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Metafisica da stampare, Dispense di Filosofia

metafisica di Aristotele

Tipologia: Dispense

2015/2016

Caricato il 27/01/2016

lucilla_maria_sala
lucilla_maria_sala 🇮🇹

4.7

(7)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Metafisica da stampare e più Dispense in PDF di Filosofia solo su Docsity! CAPO QUINTO Continuazione - Filosofia pitagorea ed eleatica Causa specifica. 1. - A' tempi di costoro e prima, i così detti [P. 985 B.23] Pitagorei, essendosi applicati alle matematiche, le buttarono fuori, loro per i primi. Allevati in esse, pensarono, che i lor principii fossero principii di tutti gli esseri. 2. - I numeri, in effetto, sono di lor natura primi tra gli esseri, e ne' numeri più che nel fuoco e nella terra e nell'acqua parve loro di scorgere di molte simiglianze colle cose che sono e che si generano, essendo giustizia una tal modificazione de' numeri, anima o mente una tal altra, un'altra opportunità, e così, in una parola, ogni altra cosa. Oltre di che, nei numeri ravvisavano le modificazioni e le proporzioni dell'armonia: e poichè d'altronde tutta la natura mostrava d'essere fatta a immagine de' numeri e i numeri d'essere primi in [p. 986 A.] tutta la natura, pensarono che gli elementi dei numeri fossero elementi di tutti gli esseri, e tutto l'universo un'armonia e un numero. E tutte quelle concordanze che potessero indicare, de' numeri colle modificazioni e colle parti e con tutto l'ordinamento dell'universo, le raccolsero e combinarono. 3. - Perciò, dove punto mancassero, si arrabattavano, per avere una teorica tutta piena e serrata. Per esempio, perchè la decade pare che sia qualcosa di perfetto e comprendere in sè tutta la natura dei numeri, affermano che ci sia appunto dieci corpi giranti per l'universo; e poichè se ne veggono soli nove, ne fanno loro un decimo, la contraterra. 4. - Queste materie si sono discusse altrove con più diligenza30. Qui ci si ritorna, per ricavare anche da costoro, che principii ammettano, e come ricadano nelle cause soprascritte. Di certo, anche costoro mostrano di credere che il numero sia principio e come materia agli esseri e insieme come lor modificazioni ed abiti: e che del numero siano elementi il pari ed il dispari, finito questo, infinito quello; e l'Uno risulti da ambedue questi, essendo e pari e dispari insieme; ed il numero proceda dall'Uno; e siano i numeri, come s'è detto, tutto l'universo. 5. - Certi altri, della stessa scuola, professano, che i principii son dieci, enunciati a coelementi :  Fine ed infinito,  Dispari e pari,  Uno e pluralità,  Destro e sinistro,  Maschio e femmina,  Quieto e mosso,  Retto e curvo;  Luce e tenebra;  Bene e male,  Quadrato e quadrilatero disuguale. 6. - E questa pare essere stata opinione anche di Alcmeone il Crotoniate, e o lui da questi, o questi da lui averla presa a prestito. Alcmeone, in effetto, fu a' tempi di Pitagora vecchio, e tenne una dottrina conforme a' questi ultimi. Giacchè dice, che la più parte delle cose umane sono a due, recitando delle contrarietà, non, come questi, determinate, ma a caso: bianco nero, per esempio, dolce amaro, bene male, piccolo grande. Costui dunque, le affastellò tutte, queste con l'altre, senza determinarle: i Pitagorei dichiararono quali e [B.] quanti fossero i contrarii. Perciò da ambedue insieme queste fonti si può cavare soltanto, che i principii degli enti siano contrarii; ma quanti siano e quali da una sola. Ma neppure i Pitagorei li notomizzano così chiaramente, ch'e' si possa vedere in che modo rientrino 83 sotto alle quattro cause (M). E' pare solo che di quegli elementi facciano la causa in forma di materia: perchè dicono che da questi come inerenti ed intrinseci, si costituisca e si plastichi l'essenza. 7. - Il pensiero, adunque, di quegli antichi, che ammettevano più elementi della natura, si può abbastanza riconoscere da questi sistemi. Ma c'è degli altri i quali dell'universo parlarono, come d'una natura unica; però non tutti, nè per il merito nè per la determinazione di questa natura, alla stessa maniera. Il ragionare di loro non appartiene al presente esame delle cause: giacchè e' non dicono come alcuni dei naturalisti, i quali, supponendo pure che l'ente sia uno, generano non pertanto dall'uno come da materia: questi, difatti, aggiungono il movimento, dovendo pure generare il tutto, dove quelli fanno l'ente immobile. Pure quel tanto che segue, ci pare, di certo, appropriata al presente esame. 8. - Parmenide, pare che abbia colto l'Uno secondo il concetto; Melisso, invece, l'Uno secondo la materia: e perciò il primo lo fa finito, il secondo infinito. 9. - Senofane, che ha unizzato prima di costoro, (giacchè gli si dà Parmenide per discepolo) non ha schiarito nulla, nè pare che abbia colto nè l'uno nè l'altro di codesti Uni, ma dato uno sguardo all'insieme dell'universo, Iddio dice, è l'Uno. 10. - Costoro dunque, diciamo noi, si devono, nella presente ricerca, metter da parte; due affatto, come un po' rozzi, Senofane e Melisso: in quanto a Parmenide, par davvero, che parli più oculatamente. Non ammettendo, in effetto, che ci sia punto del non-essere accosto all'essere, di necessità deve credere, che l'ente sia uno e non ci sia altro; del che abbiamo discorso più chiaramente ne' libri della natura31: ma costretto, d'altra parte, a tener dietro a' fenomeni e credendo, che, secondo la ragione, ci sia l'uno, ma, secondo il senso, i più, pone due altre cause e due altri principii, il caldo e il freddo, come dicesse fuoco e terra; dei quali reca l'uno, il caldo, all'ente, l'altro al non ente. 11. - Dunque, dalle cose discorse e da' savii già convitati a questo ragionamento, abbiamo raccolto quel tanto che segue: da' primi un principio corporeo, (giacchè acqua, fuoco e simili cose son corpi), e dagli uni un solo, da altri più principii corporei, dagli uni non pertanto e dagli altri in forma di materia, se non che da alcuni, oltre tal causa, è stata posta quell'altra di dove è il movimento, e questa da certi unica, da certi altri doppia. 12. - Fino dunque agli Italici, esclusive, gli altri filosofi ragionarono alquanto rimessamente, e sugli stessi punti; da questo in fuori, che come dicemmo, alcuni si trovano aver adoperate due cause, e una d'esse averla fatta certi unica, certi doppia, la causa, vo' dire, del movimento. I Pitagorei, invece, fecero bensì parimenti due le cause33, ma con questa giunta, che è propria loro, che non pensarono, che il finito e l'infinito e l'uno fossero dell'altre nature, come a dir fuoco o terra o simil altra cosa, ma che l'infinito stesso e l'uno34 stesso fossero essenza delle cose di cui si predicano: e perciò, l'essenza d'ogni cosa sia numero. 13. - Questa sentenza portarono su questi punti, e intorno al che è cominciarono, è vero, a discorrere e definire, ma lo trattarono troppo leggermente. Giacchè definivano superficialmente, e quello in cui primo si trovasse la definizione data, stimano che forse l'essenza della cosa: come se uno tenesse per il medesimo il doppio e la dualità, perchè il doppio si trova prima nel due. Ma forse non è il medesimo d'esser doppio e dualità: altrimenti l'uno sarà molti: conclusione appunto, nella quale cascavano. Niente altro che questo si può raccogliere dai più antichi e da' loro successori. CAPO OTTAVO Esame delle filosofie esposte 1. - Ora, tutti quelli, che fanno uno il tutto, ammettendo, come materia, una certa natura unica, e questa corporea e avente grandezza, sbagliano visibilmente di più maniere. 2. - Di fatto, danno gli elementi de' soli corpi e non delle cose incorporee; e pure ci sono le incorporee. 3. - E volendo pur dire le cause implicate nella corruzione e generazione, e fisiologizzando pure di ogni cosa, fanno senza del principio del movimento. 4. - Aggiungete quel non far l'essenza nè il che è causa di nulla; e quel chiamare principio così leggiermente uno qualunque dei corpi semplici, dalla terra in fuori, senza avere atteso alla maniera in cui il fuoco, l'acqua, la terra e l'aere si generano gli uni dagli altri; si generano, in fatti, reciprocamente, talora per via di riunimento, talora di disunimento. Che è un punto di grandissimo momento nel giudizio di anteriorità o posteriorità: giacchè, sotto una veduta, dovrebbe parere il più elementare di tutti quello da cui prima si generano per via di riunimento; che dovrebb'essere il corpo a particelle più piccole e più sottile. Onde quanti ammettono il fuoco per principio, parlerebbero nel modo più conforme a questo concetto. E gli altri, in fondo, convengono tutti, che così doveva essere l'elemento dei corpi. Fra i posteriori almeno36, nessuno, di quelli che n'ammettono uno solo, ci vorrebbe concedere che la terra sia quest'elemento; di sicuro, per la grandezza delle sue parti. Dove ciascuno degli altri tre elementi ha avuto un partigiano; chi ha dato il fuoco, chi l'acqua, chi l'aere per codesto elemento primo. Eppure, perchè non darci anche la terra, conforme all'opinione degli uomini: di fatto, dicono che tutto sia terra? Ed anche Esiodo dice, che la terra sia stata il primo de' corpi: tanto antica e popolare si trovava essere questa opinione. 5. - Ora, se è quello il concetto dell'elemento primo, o ch'e' si metta in sua veste un altro di questi elementi che non sia il fuoco, o ch'e' si faccia più denso dell'aere e più rado dell'acqua, si sbaglierebbe sempre. Se invece quello che è posteriore nella generazione è anteriore nella natura e il concetto e composto è nella generazione posteriore, sarebbe vero appunto il contrario; l'acqua prima dell'aere, la terra prima dell'acqua. 6. - E questo ci basti di coloro, i quali pongono quella sola causa che dicevamo: torna al medesimo se uno ammetta più di questi elementi, come Empedocle, che dice che la materia sia quattro corpi. Gliene risultano parte le stesse, parte delle nuove difficoltà. Noi, di fatto, li vediamo generarsi gli uni dagli altri, appunto come se non durasse mai fuoco o terra il medesimo corpo: del che s'è discorso ne' libri della natura. 7. - E neppure della causa dei moti, s'e' se ne deva ammettere una o due, bisogna credere ch'egli discorra d'una maniera affatto giusta e plausibile. Oltre di ciò, a quelli che parlano come Empedocle, è necessario di levar di mezzo ogni alterazione: giacchè il caldo non potrà venire dal freddo nè il freddo dal caldo. Quale, in effetto, sarebbe mai il soggetto di essi contrarii, e quale sarebbe mai quell'unica natura che diventi o fuoco o acqua? 8. - Ad Anassagora, chi gli apponesse due elementi, gliel'apporrebbe soprattutto dietro ragioni, che lui, davvero, non ha formulate, ma che dovrebbe per forza concedere a chi gliele inferisse. 