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Medioevo sensibile di Boquet e Nagy, Schemi e mappe concettuali di Storia Medievale

Percorso dell'evoluzione dell'affettività medievale dai Padri della Chiesa alle manifestazioni pubbliche.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022
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Scarica Medioevo sensibile di Boquet e Nagy e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! STORIA MEDIEVALE A.A. 2021/2022 BOQUET e NAGY – MEDIOEVO SENSIBILE: una storia delle emozioni (secoli III-XV)  Introduzione: che cosa resta delle gioie e delle pene degli uomini e delle donne del Medioevo? Le società umane rimangono impenetrabili all’osservatore che non si sforzi di auscultarne le palpitazioni emozionali. Per troppo tempo gli storici hanno trascurato questa verità elementare. Così la storia, che si è costituita come disciplina nel XIX secolo, ha stentato a prendere sul serio le emozioni e ancor più a non relegarle alla dimensione intima. Nel medioevo le emozioni sono ovunque. Le emozioni sono al centro dei legami sociali e simbolici. Ormai la storia delle emozioni sembra essersi imposta come una necessità. Senza dubbio in ciò bisogna vedere l’esito della tenacia di alcuni storici, come Lucien Febvre (pubblica nelle Annales un articolo in cui considera le emozioni come irrazionali e come espressione di fenomeni culturali profondi) e Jacques Le Goff. Persino Bloch interverrà in merito, denunciando, tramite l’hitlerismo, l’urgenza di una storia della vita affettiva. La storia delle mentalità e delle sensibilità che si afferma a partire dagli anni Settanta riconosce uno spazio ai sentimenti, ma sempre senza affrontare davvero la questione della storicità degli affetti e, soprattutto, senza mettere in discussione la certezza della loro immutabilità. Duplice è la sfida che si presenta allo storico oggi: da un lato, proporre un’alternativa alla grande narrazione del processo di civilizzazione, senza rinunciare a una sorta delle emozioni sui tempi lunghi. Dall’altro iscrivere questa storia in una realtà fortemente culturale. Il vocabolario delle emozioni medievali è diverso dal nostro. Il termine “emozione” è assente nel vocabolario medievale. Questo libro presenta una storia culturale dell’affettività nell’Occidente medievale. In esso si riafferma l’importanza primaria delle emozioni nella storia, tracciando al contempo il percorso affettivo del millennio medievale. Questa storia è una storia culturale, dal momento che noi consideriamo l’emozione quale emerge dai testi e dalle immagini come l’opera della cultura medievale. Il nostro sguardo valorizza la dinamica cristiana. Le fonti più numerose e diversificate degli ultimi secoli del Medioevo consentono di aprire una finestra sulle emozioni delle popolazioni senza nome, particolarmente nelle città, mostrando non soltanto la diversità delle culture emozionali, ma soprattutto la questione dell’uso delle emozioni nelle relazioni sociali. CAPITOLO PRIMO: LA CRISTIANIZZAZIONE DEGLI AFFETTI (SECOLI III-V) La concezione medievale delle emozioni e della vita affettiva in occidente è stata elaborata tra III e V secolo. I primi secoli di elaborazione del pensiero cristiano hanno avuto un peso considerevole, grazie all’affermarsi della Vulgata, versione latina della Bibbia tradotta da san Girolamo, e alla posizione di autorità dei teologi e filosofi. Nel corso del Medioevo il pensiero dei Padri della Chiesa è stato reinterpretato: seguiremo le trasformazioni di questo pensiero cristiano delle emozioni. TEOLOGIA DELLE EMOZIONI 1) Un Dio sensibile. La Bibbia è ricca di emozioni di ogni genere e intensità. Nella Bibbia Dio non è né insensibile né impassibile: esprime il suo sdegno, la sua ira, la sua misericordia e commozione. Nel Dio uomo, Gesù, le emozioni sono segno della sua umanità. Egli prova tutte le emozioni virtuose e, una volta resuscitato, prova emozioni in forma non carnale. Il primo e principale comandamento dei Vangeli è l’amore, verso Dio, verso sé stessi, verso il prossimo e verso i nemici. Questo amore assume la forma della “caritas” (dal greco agàpe: attaccamento misurato e disinteressato, che coinvolge tutto l’essere e che vuole espandersi per assicurare il bene proprio e altrui), contrapposto all’amore come “amor” (dal greco eros: tensione desiderante, brama insopprimibile di possedere un bene, spirituale o materiale, violenta). I teologi dei primi secoli usarono il termine “dilectio” per esprimere l’amore dello spirito e dell’anima, molto vicino alla “caritas”. Tale dovere d’amore sembra in grado di sostituirsi alla Fides (fiducia nella parola e nella legge) romana: la fiducia diventa fede e si apre all’amore. Dio non è solo capace di emozioni, egli è la forza affettiva dell’amore. 2) Quando l’ira di Dio è prova della sua esistenza. I teologi latini dei primi secoli avevano una solida cultura classica: la teologia cristiana si è nutrita della cultura pagana e dell’eredità filosofica greco-romana. Per questa tradizione, un Dio capace d’ira è un non-senso. L’ira è una passione, uno stravolgimento della razionalità. Dio è per natura privo di passioni: teoria dell’”apatheia” divina, l’impassibilità che i latini chiamano “tranquillitas”, la tranquillità dell’anima. Tuttavia, non bisogna confondere l’impassibilità, intesa come assenza di passioni, con l’insensibilità, intesa come capacità di provare emozioni. I teologi greci non si distinguono dalla tradizione stoica: professano l’impassibilità divina, vedendo nell’agàpe manifestazione della libertà e nell’ira la funzione di ammaestramento. I teologi occidentali, invece, prendono le distanze dai filosofi classici: secondo Tertulliano l’ira è espressione della potenza, della giustizia di Dio, della bontà divina, si unisce alla caritas; Lattanzio, che ha insegnato presso la corte di Diocleziano, scrive il “De ira Dei”, incentrato sulla questione dell’impassibilità divina. Afferma che l’ira non è perturbazione di giudizio, ma prova di misericordia divina. Sostiene inoltre che “Dio non esiste se non è mosso da alcuna cosa”: l’emotività di Dio è condizione della sua stessa esistenza. Epicuro concepisce un Dio immobile e indifferente, che però, così, non potrebbe esercitare la provvidenza, e gli stoici professano un Dio benevolo, senza collera. Ma senza odio per i cattivi, non si possono amare i buoni. Le emozioni vanno considerate come moti della volontà: di fronte ad esse il saggio cristiano deve interrogarsi sulle loro origini, per sapere come usarle correttamente e a quale fine. In questo modo vengono restituite alla razionalità. 3) La colpa e il castigo. Il peccato originale va a turbare la riconciliazione dell’uomo con la sua parte affettiva. Agostino insiste su questo. Con l’atto di ribellione, Adamo ed Eva che credono cioè di poter mettere la propria volontà sullo stesso piano di quella divina, l’uomo si ritrova condannato a non essere più padrone di sé stesso, scisso interiormente tra volontà carnale e spirituale. La volontà carnale (“voluntas carnalis”) designa tutti gli slanci dell’anima che trovano la loro origine nella carne e la carne è tutto ciò che allontana l’uomo da Dio, dallo spirito. Questa diviene debolezza di tutta l’umanità. Tuttavia è l’anima a essere responsabile del peccato, non il corpo: i desideri che lo attraversano vengono dall’anima. Da qui il termine “concupiscenza”, citato dal vescovo di Ippona: ogni forma di desiderio e ogni slancio dell’anima orientato verso la carne. Benché la natura delle emozioni sia neutra dal punto di vista morale, è chiaro che la maledizione che grava su di esse (in quanto legate al corpo e agli impulsi più primari) è di propendere più spontaneamente dal lato della volontà carnale che da quello della volontà spirituale. Perciò diventa necessario sottomettere le passioni alla misura e al limite della mente perché siano volte a vantaggio della giustizia. 