Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

messa alla prova riassunto, Dispense di Sociologia

riassunto di messa alla prova da 1 a 6 capitoli

Tipologia: Dispense

2020/2021
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 23/06/2021

sabrina-ruotolo-1
sabrina-ruotolo-1 🇮🇹

4.3

(4)

3 documenti

1 / 12

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica messa alla prova riassunto e più Dispense in PDF di Sociologia solo su Docsity! LA DEVIANZA è un fenomeno universale perché interessa tutti i gruppi sociali e tutte le società e al tempo stesso relativo perché ció che è deviante per uno non è deviante per l’altro. Sia i sociologi classici, ovvero i padri fondatori della disciplina, sia i moderni e i contemporanei hanno sempre prestato attenzione ai fenomeni devianti e ai comportamenti criminali. Una definizione omogenea del comportamento deviante non può esaurirsi considerando solo la trasgressione ad una norma e la reazione sociale alla trasgressione. È indispensabile effettuare una distinzione tra quattro aree differenti: •Diversità sociale: è l’espressione del grado di condivisione del sistema culturale da parte dei membri di una comunità o di una società. Più i valori, i sistemi simbolici, le concezioni della vita sono condivisi dai membri di una società, maggiore sarà la probabilità che atteggiamenti e comportamenti alternativi saranno considerati socialmente diversi o potranno ricevere l’etichettamento di devianza. La reazione sarà fievole o meno in ragione della vicinanza/lontananza del comportamento alternativo dal nucleo dei valori condivisi. Sumner identificava questa dimensione con il termine di folkways per indicare quelle regole culturali che stabiliscono ció che è appropriato da ciò che non lo è in determinate situazioni. Una condizione di diversità sociale può trasformarsi in una condizione di disagio sociale (mancanza di benessere). I giovani più degli adulti sono esposti a questo rischio sia perché portatori in misura più frequente di subculture, sia perché la personalità è nel pieno sviluppo e la sfera psichica è ancora delicata, sia perché i bisogni di appartenenza e lo sviluppo dell’identità sono ancora processi la cui intensità è molto variabile. •Devianza sociale: c’è una violazione delle regole, delle norme, degli obblighi condivisi. Quando ci si allontana dall’osservare tali norme la reazione sociale sanzione negativamente tale condotta. È l’intensità della reazione che stabilisce il grado di gravità della violazione e l’importanza della norma. Soggetti o gruppi sociali possono essere etichettati come devianti da gruppi o èlites sociali più forti o che dominano la scena sociale o che più facilmente raccolgono il consenso sociale. L’etichettamento può diventare un meccanismo casuale del divenire deviante sia perché attrae l’attenzione delle agenzie del controllo sociale, sia perché può rafforzare nel soggetto l’identità deviante •Devianza grave: quando la violazione riguarda la legge parliamo di delinquenza. In questo caso essendo la legge a carattere universale, ovvero valida per tutti i cittadini e categorie sociali, il concetto di delinquenza attiene a quell’insieme di azioni e comportamenti nei quali l’attore commette un reato. Lemert, sottolinea la differenza tra devianza primaria e devianza secondaria, descrivendo la rilevanza che assume la reazione sociale. La devianza primaria delinea l’allontanamento temporaneo dalle norme sociali e/o giuridiche o la violazione occasionale delle stesse, senza che vi siano delle implicazioni significative sia dal lato della reazione sociale che della riorganizzazione dell’identità soggettiva e dei ruoli sociali (esempio: passare con il rosso al semaforo, saltare il pagamento delle tasse). La devianza secondaria, invece, corrisponde al reiterato atto di violazione al comportamento che stabilmente si identifica in un ruolo reattivo agli effetti del controllo sociale. Per Lemert, quindi, la delinquenza è una costruzione sociale della reazione sociale ed essa non rappresenterebbe un comportamento più grave rispetto alla devianza sociale. Si può sostenere che tutto ciò che è delinquenziale è deviante, ma