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Media Digitali e Disinformazione, Sintesi del corso di Giornalismo

Riassunto del libro di Luca Gorgolini

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 04/10/2022

timothy-gori
timothy-gori 🇮🇹

4.6

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Scarica Media Digitali e Disinformazione e più Sintesi del corso in PDF di Giornalismo solo su Docsity! Appunti libro Media Digitali e Disinformazione Di Luca Gorgolini Cap. 1 - Disinformazione e sfide alla democrazia SERENA GIUSTI, ELISA PIRAS LA DIFFUSIONE DI INFORMAZIONI CHE SI SCONTANO DALLA REALTÀ NON È UN PROCESSO NUOVO NATO CON I MEZZI DIGITALI. Questa ha tradizionalmente fatto ricorso in tantissimi eventi della storia: dal cavallo di legno che consentì agli Achei di conquistare Troia con un inganno, alla falsa donazione di Costantino sulla quale per secoli la Chiesa di Roma ha fondato la legittimazione del proprio potere, fino al dossier prodotto da Washington che imputava a Saddam Hussein il possesso di un grande arsenale bellico. La novità, rispetto al passato, è che la manipolazione dell’informazione ora non è sporadica o confinata ad alcuni paesi, ma sembra essere diventata un fenomeno sistemico. L’elemento significativo, discriminante tra verità e non verità, è l’INTENZIONALITÀ NELLA MANIPOLAZIONE DEL REALE. In politica, questa è funzionale all’acquisizione del potere nelle sue varie forme; quindi, la capacità di manipolare il reale rafforza il potere di chi la possiede, sia in senso relativo che assoluto. Con l’avvento del digitale tantissimi strumenti possono essere (e sono stati) utilizzati per produrre disinformazione, tra cui bot, deepfake e tanti altri. Queste tipologie manipolative tendono a fare breccia nella sfera emozionale dei destinatari e gli effetti che producono tendono ad essere più persistenti. DISINFORMAZIONE E SOCIAL MEDIA Le informazioni manipolate possono sortire effetti diversi rispetto anche alla natura degli emittenti e dei canali utilizzati per veicolarle. Inoltre, la reazione del grande pubblico all’esposizione a informazioni manipolate sta diventando sempre meno prevedibile. di 1 24 Sui social media, in particolare, si verifica un processo di polarizzazione delle opinioni con la presenza di fazioni tra loro in conflitto che viene alimentato dalle informazioni, vere o manipolate, che sostengono le diverse posizioni. Con la circolazione della disinformazione attraverso i social media lo smascheramento delle fake news diventa particolarmente arduo. In questo caso, si pone innanzitutto il problema di chi sia legittimato a controllare i contenuti pubblicati. La questione non è di poco conto in quanto implica: - una vera e propria modifica della natura stessa della Rete; - la (ri)definizione degli spazi di libertà degli utenti all’interno delle piattaforme; - l’assunzione di una significativa autorità da parte di enti non statuali; - l’ eventuale riconfigurazione del rapporto tra piattaforme e istituzioni pubbliche. Nel caso in cui fossero i Governi a regolamentare il settore si porrebbero almeno due rischi: 1. Il primo è che alcuni Governi collegano questa occasione per controllare i contenuti che i loro cittadini diffondono e decidere quali messaggi possano rimanere e quali debbano essere eliminati entrando nella delicata sfera della libertà d’espressione; 2. Il secondo è che, in mancanza di una governance globale, si formi una gigantesca mole di regolamentazioni diverse, che finirebbero per rendere estremamente ineguali le possibilità di accedere ad Internet, minando la sua natura di rete globale. Le tendenze sopra citate possono indebolire i regimi democratici e le pratiche che li caratterizzano. Da una parte, la dialettica politica interna è caratterizzata da un alto tasso di rissosità a discapito del buon governo e di una governance efficiente; dall’altra