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Maschilità e cura educativa - C. Ottaviano e G. Persico, Dispense di Sociologia

Riassunto del libro “Maschilità e cura educativa. Contronarrazioni per un (altro) mondo possibile” di Cristiana Ottaviano e Greta Persico

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 20/12/2023

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Sara_Ponti 🇮🇹

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Scarica Maschilità e cura educativa - C. Ottaviano e G. Persico e più Dispense in PDF di Sociologia solo su Docsity! MASCHILITÀ E CURA EDUCATIVA Sono pochissimi gli uomini che scelgono le professioni di cura, specialmente nella prima infanzia -> abbiamo molti stereotipi : maschi inadatti alla cura, un uomo che si occupa di mansioni considerate femminili è gay, queste professioni non sono riconosciute socialmente e sono pagate poco, c’è il problema della pedofilia... => gli uomini sono una minoranza nei percorsi formativi che preparano a questi lavori anche se solitamente non viene considerato molto questo fatto, ma si guarda solo alle ragazze che frequentano in numeri minori corsi di studio tecnico-scientifici -> questo gender gap è unidirezionale (la nostra società si preoccupa solo della scarsità di donne in ambiti ritenuti maschili, non del contrario). Dal punto di vista culturale la cura educativa viene percepita come un lavoro ‘facile’, che non richiede qualificazione, e quindi un ambito soprattutto femminile, di scarsa rilevanza sociale. La presenza lavorativa maschile cresce al crescere del grado di istruzione (scuole medie, superiori e soprattutto università), mentre per quanto riguarda l’infanzia, la presenza di maschi crea una sorta di fastidio culturale -> nel nostro sistema sociale i ruoli di cura sono occupati da donne (baby sitter, badante, maestra...) MA maestri ed educatori esistono e possono costituire modelli alternativi per i bambini che incontrano (e che diventeranno gli uomini di domani) -> la cura educativa maschile nella prima infanzia può prevenire le discriminazioni e la violenza di genere, e contribuire a costruire una società più giusta. Si considera la virilità legata all’aggressività, anche se sappiamo che gli uomini hanno la capacità di amare e curare i bambini così come le donne possono avere successo anche in ambiti diversi. Il problema è di tipo culturale -> bisogna passare da una rappresentazione dicotomica, gerarchica e complementare dei generi (quella in cui siamo cresciuti) a un orizzonte socio-relazionale di equità, collaborazione ed eguaglianza tra uomini e donne. Molti uomini che hanno un ruolo di cura educativa ricordano spesso esperienze di cura vissute con padri o nonni significativi (c’è una trasmissione intergenerazionale di questo ruolo di cura). La funzione paterna è cambiata a partire dagli anni Ottanta del Novecento, quando i padri sono diventati più sensibili, più capaci di manifestare affetto e curare i figli. I padri del passato erano infatti spesso duri di carattere, rigorosi, chiusi dal punto di vista emotivo. C’era inoltre una dimensione gerarchica tra padre e figlio, che al giorno d’oggi non esiste più + le tecniche di procreazione medicalmente assistita, le adozioni da parte di single o di coppie dello stesso sesso hanno ormai diffuso l’idea che la genitorialità sia innanzitutto relazione e pratica di cura, più che qualcosa di dato da vincoli genetici. La paternità è coinvolta e condizionata da questa concezione della genitorialità (biologica e non) come assunzione di responsabilità e di cura, connessa al concetto di generatività ( = promozione della cura responsabile di sé stessi e degli altri) => l’obiettivo ultimo è amplificare le possibilità creative del maschile e le chance che esso ha di contribuire a un mondo più giusto, per creare una società più rispettosa delle differenze e maggiormente capace di valorizzarle. 1 - MASCHILITÀ E CURA EDUCATIVA: VIAGGIO ALLA RICERCA DI STORIE ALTRE Le ricercatrici di questo libro ritengono sia necessario “disertare il patriarcato” = cioè uscire da ranghi, uniformità, limiti imposti e legati all’immagine e al ruolo di maschio o femmina + vogliono costruire relazioni non gerarchiche e non violente (tra maschio e femmina) -> questo vuol dire per i maschi abbandonare dei privilegi di genere ben determinati storicamente, che spesso sono frustranti e creano stereotipi. Ancora oggi questo è difficile MA è una grande opportunità per costruire una vita relazionale migliore. Per raggiungere questi obiettivi bisogna usare delle contronarrazioni, cioè non limitarci a osservare quello che viviamo per come è, ma creare e considerare delle nuove narrazioni che si discostano da quelle comuni e considerano diverse soggettività, storie che spesso non vengono considerate, modelli alternativi -> ci si allontana dal potere patriarcale che risulta confinato. Secondo la prospettiva sociologica adottata, “mascolinità” e “femminilità” sono condizioni che cambiano in base alla situazione. Nella soggettività umana esiste un dato biologico di partenza: come individui nasciamo in un corpo differente codificato come maschile o femminile. Se guardiamo però al sistema patriarcale, notiamo che produce e riproduce delle differenze tra il “maschile” e il “femminile” -> il sistema patriarcale infatti, attarverso meccanismi di “violenza simbolica”, ha istituito delle gerarchie, solitamente a favore degli uomini. Intendiamo quindi : genere -> struttura di relazioni • ordine di genere -> va oltre i rapporti tra uomini e donne, riguarda soprattutto strutture di dominio, • modalità gerarchiche di pensare il mondo e i rapporti tra le persone Le differenze biologiche tra maschi e femmine NON sono una valida ragione per considerare dei ruoli tradizionali delle donne o degli uomini -> i maschi hanno le capacità per svolgere ruoli di cura e le donne di raggiungere il successo nel mondo del lavoro extra-domestico. => bisogna quindi costruire nuove prospettive più libere, nuovi percorsi meno stereotipati e più aperti, che ci permettano di scegliere chi e come vogliamo essere. Questa sociologia deve “alterare” i problemi e fenomeni sociali, culturali e storici, perché solo se mi altero posso avere delle nuove alternative di esistenza e posso quindi osservare la differenza tra il me di prima e il cambiamento. La realtà NON consiste in una serie di classificazioni e categorie, non è fissa ma un processo, non è unica ma molteplice. La vita umana e le società sono cambiamento e differenza => ogni rappresentazione è inevitabilmente provvisoria e arbitraria. Quindi la sociologia deve rivolgersi a un pubblico vasto, eterogeneo, con diverse prospettive e diversi sguardi critici attraverso contronarrazioni che vengono diffuse con linguaggi e strumenti differenti per raggiungere più persone possibili e ottenere un meglio collettivo. La cura come “grado zero” di umanità, la cura educativa come possibilità di ‘vita buona’ Nell’esperienza umana ci sono cose essenziali e irrinunciabili che spesso sfuggono al senso comune e al pensiero: quello che è più quotidiano, più vicino a noi, spesso è come se restasse sconosciuto, dato per scontato. Per la vita la cura è essenziale e irrinunciabile, senza cura la vita non può esserci: secondo Heidegger l’essere umano ha come tratto essenziale la cura, intesa come “esserci“. Nasciamo grazie alla cura di chi ci mette al mondo e invecchiamo/moriamo accanto a qualcuno che si prende cura di noi -> viviamo grazie alla cura di chi ci sta accanto e spesso realizziamo tutto questo soprattutto nei momenti in cui viene a mancare e ci sentiamo soli. Nella vita di tutti i giorni viene richiamata la cura e la necessità di stare accanto agli altri. Questo bisogno è strettamente legato alla nostra realtà umana: siamo esseri estremamente fragili, potenti e vulnerabili allo stesso tempo -> con “vulnerabile” intendiamo un corpo completamente nudo, e quindi anche i maschi (che solitamente incarnano la forza, la potenza) possono essere pensati come essere vulnerabili, senza corazze, Il paradigma di partnership considera la natura umana (di femmine e maschi, adulti e bambini) come vulnerabile, mancante, che costringe le persone a stare in relazione di interdipendenza e cura reciproca -> questo modo di pensare i rapporti umani può essere una soluzione efficace alla violenza, alla discriminazione, alla considerazione del potere che non è una forza da esercitare contro qualcuno, ma è un valore che lega le responsabilità di ciascuno. Secondo i “Men’s studies” L’abitudine alla cura (soprattutto quella corporea) da parte dei maschi, può favorire il diffondersi di maschilità non tossiche -> gli uomini sono sempre stati descritti come competitivi, dominanti, autonomi e indipendenti, MA se cambia il rapporto con la cura, cambia anche il soggetto ES in Svezia esistono i “latte pappas” : cioè padri che si dedicano a tempo pieno ai figli fin dalla nascita, fornendo contatto fisico che li porta ad essere persone più tranquille, più serene, più accoglienti, oltre ad avere un legame più intenso con i figli per tutta la vita e a costruire relazioni più solide e meno competitive. Il tema del corpo è cruciale: il maschio viene rappresentato attraverso una conformazione corporea tipica e ben definita (più alto della donna, muscoloso…), che presuppone una dimensione di potere, di dominio e quindi diventa uno strumento che si considera più adatto alla guerra che alla pace, alla violenza che alla tenerezza -> è un corpo che viene spogliato della sua parte di vulnerabilità costitutiva dell’essere umano (perché è considerata inconciliabile con il dominio e il comando). Le pratiche di cura sono strettamente legate al corpo perché la connessione tra gli uomini passa attraverso la dimensione corporea (bisogno di una carezza, di un abbraccio…) => dare importanza al corpo, mostrare la vulnerabilità, esprimere le emozioni (piuttosto che stare in silenzio) è una risorsa preziosa per andare oltre agli stereotipi di ruolo, oltre alla violenza, per giungere ad una visione del mondo e di relazioni gilaniche, mutuali, collaborative e non violente. Testimonianza Giovanni (63 anni) sette fratelli, famiglia contadina -> aveva la responsabilità, al pari della prima sorella, di badare ai fratelli più piccoli e alla casa. Ricorda il padre come una persona mite, che aiutava in casa e andava d’accordo con la madre. I valori di casa erano l’importanza della scuola, lo studio, l’onestà, l’andare a messa. Episodio forte -> a 5 anni viene ricoverato in un ospedale a 200km da casa per due anni a causa di una pleurite. Sono anni difficili e tristi ma lui non piange mai. Ricorda un maestro violento che picchia e terrorizza gli alunni, mentre alle medie ha insegnanti migliori. A 15 lascia la scuola per andare a lavorare in fabbrica e nel frattempo frequenta la scuola per diventare assistente di comunità infantile (oggi servizi sociali), dove conosce sua moglie. Decide poi di licenziarsi dalla fabbrica e di lavorare in un ambito economicamente un po’ rischioso, una cooperativa. Si occupa di disabilità, disagio minorile, tossicodipendenza… e diventa poi educatore professionale. Incontra Lorenzo, un ragazzo che ha avuto una condanna e con cui si lega molto. Dopo due anni il ragazzo sta bene e mancano solo due mesi alla sua libertà quando ha un infarto e muore. Giovanni non si dà pace, si chiede il senso del suo lavoro ed è frustrato perché non ha potuto salvare Lorenzo MA è consapevole che le persone non possono essere guarite, ma possono essere accompagnate : l’educatore può mettersi al loro fianco, stare con loro. Lavorerà poi come educatore di nido fino alla pensione. Testimonianza Matteo (35 anni, secondogenito) È cresciuto in contatto prevalentemente con la famiglia materna e ricorda la mamma come figura casalinga e che si occupa dell’educazione, mentre il papà era piuttosto assente. Frequenta la scuola materna gestita da suore in modo faticoso, piangendo ogni giorno perché non voleva separarsi dalla mamma. Acquisisce qui regole molto precise e una buona educazione. Frequenta le elementari con un maestro apprezzato e innovativo, si scrive poi all’Istituto magistrale spronato e sostenuto dalla famiglia. Dopo le superiori frequenta scienze dell’educazione anche se sogna di diventare maestro in quanto era convinto di voler lavorare con i bambini delle elementari. Svolta -> viene chiamato in quanto educatore per fare una supplenza alla maternità, dove si appassiona e rimane per cinque anni come insegnante di sezione. Successivamente rifiuterà l’offerta di lavorare nella scuola primaria per lavorare come educatore e psicomotricista in un asilo nido 2 - EDUCATORI E MAESTRI: UNO SGUARDO ALLE RICERCHE INTERNAZIONALI La rilevazione di un’assenza: quello che i numeri non dicono Il fenomeno della femminilizzazione dell’educazione caratterizza tutti i paesi maggiormente industrializzati, anche se il divario tra i generi non è omogeneo ma decresce con la crescita dell’ordine di scuola considerato: 97% di femmine nell’infanzia • 83% di femmine nella primaria • 64% di femmine nella secondaria • 43 % di femmine nell’istruzione universitaria (sono di più i maschi) • -> Tra le cause di questo c’è una stereotipata visione delle competenze di maschi e femmine, che ‘genderizza’ la presenza nei diversi settori di insegnamento umanistico e tecnico scientifico. Dal punto di vista economico abbiamo un ulteriore disparità: gli stipendi delle insegnanti sono uguali o superiori alla media di quelli di donne laureate occupate in altri settori, mentre gli uomini che insegnano hanno stipendi più bassi rispetto alla media di quelli che guadagnano uomini occupati in altri lavori. Dal punto di vista europeo solamente in Olanda la percentuale maschile supera il 10% del totale tra le figure nei contesti educativi 0-3 anni, mentre nella maggior parte dei paesi europei siamo sotto al 3%. In alcuni paesi europei come la Norvegia e la Germania si è sentita la necessità di incrementare la presenza maschile negli ambiti educativi e ci sono state iniziative per attrarre studenti lavoratori in questo settore, anche se non hanno avuto l’esito sperato. L’Italia è uno dei paesi in cui il divario di genere è più accentuato e, dal 1999 al 2018 questo divario non è mutato. La presenza degli uomini tra le figure educative nella prima infanzia è vista positivamente sia dei genitori sia dalle colleghe, anche se resta una certa diffidenza derivata dalla paura della pedofilia. MA ci sono poche iniziative e innovazioni per diminuire la disparità uomo/donna -> al contrario, in un decreto vengono riconosciuti vantaggi economici finalizzati ad aumentare la presenza femminile nei settori ad alto tasso di maschilità (forze armate, campo scientifico, ingegneristico), ma vengono esclusi i maschi nelle professioni di cura educativa. Inoltre, persiste un approccio culturale e un senso comune che considera le professioni di cura legate al femminile per “natura” e dà quindi per scontata la presenza esclusiva delle donne nell’infanzia. Le indagini qualitative internazionali Analizziamo alcune ricerche svolte a livello internazionale : Kevin McGowan (USA) guarda agli stereotipi e pregiudizi che portano gli uomini ad autoescludersi dalla prima infanzia ES rischio di essere percepiti come pedofili, omosessuali, violenti (e quindi inadatti alla cura) + idea che gli uomini siano più autorevoli e quindi più portati per altri ruoli. L’obiettivo della ricerca è rendere la società più consapevole dei pregiudizi, applicando un metodo chiamato “le sette abitudini” per affrontare pregiudizi : promuovere iniziative concrete che possano rendere ‘pensabile’ questo lavoro per i ragazzi 1. tenere conto di tutto il processo:le azioni di oggi determineranno il futuro 2. costruire ambienti inclusivi, contrastando ogni discriminazione anche nei confronti dei maschi 3. assumere il personale in base alle reali competenze e capacità, indipendentemente dal genere 4. guardare alla persona come individuo e non in base al genere 5. supportare le persone che lavorano per questo obiettivo 6. lavorare per andare oltre gli stereotipi 7. Malini Mistry e Krishan Sood (Inghilterra) intervistano degli studenti tirocinanti e maestri, che confermano gli stereotipi di genere citati prima e sostengono che a loro piace lavorare nel settore della prima infanzia, ma hanno bisogno di avere come tutor dei leader forti per superare gli stereotipi + necessità di azioni concrete per superare queste barriere Koch e Farquhar (Australia e Nuova Zelanda) sostengono che, nonostante non ci siano delle vere proprie barriere che impediscono ai maschi di accedere al settore di cura educativa, ci sono barriere invisibili ES azioni messe in campo nelle società per far sì che le donne accedano a professioni tradizionalmente maschili piuttosto che il contrario / timore che la presenza di molti maschi nel settore riduca le opportunità di occupazione per le donne… -> se i maschi non vedono altri maschi in questo settore, pensano che non sia adatto a loro Yuwei Xu e Manjula Waniganayake (Cina) sostengono che il lavoro a contatto con i bambini sia poco considerato in quanto poco retribuito in rapporto alla responsabilità, per questo i maschi puntano ad accedere a posizioni di dirigenza, mentre le donne svolgono il lavoro base perché hanno un’inclinazione naturale per la cura dei bambini. Sostengono inoltre che i maschi sono un modello per i bambini in quanto predisposti per lo sport, la musica, la forza fisica, mentre le femmine sono apprezzate per la gentilezza e la pazienza + le educatrici si devono occupare dei piccoli nei momenti di cambio pannolini, nutrimento, addormentamento, mentre gli educatori se ne occupano in attività motorie, ludiche, espressive. Kostantina Rentzou (Russia) dopo aver raccolto il punto di vista di studenti di scuola superiore sostiene che le convinzioni nei confronti dei ruoli di genere stanno cambiando, si sostiene infatti un’uguaglianza di genere MA nel concreto questo non si vede. Infatti, nello scegliere la carriera, gli studenti seguono le strade tradizionali, anche per mancanza di modelli di educatori nell’infanzia. Bisogna diffondere maggiori informazioni e consapevolezze sugli stereotipi di genere e reclutare gli educatori in base alle loro caratteristiche e non al loro genere Joseph e Wright (Caraibi) si concentrano sulle esperienze e prospettive di futuri lavoratori nella prima infanzia : emerge la paura di essere considerati pedofili o omosessuali e la mancanza di modelli maschili nei contesti educativi Erden, Ozgun e Ciftci (Turchia) dall’intervista di otto insegnanti emerge che svolgono questo lavoro non per una scelta personale, ma per una selezione che rende educatori i soggetti con un basso voto di diploma + la professione di educatore non è considerata socialmente in quanto lavoro da donna e viene spesso discriminato o considerato strano chi decide di intraprendere questa strada Bryan e Williams (USA) sottolineano la totale assenza di educatori neri nell’infanzia e anche nei livelli superiori di educazione nel contesto statunitense, anche dove è alta la presenza di bambini neri Mia Heikkilä e Anette Hellman (Svezia) Intervistano 38 studenti iscritti a corsi per insegnanti: questi uomini pensano di non dover fare la stessa fatica che le donne devono affrontare per ottenere posizioni maschili. Si Il valore del contronarrare Si iniziano a indagare le contro narrazioni in un periodo recente (ES Nelson analizza le storie di gruppi minoritari come rom, transessuali, emarginati dalla cultura e dalla società dominanti). Una contronarrazione è una narrazione che prende significato in rapporto a una o più narrazioni altre. Ha un valore simbolico e politico in quanto consiste in storie raccontate, vissute dalle persone, che sono esempio di resistenza, risposta, critica, opposizione alla cultura dominante (grazie alla capacità del soggetto di adottare uno sguardo autobiografico e critico nei confronti della società). Le biografie considerate in questo testo sono processuali, dinamiche, evolutive e alcuni elementi di queste contro narrazioni possono confermare alcune strutture e modelli dominanti che si vogliono criticare e superare (questo non significa necessariamente esserne complici). Ogni storia può definirsi una contronarrazione a seconda del momento in cui la si raccoglie o degli obiettivi che vuole seguire -> le contronarrazioni acquisiscono valore in relazione alle narrazioni dominanti e variano e si trasformano nel tempo + Un altro elemento significativo per considerare le biografie raccolte come contro narrazioni è la capacità riflessiva dei soggetti intervistati: raccontare la propria storia comporta una posizionamento del narrante nella propria esistenza. Posizionarsi o riposizionarsi in relazione a diversi elementi può favorire l’agency dei testimoni, che acquisiscono una maggiore consapevolezza delle strutture sociali I soggetti intervistati (educatori e maestri) Le biografie raccolte sono la storia di come questi uomini hanno scelto la professione di educatore o maestro, lavori tradizionalmente considerati femminili. Gli uomini intervistati hanno un’età media di 44,4 anni e, al momento del colloquio, un’esperienza lavorativa di almeno un anno come educatori o maestri. Le interviste sono state realizzate tra gennaio 2018 maggio 2019 all’interno della scuola o dell’abitazione e avevano la durata di circa due ore. Dopo aver raccolto le storie di vita, il materiale è stato analizzato per trarne dei temi principali. Il focus group come metodo privilegiato per la ricerca gender-sensitive È stato utilizzato il focus group come tecnica principale nelle ricerche perché attraverso questa tecnica si riescono a capire le opinioni di ogni partecipante sugli argomenti affrontati da un punto di vista personale e non solo professionale. Inoltre, permette di costruire idee e riflessioni che vengono narrate a partire da esperienze dirette, concrete, domande stimolo. Capiamo ancora una volta l’importanza delle contronarrazioni, con le quali si dà valore a storie che spesso vengono considerate marginali. Il focus group favorisce una continua interazione tra singolo e gruppo e tra storie diverse che possono anche essere in contrasto. È la tecnica ideale per gli studi di genere perché prevede due forme di relazione: una simmetrica tra coloro che partecipano al focus group e una asimmetrica tra chi partecipa e chi modera. Inoltre, questa tecnica permette di dare voce a tutti e di costruire collettivamente dei significati diversi, essendo espressione di più posizioni della stessa situazione. Nel libro,attraverso il focus group, sono stati raccolti i punti di vista di alcune famiglie con figli frequentanti l’asilo nido (senza educatori maschi), alle quali non è la richiesta nessuna competenza sulle tematiche, ma solo una disponibilità a raccontare esperienze dirette. Primo focus group realizzato in provincia a giugno 2019 in una delle stanze del nido, secondo focus group realizzato in città in una sala riunioni a luglio. => il focus group si è rivelato un’occasione di conoscenza e confronto e ha ermesso ai partecipanti di riflettere, condividere preoccupazioni e superare stereotipi. Ha permesso inoltre di esplicitare delle contronarrazioni ed è stato quindi uno strumento per superare delle paure. Testimonianza Miro (36 anni) figlio unico, vive in una famiglia attenta e amorevole che ospita bambini e adulti in difficoltà. La scuola dell’infanzia e primaria somo ambienti sereni e il rapporto con i pari è positivo. Il papà è il suo modello maschile a cui ispirarsi. Frequenta le scuole medie private tutte maschili e poi il liceo classico. Prova a entrare a fisioterapia ma fallisce, allora si laurea in scienze dell’educazione e lavora all’infanzia perché non riesce ad accedere al nido. Testimonianza Pino (38 anni) figlio unico, la madre è educatrice e il padre muore quando ha 18 anni. Ricorda due maestre della scuola dell’infanzia in quanto una buona e una cattiva, un maestro alle elementari e un insegnante di italiano, storia e geografia delle medie. Si iscrive al liceo sociopsicopedagogico ma resta deluso perché le compagne erano prevalentemente femmine. Si iscrive a economia ma non gli piace e sceglie Formazione primaria ma poi rinuncia e si laurea in scienze dell’educazione. Non è convinto e va un anno in Inghilterra, poi torna ma non lavora come educatore (per la poca stabilità economica) ma lavora come insegnante all’infanzia grazie al diploma di liceo. Testimonianza Giorgio (61 anni) è cresciuto in una famiglia numerosa di 9 figli, con un padre autorevole e severo. Ricorda con piacere la maestra della primaria. Entra nel seminario dove ha come figure di riferimento solo maschi (alcuni bravi, altri violenti) e poi la sua vocazione religiosa termina. Si appassiona alla politica, diventa vicesindaco e consigliere comunale e poi lavora come fornaio. Tiene un progetto di doposcuola per i bambini e a 26 anni fa un concorso comunale per diventare animatore. Grazie al diploma di magistrali e a un corso fatto con Mario Lodi diventa maestro di scuola dell’infanzia e ora sta per andare in pensione. 4 - CURA EDUCATIVA: LA PAROLA A EDUCATORI E MAESTRI Origini e modelli Dal punto di vista della cura educativa, quasi tutti gli uomini intervistati hanno vissuto un’esperienza familiare piuttosto tradizionale, con padri impegnati e lontani per lavoro e madri più coinvolte nella gestione e nell’educazione. Inoltre, nessuno degli intervistati aveva come obiettivo originario diventare educatore o maestro nella prima infanzia, questo è diventato un punto di arrivo -> questo anche per il mancato riconoscimento sociale ed economico della professione, lo stigma della cura educativa come lavoro da donne e la mancanza di educatori e maestri come esempi da seguire => essere un educatore o un maestro difficilmente può essere un desiderio dei giovani Il corpo L’identità maschile non può essere pensata come rigida è immodificabile, ma