Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Mastro don Gesualdo - riassunto completo più approfondimento, Appunti di Letteratura Italiana

Mastro don Gesualdo - riassunto completo più approfondimento

Tipologia: Appunti

2022/2023
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 13/01/2023

Khaleesi_Daeny
Khaleesi_Daeny 🇮🇹

4.8

(4)

1 documento

Anteprima parziale del testo

Scarica Mastro don Gesualdo - riassunto completo più approfondimento e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! 1 arte narrativa che fa cominciare il racconto ad avvenimenti già in corso; indicare che una narrazione entra direttamente nel vivo della vicenda, nel mezzo dell'azione, senza alcun preambolo. Mastro Don Gesualdo  Introduzione: L’idea di proseguire il “ciclo dei vinti” secondo l’abbozzo tracciato nella Prefazione dei Malavoglia compare già in una lettera all’amico Capuana del febbraio 1881. Così, il nuovo lavoro vede prima la luce sulla rivista «Nuova Antologia» tra il 1° luglio e il 16 dicembre 1888, poi viene edito in volume l’anno successivo. Prima di descrivere brevemente la vera e propria trama, abbiamo pensato fosse meglio descrivere il clima, l’ambiente, in cui si svolgono le vicende; sebbene questa sia una strategia contraria a quella dell’autore che invece inizia il racconto in medias res. Per quanto riguarda l’ambiente, la storia prende luogo a Vizzini (Sicilia), tra Catania e Ragusa; il paese, è un piccolo paese della prima metà del 1800, tempo in cui è ambientata la storia, del quale si notano le case contadine spoglie ed immerse nei campi dai quali i contadini dipendevano strettamente. Proprio riguardo le case, l’autore ci offre delle brevi descrizioni all’inizio del romanzo, descrizioni principalmente delle case dei nobili del paese, che riproducono immagini di decadenza di un antico splendore nobiliare che, nel corso del tempo, si è andato deteriorando e modificando per necessità. Le case, sono comunque la primaria fonte di ricchezza di nobili ma anche di classi minori, come per Mastro Don Gesualdo che, con il tempo, è andato acquisendo sempre più beni immobili. Sono proprio i possedimenti di quest’ultimo il centro nevralgico dell’intera vicenda. Leggendo queste descrizioni ci si rende subito conto della vicinanza con il Verismo di cui, uno dei tratti distintivi era la rappresentazione del rustico e dell’umile. La descrizione delle case serve anche per inquadrare il clima sociale della cittadina, che è uno dei temi principali del romanzo, più precisamente, la differenza tra ricchi nobili, ricchi lavoratori ed infine i poveri che però sono in secondo piano. I ricchi nobili costituiscono gran parte dei personaggi del romanzo, ma è proprio nel definire questi personaggi che si trova un primo sovvertimento delle figure a cui si è soliti pensare parlando di contadini e nobili. Infatti, sembra improbabile trovare tra queste case quasi in rovina, dei palazzi sfarzosi: nobili a cui si fa riferimento sono in decadimento, ed è un processo che continua in costante discesa lungo tutto il romanzo. Ci sono da fare due precisazioni: pur essendo definibili come nobili o aristocratici, il massimo grado riscontrabile nel paese è quello di conte e la maggior parte degli altri personaggi non definisce neanche il proprio grado; il comune denominatore di tutte queste persone cosiddette “nobili” è la ricchezza ereditaria, non dovuta al lavoro; inoltre è da evidenziare la differenza che due famiglie in particolare, Trao e Rubiera, hanno con le altre, Limòli, Zacco, Margarone, Macrì, Sganci e La Gurna → i Trao, pur mantenendo un nome di spicco, sancito da carte che uno dei componenti della famiglia, Don Ferdinando, custodisce gelosamente, vivono in una vecchia casa distrutta e vivono con pochissimi soldi e le elemosine di alcuni parenti; le carte infatti, centro delle preoccupazioni di Don Ferdinando, sono l’ultimo simbolo della loro nobile stirpe; dall’altro lato, i Rubiera, famiglia essenzialmente composta da madre e figlio, in quanto il padre è morto molto tempo prima a causa principalmente di alcolismo, è l’unica delle famiglie nobiliari che basa il proprio