attori esterni di diversa natura possono interferire negli affari interni di altri paesi (soprattutto in momenti delicati come le elezioni). Le modalità di controllo sulla disinformazione aprono varchi all’indebolimento della democrazia, aumentando il potere delle entità alle quali viene delegato il controllo e, per quanto concerne l’intervento regolatori degli Stati, aprendo alla possibilità che questi censurino certe informazioni. Inoltre, in una prospettiva più ampia, la disinformazione può avere conseguenze potenzialmente permanenti come un diffuso scetticismo e un senso di sfiducia verso il sistema informativo, fino ad arrivare alla mancata consapevolezza di poter contribuire in maniera significativa al dibattito pubblico democratico. di 2 24 LA TECNICA DELLA DISINFORMAZIONE RISULTA TANTO PIÙ INCISIVA QUANTO PIÙ NEI PAESI COLPITI SIANO PRESENTI DELLE FRAGILITÀ NEL SISTEMA DELL’INFORMAZIONE O DELLA SICUREZZA. Un’altra questione spinosa riguarda la definizione e misurazione dell’influenza che si riesce ad esercitare attraverso le campagne di disinformazione. Per questo motivo è necessario rilevare, oltre all’intensità (numero di account colpiti), anche la tipologia del messaggio per classificarne il contenuto (denigratorio, dati falsificati ecc.). Infine, anche la natura dei destinatari è fondamentale per comprendere lo scopo del processo di disinformazione. In ambito politico, qualora questo flusso di disinformazione raggiunga determinati individui qual è la sua reale “conversione” dello scopo? Come ha ammesso la giornalista Carole Cadwalladr, perfino le più sofisticate tecniche di condizionamento dell’opinione hanno effetto solo su un numero relativamente ristretto di elettori. Sul voto, persistono ancora fattori tradizionali quali l’istruzione, l’appartenenza al contesto sociale, il genere, l’età, ma anche il sistema politico interno e il sistema d’informazione. di 5 24 Cap. 2 - Information warfare and lawfare: the contemporary domains of conflict in the era of great power competition. MARCO RENATO PROVVIDERA PRIMA PARTE Il Cyberspazio è definito nelle scienze strategiche come il "quinto dominio" della guerra contemporanea. Il conferimento di tale status implica il riconoscimento della sua cruciale rilevanza teorica e operativa. Il cyberspazio è quindi, e sarà ancor di più, un elemento fondamentale per l'attuale e prevedibile scenario geopolitico globale. Si è trasformato nell'ambiente più adatto e preferito per le "forme di guerra irregolari" contemporanee e future, probabilmente il più importante "campo di battaglia", o ambiente conteso, per qualsiasi prima mossa o pianificazione aggressiva/difensiva ostile. Il cyberspazio non si qualifica in senso stretto come una nuova tecnologia, in quanto è molto di più: un dominio abilitato alla tecnologia per consentire a esseri umani e macchine di vivere e interagire. L'avvento del cyberspazio è stato un punto di svolta che ha aggiunto un ulteriore livello di complessità alle relazioni internazionali: la GREY-ZONE. La visione binaria delle nozioni di guerra e pace è perduta, in quanto diluita in una zona intermedia di pianto permanente, che oscilla perennemente tra relativa calma, o comunicato stampa, accresciuta tensione(i) e possibili picchi di possibilità di escalation anche accidentale o originato da errori di calcolo e/o di giudizio. Sebbene il livello di ostilità della Zona Grigia non contemplerebbe, in teoria, un'escalation cinetica a tutti gli effetti in un conflitto di fascia alta, questo ipotetico risultato non può essere completamente scartato, sebbene uno scenario così terribile si manifesterebbe probabilmente come circoscritto a un teatro limitato/regionale. Il concetto parallelo e correlato di GUERRA IBRIDA, anch'essa immemorabile, ma da leggere in un contesto contemporaneo è emerso pienamente all'attenzione generale comune nel 