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MATERIALE PER LA PROVA SCRITTA DEL TFA SOSTEGNO, Prove d'esame di TFA Sostegno

Esempi di tracce svolte per superare la prova scritta del TFA SOSTEGNO

Tipologia: Prove d'esame

2019/2020

In vendita dal 16/11/2020

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Scarica MATERIALE PER LA PROVA SCRITTA DEL TFA SOSTEGNO e più Prove d'esame in PDF di TFA Sostegno solo su Docsity! ESEMPI DI TRACCE SVOLTE LA DIDATTICA DELL’INCLUSIONE La prospettiva dell’inclusione persegue l’obiettivo di promuovere una scuola delle differenze, in grado di garantire un insegnamento di qualità e offrire un’accessibilità uguale per ogni studente lungo tutto il percorso formativo. Tale orientamento porta a considerare la diversità di ognuno come una condizione di base di cui tener conto per costruire ambienti in grado di accogliere tutti. Parlare di educazione inclusiva significa quindi fare i conti con le differenze, capendo in che modo affrontarle. Il Dlgs 66/2017 persegue la prospettiva inclusiva “attraverso percorsi per la personalizzazione, individualizzazione e differenziazione dei processi di educazione, istruzione e formazione”. Al fine di una didattica inclusiva infatti sono importanti alcune direttrici operative come l’organizzazione del contesto, l’utilizzo di un approccio finalizzato a promuovere l’inclusione durante le normali attività e l’attenzione da porre alle esigenze particolari di alcuni allievi. Nella logica dell’inclusione, bisogna porre attenzione non solo al contesto fisico ma anche a una coordinazione fra i diversi attori che entrano in gioco, alla progettazione dei curricoli, alla creazione di un clima adeguato alla classe. Insegnanti, dirigente, gruppi di lavoro per l’inclusione devono promuovere un’interazione qualitativa fra essi al fine dell'inclusione scolastica. Il curricolo in prospettiva inclusiva deve essere progettato intenzionalmente e sistematicamente per affrontare le differenze individuali: è una logica sviluppata all’interno dell’approccio denominato Universal Design for Learning. La differenziazione didattica si muove sullo stesso piano, cioè promuove processi di apprendimento significativi per tutti gli allievi in un clima educativo favorevole. Anche una didattica collaborativa, esaltata negli ultimi anni dal costruttivismo, ha portato a enfatizzare ulteriormente il ruolo dell’interazione tra pari per favorire l’apprendimento anche con allievi con bisogni educativi speciali. Peer tutoring e cooperative learning per esempio sono due delle strategie applicabili che possono favorire lo sviluppo di un approccio strategico ai compiti e di una capacità di riflessione sugli stessi garantendo anche una promozione di contesti inclusivi. Un ruolo importante inoltre è dato dalle nuove tecnologie dell’informazione TIC; esse supportano una progettazione didattica avanzata per l’intera classe attraverso l’utilizzo di software didattici. Il loro impiego può rappresentare un vantaggio per tutti. Quindi, la didattica dell'inclusione è attenta non solo alle strategie da mettere in campo per soddisfare le esigenze di particolari allievi ma orientata anche all’ambiente, al clima, alla differenziazione didattica, alla progettazione condivisa, alle strategie collaborative, allo sviluppo di capacità cognitive e metacognitive, alla formazione di competenze assertive e prosociali, alla conoscenza e gestione delle emozioni, all’impiego funzionale delle tecnologie. ICF E SCUOLA: SFIDA E OPPORTUNITà PER PROMUOVERE L’EDUCAZIONE INCLUSIVA La divulgazione della Classificazione Internazionale del Funzionamento (ICF) ha determinato un cambiamento radicale di prospettiva rispetto al precedente modo di concettualizzare la disabilità (modello bio-medico, modello sociale) e di affrontare la questione riguardante quali risposte offrire ai bisogni/ desideri/aspirazioni delle persone con disabilità. Infatti, essa prende in considerazione il fatto che le politiche create per contrastare i deficit nelle strutture e nelle funzioni (corporee), le limitazioni nelle attività personali, le restrizioni alla partecipazione sociale, che individuano la presenza di disabilità ma anche di bisogni speciali, dovrebbero essere orientate a ​promuovere lo sviluppo di capacità cognitive e motivazionali, ridurre le barriere sociali e rafforzare i facilitatori ambientali e personali. Per iniziare è necessario in particolare fare riferimento all’educazione inclusiva, dal momento che la sua finalità riguarda la promozione del bene comune di tutti i bambini. L’inclusività ha a che vedere con le culture, le pratiche e le politiche inclusive e riguarda il ben-essere di tutti i bambini e promuove ​culture e pratiche in cui tutte le barriere alla partecipazione possano essere identificate e rimosse. La ​48a Conferenza internazionale sull’educazione​, Inclusive Education: The way of the future afferma come principio fondamentale la ​necessità di promuovere l’educazione inclusiva a tutti i livelli​. Questo diritto viene ulteriormente affermato nella ​Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità: i governi di tutto il mondo si sono assunti la responsabilità di ​garantire che tutti i bambini, indipendentemente dal loro grado di abilità o disabilità, godano degli stessi diritti, senza discriminazioni di alcun genere​. La Convenzione ONU ​ha ridefinito il modello di disabilità in un contesto di diritti umani, promuovendo la rimozione dei fattori che impoveriscono la società (gli ostacoli, le barriere e le discriminazioni) e ha creato un nuovo impulso a muoversi verso le pari opportunità e la non discriminazione attraverso l’empowerment personale e sociale. ​Pertanto, gli Stati dovrebbero garantire anche che le persone con disabilità non siano escluse dal sistema di istruzione generale, indicazione della necessità di spostare l’attenzione dall’individuo ai suoi rapporti con la società, che possano accedere su base di uguaglianza con altri a un’istruzione primaria e secondaria gratuita e di qualità oltre che inclusiva e la previsione di un «accomodamento ragionevole» in funzione dei bisogni dei singoli. In seguito all’emanazione della Convenzione numerosi governi nazionali si stanno lentamente allineando con lo scopo di raggiungere questi obiettivi ​adottando quadri bio-psico-sociali del funzionamento e lo sviluppo di nuovi strumenti per la valutazione, la progettazione educativa e degli interventi, la riforma della formazione degli insegnanti ​sottolineano come sia importante che tutti i bambini abbiano l'opportunità di crescere in un contesto in cui possono percepire che le differenze diventano un valore e una risorsa da cui promuovere il ben-essere per tutti. Vivere in una «comunità così aperta» (inclusiva e includente) implica allora non solo che ogni persona ha il diritto di partecipare allo sviluppo dei suoi contesti e nello specifico di quelli educativi, ma implica anche che ​i sistemi educativi stessi siano sviluppati per rispondere alle diversità in modo da attribuire pari diritti e valori a tutti i bambini, i giovani e le loro famiglie e agli adulti che lavorano con loro. In questo modo l’educazione inclusiva non è un fine in sé stessa ma un mezzo per raggiungere un fine, il risultato di alcuni tipi di azioni che le persone intraprendono per avviare il processo inclusivo. Con «pensiero inclusivo» si ritiene che ​le difficoltà che un bambino incontra siano causate dall’ambiente di apprendimento e non dalle caratteristiche del bambino stesso. ​Quindi, pensare inclusivamente significa riflettere sul fatto che l’ambiente di apprendimento possa facilitare o al contrario ostacolare la crescita e l’apprendimento del bambino​. Tale visione viene ulteriormente promossa a partire dal 2001 con l’introduzione del ​Sistema di Classificazione del Funzionamento​, il quale ​individua il funzionamento di un individuo come determinato dalla relazione dinamica tra le componenti corporee, l’attività e la partecipazione di un individuo in interazione con il suo contesto di riferimento. Quindi l’interesse maggiore dell’ICF è rivolto al ​funzionamento inteso in accezione dinamica e rivolto ​a quello che potrà essere in grado di essere/fare un individuo introducendo nella propria vita dei cambiamenti. Detto questo allora l’approccio dell’educazione inclusiva è caratterizzato da un ampio cambiamento nel modo in cui la disabilità viene compresa. ​Il modello tradizionale di disabilità si è focalizzato sulle menomazioni della persona disabile ​e ha spiegato le difficoltà che ella sperimentava nella propria vita in termini di quelle menomazioni. Il modello medico di disabilità, infatti, vede la disabilità come una tragedia personale che limita la capacità della persona disabile a partecipare nella società. Il cambiamento di prospettiva avviene con l’​introduzione del modello bio-psico-sociale di disabilità (di cui l’ICF costituisce una manifestazione), attraverso