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MEDIOEVO di Giovanni Vitolo, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto completo del testo. Utile a chiunque voglia un quadro generale della storia medievale, dall'Alto al Basso Medioevo, su Occidente e Oriente.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 27/06/2022

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Scarica MEDIOEVO di Giovanni Vitolo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! MEDIOEVO Introduzione L’idea del medioevo nasce con l’Umanesimo italiano tra il 14º e 15º secolo quando letterati artisti acquisirono la consapevolezza di vivere in un epoca di trasformazione della cultura e dei valori, dividendo la civiltà in tre epoca:  l’antichità classica  l’età di imbarbarimento e decadenza in seguito alla caduta dell’Impero Romano  l’età in cui vivevano attualmente nella quale riprendevano vita i valori della civiltà classica Motivo di critica nei confronti del medioevo fu il ruolo e l’operato della chiesa di Roma che allontanandosi dal modello della comunità cristiana delle origini, tradì la sua missione. La polemica sul medioevo riprese nel corso del ‘700 quando gli illuministi andarono contro le istituzioni politiche e sociali del loro tempo che consideravano essere i residui delle barbarie e delle superstizioni dell’età medievale. Nell’800, la ricerca storica ebbe notevoli progressi perché la storia, vista come strumento utile a raggiungere una conoscenza del passato, diventa materia per specialisti cessando di essere al centro dell’attenzione di letterati e pensatori. Intanto in Germania, si svilupparono anche le ricerche nell’ambito della storia del diritto e dell’economia giungendo a Karl Marx. Le teorie marxiane suscitarono grande interesse perché consentivano di intendere la storia spostando l’attenzione sul mondo dei rapporti sociali ed economici, dopo che per secoli era stata monopolizzata dagli eventi politici e dalle vicende di Papi, imperatori e principi. I cambiamenti rispetto al passato lasciano pensare non a un processo di trasformazione bensì ad un processo di riorganizzazione delle società europee sulle nuove basi create dalle mutate condizioni politiche, economiche, sociali e culturali dell’Occidente Romano. L’età carolingia si configura non come inizio di una fase nuova, ma come il tentativo di dare un assetto più definito all’Europa uscita dall’arrivo dei popoli barbarici e dal crollo delle istituzioni politiche romane. La storiografia italiana colloca quattro periodi tra la fine dell’Impero Romano d’Occidente e l’inizio della modernità che sono: 1. Il primo va dal 4° al 7° secolo ed è chiamato Tarda Antichità. È un periodo che vede una lenta trasformazione del mondo romano anche se fu un fenomeno che non ebbe lo stesso ritmo ovunque. In Italia fino all’arrivo dei Longobardi (568), non ci furono grandi sconvolgimenti e neanche con gli Ostrogoti di Teodorico, infatti a causa della loro scarsa consistenza numerica, non alterarono molto l’ordinamento politico-amministrativo e sociale. Nella Gallia dei Franchi e nella Spagna dei Visigoti l’inserimento dei Germani tra le popolazioni locali fu più massiccio, ma anche lì si riuscì in poco tempo a realizzare una piena collaborazione tra le nuove monarchie germaniche e il ceto dirigente romano. Lo sconvolgimento fu invece massimo nei Balcani, dove le devastazioni operate prima da Visigoti, Unni, Avari, Bulgari e poi dagli Slavi, cancellarono ogni traccia di civiltà romana, conferendo a quella regione un aspetto rurale. Allo stesso tempo è il periodo in cui il cristianesimo inizia ad essere definito meglio sul piano dottrinale e organizzativo. Attraverso i concili ecumenici di Nicea, Efeso e Calcedonia vennero fissati principali dogmi della dottrina cristiana e la stessa chiesa iniziò ad elaborare una vera e propria organizzazione. 2. Il secondo va dall’8° al 10° secolo ed è chiamato Alto Medioevo. Sono secoli nei quali la vita delle popolazioni europee si fece ancora più precaria ed insicura in seguito alle incursioni dei Normanni, Ungari e Saraceni ed inoltre, non si esercitava più il controllo 2 dell’uomo sull’ambiente naturale in seguito all’abbandono dei grandi lavori di sistemazione del suolo intrapresi in età romana. Sono però anche i secoli nei quali nacquero i rapporti feudali, destinati a caratterizzare fortemente la società medievale. 3. Il terzo va dal 11º al 13º secolo ed è il Pieno Medioevo, periodo in cui la civiltà medievale si esprime pienamente nella vita sociale, politica religiosa non che nella letteratura, nella filosofia e nell’arte. 4. Il quarto abbraccia i secoli 14º e 15º e prende il nome di Tardo Medioevo. Sono secoli contrassegnati da una crisi demografica ed economica e grandi processi di trasformazione. È un epoca in cui si diffondono nuovi modelli culturali, nuovi valori religiosi, ma soprattutto tramonta l’ideale dell’impero universale e legge egemonia politica del Papato. È un periodo storico in cui ci fu una scarsa incidenza dello Stato nella vita della società; non un’assenza di Stato, ma di Stato “leggero” che assicura alla società servizi minimi. Parte I Cap. 1 – Il mondo ellenistico-romano e la diffusione del Cristianesimo Contemporanee all’Impero romano, fecero la loro comparsa delle popolazioni definite indoeuropee chiamate così per indicare l’area in cui si stabilirono. Erano popolazioni rozze e meno evolute che diedero vita a nuove civiltà. Uno di questi organismi è la Persia che comprende l’attuale Iraq e Iran che passò sotto il dominio dei Parti verso la metà del 3° secolo a.C. Erano cavalieri-pastori nomadi trasformatisi in sedentari, diedero vita ad un grande impero in lotta con quello romano per il dominio della Siria, Armenia e Mesopotamia. Anche l’India si configura come una grande civiltà agricola creata dagli Ariani, un popolo indoeuropeo di pastori e allevatori che si erano trasformati in contadini. In Cina, la situazione si stabilizzò nel 246 a.C. quando Shih Hwang-ti creò un vasto impero con uno stato in lotta sia contro le famiglie dell’aristocrazia terriera sia contro le razzie degli Unni. Infatti, per difendere il paese dalle incursioni, fece costruire la Grande Muraglia nel 215 a.C. Il limes segnava la separazione tra due sistemi di vita: da un lato il mondo delle foreste e delle grandi valli fluviali dell’Europa centrale e settentrionale, dall’altro un mondo urbano abitato da popolazioni con sistemi socioculturali più complessi che diedero vita alla città. La città romana, diversamente da quella medievale, non è separata dal territorio circostante perché non è circondata da mura che cominceranno ad essere costruite a partire dal 3° secolo sotto la minaccia di invasioni esterne. Il centro urbano era detto urbs e aveva funzioni amministrative, politiche e Contemporaneamente, mentre si svolgevano questi dibattiti teologici, nacque una nuova forma di vita cristiana la cui caratteristica principale era il distacco totale dalla società: il monachesimo. Il primo paese in cui questo fenomeno assunse notevoli dimensioni fu l’India dove monaci buddisti che inizialmente conducevano una vita girovaga riparandosi in rifugi e mendicando il sostentamento, finirono con lo scegliere la vita stabile in comunità costruendo grandi monasteri dotati di oratorio, dormitorio, biblioteca e laboratori vari. Il monachesimo cristiano nacque in Egitto nel 3° secolo ed era caratterizzato dalla ricerca di una completa solitudine, infatti, i monaci diventavano degli eremiti rinchiusi in piccoli ambienti fino a quando decisero di seguire forme meno rigide di esperienza monastica. Vennero creati monasteri maschili e femminili in cui tutto veniva regolato: la meditazione, la preghiera, il lavoro, ecc. Uno dei padri del monachesimo orientale fu Basilio che non fondò un ordine, ma promosse la fondazione dei monasteri sia in luoghi di città che di campagna e venne particolarmente ricordato per le sue Regole che rappresentano una serie di indicazioni per i cristiani che vivevano in comunità. Un altro personaggio legato al monachesimo fu Benedetto da Norcia fondatore del monastero di Montecassino. Non fu lui ad introdurre il lavoro manuale, gli ideali di carità e fraternità tra i monaci e l’introduzione a dormitorio comune, ma la sua originalità consisteva nel chiedere ai monaci di rispettare un equilibrato rapporto tra vita attiva e vita contemplativa riassunto nella famosa formula ora et labora che rende l’idea della giornata del monaco divisa tra momenti destinati alla lettura e alla meditazione e momenti di lavoro manuale. Cap. 2 – L’Occidente romano-germanico In realtà, non è mai esistita una comunità germanica originaria da cui avrebbero avuto origine i vari popoli germanici. La civiltà germanica si formò lentamente in seguito all’espansione degli indoeuropei dell’Europa del nord che si fusero con le popolazioni indigene. Il primo contatto con i romani avvenne nel 2° secolo a.C. quando agli scontri si alternavano scambi commerciali, oltre alle innovazioni agricole. La loro società era quella di un popolo di uomini in armi dove spiccava la gerarchia dei duces cioè capi militari riconosciuti per il loro prestigio in guerra il cui valore militare veniva trasmesso ereditariamente nelle stesse famiglie, i cui membri erano chiamati adalingi cioè nobili. Nonostante ciò, non si consideravano superiori agli altri uomini liberi dato che il popolo germanico era un popolo di uguali che praticava una specie di democrazia. Furono indispensabili per le difese dei confini e quando sembrava che fosse stato raggiunto un equilibrio tra mondo romano e mondo germanico, i loro rapporti vennero scossi dall’arrivo degli Unni, un popolo organizzato come orda cioè un insieme di tribù guidate da un capo supremo che vedeva affievolirsi la loro spinta espansiva man mano che si allontanavano dalle loro regioni di origine per inoltrarsi in terra non adatte alla vita nomade. Gli sviluppi successivi sono legati alla separazione tra la parte Orientale e quella Occidentale. Dopo la morte di Teodosio, l’impero venne definitivamente diviso tra i due figli Onorio che ereditò l’Occidente con capitale Milano e Arcadio che ebbe l’Oriente con capitale Costantinopoli. Essendo entrambi molto giovani, il padre impose a Onorio la tutela del generale vandalo Stilicone e mise Arcadio sotto la guida del goto Rufino, ma non fu una scelta casuale perché faceva parte della politica di apertura verso le popolazioni germaniche di Teodosio affinché le popolazioni potessero essere accolte all’interno dell’impero e nel Senato provocando tensioni. Da un lato nacquero le opposizioni nei confronti gli elementi di origine barbarica e dall’altro c’era una maggiore pressione da parte degli Unni che avevano ripreso la loro invasione. La situazione precipitò quando Stilicone venne abbandonato dallo stesso imperatore Onorio e fu ucciso da una sollevazione delle truppe romane, spianando le porte dell’Italia ai Visigoti guidati da Alarico che entrati a Roma la saccheggiarono per 3 giorni facendo crollare il mito della sua invincibilità. I popoli invasori – Vandali, Alani, Svevi, Franchi, Burgundi e Visigoti – furono tutti riconosciuti da Onorio e dai successori come federati in base alla legge dell’hospitalitas che prevedeva l’obbligo per i proprietari di terre di cedere uno o 2/3 delle loro terre ai Germani, ma i nuovi federati non erano soltanto dei soldati lontani dalle loro sedi di origine, ma vivevano con i loro beni e le loro famiglie sotto l’autorità di un re sulla base di proprie leggi. I Germani erano essenziali per la sopravvivenza dell’impero d’Occidente. Così Ezio un generale di origine romana, riprese la politica di Teodosio per utilizzare i Germani contro gli Unni che sotto la guida di Attila minacciavano l’Italia. Ezio riuscì a batterli, ma l’anno successivo Attila riuscì ad entrare in Italia, ma gli andò incontro Papa Leone I in qualità di ambasciatore di Valentiniano III. Attila si ritirò per il timore di un attacco ai suoi domini da parte di Costantinopoli dato che erano sempre più vulnerabili man mano che crescevano dato che mancava una struttura politica capace di tenerli uniti, infatti, dopo la sua morte l’impero degli Unni si sfaldò. Ezio fu ucciso dallo stesso Valentiniano che a sua volta morì per mano di due seguaci di Ezio. La loro scomparsa creò una situazione sempre più confusa portando ad una rapida successione di imperatori privi di potere effettivo che quasi sempre era nelle mani dei comandanti delle forze romano-barbariche tra cui si distinse Odoacre che dopo aver deposto l’imperatore Romolo Augustolo, dichiarò di voler governare quello che restava dell’impero d’Occidente in nome dell’imperatore d’Oriente con il titolo di patrizio. Dopo la morte di Odoacre, salì al trono il Re ostrogoto Teodorico che per incarico dell’imperatore Zenone, portò il suo popolo in Italia. Non si instaurò la dominazione degli Ostrogoti sulla popolazione romana, ma si realizzò una coesistenza tra due comunità con distinti ordinamenti giuridici. I goti erano gli unici ad avere il diritto- dovere di portare le armi, mentre i romani erano esclusi dall’esercito e formavano una comunità distinta che continuava a vivere secondo il diritto romano (personalità del diritto). Teodorico continuò il disegno di tenere distinte le comunità, richiamando una vecchia legge romana che vietava i matrimoni tra romani e barbari, sostenendo l’arianesimo essenziale nell’identità culturale del suo popolo. Ben presto nacquero una serie di complicazioni col mondo romano sia tra Papato e imperatore d’Oriente, sia tra i goti ariani e i cattolici. I 2 organismi più saldi nati dal disfacimento dell’impero d’Occidente furono il regno dei Visigoti e il regno dei Franchi. Furono accomunati dalla capacità dei loro sovrani di dare stabilità al loro potere fondando una convergenza con la aristocrazia romana e l’episcopato cattolico. I Visigoti crearono un attività legislativa che per la prima volta mise per iscritto in latino le leggi e le consuetudini della popolazione, insieme all’emanazione di norme valide per entrambe le popolazioni che si avviavano ad un ordinamento giuridico di tipo territoriale cioè valido per l’intero territorio del regno, al quale si oppose l’aristocrazia gota che era invece interessata a far valere i propri principi, ma alla fine si arrivò alla fusione dei due popoli. Con i Concili di Toledo si organizzarono delle assemblee periodiche di vescovi ed esponenti dell’aristocrazia per deliberare in materia ecclesiastica e su qualsiasi altro problema relativo alla vita del regno. I Franchi erano divisi in tanti piccoli aggregati che a partire dal 482 furono inglobati nel dominio di Clodoveo Re dei Franchi Salii e iniziatore della dinastia merovingia detta così dal nome del suo antenato Meroveo. Dopo aver eliminato l’ultima presenza romana in Gallia, si dedicò alle altre popolazioni germaniche ponendole sotto la propria tutela o scacciandole dai loro territori. Trovò un ostacolo soltanto nel Re degli Ostrogoti Teodorico che cercò di coordinare attorno a sé tutti i gruppi etnici minacciati dall’espansionismo franco. Nonostante ciò, alla sua morte (di Teodorico) Clodoveo controllava tutta la Gallia romana e anche una fascia di territori al di là del Reno. Alla base di questi successi c’era la collaborazione con la aristocrazia gallo-romana e l’episcopato cattolico. Infatti, Clodoveo si convertì al cattolicesimo segnando un avvicinamento tra i due popoli. Si prestò attenzione all’attività legislativa che inizialmente era diversa per i vari popoli. Quella romana prevedeva pene corporali per i trasgressori, mentre la giustizia germanica che era originariamente basata sulla vendetta privata cioè la faida, adesso consisteva nel pagamento di un’ammenda, parte della quale era destinata al Re in quanto tutore della pace pubblica che era stata turbata e l’altra, alla parte lesa. L’ammontare era porzionale alla condizione sociale della vittima ed era fissato dal mallus l’assemblea di uomini liberi presieduta dal conte o da un suo delegato. In seguito alla diffusione dei matrimoni misti non era facile stabilire a quale legge dovessero obbedire i figli, così vennero create delle leggi nate dalla fusione del diritto romano e del diritto germanico, dando vita ad una legislazione di stampo non più nazionale, ma territoriale. Cap. 3 – L’Oriente romano-bizantino e slavo La parte orientale dell’impero mostrava una sorprendente capacità di resistenza di fronte a pressioni esterne e tensioni interne. Le ragioni di questa diversità sono da ricondurre principalmente al differente livello di sviluppo che da sempre aveva caratterizzato le due parti dell’impero rese più evidenti dalla crisi del 3° secolo. Le città erano più numerose e popolate, ma avevano anche una struttura economica e sociale più complessa con una larga presenza di ceti mercantili, padroni incontrastati dei traffici del Mediterraneo. L’aristocrazia non godeva di una superiorità sociale nei confronti del resto della popolazione e non formava una classe rigidamente chiusa perché chiunque emergesse poteva farne parte. Gregorio Magno che concepì