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Legge 194 e Interruzione Volontaria della Gravidanza: Procedura e Condizioni, Appunti di Medicina Legale

Medicina LegaleDiritto sanitarioGravidanza e Maternità

La legge 194 sulla interruzione volontaria della gravidanza, promulgata nel 1978. Esplora il ruolo dei consultori familiari, le condizioni per richiedere interruzione, e i compiti dei consultori e strutture sanitarie. Viene inoltre discusso il processo per interruzione dopo i primi novanta giorni.

Cosa imparerai

  • Quali sono le procedure da seguire per interrompere una gravidanza dopo i primi novanta giorni?
  • Che ruolo svolgono i consultori familiari nella procedura di interruzione volontaria della gravidanza?
  • Quali sono le conseguenze per chi cagiona l'interruzione volontaria della gravidanza senza il consenso della donna?
  • Che legge regola l'interruzione volontaria della gravidanza in Italia?
  • Quali sono le condizioni per cui una donna può richiedere interruzione della gravidanza?

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 20/12/2019

miriana-andronico
miriana-andronico 🇮🇹

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Scarica Legge 194 e Interruzione Volontaria della Gravidanza: Procedura e Condizioni e più Appunti in PDF di Medicina Legale solo su Docsity! 1 MEDICINA LEGALE – 16 aprile 2015 – lezione 13 Nel 1978 venne promulgata la famosa legge 194, che dava indicazioni ben precise sulla possibilità di interruzione della gravidanza (“Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza”). ART. 1 Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio. L'interruzione volontaria della gravidanza, di cui alla presente legge, non è mezzo per il controllo delle nascite. Lo Stato, le regioni e gli enti locali, nell'ambito delle proprie funzioni e competenze, promuovono e sviluppano i servizi socio-sanitari, nonché altre iniziative necessarie per evitare che lo aborto sia usato ai fini della limitazione delle nascite. Non si tratta di una norma che configura l’interruzione di gravidanza come un metodo contraccettivo → si parla infatti di “procreazione cosciente e responsabile”. Con questa norma si cercò di comprendere quali fossero le motivazioni cliniche e giuridiche che portavano ad un’interruzione volontaria di gravidanza → si cercò soprattutto di riconoscere il valore sociale della maternità. Questa legge si integra poi con la legge n. 40/2004, che ha introdotto la fecondazione medicalmente assistita → banalmente detta “fecondazione in vitro”, anche se questa è solo una delle varie tipologie. Il comma 2 evidenza come l’introduzione di questa norma certamente non doveva essere interpretata come un mezzo per il controllo delle nascite → anzi, si cercò di fare un po’ di ordine proprio perché, negli anni precedenti, molte interruzioni di gravidanza venivano fatte di nascosto dalle cd. mammare (donne che si prestavano a pratiche altamente rischiose per la salute della donna). ART. 2 I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza: a) informandola sui diritti a lei spettanti in base alla legislazione statale e regionale, e sui servizi sociali, sanitari e assistenziali concretamente offerti dalle strutture operanti nel territorio; 2 b) informandola sulle modalità idonee a ottenere il rispetto delle norme della legislazione sul lavoro a tutela della gestante; c) attuando direttamente o proponendo all’ente locale competente o alle strutture sociali operanti nel territorio speciali interventi, quando la gravidanza o la maternità creino problemi per risolvere i quali risultino inadeguati i normali interventi di cui alla lettera a); d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza. I consultori sulla base di appositi regolamenti o convenzioni possono avvalersi, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita. La somministrazione su prescrizione medica, nelle strutture sanitarie e nei consultori, dei mezzi necessari per conseguire le finalità liberamente scelte in ordine alla procreazione responsabile è consentita anche ai minori. Tale articolo dà un parametro di riferimento importante, cioè l’istituzione dei consultori familiari. La lett. a) fa riferimento ai casi in cui la donna considerava l’ipotesi di interruzione della gravidanza per paura di perdere il posto di lavoro → per questo va informata dell’esistenza di norme che tutelano la fase di gravidanza e quella di maternità. Il consultorio, per legge, è proprio il punto di riferimento della donna in gravidanza. Pertanto, parlare della legge n. 194 come un intervento legislativo per la legalizzazione dell’aborto è inadeguato → innanzitutto non si tratta di “aborto” (che, nel gergo giuridico, è il fatto criminoso che porta all’interruzione della gravidanza, quindi qualcosa di illegale) → in medicina si può parlare al massimo di “aborto spontaneo”. Si parla, quindi, di interruzione “volontaria” → ATTENZIONE: tale volontà è estrinsecabile solo per un certo periodo di tempo. ART. 4 Per l'interruzione volontaria della gravidanza entro i primi novanta giorni, la donna che accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione o al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito, si rivolge ad un consultorio pubblico istituito ai sensi dell'articolo 2, lettera a), della legge 29 luglio 1975 numero 405, o a una struttura socio-sanitaria a ciò abilitata dalla regione, o a un medico di sua fiducia. 