazione della forza lavoro in merce, concentrazione della produzione, valorizzazione del capitale che deriva da un’accumulazione del plusvalore, cioè livello di sfruttamento di lavoro non retribuito-. Marx parte dal fatto che il capitalismo si basi sulla produzione generalizzata di merci. Il valore della merce corrisponde al tempo di lavoro cristallizzato in essa e possiede un valore d’uso e un valore di scambio. Il primo è un valore che misura l’utilità della merce nella soddisfazione dei bisogni materiali dell’uomo. Il secondo è un valore universale che consente alle merci di essere scambiate ed è questo valore che dipende dal lavoro socialmente necessario. IN realtà il valore di scambio non corrisponde sempre col prezzo al quale viene venduta la merce: infatti nel prezzo subentrano altri fattori, come l’offerta e la domanda di quella precisa merce. Il prezzo può essere anche influenzato dal feticismo delle merci, ossia quel fenomeno per cui appare chiaro che le merci hanno valore di per sé, dimenticandosi che esse in realtà sono frutto dell’attività umana, che viene resa vana. La produzione della merce, nota Marx, non è finalizzata al consumo, bensì all’accumulazione di capitale: così se nell’economia precapitalistica la formula era MDM per cui la merce viene trasformata in denaro e il denaro viene riconvertito in merce, nell’ economia capitalistica invece la formula è diventata DMD (1), per cui il capitalista investe denaro per la merce e dalla produzione e vendita di essa ottiene più denaro di quanto non ne abbia investito. Questo denaro in aggiunta Marx lo chiama plusvalore. Marx a questo punto si chiede da dove derivi questo denaro in eccesso e capisce che il plusvalore provenga dalla produzione, cioè dal lavoro dell’operaio che il capitalista acquista come merce: infatti il capitalista compra la sua forza lavoro pagandola secondo quanto lavoro è in grado socialmente di compiere, cioè il salario. Tuttavia il pagamento di tale lavoro che serve a mantenere in vita l’operaio non corrisponde mai a quel tempo di lavoro cristallizzato nella merce, cioè compie un lavoro gratuito al capitalista che gli paga appunto una minima parte del lavoro totale. Ecco il plusvalore deriva dallo sfruttamento di lavoro non retribuito, cioè dal pluslavoro. Dal plusvalore deriva il profitto dell’imprenditore. Tuttavia profitto e plusvalore non sono la medesima cosa: infatti mentre il plusvalore nasce soltanto in relazione ai salari, ossia al capitale variabile (capitale investito per pagare la merce umana), il profitto invece tiene conto anche del capitale costante (cioè il capitale investito per mantenere i mezzi di produzione). I saggi di plusvalore e di profitto calcolano le percentuali corrispettivamente dello sfruttamento di lavoro e del profitto. Il primo è il rapporto tra plusvalore e capitale variabile, il secondo è identico con l’aggiunta al denominatore anche del capitale costante sommato a quello variabile. Emerge che il saggio del plusvalore è sempre maggiore rispetto al saggio del profitto, che tiene conto di entrambi i capitali. Per aumentare il suo plusvalore il capitalista deve diminuire l'orario della giornata di lavoro e di conseguenza aumentare la produzione. E da qui discende la necessità per il capitalismo di introdurre sempre mezzi più efficienti per ottimizzare la produzione. Tuttavia l'aumento di produttività genera il fenomeno della crisi di sovrapproduzione delle merci. Si arriva ad un'anarchia delle merci in cui i capitalisti si gettano dove il profitto è più alto, creando una sempre maggiore concorrenza incontrollata, anarchia della produzione (si abbatte così il principio ordinatore della mano invisibile tipica del liberismo di Smith). Inoltre la necessità del capitalista di rinnovare continuamente i mezzi di produzione per ottenere una maggiore produzione in breve tempo e quindi per aumentare il plusvalore genera la caduta tendenziale del profitto, che risulterà sempre meno elevato rispetto al capitale investito, perché superato dal capitale costante e che genererà una crisi di disoccupazione che va ad alimentare quello che per Marx è l’esercito industriale di riserva. Sommando i fenomeni questo causerà secondo Marx la scissione in due classi antagoniste (Marx in generale ha una visione dualistica delle classi che si sono susseguite nel corso della storia): col passare del tempo ci saranno sempre meno capitalisti, i più grandi e ricchi, che assumeranno il monopolio delle principali produzioni, aggiogando i medi e piccoli capitalisti, e dall'altra ci sarà un numero sempre maggiore di proletariato, salariati, occupati e disoccupati. Quindi, riassumendo, la contraddizione cardine che provoca tali disastri al capitalismo e che prefigura la sua necessaria caduta e quindi la nascita della società comunista è: IL CONTRASTO FRA LE FORZE PRODUTTIVE CHE SONO SEMPRE PIU’ SOCIALI E I E I RAPPORTI DI PRODUZIONE CHE SONO SEMPRE PIU’ PRIVATISTI. La nascita della società comunista Secondo Marx il proletariato ha una missione storico-universale: deve sfruttare le contraddizioni interne al sistema capitalistico per attuare una rivoluzione sociale e fondare un nuovo modo di produzione, quello comunista che cancella la società privata, la divisione del lavoro e il dominio delle classi. Per fare ciò bisogna socializzare i mezzi di produzione, e quindi abbatterne la proprietà privata e di conseguenza la società di borghese. Addirittura per agevolare il passaggio dalla società borghese e quella comunista il proletariato deve instaurare una dittatura in modo tale da imporre la propria egemonia. La maggioranza di ex oppressi schiaccerà la minoranza di ex oppressori. La società comunista si realizzerà nel momento in cui l'uomo supererà i rapporti di puro possesso e consumo, che generano la proprietà privata. In una prima fase (detta rozza) la società comunista conserverà alcuni aspetti dell'antica società borghese in cui i mezzi di produzione saranno nazionalizzati, lo Stato si farà datore di lavoro e il lavoro verrà livellato in misura uguale per tutti. Tuttavia questa uguaglianza è ancora di stampo borghese in quanto si limita a non considerare le differenze individuali di ciascuno. La seconda fase del comunismo 'autentico' troverà una forma superiore di eguaglianza basata sui bisogni e la capacità del singolo: "ognuno secondo le sue capacità; a ognuno secondo i suoi bisogni".
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