non tutto ciò che è deviante è delinquenziale. •Criminalità: quando si parla di criminalità facciamo riferimento a quei comportamenti, azioni, atti che in modo permanente violano la legge, gli autori di reati utilizzano i mezzi illegali per raggiungere. Quando l’attività criminale ricorre all’uso della violenza per acquisire potere, ricchezza, dominio territoriale per poi presentarsi con i volti puliti nell’area economica legale, vuol dire che ci troviamo di fronte alle organizzazioni criminali. Sono molti i giovani che si dedicano alle opportunità illegali nella convinzione di un’ascesa sociale o di un ingresso in organizzazioni criminali più strutturate. Le teorie criminologiche minorili hanno difficoltà a catturare e spiegare l’originarsi della devianza e della criminalità, il suo consolidarsi e stabilizzarsi. Alla fine dell’800 e inizio 900 si posero le basi della criminologia ecologica. Questo approccio fornisce un’iniziale spiegazione del fenomeno deviante basata sugli effetti criminogeni che l’organizzazione dello spazio urbano produce marginalizzando individui o categorie sociali e indebolendo i tessuti familiari e comunitari (disgregazione sociale). Bande giovanili: Trasher e Whyte convergono sul concetto che le bande giovanili ruotano attorno ad un leader e sono espressione della formazione di subculture strutturate che danno vita a pratiche di vita quotidiana, dove i partecipanti disapprovono che i comportamenti criminali sono quelli che non coincidono con quei valori che garantiscono l’integrità del sistema sociale. Cohen verso la metà degli anni Cinquanta si dedicò al problema della formazione delle bande delinquenziali. In “Delinquent Boys”, sostiene che la subcultura delinquenziale si esprime nell’appartenenza ad una banda, che offre l’opportunità ai giovani delle classi subalterne di risolvere i loro problemi di adattamento. A differenza di Merton, Cohen ritiene che la devianza sia un fenomeno collettivo; l’accento viene posto sulle relazioni, sulle occasioni di interazione che influenzano le aspirazioni soggettive offrendo mezzi illegittimi. La famiglia ha un ruolo disgregativo nell’entrata, permanenza o uscita dalla devianza e delinquenza. L’Italia ha visto incidere gli effetti di uno dei fattori di disgregazione della coesione familiare(separazione coniugi-divorzio) solo a partire dagli anni novanta. I ragazzi che crescono in famiglie monogenitoriali fanno registrare comportamenti devianti superiori rispetto ai giovani che vivono in famiglie con entrambi i genitori. Prendendo in esame due ricerche del 2006 e del 2013 si evince che quasi un giovane su tre ha a che fare con condotte trasgressive o addirittura di devianza grave, è necessario considerare che si parla di ragazzi che frequentano la scuola, è evidente qualche criticità nel sistema scolastico relativamente alla capacità di ascoltare dei professori. Tre quarti del campione giovanile ha ammesso di aver commesso almeno una delle condotte trasgressive e devianti, per dirla come Lemert ci troviamo difronte alla devianza primaria. Di questi giovani occorre capire il disagio e le diverse forme in cui esso si esprirme: quindi bisogna uscire da una visione omogenea della devianza. Il legislatore con il dpr448/1988 mostra di avere questa consapevolezza non solo ispirandosi alla juvenile probation statunitense e concependo la misura della messa alla prova come strumento di destigmatizzazione del delinquente ma incorporando anche altri provvedimenti di diversion che ne attestano la diversa gestione comportamentale nell’ambito del sistema penale minorile, attraverso l’istituto dell’irrilevanza del fatto disciplinato dall’articolo 27 dpr 448 che porta alla sentenza di non luogo a procedere(La sentenza di non luogo a procedere, secondo il diritto processuale penale viene emessa al termine dell’udienza preliminare quando il Giudice per le Udienze Preliminari (GUP), anche in seguito a un’ istruzione probatoria, ritenga o accerti che ci siano degli elementi incompleti o contraddittori in relazione a una causa di estinzione del reato, al fatto che non costituisce reato, che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non