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MEMORIALE - PAOLO VOLPONI, Dispense di Letteratura

VITA DELL'AUTORE E SUNTO DELL'OPERA

Tipologia: Dispense

2017/2018

Caricato il 07/02/2018

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4.1

(33)

18 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica MEMORIALE - PAOLO VOLPONI e più Dispense in PDF di Letteratura solo su Docsity! LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA Lezione 16 : “Paolo Volponi – Memoriale” Docenti video Prof Guido Davico Bonino (Univeristà di Torino) Cenni biografici Il romanzo di cui desideriamo parlarvi questo oggi, si intitola “Memoriale”, è apparso nel 1962, la prima volta, e il suo autore è Paolo Volponi. “Io penso che nessuna voce di romanziere, in questi ultimi anni, abbia trovato la propria fisionomia con tanta precisione, con tanta purezza, con tanto potere di rivelazione”. La frase che vi abbiamo letto, porta la firma Pier Paolo Pasolini, che appunto nel 1962, in questi termini, salutava l’apparizione di Memoriale. Che cosa racconta vasto, folto e complesso romanzo? Memoriale (1962): tra mémoire e autobiografia fittizia Il protagonista di questo romanzo si chiama Albino Saluggia, è nato nel 1919 ad Avignone e incomincia a scrivere il suo memoriale all’età 36 anni, siamo dunque all’interno naturalmente delle date fittizie di questa stesura, tra il 1955 e il 1956. All’età di 12-13 anni Albino segue il padre, che vede nell’Italia fascista un paese in cui potrà lavorare, vivere meglio e anche forse, su questo il testo è un poco ambiguo, vuole sottrarre la moglie alle eccessive attenzioni di un giovane muratore. Sta di fatto che Albino e il padre si trasferiscono dalla Francia in Italia, segnatamente in Piemonte, per stabilirsi vicino a Candia, un paese all’incirca ad una quarantina di chilometri da Torino, sull’asse che conduce verso Aosta e l’omonima valle. Albino rimane così coinvolto nella seconda guerra mondiale. Come molti giovani di allora, viene fatto prigioniero ed internato in un campo di concentramento nazista. La “pena del lavoro quotidiano” in una grande industria Finita la guerra, siamo intorno al ’45, naturalmente nella finzione letteraria, assiste con turbamento ad alcuni mali che cominciano a prenderlo e nel 1946, fruendo di un cosiddetto trattamento preferenziale, che secondo una legge della Nuova Repubblica era riservato ai reduci, viene assunto là, proprio a Candia in una grande fabbrica. Volponi naturalmente non intende, nel romanzo, rivelarci il nome di questa grande industria, ma vedremo di che cosa si tratta. Incomincia Albino ad essere visitato dai medici e nascono in lui, proprio in quel momento, le prime idee di persecuzioni, da parte dei medesimi, che sfociano un anno dopo, in un terribile annuncio: egli è ammalato di tubercolosi. Iniziano le cure, il primo trasferimento in sanatorio, nel quale Albino vive piuttosto appartato, cerca di non vedere anche i rapporti sessuali che coinvolgono i malati, l’uno contro l’altro, riesce addirittura ad inventarsi una falsa campagna di Russia, una a cui non ha mai partecipato, tanto per darsi una sorta di fittizia identità. Un anno dopo, Albino può tornare a lavorare, un medico autorevole, Saint Martin, un illuminare della medicina di quegli anni, ci racconta Volponi, lo dichiara perfettamente guarito. Naturalmente Albino è convinto di essere invece profondamente malto, e in qualche modo lo è, di una malattia diversa dalla tubercolosi, che gli è stata giustamente diagnosticata, è malato di una nevrosi, è nevrotico al confine anzi di una vera e propria psicosi persecutoria. Ancora soggiorni estivi in montagna, nell’istituto che questa grande industria ha costruito per i suoi operai malati. Ancora cure prescrittegli dai medici, per un lungo triennio, lunghi ozi infruttuosi in riva al lago, che è antistante proprio al paese in cui vive, la Candia che abbiamo nominato, c’è addirittura, a questo punto del romanzo, l’intervento di un terzetto di truffatori che somministrano ad Albino un miracoloso filtro, la solita pozione truffaldina, e infine Albino si affida ad un amico, un cuoco della mensa di questa grande fabbrica e attraverso a lui, vuole portare a tutti i costi a conoscenza, del presidente di quella industria, la persecuzione di cui è stato fatto oggetto. Ancora medici, ancora consulti, ancora un sanatorio. Siamo alle soglie dei primi anni Cinquanta e Albino riesce finalmente a tornare a casa. Gli viene offerto, a quel punto, un posto sì in fabbrica, come già aveva avuto nelle pause delle sue laboriose traversie sanitarie, ma questa volta come piantone alle soglie della fabbrica, sui cancelli della fabbrica, come una specie di spia, usiamo questa brutta parola, degli operai che entrano e escano dalla fabbrica in un regime, ovviamente di separatezza dagli altri. Un giorno Albino vede passare, in qualche modo, tra le mani di un gruppo di operai, che nota in fermento, siamo appunto all’ingresso della industria, un manifestino in cui si parla di ritmi di lavoro, di pericoli per la salute degli operai, e Albino non crede ai propri occhi leggendo quel volantino, là ritrova la giustezza delle proprie idee, delle proprie convinzioni, anche se per lo più immaginarie e allora spontaneamente, istintivamente si unisce agli altri, perché lo sciopero, che gli operai stanno portando avanti riesca, ma acciuffato, condotto rapidamente all’ufficio del personale, viene prima sospeso per tre giorni poi avvisato che riceverà, di lì a breve, una lettera scritta di licenziamento. Siamo all’epilogo doloroso di questo complesso romanzo, quando Albino ritorna verso casa, sosta dinnanzi all’orto di casa e si sente, per la prima volta, disperatamente solo, con la perfetta coscienza che nessuno, proprio nessuno gli potrà portare aiuto. Abbiamo riassunto, naturalmente come sempre ci accade in queste conversazioni a grandi linee, un vasto romanzo corale, come “Memoriale”, ma era indispensabile per farvi calare nella particolarissima atmosfera di questo romanzo, che veniva sì da una serie di scritti precedenti di altri autori, narratori, poeti, della così detta “Letteratura di Fabbrica” che aveva in qualche modo segnato gloriosamente, se non altro arditamente, gli anni della sperimentazione Neorealistica, del Neorealismo cosiddetto impegnato, gli anni appunto primi ’50 dell’immediato secondo dopoguerra, ma che qui in “Memoriale” trovava, come avete sentito, a partire dalla scelta del protagonista, note completamente inedite. Chi era Paolo Volponi? Perché per la maggior parte dei comuni lettori e anche appassionati di narrativa, quando questo romanzo uscì, ripeto 1962, il nome di Volponi era del tutto ignoto, lo conoscevano un ristretto numero di addetti ai lavori, perché per la verità, fino ad allora, non era stato un narratore, non era stato romanziere, ma semmai poeta e autore, come dire, delicate molto furtive, quasi nascoste raccolte di poesia. Cenni biografici Paolo Volponi era nato a Urbino nel 1924. Il padre era proprietario di una letteratura, è dire, quello che al cinema si chiama, Flashback, cioè luce a ritroso, lampo a ritroso, un lampo, che nel caso di Albino Saluggia e della sua registrazione di eventi, viene steso a partire dai 36 anni, ma prende le mosse, come abbiamo detto, sin dalla sua adolescenza. Ora già questa struttura, molto difficile da eseguire letterariamente, il diario a posteriori, ci fa capire in primissima istanza che non siamo davanti ad un libro documento, non siamo davanti ad un libro saggio, non siamo davanti ad una nuda registrazione di eventi di pur innegabile rilevanza sociologica, siamo davanti alla storia di un’anima, siamo davanti alla storia di una personalità difficile, siamo davanti al riflesso nella stentata scrittura di un uomo di scarsi studi, di scarse letture e quindi di scarsa cultura, di un disagio del vivere. Interpretazione della realtà da parte di un “nevrotico” Naturalmente, come dire, preso questo assunto, come Volponi lo prende, e cercando di condurlo a termine, soprattutto con esiti espressivi felici sulla pagina, l’autore, Volponi, il narratore Volponi, dovrà calarsi, come dire, in un’operazione di mimesi stilistica: guai se fosse lui, il poeta, l’umanista, il dirigente d’azienda, quindi persona assai colta, ad adottare il proprio stile, deve reinventare uno stile basso, uno stile dimesso di una persona che appunto ha un livello di istruzione estremamente elementare, per non dire, misero. Ma deve fare anche qualcosa di più, deve immedesimarsi nella scrittura di un malato, e abbiamo già detto a più riprese, riassumendo l’andirivieni di Albino Saluggia da sanatorio a fabbrica, da fabbrica a sanatorio, prima durante tutto l’anno, poi limitatamente alle stagioni estive, durante il periodo di vacanze che sono vacanze di convalescenza, abbiamo già detto che la vera malattia di Albino non è la tubercolosi, ma è la nevrosi. “Perché ho scelto un nevrotico a protagonista del mio romanzo? Un nevrotico ha una capacità di interpretazione della realtà più dolente, ma più acuta, anche perché un nevrotico è un ribelle. In un uomo sano avrei trovato uno che ha già ceduto qualcosa alla fabbrica”. Allora in questa importantissima confessione di poetica di Volponi, che vi ho letto nella sua integralità, ci sono due dati che emergono: nevrotico e quindi deformazione del reale, il nevrotico è pur sempre, anche se a livello ancora, in qualche modo, superficiale, un malato è un anormale, è un essere a cui la malattia, obbliga a registrare la realtà come un fuori norma, anche se si tratta di una malattia come in molti casi curabile e recuperabile; e, seconda annotazione, da questa frase che vi ho letto, un ribelle. Proprio la condizione di anormalità a cui la nevrosi costringe il malato, lo pone in ipso facto, in una condizione di opposizione alla realtà, in una condizione di opposizione e estraneità, diversità agli altri e dunque implicitamente di ribellione. Per tutta la stesura dell’ampio racconto, in realtà Albino non compie nessun atto di ribellione, e l’unico atto di ribellione, con molte virgolette del caso, è, come avete sentito dal mio riassunto, quel aderire, quasi involontariamente, certo istintivamente, allo sciopero di un gruppo di compagni, acquisendo quel volantino e di lì ad essere, come dire, condannato all’espulsione dal macrocosmo della fabbrica. Tuttavia la sua ribellione è, in qualche modo, implicita, è una ribellione che egli vive senza ribellarsi, ma tutto nel rovello interiore. Allora quale sarà lo stilo del diario a ritroso di un nevrotico all’opposizione? Sarà una scrittura intanto estremamente frammentaria, il nevrotico non ha la limpidezza, di sguardo da un lato e di trascrizione dell’altro, che hanno le persone non malate, è un malato, e come tale trascrive il reale, in un atteggiamento sussultorio, per andirivieni, non con la continuità logica e razionale che è propria di chi è in condizione di trascrivere il reale ordinatamente, in maniera consequenziale, in maniera razionale. La sua sarà un tentativo disperato di captare il reale che è sempre mobile, che gli sfugge come un paesaggio in movimento, in base anche alle proprie ostinazioni, in base anche alle proprie fissazioni. C’è dunque un doppio movimento che è contradditorio: il reale, che passa davanti agli occhi di Albino e Albino che a sua volta ha interiormente una mobilità, una, diciamo pure la parola come si dice dei malati di nervi, una labilità nervosa talmente aleatoria, che tutto quello che egli vive e vede è a sua mobile. La grande novità espressiva del romanzo “Memoriale” di Volponi, quella per cui Pasolini, che era uomo non facile agli entusiasmi critici, anche se amico, anche se vicino da anni a Volponi, la grande novità, dicevo, di questo romanzo è proprio nella creazione caparbia, minuziosa sulla pagina di questo stile, lo stilo della frantumazione, lo stile del dualismo psichico, lo stile della dissociazione. Immaginate di trovarvi, per usare un banalissimo paragone quotidiano, su una automobile che perennemente sussulti in cui voi avvertite sotto i piedi, un continuo fremito o un continuo movimento ondulatorio, questa è la sensazione, la cerco di tradurre nel modo più prosaico e banale, che si prova a seguire gli avvallamenti, per così dire, continui, della parlata di Saluggia che a noi arriva, non tanto come parola emanata fonicamente dal vivo della sua bocca, ma come parola trascritta nelle righe sconnesse, naturalmente diciamo irresistibilmente sconnesse, del suo lungo diario a posteriori. Albino dice spesso nel memoriale, “vorrei poter essere libero delle mie espressioni come lo si è quando si parla da soli con sé stessi, in quella comunione, in cui uno può ridere delle cose più serie, o fare smorfie, gesti perché insieme all’attimo e al pensiero delle cose che dice ci sono tanti altri attimi, tanti altri pensieri della sua vita in una completezza perfetta.” Vedete basta questa piccola confessione dello scrivente, e dietro lo scrivente è inutile dire c’è Volponi, c’è questa pretesa di libertà delle proprie espressioni, come è quando si parla da soli con sé stessi, per darci la cifra segreta, sofferta, dolorosa di questo memoriale. Naturalmente il rapporto con la fabbrica è un rapporto cruciale, le due grandi assi dell’esperienza di Albino Saluggia sono da un lato la malattia, che lui crede essere la malattia del corpo, continuamente rivisitata da diverse equipe mediche, la tubercolosi e che invece è una malattia della mente, e d’altro lato il rapporto con la fabbrica. Assenza di figure femminili e femminilizzazione della fabbrica E’ stato osservato che, da alcuni lettori molto attenti a “Memoriale”, che una delle grandi assenze dall’esperienze di vita di Albino Saluggia, è l’esperienza dell’elemento femminile. Non ci sono donne in questo romanzo o se ci sono, sono come dire delle parvenze continuamente rinviate dal destino o continuamente rimosse dal protagonista. Una prima parvenza femminile, sfumata perché occupa le prime pagine del romanzo, come abbiamo rapidamente accennato, è quella della madre, di cui il padre non ha una fiducia assoluta, forse la sospetta di una relazione adulterina, e della quale Albino non ha, come dire, un rapporto affettivo completo e autosufficiente. Ma un’altra presenza suggestivamente apparsa e svanita dal suo orizzonte è quella della cosiddetta cugina di Francia. Albino aspetta sempre, una volta naturalmente rientrato in Italia, nella Candia industriale, l’arrivo di questa cugina, che ha conosciuto nella adolescenza esule in Francia, e che in sostanza non arriverà mai. Alcuni critici molto fini hanno osservato che questa assenza di figure femminili è metafora della grande assenza di cui Albino soffre profondamente, che è l’assenza della fabbrica. La fabbrica è per lui la madre, l’amante, la madre vera di cui abbiamo detto, l’amante supposta, la cugina di Francia che non è mai arrivata, che continuamente si afferma a lui e gli si nega, è la materialità non posseduta, è la sessualità, nel caso della cugina, non consumata. “Fu il primo segno che non ero perdonato, il primo dei tanti segni che la fabbrica non perdona, non perdona chi è solo, chi non si arrende al suo potere, chi crede alla giustizia umana e invoca la sua clemenza. La fabbrica non perdona gli ultimi”, vedete con che involontaria lucidità Albino Saluggia, non solo si classifica con una precisione vorremmo dire da entomologo, “io sono come uno degli ultimi” che naturalmente sinonimo di “io sono uno degli esclusi”, “io sono uno dei malati cronici del mondo d’oggi”, ma anche con quali termini avvolgenti egli parla della fabbrica quasi si trattasse appunto di una presenza femminile. Confronti con altre figure di “inetti” Questa scrittura, la scrittura del “Memoriale”, così come Volponi la concepita è anche una scrittura che dimostra che dietro questo personaggio ci sono dei modelli. Non vorrei parlare come si usa spesso in ambiente universitario di fonti di questo romanzo, perché questo romanzo è davvero in qualche modo un unicum, lo è al suo apparire, lo è rimasto nei quarant’anni e oltre che ci separano da lui. Però Volponi che pur ha sempre voluto sottolineare, anche un poco ironicamente, i propri studi dolorosi, avete sentito, i propri studi irregolari, i propri studi non umanistici, giacché un avvocato non è tenuto a tenere studi letterari per giungere alla laurea, alla formazione professionale, è comunque un uomo, un autodidatta, finché si vuole, che ha le sue belle letture. E’ certo, è innegabile quanto vari lettori hanno sottolineato che Albino Saluggia abbia dei progenitori letterari, che egli appartenga a quella lunga schiera di inetti, la parola inetto è diventata una parola-formula per decifrare alcuni grandi capolavori del primo Novecento italiano, a cui appartiene per esempio Zeno Cosini, del “La coscienza di Zeno” di Italo Svevo, o Mattia Pascal del “Fu Mattia Pascal” di Pirandello. Zeno Cosini che è talmente inetto cioè impotente davanti anche ai casi più elementari della vita, da sbagliare, come ricordate tutti, funerale e dal recarsi dietro la bara di una persona che non conosce, perché l’ha scambiata con quella di un amico scomparso; Mattia Pascal che a Roma non riesce, dopo essere fuggito dalla natia Sicilia e aver assunto una diversa identità, non riesce poi a dare a questa nuova identità, nessun contenuto, non ha appunto neanche la carta di identità, non può neppure sposare la donna che pure tanto intensamente ama. Albino certo è un erede di questa grande stirpe di proto-novecentesca e se volessimo aggiungere a quello di Svevo e a quello di Pirandello un altro cognome addirittura muoverci verso l’Austria e citare “L’uomo senza qualità” di Robert Musil, libro che, sia detto per inciso, Volponi amava immensamente, eppure le tensioni che questo libro sprigiona sono altre, non sono puramente esistenziali, hanno qualcosa, e vorrei precisare che uso la parola con molte virgolette, di profondamente “politico” se non di profondamente etico e civile: “Io credo nella letteratura del conflitto, il conflitto ferma e discute dei valori forti. Il conflitto rompe anche delle cose, ma produce valori forti sempre. Il conflitto mette l’uomo di fronte a sé, ai propri problemi, di fronte ai gruppi di uomini, alle vicende della storia, al modo in cui le culture si contendono il dominio. Il conflitto produce valori”. Sono parole di Paolo Volponi in una delle ultime interviste concessa ad una giovane studentessa, che mi piace giustamente citare, Elena Marongiu, che stava ultimando una tesi di laurea in lettere sulla sua produzione letteraria. Giudizi della critica
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