è sempre in continua trasformazione anche grazie alle emozioni e al contatto corporeo (+ importanza della vulnerabilità). Tra i soggetti intervistati, abbiamo numerose narrazioni legate al corpo e tra queste emerge soprattutto il ruolo significativo ricoperto dal teatro, che permette di apprendere e mettere in gioco diversi canali comunicativi, superare la timidezza, riconoscere i propri elementi di debolezza e di limite -> questo può essere inteso come uno “sgretolamento” del maschio tradizionale, concepito come forte, senza emozioni L’ombra della pedofilia Un altro tema legato al corpo è la pedofilia -> questa è una paura che emerge quando i genitori incontrano per la prima volta un maschio in un asilo ed è una convinzione anche sociale. È come se ci fosse un collegamento tra maschile e violenza (sessuale), tra maschio e aggressore/perverso. La sorpresa che provano i genitori di fronte ad un educatore maschio è legata al fatto che c’è una presenza ancora limitata di educatori nei servizi di prima infanzia. -> un lavoro fatto quasi solo da donne, come può essere desiderato da un uomo? La presenza di educatori maschi acquisisce valore anche per quanto riguarda la relazione con i padri dei bambini, che possono confrontarsi con gli educatori e creare quindi una connessione scuola-famiglia + parere delle colleghe : sono molto contente della presenza di educatori per le competenze che portano (spostano pesi, aggiustano mobili, giocano in modo più fisico) ma anche perché hanno un’energia diversa. Testimonianza Pascal (49 anni) cresce con mamma, papà e nonna. Ricorda il papà come una persona severa e poco presente e la mamma come dolce, solare e protettiva. Va a scuola dalle suore che però non avevano nessuna formazione pedagogica. Alle medie suona il flauto e scopre la sua passione per la musica. Si iscrive all’istituto magistrale dove l’insegnante di educazione fisica è un riferimento maschile positivo. Si iscrive poi a scienze politiche e lavora in pizzeria. Fa esperienza come educatore domiciliare con ragazzi disabili e rimane affascinato dalla scuola dell’infanzia. Riceve un’offerta di lavoro legata al suo impegno politico in città ma poi aspetta il concorso scolastico e diventa maestro di scuola d’infanzia. Testimonianza Edoardo (35 anni) diventa fratello maggiore a 14 anni e aiuta la mamma ad accudire il piccolo. Il padre era molto presente e ha un legame forte con lui. Ha buoni ricordi delle maestre, soprattutto della primaria (frequenta un istituto rinomato con canto e teatro). Ricorda un maestro del doposcuola con grande affetto e piacere. Frequenta l’istituto per geometri per ottenere un diploma che gli permettesse di lavorare e nell’adolescenza vive un disagio esistenziale che si conclude con la consapevolezza di essere gay. Si iscrive a scienze della formazione perché geometra non era la sua strada e perché ha un ricordo positivo delle elementari e fa anche il corso oss. Per molti anni lavora in un centro Alzheimer ma poi vince un concorso per i nidi comunali e viene assunto. 5 - UNA PIACEVOLE STRANEZZA: LA PAROLA ALLE FAMIGLIE Un fenomeno da esplorare Affrontare questo tema con i genitori permette di mettere a nudo preoccupazioni e speranze, oltre a retaggi culturali e stereotipi. I partecipanti coinvolti nel focus group hanno condiviso esperienze personali creando un dialogo costruttivo. Dario -> si chiede se le scuole vogliano davvero avere dei maestri Monia -> sostiene che l’assenza di personale maschile si nota a partire dai corsi di formazione in questo ambito, dove c’è una prevalenza femminile. Sostiene che siano gli uomini in primis a non avere interesse per questi ambiti lavorativi e che siano invece più indirizzati a far carriera e a crescere dal punto di vista professionale (anche per soddisfare le aspettative della società) Pietro -> sostiene che il tema delle aspettative sociali della carriera professionale inizi già dall’orientamento professionale dei ragazzi, che vengono chiamati a fare una scelta in età adolescenziale, quando hanno molta influenza i giudizi degli altri. Viene quindi messa in discussione la modalità in cui si svolge l’orientamento professionale dei ragazzi, l’influenza dei pari e le aspettative familiari e sociali, che determinano le scelte formative
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