sussiste) e al perdono giudiziale(ex art 169 cp) che comporta l’estinzione del reato. I minori vengono collocati in un’area in base alla quale vengono applicati degli interventi di prevenzione: valutazione della prova dagli operatori di giustizia. La maggior parte dei programmi prevede attività di volontariato a cui seguono interventi di conciliazione con la parte lesa, lavoro e studio. Al volontariato si attribuisce un forte valore rieducativo poiché rappresenta una doppia opportunità per il minore che ha possibilità di offrire un un servizio alla società come forma simbolica per il risarcimento del danno e di misurarsi con situazioni di vita nuove che potrebbero generare percezioni positive. L’art. 29 del dpr 448/1988 stabilisce che il giudice dichiara estinto il reato “tenuto conto del comportamento del minorenne e dell’evoluzione della sua personalità”. Per esprimere tale giudizio, il giudice si rifà alle relazioni dei servizi sociali. Gli esiti nella maggior parte sono positivi, mentre quelli negativi sono connotati da una mancata adesione al programma e da una commissione di un nuovo reato. Da ciò è emerso che: -i soggetti erano già conosciuti dall’USSM; -il fallimento dei percorsi di prova ha un peso maggiore fra gli stranieri; -nella maggior parte dei casi la prova era disposta per reati contro il patrimonio. CAPITOLO 3 Tra le varie teorie criminologiche ci sono alcune che tendono a combinare fattori biologici e caratteriali con variabili ambientali e culturali. La più importante è quella dei coniugi Glueck che affermano come alcuni tratti della personalità acquisiscono carattere criminogeno a causa delle situazioni ambientali. Non tutte le persone sono soggette ma alcune sviluppano questo tratto della personalità e vanno a costituire quella che è la contaminazione differenziale, cioè il livello di esposizione ai repertori delinquenziali. La recidività (coincidente con la presenza di un reato successivo al primo indipendentemente dall’esito del primo procedimento penale) è stata considerata distinguendo i non recidivi da quanti da minorenne hanno compiuto successivi reati senza carcerazione o essere passati in strutture per adulti (“recidivi solo da minorenni”); quanti hanno commesso reati da minorenni e da adulti; recidivi solo da adulti (ovvero con una carcerazione o presa in carico in aria penale esterna per reati fatti da maggiorenne). L’esito della rilevazione ha evidenziato che il 68,6% dei minori è risultato non recidivo, al fronte del 31,4% che ha commesso altri reati dopo il primo, di cui il 12,4% solo da minorenne, l’8,8% sia da minorenne che da adulto, il 10,2% solo da adulto. Considerato il fenomeno in rapporto all’età del primo reato commesso ricade nella classe di 14 e 15 anni. Rispetto alla cittadinanza, la recidività si registra maggiormente tra gli stranieri e tra i maschi rispetto alle femmine. La valutazione sui fattori di rischio rivela che l’abbandono scolastico (incompletezza della scuola dell’obbligo) è causa per il 49% di recidiva (rispetto a coloro che hanno avuto un percorso di studi normale); così come l’assenza di qualsiasi impegno in attività lavorativa fa registrare percentuali di recidiva maggiori rispetto a quanti studiano o risultano impegnati in un lavoro stabile, o praticano attività lavorative saltuarie e precarie. La ricaduta criminale, invece, è quando un individuo che in passato non ha avuto una vera e propria condanna torna a commettere reato. Per gli individui messi alla prova la percentuale di ricaduta criminale è di circa il 18% su 287. Per i casi in cui il giudice ha dichiarato l’irrilevanza dei fatti la percentuale di ricaduta criminale è circa il 15% su 199; Per i casi in cui è stato dichiarato il perdono giudiziario la percentuale di ricaduta criminale è 24% su 286; Per i casi di detenzione la percentuale di ricaduta criminale è 63% su 238. Due testimonianze sono fondamentali: quella del Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Napoli e del direttore dell’IPM (ISTITUTO PENALE) di Nisida. Il primo afferma che è necessario un trattamento più rigoroso e diversamente rieducativo per il minore che ha già compiuto 16 anni poiché riaffidare il minore alla famiglia nel momento in cui si è reso responsabile di comportamenti molto gravi spinge il sentimento di impunità da parte dei minorenni e l’idea che possa convenire il coinvolgimento nella commissione dei reati. Per la messa alla prova sostiene che è valida, ma occorre un potenziamento dei servizi minorili statali e locali. Per quanto riguarda il direttore dell’IPM di Nisida, esso sostiene che i ragazzi sono praticamente arruolati e sfruttati dai sistemi di criminalità organizzata e i ragazzini incominciano ad esserne affascinati già all’età di 9- 10 anni. Il dato preoccupante è il carico di violenza che caratterizza i loro comportamenti. Generalmente la correità (essere coreo, come forma di concorso nel reato preparato ed eseguito da più persone) è un tratto caratteristico dell’agire delinquenziale e si nota uno stretto rapporto tra zona di residenza e ambiente in cui si è consumato il reato il che ci mostra a)la conoscenza da parte del criminale di dove si è consumato il reato b)le condizioni di opportunità che questo spazio offre c)la conoscenza delle vie di fuga o copertura da parte di persone che lo spazio può garantire d)la costruzione in un tempo ragionevole di uno spazio che identifica la zona di caccia. Una rapina in una zona desta attenzione da parte delle forze dell’ordine rischia di suscitare una controffensiva che aumenterà il controllo e la sicurezza in quello spazio ed è per questo che si cerca di trovare il giusto equilibrio. Una piazza di spaccio non può sopportare che in essa si consumino rapine o furti. CAPITOLO 4. Nel caso di imputato con provvedimento di messa alla prova l’Autorità giudiziaria minorile può disporre il periodo di prova in una struttura comunitaria. La comunità con altre figure professionali entra a far parte dell’universo di attori che collaborano alla realizzazione della progettazione educativa. Le comunità si distinguono in due tipologie comunità del privato sociale riconosciute e autorizzate dalla regione competente per territorio e comunità ministeriali gestite dal Dipartimento per la Giustizia minorile e di Comunità. L’efficacia dell’intervento comunitario con i minori dell’area penale è un tema che raramente viene affrontato e quindi si è ritenuto svolgere un colloquio approfondito con i responsabili e gli operatori delle comunità (19 situate tra le varie province della Campania). L’oggetto di questo colloquio mirava: alle informazioni relative ai soggetti in messa alla prova, programmazione degli interventi, modalità relazionali minore/operatori, lavoro degli operatori, informazioni relative alla modalità di valutazione rispetto al caso, informazioni relative alla modalità di valutazione rispetto agli interventi svolti in comunità. 1)INFORMAZIONI RELATIVE AI SOGGETTI IN MESSA ALLA PROVA. Dalle interviste si è acquisito informazioni relative al numero di soggetti in messa alla prova accolti dalle strutture negli ultimi 3/5 anni, lo status di provenienza del probando, la durata media del percorso di prova e i motivi delle eventuali sospensioni dello stesso. Generalmente, prima dell’applicazione della messa alla prova vi è un periodo di permanenza in comunità per esigenze cautelari utilizzato per la conoscenza contestualizzata del ragazzo volta all’individuazione dei suoi bisogni, delle sue attitudini e potenzialità, da cui si realizza un PROGRAMMA EDUCATIVO INDIVIDUALIZZATO. Per quanto riguarda la durata media dei percorsi avviati, è emersa una variazione che va da un minimo di quattro mesi a un massimo di tre anni. Non tutti i percorsi si sono svolti con linearità e senza interruzione. I principali motivi di sospensione sono il dato oggettivo dell’inosservanza degli impegni assunti e quello soggettivo della non tenuta cognitivo- emotiva del probando a portare avanti il progetto educativo. In alcuni casi, il motivo della sospensione della prova è stata la fuga del probando dalla comunità. Un dato molto importante che fa riflettere riguarda il problema del “dopo comunità” e a come questo possa essere vissuto con ansia e paura dal ragazzo perché evidentemente non abbastanza supportato. Nonostante l’esito positivo della maggior parte dei percorsi avviati, in numerosi casi i ragazzi, dopo aver terminato la misura, sono rientrati nella medesima struttura in misura cautelare per aver commesso ulteriori reati. 2)PROGRAMMAZIONE DEGLI INTERVENTI. l’intervento comunitario con i minori in messa alla prova è centrata sulla necessità di progettare contenuti educativi utili alla responsabilizzazione del minore e al suo recupero formativo e sociale. Nell’ambito specifico della collaborazione tra servizi emerge che il progetto della messa alla prova è elaborato secondo il criterio della compartecipazione, in particolare con gli assistenti sociali che si limitano al reperimento delle informazioni al momento dell’ingresso ai fini dell’anamnesi sociale, questa limitazione è uno dei principali motivi per cui i ragazzi ritornano a delinquere. Il coinvolgimento della famiglia del minore e del suo ambiente di vita è labile e spesso inadeguato. In alcuni casi, la famiglia non è presente e non è disposta a collaborare. Nel progetto educativo è importante il parere del minore in riferimento alle attività previste nel progetto perché è necessario tenere in considerazione le esperienze pregresse, le attitudini e le passioni dei ragazzi al fine di ridurre al minimo il rischio di esito negativo della prova. Le attività previste per i ragazzi sono realizzate all’esterno della struttura residenziale. Sono coinvolte le principali agenzie del territorio come scuole, associazioni, parrocchie e tutti gli enti presso i quali si svolgono attività formative sportive. Tali agenzie, in nessun caso, sono situate nel territorio di provenienza del minore al fine di allontanare i minori dai contesti ritenuti pregiudizievoli. Nei progetti di messa alla prova vengono introdotti obiettivi di reinserimento scolastico, formazione lavorativa, attività di volontariato e socialmente utili a favore di persone bisognose. I ragazzi sono impegnati anche in attività organizzate all’interno della struttura: attività di svago, laboratori creativi, coltivazione; ciò per favorire l’interazione e lo scambio tra gli ospiti, contenere l’aggressività e il pericolo di fuga. La vita quotidiana risulta minuziosamente organizzata: ai ragazzi è richiesto di rispettare le regole interne alla struttura, collaborare alla pulizia sia dei propri spazi sia di quelli comuni secondo un calendario, di partecipare alla preparazione dei pasti. Tutto ciò per favorire una maggiore autonomia nella gestione di sè stessi e dei propri spazi, l’assunzione di impegni, il rispetto dell’altro e delle regole. 3)MODALITÀ RELAZIONALI MINORE/OPERATORI. La fase dell’accoglienza in struttura costituisce un momento a cui dedicare particolare attenzione poiché è importante per la costruzione di una seconda alleanza di lavoro. L’ingresso del nuovo ospite ha un effetto destabilizzante sull’equilibrio del gruppo di ragazzi presenti in struttura, è importante informare e preparare il gruppo e consentire di metabolizzare il cambiamento e permettere al nuovo arrivato di sentirsi accettato. Assume particolare importanza l’attivazione di un sistema di comunicazione che consenta: •al minore di conoscere la struttura, gli altri ospiti e il personale; •agli operatori di acquisire elementi di conoscenza circa la situazione del minore a livello soggettivo e sociale. Il responsabile o l’operatore illustrano le regole della vita comunitaria, presentano l’équipe educativa, i ragazzi e la struttura. Le informazioni del minore vengono conosciute attraverso i contatti con la famiglia e tramite un colloquio di conoscenza iniziale con lo stesso. Tutta l’équipe si occupa di seguire il ragazzo durante il suo percorso comunitario, tuttavia viene individuato un operatore di riferimento che cura i rapporti con gli altri enti e ha la responsabilità circa l’attuazione del progetto educativo. Ai ragazzi è offerta la possibilità di avere un incontro con lo psicologo in genere una volta a settimana. Per il minore in messa alla prova sono applicate delle restrizioni: mancato contatto con l’esterno, limitazioni di orari per usare il cellulare, per fare colloqui con i familiari o per utilizzare il computer. 4)INFORMAZIONI RELATIVE ALLE MODALITÀ DI VALUTAZIONE RISPETTO AL CASO. Un percorso di messa alla prova deve essere valutato sia ex-ante per verificare la fattibilità della misura e individuare interventi da porre in essere; sia in itinere per rimodulare il progetto e tenerne sotto controllo l’andamento; sia ex-post per interpretarne gli esiti. È la stessa comunità che accoglie il minore ad essere coinvolta nel processo di valutazione. L’attività di valutazione costituisce un aspetto centrale nel lavoro educativo con il singolo minore. Le comunità intervistate ricorrono frequentemente ai SST e SS ministeriali richiedendo relazioni aggiornate, svolgono innanzitutto un colloquio con il minore e la famiglia e poi richiedono informazioni ai servizi che hanno avuto precedenti rapporti col minore. Il tutto si conclude con la stesura di una relazione scritta sulla L’attività di mediazione si configura come un’attività di regolazione dei conflitti che non si sostituisce alla giurisdizione, ma può costituire una risorsa operativa da essa utilizzabile, che sancisce il passaggio da un’ottica retributiva ad un’ottica riparativa e riconciliativa, è uno strumento che presuppone una disponibilità, da parte sia della vittima che del reo, a riesaminare i propri comportamenti in un contesto relazionale non giudicante, in modo tale da capirne le motivazioni, mettendo a confronto diretto reo e vittima e favorendo la comprensione delle reciproche posizioni. Il processo di mediazione consente al minore di: •sviluppare più consapevoli possibilità di scelta in ordine ai propri comportamentali •comprendere il reato nei suoi aspetti relazionali e non soltanto come astratta violazione di una norma. La mediazione potrà dirsi conclusa con successo quando entrambe le parti avranno sviluppato una visione nuova del patto, arricchita dalla dimensione cognitiva ed emotiva dell’altro. Le indicazioni contenute nelle linee guida sono indirizzate in particolare: -al minore autore di reato, il quale deve essere supportato in un percorso di elaborazione del fatto- reato e dell’esperienza penale in generali; -alla vittima del reato, che deve essere tenuta in considerazione nel suo diritto a rielaborare la vicenda penale e a essere sostenuta emotivamente nell’affrontare la mediazione e l’eventuale incontro con il reo, in cui la vittima può recuperare il senso di giustizia, fiducia e sicurezza -al mediatore, il quale assume un ruolo imparziale e riservato, ha il compito di creare una situazione neutrale in cui reo e vittima possono incontrarsi e riconoscersi reciprocamente come persone. La mediazione si distingue in fasi: -proposta di mediazione che può venire dal magistrato, dai Servizi minorili dell’Amministrazione del territorio e della giustizia, dalla polizia giudiziarie che conduce l’interrogatorio, dalla vittima. -invio al Servizio di mediazione che può avvenire in ogni stato e grado del processo anche durante l’esecuzione della pena, il minore e la vittima devono essere informati sulle finalità e i contenuti ad essa collegati. -incontro individuale con le parti dove si verifica la fattibilità, risulta utile al fine di accogliere e dare ascolto sia alla vittima che al reo. -incontro diretto delle parti invece avviene con una prevista precisazione dell’incontro e del ruolo del mediatore. -comunicazione che comporta la trasmissione dell’esito della mediazione alla Magistratura e al Servizio che sta seguendo il caso. Si comunicherà qualsiasi cosa avvenuta durante l’incontro non solo l’esito positivo o negativo. Anche in assenza di una legge ad hoc la mediazione minorile è consentita dall’art 9 DPR 448/1988, che consente al pm (pubblico ministero) e al gip (giudice per le indagini preliminari) di acquisire informazioni a livello globale sul minore al fine di valutare la rilevanza del fatto e la successiva riparazione del danno. Mediazione e conciliazione risultano essere termini strettamente correlati, ma hanno significati diversi: la mediazione può essere considerata come l’attività di chi si pone tra due contendenti per facilitarne l’accordo; la conciliazione è definita come un accordo, frutto della mediazione. La conciliazione è uno strumento per soddisfare l’interesse generale poiché costituisce non solo un efficace strumento in grado di contenere il proliferare delle controversie giudiziarie, ma rappresenta anche un veicolo di diffusione di quella cultura della pacificazione, che fonda le sue radici nell’articolo 2 della carta costituzionale in relazione agli istituti che riconoscono e garantiscono la solidarietà. Il legislatore per quanto riguarda la sospensione del processo e messa alla prova ha deciso di delineare un paradigma di probation il quale sancisce che il giudice proiettato all’emanazione di una sentenza di condanna si astiene dal farlo mettendola in sospeso per un periodo di tempo non oltre 3 anni aprendo una fase extraprocessuale, la quale il minore imputato si vede assegnato dietro esplicito consenso all’osservazione di un progetto predisposto dai servizi sociali il cui esito determinerà il provvedimento giudiziale. Dai dati esaminati è emerso che, a Napoli, nel periodo 2000- 2007 a fronte dei 287 fascicoli analizzati, la conciliazione è stata prescritta in 197 casi. Si registrano, infatti, da un lato la crescente consapevolezza dell’importanza del ruolo che la conciliazione può avere sia per la vittima che per il reo, e dall’altro tutti i limiti incontrati dal servizio per la conciliazione e mediazione penale nel tentativo di avviare gli interventi di conciliazione. La regione Campania nel 2007 ha finanziato la formazione di mediatori denominati “Antenne”, risultando fallimentare poiché non ha soddisfatto le aspettative, successivamente è stata effettuata una rivisitazione dell’esperienza progettuale. Nel 2014 è stato stipulato un protocollo di intesa per lo sviluppo di linee, di azioni congiunte a favore dei minori in area penale tra il centro per la giustizia minorile di Napoli (CGM) e il comune di Napoli. Questo protocollo d’intesa presenta i seguenti obiettivi: -attivazione di percorsi di aggiornamento/formazione per il CSST e gli USSM. -la promozione di attività specifiche pensate per le vittime di reato. -il coinvolgimento della Regione Campania al fine di garantire conciliazione e mediazione penale anche all’utenza proveniente da altri comuni e province. Tutto ciò per eliminare i limiti emersi: -mancanza di informazioni sulle parti lese, mancanza di recapiti. -poche risorse umane e economiche da investire. -gravità del reato e l’indisponibilità da parte della vittima il tutto aggravata dalla distanza temporale tra l’accadimento e la definizione del processo. -mancanza di una formazione adeguata. CAPITOLO 6. Il sistema penale minorile, nella maggior parte degli ordinamenti giuridici occidentali è distinto da quello degli adulti, al fine di accentuare le strategie e i programmi di carattere rieducativo e inclusivo che salvaguardassero i minori dai costi sociali e umani in seguito all’esperienza detentiva e più in generale da un loro coinvolgimento in un’esperienza processuale. La direttiva del 2007 riassume i principali propositi del sistema di giustizia minorile: 1)Prevenzione della criminalità e della recidiva minorile; 2)Rieducazione e risocializzazione dell’offender; 3)Realizzazione di interventi indirizzati alla mediazione penale e al riconoscimento degli interessi della vittima. Ciò che continua a rendere il sistema minorile totalmente differente da quello degli adulti è la completa assenza a ogni riferimento a principi di proporzionalità, retribuzione e deterrenza della pena. Nella letteratura sociologica e criminologica sono state adottate tre motivazioni principali per spiegare la necessità di conservare un impianto giuridico differente per i minori: -la minore consapevolezza degli adolescenti; -la concezione dell’adolescenza come fase di transizione e di sperimentazione; -l’idea che per un minore la pena legale comporti un maggior livello di sofferenza. Rispetto al tema della minore colpevolezza degli adolescenti si ritiene che questa sia in parte dovuta a fattori cognitivi, in quanto presentano inferiori capacità nel comprendere gli effetti dannosi connessi all’azione criminale, in altra parte a fattori volitivi, poiché hanno minore capacità di autocontrollo, tali da renderli capaci di cedere alle pressioni che spingono al compimento di un atto criminale. Come ha affermato Zimring, i reati commessi dai minori rivelano il passaggio ad una fase transitoria nel processo di maturazione e non necessariamente risultano profetici di una futura carriera criminale. In una molteplicità di studi scientifici è stato dimostrato che l’esito positivo di tali misure è maggiormente garantito all’interno di istituti giovanili piuttosto che all’interno delle carceri. Per questa ragione, il ricorso alla punizione e alla detenzione per i minori è stato contemplato come ultima ratio per i casi di recidiva reiterata, o quando vengono commessi crimini di estrema gravità. Nel mondo occidentale i sistemi penali minorili sono stati implementati secondo un’impostazione welfarista che pone l’attenzione sui bisogni piuttosto che gli atti compiuti dal minore, sostenendo che la criminalità minorile sia dovuta a malessere psicologico e a deprivazione economica. Dagli anni Ottanta è stata focalizzata l’attenzione anche sulla responsabilizzazione dei minori e delle famiglie. Tale impostazione critica nei confronti del modello di welfare ha incontrato la sua maggiore ricezione nel panorama statunitense e nel mondo anglosassone in genere. Nel sistema penale minorile anglosassone hanno assunto una posizione di centralità alcuni elementi che erano estranei al suo impianto originario: -L’offendere è visto come soggetto razionale e dotato di libero arbitrio. -L’attenzione è posta sul reato non sul minore. -La vittima diviene protagonista del processo e viene data attenzione alla riparazione del danno. -Si assottigliano le differenze tra sistema penale minorile e quello degli adulti. Proprio per questo si assiste ad un adulteration del sistema di giustizia minorile dove in questa fase la responsabilità non è più solo dello Stato ma anche delle famiglie che devono assumersi le responsabilità degli atti commessi. Le direttive europee non raccomandano un’età precisa per la responsabilità penale ma auspicano non sia troppo bassa ed è per questo che tendenzialmente l’età è quella dei 14 anni nella maggior parte dei paesi europei. In Inghilterra, Galles e Nord Irlanda scatta a 10 anni, in Scozia 8 e 12 anni solo per reati gravi, in Irlanda 12, in Polonia 13, in repubblica Ceca 15 anni e nel modello spagnolo c’è una differenziazione interna in quanto i minori dai 14 ai 17 sono egualmente imputabili ma dai 14 ai 15 la condanna non può superare il limite di 2 anni mentre 16/17 può essere anche di natura detentiva e raggiungere i 5 anni. La maturità del minore è valutata singolarmente esaminando la situazione personale al compimento del reato, l’analisi psicologica e la condizione socioeconomica familiare. Tendenzialmente si definiscono giovani adulti coloro che rientrano nei 21 anni poiché rispetto al passato si è procrastinata l’uscita dalla casa genitoriale, l’occupazione lavorativa e la creazione della famiglia e quindi determina un allungamento delle fasi di transizione della vita. Per i paesi scandinavi non esiste un ordinamento penale minorile diverso da quello degli adulti mentre nel resto d’Europa nonostante il giovane sia divenuto maggiorenne continua a scontare la sua condanna in un istituto penale dedicato ai minori per non interrompere il trattamento e non genera effetti di vittimizzazione causato da adulti che incarnano profili criminali da anni. I giovani adulti negli IPM rischiano però di vittimizzare dato la loro carriera avanzata i minori ed è per questo che si è pensato ad un istituto esclusivo ai soggetti che rientrano nella fascia d’età dei giovani adulti. -Orientamento retributivo: le pene sono fisse, ovvero per ogni reato ci sono delle pene fisse (un tot di anni uguale per tutti). Sistema di pena individualizzato: ogni reato può andare da un tot anni a tot. Il giudice deve scegliere tra questi tot anni quanto dare al condannato facendo ricorso anche alla sua interpretazione rispetto al reato. Se a questo aggiungo anche un programma rieducativo devo scegliere anche quale sia il programma rieducativo piu’ adatto.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved