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Messa alla prova Servizio sociale, Dispense di Sociologia

Riassunto del libro del professore Di Gennaro, sono solo alcuni capitoli non tutto il libro

Tipologia: Dispense

2021/2022
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Alessiaa17
Alessiaa17 🇮🇹

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Scarica Messa alla prova Servizio sociale e più Dispense in PDF di Sociologia solo su Docsity! LA MESSA ALLA PROVA CAPITOLO 1, Limiti interpretativi e possibilità reali di spiegazione della devianza minorile: cosa ci offre la letteratura sociologica e criminologica. La devianza da sempre è uno dei temi principali della sociologia, direttamente e non, questo perché è un fenomeno universale (interessa tutti i gruppi sociali) e relativo (la devianza non è uguale per tutti). Ordine e disordine sono due concetti che da sempre coesistono; all’ordine è stato associato il concetto di regolazione, stabilità, quindi la capacità di una società di esercitare attraverso le relazioni, valori il controllo sociale. Il disordine al contrario ha assunto il connotato di esclusione, devianza, crimine, quindi è una minaccia per l’equilibrio sociale. Essa però, dal punto di vista della “logica del sociale” è indispensabile, perché senza sapere cosa giusto e cose è sbagliato non potremmo fare tale differenza. Secondo le teorie formatesi con la prospettiva teorica della Scuola di Chicago la devianza è divisa in vari livelli in base al grado di controllo sociale, più è esercitato in modo rigido più sarà presente la devianza. Becker addirittura sostiene che proprio per la formazione di istituzioni di controllo sociale che si diffonde la devianza. Questi punti di vista, di conseguenza, legittimano il ruolo delle agenzie formali di controllo sociale partendo dalla famiglia agli organi giudiziari. Questa prospettiva, per quanto giusta, può generare secondi fini quali sfruttamento e ingiustizie da parte di gruppi di élite sociali. Proprio per questo, considerare il controllo sociale come una strategia finalizzata all’esercizio del potere non permette di distinguere quella funzione positiva che tali meccanismi possono svolgere per garantire beni fondamentali come la sicurezza e la libertà. Molti dei sostenitori della nuova teoria del controllo sociale distinguono più forme di delinquenza sottolineando il fatto che l’inclinazione al crimine non è specifica di alcune classi sociali, basti pensare a tutti gli illeciti bancari, finanziari che sono stati svolti negli ultimi anni. Proprio per questo Durkheim dice che la criminalità è un fenomeno così generale (per questo “fatto sociale”) che ciò che ci permette di riscontrarlo è solo la diversa gestione culturale dei processi giuridici. Uno dei fattori è l’indebolimento dei legami sociali; secondo il modello di Ageton, Canter e Elliott, il crimine è frutto del processo di socializzazione, nel senso che più deboli saranno i legami sociali maggiore sarà la criminalità e viceversa. Proprio per questo, se una persona inizierà ad avere legami o vincoli che la impegnano quali matrimonio o lavoro, è probabile che esca dalle attività delinquenziali. Proprio per questo si hanno i programmi sociali per bambini e adolescenti, così che avendo altre attività al di fuori delle mura scolastiche, accrescerà il loro capitale morale, quindi aumenta il senso di responsabilità, autocontrollo, partecipazione, e le probabilità che si avvicinino alla criminalità diminuiscono. CONFINI DIVERSI DEL COMPORTAMENTO SOCIALE Non è possibile quindi dare una definizione univoca al concetto di devianza. Ci sono atti devianti che non producono elevati danni, altri invece che ne causano anche troppi; infatti, i confini che delimitano i comportamenti sociali possono essere rigidi (come nelle società antiche) ma anche labili (come nelle società moderne). Tuttavia, devianza e criminalità sono fenomeni cosi articolati che non possono essere definiti con un’unica interpretazione, infatti, è bene fare una differenza tra i confini ideali che possono portare alla devianza o alla criminalità: diversità sociale, devianza sociale, devianza grave, crimine. DIVERSITA SOCIALE Incide con la cultura, i valori, le ideologie di una società, i quali se sono fortemente radicati e rappresentano la maggioranza della popolazione, facilmente dei comportamenti alternativi possono essere considerati diversi o essere etichettati come devianti. In ogni caso, la reazione della popolazione è tenue. C’è una forte tolleranza (-). La diffusione o la diminuzione della diversità è conseguenza di cambiamenti culturali: basti pensare a come è cambiata la concezione nei confronti di una persona omosessuale o tatuata. Questi comportamenti però, se non si integrano nella società possono portare ad un disagio sociale, fenomeno che è più probabile si diffonda in un’adolescente, il quale è portatore di subculture ed essendo in fase di sviluppo sta ancora strutturando la sua identità soggettiva. Proprio per questo il bullismo e cyberbullismo sono incentrati nell’individuazione di disagio giovanile e sui fattori che potrebbero generare comportamenti devianti. L’obiettivo è quindi quello di creare una società multietnica e allargare la diversità sociale incorporando gli atteggiamenti/comportamenti che sarebbero stati oggetto di disagio, come la religione, la quale discriminazione può portare ad una devianza occasionale ma anche stabile. DEVIANZA SOCIALE Si ha una violazione delle regole e degli obblighi condivisi che un individuo appartenente ad una società deve seguire, cosi da