4) Un nuovo regime di umanità. Considerando Adamo ed Eva, dopo la caduta essi si vergognano di essere nudi, questo accade perché nel momento stesso in cui subiscono il castigo della concupiscenza, ricevono anche la capacità di distinguere il bene dal male. È attraverso un’emozione che si prendono coscienza della gravità del loro atto e delle loro conseguenze. È quest’emozione la condizione del riscatto dell’uomo, arma contro la concupiscenza. Con il peccato si perde la capacità di non essere turbati dalle passioni, ma si conserva la capacità di non peccare. La vergogna rimane un valore centrale nella lotta contro il peccato, nella forma del pentimento e della moderazione, del pudore. Agostino si serve di un’emozione per restituire speranza alla creatura decaduta. La parte emozionale dell’uomo, quindi, ha funzione cognitiva e morale. I Vangeli ponevano le emozioni a fondamento della religione cristiana, in nome dell’amore ma anche di una comprensione verso le sofferenze di Cristo sulla croce, e i teologi della tarda antichità chiamano Dio “amore” e affermano che l’umanità è salvata dalla forza di un sentimento. La speranza di una piena riconciliazione tra emozione e ragione è offuscata dal vortice destabilizzante che segue il peccato originale. La potenza affettiva è per ogni uomo il baricentro del suo destino e nel Medioevo l’uomo cristiano sarà dotato per forza di emozioni. CAPITOLO SECONDO: LA CITTA’ DEL DESIDERIO: IL LABORATORIO MONASTICO (SECOLI V-VIII) Sono i monaci, inizialmente in Oriente e poi in Occidente, a mettere alla prova le contraddizioni dell’universo emozionale cristiano, attraverso un’introspezione continua e nuove forme di relazione con il corpo. L’anima sensibile diventa il vero essere. IL DESERTO: DALLE CURE DEL CORPO ALLE CURE DELL’ANIMA L’ascetismo cristiano ha origine nel I secolo nelle valli desertiche dell’Egitto e della Siria. Qui, tra la fine del III ed il V secolo si elaborano modelli di vita monastica. I primi monaci, dopo la minaccia della carestia in Egitto, si erano ritirati nelle zone più ostili, nel deserto. Qui la rinuncia al mondo prende la forma di rifiuto delle costrizioni sociali, associato ad una guerra contro i bisogni del corpo: la vita ascetica. Uccidere il corpo ed i suoi bisogni più impellenti era la cura principale. Di qui deriva l’esercizio spirituale e affettivo che definisce l’atmosfera del monachesimo: il lutto e la meditazione sulla morte. Il lutto diventa lo stato d’animo ideale della scelta, al punto che la vita del monaco prende la forma di una vita di lutto. La moderazione deve essere anche affettiva: bisogna esaminare se le emozioni spingono verso le virtù o verso i vizi. 1) I cattivi pensieri di Evagrio Pontico. Evagrio Pontico ha dato struttura agli insegnamenti spirituali e affettivi del monachesimo. Il monaco deve raggiungere l’apatheia, il distacco dalle passioni, per avvicinarsi a Dio: egli diviene così uno gnostico, un uomo che accede alla scienza spirituale e può dunque elevarsi, attraverso i diversi gradi della contemplazione, fino alla preghiera pura e alla visione della luce divina. Pertanto il monaco in cerca della virtù deve dominare il proprio corpo attraverso l’esercizio. Al termine di questo conflitto, la parte intellettuale dell’anima umana può unirsi a Dio attraverso la conoscenza. Per arrivare a lui, il monaco deve cercare la purificazione. L’autore studia la tattica dei demoni, ovvero i cattivi pensieri, primi moti delle passioni. Essi sono otto e i vizi che ne discendono agiscono come personificazioni del demonio (gola, lussuria, avarizia, tristezza, ira, accidia, vanagloria e orgoglio), che si attaccano ad una parte determinata dell’anima. Il monaco può agire contro di essi: è l’assenso che crea il vizio e la passione associata. I rimedi vanno trovati nella pratica, nell’esercizio quotidiano della vita monastica. Pensieri ed emozioni si ritrovano qui indistinti: liberato dalle passioni, egli potrà dedicarsi alla parte più razionale della sua anima, l’intelletto, al fine di unirsi a Dio. 2) Cassiano: dalla carità all’amicizia virtuosa a fondamento della comunità. È Cassiano a dare un’armatura spirituale al monachesimo ascetico che nasce in Egitto all’inizio del V secolo. Nelle “Istitutiones” regolamenta la vita quotidiana del monaco e sviluppa l’insegnamento di Evagrio sugli otto pensieri, divenuti vizi capitali, che non precedono più il peccato ma ne sono l’essenza. I peccati sono legati alle emozioni e ciò consente l’incontro con l’antropologia agostiniana. Parla inoltre delle difficoltà della vita monastica, per le quali vengono indicate le virtù monastiche, come la carità. Secondo Cassiano, la conversione del corpo e dello spirito sono anche una conversione affettiva. L’affettività disposta alla spiritualità può assumere un ruolo crescente nel cammino della salvezza: l’uomo viene investito da una nuova sensibilità d’origine divina. Quintessenza della carità è l’affezione dell’amicizia: la vera amicizia per Cassiano è quella in cui l’amico aiuta nell’ascesi, a perseverare nella virtù, ed è quindi condizione dell’armonia claustrale e della tranquillità dell’anima. Questa pratica virtuosa dell’amicizia ha come frutto l’affectio. La solitudine eremitica rimane l’orizzonte spirituale privilegiato, ma l’amicizia è portatrice di una sua specifica perfezione. La vita monastica costituisce l’ambito privilegiato di questo modello di amicizia. LA CONVERSIONE AFFETTIVA DEL MONACHESIMO OCCIDENTALE 1) Norme monastiche per convertire l’affetto. L’esperienza monastica, nata in occidente nel IV-V secolo, è legata a figure carismatiche ascetiche, quindi temuta dalla Chiesa. Ciò fa sì che nasca una legislazione monastica. Agostino tra il 395-400 redige una regola e delle istruzioni di un monachesimo fortemente segnato dall’ascetismo orientale. Il fenomeno diventa popolare tra il V ed il VI secolo e sorgono un’abbondanza di regole, tra cui quella di Benedetto da Norcia, in parte sintesi di quelle precedenti, per il monastero di Montecassino. Queste regole occidentali parlano delle condizioni di ingresso nella comunità dell’organizzazione della giornata e del comportamento che il monaco deve tenere. Lasciano poco spazio all’affettività dei monaci: i contatti con la famiglia d’origine sono ridotti al minimo e quelli con le donne completamente vietati. Scrive Benedetto, inoltre, che la relazione tra monaci deve essere subordinata all’affetto diretto verso il cielo, alla devozione, che è condizione stessa del legame orizzontale tra monaci. Essi non devono distrarsi insieme: la tristezza secondo Dio e il lutto spirituale, le lacrime, sono obbligatori per evitare le risate impudiche. La gioia ha ragione solo verso Dio. Altre due regole di grande successo sono quelle del monaco irlandese Colombano, che hanno successo in Gallia verso la fine del VI secolo. Egli prescrive una vita monastica assimilata al martirio, un’ascesi delle più rigide. Le uniche emozioni di cui tratta sono il timore e l’amore perpetuo, perfezioni monastiche che discendono dalla scelta della povertà. Codifica, inoltre, le punizioni per le varie malefatte che potrebbero essere commesse nel monastero (castighi corporali per lo più). All’umanesimo monastico che si afferma in Italia e in Provenza, che propone l’approccio affettivo a Dio, si contrappone questo monachesimo austero in Irlanda, che punta a disciplinare i corpi e si mostra poco interessato alla vita affettiva e spirituale dei monaci. Quello che si affermerà sarà un monachesimo più dolce e flessibile, più attento soprattutto alla vita intima e affettiva, soprattutto dopo che la riforma carolingia nel IX secolo eleva la Regola di San Benedetto a unica regola in uso nell’impero. 2) Gregorio Magno o l’emozione sacrificale. Gregorio Magno propone una sintesi tra Agostino e Cassiano, aggiungendo una dimensione sacrificale e sacramentale. Per Cassiano la conversione affettiva del monaco prende la strada dell’apatheia, per Agostino le emozioni devono essere indirizzate. Gregorio vede le emozioni come un male da dominare asceticamente e da orientare verso la salvezza. Elabora la lista dei sette pensieri, che diventano i sette peccati capitali (vanagloria, invidia, ira, tristezza, avarizia, gola, lussuria, superbia). La dualità corpo-anima trova unione nell’uomo per miracolo di Dio. L’uomo si trova infatti in una guerra interiore costante e il ruolo del percorso ascetico è quello di portare la pace: l’unione mente-corpo, dato che è miracolo di Dio tramite l’incarnazione e la passione, è possibile solo attraverso il sacrificio, che permette un’unione con Dio nell’amore. Il movimento di congiungimento si realizza dunque imitando Cristo. Per unirsi a Dio servono il momento del timore, l’allontanamento dalle cose terrene e il movimento dell’amore, desiderio di Dio: l’emozione, grazie alla forza trasformatrice del sacrificio, può disporsi alla carità. LA PROMOZIONE DELLE EMOZIONI CELESTI 1) Diffusione della sensibilità cristiana. È complicato stabilire fino a che punto il modello dei Padri della Chiesa si è diffuso nella società dell’alto Medioevo. Ciò dipende dall’influenza degli ambienti monastici. Colombano in particolare influenza prima l’Austrasia e poi, una volta cacciato da qui, la corte di Neustria, nel VII secolo, dove nelle corrispondenze tra chierici si trovano sentimenti religiosi. Le emozioni sociali che stanno per diventare vizi nella cultura medievale (ira, odio) svolgono sempre un ruolo essenziale, ma il tono cambia. È soprattutto nell’epoca carolingia che si ha una diffusione della cultura cristiana dell’affettività fuori dal monachesimo, nelle alte sfere della società laica, che viene istruita. 2) Nuovi gesti della devozione laica. La diffusione della sensibilità cristiana si fa sentire tra VIII-IX secolo nella trasformazione di liturgia e preghiera. La liturgia testimonia come sia cresciuta l’attenzione verso una relazione affettiva e personale con Dio, sentimento tenero e umile, di pentimento e timore. Il sacramentario gregoriano contiene due messe di supplica di lacrime, due di purificazione del cuore e due per l’umiltà e la pazienza. Dall’VIII secolo si diffondono “libelli precum”, libretti di preghiera meditativa, d’origine anglosassone, testimoni di un cambiamento di relazione intima, affettiva e interiorizzata con Dio. Sono manuali pratici per santificare la vita quotidiana, che inculcano la coscienza dei peccati ed il bisogno di pentirsi; fanno appello alla fede nell’amore divino. Sono composti su richiesta dei grandi laici, sensibili alla questione della salvezza (preghiera in forma di confessione)  autentica relazione affettiva tra chi prega e Dio. 3) Insegnamento morale. In epoca carolingia la riflessione su vizi e virtù si diffonde al di là dei mondi dei chierici. Verso l’801-804 Alcuino prepara per Widone, conte della marca di Bretagna, un trattato di morale cristiana per la vita quotidiana, prova della cristianizzazione della vita quotidiana e dei costumi. Era iniziata la moralizzazione dell’élite laica. Per Alcuino la conversione degli affetti è il punto principale della conversione dei costumi raccomandata al conte. In epoca carolingia c’è fluidità di confini tra laici colti e chierici, perché il progetto dei Carolingi mirava, attraverso la cristianizzazione, all’unificazione dell’impero nella marcia verso la salvezza. IL PROGETTO DI SOCIETA’ CAROLINGIA: L’UNITA’ NELL’AMORE Alcuino vive nella corte carolingia per lunghi anni ed è influente in quanto precettore della famiglia reale. Nelle sue lettere si legge un legame affettivo intenso, che è cruciale nei legami sociali cristiani, modellati a immagine dell’amore tra Cristo e i discepoli. Le Lettere devono esprimere l’amore-affetto e incoraggiarlo nei rapporti. Egli vive nel 793 il sacco di Lindisfarne da parte dei Vichinghi: l’affetto cristiano diventa il fondamento di una nuova società nella prospettiva di una fine del mondo immanente. Carlo Magno nell’801 viene paragonato da Alcuino alla figura di Davide e a quella di Cristo, diventando un re-sacerdote che lavora per la cristianizzazione del mondo, quindi per la pacificazione sotto la protezione divina. Il termine “ecclesia” non designa né un dominio separato né la chiesa universale, ma viene identificato con lo stato carolingio e, sotto il governo di Carlo, con il popolo cristiano. Il termine “Christianitas” diventa sinonimo di occidente cristiano. Christianitas e Pax esprimono questo progetto di società cristiana in cui il cemento è la caritas. CAPITOLO QUARTO: L’APOGEO DELL’AFFETTO MONASTICO (SECOLI XI-XII) Il mondo monastico, unificato dalla riforma carolingia, svolge un ruolo fondamentale nel gestire il momento di transizione tra ordine imperiale e feudale, in un momento di assenza di poteri laici e faide. I monaci hanno un progetto di riforma del sé e della società, soffocando la violenza tramite l’affetto e la pace come cemento sociale. Intorno all’anno Mille inizia a fiorire una sensibilità monastica che riconosce l’espressione delle emozioni, sia rispetto a Dio sia nelle relazioni umane. La rinascita del XII secolo sarà frutto di questa lunga maturazione dei secoli precedenti. ALLE ORIGINI DEL RINNOVAMENTO AFFETTIVO 1) Un eremitismo compassionevole. Il rinnovamento monastico privilegia le personalità carismatiche in grado di cerare e guidare intere comunità. Gli eremiti del periodo sono spesso uomini molto attivi nella società: Romualdo da Ravenna resta vicino ai grandi del suo tempo, come Ottone III e il re Enrico II. Ovunque stabilisca un eremitaggio, viene seguito dalla folla e non può rinunciare alla comunità, alla cura delle anime, alternando momenti contemplativi ed episodi attivi. Pier Damiani ne scriverà la biografia, descrivendo come egli si rivolga intimamente ad un Gesù umano, su cui si può contare, con cui ha un forte legame affettivo. Questo lo porta alle lacrime ed alla comprensione dei misteri della Scrittura. 2) Il privilegio dell’amore: l’affetto fraterno di un’élite ascetica. Bruno di Querfurt scrive di Romualdo nella “Vita Quinque Fratrum”, in cui parla della comunità di coloro che lo seguono, caratterizzata da un legame d’amore e dall’unione nella virtù, nella scelta della solitudine e del forte desiderio di martirio eroico presso i pagani dell’Europa orientale. La tenerezza è tale che Romualdo si trova accusato di rapporti carnali con un giovane monaco (ciò è riportato da Pier Damiani), ma ciò è autorizzato perché si tratta di una scena di separazione di due fratelli che hanno condiviso la quotidianità. Romualdo ed i suoi discepoli vogliono sia convertire i pagani sia riformare i costumi dei cristiani. Per loro la riforma della Chiesa comincia dalla riforma di sé, radicando la Caritas nell’umiltà di una severa penitenza. 3) La riforma affettiva del monachesimo e della Chiesa. Guglielmo da Volpiano e il discepolo Giovanni arrivano nel 1001 a Fécamp, in Normandia. Giovanni è nominato abate nel 1028 e deve radicare la riforma intrapresa a Fruttuaria e a Digione. Il suo è un monachesimo affettuoso scevro dell’eroismo di Romualdo. Giovanni si richiama alla penitenza, cercando di commuovere il lettore con l’immagine di miserie che aspettano colui che dorme nelle delizie temporali e non si dedica alla propria salvezza. Nella “Confessio Theologica” segue un movimento in tre tempi, secondo il piano cronologico dell’opera divina: creazione, incarnazione e ritorno nel seno del padre. L’incarnazione e la passione sono vissuti in maniera nuova, con dogmaticità e affettività. La carne non è più peccatrice nelle mani di Giovanni: l’uomo porta in sé la carne di Dio come Dio portava in sé la carne dell’uomo, e per questo l’uomo è beneficiario di Redenzione in quanto membro della chiesa. La sua parola è collettiva e comunitaria. L’amore è un’emozione che unisce Cristo a ogni membro della chiesa, unione che si realizza attraverso il dono divino delle lacrime, con le quali si ha una trasformazione interiore. L’amore dà vita alla chiesa, la unifica e la incarna in ogni fedele. Nel sacrificio delle lacrime viene condiviso l’amore divino. 4) L’amicizia come pratica di conversione in Anselmo di Canterbury. Anselmo nasce nel 1033 ad Aosta, nel 1060 si reca in Normandia nel monastero di Bec e nel 1093 diventa arcivescovo di Canterbury. Di lui si considererà la concezione dell’affettività nella spiritualità e nella vita monastica. Anselmo definisce “affectio” come la base della volontà, che opera pienamente quando la ragione acconsente al movimento. L’affetto diventa impulso della volontà, strumento per la salvezza, forza di conformazione al divino per eccellenza. Nella conversione degli affetti risiede la strada verso la beatitudine della presenza divina. L’amore per il prossimo viene ricollegato alla passione di Cristo. Nelle sue lettere un ruolo centrale è dato alla riflessione sull’amicizia spirituale: il tono d’intensità affettiva dell’amicizia è espressione della relazione spirituale privilegiata in seno alla comunità monastica. L’affetto mantiene unità nella comunità. Inizialmente l’amicizia è visibile solo nella lontananza e le lettere sono accompagnate da regali. Anselmo trasferisce negli affetti tra monaci l’intensità emotiva che caratterizzava soprattutto la relazione personale con Dio. L’amore dell’amico è l’amore di Cristo nell’altro. L’amicizia è la parte intersoggettiva di un processo di conversione delle emozioni, le cui parti individuali sono preghiera e meditazione. CAPITOLO QUINTO: ETICA ED ESTETICA DELLE EMOZIONI ARISTOCRATICHE NELL’ETA’ FEUDALE (SECOLI XI-XIII) Tra IX e XII secolo si ha lo sfaldamento del progetto imperiale e l’emergere di un ordine politico su scala ridotta nel contesto del feudalesimo. Ciò pone i legami personali e il registro affettivo al centro del regime di governo. Il legame affettivo contiene una dimensione politica e i rapporti d’alleanza vengono formalizzati sul piano affettivo. Alla fine dell’XI secolo emerge la letteratura di corte, legione di emozioni. Essa è dispositivo al centro della vita sociale. L’ORDINE AFFETTIVO DEL FEUDALESIMO 1) Una società dello spettacolo. La poesia cortese, nata per essere cantata pubblicamente, viene accompagnata da una musica strumentale. Nella corte la prossimità fisica, la dimensione associativa, garantisce l’impegno di fedeltà e servizio. Forma pubblica ed espressione fisica dei legami politici sono quindi le condizioni della loro efficacia. Le melodie modali sono associate a valori morali e affettivi. Nelle performance musicali del canto di corte, la comunità cortese è tenuta insieme dall’emozione poetica e musicale. Nella lirica cortese veniva consolidato il senso di appartenenza ad una medesima comunità e l’emozione lirica esisteva solo in quanto performance. 2) Le rivoluzioni dell’amore. Gli specialisti del Medioevo si sono interessati alla questione affettiva soprattutto per quanto riguarda l’amore cortese che caratterizza la letteratura del XII secolo, negli amori leggendari di Tristano e Isotta e Lancillotto e Ginevra. Il “De amore” di Andrea Cappellano costituisce un tentativo nel XII secolo di teorizzare l’amore cortese: parla della natura dell’amore, ma nel terzo libro consiglia di non servirsi di tale manuale. Gaston Paris è il primo reale teorizzatore di amore cortese nel 1880. L’amor cortese è un dispositivo amoroso tra una donna d’alta nobiltà e un cavaliere, una relazione adultera al cui centro sta il desiderio, raramente appagato. La fin’amor è l’ideale di armonia amorosa raggiunta al termine di un cammino d’emozioni in cui lo spasimante si tramuta in supplicante fino alla ricompensa dell’abbraccio. Nella sensibilità affettiva sono sottolineate la misura (“mezura”), l’uso armonioso e controllato delle emozioni, la gioia (“joy”), speranza di ogni amante, e la (“delectatio”) morosa, forma di piacere che nasce dall’anticipazione di un piacere sperato, in cui l’immaginazione gioca un ruolo fondamentale. La dinamica del piacere nel desiderio è centrale nella cultura medievale, anche nel desiderio verso Dio. La letteratura volgare riflette una preoccupazione senza precedenti per la “coppia amorosa”: si assiste all’emergere di una nuova immagine della relazione affettiva uomo-donna. LA COPPIA AMOROSA E IL SUO DOPPIO 1) La naturalizzazione dell’amore. La fin’amor è un modello amoroso che si applica solo alla coppia uomo/donna, ma che tuttavia stabilisce un triangolo amoroso con il marito, in cui quindi servizio d’amore e servizio vassallatico si confondono. Viene comunque messa in primo piano la coppia eterosessuale e la donna può essere premio di una competizione affettiva tra maschi. Novità di questo modello è l’aver fatto convergere vero amore e piacere sessuale: esso non solo non è più ostacolo alla dilectio ma ne è il coronamento. Con l’esaltazione della coppia eterosessuale inizia un lento discredito delle effusioni tra uomini. L’omoaffettività aveva una tradizione nella cultura latina medievale e l’amicizia tra uomini era un legame politico, religioso e affettivo. La letteratura volgare dei secoli XII-XIII trabocca di coppie di uomini votati a un amore profondo. In questo elogio dell’omoaffettività aristocratica, in cui gli affetti sono efficaci nella comunicazione sociale, la sessualità non ha posto. La repressione delle pratiche omosessuali non è però stata una priorità delle autorità prima della fine del XII secolo. 2) L’impossibile innamoramento degli amanti dello stesso sesso. Verso il XII secolo si ha un irrigidimento delle autorità verso il vizio della sodomia, tutte quelle pratiche sessuali non mirate alla procreazione. Pier Damiani è il primo a denunciare le pratiche omosessuali, collegando sodomia, eresia e la nozione di contro natura. Afferma inoltre l’idea che i sodomiti formino delle comunità organizzate e solidali. L’accusa di sodomia diventa sempre più frequente e viene considerata sia eresia contro le leggi naturali sia lesa maestà, contro la sovranità. Nel frattempo la Chiesa medievale ha conquistato il controllo spirituale dell’istituzione matrimoniale. Viene introdotto il matrimonio come sacramento, strumento di efficacia simbolica, in cui si ha un incontro inedito tra sessualità e spiritualità: l’atto sessuale è un elemento di convalida del matrimonio. Se nelle coppie eterosessuali avviene un avvicinamento tra affettività e sessualità, questo potrebbe avvenire anche nell’omoaffettività, ma tale incontro non è possibile e quest’ultima finisce per essere screditata. Nel giro di un secolo il giudizio sociale si ribalta e due giovani che si amano sono sospettati di essere sodomiti. Questo processo è amplificato dalle trasformazioni delle strutture politiche, non più feudali, quindi basate su legami d’amicizia e vicinanza fisica, ma monarchiche, fondate su valori gerarchici. Il momento cortese ha incidentalmente posto l’omoaffettività sotto il segno della diffidenza e condannato le coppie dello stesso sesso al segreto e marginalità, privandole di una cultura amorosa. EMOZIONI LETTERARIE E VALORI ARISTOCRATICI 1) Emozioni epiche. Esiste una vasta gamma di emozioni letterarie. Le emozioni degli eroi cortesi cantano i valori della società feudale. La letteratura epica è una cassa di risonanza dei valori di corte, usati in modo idealizzato in società, come le emozioni. Concentrandocisi sull’eroe epico, si può parlare di paura epica. La paura ha varie funzioni: può essere didattica nella misura in cui rappresenta un contro-valore, quando sottolinea la debolezza morale del traditore, o può richiamare l’umanità dell’eroe. È un segno del valore morale dei personaggi e spinge all’azione. Altra emozione centrale è l’ira, che ha la funzione di far partire l’azione o tradurre le tensioni politiche. Le emozioni letterarie, oltre ad avere una funzione estetica, sono anche rivelatrici delle aspirazioni sociali. 2) Sguardo sull’altro, sguardo dell’altro: la gelosia e la vergogna. Altra emozione tipica della letteratura romanza è la gelosia, che introduce un personaggio specifico, il “gilos”. Essa può toccare qualunque personaggio, ma il più comune è il marito, che viene ridicolizzata. Andrea Cappellano parla di una forma di gelosia indispensabile nell’amore cortese, lo zelo, forma biblica di ira, ardore e fervore. La gelosia negativa per eccellenza è l’invidia. La gelosia nel contesto cortese, che si basa sulla fedeltà, la prodigalità, la virtù dell’amore, è sintomo di un declino di valori, un attacco alla mezura, l’armonia degli affetti, e una perdita di fiducia dei cavalieri-vassalli e la debolezza del sovrani-sposi. È presente, inoltre, la vergogna, legata al subire una riprovazione sociale o al timore di essere esposto, che funge quindi da motore dell’azione. Ne abbiamo esempio in Lancillotto, che per avere notizie di Ginevra deve accettare di prender posto su una carretta. Preso dalla vergogna, Ragione e Amore rappresentano due modi di valutare la scelta dell’azione, il primo basato sul conformarsi ai comandi dell’onore, il secondo proponendo una risposta trasgressiva; ma entrambi sono dotati di una loro razionalità. È l’emozione a determinare la scelta morale: è l’emozione a legare il corpo all’anima. Il sapere medico nel frattempo si volgarizza: si stendono trattati d’igiene e di cura, i Consilia, che si basano sulla teoria delle sei cose non naturali. 3) Rimedi alla melancolia. Nella medicina ippocratica la melanconia dipende da una sovrabbondanza di bile nera che può esser fonte di molti mali, quali tristezza eccessiva e insonnia. Nell’alto Medioevo è stata nominata accidia. La melanconia malattia torna con la traduzione dei testi medici di Costantino Africano e il discorso medico si fa più autonomo rispetto a quello religioso. I rimedi proposti sono il cambio di regime alimentare, fuggire le emozioni violente e i pensieri cupi, circondarsi di amici piacevoli e ascoltare musica. Può prendere la forma di mal d’amore, teorizzato da Costantino Africano e collegato alla malinconia. In medicina questo male prende il nome di amore eroico. Ha duplice causa, fisiologica (eccesso di bile nera) e psicologica (quando i pensieri amorosi diventano ossessivi). Si tende a una lettura sempre più fisiologica, in nome di uno stretto legame tra vita organica e psichica e a una tendenza a incorporare le emozioni. Subordinando l’equilibrio delle emozioni a uno stile di vita costoso i medici contribuiscono a stabilizzare gli stereotipi sull’instabilità emozionale della gente comune. L’ANTROPOLOGIA MONASTICA DEL XII SECOLO: LE SFIDE DI UNA PSICOLOGIA SPIRITUALISTICA 1) L’affetto come potenza dell’anima. Nel XII secolo, tra i monaci cistercensi si sviluppa una scienza dell’uomo che tiene insieme la riflessione filosofica sull’anima e la prospettiva di destino spirituale. Guglielmo di Saint-Thierry, Aelredo di Rievaulx e Isacco della Stella hanno il merito di integrare l’affettività nelle facoltà dell’anima, che dividono in tre parti (razionale, concupiscibile e irascibile). Ripartiscono poi i 4 affetti di origine stoica nelle tre parti dell’anima (gioia, speranza, dolore e timore). Per Aelredo l’affectus è l’inclinazione dell’animo verso qualcuno, un impulso (“impetus”). Offre una tripartizione alterativa dell’anima tra affetto, volontà e ragione, ponendo così la concorrenza tra affetto e volontà. Esistono amori secondo la sola ragione e amori secondo la sola emozione. Dà autonomia alla sensibilità appetitiva dell’anima, ma nel frattempo riproduce uno schema binario nella dinamica dell’anima. 2) Nella buona e nella cattiva sorte: l’unione affettiva di anima e corpo. L’uomo è composto da due sostanze distinte, anima e corpo, che costituiscono un’unità naturale. Per spiegare tale unione i cistercensi esplorano diverse piste, tra cui usare la facoltà affettiva come forma di associazione: le facoltà corporali superiori sarebbero a contatto con le facoltà spirituali inferiori, che hanno bisogno delle funzioni corporali. Guglielmo di Saint-Thierry scrive un trattato sul corpo e sull’anima affrontando le passioni nella seconda parte, ma attribuendole sia all’anima sia al corpo. Intende la passione come capacità di capire, come ciò che connette l’anima al corpo. Distingue poi passioni della carne e dello spirito. Con questo primo passo di apertura verso il corpo si inizia a rovesciare la concezione classica di passione come perturbazione della ragione e della volontà, intendendola come forza costitutiva della natura umana. VERSO UNA SCIENZA UNIVERSALISTICA DELLE PASSIONI DELL’ANIMA NEL XIII SECOLO Esistono due generi fondamentali di discorso psicologico nel Medioevo: uno spirituale, dove le emozioni sono connotate moralmente, e uno scientifico, in cui sono inserite in una riflessione sulla natura umana. Non si può parlare di un passaggio dal primo al secondo discorso perché le riflessioni morali dei padri della chiesa si fondavano sul sapere medico e lo sviluppo del pensiero naturalista di fine XI secolo non esclude la riflessione morale. I trattati sull’anima dei cistercensi rappresentano un punto d’equilibrio. Alla fine del XIII secolo ci sarà una nuova riflessione grazie alle traduzioni di Aristotele e agli scritti di Avicenna. Tra fine XII e metà XIII secolo si viene a costituire una scienza delle emozioni che mantiene spiritualità e medicina. 1) Le emozioni e la persona umana all’inizio del XIII secolo, tra psicologia e morale. La scienza scolastica delle emozioni nel XIII secolo rientra nella psicologia delle facoltà, che fa dipendere i fenomeni psichici dalle facoltà dell’anima. Permane un forte orientamento morale. Un certo numero di trattati di psicologia si interessa alla classificazione delle emozioni, intese come azioni della facoltà estimativa nella prospettiva di Avicenna. Nel trattato anonimo “De origine virtutum et vitiorum”, le passioni sono moti di una delle quattro facoltà spirituali. Le passioni della vitalità e le azioni della volontà condizionano i moti dell’anima che portano alle virtù. L’affectus è una delle forze della carne che trascina verso i vizi. Guglielmo d’Alvernia non perde di vista la missione pastorale. Le emozioni sono manifestazione della facoltà motrice che ordina, mentre la volontà dirige ogni moto dell’anima. Nell’emozione c’è dunque una dimensione passiva, reazione alla stimolazione esterna, e una attiva, dato che il desiderio viene portato alla volontà. In questo processo la passio si trasforma in affectus. Le virtù e i vizi sono habitus, affetti divenuti disposizioni permanenti. Il carico affettivo quindi non viene meno nell’habitus. Egli riflette sulla confessione, in particolare sulla fase iniziale di contrizione, dove esiste la vergogna. Per i confessori diventa quindi una sfida far sì che la vergogna virtuosa diventi permanente, essendo fondamento di virtù. 2) Giovanni della Rochelle, la svolta dell’antropologia scolastica. Giovanni della Rochelle, esponente della scolastica francescana, elabora una psicologia sistematica delle emozioni nella prima metà del XIII secolo, che influenzerà anche Tommaso d’Aquino. Nel “Summa de anima” espone la teoria dell’anima secondo Agostino, Giovanni Damasceno e Avicenna, integrando il sapere medico. Formalizza la concezione dell’emozione come atto della facoltà appetitiva accompagnato da modificazioni corporali. L’opera è divisa in tre parti, dedicate al re come persona privata, come capofamiglia e come capo della comunità (Aristotele, ordini: etica, economia e politica). Nel definire i criteri con cui le azioni verranno giudicate, inserisce il sostegno delle passioni, oltre che la qualità degli obiettivi scelti e l’acquisizione delle virtù. Il corpo naturale del re è intrinsecamente connesso al corpo sociale. Al vertice delle passioni, che per l’autore sono dodici, si trova l’amore, “primus motus”, passione primaria che può diventare virtù ed è fondamento dell’arte di governare. I re devono essere consapevoli di questi moti e cercarli in funzione delle circostanze con misura. Le virtù sono preliminari alla capacità di governare. L’emozione è indicatore morale (l’emozione indica al principe la direzione in cui il suo comportamento lo sta portando, egli può giudicare se fa il bene del regno o no), fondamento di virtù o vizio, buona o cattiva consigliera, stimolo all’azione. Il suo testo influenza trattati di morale e politica di fine Medioevo, garantendo il passaggio del sapere scolastico delle passioni dalle università alle corti principesche. REGALITA’ SENSIBILE: RITRATTO EMOZIONALE DI SAN LUIGI Re medievale che ha lasciato traccia nella memoria comune grazie alla sensibilità mostrata nel governare: Luigi IX è il re santo descritto da Le Goff come “Il re sofferente, il re Cristo”, che si auto sacrifica. Egli insiste sulla tristezza del re dopo il ritorno dalla crociata del 1254 e la sua vergogna per aver fallito la sua missione di re cristiano. Si interessa alle lacrime del re. Tra gli storici coevi Joinville offre un ritratto emozionale di san Luigi. Egli è particolarmente sensibile all’etica religiosa e alla difesa della fede, spesso problemi di morale religiosa suscitano in lui reazioni impulsive, come l’avversione al gioco d’azzardo, che egli reputa un’offesa a Dio. La sua collera è conforme a quanto ci si aspetta da un principe, anche se Joinville afferma che si adira troppo facilmente. Il re sa servirsi anche delle emozioni altrui, come della vergogna, per l’esercizio della giustizia. In quattro giudizi di cui è testimone usa una forma d’umiliazione pubblica per suscitare la vergogna riparatrice dell’offesa e restituire l’onore alla vittima. GOVERNARE ATTRAVERSO LE EMOZIONI 1) Ira regis. Nella Bibbia l’ira è uno dei modi in cui può manifestarsi la potenza divina. È l’ira l’emozione regale e principesca per eccellenza. Sin dall’antichità si discute della legittimità dell’ira del principe. I moralisti l’hanno posta infatti sulla lista dei vizi principali: solo quella di Dio è concessa, mentre quella degli aristocratici non è approvata dai chierici. Nel tardo Medioevo con la naturalizzazione delle passioni e la rilettura di Aristotele l’ira viene connessa ai valori marziali, all’audacia e all’impetuosità del guerriero. L’invocazione dell’ira politica si diffonde a fine Medioevo. L’ira è una risposta a qualcosa che viene percepito come un’offesa. Quella buona è suscitata da una causa nobile, si esprime nel rispetto della giusta misura e porta reazioni proporzionate all’offesa. Essa è una reazione politica perché lascia trasparire i valori da difendere e quindi esprime la natura del governo. La funzione politica dell’ira è garantire stabilità e ordine. 2) L’ira come verdetto: l’assassinio di Thomas Becket. L’ira appartiene al governare anche in una dimensione performativa. Quando viene espressa pubblicamente, l’assemblea è avvertita che una persona sta per perdere la protezione del principe. È esemplare il caso dell’assassinio di Thomas Becket: l’arcivescovo di Canterbury si era opposto dal 1164 al controllo della chiesa d’Inghilterra da parte del re e questo, Enrico II, rimproverò i baroni di tradimento per non essersene sbarazzati. Per i baroni era chiaro che l’ira regis aveva tolto al prelato ogni protezione garantita dalla legge. Lo assassinarono nel 1170. Enrico affermò in seguito di non aver voluto la morte dell’arcivescovo: che sia stata una manipolazione consapevole dell’ira regis o un inceppamento di comunicazione, l’episodio è esempio del ruolo delle emozioni del principe in politica. 3) Fare e avere vergogna. La vergogna appare come il contrario dell’ira, associata a una ritirata, una fuga. Entrambe mettono in gioco l’onore. La vergogna è un’emozione insostenibile per un re: si parla di vergogna degli altri, di chi è venuto meno ai propri doveri. Anche la verecondia, emozione di chi teme di essere esposto alla riprovazione pubblica e unica forma lodevole di vergogna, non si addice al re in quanto virtù non virile. L’unico caso in cui un monarca può fare della vergogna uno strumento politico è l’ammenda onorevole. La vergogna fa parte del rituale ed è presente in forma di umiliazione auto inflitta. La vergogna dell’ammenda non annienta l’onore, ma lo ripristina al meglio. Abbiamo l’esempio della penitenza pubblica di Ludovico I il Pio nell’822 ad Attigny e di Enrico II in seguito all’assassinio di Becket. La vergogna penitenziale è strumento indispensabile alla riconciliazione. NEGOZIARE LE EMOZIONI 1) Sovranità e trasformazione degli affetti politici: l’esempio dell’amicizia. Nell’alto Medioevo l’amicizia era strumento fondamentale per garantire stabilità, grazie alla capacità di creare un’uguaglianza simbolica in un rapporto gerarchizzato. Era, fino ai secoli XI-XII, rapporto di vicinanza e promiscuità. Negli ultimi due secoli del Medioevo si rileggono il “De amicitia” di Cicerone e l’”Ethica” Nicomachea di Aristotele e si moltiplicano gli scritti politici che prendono in considerazione l’amicizia. Secondo gli scolastici è la sua natura contrattuale a renderla un valore fondamentale per la società. Tommaso d’Aquino afferma che l’uguaglianza non è conseguenza ma condizione dell’amicizia. L’amicizia non rende uguali, dal momento che essa non esiste se non tra uguali. Alberto Magno afferma che a ciascuno spetta il grado d’affezione e vicinanza che gli è dovuto in base alle differenze sociali. La frequentazione diventa una convivialità proporzionata in base alle posizioni degli amici. Per Alberto Magno, il re non può avere amici, che sono una minaccia per la sua maestà, mentre per Nicola Oresme, in rapporti di familiarità con Carlo V di Francia, il re deve coltivare l’amicizia in quanto agisce per il bene comune dello stato. Alla fine del Medioevo l’amicizia politica non si è quindi privata della sua dimensione affettiva, ma si è avviato un processo di distacco, che si fa sentire anche nei rituali della promiscuità dei corpi. 2) L’emozione come avvenimento politico. Le emozioni accompagnano la comunicazione del principe integrandosi ai codici del linguaggio politico. In ambiti dove l’espressione delle emozioni e il contatto fisico sono fattori importanti in vista dell’accordo, è facile pensare che queste manifestazioni, per quanto ritualizzate possano essere, sono in grado di indirizzare il corso degli eventi. Ne è esempio la trattativa tra Borgogni e Armagnacchi prima della pace di Auxerre del 1412: in seguito al fallito assedio di Bourges Carlo VI e Giovanni senza Paura duca di Borgogna incontrano Giovanni di Valois e i principi orleanisti. I due duchi nemici si commuovono. Altro esempio è di un cronista che riporta che Luigi XI per porre fine alla contesa tra Luigi di Lussemburgo e Antonie de Croy li chiuse in una stanza da cui uscirono a braccetto. 3) Piangere è governare. Le lacrime rientrano tra i segni emozionali più polisemici e efficaci. L’ESPERIENZA DELLE DONNE DEVOTE La devozione affettiva delle donne nei secoli XIII-XIV è radicata nell’antropologia e nella spiritualità di ispirazione gregoriana. Tratto distintivo è l’espressione corporale dell’emozione. La devozione emozionale e incorporata avrà successo e efficacia religiosa. 1) Visione, immaginazione, incorporazione: modi di unirsi a Cristo nella sofferenza. L’immaginazione, la visualizzazione e la rappresentazione giocano un ruolo importante nella devozione affettiva: permettono di appropriarsi di atteggiamenti di figure sacre, suscitando comprensione ed empatia. Queste emozioni generano a loro volta esperienze d’incorporazione, di identificazione o unione col corpo di Cristo o di qualche santo. Si considerano, infatti, immaginazione e visione come capaci di lasciare tracce nel corpo: nei tentativi di spiegazione delle stigmate di San Francesco, Tommaso da Celano afferma che la visione del crocifisso avrebbe impresso l’immagine delle ferite di Cristo con tale forza da risorgere nel corpo del Santo. Per Iacopo da Varazze non è stata la visione, ma l’immaginazione ad avere un ruolo decisivo. L’Incarnazione, posta al centro della devozione nella chiesa post-gregoriana, ha consentito di investire il mondo di immagini religiose. Si studia l’interazione tra visione, immaginazione ed emozione e il loro suolo nella devozione. Nel trattato “Tres Estaz de bones ames” (1290-1320) gli stati di meditazione, devozione e unione con Dio sono raffigurati da quattro scene incorniciate. Nell’ultima avviene un contatto immediato tra la suora in preghiera e Cristo, e l’apparizione della trinità. Grazie alla transustanziazione, all’ostia vivente, essa può essere presente a tutti i devoti. Cristo può entrare nella vita dei fedeli mentre stanno pregando. Allo stesso modo, può essere il fedele in devozione ad entrare nell’immagine contemplata, come suggerito da una miniatura del domenicano Heilig Kreuz del 1267/76 in cui una suora entra nell’immagine alle spalle di san Francesco. Altra immagine è da attribuire a una disegnatrice in ambito monastico in Renania nel XIV secolo, in cui Cristo in croce ha ai suoi piedi Bernardo di Clairvaux e una religiosa che appartiene alla comunità monastica in cui l’immagine è stata elaborata. La devozione alle piaghe del Crocifisso chiama in causa emozioni contraddittorie e porta all’incorporazione nelle ferite, all’inserimento spirituale e simbolico della mistica nel corpo di Cristo. Il termine “passio” può indicare la sofferenza e la malattia, la Passione di Cristo o la passione evoluzione dell’emozione. Lukarda di Oberweimar nella sua vita incrocia due significati del termine: dopo essere arrivata nel convento di Oberweimar incomincia a soffrire di “passiones”, mali cronici. Abbandonata a sé stessa, la Vergine la consola e Cristo viene a farle coraggio: le sue sofferenze acquistano un significato in quanto parte della Passione. Ha una visione di Cristo in croce ed entra in quest’altra realtà in cui interagisce e abbraccia Cristo: questo contatto corporale attiva un processo di identificazione con il Redentore ed ella riceve le stigmate. Angela da Foligno mostra la stessa devozione alle piaghe, che la porterà progressivamente a incorporarsi nel Cristo crocifisso. Cerca contatto fisico che la trasporti in un’altra dimensione. L’immagine è un potente strumento d’identificazione che stimola pietà suscitata dall’emozione. 2) L’emotivo sacramentale ovvero l’efficace navigazione emozionale dei mistici. La purificazione penitenziale dei peccati possiede un’importante componente affettiva a cui si aggiungono gesti penitenziali. Giacomo da Vitry scrive della vita di Marie d’Oignies: ella viene spinta dalle sue emozioni a infliggersi una penitenza eccezionale, un’automutilazione penitenziale, e quest’odissea emozionale unita a questo sacrificio procurano alla donna un guadagno in termini di avanzamento verso la salvezza. La trasformazione di sé attraverso la sofferenza per divenire il Cristo sofferente portano vantaggi a livello individuale. La devota riafferma il suo essere parte della Chiesa-Corpo di Cristo e ottiene da sola la sua trasformazione spirituale. L’INCARNAZIONE EMOTIVA DEL SACRO: GENERI E SOCIETA’ La pietà affettiva viene spesso descritta come invenzione delle donne di fine Medioevo. Le donne vengono viste come se avessero una predisposizione naturale alla mistica affettiva e corporale, laddove la ragione sarebbe tipicamente maschile. Tuttavia gli aspetti della spiritualità che vengono identificati con la pietà femminile sono stati messi a punto nei secoli precedenti da maschi in ambienti monastici ed è in base a norme costruite da uomini che alle donne è stata assegnata un’identità basata su affetti ed emozioni. La mistica femminile degli ultimi secoli del Medioevo si presenta come avatar di natura femminile, plasmata dal dominio maschile. Le donne sembrano impadronirsi del ruolo loro assegnato: in ragione dell’emarginazione che pesa su di loro trovano scappatoia nella pietà affettiva e incarnata. Questo cammino individuale non è però senza pericoli, dato che la chiesa istituzionale mantiene un atteggiamento ambiguo nei confronti dell’imitazione carismatica di Cristo da parte femminile, delle beghine. Esse vengono condannate al concilio di Vienne del 1311-12. È proprio l’appropriazione teologica da parte di una donna a motivare la condanna. Interrogandosi sul perché della costruzione maschile di una via specificamente femminile alla mistica, si può pensare che i chierici abbiano prestato alle donne delle novità che essi stessi non osavano accogliere a causa del loro statuto. Il domenicano Suso compie un gesto di auto tatuaggio simile all’autosacrificio penitenziale di Marie d’Oignies: la manipolazione religiosa del corpo appartiene a un modello non esclusivamente femminile. Il mondo delle beghine contribuisce a riconfigurare le logiche di genere nel mondo religioso tanto quanto Francesco d’Assisi. Esistono inoltre testi di scrittrici donne che hanno spesso accesso sia alla cultura cortese sia alla lettura devozionale. Si tratta di Hadewijch d’Anversa e Margherita Porete. Entrambi i testi hanno l’obiettivo di iniziazione pedagogica ai misteri, alla vita mistica, descrivono la conoscenza di Dio in termini di amore e non condividono l’approccio ascetico-mistico basato sull’impiego del corpo, sulla sofferenza fisica auto inflitta, che è assente nei loro testi. Per Hadewijch la volontà costante di unirsi al Creatore non si alimenta di pratiche corporali, ma di esperienze spirituali e contemplative. Il trattato di Margherita riesce a mettere in discussione l’associazione tra le donne e la dimensione corporale, la sofferenza, l’umanità passionale di Cristo. EMOZIONI E IDENTITA’ SOCIALI L’emozione è naturalmente ambigua. L’emozione condivisa può ordinare ed escludere, avvicinare e dividere… 1) Quando le emozioni dicono le comunità. La condivisione sociale delle emozioni assolve la funzione di tenere viva l’identità collettiva. La morte è una delle occasioni per la famiglia e la comunità di sentirsi unite affettivamente. È importante il tema della buona morte, lo spegnersi pacifico di una persona circondata negli ultimi momenti dall’affetto dei cari. Ne abbiamo esempio nella descrizione della morte di Guglielmo il Maresciallo, durata settimane, in cui pianti e lamentazioni funebri non sono tipiche delle donne, ma anche di figli e servitori. L’espressione obbligatoria dei sentimenti risulta efficace per la sua stessa ritualità. Le scene di morte di un santo o di un grande abate in seno alla sua famiglia monastica, sono normalizzate dalla visione cristiana e nessun eccesso emozionale sembra opportuno. Nelle miniature del Sacramentario di Varmondo vescovo di Ivrea esiste un contrasto tra i gesti vivi, che riflettono sofferenza intensa, della donna, e quelli sobri degli uomini, in particolare dei chierici. Le scene di cordoglio nel mondo laico presentano invece tre gruppi di partecipanti: la Chiesa, con atteggiamenti ben noti e studiati, che promuove l’accettazione e la consolazione; la donna, che perde il controllo dei suoi gesti, eccessivi; e i laici, che condividono un’emozione comune sotto controllo. Siffatta opposizione di genere non è però fissa nel Medioevo. A Orvieto nel 1295 troviamo Messer Montanari che geme per la scomparsa del figlio Pietro, accompagnato da altri uomini, tutti nobili e notabili, che piangono e gridano ad alta voce. Questi gesti sono condannati a Orvieto e in altre città italiane dai poteri laici delle città, sia perché considerate ostentazioni prettamente femminili, sia perchè l’assembramento emozionale può provocare disordini (cultura aristocratica condannata). Si inizia il processo di canalizzazione dell’emozione al fine di renderla accettabile. Fuori dalle città-stato italiane tale evoluzione è meno netta. La restrizione delle espressioni emotive fragorose si ritrova però anche nella chiesa. 2) Escludere attraverso le emozioni: fabbricare l’odio. La tendenza a regolare i conflitti per via giudiziaria, che testimonia un’evoluzione strutturale della società, non elimina il commercio emozionale. Amore, odio e amicizia rientrano ugualmente nella struttura sociale e vanno mostrati. La giudiziarizzazione dei conflitti indica uno spostamento verso una soddisfazione emozionale pubblica dei conflitti, mentre nei regimi antichi le pene venivano convertite in sistema di tariffe e quindi materializzate. Nel definire la sua identità, la chiesa gregoriana d’occidente afferma l’ideale dell’amore cristiano inclusivo per affermare la coesione tra fedeli. Contemporaneamente ciò genera esclusione e odio verso l’altro. L’antigiudaismo cristiano risale alle origini, ma durante i primi secoli la coesistenza è pacifica, sebbene i Padri della Chiesa lascino un discorso ambiguo sulla posizione degli ebrei nella società. Durante l’alto Medioevo le comunità ebraiche vivono in una relativa sicurezza in gran parte dell’Occidente. A seguito della rivoluzione culturale e del messaggio della riforma gregoriana inizia a manifestarsi l’odio per l’ebreo dalla fine del XI secolo. Ciò accade per ragioni religiose ma anche economiche, dato che tra XI-XIII secolo gli ebrei occupano posizioni economiche invidiabili, in quanto imprenditori e usurai. Con la predicazione della crociata si implica che società e chiesa devono essere un tutt’uno: il primo “altro” sono proprio gli ebrei. I crociati nel cammino se la prendono con gli ebrei con massacri e pogrom, talvolta seguiti da gesti di auto sacrificio da parte degli ebrei. Questo rafforza lo stereotipo dell’ebreo omicida di bambini, profanatore dell’ostia in quanto uccisore del corpo di Cristo. Sommosse antigiudaiche e massacri si accompagnano a continue accuse quasi in modo rituale. Esse diventano una valvola di sfogo delle angosce e un modo per rinsaldare legami identitari di una società travagliata dalle trasformazioni socioeconomiche. L’odio viene ritualizzato. L’indignazione condivisa, creando una comunione degli affetti, facilita il passaggio all’azione. Le autorità non cercano di sopprimere la violenza, ma si limitano a contenerla nei limiti tacitamente previsti dal rituale cristiano. LA PASTORALE DELLE EMOZIONI Jean Delumeau ha proposto la tesi di una pastorale della paura: la chiesa a partire dal concilio Lateranense IV avrebbe sostenuto la retorica della paura, la colpevolizzazione dei fedeli e il senso di sicurezza accessibile solo sotto la protezione della Vergine. La chiesa avrebbe inculcato ai fedeli la paura dell’inferno, l’orrore e la vergogna del peccato, attraverso una strategia che con il tempo gli avrebbe permesso di rassicurali e proteggerli nel suo stesso seno. È vero anche che la chiesa si è preoccupata dell’educazione emotiva dei fedeli verso la fine del Medioevo, ma sarebbe preferibile parlare di una pastorale delle emozioni, soprattutto a partire dal XII secolo durante la lotta contro le eresie e la conversione dell’Occidente dall’interno. Essa mette radici nella psicologia scolastica e nella teologia sacramentale e si occupa di tutta la gamma di emozioni. Educare attraverso le emozioni diventa un tema cruciale. 1) Teoria scolastica dell’educazione emotiva. Esistono due tradizioni contraddittorie che regolano l’uso delle emozioni nella predicazione: - Agostino afferma che l’obiettivo della predicazione è la conversione affettiva del pubblico e fa delle passioni strumenti necessari alla salvezza. Il predicatore deve esibire le emozioni che cerca di suscitare nel pubblico. - Gregorio Magno, invece, raccomanda un uso moderato delle emozioni nel sermone, viste come perturbazioni dell’anima. - Altri autori come Thomas di Chobham affermano che il sermone deve unire amore e timore di Dio. La predicazione deve cercare un equilibrio tra il suscitare emozioni e il loro corretto e moderato uso. - Altri autori raccomandano l’uso del sermo “affectuosus”, la parola capace di catturare l’animo di chi ascolta per condurlo ad amare il bene e a rifuggire dal male, tipico di San Francesco e dei francescani. Diffidando di una predicazione troppo intellettuale e raffinata, essa deve essere autentica, efficacemente affettiva, deve muovere l’anima provocano affetti che portino a cambiare vita. Sembra quasi frutto di un’ispirazione divina. Un buon predicatore sarebbe incarnato da Bertoldo di Ratisbona. La retorica affettiva, che si sviluppa nel corso del XIII secolo
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