l’enfasi sul tentativo da parte delle persone disabili di vedere riconosciuti i propri diritti alla completa partecipazione. Questo sposta l’attenzione dalla tragedia personale dell’individuo verso l’ambiente sociale in cui le persone in condizione di disabilità vivono, il quale interagisce per escluderli dalla completa partecipazione​. L’approccio dell’educazione inclusiva si colloca in linea con tale prospettiva nella comprensione in particolare delle difficoltà educative che i bambini con disabilità incontrano nel contesto scolastico. ​L’ICF suggerisce che queste difficoltà non possono essere spiegate semplicemente nei termini delle menomazioni dei bambini. ​Sono le caratteristiche del sistema educativo in sé stesso — curricoli mal progettati, insegnanti poco formati, mezzi inappropriati di istruzione, edifici inaccessibili — che creano barriere all’apprendimento per questi bambini. Alla scuola spetta allora il compito di fornire supporti adeguati affinché ogni persona promuovere attività didattiche che consentano un approccio creativo. L’insegnamento creativo deve fondare sulla importanza di ​sviluppare le particolarità e interessi di ogni studente, sollecitando la curiosità e la voglia di imparare ad aimparare​. Significa ​una scuola centrata sullo studente​. Flessibilità, innovazione e rinnovamento sono abilità che la scuola deve promuovere, sollecitare e sostenere così da rendere possibile la creazione di quel pensiero non convenzionale rendendo possibili occasioni di crescita e apprendimento continuo. IL RUOLO DELL’INSEGNANTE CREATIVO Il ​focus dell’insegnante creativo deve centrarsi sullo sviluppo di un approccio verso la risoluzione di problemi (​problem solving​), promuovendo e valutando il pensiero creativo e la ​diversità di opinione​. Esistono ​strategie centrate sullo studente che possono coinvolgere la creazione di concetti e nuove idee, obiettivi e interessi condivisi, confronti, attivi scambi di opinioni in piccoli gruppi. Promuovere l’apprendimento e la ricerca basandosi sulla ​risoluzione di problemi prevede di pianificare attività che abbiano un obiettivo comune, sondare, stimolare il pensiero del discente, investire la sua persona di ruoli e responsabilità e offrire opportunità di condivisione del compito. L’insegnamento creativo, per essere realmente tale, necessita di una visione fondata sul riconoscimento dell’importanza di sviluppare le particolarità e gli interessi di ogni studente, sollecitando la curiosità e la voglia di ​imparare ​ad imparare​. Una ​scuola centrata sullo studente​. L’insegnamento, in tal senso, deve promuovere e portare allo sviluppo di un ​pensiero complesso​, conseguenza di un apprendimento che dura per tutto l’arco della vita (​lifelong learning​). Flessibilità, innovazione e rinnovamento sono abilità che la scuola deve promuovere, sollecitare e sostenere così da rendere possibile la creazione di quel pensiero non convenzionale, che sia caratteristico di ogni persona nella sua individualità e unicità, rendendo possibili occasioni costanti di crescita e di apprendimento continuo​ di fronte a situazioni nuove e difficili. Quando sono gli allievi i protagonisti dell’interazione insegnamento-apprendimento, quando sono loro, e non più l’insegnante, ad assumere un ruolo centrale, diventa altresì possibile promuovere ​attività didattiche che consentano un approccio creativo. Per favorire la scoperta e l’apprendimento attivo è necessario, dunque, che la pratica didattica muova verso la ​centralizzazione dell’alunno, dedicando ampio spazio alla ricerca individuale e di gruppo, favorendo in tal modo la scoperta, la conoscenza, la creazione di nuovi contenuti, lo sviluppo di un pensiero complesso, di competenze e di comprensione. Come tale, la creatività dovrebbe essere una “​competenza​” fondamentale da sviluppare a scuola, uno strumento strategico che insegnanti ed educatori dovrebbero portare a massima espressione, essendo un potenziale che ogni alunno possiede. In tal senso, compito dell’educatore non è unicamente trasmettere contenuti ma pianificare e porre in essere un’​azione formativa che sia realmente rivolta agli alunni, tirando fuori e sfruttando al meglio il caratteristico potenziale creativo di ogni allievo. Per favorire e sviluppare un ambiente creativo, l’insegnante ha il compito di creare un clima in cui lo spazio creativo sia incoraggiato e ricompensato piuttosto che in un clima educativo in cui vengono approvate soltanto le soluzioni certe e convergenti. Infatti, come sostiene Bendin, sono molteplici i blocchi emotivi che possono bloccare la creatività: blocchi emotivi, culturali e sociali. Per sbloccare quindi la creatività si ha bisogno di un’atmosfera che abbia caratteristiche come eliminare le sanzioni negative contro il pensiero divergente, ridurre la paura di sbagliare, aiutare gli scolare più creativi a non sentirsi isolati e abbandonati. impedire che gli stessi vengano derisi o disprezzati dai loro compagni o dai loro coetanei, far sì che i genitori siano comprensivi verso l’atteggiamento divergente dei figli. Tra i fattori positivi da sviluppare: la sensibilità per le proprie emozioni, l’interesse per le esperienze sensoriali, l’apertura alle idee nuove ed il rispetto per il nuovo e l’insolito. Oltre a queste strategie, esistono numerose sono le tecniche che facilitano le fasi del pensiero creativo come il brainstorming, la parola casuale, la ruota libera e il concassage. AUTOAPPROVAZIONE, AUTORICONOSCIMENTO, AUTOEFFICACIA SONO ALLA BASE DELLA DINAMICA MOTIVAZIONALE PRIMARIA NELL’APPRENDIMENTO, CHE DEVE PERÒ ESSERE ASSOCIATO A SUCCESSO. COMMENTI IL CANDIDATO LA FUNZIONE DI RINFORZO POSITIVO DEL SUCCESSO NELL’APPRENDERE. Nell’apprendere, come in ogni altra attività umana, il ​fattore motivazionale è costituito dalla componente emozionale che lo accompagna. L’apprendere risponde alla spinta naturale prodotta dalla funzione esploratoria accompagnata dall’emozione della meraviglia, ma, accanto a questa, la via più profonda dell’investimento emotivo è certamente quella che si genera nella conferma di sé. Autoapprovazione, autoriconoscimento – ​autoefficacia (Bandura) – e conseguente ​autostima​: questa, evidentemente, la dinamica motivazionale primaria nell’apprendimento, che deve però essere associato a successo, benché non rigidamente sempre garantito, ma conquistato anche patendo qualche incertezza e insuccesso. Il rinforzo positivo del successo nell’apprendere​: La funzione di rinforzo positivo del successo nell’apprendere è molto forte: il punto di vista behavioristico può rivelarsi di sorprendente attualità a questo proposito. Tra le sei emozioni di base (​gioia, tristezza, rabbia, paura, disgusto, stupore) ​questo stato emotivo va compreso all’interno della emozione ​gioia​, la quale, oltretutto, per sua stessa natura, ha bisogno di essere manifestata ad altri e condivisa. Anche per questa via si rivela di grande portata motivazionale la cooperatività nell’apprendere a scuola​, tanto più che un’intera linea della psicologia contemporanea ravvisa nella cooperazione amicale uno dei cinque dispositivi motivazionali fondamentali della nostra specie (il SMI – Sistema Motivazionale Interpersonale ​cooperativo-paritetico​, accanto a quelli dell’​attaccamento, ​dell’​accudimento, agonistico ​e sessuale). Alla luce di questo quadro, la tradizionale distinzione tra motivazione ​intrinseca ​ed estrinseca acquista una forza ancor maggiore dando luogo a quella che si potrebbe definire una specie di scala della motivazione: ● Motivazione intrinseca: il piacere di apprendere ● Motivazione generata dal successo; ● Motivazione derivante dalla conferma dell’adulto significativo; ● Motivazione estrinseca o premiale (si consideri, ad es. la cosiddetta token economy;) ● Motivazione derivante dalla connotazione della scuola intesa come ambiente motivante (forte personalizzazione degli ambienti, ecc.) Naturalmente, la regola d’oro sarà ricordare che le diverse forme di motivazione saranno tanto più efficaci se il docente saprà intenzionalmente costruire situazioni di apprendimento in cui siano attivi e concorrenti simultaneamente più fattori di motivazione (anche quelle qui non menzionate, quali il ricorso all’immagine, alle nuove tecnologie, al gioco, ecc.). Esse si sostengono a vicenda potendo anche, in certa misura, ​vicariarsi. ​Ad esempio, l’aspettativa del riconoscimento da parte del docente potrebbe costituire occasionalmente una buona motivazione in assenza di forte interesse o di minori probabilità di successo, purché la si sappia far valere adeguatamente e correttamente. INTEGRAZIONE E INTERCULTURALITà Una scuola che intenda impegnarsi nella difficile sfida dell’​integrazione deve essere in grado di accettare e accogliere ogni suo allievo nel modo migliore, fornendo risposte soddisfacenti agli specifici bisogni educativi di cui ciascuno è portatore. La scuola dell’inclusione deve dunque operare