il disegno di rendere autonomo il Papato dall’impero bizantino facendosi guida della chiesa universale. L’autorità da lui acquistata sui vescovi occidentali si basò sulla sua capacità di stabilire con loro uno stretto collegamento attraverso lo scambio continuo di lettere nelle quali affrontava i problemi più disparati come la cura delle anime, l’organizzazione della diocesi, il rapporto con il potere politico. Allo stesso tempo, si preoccupò di riordinare e diffondere la liturgia romana con il canto che da lui prese il nome di canto gregoriano provando a dare un ulteriore impulso all’opera di evangelizzazione delle popolazioni pagane e di quelle ariane. La sua attività non gli impediva di occuparsi del governo e della difesa di Roma, sostituendosi all’autorità imperiale, infatti, salvò ripetutamente la città facendo appello al suo prestigio, ma anche alle risorse finanziarie della chiesa. I tentativi di Gregorio di convertire la famiglia reale ebbero successo con il battesimo con rito cattolico dell’erede al trono che però non comportò la conversione in massa dei Longobardi legati alle tradizioni nazionali. Così accadde che lo schieramento filocattolico e quello nazionalista si fronteggiassero e che sul trono si alternassero Re cattolici e ariani. Tra questi personaggi, spiccò Rotari (ariano) che fece mettere per iscritto le antiche leggi longobarde attraverso l’Editto di Rotari. Il più grande Re dei Longobardi fu Liutprando con il quale può dirsi completata la conversione del suo popolo al cattolicesimo e il superamento della divisione etnica tra Longobardi e Romani attraverso il progressivo inserimento dei secondi nella tradizione giuridica dei dominatori. La sua politica espansionistica coinvolse Roma dove Papa Gregorio II che gli andò incontro fece appello al suo sentimento religioso e lo convinse a rinunciare alla conquista della città, ma anche a sgombrare le terre già conquistate dal ducato romano segnando il riconoscimento della sovranità che il Papa esercitava su Roma e sul territorio circostante. Il primo problema da affrontare nei territori bizantini era la difesa, alla quale si dovette provvedere a livello locale perché l’impero era impegnato in Oriente e non era in grado di inviare forza consistenti in Italia. La convergenza tra mondo bizantino e mondo latino era favorita anche dal prestigio economico, sociale e politico che andavano assumendo il clero e le istituzioni ecclesiastiche nell’ambito della società. Infatti, oltre al prestigio di cui la chiesa aveva goduto si è aggiunse la disponibilità di immensi patrimoni terrieri la cui gestione era affidata a laici. La concessione avveniva spesso sotto forma di enfiteusi cioè un contratto a lungo termine (di solito 29 anni) che era utilizzato per stabilire rapporti di tipo clientelare tra un grande ente ecclesiastico ed esponenti dell’apparato politico e militare. La fine della dominazione bizantina e l’inizio del dominio pontificio si ebbe grazie all’egemonia sul Lazio e sulla capacità dei pontefici di legare a sé l’aristocrazia romana e gli esponenti della burocrazia bizantina attraverso la concessione in enfiteusi del vasto patrimonio di San Pietro. Cap. 5 – Il mondo arabo e il Mediterraneo La parte centro-settentrionale della penisola arabica era abitata sia da tribù di nomadi Beduini sia da tribù di sedentari che vivevano in centri cittadini o poveri villaggi di contadini; entrambi indipendenti l’una dall’altra. Alla guida di ogni tribù c’era un capo elettivo assistito da un consiglio e da un giudice, dove ne potevano fare parte (su un piano di inferiorità) anche alleati e schiavi. La donna era considerata un bene della famiglia ed era ceduta al marito dietro pagamento di una dote e rimaneva nella nuova famiglia anche se resta vedova. A livello religioso c’era una netta prevalenza del politeismo. In misura largamente minoritaria erano presenti anche l’ebraismo il cristianesimo. La circolazione delle merci avveniva lungo un itinerario che passava per la Mecca che grazie alla sua posizione geografica, all’abbondanza delle sorgenti e alla capacità politica dei capi della tribù dei Quraish divenne un centro commerciale e religioso riunendo tutte le divinità degli arabi nella Kaaba, santuario a forma di cubo che si credeva fosse stato costruito da Abramo e da suo figlio Ismaele per custodirvi la pietra nera portata dall’Arcangelo Gabriele (in realtà è un meteorite. Le famiglie più ricche sulla città insieme formavano una specie di senato, dando quasi alla Mecca il carattere di una repubblica oligarchica di tipo mercantile. Qui, nacque Maometto tra il 569 e il 571. Quando aveva poco più di 40 anni mentre riposava in una grotta, gli apparve l’Arcangelo Gabriele per annunciargli di essere l’apostolo di Allah. Dopo un’esitazione iniziale, nel 613 Maometto diede inizio alla predicazione. Il suo messaggio puntava a far riconoscere Allah come unico vero Dio e a far fare atto di sottomissione alla sua autorità (Islam) introducendo l’idea di un giudizio finale e il dovere di esercitare la solidarietà verso gli altri e verso i poveri in particolare. Continuò la sua opera di elaborazione della nuova dottrina definendo il rituale della preghiera che il credente doveva recitare rivolto verso Gerusalemme. Presto la sua posizione si fece insostenibile così lasciò la Mecca per raggiungere la città della famiglia materna che cambiò il suo nome in Medina cioè città del profeta. Questa fuga fu considerata dai suoi seguaci l’avvio di una nuova era che venne fatta iniziare il primo giorno del primo mese dell’anno corrispondente al 16 luglio del 622. Maometto cercò di riunire attorno a sé tutti gli abitanti della città, tra cui numerosi ebrei, incoraggiandone la conversione all’Islam, ma riuscì solo con gli arabi politeisti. Nel 624 decise di sostituire la Mecca a Gerusalemme come punto di orientamento per la preghiera e proclamò che l’unica vera fede era quella che Dio aveva rivelato attraverso di lui, istituendo così il digiuno del mese di Ramadan in ricordo della rivelazione. Il pensiero di Maometto fu fissato nel libro sacro del Corano una ventina d’anni dopo la sua morte per volontà del Califfo Othman, ad opera di Zaid Thabit che come segretario del profeta, fece ricorso sia i suoi ricordi personali, sia quelli degli altri testimoni diretti. La lingua adoperata fu quella usata dai poeti arabi che era diffusa non solo in Arabia, ma anche in Siria e Mesopotamia ed era destinata ad avere una grandissima diffusione come lingua di cultura sovrapposta ai molteplici dialetti locali. I punti più importanti di questa religione sono dei veri e propri pilastri che hanno caratterizzato la cultura araba. Il primo pilastro è la doppia professione di fede: “Non c’è altro Dio che Allah e Maometto è il suo inviato”. La prima parte proclama l’unicità di Allah distinguendo l’Islam dal politeismo. La seconda, lo distingue dalle altre religioni monoteiste, in particolare dall’ebraismo e dal cristianesimo, anch’essi basati sulla rivelazione divina ad opera dei profeti (Abramo, Mosè e Gesù). La profezia di Maometto invece è la più perfetta e Dio non ne invierà altre, per cui il credente che abbandona l’Islam si macchia di una colpa gravissima punibile con la morte. Di qui l’obbligo per il musulmano che sposa un’ebrea o una cristiana, di educare i figli nella religione Islamica, mentre la madre può conservare la propria fede. Invece, un uomo non musulmano non può sposare una musulmana senza essersi prima convertito all’Islam. I non credenti caduti sotto la dominazione Islamica devono convertirsi o essere messi a morte se pagani e politeisti; invece, possono conservare la loro fede sottoponendosi al pagamento di un’imposta, se appartenenti ad una religione monoteista rivelata in un libro sacro come la Bibbia e i Vangeli. Il secondo pilastro è la preghiera, per chiedere a Dio perdono e benedizione. Si recita in due modi, ma sempre con il viso rivolto verso la Mecca: in forma individuale 5 volte al giorno al richiamo del muezzin in un edificio consacrato al culto o in uno spazio qualsiasi isolato dal suolo da un tappeto oppure in forma comunitaria in una moschea e il venerdì a mezzogiorno. L’iman non è un sacerdote, ma un qualsiasi musulmano studioso di testi sacri che ha il compito di commentare i problemi del momento alla luce del Corano, nel quale in linea di principio è possibile trovare risposta a tutti gli interrogativi umani e per questo motivo, ha sempre avuto una grande autorità sia tra i fedeli sia nel potere politico. Il terzo pilastro è il Ramadan, un intero mese consacrato alle pratiche di devozione, lettura e approfondimento della fede in generale quindi, è proibito bere, mangiare, fumare e avere rapporti sessuali dall’alba al tramonto e solitamente si conclude con una grande festa chiamata “festa di rottura del digiuno”. Il quarto dovere fondamentale del credente, a patto che ne abbia le possibilità materiali, è il pellegrinaggio alla Mecca almeno una volta nella vita. È un atto di purificazione, ma nello stesso tempo mira a rinsaldare la fede e a mantenere viva la solidarietà tra musulmani sparsi per il mondo. Il quinto pilastro è l’elemosina legale dovuta dai fedeli benestanti per soccorrere i loro fratelli indigenti, mentre oggi viene versata nelle casse delle moschee a titolo volontario. A questi 5 pilastri, alcuni musulmani ne aggiungono un sesto cioè la guerra santa (jihad) considerata in genere l’equivalente della crociata cristiana. In realtà, ha un significato più ampio e non indica solo la guerra vera e propria per diffondere l’Islam nel mondo intero e per difendere il territorio dagli attacchi degli infedeli, ma anche la lotta che ogni credente deve condurre contro sé stesso e le sue cattive inclinazioni: lo stesso digiuno del Ramadan è una sorta di jihad personale. Maometto superò il carattere tribale della loro società organizzandolo intorno a un’autorità centrale che era temporale religiosa insieme. I ripetuti attacchi alle carovane che si muovevano tra la Mecca, la Siria e l’Egitto fornivano i mezzi di ma anche quelle che con esso erano in contatto. Il principale settore produttivo era quello agricolo, ma furono fondate nuove città e sia le vecchie che le nuove ebbero un notevole incremento demografico diventando sede di attività produttive e commerciali nonché di vita intellettuale, dove allo sviluppo dell’artigianato si aggiunse quello del commercio. Da qui il ruolo egemone che sul piano economico e sociale acquisivano i negozianti e i grandi commercianti come vera e propria borghesia mercantile, dando anche impulso alle attività finanziarie bancarie. Il mondo arabo-musulmano rivelava al suo interno elementi di debolezza. In particolare, la concentrazione delle terre nelle mani di alti funzionari statali, capi militari ed esponenti della borghesia mercantile faceva sì che queste categorie godessero di privilegi fiscali a danno dei piccoli coltivatori che preferivano perciò cedere le loro terre ai grandi proprietari e mettersi sotto la loro protezione. Lo stesso grandioso sviluppo delle città era avvenuto a spese delle campagne con la conseguenza che queste si andavano spopolando, mentre nelle città si formavano gruppi sempre più consistenti di emarginati pronti a insorgere quando le loro condizioni di vita diventavano insostenibili. Il mondo agricolo nel suo complesso era alle prese con problemi drammatici come la mancanza di acqua e la scarsità di manodopera, ma ciò che mise in crisi l’impero abbaside fu l’insorgere di fortissime spinte autonomistiche alla base delle quali c’erano motivazioni di carattere etnico e religioso, ma anche ambizioni dei governatori locali e rivalità all’interno della dinastia regnante. All’inizio del 10° secolo il titolo di califfo fu rivendicato sia dalla dinastia dei Fatimiti, i quali avevano acquisito il controllo di gran parte dell’Africa del nord, della Siria e della Palestina, sia dall’emiro di Cordova che era discendente dell’unico superstite della famiglia Omayyade sfuggito al massacro da parte degli Abbasidi che si rifugiò in Spagna dove venne proclamato emiro dalle truppe siriane. La Spagna musulmana, grazie ad una politica di piena tolleranza nei riguardi dei cristiani ed ebrei e grazie alla capacità degli emiri, raggiunse in poco tempo una grande prosperità economica a tal punto che alla fine del 10° secolo la capitale Cordova poteva rivaleggiare con Baghdad, non solo come centro di traffici commerciali, ma anche sul piano artistico e letterario. Fu realizzata anche una politica espansionistica ai danni dei cristiani del nord ai quali fu tolto Santiago di Compostela che era un famoso santuario meta di pellegrinaggi. Però, il ritorno dei cristiani e l’esplodere di conflitti interni, misero il califfato Omayyade in crisi frantumandolo in una serie di piccoli stati. In Egitto, la dinastia dei Fatimiti creò un califfato autonomo estendendo il loro dominio su tutto il Maghreb e la Sicilia. Al successo politico si accompagnò un grande slancio economico grazie al ruolo che l’Egitto svolse nel commercio tra l’oceano Indiano ed il Mediterraneo. Alla prosperità del paese contribuirono anche cristiani, ma soprattutto gli ebrei che godettero di piena libertà di culto e potettero svolgere indisturbati le loro attività, grazie alle quali il Cairo divenne il più grande centro commerciale dell’epoca. La Sicilia fu un territorio nel quale gli arabi operarono incursioni dal 625 partendo dalla costa africana. Dopo lo sbarco a Mazzara e lo scontro con i bizantini nei pressi di Corleone, l’esercito invasore formato da arabi, Berberi e andalusi si diresse verso Siracusa, capoluogo dell’isola che oppose una resistenza destinata a protrarsi per mezzo secolo. Nel frattempo, cadde anche Palermo, centro di secondaria importanza che in poco tempo sarebbe diventata una delle grandi metropoli dell’Islam. Così, l’isola conobbe per circa un secolo, un periodo di floridezza e benessere. Palermo era divisa in 5 quartieri ed era ricca di splendidi edifici sacri e profani il cui centro di attività commerciali e artigianali era intenso nei quartieri in cui si concentravano i negozi e il mercato. La ricchezza di sorgenti di acque correnti consentì nelle zone circostanti anche lo sviluppo dell’agricoltura più avanzata del tempo. Così, crebbe la produzione di grano, frutta, ortaggi, cotone, canapa e prodotti tipici dell’agricoltura siciliana che alimentarono una forte esportazione sia verso l’Africa sia verso il mondo cristiano e furono introdotte anche nuove culture come quelle degli agrumi, dei gelsi, della palma da dattero e del papiro. Molto richieste erano anche le stoffe pregiate tra cui il lino e la seta nonché i prodotti dell’industria mineraria come oro, argento, ferro, piombo, mercurio e zolfo presenti soprattutto nella zona dell’Etna. La Sicilia non era fiorente solo di traffici e attività produttive, ma anche di studi di diritto e di interpretazione del Corano, filologia, storiografia e poesia che era stata assai praticata nel mondo arabo già in passato. L’espansione dell’Islam non creò una frattura nella storia del Mediterraneo perché anche nei momenti più drammatici continuarono i contatti diplomatici e gli scambi culturali. Infatti, la civiltà araba è stata capace di coinvolgere cultura e civiltà lontanissime tra di loro. Parte II Cap. 6 – Economia e società nell’Alto Medioevo Tra 6° e 8° secolo l’Occidente fu colpito da una grave decadenza, i cui segni erano visibili nella scomparsa graduale della città, la cui estensione viene fortemente ridotta perché gli abitanti ne occupano solo un’area ristretta, quella più difendibile. L’abbandono di città e villaggi significa regresso nell’organizzazione del territorio e quindi, peggioramento delle condizioni ambientali, a differenza delle terre lasciate incolte che aumentano. Il bosco aveva una grande importanza nella vita della popolazione dell’alto medioevo che andava al di là dell’ambito economico e materiale. Nelle foreste si praticava la caccia e si raccoglievano i frutti, la legna per il riscaldamento, per la fabbricazione degli attrezzi agricoli e per la costruzione delle case oppure per la costruzione di barche e navi. Alle guerre e devastazioni si aggiungevano grandi epidemie di peste, vaiolo, tubercolosi e malaria, facendo così abbassare l’indice della natalità. Il calo demografico aveva conseguenze immediate sull’economia e sul paesaggio agrario, infatti il livello di produttività era assai basso a causa del carattere rudimentale degli attrezzi agricoli e alla perdita di buona parte di quelle conoscenze tecniche assimilate nell’età romana. La crisi dell’artigianato cittadino e la scarsa disponibilità di denaro da parte dei contadini, facevano sì che questi cercassero di produrre da soli gli utensili e quei prodotti che non erano in grado di comprare al mercato. Intorno al villaggio composto da tre zone concentriche, c’era una prima fascia di terre coltivate a orti e vigneti e al di là di questa, c’era un’ampia zona coltivata a cereali dove dopo il raccolto, gli animali di tutti gli abitanti del villaggio potevano liberamente pascolare. Alla fine, si aveva la fascia dei prati, dei boschi e dell’incolto in genere, ugualmente accessibili a tutti per il pascolo, la pesca, la caccia e la raccolta di legna e frutti. La bassa produttività impediva di accumulare le risorse utili per dotarsi di attrezzi meno rudimentali e di animali da utilizzare sia per la produzione di concime, sia per il lavoro dei campi. In mancanza di buoi e cavalli, erano capre, pecore e maiali, la normale dotazione della famiglia contadina, ma non fornivano concime perché erano tutti tenuti allo stato brado. La scarsità di concime animale era compensata con tecniche alternative come il sovescio cioè l’interramento di parte delle piante o il debbio cioè l’incendio delle stoppie, ma il sistema più usato, l’unico che veramente consentisse di non impoverire troppo il terreno e di farlo continuare a produrre, era il maggese cioè il riposo dopo ogni raccolto il cui nome deriva da maggio, il periodo in cui il campo lasciato a riposo si ricopriva di erba. Il riposo durava un anno (rotazione biennale) ed il terreno era diviso in due parti: ogni anno una metà era coltivata e l’altra stava riposo, l’anno dopo avveniva il contrario. Il contadino in genere non era proprietario della terra che coltivava e a volte neanche degli animali che allevava. In queste condizioni, l’importante non era tanto avere abbondanza di beni quanto piuttosto di uomini, una merce che con il calo demografico era sempre più preziosa. Da qui la tendenza di accasare parte degli schiavi cioè dotarli di un pezzo di terra e di una casa in modo che potessero provvedere al loro mantenimento e a quello delle loro famiglie. Al padrone erano tenuti a corrispondere una parte del raccolto e un certo numero di giornate lavorative o corvées in determinati periodi dell’anno, oltre a prestazioni in natura (per lo più polli, uova, oggetti di artigianato domestico) a Natale, a Pasqua e in occasione di altre festività. I coltivatori di condizione libera erano privi di terra e gli si richiedeva una quota minore di raccolto e un numero non alto di giornate lavorative. A questi coloni liberi si andavano affiancando quei piccoli proprietari delle aree circostanti che non trovando protezione nei funzionari pubblici, finivano inevitabilmente per chiederla ai grandi proprietari fondiari della zona. Questi, infatti, avevano abbandonato le città esposte alle scorrerie degli invasori e si erano costruite nelle loro terre, residenze fortificate difese dei loro servi e dal seguito armato che erano riusciti a procurarsi. Preferivano perciò donare o vendere al grande proprietario le loro terre e diventare suoi coloni, riprendendo spesso in affitto le stesse terre cedute: in questo modo si gravavano del pagamento di un canone (in natura, in denaro o misto), ma si legavano in qualche modo ad un potente, assicurandosene la protezione. Il risultato fu che le grandi proprietà si vennero articolando in terre date in concessione a coloni liberi o di condizione servile e terre gestite direttamente dal proprietario attraverso Carlo avviò un grande progetto espansionistico che lo portò a controllare un territorio molto vasto comprendente tutta l’Europa centrale, dalla Spagna al Mare del Nord fino all’Italia centrale e fondò la capitale ad Aquisgrana. A questa situazione si aggiungeva la debolezza del Papato retto da Papa Leone III che fortemente contestato da esponenti della nobiltà romana, era accusato di spergiuro e adulterio. La situazione degenerò quando il Papa fu aggredito, ferito e imprigionato nel monastero di Sant’Erasmo dal quale poté uscire solo grazie all’intervento di due franchi. Raggiunse Carlo in Germania e con il suo aiuto, fu riaccompagnato a Roma sotto scorta e dato che le accuse contro il pontefice erano gravi, fu convocata una grande assemblea davanti alla quale Leone III giurò sulla propria innocenza, ottenendo così la riabilitazione. Due giorni dopo, il pontefice pose sul capo di Carlo una corona. Così, Carlo divenne colui a cui spettava la difesa della cristianità occidentale dai pagani nonché la protezione e il controllo dell’apparato ecclesiastico, in modo da assicurare la diffusione della dottrina cattolica e il mantenimento della disciplina ecclesiastica; invece, al Papa sarebbe spettato soltanto il compito di pregare per assicurare la protezione divina sugli eserciti imperiali e sul popolo cristiano. Carlo mirò a creare distretti più o meno grandi, a capo dei quali pose funzionari pubblici con il titolo di conti, marchesi e duchi, ma laddove fosse necessario esercitare un più efficace controllo su popolazioni irrequiete si attingeva alla schiera dei vassalli diretti del Re. La loro opera era ricompensata con il prestigio e la potenza che la carica comportava, ma anche con i proventi di multe e confische, ma soprattutto con il reddito prodotto dai beni terrieri. Il risultato fu che nelle mani del funzionario pubblico veniva a concentrarsi un vasto patrimonio formato da terre che egli deteneva a titoli diversi: alcune come beni di famiglia chiamati allodi, altre come beneficio in quanto vassallo del Re e altre come compenso per la carica pubblica che ricopriva. Inoltre, con l’obiettivo di tenere sotto controllo i conti, i marchesi e i duchi vennero inseriti all’interno dei loro distretti, un gran numero di vassi dominici (i fedeli diretti del re). L’amministrazione dell’impero faceva capo al palatium cioè palazzo che indicava sia la residenza del sovrano, sia l’insieme dei funzionari e dei dignitari di corte che formavano il suo seguito. Tra questi, avevano un ruolo di primo piano 3 ufficiali, i più stretti consiglieri dell’imperatore:  l’arcicappellano, preposto a tutti gli affari di natura ecclesiastica  il cancelliere, addetto alla redazione di diplomi, lettere del Re e testi legislativi  il conte o più, responsabili dell’amministrazione della giustizia I missi dominici erano invece, ispettori che ogni anno (un laico e un ecclesiastico) avevano il compito di visitare una determinata contea, marca o ducato per controllare l’operato sia degli ecclesiastici, sia dei funzionari laici. I loro poteri erano assai ampi dato che rappresentavano l’imperatore al quale dovevano fare rapporto al loro ritorno. Carlo Magno cerco di dare omogeneità all’impero attraverso un’intensa attività legislativa di cui erano espressione i capitolari, leggi formate da brevi articoli (capitula) ed emanate nel corso di annuali assemblee dette placiti. Se ne tenevano in genere due all’anno: una a porte chiuse in ottobre alla quale partecipavano i principali consiglieri e gli esponenti dell’alta aristocrazia e nella quale si aveva uno scambio di idee sui problemi più importanti del momento; mentre l’altra, il placido generale a maggio con la partecipazione anche dei funzionari minori e di tutti i vassalli regi. Alcuni capitoli chiamati capitularia legibus addenda, si configuravano come integrazione alle leggi nazionali dei popoli che facevano parte dell’impero. Attraverso i capitolari si riportò un po’ di ordine anche nel settore fiscale e monetario, si regolamentarono la riscossione dei dazi e i pedaggi su strade, ponti e valichi in modo da non ostacolare ulteriormente gli scambi commerciali già poco fiorenti e data la scarsità dell’oro, si puntò sulla coniazione di monete d’argento. Non pochi capitolari furono dedicati alla riforma della chiesa e dei monasteri per estenderla a tutto l’impero. Il motivo non era solo di carattere religioso, ma anche politico. Infatti, si andava elaborando la concezione di un impero coincidente con la comunità cristiana, e retto dall’imperatore e dal Papa. Non era un caso, perciò, che alla conquista di nuovi territori seguiva subito insieme all’opera dei missionari. La chiesa franca venne articolata in province, diocesi e pievi, mentre i monasteri, ai quali venivano preposti come abati e badesse esponenti delle stesse famiglie nobili che li fondavano, erano però ben presto decaduti e avevano perso ogni prestigio religioso. Altro fattore che aveva contribuito era la scarsa disciplina interna e la dispersione del patrimonio da parte di abbati che avevano più familiarità con le clientele militari e le pratiche di governo piuttosto che con i testi sacri e le funzioni liturgiche. Carlo Magno avviò perciò un’opera di restaurazione della disciplina monastica che fu attuata attraverso l’imposizione a tutti i monasteri della regola di San Benedetto fino ad allora non molto diffusa in Europa. Per attuare questo vasto progetto di riforma fu considerato indispensabile elevare il livello culturale di monaci e chierici, perciò furono istituite scuole presso le chiese cattedrali e monasteri, nelle quali oltre alle arti del trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, musica e astronomia) si insegnavano anche la teologia, il canto gregoriano e i canoni cioè le norme che regolavano la vita della chiesa. La Scuola Palatina non era una vera e propria scuola o un’accademia, ma piuttosto un cenacolo di uomini di varia cultura. Cap. 8 – La crisi dell’ordinamento carolingio e lo sviluppo dei rapporti feudali Il problema più grave era quello della successione, per la quale il sovrano mostrò di volersi attenere alla tradizione franca. Infatti, divise i suoi domini tra i tre figli, Carlo, Ludovico il Pio e a Pipino rinviando a un altro momento la designazione del successore al trono imperiale. La morte prematura di Carlo e Pipino, fece sì che Ludovico raccogliesse l’intera eredità paterna, compreso il titolo imperiale. Voleva attuare una compenetrazione più stretta tra stato e chiesa accomunati nell’unica finalità di guidare la comunità cristiana verso la salvezza eterna e una delle sue prime preoccupazioni fu quella di risolvere proprio il problema della successione. Così, emanò una costituzione (Ordinatio Imperi) con la quale proclamò l’indivisibilità dell’impero che veniva destinato al primogenito Lotario, mentre agli altri due figli, Pipino e Ludovico il Germanico, assegnava territori periferici. Lotario venne mandato in Italia e impose alla sede pontificia la famosa Constitutio Romana con la quale si stabiliva che il Papa eletto dal clero e dal popolo romano avrebbe dovuto prestare giuramento di fedeltà all’imperatore prima di essere consacrato cioè prima di prendere possesso della carica. La situazione precipitò con la morte di Ludovico il Pio, per cui si giunse allo scontro frontale tra Lotario e i fratelli Ludovico il Germanico e Carlo il Calvo che successe a Pipino. Il Trattato di Verdun che Lotario fu costretto ad accettare sancì la definitiva divisione dell’impero. Lotario conservava il titolo imperiale e una teorica superiorità sui regni dei fratelli, ma in realtà al di fuori dei suoi domini non aveva alcun potere effettivo. Gli successe il figlio Ludovico II e alla sua morte lo zio Carlo il Calvo conseguì con il dominio dell’Italia, anche la corona imperiale. L’esaurirsi della discendenza diretta di Carlo il Calvo permise a Carlo il Grosso, figlio di Ludovico il Germanico, di riunire tutta l’eredità di Carlo Magno fino a quando fu costretto ad abdicare e a ritirarsi in un monastero dove morì. Nella parte orientale (Germania) venne elevato al trono Arnolfo di Carinzia, in Francia Re Oddone e in Italia Berengario, un marchese del Friuli. Nel frattempo, fecero irruzione gli Ungari provenienti dalle steppe della Russia centrale che si stanziarono nell’attuale Ungheria da cui partivano ogni anno per compiere incursioni nell’Europa carolingia. L’unico modo per fermarli era con l’offerta di grossi tributi in denaro o attraverso il dirottamento verso territori nemici. A farne le spese furono soprattutto i monasteri ricchi di oggetti preziosi e i centri abitativi privi di adeguate difese, a differenza delle città maggiori che riuscirono a resistere meglio. A mettere fine alle loro scorrerie contribuirono due fattori: da un lato la riorganizzazione del regno della Germania ad opera della nuova dinastia di Sassonia il cui maggior esponente Ottone I sconfisse gli ungari definitivamente; dall’altro la conversione al cristianesimo che mise fine alle loro invasioni. I musulmani non misero fine ai loro attacchi in Occidente. Soprattutto l’Italia fu investita dal pericolo dei Saraceni e oltre che oggetti di valore, andavano alla ricerca anche di giovani e donne che poi rivendevano come schiavi nei mercati del mondo arabo. Le regioni dell’Europa risparmiata dalle incursioni di Ungari e Saraceni furono investite dai Normanni (uomini del nord) o Vichinghi (pirati). Città e monasteri venivano assaliti e saccheggiati se non versavano grossi tributi in denaro e lo fece anche l’imperatore Carlo il Grosso per salvare Parigi. I suoi successori come Carlo il Semplice tentò di renderli sedentari concedendo in feudo al loro capo Rollone l’attuale Normandia, riuscendo a renderli più sedentari. Le relazioni di vassallaggio furono coinvolte nella crisi generale. In origine, infatti, l’elemento più importante era il vassallaggio cioè la fedeltà che il vassallo giurava al suo signore da cui aveva ricevuto ospitalità in casa e addestramento alle armi. Solo successivamente, la fedeltà veniva ricompensata con un feudo che diventava a sua volta impegno per i futuri servizi. Ora invece il rapporto appariva capovolto: il feudo cioè la terra, diventava l’elemento decisivo per cui si entrava nel vassallaggio di qualcuno, per ricevere quel determinato feudo. La fedeltà che originariamente era considerata più vincolante degli stessi legami di parentela (per cui un vassallo avrebbe dovuto seguire il suo signore anche contro suo padre), finì così con l’essere commisurata al feudo ed era più o meno grande a seconda dell’entità del feudo. Si giunse anzi al paradosso della pluralità degli omaggi: un cavaliere prestava l’omaggio e il connesso giuramento di fedeltà a più signori ricevendo un feudo da A Roma l’aristocrazia romana era giunta al punto di uccidere diversi papi che si susseguirono sul soglio pontificio. In Germania cresceva lo scontento per la scarsa considerazione nei confronti dei problemi del paese; in Italia i grandi feudatari abituati ad essere praticamente indipendenti non gradivano che il loro Re e imperatore avesse preso stabile residenza e per lo stesso motivo ancora più scontenta era l’aristocrazia romana che si vedeva privata della tradizionale influenza sul Papato. Il risultato fu una sollevazione di feudatari italiani capeggiati dal marchese Arduino d’Ivrea alla quale seguì quella dei romani che costrinse Ottone III a lasciare la città, morendo in seguito senza eredi diretti. Gli successe il cugino Enrico II che si concentrò sulla Germania, alle prese con il desiderio d’indipendenza dell’aristocrazia. In Italia la sua lontananza aveva favorito i progetti dell’aristocrazia che non voleva legami definitivi né con il Regno d’Italia né con quello della Germania. Così, Arduino d’Ivrea venne incoronato Re e fu considerato il primo Re nazionale, anche se in realtà i grandi del regno si divisero tutto sulla base dei loro interessi. Enrico sconfisse Arduino e ottenne la corona del Re d’Italia. Gli imperatori tedeschi avevano difficoltà a rendere effettivo il loro potere in Italia perché bastava che si allontanassero dalla penisola per fare emergere prepotentemente le tendenze dell’aristocrazia locale. Con il nuovo imperatore Corrado II la situazione cambiò perché giunto in Italia puntò sull’indebolimento della nobiltà maggiore, schierandosi dalla parte dei valvassori ed emanando in loro favore la Constitutio de Feudis con la quale assicurava l’ereditarietà ai feudi minori e il ricorso al tribunale imperiale contro gli abusi dei grandi. Cap. 10 – Splendore e declino di Bisanzio In questo periodo ci fu una controversia iconoclasta cioè la lotta contro il culto delle icone. Erano per lo più prodotte nei monasteri in cui erano raffigurate le immagini sacre (il Cristo, la Vergine o i santi). Il movimento partì dalle province orientali dell’impero che erano maggiormente influenzate dall’islamismo e dal giudaismo, più sensibili alle accuse di idolatria che musulmani ed ebrei rivolgevano ai cristiani, essendo sin da sempre contrari alla raffigurazione della divinità sotto sembianze umane. Il movimento raggiunse la corte quando salì al trono Leone III che proibì il culto di tutte le immagini sia quelle riprodotte su tavole di legno, sia quelle presenti in affreschi e mosaici, ordinandone la distruzione nonostante l’opposizione di Papa Gregorio III che lo scomunicò insieme ai suoi sostenitori. Il figlio Costantino V proseguì con decisione maggiore la politica del padre colpendo duramente i monaci ribelli di cui furono ridotte sia le ricchezze sia la grande influenza sociale. Il settimo concilio ecumenico di Nicea (l’ultimo riconosciuto come tale da tutta la cristianità) condannò l’iconoclasmo come eresia, in un periodo in cui il trono era occupato da Irene, madre e assassina di Costantino VI. La deposizione dell’imperatrice portò sul trono Michele I il cui successore fu Leone V con cui si ebbe un ritorno alla corrente iconoclasta nel periodo chiamato secondo iconoclasmo. La contesa sarà chiusa solo dall’imperatore Michele III che rifacendosi ad uno dei concili di Nicea consentì il culto delle immagini. L’imperatore era un vero e proprio rappresentante di Dio sulla terra, capo dell’esercito e dell’amministrazione, garante della giustizia e della pace ed era anche il difensore della chiesa e della vera fede. Un ecclesiastico di notevole cultura fu Fozio che cercò di contrastare la tendenza del potere imperiale a imporsi anche sulla chiesa (cesaropapismo) teorizzando l’equivalenza dei due poteri, ma senza riuscirci. L’imperatore era interessato a combattere ogni movimento eretico per preservare l’unità religiosa dello stato creando un legame strettissimo tra stato e chiesa. Il fronte settentrionale era attaccato dai Russi e la stessa Costantinopoli dovette affrontare i loro attacchi navali, così come un violento assedio da parte di Simeone Re dei Bulgari che aveva assunto il titolo di zar e voleva annettere l’intero impero per dar vita a un grande stato bulgaro-bizantino. Vennero sconfitti da una rete di alleanze che lo costrinsero a rinunciare ai suoi progetti e ad accontentandosi del titolo di basileus dei Bulgari. Un grande conflitto scoppiò per il controllo della chiesa bulgara. Il seggio patriarcale di Costantinopoli era occupato da Fozio che non era riconosciuto da Papa Niccolò I. Dopo un violento scambio di lettere tra i due, Fozio lo fece scomunicare da un concilio riunito a Costantinopoli che deliberò anche a proposito della sottomissione della chiesa bulgara all’autorità del patriarca di Bisanzio. Però l’imperatore Basilio I che non voleva rompere con il Papato, arrivò ad un compromesso sacrificando Fozio e salvaguardando gli interessi della chiesa costantinopolitana. Altri problemi si aggiunsero nel corso degli anni come la questione del matrimonio dei preti che non era consentito in Occidente e l’uso del pane lievitato nella celebrazione della carestia proibito invece dalla chiesa bizantina. La situazione esplose quando a Roma c’era Papa Leone IX, mentre a Costantinopoli c’era patriarca Michele Cerulario oppositore del Papa. Dato che l’imperatore Costantino X era interessato a non far precipitare la situazione, fu inviata da Roma una delegazione per tentare di appianare i contrasti, ma nonostante i tentativi di conciliazione dell’imperatore i delegati Papali deposero sull’altare della chiesa di S. Sofia la bolla di scomunica del Cerulario che fece lo stesso nei loro confronti. Sul piano economico le attività produttive e commerciali apparivano in piena ripresa e la moneta bizantina era forte sui mercati internazionali. Costantinopoli era allora il più importante centro commerciale e produttivo del Mediterraneo ed era noto in tutto il mondo per la produzione di stoffe sete. Tutti i mestieri erano organizzati in corporazioni che operavano sotto il controllo delle autorità statali, infatti erano queste a regolare i prezzi e le modalità di vendita e acquisto dei prodotti. Le città e Costantinopoli erano anche sede di un’intensa attività artistica e culturale che vedeva impegnati gli stessi imperatori. Proprio quando il prestigio politico culturale di Bisanzio era al culmine, apparvero segni di un rapido declino. Cominciarono mezzo secolo di lotte per il potere tra la nobiltà della capitale e l’aristocrazia fondiaria delle province. La vittoria di quest’ultima portò alla fine del sostegno della proprietà contadina e alla concessione di ampi privilegi ai signori fondiari esentati anche dal pagamento delle tasse. Tutto questo mentre aumentava di nuovo la pressione sulle frontiere ed era necessario trovare i mezzi per arruolare truppe mercenarie. Il pericolo maggiore erano i Normanni dell’Italia meridionale che dopo aver espulso i Bizantini dall’Italia, puntarono alla conquista di Costantinopoli dove l’imperatore Alessio Comneno chiese aiuto a Venezia che sconfisse i Normanni via mare. In compenso per il suo intervento si fece concedere attraverso una crisobolla cioè un diploma imperiale, ampli privilegi. In base a questi di Venezia poteva commerciare liberamente in tutte le città dell’impero compresa Costantinopoli, senza pagare i dazi e altre tasse. Il risultato fu che in breve tempo divennero arbitri della vita economica dell’impero risucchiando la maggior parte delle sue risorse finanziarie e con l’aumento della pressione fiscale che non contribuiva a migliorare i conti pubblici, i contadini preferivano cedere loro terre ai signori e mettersi sotto la loro protezione. Parte III Cap. 11 – Incremento demografico e progressi dell’agricoltura nell’Europa dei secoli XI-XIII Agli inizi del nuovo millennio la popolazione era di nuovo in aumento e questo portò alla formazione di nuovi villaggi e ad un ampliamento delle terre messe a coltura attraverso opere di dissodamento, disboscamento e bonifica. Le città si ripopolano e diventano centri di scambio e di attività produttive. Salgono i prezzi dei prodotti agricoli e le famiglie nobili risultano formate da un numero maggiore di membri. Non si avevano più spostamenti di popolazioni e attraverso un contratto tra il proprietario terriero e il coltivatore si avviò una grande opera di dissodamento. Il proprietario concedeva la terra e materiali vari per consentire di avviare l’attività produttiva, chiedendo in cambio il pagamento di un canone in natura solo a partire dal momento in cui la terra avrebbe cominciato a produrre. Ci fu un grande impegno dei signori laici nella valorizzazione di zone completamente disabitate, nelle quali si cercava di attirare i coloni per valorizzarle e per accrescere il numero di uomini soggetti alla loro giurisdizione. Questo faceva sì che gruppi consistenti di contadini lasciassero la loro terra di origine per dare vita a nuovi villaggi chiamati villenuove o borghi franchi. Nacquero anche nuovi ordini monastici come i cistercensi e i certosini la cui vita monastica desiderava riscoprire la regola benedettina, infatti insofferenti alla ricchezza e al potere conseguito dalle grandi abbazie del tempo, cercarono soprattutto la solitudine e la povertà rifugiandosi nel cuore della foresta e in territori spopolati, dove erano costretti a provvedere direttamente al proprio sostentamento. I lavori più pesanti furono lasciati ai monaci che restavano allo stato laico e intorno ai nuovi monasteri nacquero villaggi di contadini desiderosi di iniziare una nuova vita sotto la guida e la protezione dei monaci. attività mercantili senza muoversi dalle loro città. Alla commenda si affiancò la societas maris che si differenziava dalla prima perché la società era stipulata non più per un solo viaggio, ma per un determinato periodo e per molteplici operazioni commerciali. Società di questo tipo prendevano il nome della famiglia che ne deteneva l’intero capitale o la quota maggiore. In questo modo le compagnie vennero a svolgere anche una vera e propria attività bancaria accettando depositi e facendo prestiti sia a privati che a sovrani o pontefici. In genere i prestiti ai sovrani venivano fatti non tanto per lucrare interessi, quanto piuttosto per ricevere facilitazioni commerciali come esenzione dai dazi, tariffe doganali più basse o permessi per esportare determinati alimenti. Con il passare del tempo anche il denaro in circolazione variò notevolmente, sia per il peso che per il valore dell’argento contenuto nello stesso. Monete così scadenti potevano andar bene per i piccoli traffici locali, ma non per quelle a carattere internazionale per i quali si usavano abitualmente monete d’oro arabe o bizantine. Quando però anche queste cominciano a perdere prestigio, i mercanti si dovettero porre il problema di dotarsi di una moneta stabile e capace di circolare dappertutto. L’iniziativa fu presa da Venezia che coniò il grosso d’argento, seguito poi da altre città italiane. Fornai, macellai, fabbri ferrai, legnami e calzolai stavano incrementando man mano che la popolazione cresceva e i contadini trovavano sempre più conveniente acquistare attrezzi sul mercato cittadino utilizzando il denaro ricavato dalla vendita dei loro prodotti. Quando si cominciò a lavorare per un mercato più ampio era necessario disporre di grandi quantità di materie prime e di attrezzi più costosi, quindi fu inevitabile il passaggio ad una diversa organizzazione. Così, il ruolo del mercante assunse anche il ruolo dell’imprenditore e le varie operazioni furono divise tra un gran numero di botteghe artigiane e lavoranti a domicilio che erano in collegamento tra di loro attraverso gli agenti del mercante. Ad esempio, nel caso della lana venivano consegnate le balle a determinate botteghe per il lavaggio, la cernita e la battitura; poi veniva ritirato il prodotto per passarlo ad altre botteghe dove si compivano le operazioni successive e così via di seguito e alla fine il prodotto arrivava nelle mani del mercante imprenditore che lo metteva sul mercato. Un altro settore produttivo era la lavorazione dei metalli per la produzione di armi e attrezzi di vario genere. Un settore completamente nuovo e di fondamentale importanza per la civiltà europea fu quello della fabbricazione della carta inventata in Cina e trasmessa in Occidente dagli arabi. Il primo centro di produzione italiano fu Fabriano per poi diffondersi anche in Francia, Germania, Inghilterra e Polonia. In qualsiasi settore l’unità produttiva di base era costituita dalla bottega artigiana nella quale accanto al titolare (cioè maestro), in posizione subordinata lavoravano i suoi familiari, uno o più collaboratori stabili, almeno un paio di apprendisti e salariati assunti in genere in determinati periodi o per lavori occasionali. Gli apprendisti vivevano stabilmente nella casa del maestro, il quale si impegnava attraverso un contratto scritto, a trasmettere i loro segreti del mestiere nell’arco di un certo numero di anni. Però non tutti, una volta finito il periodo di apprendistato, avevano i mezzi per mettersi in proprio. Molti passavano nella categoria dei salariati al servizio degli stessi maestri da cui avevano imparato il mestiere. Questo tipo di organizzazione venne chiamata corporazioni di arti e mestieri e nel caso di controversie con i datori di lavoro ci si rivolgeva al tribunale delle corporazioni. La novità più importante fu l’utilizzo dell’energia idraulica in diversi settori. Vennero costruiti mulini che azionavano le macchine a martello per la follatura dei panni che venivano battuti per renderli più morbidi e compatti, ma in seguito furono usati anche per la lavorazione del ferro e per la produzione della carta o per segare il legname. Cap. 13 – Lo sviluppo dei centri urbani e le origini della borghesia Le città furono una componente fondamentale della storia europea e decisivo fu il ruolo dei vescovi la cui presenza in città faceva sì che questa continuasse ad essere il punto di riferimento delle popolazioni contadine dei dintorni, dato che l’organizzazione ecclesiastica delle campagne faceva capo alla chiesa cittadina. Inoltre, le città prive di cinta muraria erano strettamente collegate con le campagne circostanti presentandosi come conglomerati di città e campagna. Ruolo importante era quello delle città marinare dell’Italia centro settentrionale: Venezia, Genova e Pisa. Venezia aveva ormai una flotta da guerra con la quale i suoi mercanti avevano contatti con diversi paesi dove asportavano le donne slave destinate agli harem dei sultani arabi. Pisa e Genova grazie alla loro posizione favorevole riuscivano a trarre vantaggio dagli scambi tra l’Europa continentale e i paesi del Mediterraneo. Il loro primo obiettivo fu quello di liberare il Tirreno dalla presenza dei pirati Saraceni che dopo aver assalito più volte le due città, si ritrovarono a doverne subire il contrattacco. Genovesi e pisani cacciarono i Saraceni dalla Sardegna che passò sotto il controllo di Pisa che preparò nuove incursioni in Sicilia e Tunisia, mentre i genovesi si diressero verso la Spagna meridionale. Il Tirreno cominciava a diventare piccolo per le città marinare italiane, la cui concorrenza diventava sempre più aspra, così Pisa eliminò Amalfi saccheggiandola, ma in seguito dovette cedere il campo a Genova che si confrontò con Venezia. Nacquero nuove città per due motivi: o per decisione di un signore feudale che prese l’iniziativa di fondare un centro nei pressi di un luogo di mercato per attirare i mercanti e artigiani oppure attraverso un gruppo di mercanti che crearono un proprio insediamento nei pressi di un castello di una piccola città fortificata riceverne protezione. Il borgo attrasse altri mercanti, artigiani, venditori ambulanti e crebbe ben presto in estensione e in floridezza economica e finì con il prevalere sul nucleo originale, fino a che è un’unica cinta muraria non inglobò entrambe, sanzionando la nascita della nuova città. Nota: alcune città della Germania settentrionale diedero vita ad una lega potente sul piano economico e militare chiamata la Lega Anseatica per garantirsi il monopolio dei traffici nelle zone di loro interesse, infatti il suo nome viene dalle hanse che erano le compagnie in cui si riunivano i mercanti tedeschi quando dovevano affrontare lunghi viaggi. Il medioevo occidentale non conobbe il fenomeno belle megalopoli, infatti le aree urbane più intense erano così per il numero di città e non per la loro grandezza e il massimo delle loro popolazioni raggiungeva i 100.000 abitanti. La crescita delle città europee fu resa possibile non dall’aumento della popolazione, ma piuttosto dalla massiccia immigrazione di abitanti delle campagne spinti dal desiderio di sfruttare le opportunità di lavoro che fornivano le nascenti industrie cittadine, come quella tessile. Altri si recavano in città per avere un tenore di vita meno precario, ma anche per avere maggiore libertà personale con la possibilità di sottrarsi alla giustizia del signore e attingere ai tribunali pubblici. Gli statuti di diverse città prevedevano che chi fosse riuscito a risiedere in città per un anno e un giorno senza che nessuno reclamasse diritti su di lui poteva rimanere in condizioni di piena libertà. La popolazione urbana era consapevole della propria diversità rispetto agli abitanti delle campagne soggetti ai signori feudali e diverso era anche il tipo di attività lavorativa che svolgevano i cittadini borghesi. Si veniva delineando una società più ricca e articolata nella quale gli uomini occupati nella preghiera, nell’esercizio delle armi e nel lavoro della terra costituivano una schiacciante maggioranza, anche se crescevano di pari importanza anche coloro che erano impegnati nel commercio, nel credito e nelle manifatture. La nuova società europea era basata sulla divisione in tre ordini intesi come gruppi sociali: coloro che pregavano e predicavano (oratores); coloro che combattevano per la difesa delle chiese e del popolo (bellatores); i rustici che lavoravano la terra per sé e per gli altri (laboratores). Comunque, non c’era una netta separazione tra città e mondo rurale, infatti, non erano solo i contadini a recarsi in città per vendere i loro prodotti e fare acquisti al mercato, ma erano anche i cittadini ad avere interessi nelle campagne circostanti dove possedevano ville e terreni che cercavano di valorizzare al massimo. Il movimento comunale nacque dall’iniziativa dei cittadini che sotto la guida di personaggi eminenti per ricchezza e prestigio sociale, stipularono tra di loro giuramenti di pace, prima per mantenere la concordia all’interno della città e poi anche per limitare gli arbitri dei signori. In genere si avviavano con questi ultimi delle trattative per avere la concessione di una carta di comune (cioè l’autorizzazione a fare il comune) e queste trattative giungevano in porto quando i comuni erano in grado di sborsare ingenti somme di denaro, ma quando le circostanze lo imponevano non si esitava a ricorrere alla rivolta armata. Cap. 14 – Il rinnovamento della vita religiosa e la riforma della chiesa La ripresa delle attività mercantili e artigianali e lo sviluppo della città si inquadravano in un più generale contesto di crescita della società europea che coinvolgeva anche altri campi. In ambito religioso si sentiva l’esigenza di un rinnovamento, così l’ordinamento ecclesiastico privato del sostegno del potere politico in seguito alla crisi depose e scomunicò anche l’imperatore. L’aristocrazia tedesca esplose più forte di prima, infatti i rivoltosi imposero ad Enrico di sottoporsi al giudizio del Papa convocando un’apposita assemblea. Papa Gregorio si mise in marcia per raggiungere la città tedesca e si fermò nel castello di Canossa; Enrico pensando che fosse troppo umiliante il giudizio Papale in una pubblica assemblea lasciò segretamente la Germania e si presentò a Canossa per implorare la soluzione della scomunica. Inizialmente il Papa rifiutò di riceverlo, ma dopo cedette e gli concesse il suo perdono. I principi tedeschi non desistettero ed elessero un nuovo Re Rodolfo di Svevia che però non riuscì ad imporsi, anzi l’imperatore si volse contro il Papa che rinnovò la scomunica. In quello stesso anno Enrico convocò due concili: il primo a Magonza dove fece deporre nuovamente Gregorio; il secondo a Bressanone dove fece eleggere Papa Clemente III. Approfittando del fatto che gli alleati del Papa erano impegnati altrove, arrivò a Roma che dopo un lungo assedio, fu presa mentre Gregorio si rinchiudeva a Castel Sant’Angelo. Qualche giorno dopo Enrico fece consacrare Papa Clemente III dal quale fu incoronato imperatore, per poi tornare in Germania. Successivamente, salì al trono pontificio Papa Urbano II che dopo aver deplorato le lotte tra i cristiani esortò chi era stato coinvolto, a fare un pellegrinaggio in Terra Santa come mezzo di purificazione dei peccati e anche come occasione per recare aiuto alla chiesa orientale minacciata dagli infedeli. Il suo lavoro fu particolarmente attivo nell’Italia meridionale dove bisognava fronteggiare i Normanni e l’influenza della chiesa greca. Suo successore fu Pasquale II. Cominciò a farsi strada la proposta di far rinunciare a vescovi e abati i beni e i poteri ricevuti dallo stato eliminando così il presupposto dell’intervento del potere politico dalla loro nomina. Questa soluzione venne accettata sia da Pasquale sia dal nuovo imperatore Enrico V (ultimo re d’Italia) che raggiunsero un accordo che suscitò una forte opposizione sia dal mondo imperiale che da quello ecclesiastico. Potere politico e potere religioso erano intrecciati tra di loro da molto tempo e non riuscivano più a concepire né uno stato privo del sostegno diretto di vescovi e abati né di una chiesa priva di beni fondiari e di poteri di comando sugli uomini. Il pontefice ormai in balìa dell’imperatore fu costretto ad incoronarlo e a concedere la facoltà di investire i vescovi con i simboli del potere spirituale cioè anello e pastorale. L’anno dopo un concilio nel Laterano annullò la concessione estorta con la forza al Papa ed Enrico V venne scomunicato. Con il nuovo pontefice Callisto II fu possibile passare alla stipula del famoso Concordato di Worms che era un compromesso, ma un successo per la chiesa perché affermava con chiarezza il principio della non ingerenza del potere politico nelle elezioni di vescovi e grandi abati che sarebbe dovuta avvenire sulla base delle leggi della chiesa: gli abati sarebbero stati eletti dalla comunità dei monaci e i vescovi dal clero e dal popolo della diocesi. L’intervento dell’imperatore sarebbe stato possibile in un secondo momento, per sola concessione dell’investitura dei poteri temporali. Il Concordato di Worms fu ratificato dal concilio lateranense del 1123, un’assemblea alla quale parteciparono circa 300 vescovi e abati di tutto l’Occidente e per questo considerata un concilio ecumenico universale (il primo che si svolgesse in Occidente). Venne potenziato l’apparato burocratico, soprattutto gli uffici di cancelleria e quelli finanziari. I primi dovettero far fronte a una produzione impressionante di documenti e di lettere che permettevano ai pontefici di mantenere i contatti non soltanto con vescovi, abati e chierici, ma anche con le autorità politiche. Dall’altra parte i ricorsi a Roma comportavano anche il pagamento di tasse varie e le principali erano: l’obolo di San Pietro versato dai regni i cui sovrani avevano ottenuto la corona dal pontefice; il censo pagato dai monasteri direttamente dipendenti da Roma e le offerte erogate dai vescovi in occasione della visita che erano tenuti a fare al Papa. Di tutte queste entrate venne fatto per la prima volta un elenco ufficiale noto come liber censuum. Strumento importantissimo per il governo pontificio fu anche l’istituto della legazione cioè rappresentanti chiamati legati inviati temporaneamente presso sovrani o enti ecclesiastici per trattare questioni particolari. I loro poteri erano assai ampi essendo essi rappresentanti del Papa a tutti gli effetti, quindi potevano decidere in merito a controversie, consacrare e deporre vescovi e presiedere a concili provinciali. Per le missioni più importanti i compiti del legato venivano svolti dai cardinali che formavano il collegio dei consiglieri e dei più diretti collaboratori del Papa, provenienti per lo più dall’aristocrazia di Roma e del Lazio. Erano sempre più numerose le questioni in cui il Papa si sentiva legittimato a far sentire la sua voce e questo scaturì una piena supremazia Papale in ambito ecclesiastico, ma anche sul piano politico chiamata ierocrazia che indica la supremazia del potere sacerdotale su quello secolare. Cap. 15 – Rinascita culturale e nuove esperienze religiose Nella metà del 11º secolo venne avviata una grande attività culturale soprattutto nell’Italia meridionale che era sempre a contatto con il mondo greco. Il paese in cui l’attività culturale era in piena ripresa in tutti i campi era la Francia dove fioriva lo studio non solo delle arti liberali divise tra arti del trivio e del quadrivio, ma anche della filosofia, della teologia e della poesia in latino e in volgare. I grandi monasteri avevano svolto un ruolo di grande rilievo perché in quel periodo si trascrissero opere di autori classici che altrimenti non sarebbero giunte fino a noi, anche se il loro lavoro contribuì solo in piccola parte il progresso della cultura perché il loro obiettivo era l’ascesa spirituale e non l’attività intellettuale. Dei veri e propri centri di vita intellettuale furono le cattedrali che erano ampiamente inserite nelle città; le scuole cattedrali erano sotto il controllo dei vescovi che rilasciavano agli insegnati una licenza, ma mancava un vero e proprio programma di studio e non erano previsti esami finali. Le università furono una creazione del 12º secolo. All’inizio erano solo semplici associazioni di studenti e professori che, come primo obiettivo, ebbero quello di fissare i programmi di studio, i compensi da dare ai professori e le modalità per sostenere gli esami e conseguire la laurea, cioè la licenza l’insegnamento. Il termine universitas indicava solo la struttura corporativa, mentre la didattica era indicata con il termine studium che era diviso in quattro facoltà ognuna delle quali era governata dall’assemblea dei maestri. C’erano quella delle arti (dove si insegnavano le arti del trivio e del quadrivio) e le tre facoltà superiori di diritto civile e canonico, medicina e teologia. I corsi si tenevano nelle case dei maestri o in sale affittate da loro dato che non esistevano edifici e aule universitarie, mentre le assemblee, gli esami e le dispute si svolgevano invece nelle chiese e nei conventi. L’insegnamento era basato fondamentalmente sulla lezione e sulla disputa: la prima consisteva nella lettura e nel commento delle opere degli autori considerati fondamentali per una determinata disciplina; le dispute si svolgevano dopo che il maestro sceglieva un tema e dava l’incarico ad un suo assistente di presentarlo agli studenti di rispondere alle loro obiezioni. Il giorno dopo faceva la sintesi della discussione ed esponeva la sua tesi al riguardo. Oltre questa disputa ce n’erano altre che ogni maestro era tenuto ad organizzare una o due volte l’anno alla presenza di tutti i membri della facoltà. Erano dispute su qualsiasi argomento per il per cui il maestro e i suoi assistenti dovevano essere pronti a rispondere alle domande del pubblico; il giorno dopo il maestro faceva la sintesi e precisava il suo pensiero. Alle lezioni e alle dispute si aggiungevano anche delle esercitazioni pratiche nonché ripetizioni scritte e orali per verificare l’apprendimento degli allievi, soprattutto nelle facoltà delle arti. Al termine degli studi gli studenti conseguivano dei titoli e alcuni diventavano maestri a loro volta, mentre altri facevano carriera all’interno dell’organizzazione ecclesiastica. Dopo circa 6 anni di studio nella facoltà delle arti, lo studente veniva ammesso all’esame per conseguire il baccalaureato cioè il titolo di baccelliere che lo abilitava a fare l’assistente del suo maestro. L’esame si svolgeva davanti a una commissione di 4 maestri che verificavano la sua capacità di tenere una lezione e una sintesi. Dopo oltre due anni di studio si presentava di nuovo davanti alla commissione esaminatrice che se lo trova idoneo, lo presentava al cancelliere che gli conferiva la licenza. Se invece voleva diventare maestro o dottore nelle arti doveva sottoporsi (non prima dei 21 anni) a due dispute con i baccellieri e i maestri della facoltà alla presenza del cancelliere arcivescovile, dalle cui mani riceveva alla fine il titolo. Dopo gli studi nella facoltà delle arti passavano in una di quelle superiori per le quali erano previsti da 6 a 8 anni di studio per diritto e medicina, 15 per la teologia. La nascita dell’università contribuì a modificare radicalmente le condizioni in cui erano stati prodotti libri fino ad allora. Questi diventarono un oggetto raro, di lusso quindi molto costoso ed erano esclusivamente prodotti negli scriptoria dei monasteri; richiedevano mesi, a volte anni di lavoro perché all’opera degli amanuensi si affiancava quella dei miniatori che trasformavano i libri in vere e proprie opere d’arte. Nell’ambito dell’insegnamento universitario era invece necessario disporre molte copie della stessa opera, libri maneggevoli e poco costosi, sui quali poter fare delle annotazioni durante la lettura e il commento del maestro. Venne così introdotto il e nei giorni precedenti, quindi teoricamente si poteva combattere solo un paio di giorni la settimana. La nobiltà godeva di molti privilegi: erano esentati dal pagamento delle imposte per la terra che possedevano dato che erano il corrispettivo delle funzioni militari e politiche che svolgevano, erano sottratti alla giustizia dei signori perché avevano diritto ad essere giudicati solo dai tribunali di loro pari e potevano tramandare la loro condizione giuridica. Nell 11º secolo l’investitura venne trasformata in un rituale a carattere religioso. Infatti, in passato tutto si risolveva nella semplice consegna della spada benedetta dal sacerdote, mentre adesso il neocavaliere il giorno precedente all’ordinazione doveva sottoporsi a un bagno purificatore e passare l’intera nottata in chiesa per una veglia di preghiera. Ovviamente questo tipo di cerimoniale non fu spesso rispettato anche perché spesso l’investitura avveniva sul campo di battaglia. Nacque quindi una nuova ideologia cavalleresca tipica dei giovani cavalieri che vivevano una vita avventurosa attraverso giostre e tornei, con momenti amorosi e lettura di poesie e romanzi cavallereschi. Questa visione ideale cortese non può sostituire ovviamente il vero stile di vita dei cavalieri che era fortemente impregnato di violenza. Questo tipo di problematica venne risolta indirizzando l’aggressività fuori dalla cristianità, infatti con il concilio di Narbona del 1054 venne affermato che non era lecito versare sangue cristiano perché sarebbe stato come versare il sangue di Cristo stesso e che quindi l’azione dei cavalieri doveva essere impegnata nella lotta contro gli infedeli. Da qui si avviarono le crociate in Oriente, Spagna e Sicilia musulmana. I rapporti feudo-vassallatici subirono un rinnovamento. Nel 1037 l’imperatore Corrado II sancito l’ereditarietà dei feudi, così il feudo faceva parte del patrimonio del vassallo e non poteva più essere sottratto né a lui né ai suoi discendenti a meno che un tribunale di pari non lo avesse riconosciuto colpevole di fellonia cioè tradimento. Inoltre, nacque il feudo oblato cioè terre, fortezze e giurisdizioni tenute in allodio che il proprietario donava a un signore per riaverle in feudo dopo aver prestato omaggio. Il proprietario divenendo vassallo non aveva più delle terre in piena proprietà, ma erano concesse per servizi in favore del signore. L’aiuto militare quando richiesto, non poteva durare più di 40 giorni, passati i quali era il signore a dover provvedere al mantenimento del vassallo e del suo seguito. Un’altra novità erano i feudi per i quali i vassalli non dovevano prestare il servizio militare. Il vassallo si legava ad un signore potente che gli chiedeva di riconoscere in lui la fonte del suo potere, di non schierarsi dalla parte dei suoi nemici e di prestargli, quando non ne era esentato, un servizio militare non gravoso o in sostituzione una tassa. Il signore non acquisiva il dominio dei territori riconosciuti come feudo al vassallo, ma in compenso affermava su di essi la sua superiore autorità. In Italia le comunità cittadine non erano formate solo da mercanti e artigiani, ma anche da esponenti della piccola e media nobiltà, mentre le funzioni pubbliche erano svolte dal vescovo e dal conte. Il popolo stanco delle violenze dei grandi signori, spesso si sollevava in rivolta. Fu eletta una magistratura chiamata consolato che aveva 23 membri di cui 18 erano capitanei (valvassori) e 5 semplici cittadini, ma ne facevano parte anche esponenti del mondo mercantile a differenza del resto del popolo che era completamente escluso. La nascita del comune avvenne in ogni città in modo particolare e gli unici elementi che si trovarono uguali dappertutto erano gli organismi di governo, le modalità delle lezioni e la durata delle cariche. Gli organi di governo erano l’arengo cioè l’assemblea generale dei cittadini a cui spettava di decidere in merito ai problemi di interesse generale e il collegio dei consoli a cui spettava il potere esecutivo. I consoli restavano in carica per un periodo molto breve, 6 mesi o un anno per evitare l’affermarsi di regimi di tipo personale. Quando però nell’assemblea vennero ammessi tutti i capifamiglia della città, l’assemblea generale fu sostituita da due consigli: il consiglio maggiore con potere deliberativo e il consiglio minore che affiancava i consoli nell’esercizio delle loro funzioni. Enrico V non era riuscito ad assicurare la successione alla sua dinastia al trono di Germania, così alla sua morte i principi tedeschi ignorarono il suo candidato ed elessero Lotario di Supplimburgo della casata di Baviera. Alla sua morte, venne scelto Corrado III esponente della casa Hohenstaufen, così nacquero due schieramenti contribuendo ad indebolire ulteriormente il potere imperiale. La situazione cominciò a sbloccarsi nel 1152 quando i principi tedeschi elessero come nuovo Re di Germania Federico (Barbarossa), duca di Svevia. Il sovrano voleva dare forza all’autorità imperiale e come prima cosa indisse una dieta alla quale parteciparono anche i legati di Papa Anastasio IV. Il Re espresse la sua convinzione che potere politico e potere spirituale dovessero collaborare su un piano di parità e ribadì i suoi diritti in materia di elezione dei vescovi tedeschi, assicurando di voler garantire prestigio e potenza alla chiesa romana ottenendo in cambio la promessa del pontefice di incoronarlo imperatore a Roma. Il programma politico di Federico era:  disciplinare e coordinare tutti i poteri signorili esistenti  rinnovare il controllo sulla chiesa tedesca e sulle città imperiali della Germania  recuperare i diritti del potere regio cioè l’amministrazione della giustizia, difesa del territorio e la riscossione delle imposte Arrivato in Lombardia iniziò una dieta dove gli ambasciatori di Milano speravano di poter ottenere il riconoscimento dei diritti regi (regalie) con una grossa somma di denaro, ma Federico non solo rifiutò l’offerta, ma mise la città al bando privandola di tutte le regalie. Nota: i diritti regi erano il diritto di battere moneta, di nominare i magistrati, di imporre le tasse e i pedaggi, l’imposta sul commercio, sulla pesca, sulle saline, sulle miniere d’argento e di riscuotere le multe. Si trattava di diritti di cui i comuni si erano appropriati da tempo e che l’imperatore era anche disposto a lasciare loro a patto che versassero per gli stessi un tributo annuo e riconoscessero nell’impero la fonte di tutti i poteri. Emanò anche una costituzione sulla pace con la quale proibì le leghe tra le città e le guerre private. Stava cercando di avviare uno stato nel quale tutti i poteri derivassero dall’imperatore. Il risultato fu un grande movimento di opposizione di cui facevano parte comuni lombardi, veneti e Papa Alessandro III che fu costretto a fuggire in Francia. I comuni si allearono dando vita a delle leghe: il Veneto diede vita alla Lega Veronese, seguita dalla Lega Cremonese, così dalla loro fusione nacque la Lega Lombarda che Federico Barbarossa non riusciva a contrastare, così mentre tornava in Germania fu sconfitto nuovamente dall’esercito della lega. Raggiunse un accordo col pontefice impegnandosi a restituire i territori e le regalie della chiesa di Roma di cui si era impadronito. Papa Alessandro III a sua volta si impegnò a convalidare tutti gli atti di natura ecclesiastica compiuti in Germania e a fare da mediatore con i comuni che però non gradirono il suo voltafaccia e rifiutarono la mediazione. Nel 1183 venne stipulato un trattato di pace a Costanza che da un lato salvaguardava il principio secondo cui tutti i poteri pubblici derivavano dall’imperatore, ma dall’altra garantì ai comuni della lega le regalie di cui già godevano da tempo, in cambio del versamento di un’indennità. Dopo la morte di Federico Barbarossa e di suo figlio Enrico VI l’autorità imperiale conobbe un lungo periodo di crisi e i comuni ne approfittarono per consolidare definitivamente le loro istituzioni e per avviare una sottomissione del contado. Si pensò a redigere un codice di leggi avvalendosi dell'aiuto dei giudici, notai ed esperti di diritto in generale. I detentori di fortezze e diritti signorili dovettero riconoscersi vassalli del comune e risiedere una parte dell’anno in città in modo da essere tenuti sotto controllo; quando non fu possibile eliminare i più potenti con la forza si cercò di stipulare patti di alleanza anche sotto forma di ingaggi militari. L’aristocrazia cominciò a chiudersi man mano che cresceva il numero dei nuovi ricchi e dei nobili del contado che si trasferivano in città per avere un ruolo politico anch’essi. Si formarono così due schieramenti: quello della nobiltà e quello del popolo. La realtà era più complessa perché della nobiltà facevano parte anche mercati arricchiti e del popolo facevano parte i nobili da poco immigrati in città, quindi era più esatto dire che da una parte c’erano i detentori del potere e dall’altra coloro che miravano a sostituirsi alla vecchia classe dirigente. Per gestire la pace vennero creati dei consoli con un podestà il cui compito era quello di eseguire le decisioni prese dai consigli cittadini, applicare le leggi e amministrare la giustizia. Verso la metà del ‘200 le tensioni all’interno dei comuni più popolosi e più forti economicamente esplosero e si trattava di lotte e contrasti che dividevano anche i membri dello stesso ceto. Questi formavano due raggruppamenti contrapposti definiti guelfi e ghibellini. I guelfi erano gli aderenti al partito filo Papale, mentre i ghibellini erano sostenitori del potere imperiale. Non meno complessa era la situazione del ceto popolare tenuto insieme unicamente dalle necessità della lotta contro la nobiltà. I mercanti, gli artigiani e gli intellettuali laici, così come i nobili esclusi dal ceto di governo aristocratico, diedero vita ad una propria associazione chiamata societas populi organizzata con capi e consigli. Il risultato fu la coesistenza di più centri di potere nella stessa città. mobilitazione ancora più grande, infatti scesero in campo Federico Barbarossa, Riccardo Cuor di Leone Re d’Inghilterra e Filippo Augusto Re di Francia, ma nonostante ciò Gerusalemme rimase in mano ai musulmani. La terza crociata si concluse nel 1192 quando sul trono imperiale c’era Enrico VI figlio di Barbarossa, al quale per il controllo del regno normanno si oppose Tancredi figlio illegittimo di Ruggero II. La morte di Enrico VI impediva ai cristiani di Terra Santa di sfruttare la situazione favorevole creatasi con la morte di Saladino in seguito alla quale il suo impero si era frantumato in varie formazioni politiche in lotta tra di loro. Sul seggio pontificio sedeva Papa Innocenzo III che si fece promotore di una grande crociata con il duplice obiettivo di recuperare Gerusalemme ai cristiani e di ricondurre la chiesa d’Oriente sotto la sovranità pontificia. I crociati si riunirono a Venezia per raggiungere l’Oriente via mare per puntare direttamente alla conquista di Costantinopoli e ci riuscirono mettendo sul trono Alessio che però non fu capace di smorzare le ostilità della popolazione contro gli occidentali e la Chiesa di Roma. Così, i crociati assunsero il controllo diretto della città che fu orrendamente saccheggiata nel 1204 dando vita all’Impero Latino d’Oriente. Questo impero si rivelò una costruzione politica molto debole soprattutto a causa dell'ostilità della popolazione. La speranza di riunificare le due chiese da parte di Papa Innocenzo III svanì del tutto, anche se prima della sua morte riuscì a indire una nuova crociata che si concluse dopo una serie di inutili operazioni belliche. Il Re di Francia Luigi IX fu l'ultimo vero esponente del movimento crociato il cui esito fu disastroso per le due spedizioni da lui guidate. La prima si concluse con la cattura dello stesso Re ed esercito che vennero liberati solo dopo il pagamento di un grande riscatto; la seconda finì prima ancora di iniziare perché l'esercito radunato a Tunisi fu colpito dalla peste che provocò la morte dello stesso re. Tra la quinta e la sesta crociata ce n'era stata un'altra con protagonista Federico II Re di Sicilia grazie al quale Gerusalemme fu restituita ai cristiani senza che si dovesse fare alcun combattimento con i musulmani. Infatti, si arrivò a quest’esito attraverso un patto stipulato dall’imperatore con il sultano del Cairo e l'accordo prevedeva lo smantellamento di tutte le fortificazioni, per cui la città veniva a trovarsi priva di difese davanti ad un eventuale attacco esterno che arrivò quando la tribù dei turchi si impadronì di Gerusalemme attraverso saccheggi e massacri. Cap. 18 – La ripresa della lotta tra Papato e impero e le monarchie dell’Europa Occidentale Papa Innocenzo III concentrò il suo lavoro nella lotta contro gli eretici anche nell’ultimo periodo della sua vita e quando uno dei catari uccise un delegato Papale, lui bandì l’ennesima crociata contro loro alla quale accorsero molti cavalieri ed esponenti della feudalità per la prospettiva di guadagnare un ricco bottino dato che questo era il risultato di stragi e saccheggi. Con quest’ultima crociata si concluse il fenomeno religioso delle crociate come strumento politico nelle mani del Papato. Il Re di Francia Filippo Augusto della dinastia dei Capetingi era impegnato a rilanciare l’immagine della monarchia dato che il suo predecessore Luigi VII, non aveva saputo impedire il matrimonio della sua ex moglie Eleonora di Aquitania con Enrico II d’Inghilterra e il conseguente trasferimento al Re inglese di una parte del territorio francese. Dopo la morte del suo successore, salì al trono Giovanni senza terra che Filippo citò in giudizio. L’accusato non si presentò e così fu condannato in contumacia per fellonia con relativa confisca dei feudi. Nacque così un conflitto che vide Filippo in grado di recuperare la corona della Normandia e di altri territori mentre Giovanni si mise sotto la protezione di Innocenzo III che dichiarò il suo regno feudo della chiesa. Lo scontro frontale si manifestò cercando di non uccidere i nemici, ma piuttosto a catturarli per farne oggetto di riscatto. Alla morte di Filippo Augusto, l’opera fu portata avanti dal figlio Luigi VIII e dopo da Luigi IX che portarono a livelli assai alti il prestigio del di Francia in Europa. Giovanni senza terra dovette affrontare la reazione dell'opinione pubblica e della nobiltà inglese irritate per il carico fiscale che diventava sempre più pesante. La protesta sempre più forte investì Londra fino ad imporre al Re la concessione della Magna Charta Libertatum confermata da Enrico III nel 1217. Con questo documento il sovrano si impegnava a rispettare i diritti di cui godevano i nobili, ecclesiastici, tutti liberi del regno e il diritto dei sudditi di condizione libera di essere giudicati dai tribunali dei loro pari. Inoltre, si obbligava di non imporre nuove tasse senza l'approvazione della nobiltà e del clero riuniti nel consiglio comune del regno e anche la necessità a farsi assistere negli affari di governo da una cura di 25 baroni. La promulgazione di questo documento peggiorò la situazione di Giovanni che si trovò ad essere sconfessato da Innocenzo III che annullò anche le concessioni che gli fece. Il risultato fu che i ribelli lo dichiararono decaduto dal trono e offrirono la corona a Luigi figlio di Filippo Augusto, ma alla morte di Giovanni si preferì lasciare la corona a suo figlio Enrico III. Federico II aveva più volte rischiato di perdere la vita a causa dell'ostilità dei sostenitori italiani e tedeschi di Ottone, ma grazie all'appoggio dei vescovi, i tedeschi lo incoronarono Re di Germania. Nel 1213 Federico dovette emanare la Bolla d'Oro con la quale rinunciò ai diritti che il concordato di Worms del 1122 aveva riconosciuto al potere imperiale nelle elezioni di vescovi e abati. Nel frattempo, Innocenzo III si era fatto promettere che avrebbe rinunciato al trono di Sicilia in favore del figlio Enrico VII. La scomparsa del pontefice due settimane dopo indusse il sovrano a ritenersi sciolto dalla sua promessa, perciò non solo non rinunciò al trono di Sicilia, ma fece condurre suo figlio Enrico in Germania divenne Re dei romani. Il nuovo pontefice Onorio III aveva una sola idea in mente la riconquista di Gerusalemme. In cambio della promessa solenne di partire per la crociata e di intraprendere una lotta contro l'eresia, ottenne dal Papa la possibilità di mantenere l'unione delle 2 corone anche se si trattava di una concessione straordinaria fatta solo a lui e non trasmissibile agli eredi. Fu così che Federico fu incoronato imperatore a San Pietro nel 1220. Fece abbattere i castelli costruiti abusivamente, affrontò il problema dei Saraceni in Sicilia e i ribelli furono sconfitti e deportati; inoltre, per risollevare le condizioni economiche del regno facilitò gli scambi, fece costruire porti e garantì la sicurezza delle strade. Inoltre, fondò a Napoli la prima università statale del mondo Occidentale concedendo facilitazioni di vario genere agli studenti che volessero frequentarla. Continuò la lotta all’eresia e alla preparazione della crociata per la quale insisteva Papa Onorio III che cominciava a perdere la pazienza per i continui rinvii della sua partenza, ma non si giunse alla guerra aperta perché l'imperatore non si sentiva forte militarmente e quindi non volle forzare la situazione. Alla morte di Papa Onorio III gli successe Papa Gregorio IX che impose a Federico di partire subito per la Terra Santa. Questa volta l'imperatore si rese conto che non poteva più sottrarsi all’impegno che aveva assunto, così convocò crociati e pellegrini per partire, ma scoppiò un'epidemia che fece molte vittime, tra cui lo stesso Federico che dovette tornare indietro per curarsi anche se il Papa non gli credete e lanciò contro di lui la scomunica. Federico appena guarito riprese la crociata e trovò subito un accordo con il sultano Malik al-Kamil al quale si oppose Papa Gregorio che trovava scandalosi i rapporti stabiliti da Federico con gli infedeli. Il risultato fu che anche al suo ritorno in Italia, l'imperatore dovette fronteggiare a sua volta una crociata bandita contro di lui dal pontefice. Vinti i nemici, Federico poté raggiungere un compromesso con Gregorio, così l'imperatore fu prosciolto dalla scomunica, ma dovette rinunciare ad ogni forma di controllo sull’elezione dei vescovi e a riconoscere al clero meridionale piena immunità giudiziaria e fiscale. Con l'emanazione della Costituzione di Melfi del 1231 dotò tutto il regno di un codice organico di leggi ispirate alla tradizione giuridica romana e alla legislazione normanna. Anche in Germania venne promulgata la Costituzione di pace imperiale con la quale il Re ordinò tutto il diritto penale tedesco e l'occasione per il tuo secondo e ultimo soggiorno in Germania gli fu fornita dalla ribellione del figlio Enrico che arrestato e portato in Italia fu privato dei suoi diritti al trono trasferiti al fratello Corrado. L'imperatore volle imporre la sua volontà sulla Lega Lombarda che venne sconfitta e alla quale impose condizioni di pace eccessivamente dure che sortiranno l'effetto di spingere alcune città ad una resistenza a oltranza incoraggiata anche da Papa Gregorio IX che si schierò dalla loro parte ormai stanco della politica dell'imperatore. Infatti, lo scomunicò nuovamente e venne dichiarato decaduto dalla dignità imperiale nel concilio di Lione. Nel 1250 Federico morì e fu sepolto nel Duomo di Palermo e grazie alla cultura e alla vastità dei suoi interessi, garantì lo splendore alla sua corte, dando vita alla scuola poetica siciliana dalla quale nacque la letteratura in volgare italiano. Dopo la morte di suo figlio Corrado IV fu eletto imperatore Rodolfo d’Asburgo che si interessò dei domini diretti della sua casata rinunciando a svolgere un ruolo attivo in Italia e in Germania. Parte IV Cap. 20 – L’Europa tra crisi e trasformazione Agli inizi del ‘300 un po’ ovunque in Europa si registrò un rallentamento del processo di crescita che aveva investito tutti i settori produttivi. Cominciano a diradarsi le grandi opere di dissodamento e una volta esaurita la fertilità dei campi nel lungo periodo in cui erano stati a riposo, le terre si erano rivelate sempre meno produttive; a questo si aggiungeva anche la mancanza di concime oltre all’insorgere di frequenti carestie che colpivano soprattutto gli strati più poveri della popolazione. La conseguenza fu un aumento generale del tasso di mortalità al quale seguì un calo del tasso di natalità. Anche il peggioramento del clima frenò la crescita della popolazione perché la rese più esposta alle epidemie che raggiunsero la città dove cercavano rifugio sempre più abitanti delle campagne facendo peggiorare le già precarie condizioni igieniche della città, favorendo lo sviluppo di malattie ed epidemie come la morte nera cioè la peste bubbonica che si manifestò nel 1348 contemporaneamente a un forte terremoto che colpì parte dell’Europa centro meridionale. Le incursioni di Ungari, Vichinghi e Saraceni colpirono le parti meridionali dell’Italia ed erano guerre combattute per annientare l’avversario attraverso la distruzione delle sue risorse, una vera e propria guerra economica. Infatti, c’era la necessità di far fronte a spese militari sempre crescenti per accaparrarsi condottieri di maggior prestigio e per evitare di vederseli portare via dagli avversari con ingaggi più allettanti, gli Stati aumentarono la pressione fiscale. Quindi, in Italia e nel resto d’Europa, gli stati vissero in una condizione di precarietà finanziaria che rendeva più difficile il reperimento dei mezzi necessari per il pagamento del soldo ai soldati durante tutto il ‘300-’400. Guerre e carestie avevano un’incidenza diretta sulla vita delle popolazioni rurali e urbane contribuendo a far esplodere da un capo all’altro dell’Europa rivolte contadine e tensioni sociali che perseguivano il progetto di ridurre i privilegi del potere politico della nobiltà, combattere i vizi del clero e l’egoismo dei ricchi. A questo si aggiunse anche l’esplosione del brigantaggio che ebbe una diffusione enorme. Nell’Italia centro-settentrionale ci fu una grande fioritura urbana e un forte incremento dell’artigianato oltre allo sviluppo industriale e del settore tessile e della figura del mercante imprenditore. Questi lavoratori erano inquieti perché c’era una mancanza assoluta di ogni forma di tutela sindacale non essendo loro consentito di organizzarsi in associazioni di mestiere così come avveniva invece per i loro datori di lavoro riuniti nelle arti o corporazioni al cui tribunale i salariati erano soggetti a controversie di lavoro. L’attività produttiva era strettamente legata all’andamento del mercato con conseguenze per migliaia di lavoratori. La più famosa rivolta urbana del ‘300 scoppiò a Firenze nel 1378 ad opera dei ciompi, operai dell’industria tessile chiamati così dai loro padroni e nemici in senso dispregiativo perché sempre uniti, imbrattati e malvestiti per il lavoro che svolgevano. Non si limitarono a chiedere aumenti salariali, ma proposero di modificare in maniera definitiva le condizioni di vita e i rapporti di potere all’interno delle città, chiedendo perciò la creazione di un’arte di operai tessili che li tutelasse dalle pretese dei padroni e avanzando anche l’abbassamento dei prezzi dei generi di prima necessità. Nei secoli finali del medioevo ci fu un forte incremento delle industrie metallurgiche a causa della continua richiesta di armi dovuta alle guerre e al perfezionamento delle tecniche militari nonché della cantieristica che cercava di soddisfare la domanda di navi di dimensioni sempre più grandi in seguito alla crescente commercializzazione di merci pesanti. Venne anche frenata l’economia per la scarsità di moneta circolante, anche se le autorità cercarono di reagire con provvedimenti volti a impedire le esportazioni di oro e argento per rimettere in circolazione la moneta imponendo l’uso del contante nelle transazioni commerciali e nel pagamento delle lettere di cambio. Cap. 21 – Il consolidamento delle istituzioni monarchiche in Europa La salita al seggio pontificio di Papa Bonifacio VIII era stata contestata dato che si reclamava il rinnovamento della chiesa, all’insegna del ritorno ai valori evangelici della povertà e della carità. Il nuovo pontefice si mosse con decisione contro gli oppositori per riaffermare il ruolo centrale del Papato e della chiesa come unica dispensatrice di salvezza e indisse così, l’anno santo (il Giubileo) concedendo l’indulgenza plenaria a tutti coloro che avessero visitato le tombe degli apostoli dopo essersi confessati e comunicati. L’iniziativa ebbe un enorme successo richiamando a Roma folle di pellegrini da ogni parte della cristianità Occidentale. Ben presto Bonifacio dovette confrontarsi con il Comune di Firenze e il regno di Francia. Nel Comune di Firenze si inserì con successo per aiutare la fazione dei neri che comprendeva le famiglie dei grandi operatori economici legati al Papato capeggiati dalla famiglia dei Donati che cercava di prelevare su quella dei bianchi che voleva invece una politica di maggiore indipendenza da Roma e faceva capo alla famiglia dei Cerchi. Di questo scontro una vittima illustre fu Dante che venne condannato all'esilio una volta che i neri si impadronirono del potere. Diverse furono le cose con il Re francese, dato che entrambi volevano tentare di affermarsi come poteri assoluti. Da tempo Filippo IV il Bello era impegnato in un’opera di consolidamento dello stato che aveva coinvolto il clero al quale erano stati imposti dei tributi senza l’autorizzazione della santa sede. Il conflitto era stato risolto con un compromesso essendo stato concesso al Re il diritto di tassare il clero senza il consenso di Roma in caso di grave necessità. L’invio a Firenze di Carlo di Valois su richiesta del pontefice, sembrava aver sancito definitivamente l’accordo tra i due, ma da lì a poco il conflitto riesplose più forte che mai in seguito all’imprigionamento del vescovo Saisset da Filippo. Così, il papa annullò la concessione fatta ed emanò nel 1302 la bolla Unam Sanctam con cui riaffermava in maniera solenne la sottomissione al pontefice di ogni creatura umana e autorità politica, il cui simbolo erano le due spade o chiavi che rappresentavano i due poteri, spirituale e temporale, creato da Dio per il governo della comunità cristiana. Filippo raggiunse il Papa nel suo palazzo di Anagni coprendolo di insulti prima di trascinarlo via. Così la popolazione insorse e con l’aiuto dei rinforzi giunti a Roma il Papa fu liberato costringendo i francesi a ritirarsi. Bonifacio morì qualche giorno dopo e Filippo si trovò in condizione di esercitare un diretto controllo sul Papato in seguito al trasferimento della sede Pontificia da Roma ad Avignone dove resterà fino al 1376. In Germania divenne Re Enrico VII conte di Lussemburgo che tentò di restaurare l’autorità regia con totale fallimento, infatti dovette ritirarsi. Uno dei successori, Carlo VI con la Bolla d’Oro precisò che il diritto di elezione aspettava a 7 grandi elettori, 3 ecclesiastici e 4 laici. Così l’impero rinunciò alle sue pretese di potere universale, iniziando a configurandosi come uno stato germanico. In Inghilterra, Giovanni senza terra creò un consiglio comune del regno competente in materia fiscale di cui facevano parte la nobiltà, il clero e una curia baronale di 25 nobili, incaricato di vigilare sulla politica complessiva del re. Negli anni seguenti Enrico III cercò di annullare le concessioni operate dal suo predecessore suscitando una rivolta dei baroni appoggiati dalla piccola nobiltà. Il risultato fu il rafforzamento degli atti della magna carta che prevedevano adesso anche la presenza di due rappresentanti della piccola nobiltà per ogni contea e due borghesi per ogni città direttamente dipendente dalla corona. Il consiglio che intanto aveva preso il nome di Parlamento era articolato in una camera dei pari comprendente tutti i grandi nobili e gli altri ecclesiastici del regno e in una camera dei comuni che accoglieva i rappresentanti della piccola nobiltà, del basso clero e della città. Il Re inglese era titolare di alcuni grandi feudi in Francia, quindi si trovava ad essere vassallo del Re di Francia che a sua volta si vedeva l’impossibilità di esercitare i suoi diritti sovrani su terre appartenenti ad un vassallo tanto potente. A questo si aggiungeva la concorrenza del controllo di alcuni territori dipendenti solo a titolo feudale dalla Francia, ma economicamente legate all’Inghilterra. Oltre a questo, anche la Scozia era una terra che gli Inglesi volevano sotto il loro controllo diversamente dai Francesi che ne volevano difendere l’autonomia per evitare la crescita della potenza rivale. Nacque così una serie di conflitti tra i due regni che diede vita alla Guerra dei Cent’anni dal 1337 al 1453. In Francia, dopo la morte senza eredi di Carlo IV (figlio di Filippo il Bello della dinastia francese dei capetingi), venne rivendicata l’eredità da Edoardo III Re d’Inghilterra e da Filippo di Valois, entrambi nipoti di Filippo il bello. Dato che vennero esclusi i discendenti in linea femminile, la scelta cadde su Filippo che divenne Re con il con nome di Filippo VI dando così inizio alla dinastia dei Valois. La prima fase della guerra fu favorevole agli Inglesi che decimarono la cavalleria francese fino a quando nel 1360, si giunse alla Pace di Bretigny con la quale il sovrano inglese rinunciava ai suoi diritti sul trono di Francia, ma il riceveva in cambio la piena sovranità (senza vincoli di natura fedale) su un terzo del territorio francese. a una Lega Perpetua legata ai nemici degli Asburgo, così i cavalieri austriaci furono sconfitti, ma era solo la prima di una lunga serie di successi militari svizzeri. Mentre si diffondeva sempre di più la fama della fanteria svizzera, venne intrapresa anche una politica espansionistica ai danni delle potenze vicine. Cap. 22 – Potere e società nel mezzogiorno angioino-aragonese Dopo la morte di Manfredi, il regno fu conquistato da Carlo d’Angiò dietro sollecitazione del Papa Urbano IV che si riprometteva di raggiungere due obiettivi:  rendere effettivo il vincolo feudale che subordinava la monarchia alla chiesa romana  procurarsi un valido sostegno politico-militare I progetti di Carlo coincidevano solo in parte con quelli Papali perché mirava ad attuare un ampio disegno di egemonia europea e mediterranea. I primi contrasti emersero con il suo successore Papa Clemente IV in seguito al saccheggio della città di Benevento che era soggetta alla sovranità pontificia, oltre alle lamentele che cominciavano ad arrivare a Roma per il carico fiscale considerato eccessivo. Nel 1282 in un clima di rivolta, scoppiò a Palermo un moto insurrezionale dopo lo scontro avvenuto all’ora del vespro tra siciliani e francesi accusati di avere arrecato molestie ad una giovane nobildonna palermitana. Così intervenne il Re d’Aragona Pietro III che avendo sposato Costanza figlia di Manfredi, aveva diritti sul trono di Sicilia, anche se il suo coinvolgimento era inserito in un preciso progetto di espansione nel Mediterraneo in concorrenza con quello angioino. L’espansionismo di Pietro era sostenuto sia dalla feudalità che dalla borghesia che fornirono uomini, flotte e mezzi finanziari dato che la politica mediterranea di Carlo d’Angiò non suscitava nessun entusiasmo all’interno del regno. Dopo la rivolta, i siciliani offrirono la corona a Pietro opponendosi a qualsiasi tipo di accordo che comportasse il ritorno alla situazione antecedente alla quale voleva tornare invece Papa Martino IV che considerò gli aragonesi come usurpatori, arrivando a bandire contro di loro, una crociata che procurò a Pietro molte difficoltà. La situazione con il pontefice Bonifacio VIII creò le condizioni perché si giungesse al Trattato di Anagni con il quale il nuovo Re d’Aragona Giacomo II accettò il ritorno della Sicilia agli angioini di Napoli in cambio dell’investitura del regno di Sardegna e Corsica. I siciliani si ribellarono ancora una volta e offrirono la corona a Federico figlio di Giacomo e suo rappresentante nell’isola, ma la pressione del pontefice portò alla stipula del Trattato di Caltabellotta in base al quale Federico III fu riconosciuto re, ma con il titolo di Re di Trinacria e con la decisione che alla sua morte l’isola sarebbe tornata Angioini. Le cose andarono diversamente perché dopo la scomparsa di Federico, la Sicilia rimase ancora al ramo della dinastia aragonese e sia Roberto d’Angiò che sua nipote Giovanna I inviarono inutilmente uomini e mezzi nel tentativo di riconquistare l’isola. In seguito alla rivolta del vespro, Carlo d’Angiò dovette rinunciare ai suoi progetti espansionistici nel Mediterraneo e fu addirittura sul punto di perdere il regno. Infatti, il principe ereditario Carlo II lo zoppo ingaggiò una battaglia navale nel Golfo di Napoli, ma fu sconfitto, mentre il popolo di Napoli si sollevò contro i francesi, saccheggiando le loro case. La dinastia angioina si riprese rapidamente grazie all’appoggio Papale e portò ad un’accelerazione dell’economia meridionale con l’emergere di Napoli come piazza commerciale di primo ordine e fu anche espressione di una nuova cultura portata avanti da giuristi, scienziati, scrittori, poeti, artisti, teologi e traduttori provenienti dalla Francia e dall’Italia. A questo si aggiunse un rinnovamento edilizio e urbanistico con la costruzione di edifici imponenti e lo spostamento del suo centro al Maschio Angioino destinato a diventare il simbolo di Napoli. Al centro-nord molti comuni avevano perso la loro autonomia politica riducendosi sotto il potere di altri comuni, mentre al sud le amministrazioni locali si sottraevano sempre di più al controllo dei funzionari regi aprendo la strada ai contrasti tra le classi e tra i gruppi familiari per il controllo delle amministrazioni comunali. Il rifiuto di pagare le imposte da parte dei nobili nasceva non solo dal desiderio di rivendicare una condizione di privilegio rispetto al resto della popolazione, ma anche dall’interesse di sottrarsi ad un carico fiscale che diventava sempre più pesante dato che crescevano i bisogni finanziari e quindi anche i tributi locali. Connesso al problema del carico fiscale, era quello delle cariche elettive dato che i nobili cercavano di monopolizzarlo escludendone non solo il popolo minuto credendo che non avrebbe dovuto immischiarsi nella gestione delle cause pubbliche, ma anche il popolo grasso. In queste condizioni veniva sempre più a perdere significato il parlamento cittadino che aveva il compito di eleggere i giudici, i sindaci e gli ufficiali minori. Con l’avvento al trono di Giovanna I nipote di Roberto, si apriva intanto un’aggrovigliata crisi dinastica alimentata dalle rivalità tra i tre rami (Durazzo, Taranto e Ungheria) in cui si era divisa la casa d’Angiò. Roberto aveva combinato un matrimonio con Andrea il figlio di Caroberto Re d’Ungheria, ma il suo assassinio fornì al fratello dell’ucciso Luigi il Grande d’Ungheria l’occasione per invadere il regno facendo precipitare il paese in una serie di disordini e violenze. Il ritiro degli ungheresi consentì a Giovanna e al suo nuovo marito Luigi di Taranto di avviare un’opera di restaurazione che non sollevò le sorti della monarchia dato che non ebbe eredi diretti. Così, la sua scelta cadde su Luigi d’Angiò fratello del Re di Francia, al quale si oppose suo nipote Carlo III di Durazzo che si impadronì di Napoli e fece imprigionare la zia che poi fece uccidere. Il figlio Ladislao tentò di ridurre la potenza delle famiglie feudali invano. Gli successe la sorella Giovanna II che vedendo il suo trono minacciato da Luigi III figlio di Luigi II (rivale di Carlo), adottò come figlio e successore Alfonso V Re d’Aragona. La Sicilia non tornò più agli Angioini, ma costituì un regno indipendente sotto un ramo della dinastia aragonese. Con il consenso del Re Federico IV si giunse alla divisione del regno in due parti (orientale e occidentale) e alla sua morte il trono fu occupato da sua figlia Maria che lo divise in 4 nobili vicari. Una svolta fu rappresentata dalla comparsa di Pietro IV d’Aragona che fece rapire Maria per destinarla in moglie al nipote Martino il Giovane che raggiunse con sua moglie la Sicilia impegnandosi nella lotta ai baroni ribelli e nella riorganizzazione del regno che fu dotato di un parlamento articolato di tre bracci: nobiltà feudale, clero e città con la facoltà di proporre leggi, cioè capitoli. Nello stesso tempo ci fu anche una crescita dell’economia e la morte di Martino segnò la fine dell’indipendenza siciliana perché da allora l’isola rimase definitivamente legata all’Aragona passando da Martino al suo successore Ferdinando di Castiglia e quindi, al figlio Alfonso il magnanimo Re di Napoli. Dopo averlo chiamato in suo aiuto, Giovanna II aveva revocato l’adozione preferendogli Luigi III. Ne conseguì una guerra tra i due candidati alla successione che vide lo scontro tra Muzio Sforza per gli Angioini e Braccio da Montone per gli Aragonesi. Inizialmente il conflitto era in favore di Luigi, però la scomparsa di Giovanna e la sua morte fecero esplodere la guerra perché Alfonso ritornò a rivendicare i suoi diritti al trono contrapponendosi a Renato, fratello del re defunto. Alfonso fu fatto prigioniero e consegnato al duca di Milano alleato di Renato d’Angiò, fino a quando non solo ottenne la libertà, ma riuscì addirittura a convincere il duca a stringere un’alleanza. Così Alfonso fissò la sua residenza a Napoli da dove non si allontanò più fino alla morte. Da lì governò il resto dei suoi domini e avviò anche una profonda opera di rinnovamento delle strutture politiche-amministrative e fece della capitale uno dei centri della nuova cultura umanistica, attirando artisti e intellettuali. Designò come successore al trono suo figlio Ferrante che continuò l’opera di ammodernamento dell’apparato politico amministrativo impegnandosi nell’industria e nel commercio. Cap. 23 – Chiusure oligarchiche e consolidamento delle istituzioni in Italia centro-settentrionale Agli inizi del ‘200 l’Italia fu caratterizzata dall’instabilità delle istituzioni. Il primo caso è quello di Ferrara, dove le lotte tra le varie fazioni aristocratiche si conclusero con la vittoria degli Estensi. L’ultima grande signoria fu quella dei Medici di Firenze che avviarono il fenomeno delle criptosignorie (potere nascosto delle istituzioni). Nel 1342 a Firenze i nobili non perdevano occasione per contestare il governo egemonizzato dal popolo grasso cioè il ceto dei grandi mercanti, ma anche per le agitazioni dei salariati dell’industria tessile colpiti da una difficile situazione economica che interessava l’intera Europa. La situazione precipitò e si concluse eliminando dal governo delle città il popolo grasso scatenando un’insurrezione generale che vide la mobilitazione di tutti i gruppi sociali. Tutta questa vicenda mise in moto la formazione di regimi di tipo oligarchico. Nel corso del ‘300-’400 ci fu la nascita di un patriziato cittadino (risultante dalla convergenza di vecchio ceto cavalleresco e alta borghesia) chiuso e compatto nel frenare l’ascesa sociale e politica delle nuove famiglie, ma nello stesso tempo con fu considerato impossibile, quindi si puntò a mantenere in vita i comuni urbani e quelli rurali considerandoli come organi locali dell'amministrazione statale. Al tempo di Gian Galeazzo questa amministrazione si fondava su tre alte magistrature: il consiglio di giustizia che fungeva da tribunale di appello rispetto alle magistrature locali; il consiglio segreto che assisteva i duchi negli affari di natura politica; la camera ducale massimo organo in materia finanziaria e tributaria. Diverso è il modello organizzativo di Firenze dove si dovette ripristinare l’antico parlamento e dotarsi di nuovi statuti oltre che di nuovi organi amministrativi. Questa politica suscitò la protesta dei centri urbani che venivano privati del controllo del contado, così si cominciò a concedere una serie di deroghe con il risultato di ricondurre sotto la giurisdizione dei vari ceti urbani almeno i territori più vicini ad essi. Un modello intermedio fu quello di Venezia che lasciò tutta l’amministrazione locale nelle mani dei patriarcati urbani dove il risultato fu la costruzione di uno stato abbastanza omogeneo al suo interno. Diversa era la situazione dei domini Savoia dove fu possibile attuare un ordinamento che prevedeva la divisione del ducato in 12 province a loro volta suddivise in castellanie, entrambe rette da funzionari scelti dal duca. Cap. 24 – Le altre realtà politiche del continente euro-asiatico In Scandinavia una volta esauritasi la fase delle scorrerie e delle migrazioni normanne, si erano formati i regni di Danimarca, Norvegia e Svezia nei quali il consolidamento del potere monarchico andò di pari passo con il progredire dell’opera di evangelizzazione. La società si andava evolvendo e all’origine del fenomeno c’erano sia l’immigrazione dei tedeschi e inglesi, sia l’intensificarsi degli scambi tra i paesi che si affacciavano sul Baltico. Nel 1397 ci fu l’unione dei tre regni di Danimarca, Norvegia Svezia. La Boemia nacque al tempo di Ottone I di Sassonia. Il trono passò ai conti di Lussemburgo che ottennero la corona imperiale prima con Enrico VII e poi con Carlo IV grazie al quale Praga divenne il cuore dell’Europa, conoscendo un periodo di splendore sia sul piano economico che su quello artistico e culturale. Allo stesso tempo però si manifestarono i primi segnali del sorgere di un sentimento nazionale ceco sotto forma di insofferenza per la presenza di elementi germanici ai vertici della chiesa e nelle attività produttive e commerciali. La situazione precipitò durante il regno di Venceslao quando Giovanni Hus che predicò contro la corruzione del clero e la mondanizzazione della chiesa, fu arrestato e condannato al rogo come eretico. Così, la reazione della Boemia fu immediata e coinvolse tutti i ceti sociali in un movimento che acquistò carattere antigermanico. Dopo una spaccatura tra l’ala più radicale dei Taboriti che volevano il rinnovamento della chiesa e della società e l’ala più moderata formata da nobili e borghesi interessati solo un’opera di rinascita morale, giunsero ad un compromesso che finì col riappacificamento con la chiesa romana. La Boemia tornata indipendente passò a Ferdinando d’Austria e quindi alla casa d’Asburgo. I Cavalieri Teutonici nati nel 1198 erano un ordine religioso cavalleresco che dalla Palestina si trasferì in Europa per impegnarsi nella colonizzazione ed evangelizzazione dei territori ancora abitati da popolazioni pagane. I membri dell’ordine si dividevano in 4 categorie: i cavalieri provenienti dalla nobiltà e dall’ambiente dei ministeriali che pur avendo pronunciato i voti avevano pochi obblighi religiosi essendo impegnati soprattutto nella guerra; i preti; i serventi; i confratelli che erano servitori e benefattori. La base era il convento collocato in un castello in cui dovevano risiedere almeno 12 cavalieri e sei preti; a capo dell’ordine c’era il gran maestro eletto a vita dal capitolo generale che si riuniva una volta l’anno. Il territorio prussiano fu diviso in circoscrizioni ognuna delle quali era governata da un economo che si occupava di riscuotere le imposte, amministrare la giustizia e mantenere l’ordine interno e la difesa del territorio. Era molto curato l’addestramento e l’organizzazione dell’esercito. L’avanzata dei cavalieri teutonici proseguì nel corso del ‘300 e dovunque fu promosso l’insediamento dei contadini e artigiani tedeschi che misero a coltura nuove terre e fondarono villaggi e città. Ben presto si scontrarono con i polacchi e vennero sconfitti, così esplosero rivolte di città e laici che preferirono porsi sotto la sovranità della Polonia, dopo che si era infranto il mito della superiorità militare dell’ordine teutonico. La Polonia era nata nel corso del 10° secolo dall’aggregazione dei piccoli stati slavi, anche se alla fine dell’11º secolo si tornò alla frantumazione del paese in vari ducati e principati in lotta tra di loro. La restaurazione del potere regio di cui si fece artefice Casimiro il Grande cercò di ridurre il peso politico della grande nobiltà potenziando l’amministrazione della giustizia a vantaggio soprattutto dei ceti rurali, ma dopo la sua morte restò ben poco di queste innovazioni. L’alta nobiltà designò come successore Luigi Re d’Ungheria e alla sua morte i nobili polacchi cercarono un candidato al di fuori dei confini del regno scegliendo Jagellone di Lituania al quale fu posta come condizione la conversione al cattolicesimo, infatti la Lituania era ancora abitata in gran parte da popolazioni pagane. La conversione del principe che prese il nome di Ladislao II preparò quella del popolo e consentì la formazione di un grande stato polacco-lituano. Anche l’Ungheria come la Polonia nacque tra 10° e 11º secolo quando i Magiari si stabilirono convertendosi al cristianesimo romano, dandosi un ordinamento politico unitario ad opera di Stefano I. Isuoi successori proseguendo la sua politica espansionistica, si rivelarono impotenti davanti alla pressione dell’aristocrazia che si era rafforzata proprio con la distribuzione di terre e privilegi. La Bolla d’Oro emanata da Re Andrea II portò alla formalizzazione del rapporto tra il sovrano da una parte, nobiltà, clero e le comunità locali dall’altra. Però conteneva una clausola molto pericolosa per la monarchia cioè il diritto di ribellarsi al sovrano in nome degli interessi della nazione e rappresentava uno strumento efficace nelle mani dell’aristocrazia, arbitra del potere in un paese dall’economia prettamente agricola e privo di forti comunità cittadine capaci di contrapporsi al potere della nobiltà. L’Ungheria venne devastata dalle invasioni dei Mongoli che dopo la loro ritirata, sentirono la necessità di colonizzare il loro paese ed è ciò che fece il Re Bela IV che incoraggiò l’immigrazione di italiani e tedeschi e fondando Buda. Dopo una serie di crisi dinastiche la pressione del Papa portò all’incoronazione di un ramo degli Angioini di Napoli il cui esponente principale fu Luigi il Grande. Promosse lo sviluppo delle città, tentò di legare la nobiltà alla monarchia mediante rapporti feudo- vassallatici, ma alla sua morte senza eredi la Polonia recuperò l’indipendenza, mentre l’Ungheria passò ad Alberto d’Austria finché la minaccia dei Turchi non indusse i nobili a nominare come reggente il condottiero Giovanni Hunyadi che riuscì a difendere le frontiere del regno. Alla sua morte fu proclamato Re il figlio Mattia Corvino che risollevò il prestigio della monarchia sia all’interno che all’estero, mentre la corte diventò meta di dotti umanisti provenienti da ogni parte d’Europa. Tutto ciò finì con la sua morte quando la nobiltà riprese tutto il suo potere e l’Ungheria, così come la Boemia fu annessa all’Austria degli Asburgo. I bulgari erano stati destinati a raggiungere la massima estensione territoriale quando giunsero a minacciare anche Costantinopoli con Basilio II. Con il suo regno, i bulgari dovettero accettare la sovranità bizantina, mentre la chiesa bulgara era sottomessa al patriarca di Costantinopoli e si giunse perfino a cambiare il nome della ragione chiamandola Mesia. Le continue rivolte, la guerra tra le fazioni della nobiltà e le scorrerie provenienti dalla Russia, decimavano la popolazione mentre l’impero si indeboliva sempre di più creando le condizioni per lo sviluppo di un grande movimento insurrezionale che portò alla nascita del regno di Bulgaria di cui Bisanzio riconobbe l’indipendenza e il cui esponente maggiore fu lo Zar Ivan che riuscì a sopravvivere anche all’invasione dei mongoli. Non si può parlare di uno stato serbo fino a quando Stefano Nemanja sottrasse all’influenza di Bisanzio il territorio corrispondente alla Serbia attuale. L’atto di nascita del regno si ebbe con suo figlio Stefano che ebbe il titolo di Re da Papa Onorio III. Tra i suoi successori è da ricordare Stefano IV che portò la Serbia all’apice della potenza fino a quando contese dinastiche prepararono il terreno ai turchi infliggendo ai Serbi una sanguinosa sconfitta. Nell’opera di consolidamento del loro potere, i principi moscoviti furono molto avvantaggiati dall’appoggio della chiesa russa, il cui metropolita si era stabilito a Mosca fin dagli inizi del ‘300 contribuendo così a fare della città un punto di riferimento per l’intera nazione anche sul piano religioso e culturale. Approfittando della caduta di Costantinopoli in mano ai turchi, il sinodo dei vescovi russi riservò a sé la scelta del metropolita di Mosca, dichiarando superflua la conferma del patriarca costantinopolitano. La chiesa russa rivendicava così la sua indipendenza sia a Roma sia da Costantinopoli, ma in questo modo si metteva nelle mani dei principi moscoviti e a partire da Ivan III il Grande cominciarono a nominare e revocare i metropoliti. Ivan III è considerato il vero fondatore dello stato russo perché fu lui ad ampliarne enormemente il territorio e a sottrarlo in via definitiva al khan dell’Orda d’oro. Consolidò all’interno il proprio potere riducendo la forza dell’antica nobiltà dei boiari, dotati di beni ereditari e appoggiandosi su una nuova nobiltà di servizio a cui venivano concessi beni terrieri in cambio del servizio militare civile prestato al sovrano. ripartì facendosi precedere dalle bande armate, ma dopo la sua morte ci si trovò di fronte al problema di dare un successore. I romani temendo che venisse scelto un Papa francese che volesse portare la sede pontificia ad Avignone manifestarono dicendo che lo volevano italiano, così i cardinali elessero Papa Urbano VI. I cardinali francesi dichiararono irregolare l’elezione precedente perché avvenuta in un clima di intimidazione, così procedettero con la nuova elezione di Clemente VII che si stabilì ad Avignone. I due papi si considerarono entrambi legittimi e diedero vita a due collegi di cardinali e a due curie, una a Roma e l’altra ad Avignone. I due collegi cardinalizi procedettero regolarmente alla nomina di un nuovo Papa ogni volta che la sede era vacante. Lo scisma anche se non turbava i regnanti europei, era sconcertante per i cristiani perché convinti che abbassava ulteriormente il prestigio della dignità sacerdotale, tralasciando la lotta agli eretici. La soluzione fu trovata con un concilio universale (concilio di Costanza) che depose entrambi i papi che furono deposti e dichiarati scismatici ed eretici, lasciando il seggio pontificio a Papa Alessandro V. Il concilio venne visto non come uno strumento per risolvere una situazione di emergenza, quanto piuttosto di un organismo dotato di un’autorità superiore a quella dello stesso pontefice in materia di dottrina di fede e in quanto tale da riunire periodicamente. Si convenne sulla necessità di convocare un concilio universale con la partecipazione dei vescovi e abati dei monasteri di tutto il mondo cattolico. Inoltre, si decise di non votare singolarmente, ma per nazioni arrivando ad approvare il decreto Haec Santa secondo il quale il concilio universale sanciva che il potere della chiesa deriva da Cristo e quindi, ha autorità su tutti i cristiani compreso il Papa. Il problema della riforma della chiesa venne affrontato con il decreto Frequens secondo cui i concili generali si sarebbero dovuti riunire regolarmente ogni 10 anni ad accezione del primo da convocare ogni 5 anni e del secondo dopo 7. Si passò quindi a ridimensionare i poteri del Papa e degli organismi curiali con l’obiettivo di riunificare la chiesa Orientale con quella romana mettendo fine allo scisma d’oriente. Contemporaneamente andava avanti il potenziamento dell’apparato burocratico- amministrativo della curia. Cresceva in prestigio e in numero di membri il collegio cardinalizio che si venne configurando come un organismo di rappresentanza della varie famiglie principesche dell'Europa dove acquisì importanza la figura del cardinale di famiglia il cui compito principale era quello di controllare la concessione dei benefici ecclesiastici all'interno del dominio della propria famiglia. I pontefici mirarono a stabilire un saldo controllo sulle terre dei loro domini affidando cariche e signorie locali a membri della propria famiglia, dando vita al fenomeno del nepotismo, inaugurato da Papa Martino V che nominò cardinale suo nipote. I suoi successori incrementarono di più questo fenomeno arrivando a mettere in pericolo la pace dell’Italia per soddisfare le ambizioni dei nipoti. Si procedette anche alla creazione di un sistema fiscale che consentì di far crescere le entrate e di intraprendere una grandiosa opera di rinnovamento edilizio e urbanistico di Roma che si manifestò attraverso splendidi edifici e grandi opere d’arte. Ne furono promotori gli artisti più famosi del tempo, tra cui Michelangelo e Raffaello, dando vita al fenomeno del mecenatismo che tra ‘400 e ‘500 coinvolse tutte le corti italiane ed europee. Gli impegni di governo dei pontefici impedivano loro di dedicarsi all’attività pastorale e a tutte quelle cure che sarebbero state necessarie, quindi spesso i fedeli erano abbandonati a sé stessi. Questo portò le popolazioni urbane e rurali a creare forme di associazionismo dei laici; nacquero confraternite e terzi ordini che consentivano a numerosi esponenti del laicato pio di praticare forme di devozione e di impegno caritativo che non sempre la parrocchia era in grado di garantire. Nella seconda metà del ‘300 nacque il movimento dell'osservanza per richiamare frati e monaci alla piena osservanza delle rispettive regole. Cap. 26 – Politica e cultura nell’Italia del ‘400 Filippo Maria Visconti avviò il recupero dei territori perduti dopo la morte del padre circondandosi di condottieri tra cui Francesco Sforza. Così, si formò un’alleanza tra quanti si sentivano minacciati da un rinnovato espansionismo visconteo, specialmente Venezia e Firenze, a cui si aggiunsero anche il Papa e il duca di Savoia. La guerra che nacque durò più di 20 anni. Si cercò di unire a sé i capi degli eserciti mercenari attraverso la concessione di feudi e legami di natura matrimoniale ed è ciò che fece Filippo con il Carmagnola che però passò al servizio di Venezia per la quale ottenne delle vittorie che finirono presto a causa di una serie di insuccessi che lo portarono ad un processo e alla decapitazione. Venne stipulata la Pace di Ferrara con la quale Venezia si tenne i territori conquistati, ma fu una breve pausa perché la guerra riesplose quando con la cessione di un feudo Sforza lasciò i Visconti. Cosimo de Medici rinsaldò l’alleanza con Venezia e si arrivò ad una nuova pace, sancendo la conciliazione tra Francesco Sforza e il duca di Milano. Quest’ultimo morì senza eredi così fu Francesco Sforza a rivendicarne l’eredità al quale si oppose Alfonso d’Aragona. Il risultato fu che le famiglie del patriziato milanese tentarono di dar vita a un regime di tipo oligarchico proclamando la Repubblica Ambrosiana. Dopo più di 20 anni di guerra il Ducato di Milano si ritrovava in preda alla confusione perché molte città e signorie locali si affrettarono a recuperare la loro autonomia. I milanesi affidarono la difesa della Repubblica a Francesco Sforza che respinse i Veneziani che però strinsero un’alleanza con il Duca di Savoia e il Re di Napoli riprendendo l’offensiva contro Milano. La guerra durò per 3 anni quando giunse la notizia della caduta di Costantinopoli seguita dall’appello del Papa per la crociata contro i turchi. Venezia ne approfittò per mettere fine alla guerra e a concentrare di nuovo la sua attenzione sul Mediterraneo Orientale dove l’avanzata dei turchi avrebbe investito i suoi possedimenti. Così si giunse alla Pace di Lodi che sancì l’ascesa di Francesco Sforza al Ducato di Milano e il riconoscimento delle conquiste veneziane in Lombardia. Milano, Venezia e Firenze diedero vita ad una Lega Italica che si riprometteva di mantenere gli equilibri politici esistenti nella penisola impedendo qualsiasi tentativo espansionistico ai danni degli stati aderenti anche se proveniente da potenze straniere. L’accordo, al quale aderirono tutte le altre formazioni politiche dell’Italia centro-settentrionale, valeva per 25 anni e avrebbe potuto essere rinnovato (come avvenne) alla scadenza. Venezia era concentrata nella difesa dei suoi interessi commerciali e dei suoi possedimenti nel Mediterraneo Orientale. A Milano, Galeazzo Maria (figlio di Sforza) cominciarono le prime difficoltà che si conclusero con il suo assassinio ad opera di tre ragazzi che volevano liberare la patria dal tiranno. Gli successe Gian Galeazzo al quale si oppose lo zio Ludovico il Moro che assunse la guida effettiva dello stato in nome del nipote. A Mantova c’era la signoria dei Gonzaga tra i cui esponenti il più famoso fu Gian Francesco I che conseguì anche ingrandimenti territoriali e lo stesso fecero gli Estensi, signori di Ferrara. Il momento più critico per la dinastia fu la Guerra di Ferrara nel 1482 provocata da Venezia che ormai voleva conquistare la stessa città e da Sisto IV che voleva uno stato più grande per il nipote. In questa occasione la Lega Italica mostrò la sua efficacia, così Firenze, Milano e Napoli si schierarono dalla parte degli Estensi. Il Papa resosi conto della difficoltà dell’impresa, passò dalla parte della lega in cambio della promessa di un ingaggio ben retribuito per il nipote. Venezia non desistette, ma anzi tentò di allargare le operazioni belliche attaccando Milano e il regno di Napoli dove cercò di far sollevare i baroni contro Re Ferrante. Venezia sollecitò l’intervento contro Napoli e Milano al Re di Francia Carlo VIII che portò Ludovico il Moro a fare un accordo. La Corte di Ferrara si salvò e mantenne il primato di uno dei centri maggiori della cultura e dell’arte del Rinascimento. A Firenze, proprio perché quella dei Medici era solo una supremazia di fatto e non la signoria legittima non mancavano famiglie che avviavano lotte per il potere. Sisto IV pretendeva dai Medici il denaro per riscattare città da dare al nipote, ma essendosi rifiutati tolse loro la gestione delle finanze Papali affidandola alla famiglia dei Pazzi che acconsentì a versare la somma richiesta. Il pontefice nominò arcivescovo di Firenze un loro parente, così ordirono una congiura contro i Medici, visti come ostacolo all’ingrandimento della propria signoria. Venne preparato il colpo durante una funzione liturgica che portò a una reazione popolare che provocò la morte di molti Pazzi. Così, Lorenzo (il Magnifico) sopravvissuto all’attacco, considerato responsabile della violenza contro due ecclesiastici, fu scomunicato e Firenze fu colpita da Sisto IV. Lorenzo chiese sostegno a Re Ferrante e il Papa rimasto solo, scese a patti per firmare un accordo che prevedeva il ritorno alla situazione anteriore allo scoppio della crisi. Con la morte di Lorenzo il Magnifico e Innocenzo VIII iniziò un’età drammatica di guerre e invasioni per il predominio dell’Italia da parte delle maggiori potenze europee, in un periodo in cui il paese viveva una straordinaria fase di fioritura culturale con l’Umanesimo e Rinascimento. Con l'avvento al potere di Lorenzo il Magnifico si raggiunse il massimo sviluppo del movimento culturale iniziato alla fine del ‘300 da diversi letterali che si impegnarono
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