2014, con l’annessione illegale della Crimea da parte della Federazione Russa. di 6 24 La guerra ibrida è definita come LA COMBINAZIONE DELL'IMPIEGO OSTILE DI OPERAZIONI MILITARI CONVENZIONALI E NON CONVENZIONALI CON ALTRI MEZZI LEGALI E ILLEGALI, come il ricorso al terrorismo , assassinio, sabotaggio, disinformazione. Il tratto più rilevante delle operazioni ibride in tale conflittualità, o ambiente conteso, consiste in una convergenza nell'utilizzo di più strumenti di potere (Diplomatico; Informativo; Militare; Economico; Intelligenza; Criminale/sovversione). La guerra ibrida è per sua stessa natura asimmetrica. I metodi di guerra simmetrici, essenzialmente mettono a confronto i propri punti di forza contro le debolezze di un altro (sempre stati una caratteristica di una strategia di successo). L'asimmetria include naturalmente approcci non cinetici che sfruttano l'area grigia tra guerra e pace. L'aggressione alla zona grigia avviene perché è estremamente facile attaccare le democrazie liberali nella zona grigia tra guerra e pace. In effetti, è decisamente vantaggioso utilizzare mezzi di aggressione non militari. Inoltre, l’aggressore rende più difficile il compito del difensore. La difesa deve fare inoltre conto con quella che viene definita guerra secondaria. SECONDA PARTE LA GUERRA DELL'INFORMAZIONE È UN'OPERAZIONE CONDOTTA ALLO SCOPO DI OTTENERE UN VANTAGGIO INFORMATIVO SULL'AVVERSARIO. Consiste nel controllare il proprio spazio informativo, proteggere l'accesso alle proprie informazioni, acquisire e utilizzare le informazioni dell'avversario, distruggere i suoi sistemi informativi e interrompere il flusso di informazioni. La guerra dell'informazione non è un fenomeno nuovo, ma contiene elementi innovativi come effetto dello sviluppo tecnologico, che si traduce in una diffusione dell'informazione più rapida e su scala più ampia. Probabilmente, questo costrutto di definizione, sebbene formalmente corretto, potrebbe probabilmente non rendere completamente la sottile differenza tra le tradizionali operazioni di informazione (militari o di intelligence). ——————— Sofisticate operazioni di informazione, rese possibili dai progressi dell'intelligenza artificiale, del calcolo ad alte prestazioni, dell'analisi socio-politica dettagliata, dell'analisi dei dati e di una comprensione dettagliata dei social media significano che i concorrenti dell'era dell'uguaglianza contestata si trasformeranno in una lotta per informazione su scala mondiale. di 7 24 Cap. 3 - Cani da guardia? Il giornalismo contemporaneo e il fenomeno del fact-checking GIOVANNI ZAGNI È un problema sicuramente contemporaneo la definizione del giornalismo come elemento professionale (regolamentato da regole e codici etici) e imparziale (indipendente da centri di potere politico o economico). Una visione come questa appare scontata dal momento che è diffusa l’opinione che il giornalismo debba avere quelle caratteristiche. Questa visione è il risultato di un processo che è partito già da tempo. Ad esempio, nel giornalismo anglosassone il rapporto tra potere e mezzi di comunicazione era tutt’altro che chiaro. Nella storia del giornalismo americano, invece, si vede un continuo oscillare tra maggiore e minore vicinanza, tra sostanziale sudditanza e fiera indipendenza. Fu solo dagli anni ’50 circa che gli editori diventarono abbastanza autonomi dal punto di vista economico da poter pagare i primi dipendenti per raccogliere informazioni. Ancora per qualche decennio però, la dipendenza dai partiti politici rimase una delle principali fonti di finanziamento, e non faceva parte dell’opinione comune il pensiero che i giornali fossero qualcosa di fondamentalmente diverso. La differenziazione nacque a poco a poco, intorno agli anni ’20: il periodo in cui la stampa chiarì che il codice etico del giornalismo prescriveva l’adesione ai fatti e l’applicazione