5 Dopo i primi novanta giorni l’interruzione può avvenire o in situazioni di emergenza clinica (quando, cioè, la vita della donna è in pericolo) oppure quando il pericolo di compromissione psico- fisica della donna diventa grave → ancora una volta si sottolinea come non è l’ipotesi di malformazione fetale che determini automaticamente l’interruzione di gravidanza, ma gli effetti sulla salute psico-fisica. Qui non siamo più nell’ipotesi di interruzione volontaria → infatti il medico non rilascia più il documento, bensì direttamente il certificato che attesti la necessità di procedere immediatamente all’interruzione. ART. 7 I processi patologici che configurino i casi previsti dall'articolo precedente vengono accertati da un medico del servizio ostetrico-ginecologico dell'ente ospedaliero in cui deve praticarsi l'intervento, che ne certifica l'esistenza. Il medico può avvalersi della collaborazione di specialisti. Il medico è tenuto a fornire la documentazione sul caso e a comunicare la sua certificazione al direttore sanitario dell'ospedale per l'intervento da praticarsi immediatamente. Qualora l'interruzione della gravidanza si renda necessaria per imminente pericolo per la vita della donna, l'intervento può essere praticato anche senza lo svolgimento delle procedure previste dal comma precedente e al di fuori delle sedi di cui all'articolo 8. In questi casi, il medico è tenuto a darne comunicazione al medico provinciale. Quando sussiste la possibilità di vita autonoma del feto, l'interruzione della gravidanza può essere praticata solo nel caso di cui alla lettera a) dell'articolo 6 (cioè pericolo per la vita della donna) e il medico che esegue l'intervento deve adottare ogni misura idonea a salvaguardare la vita del feto. Quali sono le ipotesi indicate dall’ultimo comma dell’art. 7? Qual è il periodo? Ebbene, questo oggi è un grosso problema. Un tempo normalmente la scriminante era il settimo mese → il problema è legato al fatto che il feto cresce non solo in volume, ma anche in qualità → tutto ciò ha ripercussioni anche dal punto di vista etico (un feto tirato fuori al quinto mese di gravidanza può avere già i polmoni formati, ma non essere ancora in grado di respirare autonomamente → tenerlo in vita è possibile, ma non è detto che non ci potranno essere ripercussioni sul suo sviluppo). Quindi, quando siamo in un periodo in cui il feto può già sopravvivere autonomamente (fine del settimo mese) – ancorché si interrompa la gravidanza – certamente non potrà essere sacrificato → anzi, bisogna adottare ogni misura idonea a salvaguardargli la vita. Chi può fare l’interruzione di gravidanza? Prima dell’introduzione di questa norma – come dicevamo – c’era un po’ di caos in merito. 6 ART. 8 L'interruzione della gravidanza è praticata da un medico del servizio ostetrico-ginecologico presso un ospedale generale tra quelli indicati nell'articolo 20 della legge 12 febbraio 1968, numero 132, il quale verifica anche l'inesistenza di controindicazioni sanitarie. Gli interventi possono essere altresì praticati presso gli ospedali pubblici specializzati, gli istituti ed enti di cui all'articolo 1, penultimo comma, della legge 12 febbraio 1968, n. 132, e le istituzioni di cui alla legge 26 novembre 1973, numero 817, ed al decreto del Presidente della Repubblica 18 giugno 1958, n. 754, sempre che i rispettivi organi di gestione ne facciano richiesta. Nei primi novanta giorni l'interruzione della gravidanza può essere praticata anche presso case di cura autorizzate dalla regione, fornite di requisiti igienico-sanitari e di adeguati servizi ostetrico- ginecologici. Il Ministro della sanità con suo decreto limiterà la facoltà delle case di cura autorizzate, a praticare gli interventi di interruzione della gravidanza, stabilendo: 1) la percentuale degli interventi di interruzione della gravidanza che potranno avere luogo, in rapporto al totale degli interventi operatori eseguiti nell'anno precedente presso la stessa casa di cura; 2) la percentuale dei giorni di degenza consentiti per gli interventi di interruzione della gravidanza, rispetto al totale dei giorni di degenza che nell'anno precedente si sono avuti in relazione alle convenzioni con la regione. Le percentuali di cui ai punti 1) e 2) dovranno essere non inferiori al 20 per cento e uguali per tutte le case di cura. Le case di cura potranno scegliere il criterio al quale attenersi, fra i due sopra fissati. Nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione della gravidanza dovranno altresì poter essere effettuati, dopo la costituzione delle unità socio-sanitarie locali, presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione. Il certificato rilasciato ai sensi del terzo comma