9. - È, in vero, assurdo di dire che tutto fosse mischiato a principio, e per altre ragioni e perchè [B.] ne risulta, che tutto preesistesse distinto, e perchè ogni qualunque cosa non è fatta per mescolarsi con qualunque altra, ed oltre di questo, perchè la modificazione e gli accidenti potrebbero star separati dall'essenza; giacchè delle cose di cui ha luogo mescolamento, può aver luogo anche separazione. Pure se uno gli tien dietro, combinando quello che egli intende dire, forse la sua dottrina ne piglierebbe un aspetto più moderno. 10. - Giacchè quando non c'era nulla distinto, non si poteva, di quell'essenza, dir nulla di vero; vo' dire, verbigrazia, che non era bianca nè nera, nè bruna nè d'altro colore, ma discolore necessariamente; e altrimenti, uno di questi colori l'avrebbe pure avuto. E insipida parimenti e in somma sprovvista, dietro lo stesso ragionamento, d'ogni simile proprietà; giacchè nè quale è possibile ch'essa fosse nè quanta nè chè. Altrimenti, le inerirebbe qualcuna di quelle specie che si predicano una per volta: che è impossibile, quando son pure mischiate tutte dall'intelletto in fuori, e questo solo stia immisto e puro. 11. - Adunque dietro queste induzioni, gli vengon fuori come principii l'Uno, (perchè questo è semplice ed immisto) e l'Altro, conforme a quel nostro indeterminato prima che sia determinato e partecipi d'una specie. Di maniera che non si esprime, è vero, nè giusto nè chiaro; pure vuole ad un di99 presso il medesimo de' più recenti, e s'accorda quasi colle opinioni più ricevute oggigiorno 12. - Tutti questi filosofi, non pertanto, hanno discorsi appropriati solo alla generazione, alla corruzione e al movimento; cercano, infatti, poco meno che solo i principii e le cause d'un'essenza adatta a questo. Ma quegli invece, che allargano la loro speculazione su tutti gli esseri, ed ammettono degli enti sensibili e de' non sensibili, rivolgono, visibilmente, le loro meditazioni ad ambedue i generi; e perciò uno conversa con loro di miglior grado, ed attende più a quello che dicano di buono e non buono nello studio dei punti in discussione. 13. - Appunto i nominati Pitagorei adoperano le cause e gli elementi con una veduta più trascendente de' fisiologi. E ciò perchè gli attinsero dal non sensibile: le entità matematiche, in fatti, fuori di quelle che concernono l'astronomia39, sono senza movimento. Non ostante, non discutono nè trattano mai altro, che la natura: generano il cielo, osservano quello che accade nelle sue parti e modificazioni e fasi, e i principii e le cause esauriscono in simili cose, quasi convenissero con gli altri fisiologi, che non c'è altro ente, che questo sensibile e contenuto nel così detto cielo. Pure, come dicevamo, son cause e principii i loro, capaci di trascendere anche ad enti più elevati, e che, anzi, si confanno più a questi, che non a' ragionamenti sulla natura. 14. - Ma neppure dicono poi nè punto nè poco, di che maniera, con soli il fine e l'infinito e il pari e il dispari per sostrati, ci potrà essere movimento; o come sia possibile che senza movimento e mutazione succedano generazione e corruzione, o le fasi de' corpi giranti per il cielo. 15. - Oltre di ciò, o che si conceda loro che la grandezza risulti da questi principii, o ch'e' sia dimostrato, pure, come mai ci saranno de' corpi leggeri o de' gravi? Giacchè co' principii che suppongono ed ammettono, non discorrono di corpi punto più sensibili che matematici. E perciò del fuoco e della terra o d'altro simile corpo non parlarono mica; come quelli, m'avviso io, che non avevano una dottrina appropriata a' sensibili. 16. - Inoltre, come si farà ad intendere, che le modificazioni del numero sono cagione d'ogni cosa, che sia mai stata o sia, che si sia mai generata o si generi dentro del cielo, e che pure non ci sia altro numero, fuori di questo del quale l'universo stesso è costituito? Quando, in fatti, allogano in un posto l'opinione e l'opportunità, e poco più su o più giù l'ingiustizia e la giustizia o il mescolamento, e danno per prova che ciascuna di queste cose è un numero, e che accade che in un luogo ci sia una moltitudine di grandezze riunite, appunto perchè queste modificazioni del numero s'aumentano a seconda dell'allontanarsi dei luoghi, s'ha ad intendere, che quello stesso numero, che è nel cielo, sia ciascuna di queste cose, o che è un altro? Platone, di certo, dice un altro: benchè ancor egli creda che sieno numeri e codeste cose e le lor cagioni: ma queste numeri intelligibili, quelle sensibili. CAPO NONO Critica della filosofia platonica 1. - Si lascino ormai da parte i Pitagorei : basti questo di loro. Quanto a quelli che ammettono per cause le idee, in primo luogo, mentre cercano di appurare le cause degli enti di quaggiù, ne introducono altrettanti di nuovi; come se uno, volendo sommare, si figurasse, che con poche cifre non le potrebbe sommare, ma aggiungendovi delle altre, le sommerebbe. Le specie, in fatti sono quasi altrettante o non meno di quelle cose, le cui cause ricercando, si elevarono dalle cose stesse alle specie. Ciascuna cosa ha la sua equivoca: tanto fuori dell'essenze, quanto per l'altre entità c'è un'unità superiore a molte, così per queste cose di quaggiù come per l'eterne. 2. - Inoltre, le specie non ci si fanno scorgere per via di nessuno di quegli argomenti co' quali mostriamo che ci sono. In alcuni non si raccoglie per forza quella conclusione, da altri vengon fuori specie anche di cose, delle quali non ne ammettiamo. Di fatto, dietro le ragioni cavate dalle scienze, ci dovrà essere specie d'ogni cosa di cui ci sia scienza: anzi, dietro l'argomento dell'uno superiore a' molti, anche negazioni; e dietro l'altro che si pensa qualcosa, dopo che s'è corrotta, anche de' corruttibili: giacchè s'ha un'immagine anche di questi. Degli altri ragionamenti poi più rigorosi riescono parte a introdurre idee anche de' relativi46 de' quali diciamo che non ci sia genere, parte al terzo uomo. 3. - E tutti poi insieme questi argomenti delle specie scalzano quelle tesi, la di cui verità preme agli assertori delle specie più che l'esistenza stessa delle specie: di fatto, ne risulta che non sia prima la diade, ma il numero48, e l'a qualcosa (il relativo) preceda il per sè49 (l'assoluto), e tutte quelle conclusioni colle quali alcuni, sviluppano le dottrine dell'idee, ne contrastarono i principii. 4. - Inoltre, a norma di quel pregiudizio che ci fa ammettere le idee, ci dovranno essere specie non solo dell'essenze, ma parecchie altre cose: di fatto, l'intellezione unica non ha solamente luogo per le essenze, ma anche per altre cose, e le scienze non trattano solamente dell'essenze, ma anche d'altro, d'infinite altre induzioni simili. D'altra parte, non solo la necessità, ma la dottrina stessa delle idee richiede, che, poichè sono partecipabili le specie, ci siano idee di sole [l']essenze: giacchè i sensibili, di certo, non ne partecipano per accidente, anzi bisogna che ciascuna idea sia partecipata solo in tanto, in quanto l'ha qualità di soggetto. Vaglio dire, se qualcosa partecipa del doppio per sè, partecipa bensì anche dell'eterno, ma per accidente, essendo codesta eternità un accidente del doppio. 5. - Di maniera che saranno essenze le specie: dunque, gli stessi nomi indicheranno essenza quaggiù e lassù; o che varrebbe il dire, che e' ci sia qualcosa oltre a' sensibili, l'uno su' molti?53. 6. - E se le idee, e le cose partecipanti appartengono ad una stessa specie, quel lor chesisia di comune anch'esso sarà: di fatto, perchè mai sopra le diadi corrottibili, e le matematiche molte, ma eterne, ci dovrebb'essere un uno ed indentico, la diade, e sopra questa e un qualunque due sensibile non ci sarebbe?. trova solamente un certo uno per sè: e neppur questo, se non si conceda loro che ogni universale sia genere: il che, in parecchi casi, non si può76. 28. - E neppure delle lunghezze e delle superficie e de' solidi che allogano dopo i numeri, sanno render nessuna ragione nè del come sono o potranno essere, nè del valore che abbiano. In fatti, non possono essere nè le specie (giacchè non son numeri), nè gl'intermedii (giacchè questi sono entità matematiche), nè i corruttibili; perciò questo genere di cose parrebbe un altro diverso, un quarto genere. 29. - In somma, cercare gli elementi degli enti, i quali pure si dicono in più sensi, senza distinguerli, è un non volerli trovare, soprattutto quando appunto si cerchi da quali elementi risultino. Di certo, non c'è verso d'appurare da quali elementi risulti il fare ed il patire o il diritto, ma, se pure, si può di sole l'essenze: di maniera che non è il vero, che degli enti tutti si cerchi o si creda di avere gli elementi78. 30. - E come si potrebbe mai imparare gli elementi di tutte le cose? Di fatto, è evidente, ch'e' si dovrebbe poter essere già stato avanti senza conoscer nulla. Giacchè chi impara sia geometria, sia qualunque altra disciplina, può già sapere altre cose, senza che pure preconosca nessuna di quelle, che quella scienza tratta e che sta per dovere imparare. Di maniera, che se ci fosse, come alcuni dicono, una scienza di tutte le cose, quello che l'impara dovrebbe essere stato un tratto senza conoscer nulla. Eppure non s'impara, senza che o tutte o alcune proposizioni non siano precognite; sia che si proceda per dimostrazione, sia per definizioni (giacchè bisogna che si preconoscano i termini, da' quali risulta la definizione), sia, parimente, per induzione. Che se poi questa scienza ci fosse innata per avventura, gran cosa davvero, che non ci accorgessimo di avere la più eccellente di tutte. 31. - Di più, come si potrà conoscere di che siano gli enti, e come sarà mai chiaro79? C'è il suo nodo anche qui, potrebbe quistionarsene, come d'alcune sillabe: alcuni, per esempio, dicono che lo za si componga dell's, del d, e dell'a, alcuni ne fanno un suono diverso, e punto uno dei noti.80 32. - Inoltre, le cose, che sono sensibili, come si potrebbe conoscerle senza averne la sensazione? Eppure di certo, si dovrebbe, se sono appunto quelli gli elementi da cui, come le sillabe composte da' loro, si deriva ogni cosa. CAPO DECIMO Riassunto delle critiche fatte alle precedenti filosofie 1. - Adunque risulta chiaramente anche dalle cose dette prima, che tutti cercano le cause discorse ne' libri naturali, e che non si potrebbe fuori di queste trovarne dell'altre. Pure, si vede ora, le han trattate confusamente; e sotto un aspetto sono state discorse tutte, sotto un altro nessuna. 