di principi di equilibrio e correttezza. Come sappiamo bene però, furono le grandi inchieste degli anni ’60 che formano il fenomeno del modello Watchdog di un giornalismo che abbaia ai potenti. L’evoluzione del giornalismo va messo a fuoco anzitutto negli Stati Uniti. Bisogna però tenere ben presente la distinzione, dal punto di vista storico assai ben determinata, tra quanto è avvenuto nella tradizione giornalistica anglosassone e quella europea. Infatti, mentre negli USA e in Inghilterra si fece strada il valore dell’oggettività e la percezione della professione giornalistica come principalmente interessata al racconto dei fatti, nel resto d’Europa la pratica giornalistica rimase più a lungo legata a modelli letterari o filosofici nella prosa e di aperta presa di posizione politica nei contenuti. In Francia, ad esempio, la corruzione e i finanziamenti sottobanco accettati praticamente da tutte le testate facevano sì che queste diventassero di fatto il megafono di posizioni politiche ben determinate e lasciassero ben poco spazio all’indipendenza. Lo stesso fenomeno di dipendenza dei media si è avuto in Italia. di 10 24 Per quanto riguarda il ruolo odierno del giornalismo oggi, Micheal Schudson (professore di giornalismo) ha notato acutamente una contraddizione del ruolo di giornalismo in democrazia. In un ordinamento democratico, il ruolo ultimo di decisione su quanto è giusto o sbagliato risiede nei cittadini e non nella stampa. Quest’ultima dunque dovrebbe fornire solo gli strumenti per permettere questa interpretazione da parte delle persone. Di conseguenza, Schudson definisce il ruolo dei giornalisti nella democrazia come guardiani riluttanti. Questo principio teorico, nella pratica, conosce numerose eccezioni. Contenuti come gli editoriali o le analisi interpretative non si limitano a presentare i fatti, ma ne forniscono al tempo stesso una lettura orientata. Nello stesso contesto si inserisco operazioni come la modifica dei contenuti in ragioni di superiori necessità della sicurezza nazionale (caso estremo ma da tenere conto). Quest’ultimo punto parte dal fatto che al fianco di obiettività e indipendenza esiste un ruolo di salvaguardia dell’interesse nazionale e di difesa del pubblico interesse nel giudizio di direttori, editori e, non di rado, funzionari politici (come hanno dimostrato numerosi casi negli USA). A complicare ulteriormente il quadro è la drammatica crisi che il giornalismo sta attraversando a livello globale a causa di Internet. I suoi effetti sulla circolazione dei giornali sono noti ormai da anni. La disparità è evidente e il divario appare ormai difficile da colmare. IL NUOVO MONDO DEI SOCIAL MEDIA PONE ANCHE CON EVIDENZA LA QUESTIONE DELLA FIDUCIA DEL PUBBLICO E GLI STESSI MEZZI DI INFORMAZIONE CHE UTILIZZA. Una larga maggioranza delle persone usa Internet per trovare le notizie e allo stesso tempo tende a fidarsi poco di quello che legge o vede su quello stesso mezzo. Il 56% si preoccupa che le notizie trovate online siano vere o false. Questo accade perché, molto probabilmente, non è molto fiduciosa nelle notizie di Internet. I cambiamenti che abbiamo fin qui illustrato hanno portato alla nascita di un nuovo approccio al rapporto tra pubblico, media e potere. In questo contesto sono nati progetti che si sono posti l’obiettivo di verificare il potere con lo scopo, dichiarato, di confrontare le affermazioni fatte in pubblico con la verità oggettiva. NASCE COSÌ IL FACT-CHECKING. In generale, il fact-checking adotta integralmente l’approccio del cane da guardia, ponendosi in modo oppositivo rispetto ai politici di cui si occupa. Allo stesso tempo, adotta nei confronti del pubblico un atteggiamento di totale trasparenza, dato che a sostegno delle sue verifiche presenta dati e fatti che si presentano come certi e verificati. Rispetto al giornalismo tradizionale, il fack-checking rifiuta almeno in linea di principio ogni sconfinamento nel campo delle opinioni. di 11 24 Il fack-checking presenta poi due caratteristiche: - La pratica del fact-checking contemporaneo è una verifica ex post, che avviene in risposta e successivamente rispetto a un avvenimento ben definito; - Il fact-checking rompe con una frequente autorappresentazione della professione giornalistica, in cui il cronista politico è un semplice tramite per l’informazione destinata al pubblico. In conclusione, il fact-checking è un approccio radicale e per certi verso estremo a un problema che il giornalismo si è posto per molto tempo, quello del proprio rapporto con il potere da un alto e il pubblico dall’altro. di 12 24 IN ENTRAMBI I CASI, LE INFORMAZIONE CIRCOLATE IN RETE HANNO CONTRIBUITO ALLA RADICALIZZAZIONE DELLE POSIZIONI CONTRAPPOSTE, FINENDO PER CREARE INCERTEZZA E PER ALIMENTARE OLTRE MISURA LO SCONTRO TRA LE PARTI COINVOLTE. Un simile fenomeno ha finito per alimentare ulteriormente quei meccanismi di esposizione selettiva che spingono gli attori sociali a consumare prevalentemente news in sintonia con le proprie opinioni e a interagire con ci si percepisce affine. Gli individui hanno la tendenza a informarsi attraverso quelle fonti che sembrano più coerenti con le loro convinzioni. Un simile atteggiamento rischia di tradursi in un vero e proprio pregiudizio cognitivo, che induce i soggetti a selezionare fonti di informazione in grado di confermare (confirmation bias) già che ritengono già di sapere. Il funzionamento stesso degli algoritmi su cui si basano i social media risponde esattamente a questa logica di selezione: costruire reti omogenee di soggetti racchiusi all’interno di specifiche bolle informative (filter bubble) nelle quali circolano notizie ideologicamente coerenti con le opinioni pregresse degli utenti. UN SIMILE MECCANISMO, PER UN VERSO, ACCENTUA IL RIFIUTO PER LE INFORMAZIONI IN CONTRASTO CON LE OPINIONI PREVALENTI ALL’INTERNO DI CIASCUNA BOLLA, E PER UN ALTRO FACILITA LA DIFFUSIONE DI FAKE NEWS. Oggi la situazione appare ancora più complessa, dal momento che le piattaforme digitali, con la velocità e l’assenza di controlli che le caratterizzano, hanno colonizzato quasi ogni aspetto della nostra vita. Inoltre, è importante sottolineare come i ragazzi tendono a condividere storie e informazioni sulla base di un coinvolgimento affettivo o emotivo, con l’obiettivo di accrescere la propria popolarità online e creare nuove relazioni. Questo comportamento non fa altro che assecondare le strategie di tutti coloro che utilizzano i social media per scopi commerciali (per generare traffico, e quindi profitto) o politici (maggiore visibilità ai leader politici). GIOVANI E COMPETENZA DIGITALE Per quanto l’impatto delle fake news sul discorso pubblico abbia sollevato più di una reazione di allarme e preoccupazione, ciò che sembra ancora mancare nella riflessione collettiva è un approccio sistemico, che punti a far maturare nei ragazzi conoscenze specifiche. Se è dunque l’attitudine al pensiero critico che può indurre i giovani a riflettere e rielaborare le informazioni del web, sono le competenze digitali che li possono mettere nella condizione di gestire in modo consapevole quelle piattaforme che hanno saturato l’orizzonte tecnologico della rete. di 15 24 Cap. 5 - Covid-19 e infodemia: cosa insegna il racconto della epidemia da parte dei media agli esperti di comunicazione della salute MARCO PIVATO IL RACCONTO DELLA PANDEMIA RIVOLUZIONA IL RAPPORTO TRA GIORNALISTI E SCIENZIATI Studiare il trauma sociale del passaggio del Covid-19 è interessante per ampliare ciò che sappiamo sulla comunicazione della scienza, in particolare la comunicazione di temi sanitari. A epidemia ormai conclamata, anche la comunità degli esperti ha accettato di collaborare: i mezzi di informazione avevano bisogno di fonti