per la costruzione di piani educativi idonei a rimuovere gli svantaggi di natura sociale, culturale ed economica che ostacolano il raggiungimento dei risultati di apprendimento, a partire proprio dalle ​barriere linguistiche​. La Direttiva del 27/12/2012, “Strumenti d’intervento per alunni con bisogni educativi speciali e organizzazione territoriale per l’inclusione scolastica” si muove proprio in questa direzione, assimilando la difficoltà linguistica alla disciplina dei ​Bisogni Educativi Speciali e aprendo la strada all’istituzione della nuova classe di abilitazione A-23 Lingua italiana per discenti di lingua straniera; l’obiettivo dell’inclusione non può infatti prescindere dall’apprendimento della lingua in una dimensione plurilingue e interculturale. Le difficoltà che presentano gli ​alunni stranieri sono tuttavia più ampi della sola padronanza linguistica; d’altro canto i più recenti studi affermano che il ​bilinguismo non è un ostacolo allo sviluppo dell’alunno, ma un punto di forza da valorizzare mediante percorsi finalizzati al potenziamento delle abilità linguistiche. L’accoglienza di uno studente straniero occupa dunque un ruolo estremamente importante nel ​processo d’integrazione​, che è di tipo bidirezionale, nel senso che coinvolge sia l’alunno sia la classe in cui lo stesso è inserito e può diventare un’occasione di arricchimento per la classe. A tale scopo, l’insegnante dovrà promuovere e organizzare attività finalizzate alla conoscenza reciproca, incentrate per esempio sulla condivisione di esperienze e ricordi. Se l’alunno è arrivato in Italia in età di scuola dell’obbligo avrà ricordi e storie personali da condividere e raccontare; in tal caso, è possibile creare un ​percorso interdisciplinare che coinvolga l’intero team docente. L’insegnante può proporre al gruppo classe di formulare delle domande da porre al compagno per conoscerlo meglio, facendosi raccontare come viveva nel paese d’origine, com’era la scuola che frequentava, quali erano i suoi hobby, e così via. Il percorso deve comprendere diverse proposte di lavoro: racconto orale, discussione, produzione scritta, ricerca in rete di foto e mappe del paese d’origine, realizzazione di cartelloni murali e di prodotti multimediali. È importante ricordare che gli alunni hanno bisogno di ​supporti iconici per comprendere meglio, perché non riescono a farsi un’idea del paese d’origine del compagno solo attraverso il racconto orale: per esempio, in classe o in altri ambienti dell’edificio scolastico si possono appendere disegni, foto, cartelloni o altro per documentare e lasciare un segno di ciò che si è condiviso. Le parole vanno arricchite di significati attraverso le esperienze: si potranno, quindi, prevedere giornate a tema sulle tradizioni culinarie, che coinvolgano concretamente anche le famiglie nell’elaborazione di piatti tipici. Queste sono forme di ​apprendimento condiviso che segnano un ​percorso metacognitivo in tutti gli alunni. Un diverso percorso di accoglienza può essere realizzato quando uno studente straniero è appena arrivato dal paese d’origine e non conosce l’italiano; sarebbe buona prassi avere sempre pronte delle attività che consentano di accogliere adeguatamente il nuovo compagno. Quando per un allievo straniero è ancora molto difficile comprendere le nuove parole, è opportuno utilizzare altri linguaggi: ad esempio, si possono organizzare laboratori che prevedono attività musicali, ludiche, grafico-pittoriche, manipolative, l’utilizzo di software, ecc., insomma ​laboratori del “fare”​. Essere sempre organizzati e pronti ad accogliere un nuovo compagno dovrebbe diventare un’abitudine e le attività predisposte dovrebbero costituire una sorta di vademecum della classe. Il coinvolgimento di tutti gli alunni nell’ideazione e nella realizzazione di attività incrementerà il livello di motivazione allo studio e migliorerà l’atteggiamento nei confronti del nuovo compagno. Nei primi tempi di inserimento in classe può essere importante affiancare l’alunno straniero ad un suo coetaneo che fungerà da tutor, aiutandolo nella quotidianità della vita scolastica. Le ​metodologie didattiche ​attive sono le più consigliate: lavori in piccoli gruppi, cooperative learning, approccio ludico, role playing, didattica laboratoriale. ATTIVARE UNA POSITIVA RELAZIONE EDUCATIVA Parlare di ​relazione educativa significa addentrarsi nel complesso sistema di competenze e conoscenze che costituiscono il ​saper fare e il ​saper essere del docente. Nella storia della scuola, la relazione educativa, come oggi la intendiamo, può essere considerata una conquista. Fino a qualche anno fa non ci si poneva in modo così significativo il problema del rapporto docente-discente e la qualità di un docente veniva misurata in base alla sua capacità di portare a termine un compito di “erudizione”, di trasferimento del sapere, senza che venisse previsto un processo di rielaborazione da parte del soggetto. - Il ​locus of control ovvero la capacità di comprendere se il proprio agire dipende da agenti esterni o interni; - Il ​senso di autoefficacia​ ovvero la fiducia nelle proprie capacità, il sapere di “potercela fare”; - Lo ​stile di attribuzione legato a fattori cui si imputa il successo o l’insuccesso (impegno, facilità del compito, aiuto); - Il ​senso di autostima relativo alla percezione del sé, la motivazione che sprona l’alunno ad agire in prima persona Per impostare una attività con valenza metacognitiva il docente, dopo aver presentato alla classe un compito o un problema, chiede agli alunni di identificarne le caratteristiche. È importante iniziare con proposte non impegnative a livello cognitivo per poi passare a presentare problemi più complessi​. Particolarmente utili per l’acquisizione di strategie sono le ​esperienze dirette​: attraverso di esse l’alunno può infatti pervenire ad un apprendimento significativo​. Preliminarmente il docente deve fornire una serie di informazioni sulla strategia da utilizzare, dimostrare come la si applica e chiedere di attuare un confronto tra i risultati ottenuti con o senza il suo uso. Queste operazioni favoriscono il consolidamento di una competenza e il suo transfer, ovvero la generalizzazione ad altre situazioni differenti, a contesti nuovi. Alcune attività possibili con un approccio metacognitivo sono, per esempio, la comprensione del testo scritto, l’acquisizione di un metodo di studio, la risoluzione di problemi, lo sviluppo di un maggior livello di attenzione e memorizzazione. Per la ​comprensione del testo scritto è possibile iniziare chiedendo di identificare gli ​elementi importanti del messaggio (sottolineare ciò che si ritiene importante) aiutandosi anche con alcune particolarità del testo come gli artifici tipografici (titoli, evidenziazione in grassetto di alcune parole, cartine e grafici). Queste caratteristiche consentono il recupero di alcune conoscenze già acquisite e stimolano l’attenzione dell’alunno nella prosecuzione della lezione. Il docente deve sviluppare la capacità di anticipare il contenuto del testo, chiedendo agli allievi di ​fare previsioni rispetto alla facilità o difficoltà del contenuto, alle caratteristiche della tipologia testuale e alla sua funzione comunicativa (perché è stato scritto). ​Dare anticipazioni all’alunno rispetto al contenuto favorisce un approccio al materiale maggiormente attivo, più economico, più efficace: l’attenzione degli alunni può focalizzarsi sugli elementi principali. Per far sì che l’allievo sia attento a ciò che legge è importante operare su singoli capoversi o unità di informazione. ​Isolare blocchi di informazioni diminuisce le richieste cognitive e facilita la formulazione di ipotesi su quello che ci sarà scritto. Il monitoraggio permette la lettura attiva, il lettore si pone dei dubbi: “Ho capito?”; “Cosa non mi è chiaro?”. Per richiamare le conoscenze precedenti di tipo lessicale, relative all’argomento, alle esperienze vissute e sviluppare ipotesi si può ricorrere a ​figure e cartine come sussidio mnemonico, che facilitano il ricordo. Rispondere a domande può essere più facile se si utilizzano immagini mentali del contenuto; invece per individuare le parti importanti del testo si possono concretizzare i concetti astratti riassumendoli con parole-chiave e costruendo uno schema (mappa concettuale). Far ​prendere appunti utilizzando frasi con ​parole-chiave consente di confrontare ipotesi e aumenta la possibilità di successo e di motivazione. In presenza di parole difficili si propone una scelta utilizzando due disegni: uno riferito al termine evidenziato e uno con significato completamente diverso e si chiede all’alunno di individuare quello esatto. Si attua, in questo modo, una transcodifica dal testo scritto al disegno. È possibile fornire una scheda, un organizzatore anticipato, con l’elencazione delle tematiche chiave e uno schema sull’argomento oggetto di studio (per l’ambito storico: “Quando? Dove? Cosa?”). È anche possibile attribuire ad alcuni alunni la funzione di tutor rispetto a compagni con maggiori difficoltà o organizzare il percorso operativo secondo una modalità cooperativa per gruppi. Il docente può alternare modalità di studio collettive con modalità svolte a coppie: i vari componenti possono formulare delle domande per aiutare i compagni a comprendere meglio, possono elaborare una parafrasi, una ri-esposizione delle informazioni apprese condividendo capacità, conoscenze, competenze anche con forme di collaborazione diverse. EDUCABILITà Attraverso la lente della pedagogia è possibile riflettere su temi cruciali che qualsiasi insegnante si pone approcciandosi a questo mestiere. L’ottica pedagogica ci permette di considerare il tema dell’educabilità di un individuo non solo come il trasferimento di contenuti disciplinari ma come un progetto e una sfida che va ben oltre una visione centrata sulla dimensione temporale del presente; al contrario, anticipa delle “realtà possibili” e “procede per utopie” (Caldin). L’insegnante deve quindi porre la sua attenzione sul processo di educazione attraverso il quale la vita umana dev’essere sollecitata a riflettere su ciò che può e vuole diventare valicando così i confini dell’impossibile e dell’imposto. In questo senso la pedagogia speciale si carica di una valenza utopica, cioè vede dei cambiamenti e dei progressi laddove il senso comune vede impossibilità. Ed è per questo che Canevaro quando parla di pedagogia speciale si riferisce ad un contesto dinamico e in evoluzione, in continuo divenire e che interagisce con agenti in cambiamento. L’idea fondante è che ogni persona è educabile in quanto tale, come ci insegna il mito fondatore di questa scienza: ​Le sauvage de L'Aveyron​, il cui protagonista, Victor, un ragazzo trovato nelle foreste francesi, verrà educato e civilizzato nonostante lo scetticismo data la sua condizione di disabilità. Nel contesto formativo si ha una radicale ristrutturazione: non ci si sofferma più sulla dicotomia normalità/diversità ma la classe diventa un luogo di incontro e riflessione in cui tutti tendono verso una molteplicità di traguardi possibili. La scelta dei percorsi differenti da intraprendere deve partire dalla consapevolezza che ognuno ha non solo il diritto ma anche le capacità per arrivare alla propria meta ideale. Si tratta quindi di riposizionarsi, disegnando il proprio percorso personale riflettendo sulle proprie aspettative (Canevaro). All’interno di questa visione, il docente svolge un ruolo fondamentale. Egli è sia regista e coordinatore ma anche un modello il cui modo di operare influenza gli alunni. La mia esperienza personale funge da esempio concreto: il mio atteggiamento in classe è sempre proteso ad agevolare tutti gli studenti su una base di uguaglianza e di parità, senza discriminare, stereotipizzare o marginalizzare gli alunni. Le loro performances e capacità vengono stimolate prediligendo dei curricoli didattici che non accentuano le differenze (Canevaro) ma, al contrario, vengono considerate come una ricchezza fondamentale all’interno del contesto formativo. Compito dell’insegnante è quello di formare e creare delle identità personali tenendo a mente quello che Canevaro definisce “la delega paradossa”: ogni azione educativa deve mirare a sviluppare e far emergere la personalità e capabilities di ogni persona per un periodo di tempo temporaneo. Egli poi ritorna al proprio contesto familiare e progetto di vita personale il cui scopo è quello di diventare un adulto che ha tempi e compiti unici. Non esistono “ruoli tipici dell’adulto” e “obblighi predefiniti” che contraddistinguono l’identità adulta, ma esistono “tempi e modalità” che sono soggettive e personali. In questo modo, qualsiasi persona, anche in condizione di disabilità, può “diventare grande” (Lepri). . Essere un bravo insegnante significa quindi riflettere su questi punti, significa avere lo sguardo proiettato verso il futuro, significa progettare riponendo fiducia nel processo di umanizzazione dell’educando e sulla sua “adultità possibile” (Lepri). INTELLIGENZA EMOTIVA Il concetto di ​Intelligenza emotiva è stato introdotto da Salovey e Mayer (1990) per descrivere “la capacità che hanno gli individui di monitorare le sensazioni proprie e quelle degli altri, discriminando tra vari tipi di emozione​ ed usando questa informazione per incanalare pensieri ed azioni”. Goleman, nel 1995, riprende tale concetto mediante la pubblicazione del suo libro “Intelligenza emotiva ”; questo termine, secondo Goleman, include l​’autocontrollo, l’entusiasmo e la perseveranza, nonché la capacità di auto-monitorarsi. Questi concetti possono essere insegnati a scuola mettendo gli studenti nelle migliori condizioni per far fruttare qualunque talento intellettuale la genetica abbia dato loro. Si afferma, che la ​famiglia è il primo contesto in cui apprendiamo gli insegnamenti riguardanti la vita emotiva. L’educazione emozionale opera, non solo attraverso le parole e le azioni dei genitori indirizzate al bambino, ma anche attraverso i modelli che gli offrono mostrandogli come gestiscono i loro sentimenti e la propria relazione coniugale. Avere dei genitori intelligenti, sotto il profilo emotivo, è una fonte di beneficio per il bambino. I bambini che imparano a gestire le proprie emozioni e a controllare i propri istinti tollerano meglio le situazioni stressanti, imparano a comunicare meglio i propri stati emozionali e sono in grado di sviluppare relazioni positive con la famiglia e gli amici e ottengono maggiori successi a scuola. A scuola, appare evidente il ruolo centrale che i processi affettivi giocano nell’organizzare l’esperienza e il comportamento. Come afferma Carl Rogers, in un clima favorevole alla crescita, l’apprendimento è più profondo, procede più rapidamente, in quanto nel processo è investita l’intera persona, con sentimenti e passioni al pari dell’intelletto. Le finalità dello sviluppo dell’ intelligenza emotiva riguardano pertanto la conoscenza, l’acquisizione e la realizzazione delle competenze emotive relative a cinque aree: Consapevolezza di sé, Autocontrollo, Motivazione, ​Empatia​, Abilità sociali. Tali capacità se opportunamente sviluppate diventano competenze emotive e sociali. é attraverso l’educazione e lo sviluppo di queste abilità che possiamo apprendere ad essere emotivamente intelligenti, imparando ad usare le emozioni come un patrimonio di ricchezza straordinaria. Questo nuovo punto di partenza nell’introdurre l’alfabetizzazione nelle scuole fa delle emozioni e della vita sociale vere e proprie materie di insegnamento cosicché questi aspetti tanto rilevanti della vita quotidiana dell’alunno non vengono più considerati come intrusioni non pertinenti né come occasionale materia disciplinare. Le lezioni possono apparire piatte, inadeguate a offrire una soluzione ai problemi che affrontano, ma sono assai significative. L’apprendimento emozionale mette le radici e fruttifica, dando risultati in futuro. In sintesi, il repertorio comportamentale dell’uomo, secondo Goleman, è in buona parte determinato dalle emozioni (Goleman, 1998). E’ indispensabile, infine, riaffermare che “l’alfabetizzazione emozionale può per certi versi apparire come un esercizio banale, o comunque insufficiente a impedire le multiformi manifestazioni del malessere giovanile, ma l’obiettivo finale di formare nell’ambito scolastico esseri umani, in un clima di libertà e dignità, costituisce un traguardo fondamentale per il nostro futuro e per quello della scuola” (Vignati, 2000). Il diffondersi di esperienze formative centrate sulla crescita emozionale, credo autorizzi la speranza in un futuro nel quale la scuola assumerà il compito educativo prevalente di promuovere qualità e attitudini come l’autocontrollo e la sicurezza di sé, l’esprimere i sentimenti, l’arte di ascoltare e di risolvere i conflitti, di cooperare, e tutte le altre abilità della vita emotiva. DIDATTICHE PER COMPETENZE I processi di riforma educativa in Italia che pongono all’attenzione la ​necessità di sviluppare pratiche didattiche centrate sullo sviluppo di competenze come obiettivo di apprendimento rispecchiano il quadro comunitario che ha conosciuto un’accelerazione rilevante nell’ultimo decennio intorno al concetto di competenza. Il concetto di competenze chiave​, definite come la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale, ​è stato individuato dal Parlamento Europeo e il Consiglio d’Europa nella Raccomandazione del 2006 intitolata Quadro comune europeo alle competenze chiave per l’apprendimento permanente. Esso definisce le ​competenze che sono necessarie ai cittadini per la propria realizzazione personale, per la cittadinanza attiva, per promuovere la coesione sociale e anche l’occupabilità degli Stati Europei​. Tali competenze chiave devono essere acquisite in ambienti di educazione formale e informale, ​in primis la scuola. Tali competenze sono state poi classificate ulteriormente il ​22 maggio 2018 dal Consiglio dell’Unione Europea che, richiamandosi alla propria Raccomandazione del 2006, ha deciso di puntare l’accento su temi particolarmente importanti nella moderna società: lo ​sviluppo sostenibile ​e le competenze imprenditoriali​, ritenute indispensabili per “assicurare resilienza e capacità di adattarsi ai cambiamenti”. Con le Indicazioni Nazionali per la scuola dell’infanzia e del primo ciclo del 2012 il sistema scolastico italiano quindi “assume come orizzonte di riferimento verso cui tendere il quadro delle competenze-chiave per l’apprendimento permanente definite dal Parlamento Europeo”. Le indicazioni nazionali descrivono i del soggetto, il docente ritiene indispensabile l’intervento di uno specialista perchè è solo responsabile della sua classe e della disciplina di insegnamento delle disabilità e l'attribuzione dell'etichetta di riferimento. Dopo i movimenti di contestazione del ‘68 si assiste a un rapido smantellamento delle istituzioni speciali e all’inserimento degli alunni disabili nella scuola normale. La prima normativa che porta alla logica dell’inserimento è la ​L. 11/1971 che sancisce il principio secondo il quale l’istruzione dell’obbligo deve avvenire nella scuola comune. Purtroppo però tale legge non è ancora accompagnata da interventi che ne facilitano l’attuazione infatti non interviene adeguatamente per rimuovere le barriere architettoniche, mancano insegnanti di sostegno specializzati, non si dà vita a un’adeguata azione di formazione dei docenti, non c’è un'efficace sensibilizzazione sociale. Essa comunque costituisce un punto di svolta rispetto alla concezione emarginata o riduttiva precedentemente consolidata. Nel 1974 il Ministro della Pubblica Istruzione nomina una commissione con il compito di analizzare la situazione venutasi a creare e definire le linee della futura politica scolastica a riguardo. Frutto del lavoro della commissione è il ​Documento Falcucci​, dal nome della Presidente della Commissione, pubblicato nel 1975. Si tratta di un elemento di elevato spessore, tale da influenzare tutti gli atti della successiva politica della disabilità e soprattutto da far evolvere la visione pedagogica del problema. Sono delineate alcune posizioni particolarmente significative che segnano il passaggio definitivo da una concezione assistenziale, propria della logica dell'inserimento, a una più improntato alla relazione di aiuta propria dell’integrazione: la condizione della piena integrazione è data da un modo nuovo di essere della scuola, bisogna rivedere alcune convinzioni ritenute immodificabili e le conseguenti pratiche consolidate e viene superata l’idea di norma al di sotto della quale non è giustificabile la frequenza scolastica. La ​CM 227/1975 rappresenta così il principio della massima integrazione nelle classi normali: l’inserimento degli “handicappati” dev’essere reso possibile dalla trasformazione e rinnovamento delle scuole comuni. La legge successiva e scaturita dalla Commissione Falcucci è la ​L. 517/77 “norme sulla valutazione e sull’abolizione degli esami di riparazione nonché altre norme” che ne recepisce pienamente lo spirito critico e traduce nella prescrittività della norma le importanti indicazioni. Tale legge delinea una nuova visione della scuola e ne rivoluziona alcuni strumenti istituzionali ritenuti fino ad allora quasi dei dogmi pedagogici. Essa infatti stabilisce con chiarezza presupposti e condizioni per l’integrazione scolastica, definisce il ruolo centrale nel contesto educativo di ogni alunno, la responsabilità degli studenti da parte della scuola e l’inserimento dell’insegnante di sostegno. Sempre con riferimento alla logica dell’integrazione è una legge successiva, la legge quadro 104/92, che considera il tema dell’integrazione all’interno di una più vasta dimensione, sia sociale sia lavorativa e chiama in causa una molteplicità di soggetti, dal settore medico e assistenziale a quello degli enti locali, a quello dell’istruzione che insieme possono agire per assicurare il miglior soddisfacimento possibile delle “persone disabili”. Essa inoltre introduce degli strumenti istituzionali come la Diagnosi Funzionale, IL Profilo Dinamico Funzionale e il Piano Educativo Individualizzato, promuove una programmazione integrata e costituisce gruppi di lavoro per l’integrazione scolastica, il GLIR, previsto presso ogni ufficio scolastico provinciale. La normativa scolastica è profondamente mutata a partire dagli anni Novanta. Nel 1994 infatti la Dichiarazione di Salamanca sancisce il diritto dell’educazione di tutti i bambini attraverso un sistema pedagogico educativo incentrato su l'inclusione del bambino per soddisfare le sue necessità. con l’introduzione dell’autonomia scolastica dalle ​L. 59/1997 e ​DPR 275/99​. Essa ha introdotto una maggior responsabilità progettuale e didattica delle scuola esercitata attraverso un nuovo strumento, il POF, all’interno del quale vanno inserite le strategie messe in atto a favore degli alunni diversamente abili. Questo richiede che l’istituzione scolastica sappia sempre di più connotarsi in termini di comunità e il tratto che caratterizza una comunità è l’inclusività. Un altro passo decisivo è dato dalla ​Convenzione ONU di New York sui diritti delle persone con disabilità​: tutti gli Stati membro devono prendere misure appropriate per assicurare alle persone con disabilità sulla base delle uguaglianza l’accesso a un ambiente fisico, all’informazione e comunicazione. Un contributo importante per la delineazione di una scuola inclusiva nei confronti di tutti gli alunni con BES viene offerto dal sistema di classificazione messo a punto recentemente dall’OMS, l’ICF cioè la Classificazione Internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute che cambia i criteri finora utilizzati per la descrizione delle situazioni di svantaggio, andando oltre le classificazioni centrate su deficit e malattie. Infine, il DLGS 66/2017 attuativo della L. 107/2015 “norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità” si è occupato di inclusione scolastica: essa risponde ai differenti bisogni educativa e si realizza attraverso strategie educative e didattiche finalizzate allo sviluppo delle potenzialità di ciascuno nel rispetto del principio dell’autodeterminazione e dell’accomodamento ragionevole nella prospettiva della miglior qualità di vita. CENTRALITà DELLA PERSONA Le finalità della scuola devono essere definite a partire dalla persona che apprende, con l’originalità del suo percorso individuale e le aperture offerte dalla rete di relazioni che la legano alla famiglia e agli ambiti sociali. ​La definizione e la realizzazione delle strategie educative e didattiche devono sempre tener conto della singolarità e complessità di ogni persona, della sua articolata identità, delle sue aspirazioni, capacità e delle sue fragilità, nelle varie fasi di sviluppo e di formazione. Lo studente è posto al centro dell’azione educativa in tutti i suoi aspetti: cognitivi, affettivi, relazionali, corporei, estetici, etici, spirituali, religiosi. In questa prospettiva, i docenti dovranno pensare e realizzare i loro progetti educativi e didattici non per individui astratti, ma per persone che vivono qui e ora, che sollevano precise domande esistenziali, che vanno alla ricerca di orizzonti di significato. Sin dai primi anni di scolarizzazione è importante che i docenti definiscano le loro proposte in una relazione costante con i bisogni fondamentali e i desideri dei bambini e degli adolescenti. È altrettanto importante valorizzare simbolicamente i momenti di passaggio che segnano le tappe principali di apprendimento e di crescita di ogni studente. Particolare cura è necessario dedicare alla ​formazione della classe come gruppo​, alla promozione dei legami cooperativi fra i suoi componenti, alla gestione degli inevitabili conflitti indotti dalla socializzazione. La scuola si deve costruire come luogo accogliente, coinvolgendo in questo compito gli studenti stessi. Sono, infatti, importanti le condizioni che favoriscono lo star bene a scuola, al fine di ottenere la partecipazione più ampia dei bambini e degli ado- lescenti a un progetto educativo condiviso​. La formazione di importanti legami di gruppo non contraddice la scelta di porre la persona al centro dell’azione educativa, ma è al contrario condizione indispensabile per lo sviluppo della personalità di ognuno. La scuola deve porre le basi del percorso formativo dei bambini e degli adolescenti sapendo che esso proseguirà in tutte le fasi successive della vita. In tal modo la scuola fornisce le chiavi per apprendere ad apprendere, per costruire e per trasformare le mappe dei saperi rendendole continuamente coerenti con la rapida e spesso imprevedibile evoluzione delle conoscenze e dei loro oggetti. Si tratta di elaborare gli strumenti di conoscenza necessari per comprendere i contesti naturali, sociali, culturali, antropologici nei quali gli studenti si troveranno a vivere e a operare per una nuova cittadinanza La scuola persegue ​una doppia linea formativa: verticale e orizzontale. ​La linea verticale esprime l’esigenza di impostare una formazione che possa poi continuare lungo l’intero arco della vita; quella orizzontale indica la necessità di un’attenta collaborazione fra la scuola e gli attori extrascolastici con funzioni a vario titolo educative: la famiglia in primo luogo. Insegnare le regole del vivere e del convivere è per la scuola un compito oggi ancora più ine- ludibile rispetto al passato, perché sono molti i casi nei quali le famiglie incontrano difficoltà più o meno grandi nello svolgere il loro ruolo educativo. La scuola non può interpretare questo compito come semplice risposta a un’emergenza. Non è opportuno trasformare le sollecitazioni che le provengono da vari ambiti della società in un moltiplicarsi di microprogetti che investano gli aspetti più disparati della vita degli studenti, con l’intento di definire norme di comportamento specifiche per ogni situazione. L’obiettivo non è di accompagnare passo dopo passo lo studente nella quotidianità di tutte le sue esperienze, bensì di ​proporre un’educazione che lo spinga a fare scelte autonome e feconde, quale risultato di un confronto continuo della sua progettualità con i valori che orientano la società in cui vive. La scuola perseguirà costantemente l’obiettivo di costruire un’alleanza educativa con i geni- tori. Non si tratta di rapporti da stringere solo in momenti critici, ma di relazioni costanti che riconoscano i reciproci ruoli e che si supportino vicendevolmente nelle comuni finalità educative. La scuola si apre alle famiglie e al territorio circostante, facendo perno sugli strumenti forniti dall’autonomia scolastica, che prima di essere un insieme di norme è un modo di concepire il rapporto delle scuole con le comunità di appartenenza, locali e nazionali​. ​L’acquisizione dell’autonomia rappresenta un momento decisivo per le istituzioni scolastiche. Grazie a essa si è già avviato un processo di sempre maggiore responsabilizzazione condiviso dai docenti e dai dirigenti, che favorisce altresì la stretta connessione di ogni scuola con il suo territorio. In quanto comunità educante, la scuola genera una diffusa convivialità relazionale, intessuta di linguaggi affettivi ed emotivi, ed è anche in grado di promuovere la condivisione di quei valori che fanno sentire i membri della società come parte di una comunità vera e propria. La scuola affianca al compito «dell’insegnare ad apprendere» quello «dell’insegnare a essere». L’obiettivo è quello di valorizzare l’unicità e la singolarità dell’identità culturale di ogni studente. La presenza di bambini e adolescenti con radici culturali diverse è un fenomeno ormai strutturale e non può più essere considerato episodico: deve trasformarsi in un’oppor- tunità per tutti. Non basta riconoscere e conservare le diversità preesistenti, nella loro pura e semplice autonomia. Bisogna, invece, sostenere attivamente la loro interazione e la loro integrazione attraverso la conoscenza della nostra e delle altre culture, in un confronto che non eluda questioni quali le convinzioni religiose, i ruoli familiari, le differenze di genere. La promozione e lo sviluppo di ogni persona stimola in maniera vicendevole la promozione e lo sviluppo delle altre persone: ognuno impara meglio nella relazione con gli altri. Non basta convivere nella società, ma questa stessa società bisogna crearla continuamente insieme. Il sistema educativo deve formare cittadini in grado di partecipare consapevolmente alla costruzione di collettività più ampie e composite, siano esse quella nazionale, quella euro- pea, quella mondiale. Non dobbiamo dimenticare che fino a tempi assai recenti la scuola ha avuto il compito di formare cittadini nazionali attraverso una cultura omogenea. Oggi, invece, può porsi il compito più ampio di educare alla convivenza proprio attraverso la valorizzazione delle diverse identità e radici culturali di ogni studente. La finalità è una cittadinanza che certo permane coesa e vincolata ai valori fondanti della tradizione nazio- nale, ma che può essere alimentata da una varietà di espressioni ed esperienze personali molto più ricca che in passato. Per educare a questa cittadinanza unitaria e plurale a un tempo, una via privilegiata è proprio la conoscenza e la trasmissione delle nostre tradizioni e memorie nazionali: non si possono realizzare appieno le possibilità del presente senza una profonda memoria e condivisione delle radici storiche. A tal fine sarà indispensabile una piena valorizzazione dei beni culturali presenti sul territorio nazionale, proprio per arricchire l’esperienza quotidiana dello studente con culture materiali, espressioni artistiche, idee, valori che sono il lascito vitale di altri tempi e di altri luoghi. La nostra scuola, inoltre, deve formare cittadini italiani che siano nello stesso tempo cittadini dell’Europa e del mondo. I problemi più importanti che oggi toccano il nostro continente e l’umanità tutta intera non possono essere affrontati e risolti all’interno dei confini nazionali tradizionali, ma solo attraverso la comprensione di far parte di grandi tradizioni comuni, di un’unica comunità di destino europea così come di un’unica comunità di destino planetaria. ​Perché gli studenti acquisiscano una tale comprensione, è consapevole a valori condivisi e di atteggiamenti cooperativi e collaborativi che costituiscono la condizione per praticare la convivenza civile. Obiettivi irrinunciabili dell’educazione alla cittadinanza sono la ​costruzione del senso di legalità e lo sviluppo di un’etica della responsabilità, che si realizzano nel dovere di scegliere e agire in modo consapevole e che implicano l’impegno a elaborare idee e a promuovere azioni finalizzate al miglioramento continuo del proprio contesto di vita, a partire dalla vita quotidiana a scuola e dal personale coinvolgimento in ​routine ​consuetudinarie che possono riguardare la pulizia e il buon uso dei luoghi, la cura del giardino o del cortile, la custodia dei sussidi, la documentazione, le prime forme di partecipazione alle decisioni comuni, le piccole riparazioni, l’organizzazione del lavoro comune, ecc. Accanto ai valori e alle competenze inerenti la cittadinanza, la scuola del primo ciclo include nel proprio curricolo ​la prima conoscenza della Costituzione della Repubblica italiana. Gli allievi imparano così a riconoscere e a rispettare i valori sanciti e tutelati nella Costituzione, in particolare i diritti inviolabili di ogni essere umano (​articolo 2​), il riconoscimento della pari dignità sociale (​articolo 3​), il dovere di contribuire in modo concreto alla qualità della vita della società (​articolo 4​), la libertà di religione (​articolo 8​), le varie forme di libertà ​(articoli 13-21​). ​Imparano altresì l’importanza delle procedure nell’esercizio della cittadinanza e la distinzione tra diversi compiti, ruoli e poteri. Questo favorisce una prima conoscenza di come sono organizzate la nostra società (​articoli 35- 54​) e le nostre istituzioni politiche (​articoli 55-96​). Al tempo stesso contribuisce a dare un valore più largo e consapevole alla partecipazione alla vita della scuola intesa come comunità che funziona sulla base di regole condivise. Parte integrante dei diritti costituzionali e di cittadinanza è il diritto alla parola (​articolo 21​) il cui esercizio dovrà essere prioritariamente tutelato ed incoraggiato in ogni contesto scolastico e in ciascun alunno, avendo particolare attenzione a sviluppare le regole di una conversazione corretta. È attraverso la parola e il dialogo tra interlocutori che si rispettano reciprocamente, infatti, che si costruiscono significati condivisi e si opera per sanare le diver- genze, per acquisire punti di vista nuovi, per negoziare e dare un senso positivo alle differenze così come per prevenire e regolare i conflitti. La lingua italiana costituisce il primo strumento di comunicazione e di accesso ai saperi. La lingua scritta, in particolare, rappresenta un mezzo decisivo per l’esplorazione del mondo, l’organizzazione del pensiero e per la riflessione sull’esperienza e il sapere dell’umanità. È responsabilità di tutti i docenti garantire la padronanza della lingua italiana, valorizzando al contempo gli idiomi nativi e le lingue comunitarie. Così intesa, la scuola diventa luogo privilegiato di apprendimento e di confronto libero e pluralistico. VALUTAZIONE Agli insegnanti competono la responsabilità della valutazione e la cura della documentazione, nonché la scelta dei relativi strumenti, nel quadro dei criteri deliberati dagli organi collegiali. Le verifiche intermedie e le valutazioni periodiche e finali devono essere coerenti con gli obiettivi e i traguardi previsti dalle Indicazioni e declinati nel curricolo. La valutazione precede, accompagna e segue i percorsi curricolari. Attiva le azioni da intraprendere, regola quelle avviate, promuove il bilancio critico su quelle condotte a termine. Assume una preminente funzione formativa, di accompagnamento dei processi di apprendimento e di stimolo al miglioramento continuo. Occorre assicurare agli studenti e alle famiglie un’informazione tempestiva e trasparente sui criteri e sui risultati delle valutazioni effettuate nei diversi momenti del percorso scolastico, promuovendone con costanza la partecipazione e la corresponsabilità educativa, nella distin- zione di ruoli e funzioni. Alle singole istituzioni scolastiche spetta, inoltre, la responsabilità dell’autovalutazione, che ha la funzione di introdurre modalità riflessive sull’intera organizzazione dell’offerta educativa e didattica della scuola, per svilupparne l’efficacia, anche attraverso dati di rendicontazione sociale o emergenti da valutazioni esterne. Il sistema nazionale di valutazione ha il compito di rilevare la qualità dell’intero sistema sco- lastico, fornendo alle scuole, alle famiglie e alla comunità sociale, al Parlamento e al Governo elementi di informazione essenziali circa la salute e le criticità del nostro sistema di istru- zione. L’Istituto nazionale di valutazione rileva e misura gli apprendimenti con riferimento ai traguardi e agli obiettivi previsti dalle Indicazioni, promuovendo, altresì, una cultura della valutazione che scoraggi qualunque forma di addestramento finalizzata all’esclusivo superamento delle prove. La promozione, insieme, di autovalutazione e valutazione costituisce la condizione decisiva per il miglioramento delle scuole e del sistema di istruzione, poiché unisce il rigore delle procedure di verifica con la riflessione dei docenti coinvolti nella stessa classe, nella stessa area disciplinare, nella stessa scuola o operanti in rete con docenti di altre scuole. Nell’aderire a tale prospettiva, le scuole, al contempo, esercitano la loro autonomia partecipando alla riflessione e alla ricerca nazionale sui contenuti delle Indicazioni entro un processo condiviso che potrà continuare nel tempo, secondo le modalità previste al momento della loro ema- nazione, nella prospettiva del confronto anche con le scuole e i sistemi di istruzione europei. L’AMBIENTE DI APPRENDIMENTO Una buona scuola primaria e secondaria di primo grado si costituisce come un contesto idoneo a promuovere apprendimenti significativi e a garantire il successo formativo per tutti gli alunni. A tal fine è possibile indicare, nel rispetto dell’autonomia delle scuole e della libertà di insegnamento, alcuni principi metodologici che contraddistinguono un’efficace azione for- mativa senza pretesa di esaustività. L’acquisizione dei saperi richiede un uso flessibile degli spazi, a partire dalla stessa aula sco- lastica, ma anche la disponibilità di luoghi attrezzati che facilitino approcci operativi alla conoscenza per le scienze, la tecnologia, le lingue comunitarie, la produzione musicale, il teatro, le attività pittoriche, la motricità. Particolare importanza assume la biblioteca scolastica, anche in una prospettiva multime- diale, da intendersi come luogo privilegiato per la lettura e la scoperta di una pluralità di libri e di testi, che sostiene lo studio autonomo e l’apprendimento continuo; un luogo pubblico, fra scuola e territorio, che favorisce la partecipazione delle famiglie, agevola i percorsi di integrazione, crea ponti tra lingue, linguaggi, religioni e culture. Valorizzare l’esperienza e le conoscenze degli alunni​, per ancorarsi nuovi contenuti. Nel pro- cesso di apprendimento l’alunno porta una grande ricchezza di esperienze e conoscenze acquisite fuori dalla scuola e attraverso i diversi media oggi disponibili a tutti, mette in gioco aspettative ed emozioni, si presenta con una dotazione di informazioni, abilità, modalità di apprendere che l’azione didattica dovrà opportunamente richiamare, esplorare, problematiz- zare. In questo modo l’allievo riesce a dare senso a quello che va imparando. Attuare interventi adeguati nei riguardi delle diversità , per fare in modo che non diventino disuguaglianze. Le classi sono oggi caratterizzate da molteplici diversità, legate alle differenze nei modi e nei livelli di apprendimento, alle specifiche inclinazioni e ai personali interessi, a particolari stati emotivi e affettivi. La scuola deve progettare e realizzare percorsi didattici specifici per rispondere ai bisogni educativi degli allievi. Particolare attenzione va rivolta agli alunni con cittadinanza non italiana i quali, ai fini di una piena integrazione, devono acqui- sire sia un adeguato livello di uso e controllo della lingua italiana per comunicare e avviare i processi di apprendimento, sia una sempre più sicura padronanza linguistica e culturale per proseguire nel proprio itinerario di istruzione. Tra loro vi sono alunni giunti da poco in Italia (immigrati «di prima generazione») e alunni nati in Italia (immigrati «di seconda generazione»). Questi alunni richiedono interventi differenziati che non devono investire il solo insegnamento della lingua italiana ma la progettazione didattica complessiva della scuola e quindi dei docenti di tutte le discipline. L’integrazione degli alunni con disabilità nelle scuole comuni, inoltre, anche se è da tempo un fatto culturalmente e normativamente acquisito e consolidato, richiede un’effettiva progettualità, utilizzando le forme di flessibilità previste dall’autonomia e le opportunità offerte dalle tecnologie. Favorire l’esplorazione e la scoperta​, al fine di promuovere il gusto per la ricerca di nuove conoscenze. In questa prospettiva, la problematizzazione svolge una funzione insostituibile: sollecita gli alunni a individuare problemi, a sollevare domande, a mettere in discussione le conoscenze già elaborate, a trovare appropriate piste d’indagine, a cercare soluzioni originali. ​Incoraggiare l’apprendimento collaborativo​. Imparare non è solo un processo individuale. La dimensione sociale dell’apprendimento svolge un ruolo significativo. In tal senso, molte sono le forme di interazione e collaborazione che possono essere introdotte (dall’aiuto reciproco all’apprendimento cooperativo, all’apprendimento tra pari), sia all’interno della classe, sia attraverso la formazione di gruppi di lavoro con alunni di classi e di età diverse. A questo scopo risulta molto efficace l’utilizzo delle nuove tecnologie che permettono agli alunni di operare insieme per costruire nuove conoscenze, ad esempio attraverso ricerche sul web, e di corrispondere con coetanei anche di altri paesi. Promuovere la consapevolezza del proprio modo di apprendere​, al fine di «imparare ad apprendere». Riconoscere le difficoltà incontrate e le strategie adottate per superarle, prendere atto degli errori commessi, ma anche comprendere le ragioni di un insuccesso, conoscere i propri punti di forza, sono tutte competenze necessarie a rendere l’alunno consapevole del proprio stile di apprendimento e capace di sviluppare autonomia nello studio. Occorre che l’alunno sia attivamente impegnato nella costruzione del suo sapere e di un suo metodo di studio, sia sollecitato a riflettere su come e quanto impara, sia incoraggiato a esplicitare i suoi modi di comprendere e a comunicare ad altri i traguardi raggiunti. Ogni alunno va posto nelle con- dizioni di capire il compito assegnato e i traguardi da raggiungere, riconoscere le difficoltà e stimare le proprie abilità, imparando così a riflettere sui propri risultati, valutare i progressi compiuti, riconoscere i limiti e le sfide da affrontare, rendersi conto degli esiti delle proprie azioni e trarne considerazioni per migliorare. Realizzare attività didattiche in forma di laboratorio​, per favorire l’operatività e allo stesso tempo il dialogo e la riflessione su quello che si fa. Il laboratorio, se ben organizzato, è la modalità di lavoro che meglio incoraggia la ricerca e la progettualità, coinvolge gli alunni nel pensare, realizzare, valutare attività vissute in modo condiviso e partecipato con altri, e può essere attivata sia nei diversi spazi e occasioni interni alla scuola sia valorizzando il territorio come risorsa per l’apprendimento. LA COMPLESSITÀ CULTURALE E I DIVERSI APPRENDIMENTI Una caratteristica estremamente significativa della società attuale è rappresentata dalla accentuazione delle differenze sul piano culturale e sociale e dalla crescente presenza di persone e gruppi provenienti da tradizioni molto eterogenee. Il rispetto dell'altro spesso confligge con la difesa delle convinzioni e della cultura di coloro che abitano da secoli in un determinato Paese. Il tema, ad esempio, della multiculturalità costituisce uno degli aspetti più rilevanti del cambiamento dell'Italia in questi ultimi due decenni. La dimensione multiculturale rende più complessa