2. - Di fatto, la filosofia primitiva pare che balbetti d'ogni cosa, come giovane e rozza ch'era su que' primordii. Empedocle, per esempio, dice perfino, che l'osso sia per il concetto: ebbene, questo è appunto la quiddità e l'essenza della cosa. Ora, è necessario, che o ci sia parimenti il concetto della carne e di ciascun'altra cosa o di nulla; giacchè per esso sarà e la carne e l'osso e ciascun'altra cosa, e non per la materia che chiama fuoco e terra ed acqua ed aere. Se non che tutto questo, se altri gliel avesse detto, l'avrebbe necessariamente accettato: pure, lui non l'ha saputo spiegare. 3. - Ma questi son punti messi già in chiaro più su; ora facciamo di percorrere, le quistioni, che potrebbero suscitare: forse il venirne a capo ci gioverà a sbrigarci di poi da altre quistioni successive. Libro secondo CAPO PRIMO Del carattere e dell'oggetto della filosofia 1. - Lo studio della verità sotto un aspetto è difficile, sotto un altro facile. N'è segno il non poterla nessuno nè coglierla per l'appunto nè sbagliarla affatto: perciò qualcosa ciascun lo dice sulla natura, e, uno per uno, ci cavano davvero poco o nulla, pure da tutti insieme vien fuori un bel gruzzolo. Di maniera che in quanto la sua condizione pare, come espressa in quel proverbio: - chi non sa cogliere una porta? - in tanto dev'esser facile: d'altra parte, il potersene avere solo una cognizione grossolana e non una distinta, ne mostra la difficoltà . 2. - Forse che, essendoci due sorte di difficoltà, non nelle cose, ma in noi è la causa di questa. In effetto, quella stessa relazione, che hanno gli occhi dei pipistrelli colla luce del giorno, l'intelletto dell'anima nostra l'ha colle cose le più splendide di lor natura. 3. - Perciò, è giusto di sapere grado non solo a coloro le cui opinioni partecipiamo, ma ancora a quelli che ne hanno espresse delle alquanto superficiali; di fatto, anche loro hanno contribuito qualcosa: ci hanno preesercitata la facoltà. Se non ci fosse stato Timoteo, di certo non avremmo un gran numero di melodie: ma senza Frini, Timoteo stesso non ci sarebbe stato. Dite il medesimo di coloro,che hanno messa fuori una dottrina sul vero: d'alcuni abbiamo accolto qualche opinione; gli altri sono stati cagione che queste ci fossero. 4. - D'altronde, sta bene di chiamare la filosofia scienza del vero. Una condizione teoretica, in effetto. ha per fine il vero; una pratica, l'azione: giacchè i pratici anche quando studiano il come sia83 d'una cosa, contemplano la causa non per sè, ma rispetto a qualcosa; ora, il vero non si sa senza la causa. 5. - Quel chesisia, poi, per cui ha luogo in altre cose l'univocazione, è lui stesso in sommo grado ciò, che quelle cose sono: il fuoco, per via di esempio, è caldissimo, e di fatto, è esso la causa del calore nelle altre cose; di maniera che deve esser verissimo ciò che a' suoi sottordinati è causa d'esser veri. 6. - Perciò è necessario, che i principii degli esseri eterni siano verissimi; giacchè non son veri per un tempo, nè hanno una causa del loro essere, ma son essi cause alle altre cose; di maniera che ciascuna cosa, quanto ha dell'essere, tanto ha del vero. CAPO SECONDO Della limitazione delle cause nel numero e nella specie 1. - È d'altronde chiaro, che ci è un principio, [p. 994 A.] e che le cause degli enti non s'infilzano nè si specificano all'infinito. Giacchè nè nel cavare l'una cosa dall'altra come da materia, si può procedere all'infinito, la carne per via d'esempio dalla terra, la terra dall'aria, l'aria dal fuoco, e così in sine fine: nè nell'assegnare l'origine del movimento; l'uomo, per esempio, sia mosso dall'aria, l'aria dal sole, il sole dalla discordia, senza che ci sia un termine mai. E parimenti, neppure la causa per cui può procedere all'infinito; il passeggiare per la salute, questa per la felicità, la felicità per altro, e così sempre altro per qualcos'altro. E dite il medesimo delle quiddità. 2. - Di fatto, posti degli intermedii, al di là e al di qua de' quali c'è un ultimo e un primo, è necessario, che quel primo sia la cagione di quello che segue. In vero, se ci bisognasse dire, quale de' tre sia la causa, diremmo il primo; l'ultimo, di certo, no, che non è causa di nulla; e neanche l'intermedio, che l'è d'uno solo. Nè fa nessun divario che ci sia un solo intermedio o più, nè che ce ne sia infiniti o finiti. Ora, ciascun degl'infiniti, concepiti così in una filza, o, in somma, tutte le parti dell'infinito sono parimenti intermedie fino all'attuale: di maniera, che se nessuna è prima, nessuna, a dirittura, è causa. 3. - D'altra parte, non è neppure possibile quando abbia un principio l'insù, di procedere all'infinito all'ingiù; di maniera, che l'acqua venga dal fuoco e la terra dall'acqua, e così via via si generi sempre qualcosa d'altro. L'una cosa dall'altra, in effetto, quando non s'intenda meramente dire l'una cosa dopo l'altra, come sarebbe chi dicesse, i giochi Olimpici dagl'Istmici, si genera in due modi : o come dal fanciullo che si cangia si genera un uomo, o come l'aere dall'acqua. Ora, noi diciamo che l'uomo si generi dal fanciullo, come qualcosa di già generatosi da cosa che si va generando, qualcosa di già compiuto da cosa che si va compiendo: giacchè sempre sta in mezzo, come tra l'essere e il non essere la generazione, così tra l'ente e il non ente il generantesi. Chi impara, è quello che si va generando maestro, e ciò appunto vuol dire: un tale si va generando di discepolo maestro. Il generarsi, invece, nella maniera dell'acqua dall'aere, si fa mediante il perire dell'uno de' termini. E perciò nel primo caso, non ha luogo il ripiegarsi dell'un termine sull'altro, nè si rifà il fanciullo dall'uomo: perchè quello che si va generando, non si genera dalla generazione, ma dopo la generazione. Di fatto, il giorno così si genera dal mattino, dopo che questo si sia generato: e perciò il giorno non si rifà mattino. Nel secondo caso, invece, ha luogo il ripiegarsi dell'un termine sull'altro. 4. - Ora dunque, in amendue i modi, è impossibile di andare all'infinito. Giacchè nel primo, essendo degli intermedii87, devono per forza avere un termine: nel secondo, si rifanno l'uno dall'altro88, la corruzione dell'uno essendo generazione dell'altro. 5. - Ed è insieme impossibile, che il primo che è pure eterno, si corrompa: giacchè, poichè la generazione non è infinita all'insù, bisognerebbe che quello da cui, mediante la corruzione propria, si genera qualcosa, non fosse eterno89. 6. - Di più la causa per cui è fine: e fine è quello che non sia per cagione d'altro, ma le altre cose per cagion sua. Di maniera che se ci sarà un ultimo di questa fatta, non ci sarà infinito: se poi non ce n'è veruno così, non ci sarà causa per cui. 7. - Se non che quelli che ammettono l'infinito, distruggono la natura del bene e non se ne accorgono. E pure nessuno si proverebbe mai a far nulla, quando non dovesse venire a un termine. 8. - E chi ci si provasse, gli mancherebbe l'intelletto: giacchè di certo chi ha intelletto, opera sempre in vista di qualcosa, che è appunto il fine: ora, il fine è termine. 10. - Di più, se i principii, così quelli che servono [996. A.] a' ragionamenti, come quelli che investono la materia (B), siano determinati di numero o di specie110: e se de' corruttibili e degl'incorruttibili siano gli stessi o diversi, e se tutti incorruttibili o corruttibili de' corruttibili. 11. - Ancora, e qui è il punto più duro e soggetto a maggior dubbio, se l'uno e l'ente, come già dicevano i Pitagorei e Platone, senza esser qualcos'altro, siano essi stessi l'essenza degli enti, o se invece non lo siano, ma abbiano qualcos'altro a sostrato, l'amicizia, per esempio, direbbe Empedocle, ed altri il fuoco, e chi l'acqua, chi l'aere. 12. - E se i principii siano universali, o a modo di cose singolari113, e se in potenza o in atto? . 13. - E di più, se altro che in movimento?115 Di fatto, tutti questi punti, offrirebbero gran motivi di dubbio. 14. - E, oltre di questi, se i numeri e le lunghezze e le figure ed i punti siano dell'essenze o no, e quando fossero essenze, se separate da' sensibili o esistenti dentro ad essi. Su tutti questi punti, di certo, non che esser facile di aver copia del vero, non è neppure facile, non ch'altro, di ventilare e ragionar bene i dubbii che presentano. CAPO SECONDO La pria - La seconda - La terza -La quinta e la quarta quistione 1. - E passi prima quello che s'è detto per il primo: [p. 996 - A. 18.] se appartenga a una sola scienza od a più di studiare tutti i generi delle cause? Ora, come apparterrebbe ad una sola scienza di conoscere de' principii che pure non sono contrarii?118. 2. - E c'è inoltre di molti enti, coi quali non hanno che fare tutti quanti i principii. Che farebbe agl'immobili il principio del movimento e la natura del bene, quando ogni cosa che sia buona per sè e per la natura propria, è fine, e perciò causa, che per cagione d'essa le altre cose e si generino e siano? Ora, il fine è la cagione per cui son fine di una azione: e le azioni si fan tutte con movimento, di maniera che cogl'immobili nè questo principio nè un bene per sè di qualunque sorta non potrebbero aver che fare. 3. - E appunto per questo, nelle matematiche non si dimostra nulla mediante codesta causa, nè ci si fa veruna dimostrazione dal meglio o dal peggio: anzi, non ch'altro, non si menzionano mai da nessuno. Di maniera che certi sofisti, Aristippo, per esempio, le svillaneggiavano, sotto pretesto che nell'altre arti, perfino nelle manuali, ogni cosa ci si discorra in ragione del meglio e del peggio, e le matematiche invece non tengono nessun conto del bene e del male. 4. - D'altra parte, se sono parecchie le scienze [B.] delle cause, e diverse di principii diversi, quale di queste scienze si dovrà dire che sia di quelle che si ricerca, e chi, tra quelli che ci si applicano, avrà miglior cognizione dell'oggetto che si ricerca? Possono, di fatto, cooperare ad una sola cosa ogni sorta di cause: per una casa, per esempio, l'arte e l'architetto sono principio di movimento, l'effetto è causa per cui, la terra e le pietre son materia, e la specie è la nozione. Ora, dietro agli indizii dati un pezzo fa per determinare quale tra le scienze si deve chiamare sapienza, si può a buon diritto chiamare ciascuna di queste. Giacchè, in quanto l'è la più sovrana e la più padrona, e in quanto l'altre scienze, a modo di serve, non devono neppure zittire, l'avrebbe a essere la scienza del fine e del buono, che sono, di fatto, la causa d'ogni altra cosa: in quanto s'è invece determinato che l'è scienza delle prime cause e del sommamente conoscibile, l'avrebbe invece a essere la scienza dell'essenza. Perchè, di molti che sanno in parecchi modi una cosa stessa, noi diciamo che la sappia meglio chi conosce che cosa la sia in quello ch'essa è, piuttosto che non in quello ch'essa non è: e di quelli stessi l'un più che l'altro, e il più più chi sa come sia, e non la quantità o la qualità sua, e che sia naturata a fare o a patire. E del pari, così le cose, di cui c'è dimostrazione, come l'altre, allora ci pare averne cognizione, quando di ciascuna sappiamo che cosa sia. Cosa è il quadrare? a mo' d'esempio; il ritrovamento d'una media. E lo stesso d'ogni altra. Invece, le generazioni e le azioni ed ogni mutazione ci pare di conoscerle quando ne sappiamo il principio del movimento, che è diverso e contrapposto al fine; di maniera ch'e' parrebbe appartenere ad una scienza diversa di studiare ciascuna di codeste cause. 5. - D'altra parte, anche su' principii dimostrativi è controvertibile, se appartengano ad una sola scienza o a più. E chiamo dimostrative quelle sentenze comuni, dalle quali tutti dimostrano: ogni cosa, per esempio, si deve o affermare o negare, e nulla può insieme essere e non essere, e tante altre simili premesse. Ora, fanno esse una sola scienza con quella dell'essenza o una diversa? e se non una sola, quale bisogna riconoscere per quella che si cerca qui? 6. - Ora, non è plausibile che appartengano ad una sola. Perchè mai il privilegio di comprendergli spetterebbe piuttosto alla geometria o a qualunque altra scienza particolare? E, se d'altra parte spetta del pari a ciascuna, e a tutte insieme non può spettare, non è più proprio alla scienza che conosce le essenze, che di qualunque altra, il pigliarne cognizione. 7. - E insieme, come s'avrà mai una scienza di codesti principii dimostrativi? Cosa egli sia ciascun d'essi, lo sappiamo fin d'ora: almeno, anche le altre arti gli adoperano come cogniti. 8. - E se ce n'è una scienza dimostrativa, bisognerà che soggiaccia loro un qualche genere123 e perciò che ci sia de' principii pazienti, e de' principii assiomi (di fatto, non ci può essere dimostrazione d'ogni cosa): giacchè la dimostrazione deve essere per forza da qualcosa, intorno a qualcosa, e di qualcosa125. Di maniera che risulterebbe, che tutti i dimostrabili facciano un genere unico: perchè tutte le scienze dimostrative si servono degli assiomi. 9. - D'altra parte. se è diversa la scienza dell'essenza da quella di codesti principii, quale delle due sarà in condizioni di più autorevole e di primaria? Gli assiomi, di certo, sono gli universali supremi e i principii di ogni cosa. 10. - E poi, se non ispetta al filosofo, a chi spetterà mai di studiarne il vero ed il falso? 11. - E in generale, l'essenze fanno tutte l'oggetto di una sola scienza o di più? Ora, se non d'una sola, qual essenza si darà per oggetto a questa scienza nostra? 12. - E che tutte siano l'oggetto d'una sola, non è plausibile: ci sarebbe così una scienza dimostrativa di tutti quanti gli accidenti, giacchè ogni scienza dimostrativa intorno ad un soggetto, ne deduce da' comuni assiomi gli accidenti per sè. Appartiene, adunque, ad una unica scienza di dedurre appunto da quegli assiomi tutti gli accidenti per sè d'un unico genere: giacchè dove la scienza del che è l'unica, è anche unica quella del da che, o che questa seconda sia la stessa colla prima o diversa. Perciò gli accidenti gli studieranno tutti insieme o quelle stesse scienze dell'essenze e degli assiomi, o dell'altre, uniche sempre, che ne dipendano127. 13. - Oltre di ciò, si ristingerà la teorica all'essenze, o si estenderà anche a' loro accidenti? Vo' dire, se il solido e le linee e le superficie sono un'essenza, apparterrà ad una stessa scienza o ad un'altra, di pigliar cognizione anche di que' loro accidenti, che dimostrano le scienze matematiche? Giacchè se ad una stessa, anche la scienza dell'essenza sarebbe dimostrativa: ora, non pare che ci sia dimostrazione del che è128. Se poi ad un'altra, quale sarà quella che studii gli accidenti dell'essenza? Qui è il nodo129. 14. - Di più, si deve ammettere le sole essenze sensibili o anche dell'altre fuor d'esse? e d'una sola sorta o si trova più generi di altre essenze, secondo dicono quelli che ammettono le specie e gl'intermedii, de' quali fanno gli oggetti delle matematiche? 15. - E com'e' si dica da noi, che le specie siano cause ed essenze per sè, s'è discorso nei ragionamenti proemiali130. E le difficoltà, davvero, abbondano da ogni parte; e non è, di certo, la meno dura, che si deva ammettere dell'altre nature fuori di queste del mondo, e pure farle affatto identiche colle sensibili, eccetto che quelle eterne e queste corruttibili. Infatti, si contentano di dire, che ci sia l'uomo e il cavallo e la salute per sè, senz'altro, facendo pressochè il simile di coloro i quali ammetteano bensì gli Dei, ma in forma d'uomini: giacchè nè questi gli facevano altro che uomini eterni, nè quelli fanno le specie altro che sensibili eterni. 16. - E peggio, se uno ammetterà degl'intermedii, oltre alle specie ed a' sensibili. Di fatto, è chiaro, che, come delle linee ce ne saranno altre fuori delle linee per sè e delle sensibili, così sarà di ciascuno degli altri generi: di maniera che, poichè l'astronomia è una di queste scienze matematiche, ci sarà ancora un altro cielo oltre al cielo sensibile, e un altro sole e un'altra luna, ed un altro, del pari di ciascuno de' corpi che sono per il cielo. Eppure, come crederci? Giacchè, nè è plausibile che sia immobile132, e che si muova poi, è affatto impossibile. E il simile delle cose, di cui tratta l'ottica, e l'armonica, in quanto appartengono alle matematiche134. Anche queste, e per le stesse ragioni, è impossibile che siano fuori de' sensibili: giacchè, se c'è tra mezzo de' sensibili, e perciò delle sensazioni, ci sarà visibilmente anche degli animali di mezzo tra gli animali per sè ed i corruttibili. 17. - E non è poi neppur chiaro intorno a quali (E) enti sì e a quali no bisogni cercare di queste scienze intermedie. Che se la geometria si divaria dalla geodesia solo in questo, che l'una ha per oggetto queste cose che sentiamo, l'altra delle non sensibili, e' ci sarà, visibilmente, anche al di là della medicina, come di ciascun'altra scienza, una scienza di mezzo tra la medicina assoluta e questa medicina nostra136. Eppure, come è egli possibile? Di fatto' e' ci sarebbe di certi altri sanatorii al di là dei sensibili e del sanatorio per sè. 18. - Aggiungi, che non è neppure vero che la geodesia abbia ad oggetti le grandezze sensibili e corruttibili: corrompendosi quelli, si corromperebbe ancor essa. 19. - D'altra parte, l'astronomia non potrebbe neppur avere ad oggetto le grandezze sensibili e questo nostro cielo. Giacchè nè le linee sensibili sono quello che dice il geometra, non essendo davvero veruna cosa sensibile retta o rotonda a quella maniera: di fatto, il circolo non è toccato dalla riga solo in un punto, ch'era l'obbiezione di Protagora contro i geometri; nè i movimenti, sia in giro, sia a spira, del cielo son simili a quelli, su' quali ragiona l'astronomia; nè i punti hanno la stessa natura degli astri. 20. - Ci sono alcuni i quali ammettono codesti intermedi che si dicono, tra le specie ed i sensibili, però non in disparte da' sensibili, ma dentro ad essi. E, a scorrere tutte le conclusioni assurde che vengon fuori a costoro, ci vorrebbe di gran parole; se non che basta considerarne queste sole. E davvero, non è possibile che ciò accada solo di quest'entità intermedie; anche le specie potrebbero, nel caso, essere dentro a' sensibili: milita per le due la stessa ragione. Di più, sarebbe necessario, che ci fossero due solidi nello stesso luogo, nè, di certo, immobili, quando pur sono ne' sensibili che si muovono. E in somma, perchè si dovrebbe ammettere che ci siano quando dovranno essere ne' sensibili? Ne risulteranno, di fatto, gli stessi assurdi detti più su; ci sarà un cielo oltre al cielo, eccetto che non in disparte, ma nello stesso luogo: che è ancora più impossibile. CAPO TERZO. La settima e l'ottava quistione non ci sarebbe nulla a dirittura. [(I)] Il che se è impossibile, è necessario che la forma, la specie sia qualcosa fuor del tutt'insieme. 9. - Ma se uno ammetterà questo, sorgerà il dubbio su quali cose si deva ammettere e su quali no. Che su tutte non si possa, è manifesto: di certo, non ammetteremmo, che ci sia una casa fuor d'ogni singola casa. 10. - Oltre di questo, sarà una l'essenza d'ogni cosa158, degli uomini, per via d'esempio? Ma gli è assurdo; le cose che hanno in tutte una essenza sola, ne fanno una sola. Saranno parecchie invece, e differenti? Bizzarra anche questa. 11. - E poi, come mai la materia diventa ciascuna di queste forme, e il tutt'insieme è amendue, forma e materia ad un tempo?. 12. - Potrebbe sui principii suscitarsi anche quest'altro dubbio: s'e' sono uno di specie, niente sarebbe uno di numero, neppure l'uno stesso nè l'ente. 13. - E come ci sarebbe la scienza, se non ci fosse un uno sopra a tutte le cose? 14. - D'altra parte, se ciascun de' principii è uno di numero e uno solo, e non diversi di cose diverse, come ha luogo ne' sensibili, in codesta sillaba, per esempio, che è identica di specie, e i di cui principii sono identici di specie, quantunque però siano diversi di numero; se, voglio dire, non è così, ma sono uni di numero i pricipii degli enti, non ci sarà mai e poi mai nulla oltre agli elementi (di fatto, a dire uno di numero e singolare è lo stesso; diciamo appunto uno di numero al singolare, e universale al soprastante a' singolari); della stessa maniera che se gli elementi della voce fossero determinati di numero, necessariamente, le lettere scritte non potrebbero in tutte essere nè più nè meno degli elementi, quando di questi non se ne trovasse nè due nè più d'identici. 15. - Un'altra quistione, non inferiore a veruna, è stata omessa e da' moderni e dagli antichi. Sono gli stessi i principii de' corruttibili e degl'incorruttibili o diversi? Giacchè, se sono gli stessi, come mai gli effetti son parte corruttibili e parte incorruttibili, e per quale cagione? Esiodo co' suoi e tutti quanti i teologi badarono a persuadersi loro, e noi altri ci trascurarono: di fatto, danno i principii per Dei; derivano dagli Dei ogni generazione; affermano, che le cose, le quali non hanno assaggiato del nettare e dell'ambrosia, son nate mortali, usando - chi ne dubita? - di questi vocaboli come chiari per loro. Ma di che maniera poi s'applicano queste cause? Non ci s'arriva. Se, di fatto, i generabili vi s'ungono per gusto, non sono punto causa d'essere il nettare e l'ambrosia: se invece per essere, come sarebbero eterni, avendo bisogno di cibo? Se non che queste escogitazioni a forma di favola non meritano d'essere esaminate sul serio: bisogna appurare da coloro i quali parlano e dimostrano, dimandando loro, perchè mai cose venute dagli stessi principii, sono parte eterne di lor natura, parte si corrompono. 