dell'articolo 5 e, alla scadenza dei sette giorni, il documento consegnato alla donna ai sensi del quarto comma dello stesso articolo costituiscono titolo per ottenere in via d'urgenza l'intervento e, se necessario, il ricovero. Punto cruciale è, poi, la libertà lasciata al sanitario, che può decidere se far parte o meno dell’équipe che pratica l’interruzione di gravidanza attraverso l’opzione della cd. obiezione di coscienza. Quali sono i limiti? ART. 9 Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando 7 sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell'obiettore deve essere comunicata al medico provinciale e, nel caso di personale dipendente dello ospedale o dalla casa di cura, anche al direttore sanitario, entro un mese dall'entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento della abilitazione o dall'assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l'esecuzione di tali prestazioni. L'obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale. L'obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l'interruzione della gravidanza, e non dall'assistenza antecedente e conseguente all'intervento. Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale. L'obiezione di coscienza non può essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attività ausiliarie quando, data la particolarità delle circostanze, il loro personale intervento è indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. L'obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto, immediato, se chi l'ha sollevata prende parte a procedure o a interventi per l'interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di cui al comma precedente. ATTENZIONE: il medico obiettore può astenersi dall’andare in sala parto e compiere una procedura che non condivide, ma non può sottrarsi alle pratiche mediche che precedono o seguono l’interruzione. Se c’è un’urgenza clinica, per la quale è in pericolo la vita della donna, non si può invocare l’obiezione di coscienza. Nel caso in cui, poi, io sia un medico obiettore e venga “beccato” ad es. nel pomeriggio in un’altra struttura – seppur autorizzata – a praticare l’interruzione, rischio la radiazione dall’albo. ART. 12 La richiesta di interruzione della gravidanza secondo le procedure della presente legge è fatta personalmente dalla donna. 10 Nei casi previsti dai commi precedenti, se il fatto è commesso con la violazione delle norme poste a tutela del lavoro la pena è aumentata. Un tempo l’interruzione di gravidanza – o comunque l’accelerazione del parto – erano previste tra le circostanze aggravanti della lesione personale → quelle disposizioni, contenute nell’art. 583 c.p. sono state abrogate perché sostituite da queste. ART. 18 Chiunque cagiona l'interruzione della gravidanza senza il consenso della donna è punito con la reclusione da quattro a otto anni. Si considera come non prestato il consenso estorto con violenza o minaccia ovvero carpito con l'inganno. La stessa pena si applica a chiunque provochi l'interruzione della gravidanza con azioni dirette a provocare lesioni alla donna. Detta pena è diminuita fino alla metà se da tali lesioni deriva l'acceleramento del parto. Se dai fatti previsti dal primo e dal secondo comma deriva la morte della donna si applica la reclusione da otto a sedici anni; se ne deriva una lesione personale gravissima si applica la reclusione da sei a dodici anni; se la lesione personale è grave questa ultima pena è diminuita. Le pene stabilite dai commi precedenti sono aumentate se la donna è minore degli anni diciotto. In questo articolo ci troviamo in una chiara condizione di dolo. ART. 19 Chiunque cagiona l'interruzione volontaria della gravidanza senza l'osservanza delle modalità indicate negli articoli 5 o 8, è punito con la reclusione sino a tre anni. La donna è punita con la multa fino a lire centomila. Se l'interruzione volontaria della gravidanza avviene senza l'accertamento medico dei casi previsti dalle lettere a) e b) dell'articolo 6 o comunque senza l'osservanza delle modalità previste dall'articolo 7, chi la cagiona è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La donna è punita con la reclusione sino a sei mesi. Quando l'interruzione volontaria della gravidanza avviene su donna minore degli anni diciotto, o interdetta, fuori dei casi o senza l'osservanza delle modalità previste dagli articoli 12 e 13, chi la cagiona è punito con le pene rispettivamente previste dai commi precedenti aumentate fino alla metà. La donna non è punibile. Se dai fatti previsti dai commi precedenti deriva la morte della donna, si applica la reclusione da tre a sette anni; se ne deriva una lesione personale gravissima si applica la reclusione da due a cinque anni; se la lesione personale è grave questa ultima pena è diminuita. Le pene stabilite dal comma precedente sono aumentate se la morte o la lesione della donna derivano dai fatti previsti dal quinto comma. 11 Quindi anche gli step clinici di documentazione necessaria vanno rispettati. ART. 21 Chiunque, fuori dei casi previsti dall'articolo 326 del codice penale, essendone venuto a conoscenza per ragioni di professione o di ufficio, rivela l'identità - o comunque divulga notizie idonee a rivelarla - di chi ha fatto ricorso alle procedure o agli interventi previsti dalla presente legge, è punito a norma dell'articolo 622 del codice penale (Rivelazione di segreto professionale). È il caso della violazione di atti segreti nell’esercizio di un pubblico servizio. Ad integrazione dell’argomento, parliamo dei cd. screening prenatali. Caso: la paziente è andata dal ginecologo, gli ha chiesto di farle l’ecografia e poi, quando è nato, il bambino aveva una malformazione → se avesse saputo della presenza della malformazione, magari avrebbe preferito interrompere. Il punto allora è: che valore hanno questi accertamenti dal punto di vista dell’accuratezza? Ci sono degli accertamenti standard (come la cd. ecografia morfologica) → tutte le altre verifiche sono, invece, opzionali. Questi accertamenti vanno fatti tenuto conto della tutela giuridica della persona, del nascituro e anche del professionista che li esegue. Talvolta, si usano gli strumenti radiologici tipici dell’ecografia → ma oggi la scienza ostetrica è in grado di fare addirittura delle indagini predittive su campioni di sangue materno o fetale → è evidente che il prelievo di sangue materno è un test non invasivo (ma ha un’attendibilità di indagine piuttosto relativa) → quindi quando poi il bambino nasce, se ha delle malformazioni genetiche scatta subito la denuncia. Il Codice di deontologia medica dice che, quando si fa uno studio del Dna della cellula, tutto è molto relativo → tutto dipende dal punto della sequenza che andiamo a studiare → esistono patologie tipicamente individuabili in una sequenza del Dna, ma questo non esclude che ci possano essere altri tratti del Dna alterati che non possiamo andare a verificare e che possono essere poi la causa di un’anomalia con la quale il soggetto nasce. È importante, quindi, anche una corretta informazione dei limiti dell’accertamento sul genoma. Il medico deve chiedere il consenso alla persona interessata prima di procedere alle indagini sul feto e spiegare i limiti della metodica, illustrando anche la possibilità di esito negativo e di conseguenze sul nascituro. Lo studio del genoma non può essere utilizzato per selezionare in qualche modo il sesso del nascituro. 12 Tutto il contenzioso in materia, quindi, si determina proprio per un difetto di informazione. Tali test, pertanto, non possono essere considerati dei test di routine, ma sono la conseguenza di una scelta investigativa che, però, viene sempre fatta dopo aver consultato un genetista → perché i risultati di laboratorio, se letti in maniera assoluta, in realtà possono creare confusione nella donna ed essere uno strumento inadeguato per interrompere in maniera inopportuna una gravidanza. Il tutto dipende anche dall’età gestazionale della donna, perché in alcuni casi il risultato può essere falsato. Il test non invasivo in questione (cd. pre-test) studia, perlopiù, le cd. trisomie, cioè le alterazioni cromosomiali più frequenti → ma non esime che ve ne siano altre non evidenziate dal test stesso. Ovviamente, ci vuole sempre un’anamnesi familiare piuttosto approfondita. I test invasivi, invece – come abbiamo detto – sono l’amniocentesi e la villocentesi e non sono sostituibili dal pre-test. Quindi, per valutare una responsabilità di chi ha eseguito il test bisogna tener conto: - Del tempo in cui è stato eseguito; - Della presenza del genetista → solo a lui è affidata la lettura del Dna delle cellule fetali che bisogna analizzare. Dal punto di vista della sede giuridica, quindi, si pongono alcune riflessioni. In primis, esiste un diritto del nascituro a nascere sano? Bisogna, quindi, fare sempre il test per verificare che il feto sia sano? Si tratta di un problema ampiamente dibattuto in giurisprudenza. In realtà, non esiste un diritto del feto a nascere sano → esiste un diritto a nascere e basta, perché non possiamo assicurare che nasca sano. Il contratto che la paziente pone in essere con la struttura, poi, ha effetto anche sul concepito e sull’altro genitore (cd. interessi protettivi) → se il medico ha tenuto una condotta omissiva e poi il bambino è nato con delle malformazioni, queste sue mancanze non sono legate alla nascita (quindi il risarcimento non è fatto perché la nascita non era dovuta) → ma il risarcimento va fatto per l’omessa diagnosi di patologia, che avrebbe consentito di prendere delle decisioni. La donna, quindi, non ha potuto esercitare il suo diritto previsto dalla legge n. 194/1978. Qual è il contenzioso che si può aprire in queste situazioni di erroneo monitoraggio in gravidanza? Siamo di fronte ad un atteggiamento colposo, cioè di mancanza di quella dovuta diligenza, prudenza e perizia necessaria per il monitoraggio della vita intrauterina ovvero – in caso di esecuzione – per es. un’inesatta interpretazione dei risultati oppure ancora una mancata comunicazione dell’esito degli esami ai genitori.
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