sostentamento non solo sul titolo, ma anche sul lavoro; in ogni caso anche la baronessa Rubiera usufruisce di due servi, Alessi e Rosaria. Dall’altra parte, Mastro Don Gesualdo, pur facendo parte di una classe medio-bassa, con il duro lavoro di una vita, condiviso in parte con il padre Mastro Motta, è riuscito a formare un grande patrimonio, basato sul possedimento di terre; non può essere definito un latifondista, però ha molti possedimenti terrieri e ville distribuite in questi luoghi in cui lui lavora abitualmente come contadino e talvolta come muratore pur essendo sempre responsabile dei lavori e a capo del controllo degli operai e contadini suoi lavoratori. Gesualdo Motta è quindi un ricco lavoratore che ama guadagnarsi la roba con il lavoro duro. Una frase che definisce molto bene questa figura è quella detta da un vecchio che Gesualdo incontra lungo la strada proprio dopo questi lavori “O dove andate vossignoria a quest’ora? Avete tanti denari, e vi date l’anima al diavolo!”. Questo vecchio, di cui non viene detto il nome, è utile all’autore per sottolineare il carattere del personaggio, una morale riassuntiva della vita di Mastro Don Gesualdo. Bisogna fare attenzione al nominativo che quest’uomo di estrazione bassa dà a Gesualdo “vossignoria”. Nel corso della narrazione si incontrano infatti molti nomi attribuiti al protagonista, quello per eccellenza, con il quale viene nominato dall’autore in partenza è Mastro Don Gesualdo, questi due suffissi sono sostanziali per la comprensione del romanzo, quasi fossero un riassunto di tutto: Mastro allude all’estrazione sociale da cui egli ha origine, una classe medio bassa che non è del tutto schiava di un padrone ma deve lavorare sodo per vivere ed ha piccole proprietà (infatti il padre di Gesualdo possedeva una fabbrica di gesso nella quale tutta la famiglia ha lavorato per molto tempo); Don, invece, fa riferimento al prestigio che egli ha raggiunto, o meglio, vorrebbe raggiungere, con l’accumulo della roba. Il fatto che durante tutto il racconto Gesualdo venga continuamente definito Mastro Don, dall’inizio alla fine, evidenzia quanto la sua situazione sia immutabile  Mastro Don Gesualdo Nel corso della narrazione viene tracciato un preciso profilo del protagonista, non tanto per quanto riguarda sentimenti, passioni o fisicità, ma specialmente in merito alle sue alte aspirazioni che contrastano con le sue origini umili. Ciò che più segna la figura del protagonista è la sua bassa estrazione sociale, è proprio questa la principale 2 arma dei nobili per rimarcare la sua differenza. Da evidenziare è sicuramente la volontà stessa di Mastro Don Gesualdo di mantenere le proprie origini, vivendo nei campi, continuando a lavorare, mantenendo il suo stile di vita umile, occupandosi di affari, perché questi sono i valori con i quali è cresciuto, tutto è incentrato sul duro lavoro, più volte egli ricorderà “io ho la pelle dura!”. D’altra parte però, Mastro Don Gesualdo vuole crescere, vuole migliorare la sua condizione ed ambire a qualcosa di più, in questo frangente Mastro Don Gesualdo è, essenzialmente, un arrivista: è disposto ad ogni tipo di accordo pur di risalire la scala sociale, fino a sposarsi. Sono proprio i due matrimoni gli accordi che egli crede più importanti: il primo è il proprio con la nobile Bianca Trao, dal quale spera di ricavare l’appoggio dei nuovi parenti per le aste comunali, il secondo è quello della figlia Isabella con il duca di Leyra. In Mastro Don Gesualdo confluiscono due elementi principali: quello rustico, quasi arcaico, del meridionale chiuso nel suo mondo interiore e segnato da un destino immodificabile; e quello del borghese che cerca il confronto, se non lo scontro, con gli aristocratici, lottando per differenziarsi dai più poveri, difendendo e mostrando i suoi guadagni. I nomi che gli vengono attribuiti sono: Mastro, Don, vossignoria, bestia, massaro fortunato, padrone ed, importante, (quello che si dà lui stesso) asino. Mastro Don Gesualdo si paragona a questo animale due volte, per evidenziare tutto il carico di problemi che ricadono sulle sue spalle. Di fianco a questa sua avidità di ricchezza e di miglioramento, si trova un altro tipo di ingenuità, quella che si esprime con la naturale giovialità e gentilezza del protagonista, con gli affetti in sostanza, motivo che lo spinge a prendersi cura della famiglia, parenti acquisiti e non, oltre che della moglie che sembra, almeno inizialmente, avere paura di lui e sembra rifiutarlo come marito, a permettere prestiti con dilazioni, preoccuparsi di far sposare Diodata e ricercare il sostegno del padre; sono queste aperture che, mal ripagate, faranno ricadere su di lui preoccupazioni continue.  