16. - E poichè nè assegnano una causa, nè è plausibile che sia così, è chiaro, che nè le lor cause nè i loro principii potrebbero essere gli stessi. E di fatto, colui, il quale si potrebbe tenere per il più consentaneo con sè medesimo, Empedocle, c'è caduto anche lui. Egli fa, è vero, della discordia un principio, causa della corruzione: ma nel fatto poi non par punto meno causa della generazione d'ogni cosa, dall'uno in fuori: giacchè l'altre cose tutte, eccetto Dio, sono pur generate da essa. Dice almeno: D'onde escir quante furon cose e sonoQuante e saran di retro a noi; le pianteGermogliarono e gli uomini e le donneE le belve e gli uccelli, e d'acqua allievi I pesci ed i longevi Dii. E senza i versi, è chiaro del pari: che, se non ci fosse la discordia nelle cose, farebbero tutt'uno, [B.] come dice; perchè, quando si son riunite, ...l'estrema allor discordia ha sosta. Dal che gli vien fuori che il felicissimo Dio sia meno intelligente degli altri: di fatto, non ha cognizione di tutti gli elementi; perchè non ha la discordia, e la cognizione è del simile col simile. Terra con terra, acqua con acqua, e il divoAer coll'agir vediamo, e il fuocoEsizïal col fuoco, e con amoreAmore, e con discordia lagrimosaDiscordia. Comunque sia, ciò di cui si tratta non può esser dubbio; vo' dire, che la discordia gli serva da causa tanto della corruzione, quanto dell'essere. E L'amicizia è causa dell'essere, allo stesso patto: di fatto raccogliendo nell'uno, corrompe ogni altra cosa. Aggiungi che di queste mutazioni non assegna causa veruna, altro se non ch'è naturato così; perchè, quando Di vigor crebbe la discordia e grandeNelle membra nutrissi, ed agli onoriInsorse dell'imperio, il fatal tempoScorso, ch'a' duo contrarii alterna viceD'un inviolato giuramento adduce... ; come se la mutazione fosse necessaria, senza però assegnare nè punto nè poco una causa, di questa necessità. Comunque sia, è, di certo, consentaneo con sè medesimo in questo, che non fa gli enti parte corruttibili, parte incorruttibili, ma tutti corruttibili, dagli elementi in fuori. Ora, la quistione nostra è, perchè mai sarebbero parte corruttibili, parte incorruttibili, se tutti avessero gli stessi principii? Che gli stessi non potrebbero essere, basti d'averlo mostrato così. 17. - Se i principii sono diversi, un primo dubbio è, se saranno incorruttibili essi stessi o corruttibili? Giacchè, se corruttibili, è visibilmente necessario, che anch'essi risultino da qualcos'altro, tutte le cose non corrompendosi, se non in quello da cui risultano; di maniera che se ne caverebbe, che ci sia d'altri principii anteriori a' principii. Che è impossibile, sia che ci si fermi una volta, sia che si cammini all'infinito169. 18. - E poi, come ci saranno de' corruttibili se si leveranno via i principii?. 19. - Se poi sono incorruttibili, perchè mai da certi principii, che pur sono incorruttibili, verran fuori de' corruttibili, e da certi altri degl'incorruttibili? Non è davvero plausibile: anzi o è impossibile, o ci vorrebbe di gran parole. 20. - Oltre di che, nessuno ha mai preso a dire che i principii fossero diversi; tutti danno gli stessi principii ad ogni cosa. E in quanto alla nostra quistione, l'annasano e lascian lì, come cosa da nulla. 21. - Ma il punto più difficile a meditare, e di cui a un tempo è più necessario di conoscere il vero, è se l'ente e l'uno siano essenze degli enti, e ciascuno d'essi, senza punto essere altro, sia quello ente e questo uno: o se bisogni cercare cosa mai sia l'ente e l'uno, quasi soggiaccia loro un'altra natura. Certi a quel modo, certi a questo credono che sia la lor natura. 22. - Platone, in fatti, e i Pitagorici vogliono, che nè l'ente nè l'uno siano qualcos'altro, ma la natura loro sia appunto d'essere uno ed ente, come che la genereranno, quando i principii si saranno corrotti? Corrottisi questi, non è più possibile che si generino effetti loro». 23. - I fisiologici altrimenti. Empedocle, per esempio, dice cosa mai sia l'uno, riducendolo come a un più cognito: di fatto, parrebbe che gli dia nome d'amicizia: almeno, è essa la cagione per cui ogni cosa è una. 24. - Altri fuoco, altri aere dicono che sia quest'uno ed ente, dal quale sono e si generano gli enti. 25. - E del pari, coloro i quali ammettono più elementi: di certo, anche per loro è necessario d'ammettere, che l'uno e l'ente sia tante cose quanti principii vogliono che ci sia. 26. - Ora, se non s'ammette, che l'uno e l'ente sia un'essenza, ne risulta che non lo può neppur essere verun altro degli universali: giacchè quelli sono i maggiori universali di tutti. Se perciò, nè l'uno per sè, nè l'ente per sè è qualcosa, non pare davvero, che ci poss'essere nient'altro fuor de' singolari. 27. - Di più, se l'uno non fosse essenza, neppure il numero non potrebb'essere a modo d'una natura 263 separata dagli enti: il numero, infatti, è monade, e la monade equivale a uno. 28. - Se poi l'uno per sè e l'ente è qualcosa, è necessario che l'essenza loro sia nient'altro che l'uno e l'ente: perchè non c'è qualcosa d'altro (P) di cui si predichino, ma si predicano loro di loro stessi. 29. - D'altra parte, se l'ente per sè e l'uno per sè sono qualcosa, l'incaglio grande è, come potrà poi essere che ci sia qualcosa di diverso da loro ed oltre a loro, come mai, vo' dire, gli enti saranno più d'uno? Giacchè, il diverso dall'ente non è; di maniera che ne risulterebbe conforme al concetto di Parmenide, che sia necessario che tutti gli enti ne facciano un solo e che questo solo sia appunto l'ente. 30. - Di qui poi non s'esce. O che l'uno non sia un'essenza, o ch'esso uno per sè sia qualcosa, è del pari impossibile che il numero sia essenza. Quando nol sia, s'è detto prima perchè: se l'è poi, sorge lo stesso dubbio che per l'ente171; di dove mai verrà un altro uno, fuori dell'uno stesso per sè?172 Dovrà l'altro per forza non essere uno173; ora tutti gli enti o ne fanno un solo o son parecchi, e ciascun de' parecchi è uno. 31. - Di più, se l'uno per sè fosse indivisibile, Zenone pretende che non sarebbe nulla. Perchè ciò che nè aggiunto nè tolto non fa più grande nè più piccolo, dic'egli, che non sia da noverare fra gli enti, assumendo per concesso, che l'ente sia grandezza, e se grandezza, corporeo; giacchè questo è ente per tutti i versi. Le altre grandezze invece, aggiunte per un verso, faranno più grande, e per un altro, no, per esempio, la superficie, e la linea: il punto poi e le monadi per nessun verso. Ma poichè costui fa il pedante, e che ci può essere un indivisibile, buono a difendersi, anche come tale, contro di lui (se, di fatti, questo indivisibile non farà più grande, ma certamente farà più ciò a cui s'aggiunge): come mai da un simile uno, o da più simili uni risulterà una grandezza? Equivarrebbe ad affermare, che la linea risulti da punti. 32. - D'altra parte, se si è di parere, che, come certi dicono, il numero si generi dall'uno per sè, e da qualcos'altro non uno, resta sempre a cercare, perchè e come l'effetto sarà talora numero, talora grandezza, quando il non uno è sempre la disuguaglianza, sempre una stessa natura. Giacchè non si vede nè come dall'uno e questa, nè come da un numero qualunque a questa, si potrebbero mai generare delle grandezze. CAPO PRIMO. Definizione della filosofia 1. - Ci è una scienza, che contempla l'ente in quanto ente e le proprietà sue essenziali. La non s'identifica con veruna di queste scienze particolari: giacchè nessuna di queste medita in universale sull'ente in quanto ente; ma ciascuna studia le proprietà di sola quella parte dell'ente, che riesca per sè; così fanno, per esempio, le matematiche. 2. - E poichè noi cerchiamo i principii e le supremissime cause, è chiaro che devono necessariamente essere principii e cause d'una natura per sè. Ora, se quegli i quali cercano gli elementi degli enti, cercavano appunto codeste cause, è necessario che codesti elementi dell'ente fossero quelli degli enti, non sotto un rispetto accidentale, ma in quanto enti192; per il che anche noi bisogna trovare le cause prime dell'ente in quanto ente. CAPO SECONDO. La scienza dell'Ente è una QUEST. III. - Gli enti sostanziali sono oggetti, di scienze affini ed ordinate tra loro. QUEST. IV - La scienza dell'ente è scienza anche e dei contrarii dell'ente e dell'uno 1. - L'ente, davvero, si dice di più maniere: ma [p. 100 A. 33.] per relazione a qualcosa d'uno e ad una natura, e non equivocamente: appunto come il sano ha sempre relazione alla sanità, sia in quanto la conserva, sia in quanto la produce, sia in quanto n'è segno, [B.] sia in quanto la riceve. Ed il medico alla medicina: di fatto, si dice medico sia a chi abbia la scienza, sia a chi ci sia adatto, sia ad un effetto della medicina. E si troverebbero altri esempi di simile uso. Ora, l'ente s'usa per l'appunto così, in molti sensi, vo' dire, ma tutti in relazione ad un principio: certe cose, di fatti, si dicono enti, perchè essenze; certe, perchè affezioni d'essenza; certe, perchè avviamento all'essenza, o corruzioni o privazioni o qualità o fattive o generative d'essenza o d'entità nominate per relazione ad essenza o negazione di qualcuna di queste o d'essenza: per il che anche il non-ente diciamo che sia ente. 2. - Ora, siccome il sano, in tutti i suoi sensi, è oggetto d'una scienza, così avrà luogo il medesimo d'ogni simil cosa. Giacchè non pure quelle cose, la cui identità di nome deriva dalla conformità della nozione, ma quelle ancora nelle quali deriva dal riferirsi a una sola nozione195 vanno studiate da una sola scienza: perchè anche queste, sotto un aspetto, hanno il nome dalla conformità della nozione. È adunque chiaro, che gli enti in quanto enti, vanno studiati da una sola scienza. 3. - Se non che, sempre, la scienza è principalmente d'un primo, di qualcosa e da cui stia sospeso, e per cui si denomini il resto. Ora, se codesto primo è l'essenza, dell'essenze appunto dovrebbe il filosofo possedere i principii e le cause. 4. - Se non che d'ogni genere196 unico è una la sensazione197 e una la scienza: la grammatica, per esempio, una com'è, studia tutte le voci198. Perciò ad una scienza unica di genere spetta di studiare quante ci sono specie dell'ente e alle specie di quella le specie di questo. 