la costruzione È certamente vero che il riconoscimento dell'altro può coincidere dell'identità di ciascuno e l'apertura all'altro, al diverso da sé, alla valorizzazione di differenti orientamenti. con la rinuncia delle proprie radici e tradizioni religiose e civili. VERSO UN NUOVO AGGIORNAMENTO DELLE INDICAZIONI 2012 Con la nota del 1° marzo 2018, n. 3645, il MIUR ha diffuso il documento di lavoro Indicazioni nazionali e nuovi scenari, redatto dal ​Comitato scientifico nazionale (CSN) per le ​Indicazioni per il curricolo della scuola dell'infanzia e del primo ciclo istruzione. Nel testo vengono riprese alcune centralità del Decreto ministeriale n. 254 del 16 novembre 2012 e proposte alcune azioni di accompagnamento in vista di specifici interventi di approfondimento delle Indicazioni medesime. All’alfabetizzazione culturale e sociale concorre in via prioritaria l’educazione plurilingue e interculturale. La lingua materna, la lingua di scolarizzazione e le lingue europee, in quanto lingue dell’educazione, contribuiscono infatti a promuovere i diritti del soggetto al pieno sviluppo della propria identità nel contatto con l’alterità linguistica e culturale. L’educazione plurilingue e interculturale rappresenta una risorsa funzionale alla valorizzazione delle di- versità e al successo scolastico di tutti e di ognuno ed è presupposto per l’inclusione sociale e per la partecipazione democratica. La ​scuola primaria ​mira all’acquisizione degli apprendimenti di base, come primo esercizio dei diritti costituzionali. Ai bambini e alle bambine che la frequentano offre l’opportunità di sviluppare le dimensioni cognitive, emotive, affettive, sociali, corporee, etiche e religiose, e di acquisire i saperi irrinunciabili. Si pone come scuola formativa che, attraverso gli alfabeti caratteristici di ciascuna disciplina, permette di esercitare differenti stili cognitivi, ponendo così le premesse per lo sviluppo del pensiero riflessivo e critico. Per questa via si formano cittadini consapevoli e responsabili a tutti i livelli, da quello locale a quello europeo. La padronanza degli strumenti culturali di base è ancor più importante per bambini che vivono in situazioni di svantaggio: più solide saranno le capacità acquisite nella scuola pri- maria, maggiori saranno le probabilità di inclusione sociale e culturale attraverso il sistema dell’istruzione. Nella ​scuola secondaria di primo grado ​si realizza l’accesso alle discipline come punti di vista sulla realtà e come modalità di conoscenza, interpretazione e rappresentazione del mondo. La valorizzazione delle discipline avviene pienamente quando si evitano due rischi: sul piano culturale, quello della frammentazione dei saperi; sul piano didattico, quello dell’impostazione trasmissiva. Le discipline non vanno presentate come territori da proteggere definendo confini rigidi, ma come chiavi interpretative disponibili ad ogni possibile utilizzazione. I problemi complessi richiedono, per essere esplorati, che i diversi punti di vista disciplinari dialogano e che si presti attenzione alle zone ​di confine ​e ​di cerniera ​fra discipline. Nella scuola secondaria di primo grado vengono favorite una più approfondita padronanza delle discipline e un’articolata organizzazione delle conoscenze, nella prospettiva dell’elabo- razione di un sapere sempre meglio integrato e padroneggiato. Le competenze sviluppate nell’ambito delle singole discipline concorrono a loro volta alla pro- mozione di competenze più ampie e trasversali, che rappresentano una condizione essenziale per la piena realizzazione personale e per la partecipazione attiva alla vita sociale, orientate ai valori della convivenza civile e del bene comune. Le competenze per l’esercizio della cittadi- nanza attiva sono promosse continuamente nell’ambito di tutte le attività di apprendimento, utilizzando e finalizzando opportunamente i contributi che ciascuna disciplina può offrire. BULLISMO E CYBERBULLISMO – Il fenomeno del bullismo, col passare degli anni, ha assunto una dimensione tale da indurre il Legislatore italiano ad adottare provvedimenti mirati, soprattutto in considerazione delle nuove forme di comunicazione telematiche (come i social network) che hanno consentito l’ulteriore espandersi di questa forma di violenza giovanile. L’evolversi del mondo virtuale e della tecnologia ha determinato, peraltro, la dematerializzazione dei rapporti interpersonali, così realizzando comunicazioni e distanza tra gli individui ed identità indefinite, come quelle dei “falsi profili”. La possibilità di agire in anonimato e l’assenza di concreti limiti spaziali, consentita dai dispositivi tecnologici, ha generato una nuova e pericolosa modalità di espressione del bullismo: il bullismo cibernetico o cyberbullismo, che si esplica attraverso i comportamenti aggressivi o violenti, tipici del bullismo, ma realizzandoli per il tramite di strumentazione informatica e telematica. Il bullismo scolastico Lo psicologo svedese Dan Owleus, nel libro pubblicato nel 1993, titolato ​“Bullismo a scuola”, ha delineato una definizione di bullismo, individuandone tre requisiti sostanziali: ● l’intenzionalità del comportamento offensivo e aggressivo, ● la continuità temporale dello stesso, ● il rapporto “asimmetrico” tra il bullo e la vittima. Tra le forme di manifestazione del bullismo, sono emerse: ● quella diretta, cioè la violenza fisica; ● quella indiretta, che si esplica nella violenza verbale e nella violenza psicologica, spesso preordinata ad isolare la vittima. Lo stesso autore, nel 2015, ha pubblicato “Il bullismo tra compagni a scuola. Atti e intervento”, nel quale ha esaminato il fenomeno nei suoi aspetti epidemiologici e psicologici, e i principi fondamentali di un programma di intervento, nel contesto di una campagna nazionale condotta nelle scuole norvegesi. Le due leggi cardine Per inquadrare normativamente la disciplina che tutela i giovani dai fenomeni del bullismo e cyberbullismo, occorre far riferimento a due provvedimenti considerati come pietre miliari: ● la Legge 13 luglio 2015 n. 107, nota come legge sulla buona scuola, ● la Legge 29 maggio 2017 n. 71, che contiene una disciplina specifica sulla tutela dei giovani per la prevenzione ed il contrasto al cyberbullismo. L’autonomia della scuola La Legge 107/2015 ha riconosciuto, in capo alle amministrazioni scolastiche, una vasta autonomia nelle scelte che concernono gli insegnamenti, le attività curricolari ed extracurricolari, le finalità educative ed organizzative, predisponendo un’analitica definizione del “Piano Triennale dell’Offerta Formativa”. Il Piano offerta formativa Tale documento, che deve essere approvato dal Consiglio d’istituto, è disciplinato dall’articolo 3 del D.P.R. 8 marzo 1999 n. 275, modificato dalla legge sulla Buona Scuola del 2017, e sancisce l’obbligo dell’istituto scolastico di predisporre il “​documento fondamentale costitutivo dell’identità culturale e progettuale (…) ed esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa e organizzativa che le singole scuole adottano nell’ambito della loro autonomia”, ​in linea con gli obiettivi, individuati a livello nazionale, dei vari indirizzi di studi. Il documento di offerta formativa deve essere elaborato: ● col coinvolgimento degli enti locali e le diverse istituzioni culturali, sociali ed economiche presenti sul territorio, ● prendendo in considerazione pareri e proposte delle associazioni dei genitori e degli studenti. Tra le finalità primarie che si propone di realizzare, emerge quello di assicurare la prevenzione della violenza di genere e di tutte le forme di discriminazione. La definizione di cyberbullismo E’ contenuta nel comma I dell’art. 1 della Legge 71/2017: “​qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo”​. Il contrasto al fenomeno Tra gli obiettivi principali della normativa, emerge quello del contrasto al fenomeno del cyberbullismo “​in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo e con una strategia di attenzione, tutela ed educazione nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti, assicurando l’attuazione degli interventi senza distinzione di età nell’ambito delle istituzioni scolastiche”. Il referente scolastico per le iniziative contro il bullismo e il cyberbullismo Uno degli strumenti principali previsti dalla normativa del 2017 (legge n. 71, art. 4, comma III), indirizzati all’impegno contro il fenomeno in questione, in ambito scolastico, è quello di inserire presso ogni istituto una figura di sostegno, con compiti di coordinamento delle più disparate iniziative di prevenzione e contrasto. Il referente deve essere individuato fra i docenti di ogni Istituto Scolastico, e agisce nell’ambito dell’autonomia assegnatagli dalla normativa. Tale figura può avvalersi della collaborazione di forze esterne, quali polizia e carabinieri, psicologi o esperti del settore.
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