chiare, affidabili e autorevoli. Tra le motivazioni degli accademici a esporsi ha pesato però anche il timore di essere scavalcati da colleghi in cerca di visibilità per i propri studi e risultati scientifici. Ciò che è emerso è un pericolo ancora maggiore: in un momento in cui la domanda di fonti è talmente alta, se non ci sono medici e scienziati a presidiare tradizionali e nuovi media ci sarà sempre qualcun altro a fare comunicazione della salute al loro posto (come in effetti è successo). Questo evidenzia come secondo le leggi della comunicazione le persone di riferimento in un determinato settore non sono i più preparati, ma chi è più presente su mass media e web, perché è così che viene percepito. UN ESPERIMENTO PER CAPIRE COME SI COMPORTA UN CITTADINO DELL’ERA DELL’INFODEMIA SIF Magazine è una rivista sull’uso corretto e consapevole del farmaco, ospitata sul sito del SIF (Società Italiana Farmacologia). I contenuti della rivista online, creati seguendo alla perfezione le logiche dell’indicizzazione SEO, raggiunsero rapidamente la prima pagina delle pagine dei risultati di ricerca (SERP). Ciò che ci importa di questo esperimento sono le riflessioni finali decisamente interessanti. È QUINDI INTERNET CHE, PIÙ DELLE ALTRE FONTI, A SPOSTARE IL CONSENSO. Tutto dipende da quelle dieci pagine della SERP. Il pubblico non ha tempo, né voglia, di confrontare i risultati diversi per verificarne l’affidabilità: legge quello che i motori di ricerca gli mostrano per primo. Cosa accadrebbe, però, se una rivista come SIF Magazine appoggiasse ideali completamente diversi e non basati su fonti veritiere? Ovviamente ne esistono già diverse, ma la percentuale delle persone tendenti a credere nei complotti è bassa e non rappresentano la maggioranza (almeno in Italia). L’unico problema è che questo genere di pensiero fa rumore e si fa notare. di 16 24 Come già sottolineato, a preoccupare è la scarsa motivazione da parte del cittadino a verificare e confrontare fonti diverse e fidarsi dei primi risultati dei motori di ricerca. Dati alla mano, è da tenere in seria considerazione sapere che il 75% degli italiani cerca informazioni di carattere medico su Internet e social media, preferendo il web medico al medico di famiglia. Queso scenario segnala che il professionista della salute non può rinunciare a presidiare canali come web e social se vuole mantenere la posizione che gli spetta, in virtù dei propri titoli. DENTRO L’INFODEMIA: PERCHÉ NASCONO E PIACCIONO TANTO LE BUFALE NELLA COMUNICAZIONE DELLA SALUTE Come nascono le bufale nella comunicazione della salute? Per farsi un’idea è importante riportare un tema molto divisivo ma emblematico: la sperimentazione animale. Alcuni quotidiani hanno stabilito, vista la delicatezza del tema, che non si occuperanno mai di questioni così delicate per il timore di perdere lettori. Senza la sperimentazione animale non avremmo i farmaci, la qualità e l’aspettativa di vita che abbiamo nel XXI secolo. Questo tema è stato preso come esempio perché è estremamente polarizzante. I temi fortemente polarizzanti, dal momento che vanno sostenuti a tutti i costi, si prestano a creare eccesso di notizie e spiegazioni incomplete o fantasiose, gli ingredienti dell’infodemia e quindi delle bufale. Un altro ingrediente importantissimo per lo sviluppo di fake news è il fattore dell’emotività. I dati e le spiegazioni razionali fanno presa solo su persone portate a ragionare più razionalmente che emotivamente. Per questo motivo nella nostra società emerge come: L’EMOTIVITÀ VINCE SEMPRE SULLA RAZIONALITÀ. Emerge così la necessità della comunicazione, per essere efficace, di avere elementi capaci di attivare i nostri centri emotigeni (legati alla reazione emotiva); non a caso, le bufale sono fatte di contenuti altamente emotivi. Questi elementi offrono una spiegazione più giocosa e allo stesso tempo preoccupante e comunque più interessante della verità. di 17 24 Cap. 7 - Il ruolo dei social media nei conflitti armati del XXI secolo LUCA GORGOLINI WEAPONIZATION OF SOCIAL MEDIA I media digitali hanno sicuramente fatto cresce l’importanza della Information warfare e delle psychological operations a livello strategico, operativo e tattico, consentendo anche ai soggetti non statali coinvolti in queste guerre di aggiungere su questo fronte un grado di efficacia ed efficienza che nei decenni precedenti era a loro precluso. Le tecnologie digitali consentono infatti a chiunque di creare, modificare e condividere informazioni, fotografie e video realizzati in tempo reale, indipendentemente dal fatto che i media tradizionali si occupino o meno di quegli eventi. In seguito all’avvento dei social media, la TV e la carta stampata hanno sostanzialmente perduto questa funzione e gruppi che non avrebbero mai avuto l’opportunità di utilizzare i media tradizionali per promuovere le proprie posizioni hanno acquisito la possibilità raggiungere un vasto pubblico. SUL VERSANTE DEI CONFLITTI CONTEMPORANEI SI È ASSISTITO AD UN PROGRESSIVO PROCESSO DI ARMAMENTO DEI SOCIAL MEDIA. L’espressione weaponization of social media si è diffusa attraverso la figura di Thomas Nissen. Egli prendendo in riferimento quanto accaduto nel corso del 2014 nei conflitti armati in Siria e Ucraina, ha promosso una ricostruzione che dimostra come i media digitali e i social network in particolare siano diventati weapon of choice e vengano strategicamente utilizzati per creare effetti sia nel dominio virtuale sia nel dominio fisico. Come è noto, la guerra psicologica condotta allo scopo di piegare la capacità di combattere e di resistere del proprio avversario viene alimentata anche per mezzo della diffusione di false informazioni. INTERNET È DIVENTATO UN VERO E PROPRIO CAMPO DI BATTAGLIA IN CUI LE OPERAZIONI DI DISINFORMAZIONE POSSONO ESSERE CONDOTTE SU LARGA SCALA E CON GRANDE EFFICACIA. Ciò avviene anche in ragione del fatto che i social network non premiano la veridicità ma la viralità dei messaggi che veicolano. di 20 24 I casi che prenderemo in esame mostrano quale sia ormai il rilievo assunto dai social media all’interno della guerra dell’informazione, confermando alcuni elementi: - LA GUERRA DELL’INFORMAZIONE CHE INTEGRA GUERRA ELETTRONICA, INFORMATICA E OPERAZIONI PSICOLOGICHE È DIVENUTA CENTRALE NEI CONFLITTI CONTEMPORANEI; - LE OPERAZIONI CONDOTTE ONLINE HANNO EFFETTI DIRETTI DI GRANDE IMPORTANZA NEL DOMINIO FISICO; - IL CONFINE TRA GUERRA E PACE, IN QUESTO TIPO DI CONFLITTO, È DECISAMENTE SFUMATO. #ALLEYESONISIS Tra il 2014 e il 2016 i social media, e in particolare Twitter, sono diventati l’arma più importante a cui ho fatto ricorso l’auto-dichiaratosi Stato Islamico per infondere terrore nell’opinione pubblica internazionale, per reclutare nuovi combattenti disposti a scendere sui diversi campi di battaglia. Sono stati oltre 30.000 le persone provenienti da un centinaio di paesi che si sono uniti alla lotta del Califfato. Internet e i media digitali hanno consentito all’ISIS di promuovere online un volume impressionante di messaggi propagandistici. Diversamente da Al Qaeda, il Califfato ha presentato alcune caratteristiche che ne hanno favorito la diffusione, tra cui la pertinenza con l’attualità, la brevità, l’alto grado di emotività e l’utilizzo di più lingue. L’efficacia dell’impiego dei social media da parte dell’ISIS è risultata evidente agli occhi degli osservatori internazionali già nell’estate del 2014 quando il Califfato ha condotto, a bordo dei celebri pickup che tutti ricordiamo, la conquista della città di Mosul in Iraq lanciando l’hashtag #AllEyesOnIsis. Questa campagna condotta via Twitter ebbe un impatto psicologico fortissimo sui cittadini della città e sulla guarnigione dell’esercito iracheno schierato a sua difesa. Come osservano Emerson e Singer, LO STATO ISLAMICO privo di competenze tecniche chiaramente riconducibili al campo della cyberguerra, AVEVA CONDOTTA LA SUA OFFENSIVA MILITARE COME UNA CAMPAGNA DI MARKETING, ottenendo una vittoria che almeno sulla carta non avrebbe dovuto esserlo. Gli stessi strumenti sono stati utilizzati per terrorizzare parte dell’opinione pubblica attraverso i video delle esecuzioni dei prigionieri. Uno degli esempi più noti è quello dell’uccisione del giornalista americano James Foley nell’agosto 2014. Per i due autori, questa è “La clip era tra le dichiarazioni di guerra più economiche ed efficaci della storia.” Inoltre, come evidenziato da Jared Cohen, l’ISIS è stato il primo gruppo terroristico a detenere sia un territorio fisico che digitale: internet stesso è stato un luogo che ha continuato a combattere anche dopo aver perso il suo territorio fisico. di 21 24 #GAZAUNDERATTACK #ISRAELUNDERFIRE Nel maggio 2021, l’escalation di violenza determinata dall’uso delle armi tradizionali da parte di Hamas e delle forze armate israeliane, è stata preceduta, annunciata e accompagnata da un ampio ricorso ai social media come arma di primaria importanza della guerra dell’informazione e della guerra psicologica con effetti impattanti sull’intero campo di battaglia. Poco dopo le ore 23:00 del 13 maggio il portavoce dell’esercito israeliano ha fatto trapelare l’informazione che cominciata da poco l’invasione via terra della striscia di Gaza. Alcuni minuti più tardi è comparso sull’account twitter ufficiale delle IDF (Israel Defense Forces) un messaggio, scritto in lingua inglese, che confermava la notizia dell’avvio dell’operazione di invasione. L’informazione è stata quindi ripresa e immediatamente rilanciata. Intanto, ai confini tra Israele e la Striscia di Gaza venivano effettivamente messi in movimento alcuni mezzi militari di terra. Due ore più tardi i portavoce delle forze armate israeliani comunicarono che non vi erano proprie truppe all’interno del territorio controllato da Hamas. Nel frattempo però, da Tel Aviv era partito l’ordine di bombardare decine di tunnel dove numerosi miliziani erano entrati per tendere poi delle imboscate contro l’avanguardia delle truppe israeliane che si riteneva stessero avanzando nella Striscia di Gaza. Nonostante le successive dichiarazioni del portavoce delle IDF, alcuni analisti si sono dichiarati convinti che si sia trattato “di una manipolazione, intelligente ed efficace”: l’esercito israeliano avrebbe finto un’invasione di terra per spingere i miliziani di Hamas dentro ai tunnel per bombardarli. Il risultato? Secondo l’esercito israeliano sono state uccise “decine” di miliziani palestinesi. Il rilievo assunto dal web e dai social media nella guerra dell’informazione che Hamas e Israele hanno combattuto è stato determinato anche dalla scelta compiuta dal governo di Tel Aviv: l’abbattimento degli edifici di Gaza che ospitavano le aziende nel settore della comunicazione, inclusa la sede degli uffici di Al Jazeera il 15 maggio 2021. Luigi Giungato, a questo riguardo, osserva come Tale strategia si inscrive perfettamente nella prospettiva di un’information war tesa alla distruzione delle risorse narrative dell’avversario, sia da un punto di vista “hardware” (mediante l’abbattimento fisico delle strutture tecniche e umane di produzione di storie) sia da un punto di vista “software” tramite l’intimidazione dell’avversario e l’occupazione semantica del campo di battaglia. Fin dai primi giorni del conflitto, L’ORGANIZZAZIONE POLITICA SCIITA LIBANESE SI È DIMOSTRATA PARTICOLARMENTE ABILE NELL’USO DEGLI STRUMENTI INFORMATIVI A FINI PROPAGANDISTICI. Così è riuscita ad influenzare l’opinione pubblica degli stessi paesi occidentali affermando l’immagine di Israele come un stato aggressore. di 22 24
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