5. - Ora, se l'uno e l'ente sono il medesimo e tutt'uno, però in quanto all'implicarsi l'un l'altro, come fanno principio e causa, non già in quanto all'intendersi con una nozione unica200: e non rileva punto qui, se la si tiene per unica, anzi farebbe più a proposito. Giacchè uomo uno ed uomo ente ed uomo valgono il medesimo, e a dire l'uomo è uno è appunto come se con una duplicazione nella frase, si dicesse l'uomo è uomo. Egli è chiaro che sia che si generi, sia che si corrompa, l'uomo non si separa mai dall'uomo, e neppur l'uno, del pari. Di maniera ch'è manifesto, che l'aggiungere l'uno alcipalmente, specie dell'uno altrettante ce n'è dell'ente: il che delle quali, del medesimo, vo' dire, del dissimile, di altri tali concetti e de' loro opposti (D) va studiato da una scienza unica di genere. E di certo, tutti i 6. - E tante sono le parti della filosofia, quante le essenze, di guisa che tra loro dev'essere quale primaria e quale secondaria. Giacchè l'ente e l'uno si partiscono a un tratto in generi: e perciò le scienze si conformano a codesti generi. Il filosofo, in effetti, è come il matematico; la matematica ha parti anch'essa, e tra le scienze matematiche quale è prima, quale seconda, è così via via. 7. - Poichè208 appartiene ad una unica scienza di studiare gli opposti e all'uno si oppone la moltitudine, e la negazione e la privazione vanno studiate da una scienza sola, perchè con ambedue loro si studia sempre quell'uno a cui la negazione o la priva intenzione si riferiscono: giacchè o si dice assolutamente, ch'egli non sia, o che non sia in un genere; nel primo caso oltre al contenuto nella negazione, non ci è altro che la negativa; la negazione, in effetto, vale l'essenza di quel contenuto: nella privazione invece ci è ancora un qualcosa di soggiacente, a cui s'applica la privazione. Pone la moltitudine; di modo che anche gli opposti di quei concetti su nominati, il diverso e il dissimile e il disuguale, e quanti altri si conformano sia a questi sia alla moltitudine e all'uno211, vanno conosciuti dalla scienza il discorso (E). Fra' quali c'è la contrarietà, giacchè la contrarietà è una differenza e la differenza una diversità. 8. - Di maniera che poichè l'uno s'intende in più modi, anche questi accidenti214 s'intenderanno in più modi, e saranno non pertanto conosciuti tutti dalla stessa scienza, giacchè non basta questa moltiplicità di modi, perchè si richiedano diverse scienze: ma bisognerebbe che i concetti di codesti varii modi non avessero nè conformità nè relazione tra loro215. Invece, questi si riferiscono tutti a un concetto primario, e siccome quante cose si dicono une si riferiscono a un primario uno, così si deve dire che sia del medesimo, del diverso e degli altri contrarii; cosicchè, distinto in quanti modi ciascuno si dice, si deve in ogni predicazione216 render ragione, quale relazione abbia col modo primario. Si diranno, in effetti, ovvero perchè lo producono, ovvero per altri simili rispetti. È adunque manifesto che spetta ad una sola scienza di tener discorso di codesti concetti e dell'essenza (gli era uno de' dubbii): e che appartiene al filosofo di poter studiare tutto questo. 9. - Che se non appartiene al filosofo, chi mai esaminerà, se Socrate e Socrate seduto siano tutt'uno220, e se ciascun contrario ha un contrario, o cosa sia il contrario e in quanti modi di casi? E lo stesso di altre tali quistioni. 10. - Poichè adunque codesti contrarii sono affezioni per sè dell'uno in quanto uno e dell'ente in quanto ente, e non in quanto numeri o linee o fuoco, gli è chiaro che appartiene a quella scienza di conoscere e cosa siano e quali proprietà abbiano. 11. - E quelli che ne fanno lo studio, non sbagliano già perchè escano di filosofia: ma perchè è anteriore l'essenza, della quale non intendono nulla. Giacchè, siccome ci sono proprie affezioni del numero in quanto numero, la disparità per esempio, e la parità, la proporzione e l'uguaglianza, l'eccesso e il difetto; e le si trovano nei numeri, così considerati di per sè, come nel rispetto dell'un coll'altro; e ce ne sono, del pari, altre proprie e al solido e all'immobile e al mobile ponderabile o imponderabile: così appunto ce ne sono di proprie all'ente in quanto ente, e le son quelle delle quali il filosofo ha a considerare il vero. 12. - Un indizio. I dialettici ed i sofisti vestono lo stesso abito del filosofo: la sofistica, in effetto, è una filosofia solo apparente, e i dialettici discorrono di tutte le cose; e comune a tutte è l'ente. Ora, costoro trattano di codesti accidenti, di sicuro, perchè son proprii della filosofia. Giacchè la sofistica e la dialettica s'aggirano intorno allo stesso genere della filosofia: la quale però differisce da quella per l'uso della facoltà, da questa per il proposito della vita. La dialettica tasta dove la filosofia conosce: la sofistica ha un'apparenza, ma non è punto. 13. - Oltre di che, una delle serie dei coelementi contrarii è privazione: e si riducon tutti all'ente e non ente, all'uno e moltitudine: la quiete, per esempio, all'uno: il movimento alla moltitudine. 14. - E che gli enti e l'essenza constino di contrari, l'acconsentono tutti. Tutti almeno hanno contrarii i principii. Chi il pari e dispari; chi il caldo e freddo: chi il fine e l'infinito: chi l'amicizia e la discordia. 15. - E questi contrarii e tutti gli altri si vede che si riducono all'uno e moltitudine: e la riduzione ci si dia per fatta. I principii, di certo, e soprattutto quegli assegnati dagli altri ricadono in que' due, come in generi. Anche da ciò, adunque, si ritrae chiaramente, che appartiene ad una sola scienza di studiare l'ente in quanto ente. Perchè tutti gli enti o son contrarii o da contrarii, e principii de' contrarii son l'uno e moltitudine. Ora, questi appartengono ad una scienza unica, sia che abbiano un solo, sia che più significati, come forse231 è il vero. In effetto, si dica pure l'uno in più modi: ce ne sarà pure uno primario al quale si riferiranno gli altri; e i contrarii, del pari. E perciò quand'anche l'ente e l'uno non fossero qualcosa d'universale e d'identico soprastante a tutte le cose, o di separabile, come forse non sono; quand'anche ci fossero solo degli uni che si riferiscono a quell'uno primario, e degli altri via via a loro, non per questo spetterebbe al geometra di studiare cosa sia il contrario o il perfetto o l'ente o l'uno o il medesimo o il diverso, altro che per commodo del proprio soggetto. 16. - Che adunque spetti ad una scienza unica di studiare l'ente in quanto ente e quello che gl'inerisce in quanto ente, non ammette dubbio, e neppure che una stessa studii non solo le essenze ma ancora codesti inerenti, e tanto i suddetti, quanto il prima e poi, e il genere e specie, e il tutto e parte, e simili altri. CAPO TERZO. Quest. II. La scienza dell'ente È essa stessa la scienza de' primi principii dimostrativi. 1. - S'ha inoltre a dire, se la scienza che tratta de' così detti in matematica assiomi, faccia o no tutt'uno con quella che tratta dell'essenza. Ora, è evidente che sì, e che è la scienza appunto del filosofo: di fatto, s'applicano a tutti gli enti, e non solo ad un genere d'enti in particolare, ad esclusione degli altri. E se ne servono tutti perchè appartengono all'ente in quanto ente, e ciascun genere è ente, o se ne servono fin dove fa al loro proposito: che è fin dove s'estende per ciascun quel genere d'ente intorno a cui lavora le sue dimostrazioni. Di maniera che poichè è manifesto, che in tanto si riscontrano in tutti gli enti in quanto sono enti (nè gli enti hanno altro di comune), lo studio loro spetta anch'esso a chi piglia cognizione dell'ente in quanto ente. 2. - Perciò nessuno di quelli che hanno soggetti di studio parziali, non il geometro, non l'aritmetico, s'attentano punto di discorrere, loro, sulla verità o falsità di questi assiomi. Lo fanno bensì certi fisici, e ci si vede la ragione: credono che il soggetto della loro scienza sia l'intera natura e l'ente. Ma poichè ci è chi sta più su del fisico (giacchè la natura non è se non un genere dell'ente), lo studio di tali assiomi spetta a chi medita in universale ed intorno all'essenza prima. Davvero, è una sapienza233 anch'essa la fisica, ma non prima. E tutte quelle prove, che alcuni di quelli che parlano della verità degli assiomi, fanno sulla maniera in cui bisogna venirne in chiaro, è l'ignoranza dell'analitica, che gliene fa fare: di fatto, bisogna saperlo già, prima di applicarsi alla fisica, e non cercarla mentre ci si studia. È adunque chiaro, che spetta al filosofo, e a 9. - In generale, poi, quelli che parlano così, distruggono l'essenza e la quiddità. Perchè sarà loro necessario di dire che ogni cosa sia accidente, e che la nozione stessa dell'uomo o dell'animale non esprima una quiddità. Di fatto, se varrà qualcosa l'avere la quiddità di uomo, non equivarrà di certo ad aver quella di non uomo o a non aver quella di uomo, che ne son pure le negazioni. Giacchè ciò che quello significava, era una cosa sola, e questa cosa sola era l'essenza di qualcosa. Ora, significare l'essenza di una cosa vuol dire che quella tal cosa non abbia punto altro essere. Invece, quando l'avere quiddità di uomo le fosse il medesimo che il non averla o l'aver quella di non uomo, il suo essere sarebbe appunto un altro. Di maniera, che devono per forza dire che non ci sia di nulla una tale nozione, ed ogni cosa sia per accidente: giacchè in questo sta la distinzione d'essere e d'accidente: di fatto la bianchezza è accidente dell'uomo, perchè questi è bensì bianco, ma non però la bianchezza stessa. 10. - Se non che, se ogni cosa si predica per accidente, non ci sarà punto il predicabile primo se è vero, che l'accidente si predica sempre d'un soggetto. Sarà dunque necessario di andare all'infinito. Ora, quello, che si predica d'una cosa e non è l'essenza sua, è un accidente: giacchè accidente si chiama appunto ciò, che si predica di una cosa, e non è l'essenza sua, ma le inerisce solo. Si vede per conseguenza che quegli i quali non ammettono che ci sia concetti proprii e distinti delle cose, negano l'essenza. 11. - Ma è impossibile, giacchè degli accidenti non se n'intrecciano più di due: di fatto, un accidente non è accidente d'un altro accidente, se non perchè l'uno e l'altro accadono ad una stessa cosa. Voglio dire, per esempio; se qualcosa di bianco è abile in musica, e qualcosa d'abile in musica è bianco, amendue queste cose devono essere accidenti dell'uomo. Socrate, invece, non è abile in musica della stessa maniera, di maniera, cioè dire, che Socrate e la sua abilità musicale siano accidenti di qualcos'altro248. Dunque poichè tra gli accidenti, certi si dicono a questa, certi a quella maniera, tutti quelli che si predicano249 come il bianco di Socrate, non possono andare all'infinito in su; al Socrate bianco, per esempio, un altro accidente e così via via: giacchè non si genera qualcosa d'uno da tutti250. Anzi al bianco non si può neppure dire che aderisca un qualche altro accidente; l'abilità musicale, per esempio: giacchè non è più accidente questo di quello che quello di questo. Oltre di che s'è distinto che certi accidenti sono a questo modo, certi come a Socrate l'abilità musicale: in questi casi un accidente non è già accidente d'un accidente, bensì in quegli altri: di maniera che sempre non ogni cosa sarebbe predicata per accidente. Ci sarà, dunque, qualcosa che significhi essenza. E se questo è vero, s'è mostrato che è impossibile di predicarne i contradittorii. 12. Oltre di che, è chiaro che se le contraddittorie, dette dello stesso, fossero vere, si farebbe di tutte le cose una sola251. Giacchè sarebbero lo stesso trireme e parete ed uomo, se d'ogni cosa si può affermare o negare qualunque altra. E di qui non s'esce, chi ragioni alla maniera di Protagora. Di fatto, se a uno pare che l'uomo non sia trireme, è chiaro che non è trireme: di guisa che l'è anche, se la contradittoria è vera. E ne vien fuori quello d'Anassagora: ogni cosa insieme: di maniera, che non ci esista nulla davvero. Pare adunque che parlino dell'indeterminato, e figurandosi di parlare dell'ente, parlino del non ente: giacchè quello che è in potenza e non in atto, è l'indeterminato per l'appunto252. 13. Anzi, di certo, sono forzati a predicare di ogni cosa qualunque affermazione o negazione: giacchè è assurdo che se a una cosa conviene la negazione di se stessa, non le deva poi convenire la negazione di qualcos'altro che non le convenga davvero. Voglio dire, se, per esempio, è il vero a dire dell'uomo, che sia non uomo, è chiaro, che deve anche essere non trireme. In somma, sia pure, che quando a una cosa compete un'affermazione, le deva anche competere la negazione corrispondente: ma di certo, quando un'affermazione non le convenga, dovrà la negazione corrispondente convenirle anche meglio della propria. Se adunque, perfino la propria conviene, converrà anche quella della trireme: e se la negazione, anche l'affermazione. 14. Costì riescono quelli che dicono di queste cose, e a negare insieme che sia necessario di affermare o negare. Giacchè se è vero, che uomo è anche non uomo, è chiaro che sarà anche non uomo e non non uomo; queste sono, di fatto, le sue negazioni corrispondenti a quelle due affermazioni. E se di queste due se ne fa una, anche di quelle se ne potrebbe fare una sola opposta. 15. Oltre di che, o il caso è sempre il medesimo, e bianco è anche non bianco ed ente anche non ente, e il simile d'ogni altra affermazione e negazione, o no: ma certe sono così, e certe non sono. E se non tutte, le eccettuate, adunque, sarebbero già rate e concesse: se invece tutte, da capo, o tutte quelle che si possono affermare si possono anche negare, e tutte quelle che negare, anche affermare, ovvero tutte quelle che si possono affermare si possono bensì anche negare, ma non tutte quelle che negare anche affermare. E se così, ecco, dunque, un non ente chiaro e tondo, ed un giudizio rato e fermo: e se il non essere è qualcosa di fermo e di cognito, avrebbe a essere anche più cognita la afferma immediata di qualunque cosa: e fa che la percezione di una cosa non si possa compiere se non mediante un numero di riflessioni infinite, che vuol dire, non si possa compiere punto.Mediante l'affermazione è nota la negazione opposta (N). Se poi invece, tutte le cose del pari, che si possono negare, si devon per forza affermare, o si dice vero in diviso, che tal cosa, per esempio, è bianca, e che non è bianca, o no. E se non è in diviso che si dice vero, non si dice niente e non c'è nulla258. Ora, come parlerebbero mai o camminerebbero de' non enti? E tutte le cose ne farebbero una come s'è detto anche prima, e uomo e Dio e trireme e i loro contradittorii sarebbero lo stesso. E se è così sempre, una cosa non differirà punto dall'altra: che se differisce, quel tanto in cui si differenzia, sarebbe già del vero e del proprio. La conclusione poi che s'è detta, vien fuori del pari, se è parlando in diviso che si possa dir vero. 16. - Ed oltre di questo, se ne ricava, che tutti direbbero il vero e tutti il falso: perciò, concede che dice falso anche lui. 17. - E insieme è evidente, che con costui non si tratta di nulla: giacchè non dice nulla. Di fatto, non dice nè così nè non così. E poi, contradicendo a queste due affermazioni, rinnega da capo che sia non così nè non così. Perchè, se non lo fa, ci sarebbe qualcosa di determinato. 18. - Oltre di che, se quando l'affermazione è vera, la negazione è falsa, e quando vera questa, falsa l'affermazione, non si può mai con verità affermare e negare lo stesso. Ma forse potrebbero dire che costì ci sia una petizion di principio. 19. - Di più263, forse chi crede che la cosa stia o non stia ad una maniera, è nel falso, e chi crede che ci stia e non ci stia, è nel vero? Giacchè, se è nel vero, che vorrebbe mai dire, quello che si suole pur dire, che la natura degli enti è fatta di una certa maniera264? Se poi non è nel vero, e c'è più chi pensa all'altro modo, ecco già dunque, che gli enti avrebbero una lor maniera di essere, e questo sarebbe vero e non insieme anche non vero. 20. - Se poi dicono e falso e vero tanto gli uni quanto gli altri, a costui non è lecito di aprir bocca nè di parlare: giacchè dice insieme una cosa e non la dice. 21. - E se non ha sopra questo veruna opinione ma tanto crede, quanto non crede, che ci corre da lui alle piante? 22. - Ma il punto, dove si vede che nessuno nè di quelli che fanno di questi discorsi, nè degli altri, n'è persuaso, è questo. Perchè mai va a Megara e non se ne sta invece, figurandosi che ci vada? Perchè uno non se ne va, un bel giorno, a gittarsi, poniamo, in un pozzo o in un burrone, anzi si vede, che se ne guarda appunto come se non pensasse che sia tanto buono quanto non buono il caderci dentro? È dunque chiaro, che crede che ci sia del meglio e del peggio. Ora, se questo, è necessario anche di credere quello uomo e questo non uomo, quello dolce e questo non dolce. Giacchè non cerca ugualmente nè mette a un ragguaglio ogni cosa, quando, pensato che sia meglio di bere acqua e di vedere un uomo, ne va in cerca: eppure, dovrebbe, di certo, se fossero affatto il medesimo uomo e non uomo. Ma come s'è detto, non c'è veruno, che non si veda guardarsi di certe cose e di certe no. Di maniera che, come apparisce, tutti credono che le cose stiano d'una maniera sola, e se non tutte, almeno il meglio e il peggio. E se lo credono, non perchè sappiano, ma perchè opinano, bisognerebbe che avessero molta più cura del vero, come la salute ha a curarla più un ammalato che non un sano: di fatto, chi opina, al paragone di chi sa, è in una disposizione non sana rispetto al vero. 23. - Oltre di che, quando pure tutte le cose stessero così e non così, c'è, di certo, il più e meno nella natura degli enti: giacchè non diremmo che tanto sia pari il due quanto il tre, nè che s'inganni altrettanto chi crede che il cinque sia quattro quanto chi il crede mille; ora, se non altrettanto, è chiaro che s'inganna meno quel primo, di maniera che sta più nel vero. Ora, se più qui vale più vicino, ci dovrebbe, di certo, essere un qualcosa di vero a cui stia più vicino il più vero: e se pure non ci fosse, ma di certo qualcosa di più fermo e di più vero c'è già; e potremmo oramai levarci di torno questo discorso sgangherato e che impedisce di fissar nulla col pensiero. CAPO V. Dell'opinione di Protagora; delle sue identità colla precedente, e della maniera di confutarla. 1. - Il ragionamento di Protagora deriva anch'esso dalla stessa opinione. Hanno tutti e due a essere o a non essere insieme. Di fatto, se tutto quello che si crede e che apparisce, è vero, è necessario che ogni cosa sia insieme falsa e vera. Giacchè parecchi hanno credenze contrarie gli uni agli altri, e ciascuno reputa in errore chi non crede a modo suo: di maniera che è necessario che la stessa cosa sia e non sia. E se è così, è necessario che tutto quello che si crede, sia vero; giacchè chi è in errore, crede delle cose contrarie a chi è nel vero. Perciò, se è tale la condizione degli enti, tutti gli uomini saranno nel vero. Adunque, è chiaro che ambedue codesti ragionamenti derivano dallo stesso pensiero. 2. - Però, il modo tenendi per combattergli non è lo stesso per tutti quelli che gli fanno. Chi ha bisogno di essere persuaso e chi sforzato. L'ignoranza di coloro i quali, per essercisi confusi, hanno preso a pensar così, è facile a curare; giacchè non s'ha ad affrontare le loro parole, ma la lor mente: ma quegli invece che dicono per dire, l'unico verso di sanargli è di redarguire il loro discorso in quanto consta di suoni e di vocaboli268 3. - A quelli che ci si son confusi, i sensibili sono stati cagione di cascare in questa opinione che i contradittorii e i contrari269 coesistano insieme, vedendo che de' contrarii si generano da una stessa cosa. Ora, se quello che non è, non si può generare270, la cosa preesistente doveva già essere amendue que' contrarii: ch'è anche il parere d'Anassagora (che dice che ogni cosa sia mescolata in ogni cosa), e di Democrito; giacchè anche questo dice che il voto e il pieno stiano del pari in ogni parte, quantunque il pieno sia ente e il voto non ente. 4. - Ora, a quelli, che da' sensibili son tirati a pensare così, diremo, che, in un senso, parlano giusto, in un altro, manca loro una cognizione. Giacchè l'ente ha due sensi; di maniera che ci è un senso in cui può generarsi qualcosa dal non ente, e un senso in cui no: e la stessa cosa essere insieme ente e non ente, ma non però ente e non ente sotto lo stesso rispetto: di fatto, una stessa cosa in potenza può bensì essere amendue i contrarii, ma in atto no. 5. - Oltre di che, gli richiederemo di badare, che tra gli enti ci è anche un'altra essenza, la quale non è punto soggetta nè a movimenti, nè a corruzione, nè a generazione di sorta. essenza di nulla, e così non ci è nulla di necessario: giacchè il necessario non può essere altrimenti da quello che è, di maniera che se qualcosa è per necessità, non potrà stare così e all'in contrario. 18. Del resto, se ci è solo il sensibile, non ci sarebbe nulla, se non ci fossero gli enti animati: giacchè, senza questi, non ci potrebb'essere sensi. Ora, che non ci sarebbero sensibili nè sensazioni, forse è vero (di fatto, la sensazione è una modificazione di chi sente): ma che non ci fossero, anche senza i sensi, que' sostrati che producono la sensazione, sarebbe impossibile; giacchè la sensazione, non è, di certo, sensazione di se stessa; ma c'è qualcos'altro di diverso dalla sensazione, che deve di necessità essere anteriore alla sensazione, perchè il movente è di sua natura anteriore al mosso: e che siano termini reciproci, non leva. CAPO VI. Continuazione 1. - Ma c'è di quelli che, chi di buona fede e chi a posta, muovono un dubbio. Dimandano che deva essere il giudice di chi sia sano o, con una parola, di chi in ciascuna cosa giudichi rettamente. Dubbii di questa sorte equivalgono a dubitare, se noi dormiamo ora o siamo svegli. 2. - Se non che simili dubbii valgono tutti lo stesso. Costoro pretendono che si dia ragione di tutto; giacchè cercano un principio ottenuto anch'esso per via di dimostrazione: poichè, di certo, che già non siano persuasi, si vede a' loro atti. Come diciamo, la loro ubbìa è questa: cercano una ragione di cosa di cui non ci è ragione, il principio della dimostrazione non potendo essere una dimostrazione. Se non che quelli che patiscono di quest'ubbìa, si persuaderebbero di leggieri: la non è dura ad intendere. Ma quelli che ragionano per essere sforzati, cercano l'impossibile: pretendono che si riducano a contraddirsi principiando dall'affermare loro i contraddittorii. 3. - Poi, non potrebbe essere vero tutto quello che appare, se non nel caso, che fosse relativa ogni cosa e non ce ne fosse veruna che stesse da sè; giacchè quello che appare, appare a qualcuno: di maniera che chi dice, che sia vero tutto quello che appare, fa consistere ogni entità in una relazione. Perciò quelli che vogliono essere sforzati dal ragionamento, e pure si contentano di ragionare, bisogna che si guardino ed avvertano, che non è già vero quello che appare, ma quello che appare a chi appare e quando appare e per quella via e in quella tale maniera che appare. Se, mettendosi a ragionare, non determinano così la loro tesi, accadrebbe loro di cascare subito ne' contradittorii. Può, di fatto, alla stessa persona una cosa parer male alla vista e al gusto no: e alla vista di ciascuno de' due occhi non parere identica una stessa cosa, quando siano disuguali. Poichè, di certo, a quelli, che, per le ragioni già dette, affermano, che quello che appare è vero, e che perciò ogni cosa non sia più falsa che vera (perchè non appare lo stesso a tutti nè sempre lo stesso ad uno stesso, anzi parecchie volte appaiono insieme cose contrarie: il tatto per esempio se s'intrecciano le dita dà due oggetti, dove la vista nè dà uno a questi tali, ripeto, si può dire, che non però appaiono cose contrarie ad uno stesso senso, e secondo lo stesso rispetto, e della stessa maniera e nello stesso tempo: di sorta che qui almeno s'avrebbe del vero. Ma forse appunto per questo, quelli che parlano non perchè dubitino, ma per parlare, sarebbero sforzati a dire, che non s'avrebbe già del vero, ma del vero a qualcuno. E come s'è già detto prima, dovrebbero fare ogni cosa relativa a qualcos'altro e alla opinione e al senso, di maniera, che non ci sia stata, nè sia per esserci cosa veruna, se non c'è uno prima che l'opini. Che se ci fosse stata, o ci fosse per essere, si vede, che allora ogni cosa non sarebbe relativa all'opinione. 4. - Di più, una cosa sola, se l'è una sola, si riferisce a un'altra sola, o a qualcosa almeno di determinato: siano pure lo stesso il doppio e l'uguale: di certo, l'uguale non si riferisce al doppio. Adunque, se in relazione all'opinante è lo stesso uomo e l'opinato, non sarà uomo l'opinante, ma l'opinato. 5. - E di più, se ciascuna cosa in tanto è, in quanto si riferisce all'opinante, l'opinante sarà una infinità di specie301. 6. - E su questo punto, che il più saldo di tutti i giudizii sia, che non possono essere insieme vere le proposizioni opposte, e sulle conseguenze che vengon fuori a chi afferma che possano, e sul perché l'affermino, ci basti quello che se n'è detto. Ora, poichè è impossibile che le contradittorie siano insieme vere della stessa cosa, si vede, che i contrarii non possono neppure sussistere insieme nel medesimo. Giacchè di due contrarii, l'uno è tanto privazione dell'altro, quanto l'altro dell'uno; e privazione d'essenza302, si badi: ora, la privazione è negazione unita a un certo determinato genere. Se è adunque impossibile di affermare e negare insieme la verità, è impossibile ancora che i contrarii coesistano insieme, altro che tutti e due sotto un rispetto, o l'uno sotto un rispetto, e l'altro assolutamente. CAPO VII. Del principio del mezzo escluso fra i contradditorii. 1. Anzi, non ci può essere niente di mezzo fra' contradittorii; ma d'una qualunque cosa è necessario di negare o affermarne una qualunque altra. Chi, non ch'altro, definisca cosa sia il vero e il falso, lo vede chiaro. Giacchè il falso sta nel dire che quello che è, non sia, e quello che non è, sia; e il vero nel dire, che quello che è, sia, e quello che non è, non sia: di maniera che anche chi dice che quel mezzo sia o non sia, dovrebbe dir vero o falso. Ora, a dirlo, non si direbbe, nè che l'ente sia, nè che il non ente non sia. 2. Di più questo qualcosa di mezzo o sarebbe come il bigio tra il bianco e il nero ovvero come il nè l'uno nè l'altro tra uomo e cavallo. Ora, se di quest'ultima maniera, non andrebbe mai soggetto a cangiamento; di fatto, il cangiamento accade dal non buono al buono o da questo al non buono: e invece è quello che si vede sempre, non ci essendo cangiamento altro che negli opposti e negl'intermedii. E se il mezzo è dell'altra maniera ma sempre tra contradittorii, ci sarebbe del pari una generazione del bianco non dal non bianco; e chi l'ha mai vista? 3. Di più, ogni cosa, che la mente pensi o intenda (V), o l'afferma o la nega: il che risulta chiaramente dalla definizione di quando coglie il vero o cade nel falso. Quando, cioè, negando e affermando, congiunge a questa maniera, sta nel verbo; quando a quest'altra, nel falso. 4. Ancora, se non si dice per dire, cotesto mezzo ci dovrà essere tra tutti a dirittura i contradittorii: di maniera che uno nè starà nel vero, nè non starà nel vero. E ci sarà qualcosa oltre l'ente e il non ente: di maniera che ci sarà un'altra sorta di cangiamento, oltre alla generazione e alla corruzione. 5. 5. - Di più, ci dovrà anche essere in tutti que' generi, ne' quali la negazione importa l'affermazione contraria; ci sarà per esempio tra' numeri il numero nè dispari nè non dispari. Che è impossibile: si vede, non ch'altro, dalla definizione. 6. 6. - Di più, s'andrà all'infinito; e gli enti non saranno solo la metà più di quanti sono, ma di più anche. Giacchè si potrà, oltre all'affermazione e negazione, negare anche codesto mezzo: e negato, sarà qualcos'altro: perchè sarà diversa l'essenza sua. 7. Di più, se uno dimandato se una cosa è bianca, risponde che no, non le ricusa altro che l'essere : ora, il non essere è appunto negazione. 8. Questa opinione s'è fitta in mente a certuni della stessa maniera che altre paradossali: non potendo risolvere certi argomenti capziosi, cedono all'argomentazione, e acconsentono che quello che se ne conchiude, sia vero. Chi, adunque, parla così per questa causa, chi per voler cercare ragione di ogni cosa. Contro a tutti questi, bisogna rifarsi dalla definizione. E la definizione vien fuori dall'essere pure necessario che le lor parole abbiano un significato: giacchè la nozione, di cui la parola è segno, si risolve in una definizione. 9. Parrebbe che la sentenza d'Eraclito, che tutto sia e non sia, faccia vera ogni cosa: dove da quella d'Anassagora si conchiude, che ci sia qualcosa di mezzo alla contradittoria; di maniera che tutto sia falso: giacchè il miscuglio una volta fatto, non è nè buono nè non buono, di sorta che non se ne può dire nulla di vero. CAPO VIII. Di alcune false dottrine dedotte dalla negazione de' due principii discussi. 1. - Determinati questi punti, è chiaro; che quelle formole assolute ed universali è impossibile che reggano; quelle, vo' dire, che taluni dicono, certi affermando che nulla sia vero (giacchè, dicono, niente vieta, che tutto sia come la commensurabilità del diametro), certi che tutto sia vero. Codesti sono discorsi pressochè simili a quello d'Eraclito: perchè chi dice che tutto sia falso e tutto vero, dice anche ciascuna delle due proposizioni separatamente: di maniera che se le sono impossibili ciascuna da sè, sono anche impossibili riunite insieme. 2. - Di più, sono manifestamente contradittorie le proposizioni che non possono essere insieme vere; ma neppure già false tutte e due: quantunque da que' discorsi parrebbe che si potrebbe piuttosto dare questo secondo caso. 3. - Se non che per far fronte a simili discorsi, bisogna, come s'è già detto più su, dimandare non se qualcosa sia o non sia, ma che si dia un significato alle parole: di maniera che si possa discorrere colla definizione alla mano fissando cosa significa falso e vero. Se il vero ed il falso non sono altro se non un affermare o negare327, è impossibile che tutto sia falso: giacchè è necessario che uno de' membri della contradittoria sia vero. 4. - Di più, se ogni cosa si deve per forza affermare o negare, è impossibile, che così l'affermazione come la negazione sia falsa: perchè è falso solo uno de' membri della contradittoria. 5. - Succede a tutti i discorsi simili quel caso notissimo, di darsi la zappa su' piedi. Giacchè chi dice che tutto sia vero anche il ragionamento contrario al suo, e perciò non vero il suo (di fatto, l'avversario non dice che sia vero): chi poi dice che tutto sia falso, da sè dice falso il ragionamento proprio. E se accettuano, quel primo, il ragionamento contrario, come solo non vero, e questo secondo il suo proprio, come solo non falso, succede loro d'introdurre a un tratto infiniti discorsi veri e falsi: giacchè chi dice il vero discorso vero, è vero: e c'è da ire così all'infinito. 6. - È manifesto poi, che nè quelli che dicono che tutto stia in quiete, nè quelli che tutto si muova, dicono il vero330. Giacchè se sta tutto in quiete, le stesse cose saranno sempre vere e sempre false; ora si vede che cangiano: giacchè chi parla, una volta, lui stesso, non era, e tra qualche tempo non sarà più. Se poi tutto si muove, non sarà vero nulla: per conseguenza, falso tutto. Il che s'è pure dimostrato impossibile. 7. Oltre di ciò, è necessario che sia l'ente quello che si cangi. Giacchè il cangiamento è di qualcosa in qualcosa. Però, ogni cosa non sta già in quiete e si muove solo ad intervalli, e veruna sempre: giacchè ce n'è una, che sempre muove i mossi, e il primo movente è egli stesso immobile.
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