Famiglia Motta La famiglia per Mastro Don Gesualdo è, direi, un punto dolente. Egli è molto affezionato al padre e ai fratelli, forse solo per valori contadini che lo spingono, come primogenito, a prendersi cura della famiglia. La figura che mantiene in un certo modo unita la famiglia è il padre Mastro Nunzio, infatti, proprio quando egli muore i rapporti tra la sorella e il fratello con Gesualdo si inaspriscono perché loro richiedono una parte di un patrimonio, ormai inesistente, del padre. Non si sono resi conto di quanto essi dipendano strettamente da Gesualdo che gli ha permesso di avere una casa e rispondere ai bisogni primari. Gesualdo paga i debiti all’osteria del fratello, le necessità per la famiglia della sorella, che ha tre figli, e mantiene la fabbrica di gesso di famiglia, a cui il padre era molto legato perché uno dei pochi possedimenti che lui stesso ha ottenuto e non il figlio. La gara tra padre e figlio infatti, viene più volte rimarcata. La famiglia, in generale, è la maggior delusione di Mastro Don Gesualdo sia dalla parte del padre, sia quella famiglia che si è scelto, avendo con le due donne un difficile rapporto, e continuando ad avere difficili rapporti anche con i nobili parenti; sembra quasi che egli non si accontenti di essere uno di loro, quale di fatto è per denaro e per titolo acquisito dalla moglie, ma voglia sentirsi superiore a loro, per questo fa il prestito al baronello e cerca di stipulare sempre più affari con i nobili e inoltre permette loro di rifugiarsi nelle sue case durante l’epoca del colera, egli sembra adorare il fatto che qualcuno dipenda da lui. Dalla storia emerge si la volontà di salire di grado sociale, ma anche di non dipendere da nessuno ed avere altri sotto il suo potere e  Tema della roba Ciò che più emerge della figura di Mastro Don Gesualdo è il suo maniacale attaccamento alle sue proprietà che vengono appunto definite roba. Roba è, in sostanza, il patrimonio, la ricchezza, immobile, rappresentata da campi, case e fabbriche. E’ attraverso l’accumulazione di queste ricchezze che il protagonista spera di innalzare il suo grado sociale. Mastro Don Gesualdo si dimostra spesso testardo, come in occasione dell’asta comunale, per ottenere sempre più terreni. Il suo attaccamento alla roba è evidenziato da alcune affermazioni in particolare in cui egli paragona il suo denaro al suo sangue. Legata al tema della roba è una delle novelle rusticane appunto intitolata LA ROBA, pubblicata nel 1880 sulla rivista “La rassegna settimanale” e nel 1883 raccolta con le novelle rusticane. La novella racconta la storia di un uomo simile a Mastro Don Gesualdo che ha passato tutta la vita a cercare di accumulare proprietà togliendole dalle mani di coloro che lo comandavano e lo prendevano a calci. La storia si ripete molto simile: come Mastro Don Gesualdo, Mazzarò, pur avendo accumulato moltissimi terreni e fattorie come la Canziria, (anche una delle prime proprietà di Mastro Don Gesualdo), egli continua vivendo umilmente, mangiando un poco di pane al giorno e vivendo dei pochi soldi che gli rimangono dagli investimenti e dalle spese per i campi. Diversamente da Mastro Don Gesualdo, Mazzarò ha una rozzezza più marcata, caratterizzata anche da smania di potere sui nobili che egli definisce “eccellenza, povero diavolo e cattivo pagatore”; inoltre non mette su famiglia e, quando si renderà conto di non poter portare la sua roba con sé e di non avere nessuno a cui lasciarla, impazzirà ed inizierà ad uccidere anatre e galline dicendo “Roba mia, vienitene con me!”