provocare una reazione negativa la quale però ha diversi gradi, infatti è la reazione alla trasgressione della norma che stabilisce la devianza, proprio per questo viene definita relativa. (+/-). Nelle società precedenti, essendo basate sulla religione, acquisivano le trasgressioni tramite essa, infatti la convivenza sociale era possibile solo se venivano rispettate le norme e morali discendenti da essa. Anche Tonnies esprime questa visione dividendola in Gemeinschaft e Gesellschaft; la prima, rappresentata dalle società preindustriali, basava la sua convivenza sulla “volontà essenziale” che si sviluppa sui costumi, la religione e la famiglia, proprio per questo il controllo sociale era informale, essendo collegato agli usi e tradizioni delle famiglie o comunità, ma era più semplice individuare un comportamento come deviante. La seconda è caratterizzata dalla “volontà arbitraria”, nel quale gli individui perseguono i loro interessi, infatti essi scelgono i mezzi più efficienti per raggiungere uno scopo, i quali sono regolati dal contratto e dal diritto. Questa interpretazione, quindi, rende evidente sia il fatto che il passaggio da comunità e società non è lineare, sia che crimine e criminalità sono la trasformazione dei rapporti tra individui e istituzioni, infatti il crimine è visto come un’azione sociale volta al profitto. Nelle società moderne quindi si riconosce che il cambio delle condizioni sociali accresce l’agire arbitrario tanto da consentire l’atto illegale come un mezzo per raggiungere un obiettivo materiale. L’identificazione di deviante non può essere assegnata a soggetti o insieme di individui da gruppi o élite, i quali li stigmatizzano e etichettano solo perché raccolgono un maggior consenso sociale. L’etichettamento stesso infatti può diventare una causa di comportamento deviante, poiché rafforza nell’individuo l’identità deviante ma anche perché in una condizione di profonda marginalità sociale, i trasgressori essendo sfruttati dai datori di lavoro, iniziano a vedere più attraente la criminalità. Questo non toglie che esistono comunque devianti che hanno comportamenti criminali basati su auto norme scelte in maniera soggettiva. Da sempre, tra le cause della devianza minorile, viene identificata come principale l’appartenenza alla classe sociale, in quanto una classe marginata, la quale non gode di privilegi, sicurezza, diritti, è più esposta alla criminalità rispetto ad un individuo che gode di maggior potere e che sarà proprio lui a prendere le decisioni sociali, formulare le leggi, mettendo sempre di più in una posizione di marginalità le classi inferiori. DEVIANZA GRAVE (delinquenza) Ora gli individui non violano più le norme sociali ma le leggi, quindi commettono un reato, e tale violazione può essere permanente o occasionale, passando così da devianza a delinquenza. Lemert fa una distinzione tra delinquenza primaria e secondaria, sottolineando la diversa reazione sociale: la delinquenza primaria sarebbe la trasgressione saltuaria delle leggi che non ha una forte conseguenza né sull’individuo né sulla società, come passare al rosso o saltare il pagamento delle tasse. La reazione sociale sarà quasi inesistente, se non addirittura, in periodi di crisi economica, può provocare compassione. La delinquenza secondaria invece sarebbe quando la trasgressione è continua, non è più un evento sporadico. Lemert, dice che la di instaurare in essi la consapevolezza che l'agire umano sia pieno di effetti sugli altri e che nel bene nel male ne siamo protagonisti. Questa però possiamo dire essere un processo molto difficile, data la radicalizzazione della devianza e del crimine. La scuola di Chicago invece, dice che devianza e crimine sono due corpi diversi con all'interno le proprie sezioni, infatti le aree del disagio, della devianza e del crimine sono attraversate da processi di differenziazione che rendono molto più composite le sezioni e le varietà tra esse. Questa consapevolezza è stata assunta anche dal legislatore, il quale s'ispira alla juvenile probation statunitense (sanzioni e misure imposte ad un autore di reato) e incorpora altri provvedimenti di diversion, si attestano la differenza e la diversa gestione nel campo del sistema penale minorile, come la sentenza di perdono giudiziale (comporta l'estinzione del reato). Come già detto, i livelli di devianza, crimine e disagio sono diversi, tant'è che è possibile distinguerli in prima area interna allo spazio della devianza, e seconda area interna alla devianza, la quale composta da giovani che non fanno più parte di aggregazioni spontanee per realizzare violenza di strada, ma ti troveranno in delle gang o bande organizzate; essi usano la violenza e la vittimizzazione quotidianamente, provengono da periferie interne ed esterne dalla città dove riscontriamo modelli e pratiche sub culturali simili alle subculture camorriste. essi non hanno percezione della violenza perché non vivono attraverso le loro percezioni sensoriali, ti distaccano dalla realtà. Questi giovani tendono a rifiutare tutte le forme di integrazione basate sul lavoro tradizionale. Spesso lo sviluppo di queste personalità può avvenire se si è in prossimità di quartieri presenziati da clan o famiglie camorriste, così da trasformare la violenza in qualcosa di stabile che diventa espressione della propria identità. C'è poi una terza area della devianza grave, dove troviamo giovani nel pieno della loro carriera criminale, formano bande, svolgono rapine, vendono droga. Qui il carattere predominante è la storia della famiglia, la quale sviluppandosi dà origine alla riproduzione di gruppi criminali organizzati, dove tale centro è l'ideale camorristico. Occorre però avere la consapevolezza che la rimozione di un giovane dalla da criminale non può avvenire affrontando il problema in chiave di ordine pubblico o con programmi di prevenzione soppressione delle gang, ma sono invece necessari degli interventi innovativi di prevenzione e azioni di welfare educativo, ognuno diverso in base alle aree devianza (per la prima area, interventi di mediazione fatti carico dalle scuole o le agenzie territoriali educative, per la seconda, massiccio recupero scolastico, formazione professionale e inserimento nel mondo del lavoro, terza area scelte più radicali e sperimentazioni nuove, come, per i giovani che appartengono a famiglie ben radicate, attuare una collaborazione con genitori I quali siano disposti a recuperare la socialità del figlio). Questi interventi si stanno già conducendo a Reggio Calabria, dove è stato creato un programma chiamato “Liberi di scegliere” dove i ragazzi che si trovano nella criminalità vengono tolti dalle loro famiglie così da iniziare un percorso di rieducazione. Si tratta di ragazzi dove le famiglie li utilizzano per confezionare dosi, come corrieri, addestrano i figli arruoli nell'economia criminale ho nella prostituzione. L'obiettivo è quindi quello di intervenire sui fattori di spinta come la noia, la frustrazione da status, la percezione di esclusione sociale, ma anche su fattori come lo sviluppo urbano distorto e il mercato della droga. DAI MODELLI RATIONAL AI NUOVI TENTATIVI DI INTEGRARE ASPETTI TEORICI DIVERSI Tra i contributi che hanno sviluppato in criminologia e sociologia della devianza un approccio più volontaristico si ha a partire dagli anni 70, la quale viene spiegata in base alla teoria delle scelte e dell'utilità che ne deriva in base ai costi. Questo approccio prende come modello le idee di Jeremy Bentham e le riflessioni di Cesare Beccaria che ha elaborato una concezione dell’agire umano come presupposto esplicativo sia delle ragioni che lo sottomettono allo stato, sia di quelle che lo allontanano. I tratti fondamentali della filosofia illuministica (SCUOLA CLASSICA: contrattualismo, utilitarismo, umanitarismo) li ritroviamo infatti nell'opera di Beccaria “Dei Delitti e Delle Pene”; per quanto riguarda il contrattualismo, la persona rinuncia ad una quota di libertà a favore dello Stato che in cambio lo protegge. Per l'utilitarismo (pensiero di Bentham) il comportamento umano è orientato dal semplice fuggire da tutto ciò che provoca dispiacere, così da privilegiare i vantaggi minimizzando i costi, avendo così una sottomissione alla legge. Quindi l'individuo sta alle leggi per preservare il contratto sociale e le sub-utilità individuali non saranno perseguibili dalla legge, ma le si persegue attraverso il sanzionamento o la punizione. Per l'umanitarismo le pene dovevano essere regolate rispetto al reato commesso e bisognava eliminare ogni pena crudele e arbitraria. Il pensiero della scuola classica lo si può riscontrare anche né risultati della Rivoluzione francese e Americana, nelle quali entrambe hanno fatto proprie le idee di uguaglianza tra gli individui, del diritto alla vita e alla libertà. Secondo Becker gli individui massimizzano il benessere come loro lo concepiscono, pertanto, chi compie un'azione criminale sa i rischi a cui va incontro e li accetta, parliamo quindi di criminale razionale. Anche Skyes e Matza parlano di “tecniche di neutralizzazione” che l’individuo applica quando svolge un’attività illegale; il deviante nega la sua responsabilità e condanna chi lo condanna, processo che è appoggiato anche dall’ambiente sociale, come la famiglia, la gang. Altro APPROCCIO che si tiene in considerazione è quello RAZIONALE, il quale non esclude che la devianza e il crimine sono comunque sottoposti all'influenza sociale; la teoria degli “stili di vita” e quella delle “attività di routine” sono quelle che aumentano il rischio di vittimizzazione criminale. La teoria degli stili di vita spiega che alcune persone sono maggiormente esposti al rischio di essere vittime di atti criminali, ad esempio i lavora nelle ore notturne, o chi è in una condizione economica agiata ha un elevato rischio di subire furti in casa. Questa teoria però ha avuto molte critiche, perché passa la responsabilità dal criminale alla vittima, come succede in una situazione di stupro secondo cui l'assunzione di determinati comportamenti della donna è causa dell'atto violento. In ogni caso l'attenzione ai processi di vittimizzazione sta producendo importanti effetti sulle strategie risolutive nei conflitti penali. Per quanto riguarda la teoria delle attività di routine, essa spiega che il rischio di vittimizzazione aumenta nel momento in cui sia una combinazione di obblighi sociali e particolari situazioni, le quali possono favorire la realizzazione di un reato. Sono tre gli elementi che permettono questo tipo di delitto: la presenza di un potenziale aggressore, quella di una vittima designata e di un obiettivo interessante e l'assenza di un custode. Quindi, i reati nelle città si distribuiscono in maniera differente in base ai quartieri e le strade degli stessi, così da determinare aree di concentrazione di determinati reati nello spazio nel tempo in compresenza di particolari fattori e condizioni (hot-spot, punti caldi di un territorio). I principi delle teorie razionali e gli hot- spot ci dicono qualcosa sul passato, ma sono anche elementi di analisi del futuro, Così da valutare al meglio quali sono i fattori criminogeni da tenere in considerazione. CAPITOLO 2, le esperienze nel distretto di Napoli tra messa alla prova e dintorni. Il dpr 448 del 1988 (Decreto Presidente della Repubblica sul codice processo penale minorile) introduce strategie di contrasto al crimine che permettono la conciliazione tra la difesa della collettività e la salvaguardia delle esigenze educative del minore. La sospensione del processo con messa alla prova ne è un'espressione, la quale pur traendo ispirazione dal juvenile probation statunitense, si differenzia in quanto il giudice può avvalersi della messa alla prova anche prima di emanare una sentenza (cosa che negli Stati Uniti non avviene, il giudice dopo aver emanato il reato dispone la messa alla prova). Se la prova si conclude in maniera positiva si può avere l'estinzione del reato lasciando il minore privo di stigmi, avendo così una diversion che de-criminalizza l’autore del reato. Nel nostro ordinamento però il tentativo di applicare misure di deviazione dal sistema giuridico è ostacolato dall’articolo 112 della Costituzione (Il Pubblico ministero ha l’obbligo di esercitare l’azione penale), quindi il processo di messa alla prova è una misura che si trova a metà strada tra probation e diversion. Inizialmente questa misura non fu molto utilizzata, fin quando non iniziò a crescere passando per ogni sede processuale italiana. I pareri su questo tipo di processo sono vari: alcuni pensano essa sia sempre più utilizzata perché negli anni ha dimostrato la sua efficacia, altri che il suo utilizzo si stia tramutando in abuso, nel senso che in alcuni casi si sarebbero potute adottare misure meno gravose, trasformando così la messa alla prova in un dispositivo per esercitare controllo sociale. In ogni caso, nonostante essa sia un forte oggetto di riflessione, il legislatore italiano ha ritenuto di poter estendere la messa alla prova anche negli imputati adulti, parlando di adult probation. IL DISEGNO DELLA RICERA: PREMESSE, DOMANDE E OBIETTIVI Con il passare degli anni, la sospensione del processo con messa alla prova è diventato un provvedimento sempre più diffuso (nel 2016 ha avuto il suo culmine). Ora sorge spontaneo il quesito secondo cui esso può essere effettivamente efficace per quanto riguarda la rieducazione, responsabilizzazione e reinserimento sociale. Per risolverlo bisogna vedere il rapporto tra le azioni prodotte dalle agenzie del territorio (enti privati, associazioni di volontariato, comunità educative) e la propensione del giovane deviante. Le ipotesi connesse al progetto di ricerca originano dall'identificazione di una serie di possibili limiti interni alla normazione e la sua applicazione dovuti: a) all'eccessiva discrezionalità del giudice, b) alla lunghezza dei termini tra la commissione del reato la disposizione del provvedimento da adottare nei confronti del minore, c) al differente modello applicativo nei diversi distretti giurisdizionali nei tribunali per minori. Abbiamo anche dei limiti esterni alla normazione dovuti: a) alla genericità dei progetti rieducativi, b) alla debole esperienza professionale che molte comunità territoriali hanno nell’ospitare un minore in messa alla prova, c) al peso che contesti di forte degrado sociale e familiare anno nel rendere vano i progetti rieducativi. La ricerca iniziata nel 2012 e condotta con il Tribunale per i minorenni, la procura presso il TM, il Centro per la Giustizia minorile e l'Ufficio di Servizio Sociale per i minorenni di Napoli, ha come obiettivo quello di sviluppare uno studio finalizzato alla valutazione dai risultati andando oltre la verifica degli esiti positivi e negativi, dato che i dati delle statistiche ufficiali, mostrano che Napoli è il luogo in cui ruota la questione criminale minorile della regione. Per raggiungere questo obiettivo è stato necessario formulare ulteriori sub-obiettivi: a. Sviluppare un'indagine quali-quantitativa che ha permesso di tracciare il profilo del minore messo alla prova, grazie a dei fascicoli dell'Ufficio di Servizio Sociale relativi a soggetti messi alla prova negli anni 2000 e 2007, confrontando questi con altri soggetti che non sono risultati destinatari di questo provvedimento. b. Stimare il tasso di ricaduta criminale c. Comparare questi tassi con quelli di altri provvedimenti come: sentenza di non luogo a procedere per irrilevanza del fatto, sentenza di perdono giudiziale. d. individuare il tasso di recidiva (ricaduta nel reato) fra quanti hanno ricevuto una sentenza di condanna a pena detentiva (privazione della libertà personale del condannato) L'indagine è stata svolta su campioni diversi: un campione sperimentale formato da soggetti con provvedimento di sospensione e messa alla prova, e tre campioni di controllo differenziati tra coloro nei cui confronti è stata pronunciata una sentenza di irrilevanza del fatto, quelli di perdono giudiziale e soggetti condannati a pena detentiva. Tutti i soggetti hanno in comune la caratteristica di aver frequentato il tribunale per i minorenni di Napoli tra il 2000 e il 2007. conforme” e “conforme”, mentre l’impegno, intesa come partecipazione soggettiva, è stata indicata con “passivo”, “alterno” e “attivo”. • Conclusiva (ex post): dal quale si rileva il raggiungimento degli obiettivi prefissati e la valutazione secondo l’operatore di giustizia. Nei programmi di messa alla prova, fra le attività più svolte sono il volontariato, conciliazione con la parte lesa, lavoro e studio. Il volontariato è tra le attività più svolte perché offre la possibilità al minore di fornire un servizio alla società e confrontarsi con situazioni di vita completamente diverse. GLI ESITI DEL PERCORSO DI PROVA Alla fine del percorso, il giudice può decidere l'emanazione di una sentenza con esito positivo quindi con l'estinzione del reato, oppure con esito negativo con ritorno allo stesso. La decisione avviene tenendo conto del comportamento del minorenne e dell'evoluzione della sua personalità. I parametri secondo cui si valuta il comportamento del minorenne e la sua evoluzione non sono molto chiari, tant’è che si può mettere in dubbio la positività dell’esito della prova. In ogni caso, nell’85% dei casi gli esiti sono positivi, quelli negativi sono motivati dalla mancata adesione al programma o alla commissione di un nuovo reato, inoltre il fallimento dei percorsi è maggiore tra gli stranieri piuttosto che tra gli italiani. In sostanza è chiaro che la valutazione del rendimento della probation processuale non può esaurirsi negli esiti della messa alla prova, ma uno degli indicatori più validi è la recidività o la ricaduta criminale. CAPITOLO 3, Long life crime: tassi di recidiva e di ricaduta criminale nei diversi campioni Tra le teorie che in criminologia testimoniano un approccio che costruisce una teoria unitaria sulla genesi delle condotte criminali c'è quella formulata dai coniugi Glueck, la quale tesi di fondo è che alcuni tratti delle personalità che normalmente non inducono una persona a commettere atti illegali, possono indurli in base a particolari situazioni ambientali. Individuando un grande quantitativo di fattori per ogni soggetto, e lavorando campioni diversi, coniugi selezionarono 5 fattori (fisici, temperamentali, di atteggiamento, psicologici e socioculturali) relativi al background familiare dei soggetti, sostenendo che la presenza materna, il metodo educativo e la questione familiare erano i principali predittori di delinquenza. La loro ricerca porterà allo sviluppo di una tesi che sostiene che l'età è determinante per lo sviluppo della carriera deviante, la quale con l'avanzare dell'età andrà a ridursi. Seguendo questa ricerca se andrà a formare un altro studio che porta alla creazione della teoria della subcultura della violenza. La ricerca chiamata “Philadelphia Birth Cohort Study” studia tutti i maschi nati nel 1945 e residenti nella città più importante della Pennsylvania. I risultati saranno ottenuti tramite lo studio della carriera deviante, un follow-up ripetuto distanza di 10 anni e un successivo studio con i nati nel 1958. I risultati provenienti da queste ricerche superano il carattere descrittivo del primo studio, il quale riguarda principalmente l'esposizione delle caratteristiche personali e sociali dei delinquenti, mentre nella seconda si cerca di mettere in relazione quest'ultima con la corte di nascita. Il tipo di analisi è un tentativo di prevedere i modelli di carriera dei delinquenti durante l'adolescenza, e ciò che emerge è che da un lato possono esserci discriminazioni e trattamenti diversi verso i gruppi poveri, mentre dall'altro è confermata la tesi dell’etichettamento (labelling approach). Inoltre, è possibile affermare che l'età di esordio della delinquenza è un fattore predittivo del numero di reati che si commetteranno in età adulta. Sampson e Laub, dimostrano infatti che i ragazzi risultati delinquenti durante l'infanzia avranno una probabilità tre o quattro volte superiore di commettere crimini nell’età adulta. L’ASSENZA DI LINEARITA E CERTEZZA NEI FATTORI CAUSALI DEL COMPORTAMENTO DEVIANTE Anche se ci sono molte evidenze empiriche che confermano l'importanza di studiare a che età avviene il primo arresto, vari scritti e ricerche empiriche affermano che l'età adulta al primo arresto e il ricadere successivamente in un reato possono essere ricondotti a fattori ambientali familiari, a caratteristiche individuali, problemi di comportamento come la cessazione anticipata della scuola o il coinvolgimento nell'uso di alcol e droghe. Anche se, per Sampson e Laub è controllo familiare quello che influenza maggiormente il comportamento deviante, anche Farrington affermò che la scarsa educazione dei figli da parte dei genitori quando hanno un'età inferiore a 8 anni può portare all'iniziazione della delinquenza giovanile e del crimine degli adulti. La ricerca sulla carriera criminale ha spostato l’attenzione sull’interazione tra fattori a rischio e fattori protettivi. FATTORI A RISCHIO: UNA SFIDA ALL’IMPOSTAZIONE EZIOPATOGENETICA L'impostazione dell'analisi delle situazioni (fattori a rischio) che possono produrre delle condotte devianti si basa su un presupposto multifattoriale che vede le variabili soggettive (personalità o adesione alle norme) interagire con quelle della sfera sociale (famiglia, scuola) e le caratteristiche socioeconomiche del contesto del soggetto. La relazione dei fattori a rischio si basa sul l'individuazione di un rapporto multifattoriale e processuale, ma non è vuoi aspettare uno studio trasversale (studiato una sola volta) ma longitudinale (ci osserva nel tempo uno specifico comportamento, confrontando le correlazioni interne e individuali dei fattori a rischio con la delinquenza). Questo approccio considera sia che i fattori a rischio sono diversi tra gli individui, sia che la prevenzione e il trattamento deve essere personalizzato. L’approccio di Farrington fu molto criticato, per il fatto che sottovaluta il contesto sociale e l'aspetto situazionale. Proprio per questo, egli arricchì il suo approccio tanto da sviluppare un insieme di test empirici così da racchiudere risultati in un modello noto come I.C.A.P. (Integrated Cognitive Antisocial Potential Theory) il quale sottolinea che alle proprietà connesse al soggetto si associano anche situazione e ambiente sociale in cui agisce il soggetto (es gruppo dei pari). Inoltre sostiene l’influenza del controllo sociale, affermando che l'esordio per i cosce di comportamenti antisociali e le prime condanne hanno un effetto di stabilizzazione del comportamento deviante. Tramite l'analisi sulle carriere devianti di Farrington è impossibile individuare i fattori di successo che garantiscono l'abbassamento delle probabilità che da una manifestazione antisociale sì costruisca una traiettoria delinquenziale, le quali sono 9: alloggio e coabitazione soddisfacente, successo con i figli, lavoro adeguato, nessun coinvolgimento in risse negli ultimi 5 anni, nessun uso di sostanze negli ultimi 5 anni, nessun autodenuncia negli ultimi 5 anni, salute mentale soddisfacente, nessuna condanna negli ultimi 5 anni. L'indicazione di questi criteri è una risorsa per gli studi del recidivismo, in quanto permette di verificare le oscillazioni di un percorso deviante e di valutare l'efficacia degli interventi penali applicati e non applicati. Proprio per questo, l'obiettivo principale in un processo minorile e la sua risocializzazione e reinserimento, tant’è che si parla di “giustizia educativa” e di “modello riparativo”. LA PROTEZIONE DELLO SVILUPPO DEL MINORE: UN DOVERE SOCIALE RICONOSCIUTO PRIMA DEL d.P.R. 448 del 1988 La configurazione del nostro sistema processuale minorile ha attraversato e subito diverse “culture” a partire dall’adozione del probation. Eppure in Italia a partire dal ruolo assegnato alla famiglia fino alla creazione della condizione per la realizzazione del diritto all’istruzione ed educazione a tutti e alla libertà, viene riservato al penale un ruolo residuale. Questa convenzione ha investito la giustizia minorile e riformatto la funzione della pena facendo passare la fermezza del sanzionamento con la negativa esperienza detentiva, i cui effetti criminogeni piuttosto che educatici e risocializzanti, restano un pensiero conservativo e autoritario, portando ad un ricordo così negativo dell'esperienza carceraria che potrebbe rafforzare nel minore la possibilità di ulteriori comportamenti irregolari persino più gravi di quelli già svolti. Al contrario, l'approccio rieducativo e risocializzante, Punta sull’esperienza della mediazione, così da permettere al giovane di riconoscere il danno procurato e migliorare il suo rapporto con le norme, la società e la relazione con sé stesso e l'altro. La responsabilità dello Stato nei confronti dei giovani e quindi quella di applicare molteplici aspetti che caratterizzano lo sviluppo e la crescita della vita fino all'età adulta per non cadere nella vita criminale. ALZARE IL RENDIMENTO DELLE MISURE FINALIZZATE AL RECUPERO SOCIALE. IL PROBLEMA DELLA RECIDIVA per quanto riguarda la recidiva sia adulta che minorile, i tassi si contraggono quando le forme di esecuzione della pena si servono di un insieme differenziato di misure alternative. ulteriori ricerche, hanno poi dimostrato che la percentuale di recidiva tra i minori entrati nel circuito penale e tra gli adolescenti che commettono reati in modo non occasionale, maggiore rispetto a quelli trattati da diversi servizi della giustizia minorile o coinvolti dall'esperienza della mediazione e della family group conferences (incontro tra i membri della famiglia e funzionari come assistenti sociali e polizia per quanto riguarda la cura e la protezione o l'offesa criminale di un bambino o adolescente). In Italia, nonostante fenomeno della recidiva sia poco esplorato, emerge che il lavoro dei servizi sociali minorili, quando si combina con le caratteristiche del minore che rappresentano la motivazione alla collaborazione, risposte trattamentale giudiziarie della giustizia minorile rapide e con una rete sociale di gruppi associazioni che indirizzano alla crescita, si produrranno degli effetti positivi sulla riduzione della recidiva.Con la valutazione dei fattori a rischio si rivela che l'abbandono scolastico è causa del 49% di recidiva, così come l'assenza da qualsiasi impegno lavorativo (54%), o la pratica di un lavoro saltuario e precario (42%) rispetto a quanti studiano (14%) oppure hanno un lavoro stabile (29%). Un ultimo aspetto riguarda anche l'intervento dell’USSM (ufficio servizio sociale per i minorenni), in quanto nella stragrande maggioranza dei casi la segnalazione del reato avviene entro un anno, mentre la presa in carico entro sei mesi dalla segnalazione. Nel 74,5% dei casi i soggetti hanno commesso altri reati dopo la presa in carico. La presenza di una scarsità di monitoraggi ufficiali del fenomeno recidiva impedisce di individuare le correlazioni tra i fattori che influenzano l'ingresso e quelli che determinano la stabilizzazione di un percorso di devianza. è stata quindi adottata una doppia strategia prendendo in considerazione sia il Casellario Giudiziale Centrale, sia il Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria, dai quali database è possibile individuare un tasso di recidività, in quanto sono scritte le sentenze di condanna o di proscioglimento, mentre nel secondo è possibile effettuare un calcolo di ricaduta criminale, ottenuto dal numero di ingressi in un istituto penitenziario del singolo soggetto, anche se, non è detto che il soggetto non abbia commesso ulteriori reati poiché non segnalati nelle banche dati. LA “RICADUTA CRIMINALE” E LA RECIDIVA NEL NOSTRO CAMPIONE: I RISCONTRI DAL DIPARTIMENTO DELL’AMMINISTRAZIONE PENITENZIARIA. Se analizziamo le informazioni ottenute dal Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria è possibile ottenere non solo il tasso di ricaduta criminale, ma anche delle osservazioni aggiuntive che permettono una riflessione più approfondita; assistenti sociali dell’USSM (ufficio servizio sociale per minorenni). Al contrario, poche associazioni riescono a lavorare invece con gli assistenti sociali del SST, i quali non sembrano avere le conoscenze adeguate per lavorare in area penale. Quest’assenza, quindi, incide sulla possibilità di una presa in carico del minore e costituisce uno dei principali motivi per cui ragazzi, una volta terminato il percorso, ritornano a delinquere. Molti degli intervistati, infatti, lamenta nel fatto che difficilmente viene fatto un percorso di 360 ° con il ragazzo, includendo anche la famiglia, La quale non solo difficilmente presa in considerazione dagli assistenti sociali, ma in molti casi o non è presente, o se pure lo fosse non è disposta a collaborare. La maggior parte delle attività previste sono realizzate all'esterno della struttura, principalmente nelle scuole, nelle associazioni, nelle parrocchie o enti presso i quali si svolgono attività formative e sportive. La vita quotidiana dei ragazzi risulta essere minuziosamente organizzata: è richiesto di rispettare le regole interne della struttura, tenere puliti i propri spazi e quelli comuni e di partecipare alla preparazione dei pasti, così da favorire una maggiore autonomia nella gestione di se stessi, del rispetto dell'altro e delle regole. MODALITA RELAZIONALI CHE COINVOLGONO IL MINORE E GLI OPERATORI DELLA COMUNITA La fase dell'accoglienza costituisce un momento importante in quanto è in questa fase che si creano le premesse per la costruzione di un'alleanza di lavoro. Questa fase però spesso viene eseguita in maniera molto limitata, poiché i collocamenti avvengono in base all'urgenza. Secondo gli intervistati, per chi già presiede la struttura, l'ingresso di un nuovo membro ha un effetto destabilizzante, proprio per questo sì cerca di informare preparare il gruppo così da consentirgli di metabolizzare il cambiamento e accettare il nuovo arrivato. Il nuovo ospite solitamente viene accolto dal responsabile o dall'operatore egli spiega la situazione, gli illustra le regole della vita nella comunità, gli presenta l’équipe gli altri ragazzi. Dopodiché gli operatori cercano di capire la situazione del ragazzo tramite i servizi che già conoscono il minore, oppure tramite la famiglia, o se possibile tramite un colloquio iniziale con lo stesso. Il ragazzo sarà poi seguito da un operatore di riferimento, il quale verrà scelto e con un criterio di affinità. INFORMAZIONI RELATIVE ALLA MODALITA DI VALUTAZIONE RISPETTO AL CASO Quando è la messa alla prova è eseguita in comunità, anche quest'ultima è coinvolta nel processo di valutazione. Essa è una fase importante poiché rappresenta il “prologo su cui tutto l'impianto progettuale è costituito”. Le comunità intervistate ricorrono frequentemente al confronto con i Servizi Sociali, Ministeriali e Territoriali, anche se alcuni di essi spiegano che solo attraverso la convivenza nel quotidiano con il minore che si può raggiungere una conoscenza completa, ad esempio attraverso il rispetto degli orari, il coinvolgimento e partecipazione nelle attività, il rispetto delle regole o il modo di comportarsi con i pari. Inizia così una fase di osservazione, la quale generalmente coincide con l'esecuzione della misura cautelare, e si conclude con una relazione scritta sulla situazione del minore, che potrà aiutare l’Autorità giudiziaria nella sentenza per la messa alla prova. Spesso però capita che, nonostante l’équipe educativa abbia un parere contrario sulla prova, il giudice tendenzialmente tende sempre a concederla, poiché la vede come un'ulteriore possibilità, e anche perché i magistrati hanno una tendenza a beneficiare la persona piuttosto che punirla. Questo, secondo alcuni, svilisce il senso della misura (la messa alla prova viene concessa a tutti). INFORMAZIONI RELATIVE ALLE MODALITA DI VALUTAZIONE RISPETTO AGLI INTERVENTI SVOLTI DALLA COMUNITA Valutare i processi e risultati ottenuti permette di definire il prodotto del proprio lavoro, di conoscere la qualità, l'efficienza e l'efficacia delle risposte fornite. Dall'analisi del contenuto delle interviste emerge che la modalità di valutazione degli interventi più utilizzata è quella dell’autovalutazione, ovvero una riflessione condivisa sul lavoro svolto dall’équipe in rapporto ai percorsi dei singoli minori, tramite riunioni periodiche finalizzate a verificare la riuscita delle attività. Tramite alcune interviste è anche emerso il ricorso alla supervisione interna o esterna all'equipe, ovvero gli operatori periodicamente hanno una supervisione cosi da potersi confrontare e superare i propri ostacoli (alcuni hanno dei limiti su alcune tipologie di reato). Però offrire un supporto all'equipe sulla valutazione degli interventi, si è deciso di formulare una “scheda di autovalutazione degli interventi”, la quale può essere modificata o integrata in base alle esigenze e caratteristiche di ogni soggetto. Gli elementi che costituiscono la scheda sono: 1. obiettivo educativo generale: coincide con la finalità dell'intervento della comunità con minori in messa alla prova, ed è stato individuato partendo da due parametri posti dal legislatore, l'elemento oggettivo della condotta e quello soggettivo dell'evoluzione della personalità. 2. obiettivi educativi specifici: si divide in due diverse dimensioni, quella soggettiva e sociale (rientrano gli obiettivi relativi agli aspetti personali e interpersonali, come atteggiamenti, autonomia, competenze relazionali) la dimensione formativa/lavorativa il socializzante (rientrano gli obiettivi relativi all'inclusione in contesti come scuola, lavoro o attività di volontariato) 3. interventi: per ogni obiettivo specifico sono stati individuati possibili interventi, i quali possono dar luogo a un cambiamento 4. descrittori comportamentali: ad ogni obiettivo specifico sono stati assegnati anche descrittori comportamentali, quali possono essere positivi o negativi, che rappresentano l'insieme dei fatti o comportamenti consentono di affermare che il ragazzo sta seguendo un certo obiettivo o viceversa si sta allontanando. LAVORO DEGLI OPERATORI DI COMUNITA Nelle comunità, lo scambio e il confronto tra gli operatori con le altre realtà territoriali ha un particolare significato. Per quanto riguarda i processi di lavoro interni, la circolazione delle informazioni avviene per assicurare la continuità del lavoro educativo, ed avviene attraverso il diario di bordo (diario scritto al momento del cambio di turno, per registrare gli avvenimenti più rilevanti e le attività effettuate nel corso della giornata, alcuni utilizzano anche il diario di bordo on-line o i gruppi whatsapp) oppure attraverso un quaderno delle consegne (utilizzato per le indicazioni pratiche, come fare la spesa). Inoltre, sono previsti anche dei momenti di incontro tra gli operatori, generalmente programmate ogni 15 giorni. Essi si scambiano osservazioni sull'andamento dei progetti o sull'efficacia degli interventi, i quali vengono tutti trascritti in un verbale. In alcune comunità, sono previste anche delle riunioni occasionali previste casi eccezionali. Inoltre, essi sono chiamati a seguire dei corsi di aggiornamento organizzati esternamente alla struttura, anche se non è previsto un obbligo di partecipazione; quindi, non è possibile valutare il livello di frequenza degli operatori. Alcune iniziative che sono state sviluppate sono: o Partecipazione ad un progetto di visiting: si svolgono degli incontri periodici per visitare le altre strutture e confrontarsi o Partecipazione ad un convegno aderito da più comunità: convegno sulla comunità, cosa significa e il percorso dei ragazzi o partecipazione ad una formazione che si ripete ogni anno a Roma: viene richiesta la partecipazione di un unico operatore dove si fa il punto della situazione delle comunità CAPITOLO 5, il servizio per la conciliazione e la mediazione penale minorile di Napoli La mediazione offre alla società post-moderna una forma rituale attraverso cui esprimere e canalizzare la sofferenza. Per la sua complessa natura, è difficile definirla, quindi si utilizzano tre concetti diversi, relativi a diversi settori giuridico-sociali: • Può essere considerata come una tecnica di intervento sociale, in cui un terzo soggetto, promuove il superamento del conflitto attraverso l’incontro e il confronto • Si pone come un nuovo approccio alle dinamiche sociali, che consente di non considerare la risposta giudiziaria in relazione a conflitti interpersonali o tra gruppi • Emerge come funzione di modalità di soluzione dei conflitti che si intreccia con il processo penale Essa consente di valorizzare tre aspetti essenziali: • E una forma di conoscenza che si fonda sulla comunicazione, la quale a differenza della giustizia penale, ricorre solo al linguaggio • Si svolge in un territorio neutro • È un'attività libera e regolata, infatti deve godere di uno spazio non troppo angusto tale da soffocare i movimenti dialettici, né troppo ampio così da renderli eccessivi Per quanto riguarda la mediazione penale, il suo obiettivo è quello di: • Superare il conflitto originato dal reato • Ricostruire legame sociale per rotto dal reato, che potrebbe portare il deviante a comprendere le ragioni e i bisogni della vittima, così da elaborare un sentimento di pentimento, invece, per quanto riguarda la vittima, potrebbe portare ammettere il rancore da parte e rinunciare a ciò che le spetta di diritto. Un'ulteriore differenza, va fatto con la mediazione penale minorile, la quale consente: • Alla vittima di esprimere il proprio vissuto rispetto all'offesa subita in un contesto “protetto” • Al minore autore di reato di responsabilizzarsi in base al danno causato, Infatti la mediazione separata dal procedimento penale favorisce l'emersione dei contenuti emotivi dei fatti accaduti. GLI SPAZI NORMATIVI CHE DEFINISCONO L’AREA DI APPLICABILITA DELLA MEDIAZIONE PENALE NELLA GIUSTIZIA MINORILE Nell’ordinamento giuridico italiano, la giustizia riparativa per i minorenni si avvale di una gamma di strumenti quali: • Lavoro a favore della comunità, dove però la riparazione della vittima è solo simbolica. • La riparazione del danno, attraverso cui la vittima ottiene la riparazione materiale del danno ma non psicologica • La mediazione, attraverso cui la riparazione del danno è ottenuta attraverso l'elaborazione del conflitto La mediazione è quindi lo strumento più complesso in termini strutturali, ma anche quello più completo per quanto riguarda la tutela delle vittime. Gli spazi normativi attraverso i quali si può definire il peso attribuito alla mediazione sono vari, e sono rappresentati negli articoli 6,9,27,28 e 30 del d.P.R. n.488 e dall’art. 564 c.p.p. L’assenza di una vera e propria normativa relativa alla mediazione caratterizza le esperienze italiane di mediazione penale come sperimentali, anche se sta iniziando a diffondersi sempre di più. Inoltre, al fine di
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