. Le differenze con Mastro Don Gesualdo sono davvero minime, è da evidenziare che ciò che più le separa è la famiglia, ma anche quella che ha Mastro Don Gesualdo è una famiglia basata su un matrimonio d’interesse; prova una grande preoccupazione, uguale a quella di Mazzarò, di dover protezione. 5 Cap. VII Al loro matrimonio non viene nessun parente, né di lei perché non approvano, né di lui perché si vergognano della loro condizione di miserabili. I pochi invitati presenti alla successiva festa sembrano interessati solo ad arraffare cibo e a sparlare dell'atteggiamento dei fratelli di lei. Diodata è innamorata di Gesualdo ma lui le ha combinato un matrimonio riparatore con Nanni l'Orbo. Gesualdo si illude di poter trovare un possibile terreno d'intesa con la moglie (“i segni umili di privazione che l'avvicinavano a lei”). Viene consumata la prima notte di nozze. Lui è impacciato, ha quasi paura di toccarla anche perché lei rimane rigida. Tale atteggiamento preannuncia la loro futura incomunicabilità, il principio di un'unione triste. Parte seconda Cap. I Nella sede del comune si svolge la gabella per l'affitto delle terre comunali; c'è un parapiglia generale: tutti si infervorano e si accapigliano, tranne Gesualdo, che resta impassibile perché sa di avere il coltello dalla parte del manico ed è il più furbo di tutti. Per quanto lui faccia offerte alte, cercano di farlo desistere dall'impresa prima proponendogli la concessione del denaro perso nella cauzione del ponte crollato a patto che lui rinunci ad accaparrarsi le terre comunali; viene proposto poi che le terre siano divise tra lui, la baronessa Rubiera e il barone Zacco, che ne ha il possesso da generazioni. Ma Gesualdo non accetta neanche questa proposta; non vuole scendere a compromessi perché vuole il monopolio sulle terre. Tiene così tanto ad aggiudicarsele anche per una rivalsa personale nei confronti dei nuovi parenti per l'affronto subito (matrimonio a sua insaputa riparatore). Il suo più acerrimo competitore è il baronello Rubiera, che è sia avido sia geloso nei confronti del marito di Bianca. Il matrimonio con la donna è stato un fallimento perché lui è tuttora solo contro tutti, non ha ottenuto l'appoggio dei nobili sposandola. Venendo a sapere dal canonico dei moti rivoluzionari carbonari di Palermo, Gesualdo decide di aderire lui stesso alla Carboneria ed anzi di provare ad assumerne la guida per farla pagare a tutti i pezzi grossi. Il moto popolare nelle campagne sfocia nella rivendicazione delle terre da parte dei “ villani”. Cap. II Si prospetta il tema della rivolta contadina; da una parte i “villani”, incapaci di organizzarsi e di darsi dei capi, dall'altra i “galantuomini”, impauriti dalla collera popolare. Ma il fermento popolare prodotto dalle notizie dei rivolgimenti politici palermitani non sfocia nella temuta jacquerie, anzi rinsalda la solidarietà tra i possidenti che dimenticano la loro rivalità di “cani e gatti” per fare fronte comune contro il nemico di classe. I rivoltosi infatti si riuniscono durante una notte ma al primo segnale di pericolo si disperdono e scappano. Secondo Gesualdo, il fervore politico dei “galantuomini” è solo un ennesimo tentativo d i tagliarsi l'uno all'altro l'erba sotto i piedi e deriva dalla necessità di trovarsi dalla parte giusta, qualora la rivoluzione avesse successo. In Gesualdo e negli altri possidenti dunque prevale l'interesse a tutelare i propri profitti. Cap. III Si chiude con il parto prematuro di Bianca che dà alla luce Isabella, dovuta al colpo per la perdita del fratello Diego. La povera ragazza era stata tenuta all'oscuro del degenerare della sua malattia. Durante la notte don Diego morente è rimasto affidato soltanto alla carità del sagrestano poiché a causa dei tafferugli in paese, nessuno aveva avuto il coraggio di uscire di casa. Diego muore tra l'indifferenza dei parenti, nessuno dei quali vorrebbe accollarsi le spese del funerale. Cap. IV Tradito dal barbiere mastro Titta, Ninì Rubiera vede consegnata la lettera d'amore indirizzata ad Aglae, prima donna di una compagnia teatrale, alla fidanzata Fifì. Aglae, che recita dentro e fuori del teatro, è una donna scaltra che cerca di ricavare i maggiori vantaggi possibili dal fascino che esercita sui provinciali vizzinesi, apparentemente ignara dei guasti patrimoniali che la passione può arrecare. Le malignità mormorate a teatro da parenti e conoscenti sulla paternità di Isabella non hanno alcun fondamento reale e sono l'ennesimo gratuito atto di ostilità nei confronti del mastro. Dopo i familiari e Bianca, neanche Isabella infatti potrà colmare il vuoto di affetti nel quale si muove il protagonista. Il baronello Rubiera per conquistare Aglae, le manda leccornie di ogni tipo, che insieme al suo collega consuma nella taverna. I due sono dei ruffiani. Alla fine Ninì riesce a raggiungere il suo scopo, indebitandosi fino al collo; la baronessa essendo venuta a conoscenza di ciò, gli ha tagliato i viveri. Il canonico Lupi intercede per lui presso Gesualdo, cercando di persuaderlo a fargli un prestito per sanare i debiti. Una volta morta la madre, lui otterrà l'eredità e da galantuomo qual è, estinguerà il debito contratto con Gesualdo. Cap. V La baronessa Rubiera viene a sapere della nuova amante di suo figlio e di tutti i soldi che per lei sperpera, che per certo non sono suoi, perché la baronessa gli aveva proibito di disporre della sua eredità. Una mattina un conoscente detto il Ciolla viene a farle visita, mettendole la pulce nell'orecchio riguardo al coinvolgimento di Gesualdo nell'affare come prestatore di denaro. La baronessa insospettita decide di andare al battesimo di Isabella Trao, per saperne di più, ma quando chiede spiegazioni a Bianca prima e a Gesualdo poi, le vengono negate. Alla cerimonia i parenti di Gesualdo non si presentano perché si sentono indegni della nobiltà. La donna è ossessionata dal pensiero che la sua “roba” è in imminente pericolo. L'aver concesso il denaro a Ninì è per Gesualdo un modo per vendicarsi di lei. A causa di tutti gli affanni la donna viene colpita da un ictus cerebrale che la rende paralitica e incapace di parlare. Ninì allora abbandona l'amante, si ravvede e inizia a prendersi cura della madre senza sosta come per espiare la sua colpa. Ora è lui ad avere in mano l'amministrazione della casa e per la madre inerte e muta è un dolore ogni volta che il figlio prende le chiavi dei magazzini, contenenti i suoi averi. Per l'improvviso malore non ha fatto in tempo a diseredare il figlio come invece sarebbe stato nelle sue intenzioni. L'unica ragione per cui Ninì lascia Aglae è perché ha saputo che la madre aveva intenzione di chiamare il notaio e quindi per paura di perdere l'eredità. Col prendersi cura della madre il ragazzo deperisce e non si cura più. 6 Parte terza Cap. I Qui si parla della figlia di Gesualdo, ma nata con qualche probabilità dalla relazione tra Bianca e Ninì. Isabella prima dei 5 anni viene mandata in collegio. Bianca, dopo il parto, aveva iniziato a deperire di giorno in giorno, perché malata di tubercolosi come i fratelli. Essendo Isabella la sua unica figlia, Gesualdo desidera il meglio per lei: la migliore educazione, che possegga tutto ciò che a lui è mancato, che conduca una vita pari a quella di una figlia di un nobile. Bianca però non avrebbe voluto separarsi da lei. Le compagne di collegio vedono di malocchio la bambina, in quanto figlia di un arricchito, condizionate in questo dall'opinione dei parenti. Le lanciano continue frecciatine sulla sua condizione di inferiorità. Quando il padre va a trovarla, ella ha nei suoi confronti lo stesso atteggiamento della madre: restio al contatto fisico e quasi di repulsione nei suoi confronti. La ragazzina si sente solo Trao, rinnegando il cognome Motta. Fifì Margarone dopo il tradimento di Ninì non vuole più saperne di sposarlo, perciò lui per ragioni di interesse e di tutela del suo casato opta per sposare Giuseppina Alosi; ella infatti garantisce il debito del marito ipotecando le proprie terre a favore di mastro don Gesualdo, non avendo Ninì la disponibilità di denaro che gli occorreva. Quando Isabella è più grande passa al primo educatorio di Palermo. Quando si trovava di fronte a lei Gesualdo provava soggezione tanto era la nobiltà della sua persona. Né il fratello di Bianca né i parenti di Gesualdo sentono legami con la ragazza, con la quale infatti mantengono una distanza. Anche quando imperversa l'epidemia di colera tutti i parenti rifiutano per orgoglio l'aiuto di Gesualdo, che offrirebbe volentieri la propria dimora in campagna, lontano dal paese appestato. Non vogliono mischiarsi a persone tanto diverse. Cap. II In campagna a Mangalavite dà ricovero a mezzo paese a causa dell'incalzare del colera. Isabella, uscita dal collegio per il diffondersi dell'epidemia, vive in campagna un'esistenza infelice poiché si sente sola, in un ambiente privo di stimoli, eccezion fatta per il rapporto che si viene a creare con il cugino Corrado, di cui Gesualdo diffida in quanto letterato e quindi in grado di incantare la sua figliola con le sue belle parole. Cap. III Gesualdo si reca alla Salonia dopo aver appreso che anche il padre si è ammalato di colera; l'uomo arriva giusto in tempo per vederlo morire nella notte. La sorella Speranza, fintamente addolorata, si preoccupa unicamente della ripartizione dell'eredità e rifiuta ancora una volta l'aiuto di Gesualdo, che si offre di condurre con sé tutta la famiglia a Mangalavite. Amareggiato per l'ingratitudine della sorella se ne ritorna a casa, dove Nanni l'Orbo lo mette in guardia sulla tresca tra Isabella e Corrado. Gesualdo allora va su tutte le furie e impone a lui e alla zia Cirmena di andarsene. Gesualdo è cosciente del fatto che Cirmena vorrebbe far sposare al nipote la ragazza per migliorare la loro situazione economica ma lui a “rovinare il sangue” non ci sta, mettendo in secondo piano però la felicità della figlia. Cap. IV Gesualdo tenta in tutti i modi di scoraggiare la passione di Isabella per Corrado ma alla fine è costretto a ricondurla in convento. La madre difende a spada tratta la figlia; è uno strazio per lei doversene separare e questa rimarrà una ferita insanabile nel suo cuore. Vorrebbe tenerla con sé per quel poco che le resta da vivere ma il marito è irremovibile. Tuttavia amici e parenti gli remano contro e lo pugnalano alle spalle, facendo scappare la ragazza dal convento cosicché i 2 amanti hanno la possibilità di riunirsi. Ma la giovane ormai è compromessa e Cirmena auspica le nozze tra il figlio e Isabella. Tuttavia quando Gesualdo viene a conoscenza della situazione, fa intervenire la polizia e Corrado è mandato in esilio. Si paventa intanto la possibilità di un matrimonio riparatore, con un uomo maggiormente all'altezza di Isabella; costui sarà il duca di Leyra, nobile di Palermo, oberato di debiti, perché per niente avvezzo agli affari. Isabella andava a piangere dai parenti e a supplicarli di non sacrificarla. Gesualdo, conosciuta la reputazione dell'uomo, non è più convinto di concedergli in sposa la figlia, ma messo alle strette da tutti, in particolare dal marchese Limoli che vuol fargli capire che la ragazza è rimasta incinta di Corrado, alla fine acconsente. Il matrimonio viene celebrato in fretta, senza troppe cerimonie e i 2 coniugi partono per Palermo. Parte quarta Cap. I Sei mesi più tardi nasce il figlio di Isabella e Corrado, della cui illegittimità Gesualdo tiene all'oscuro Bianca. A causa del parto di Isabella, Gesualdo è costretto a donare altre proprietà (oltre a quelle della dote) al genero per placare la sua ira. Il padre è addoloratissimo per il fatto che i terreni assegnati in dote vengono mal gestiti e coltivati dopo tutte le fatiche che aveva fatto a metterli insieme. Il genero continuava a contrarre debiti e lui era costretto a provvederci cosicché tutti i suoi risparmi cominciavano ad essere dissipati. Bianca intanto continua a peggiorare con l'unico desiderio di poter rivedere la figlia un'ultima volta, evento che non si verificherà. La donna accusa Gesualdo di averle strappato la figlia contro la sua volontà. Bianca è in fin di vita e per l'occasione si presentano al suo capezzale i parenti più stretti: prima il barone Zacco e la sua famiglia; il barone più che mostrare dolore per la sua imminente fine parla imperturbabilmente d'affari, sparlando del canonico Lupi e di Ninì Rubiera, con la scusa di voler distrarre la povera Bianca. Si presentano poi Ninì e la consorte, con il pretesto di voler visitare la cugina malata, ma con il vero intento di chiedere l'ennesimo aiuto economico a Gesualdo. La visita a Bianca per entrambe le famiglie di parenti diviene una copertura per poter sancire un accordo economico con Gesualdo. Le sorelle Zacco pensano già a quale potrebbe essere una nuova moglie per l'uomo e per questo Bianca lo implora di non farle più venire. Vi è così da parte sua, per la prima volta, quasi la dimostrazione di un sentimento nei confronti del marito. 7 Cap. II Tutte le serve abbandonano la casa dei coniugi Motta per paura di essere contagiati dalla tisi. Come ultima speranza Gesualdo manda a chiamare Diodata, il cui marito acconsente a farla lavorare solo su compenso economico. Tuttavia Bianca per gelosia la rifiuta e non vuole avere niente a che fare con lei. Gesualdo decide di far chiamare tutti i parenti di Bianca perché la poveretta sta per morire. La donna muore senza che la figlia sia potuta accorrere al suo capezzale, ignara della degenerazione della malattia materna, che il duca aveva voluto tenerle nascosta. Cap. III Dopo la morte di Bianca anche Gesualdo si ammala di un tumore allo stomaco a causa di tutti i dispiaceri e gli affanni. Si paventa infatti una rivoluzione da parte dei villani che vogliono che le terre comunali siano egualmente ripartite fra loro. La sua roba è minacciata e come se non bastasse tutti gli hanno voltato le spalle. Cap. IV. Le pretese della povera gente sui possedimenti dei più ricchi, primo fra cui spicca Gesualdo, si fanno sempre più pressanti. Da tanto tempo mal visto dai poveri, è ora non solo diffamato da coloro che hanno debiti nei suoi confronti, ma anche dai signori, i quali cercano di dirottare l'ira popolare nei confronti del più potente e ricco di loro. Ormai stanco di Gesualdo, il popolo in rivolta assalta i suoi magazzini. Questo capitolo è ambientato in concomitanza durante gli inizi dei moti del 1848. Cap. V Intanto la malattia di Gesualdo, manifestatasi in concomitanza con la morte di Bianca, degenera a tal punto che il duca di Leyra decide di portarlo a Palermo con la falsa intenzione di farlo visitare dai migliori medici della città e assicurargli le cure più efficaci. La figlia gli fa visita nelle sue stanze tutte le mattine, più per un dovere morale, che per sua reale volontà. Il palazzone in cui vivono i duchi è un surplus di sfarzo e sprechi, popolato da uno stuolo di servi che ostentano una finta riverenza nei confronti del padrone ma che oziano per la maggior parte del tempo. I due coniugi sembrano andare d'amore e d'accordo ma lei in realtà conduce una vita carica di menzogne, di ipocrisia, coltivando altre relazioni. Il genero vuole impedire a Gesualdo di far testamento perché teme che egli possa lasciare ad altri parte della propria fortuna. Egli infatti ha degli scrupoli di coscienza nei confronti dei figli avuti con Diodata. Durante l'ultimo colloquio tra padre e figlia sembra crearsi un po' di tenerezza e complicità tra loro, che subito svanisce poiché i due non riescono a comunicare: lei rimane una Trao, una d'un'altra pasta e lui un Motta, lei trincerata nel suo rancore e lui attanagliato dal dubbio circa l'essere o meno il vero padre di Isabella. L'ultima richiesta che rivolge alla figlia è di concedere del denaro a Diodata e ai suoi figli (ma per opposizione del genero, questa richiesta non verrà eseguita). La sua tragica fine avviene pochi giorni dopo, durante la notte, in solitudine, tra l'indifferenza dei servi, che ignorano e anzi risultano infastiditi dai suoi lamenti di dolore, che credono essere solamente delle lagne di un povero vecchio. Un dovere come un altro servire chi realmente è nato meglio di loro; inaccettabile servire un arricchito ma loro pari dal punto di vista sociale. L'uomo ha le mani ancora segnate dalla calcina, primo particolare dell'aspetto fisico del mastro sottolineato dal Verga nel capitolo III, mani da cui i servi capiscono "com'era nato". Tutte le ricchezze accumulate da Gesualdo verranno dilapidate dal genero.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved