Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Metodi di ricerca e osservazione in psicologia dello sviluppo, Appunti di Psicologia Sociale

Una trattazione sui metodi di ricerca e sull'osservazione in psicologia dello sviluppo. Vengono descritte le modalità di osservazione e il rapporto tra il grado di struttura imposto dall'osservatore e il grado di struttura dell'ambiente. Vengono inoltre presentati esempi di esperimenti sull'osservazione, come il video del gorilla e l'esperimento di Bandura. Infine, vengono descritte le minacce che possono intaccare l'osservazione e la validità dell'esperimento. Il documento può essere utile come appunti o sintesi del corso per studenti di psicologia o discipline affini.

Tipologia: Appunti

2018/2019

In vendita dal 28/11/2022

antonellat99
antonellat99 🇮🇹

5 documenti

1 / 19

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Metodi di ricerca e osservazione in psicologia dello sviluppo e più Appunti in PDF di Psicologia Sociale solo su Docsity! DOMANDE PSICOLOGIA OSSERVAZIONE:  VIDEO DEL GORILLA L’osservazione è un tema fondamentale trattato dalla psicologia dello sviluppo e da molte altre discipline. Riguardo ad essa, dobbiamo ricordare che il suo scopo è quello di descrivere la complessità dello sviluppo in situazioni reali o il più possibile vicine alla realtà. Le modalità di osservazione possono essere diverse e, per analizzarle al meglio, è innanzitutto necessario chiarire il rapporto tra il grado di struttura imposto dall’osservatore (non strutturato o naturalistico, strutturato in cui le condizioni sono controllate) e il grado di struttura dell’ambiente. Se il grado di struttura imposto dall’osservatore è non strutturato e l’ambiente è naturale lo studio sarà sul campo e non strutturato, al contrario se l’ambiente è artificiale lo studio sarà in laboratorio e non strutturato. Se invece il grado di struttura imposto dall’osservatore è strutturato e l’ambiente è naturale lo studio sarà sul campo e strutturato, al contrario se l’ambiente è artificiale lo studio sarà in laboratorio e strutturato. Ci sono moltissimi esperimenti sull’osservazione. Ricordiamone due, visti in classe, che sono integrati nella ‘The Monkey Business Illusion’ di Daniel Simons. In questo video viene inquadrato un gruppo di persone, alcune vestite di bianco, altre di nero, che si passano la palla. La richiesta è precisa: i soggetti sottoposti all’esperimento devono contare i passaggi di palla fra i personaggi vestiti di bianco, ignorando quelli della squadra vestita di nero. Ad un certo punto, durante l’azione, una persona travestita da gorilla attraversa il campo. I ricercatori scoprirono che quasi la metà dei soggetti, impegnati a seguire i passaggi tra i bianchi, non si accorsero dell’originale comparsa. È importante sottolineare che, ancora oggi, delle persone che non hanno mai visto o sentito parlare di questo video, circa la metà non vede il gorilla. Per le persone che invece ne sono a conoscenza è stato probabilmente più facile vederlo. E a questo punto Simons introduce un altro aspetto, presente nel secondo video visionato: alcune delle persone che hanno notato il gorilla, non hanno invece notato che è cambiato il colore della tenda di sottofondo e che un giocatore della squadra nera ha lasciato il gioco durante l’azione. Questo è un esperimento utilizzato per spiegare la selettività del nostro cervello, che spesso si concentra solo su un aspetto della realtà (contare i passaggi). Ma è anche vero che aspettarsi che avvenga un evento inaspettato (la comparsa del gorilla per le persone che sono già a conoscenza dell’esperimento) non aiuta ad accorgersi di eventuali altri eventi inaspettati, anzi, può peggiorare la capacità di notarli. L’esperimento sottolinea come spesso noi vediamo solo alcune cose e, nel caso di osservazioni, vediamo solo gli aspetti che confermano la nostra ipotesi. Ricordiamo, per concludere la trattazione, che la validità dell’osservazione può essere o interna, in cui non è richiesta la spiegazione dei legami causali, le variabili sono libere di agire, o esterna, in cui c’è un alto grado di generalizzabilità dei risultati al mondo reale. È importante anche sottolineare che le minacce che possono intaccare l’osservazione possono essere a carico di soggetti (a causa, ad esempio, della reattività, desiderabilità sociale, del fatto che un individuo si comporto come la società si aspetta), a carico dell’osservatore (che spesso ha delle aspettative e quindi potrebbe ricercare solo gli elementi che le confermano, per evitare questa situazione è preferibile il confronto con gli altri), a carico del ricercatore (a causa delle categorie di codifica, devono essere esaustive ed adattate alle informazioni che sono state raccolte).  METODI, BANDURA (imitazione neonato), FACILITAZIONE DEI COMPITI SPERIMENTALI I metodi di ricerca della psicologia dello sviluppo sono importanti per capire il processo che sta alla base delle teorie formulate dagli psicologi e per evitare informazioni fuorvianti e superficiali (come per esempio la questione di quando si dicono le prime parole, non c’è un’età precisa perché dipende dal bambino). Ci sono diversi metodi, che descriveremo nel corso della nostra analisi. Il metodo sperimentale ha lo scopo di spiegare la relazione causa-effetto tra due o più fenomeni. Consiste nell’introdurre alcune variazioni intenzionali e controllarne sistematicamente gli effetti, ossia la manipolazione della variabile indipendente per verificare se causa la variabile dipendente. Ricordiamo l’esperimento classico di Bandura e la bambola Bobo, trattato in classe: l’esperimento dimostra che i bambini apprendono comportamenti aggressivi attraverso la semplice osservazione e imitazione degli adulti. Alcuni bimbi hanno visto un filmato in cui gli adulti picchiavano la bambola, altri bambini no. La variabile indipendente è quindi vedere (lo fa il gruppo sperimentale) o meno (gruppo di controllo, ossia il gruppo che ha il compito di controllare l’effetto della variabile dipendente, il comportamento dei bambini, ricordiamoci che è comunque impossibile trovare la precisa causa di un comportamento perché esistono più cause e situazioni, il gruppo di controllo ha lo scopo di controllare solo alcune variabili) il video. Il controllo delle variabili intervenienti avviene attraverso l’appaiamento (misura delle caratteristiche base e individuazione di soggetti omologhi nei due gruppi) e causazione (monitoraggio solo delle variabili più evidenti). Successivamente si controlla la validità dell’esperimento, che può essere interna (quando vi è una relazione causale tra le variabili, si controlla l’ambiente, il momento, materiale, formulazione dei compiti e le condizioni delle prove) o esterna (i risultati sono generalizzabili a individui e contesti diversi da quelli considerati, è fondamentale controllare la rappresentatività del campione), c’è anche la validità di costrutto (coerenza tra i risultati ottenuti e la teoria alla base della ricerca) e la validità ecologica (corrispondenza tra la realtà esposta a verifica empirica e quella a cui i risultati dovrebbero essere generalizzati, è opportuno controllare l’artificiosità dell’ambiente). Ricordiamo l’esperimento degli studi di Harlow, in cui sono state manipolate anche alcune variabili che eticamente non dovrebbero essere manipolate. Le scimmie, appena nate, venivano isolate e solo successivamente introdotte nel loro contesto sociale. Ciò non era positivo perché molte scimmie morivano o si ammalavano. Sempre per quanto riguarda l’imitazione possiamo ricordare l’esperimento di Meltzoff e Moore (1977) sull’imitazione dei neonati di 36 ore. È stato ripreso anche da ricerche recenti, che descriveremo qui di seguito. 106 neonati sono stati valutati per quattro volte a distanza di tempo (1, 3, 6, 9 settimane). Durante ogni singolo test i ricercatori eseguivano una serie di movimenti facciali, oppure semplici azioni o suoni, per una durata di 60 secondi ciascuno. I comportamenti da imitare sarebbero stati semplici operazioni come: mostrare la lingua, aprire la bocca, fare una faccia triste o felice. Durante i 60 secondi, il comportamento del neonato veniva filmato e rivalutato in seguito, per ricercare segni di imitazione. I risultati ottenuti dai ricercatori, mettono in discussione le precedenti teorie, in quanto non è stata rilevata nessuna evidenza significativa a sostegno della tesi per cui i neonati siano in grado in maniera deliberata di imitare facce o suoni, o imitare semplici movimenti. Sembrerebbe dunque che l’imitazione sia un’attività che si impara nei primi mesi di vita, ma non «innata». Poi c’è il metodo quasi sperimentale. Lo scopo è quello di spiegare la relazione causa-effetto tra due fenomeni. Per questo metodo è fondamentale utilizzare le condizioni così come si presentano in natura per valutarne gli effetti sullo sviluppo. Il quasi esperimento non raggiunge la stessa validità interna degli esperimenti veri e propri. Procede per ipotesi. Facciamo un esempio: ci si può chiedere se esiste una relazione tra essere vittima di abuso e la capacità di apprendimento, ovviamente l’abuso non può essere manipolato. Si creano dei gruppi (gruppo di controllo e sperimentale, sono gruppi di bambini della stessa età, stesso numero di fratelli, sorelle etc), poi si osservano i processi di apprendimento (studiandone un solo aspetto come la memoria, la comprensione del testo) nel tempo. Se i due gruppi hanno differenze significative allora l’essere vittima di abuso ha conseguenze negative sui processi di apprendimento. Ricordiamo anche il metodo correlazionale. Lo scopo è quello di spiegare se e in che misura le variabili sono associate fra loro. Ciò non permette di provare relazioni causali tra i fenomeni. È fondamentale indagare se al variare di una variabile si associa il variare di un’altra ed in che modo. Possono accadere 3 situazioni: correlazione positiva (quando la correlazione esiste, se studiamo due competenze e vediamo che se una è alta anche l’altra lo è oppure il contrario), correlazione negativa (le variabili sono in relazione inversamente proporzionale, se una competenza è alta l’altra è bassa), correlazione nulla (quando le due variabili non sono in relazione). A questo discorso sui metodi dobbiamo collegare la facilitazione dei compiti sperimentali. Più il compito fa riferimento a competenze acquisite in routine quotidiane, più facilmente verrà risolto. La differente formulazione di un problema può avere un effetto rilevante sulla capacità di risolverlo (come ad esempio il camion che contiene gli uccelli, è più facile pensare ad una soluzione pensando ad un acquario con dentro i pesci). Da qui capiamo che compiti uguali, presentati in modi diversi, posso rilevare abilità di divere complessità. Se ci È fondamentale distinguere la sensazione e la percezione, esse non sono la stessa cosa. La sensazione e la percezione testimoniano l’attività mentale del neonato. La prima è il processo secondo il quale un’informazione esterna viene rilevata dai recettori sensoriali e trasmessa al cervello. Si parla di disabilità sensoriale quando l’individuo non è in grado di percepire con un senso, nel caso della vista non si può vedere l’oggetto ma lo si può percepire con gli altri sensi. Le informazioni, così come arrivano al cervello, devono essere in qualche modo interpretate. È un passaggio veloce ma è importante sottolineare nuovamente che le due cose sono distinte. Una persona può essere non vedente ma percepire come è fatto un microfono, non ha informazioni da parte del canale visivo ma può costruirsi un’immagine mentale utilizzando informazioni che arrivano da altri sensi. La percezione è possibile grazie agli organi di senso e al cervello. È il processo di categorizzazione ed interpretazione degli input sensoriali da parte del cervello. È fondamentale sottolineare che la percezione è un’attività mentale, sembra sempre che abbia a che fare solamente con i sensi ma non è così. È importantissima l’elaborazione mentale. Il cervello, con varie capacità e collegamenti, elabora l’input. Si parla di disabilità derivata dalla percezione quando non si riesce a dare senso alle informazioni che si ricevono. Abbiamo analizzato qualche esempio relativo a questo argomento. Ricordiamo il cubo di Necker, elaborato da Louis Albert Necker, che analizzò per primo il disegno e individuò i fattori che contribuiscono a generare questo paradosso visivo. Il cubo è disegnato in modo che le due facce, ossia quella anteriore e quella posteriore, siano di uguali dimensioni. Questa situazione produce sulla retina un’immagine che il cervello può interpretare in due modi diversi che corrispondono a una proiezione del cubo visto da posizioni diverse. Se vediamo il cubo in prospettiva la faccia che sta dietro è un po’ più lontana e quindi è impercettibilmente un po’ più piccola di quella che sta davanti. In questo modo non capisco quale faccia è davanti e quale è dietro perché è una proiezione. Di fronte al problema il cervello non sceglie e continua a oscillare tra l’una e l’altra posizione. È un paradosso visivo, un’attività mentale dato che l’immagine non cambia. La differenza tra concave o convesse: il cervello vede solo dei cerchi (questa è già un’interpretazione perché possediamo il concetto di cerchio) di diversi colori e sfumature, se messe in parallelo è ancora più difficile per il nostro cervello capire perché partiamo sempre dal pregiudizio che vi sia un unico punto di luce (il nostro sistema planetario ha un unico sole) e che la luce viene dall’alto (il sole non è mai sotto di noi). Il cervello li vede come sfumature, interpretare le sfumature come se fossero effetto della luce. Parte dal presupposto che la luce arriva dall’alto. Se la figura è ruotata di 90° i cerchi ombreggiati sono ambigui, non c’è un pregiudizio congenito sulla luce da destra o sinistra. È più difficile per il nostro cervello, oscilla di più perché non ha un dato stabile. Non siamo abituati a pensare che la luce venga dal lato. È un pregiudizio congenito. Disegno vecchia/ragazza: il lavoro sulle figure ambigue allena molto la flessibilità cognitiva. Si tratta della prospettiva sistemica: il tutto è più della somma delle parti. L’organizzazione dei dati nel loro insieme è qualcosa di più della somma delle qualità/caratteristiche dei dati presi singolarmente. Gli stimoli percettivi anche se isolati tendono ad assumere una struttura organica (per esempio le stelle, sistemi isolati, tendono ad assumere strutture tipiche che chiamiamo costellazioni). Le forme tendono ad organizzarsi in strutture percettive autonome: si costituiscono come figura che si stacca da uno sfondo. Percepire una forma è anche percepire il suo significato. Il cervello è sempre in cerca di dare un senso a ciò che vediamo dall’esterno. Ruolo degli aspetti affettivi e personali in quanto cerchiamo di dare un senso e un’interpretazione sulla base delle nostre conoscenze.  PERCEZIONE VISIVA (FUTURE INSEGNANTI ED INSEGNANTI ESPERTE) La percezione è un processo di categorizzazione ed interpretazione degli input sensoriali da parte del cervello. Tra i diversi tipi di percezione, ricordiamo la percezione visiva. Nella nostra analisi tratteremo di alcuni concetti generali riguardo a questo argomento per poi descrivere il video visto in classe. Fino a qualche anno fa si pensava che il bambino, alla nascita, non vedesse nulla. In realtà, alla nascita l’apparato visivo è funzionante ma ancora immaturo, non c’è una messa a fuoco binoculare, vede più sfocato. In realtà non è vero che il bambino non riesce a mettere a fuoco completamente. C’è una distanza abbastanza regolare (22-25 cm) a cui il bambino riesce a mettere a fuoco: ossia la distanza tra il viso della mamma e lui stesso quando è tenuto in braccio nel momento dell’allattamento, è come se ci fosse un messaggio esplicito ossia quella persona è importante. Il neonato reagisce a stimoli luminosi, movimento, distingue alcuni colori più saturi (rosso, blu) e ha precise preferenze. Gli studiosi si sono accorti di queste preferenze facendo esperimenti, ricordiamo a tal proposito la tecnica dell’abituazione, il bambino veniva esposto sempre ad uno stesso stimolo fino a quando non si è abituato e quando si è abituato gli veniva mostrato una forma di colore diverso, se sgranava gli occhi e aumentava il battito cardiaco vuol dire che il bambino percepisce il colore, se non dà segnali non distingue i colori. Entro i tre mesi la visione è binoculare. Uno degli oggetti che il bambino preferisce nei primi mesi di vita è il viso umano. Si è scoperto che le caratteristiche visive più attraenti sono: complessità, simmetria, presenza di curve e mobilità. Gli ultimi studi rivelano che a poche ore dalla nascita il neonato discrimina tra la mamma ed un’estranea. Fino a 2 mesi però non riescono a distinguere i volti dai soli dettagli interni. Poi gradualmente avviene il riconoscimento dei volti anche di profilo e utilizzando solo dettagli esterni. Tra i 3 e i 7 mesi aumenta la discriminazione delle varie espressioni emotive. Alla fine del primo anno c’è un riferimento sociale. I bambini più o meno intorno all’anno e mezzo utilizzano gli adulti di riferimento come indicatori di come interpretare al meglio le situazioni nuove. Il bambino osserva il punto di riferimento, se vede che sua mamma è serena magari si nasconde in un primo momento ma poi è sereno anche lui. Se la mamma fa durare a lungo il momento del saluto, è ansiosa di lasciarla in un posto nuovo, non sarà facilitato l’ingresso in un posto nuovo e viceversa. Se c’è una situazione nuova che attira il bambino, lui vuole vedere come se la può giocare e quindi guarda l’adulto di riferimento. La percezione permette di organizzare e dare un significato agli elementi, non lasciarli slegati. Da informazioni singole il cervello elabora e dà una o più etichette. Da esse capire se può fare o meno una cosa. Per i bambini affetto da autismo è molto difficile, a livello percettivo hanno caratteristiche particolari che li portano a vedere nitidamente i singoli dettagli e fanno fatica ad avere una visione collettiva, soprattutto per quanto riguarda le persone e i riferimenti sociali. Ciò che differenzia il modo di osservare del bambino tra il primo e il secondo mese di vita è il punto di partenza per la sua osservazione. Nel primo mese egli inizia ad osservare il volto partendo dal mento e dunque dal basso, mentre dal secondo mese inizia dai capelli e dunque dall’alto. Nel secondo mese inoltre il bambino si sofferma molto sugli occhi e sulla bocca e questo lo porta ad essere migliore nel riconoscere la persona che ha davanti. Abbiamo visto due video sulla percezione visiva della classe da parte di future/i insegnanti ed insegnanti esperte/i. il cerchio rosso rappresenta lo sguardo delle maestre. Nel primo video l’insegnante non è esperta perché tende ad osservare solamente il bambino che si alza e si muove all’interno della classe. Osserva solo ciò che lei reputa importante. Nel secondo video l’insegnante è esperta perché sa bene che è giusto osservare sempre tutta la classe e non solamente il ragazzo che si muove. È fondamentale l’abituazione a tal proposito, se una persona è abituata allora non guarda quella determinata cosa. Questo video sottolinea che spesso si vede dove si vuole vedere, un’insegnante può inconsciamente non accorgersi di un bambino con la mano alzata da molto tempo perché lo considera meno bravo.  PERCEZIONE SPAZIALE (FOSSO VISIVO, SGUARDO DELLA MADRE) La percezione è un processo di categorizzazione ed interpretazione degli input sensoriali da parte del cervello. Tra i diversi tipi di percezione, ricordiamo la percezione spaziale. Nella nostra analisi tratteremo di alcuni concetti generali riguardo a questo argomento per poi descrivere il video visto in classe. La percezione permette di muoverci più correttamente e in modo sicuro nello spazio. I bambini piano piano riescono a percepire elementi dello spazio, come la costanza di forma, la costanza di dimensione e la profondità. Per quanto riguarda la costanza di forma, dobbiamo sottolineare che la forma degli oggetti nella retina cambia notevolmente a seconda dell’angolo di visuale, ma noi riconosciamo, grazie all’esperienza, l’oggetto percepito. Si manifesta intorno ai 3-4 mesi. La costanza di dimensione consiste nel fatto che, quando un oggetto viene allontanato, il cervello corregge gli effetti della distanza e lo vede ancora nelle sue dimensioni reali, anche se l’immagine sulla retina è cambiata. Ciò avviene attorno ai 4 5 mesi. La profondità è importante perché è legata alla possibilità di spostarsi nell’ambiente. Riguardo a questo argomento abbiamo visto un video sull’esperimento del fosso visivo (visual cliff) di Gilbson e Walk, fatto con bambini di sei mesi. I bambini sono posti in un ambiente controllato e artificiale in cui è inserito un inganno visivo, ossia un finto baratro. Esso consisteva di due livelli, il tipo di pavimento era lo stesso, ossia con una tela a scacchi. Il livello superiore ad un certo punto continuava con una lastra di plexiglass. Mentre all’inizio la tela era posizionata direttamente sotto il plexiglas, successivamente veniva abbassata di circa un metro e mezzo, creando quindi un precipizio visivo. I bambini venivano posizionati sul lato col dislivello minore mentre la madre dal lato con maggiore dislivello. Dalla parte della madre veniva posto anche un giocattolo, che aveva una funzione attrattiva, cercava di rendere più astratta la percezione del pericolo. I bambini, prima di procedere, si guardavano intorno per vedere la reazione delle altre persone, cercavano di percepire e interpretare segnali visivi e non solo, riferiti ad una figura di riferimento. La maggior parte dei bambini si rifiutava di attraversare la discesa per raggiungere il lato più profondo, ciò evidenzia che percepivano davvero la diversa profondità. Se il loro comportamento mi fa capire che loro lì percepiscono un pericolo è perché percepiscono la profondità. Le madri in questo esperimento erano il riferimento sociale, erano fondamentali le loro espressioni per il movimento del bambino. Uno degli obiettivi di questo esperimento era anche quello di capire se la paura è qualcosa di innato o di acquisito. Una ricercatrice afferma che i bambini in questa situazione non provano paura, loro capiscono la situazione in cui si trovano ma non sanno come comportarsi perché si trovano in una situazione nuova. Un altro esperimento condotto da James Sorce e altri studiosi approfondì ulteriormente la ricerca. In questo esperimento è centrale l’espressione della madre. Essa andava a fornire una soluzione alla situazione ambigua in cui si trovava il bambino. Gli occhi della madre stavano dicendo al bambino che il dislivello fa paura, le ginocchia del bambino invece che la superficie è stabile. Davanti ad una madre sorridente che affermava ‘va tutto bene tesoro’, il 74% dei bambini attraversava il ‘precipizio’. Al contrario, lo sguardo di una madre arrabbiata, stressata o paurosa è stato abbastanza da fermare il percorso del 100% dei bambini. in generale di fronte all’ambiguità, il bambino guarda in modo naturale la madre perché essa le possa fornire una soluzione. Ulteriori esperimenti con i bambini più piccoli misurano anche il battito cardiaco, più erano vicini al precipizio più il cuore batteva velocemente e quindi questo era segnale di percezione reale pericolo. Percepiscono che lì c’è qualcosa di diverso e si attivano per affrontarlo.  SINCRETISMO INFANTILE (HEISS E SANDER) Con il termine sincretismo intendiamo il fatto che la figura d’insieme ostacola l’individuazione delle singole parti. Lo possiamo collegare alla percezione analitica e sintetica, caratterizzata dall’articolazione gerarchica del campo fenomenico, prospettiva reversibile, esplorazione esaustiva, progressi nella costanza di forma e dimensione, oltre che dagli elementi che analizzeremo qui di seguito. Il sincretismo caratterizza la prima e la seconda infanzia. Viene fatto un esperimento da Heiss e Sander (1948) che mostra come il bambino sia attratto dalla figura organica, completa e dotata di senso e non dai dettagli che formano questa figura. Per lui è più facile vedere la figura nel suo insieme e non le singole parti. Secondo questo esperimento con l’età si affinano le capacità analitiche e le abilità di cogliere i particolari. In questo esperimento vengono mostrate tre figure al bambino, che raffigurano una serie di mattoncini. Nella prima figura vi è un mattoncino che ha un colore diverso rispetto alle altre. Successivamente viene chiesto al bambino di ricercare questo elemento nelle altre di figure in cui gli elementi hanno tutti lo stesso colore ma ciò che li differenzia è la forma. Dall’esperimento ne deriva che i bambini notano prima l’elemento del gruppo in cui la forma degli elementi è maggiormente evidenziata rispetto al gruppo in cui tutti gli elementi sono vicini perché sono più attratti da tutta la figura, loro cercano di vedere la figura globale. Esperimenti successivi evidenziano anche l’importanza delle caratteristiche dello stimolo, ci sono figure che si possono percepire come unitarie anche se sono composte da singole parti che sono riconoscibili, come le immagini dell’Arcimboldi, particolari oggetti familiari o particolarmente vistosi. Fino a 5/6 anni notiamo la difficoltà del bambino nel ritrovare un modello di una figura in un’immagine più grande, quindi per lui è difficile organizzare gli stimoli in modo flessibile. A livello percettivo lavorare su queste immagini quindi aiuta i bambini a sviluppare la flessibilità percettiva e la capacità di passare da uno stimolo globale ad uno più analitico e viceversa. Durante gli anni della scuola primaria bene o male si riesce a superare questo dalla memoria a breve termine vengono ricodificate ed immagazzinate, per poi poter essere recuperabili. L’immagazzinamento ed il recupero chiamano in causa comportamenti strategici. Il primo richiama la reiterazione, organizzazione ed elaborazione; il secondo la rievocazione e il riconoscimento. La memoria a lungo termine si divide in memoria episodica, semantica, dichiarativa, procedurale. Questi tre magazzini sono fondamentali. I bambini di pochi mesi fanno molte cose che implicano l’esistenza della memoria, come l’abituazione dell’attenzione, imitazione, riconoscimento, ricerca di oggetti nascosti (si ricordano qual è l’ultimo luogo in cui hanno visto l’oggetto), condizionamento classico e operante. Sono stati fatti molti esperimenti per dimostrare che i bambini, fin da piccoli, percepiscono i diversi colori. In questi esperimenti i bambini vengono messi davanti a determinati colori e vengono presi alcuni parametri come il battito del cuore. Si scoprì che dopo un certo periodo che il bambino vedeva quel colore si verificava il fenomeno di abituazione in quanto il bambino si era abituato a vedere quel colore. Quando ciò si verificava lo sperimentatore proponeva al bambino un nuovo colore per capire se il bambino capiva la differenza tra i due colori. Il bimbo reagiva come faceva le prime volte che aveva visto il primo colore, dunque ci fa capire che il bambino capisce la differenza dei colori e che il bambino è in grado di memorizzare, per farlo utilizzano delle strategie analizzate da DeLoache, Cassidy, Borwn, Flavell, Miller, come la reiterazione. INTELLIGENZA  ESERCITAZIONE Le teorie scientifiche sull’intelligenza sono tantissime e negli anni si sono centrate su tre grandi temi: capacità di apprendere, conoscenze acquisite nel corso dello sviluppo, abilità di adattarsi all’ambiente (Piaget). Quello che noi pensiamo sull’intelligenza differenzia anche il nostro modo di calcolarla. C’è differenza tra ciò che crediamo e ciò che sappiamo sull’intelligenza, credenze e conoscenze non sono la stessa cosa. Noi ci muoviamo in base ad entrambe. Le credenze sono delle vere e proprie teorie implicite ed hanno un forte potere sul nostro modo di comportarci e sul modo di filtrare le informazioni dell’ambiente. Le concezioni implicite si fondano su idee implicite costruite intorno ad un prototipo di persona intelligenze, a sua volta fondato sul successo del processo adattivo, quindi dipendente dal contesto specifico (apprendere le regole tacite di una cultura). Le conoscenze scientifiche su come funziona l’intelligenza spesso si scontrano con le nostre idee implicite che ci fanno comunicare e comportare in un modo che va un po’ contro alle conoscenze scientifiche. Con il tempo si è passati da una visione dell’intelligenza statica ad una più dinamica. Da diverse ricerche risulta che le insegnanti hanno due diversi modi di fare didattica. Coloro che si stanziano vicino alla polarità statica bocciano un maggior numero di studenti e l’errore e il processo di correzione avveniva solo tra maestro e alunno. Le insegnanti che si stanziano invece più vicino alla polarità dinamica correggono l’errore non solo con l’alunno che lo aveva commesso ma facendo partecipare tutta la classe. Queste insegnanti, però, sono più soggette al burnout perché si sentono più responsabili e sono consapevoli del ruolo che stanno svolgendo, in ambiente scolastico è più a rischio chi ha un’idea più incrementale dell’intelligenza. Si tende a cercare supporto fuori dalla scuola, si ha quasi paura del confronto con i colleghi, nei quali non riusciamo a trovare conforto quasi come se si fosse più in una situazione di competizione che collaborazione. Spesso l’insegnante ha paura di esporre le sue debolezze perché pensa che così gli altri lo possono giudicare come incompetente. Per questo può essere d’aiuto la formazione continua, deve essere sensata, calata sul contesto, continuamente stimolato il pensiero critico, voglia di mettersi in gioco e anche la capacità di trovare delle risorse. Abbiamo svolto un’esercitazione in classe riguardo alle diverse idee dell’intelligenza e ci siamo concentrati molto sul momento della correzione dell’errore, processo attraverso cui possono più facilmente emergere le idee che guidano buona parte delle modalità di interazione riguardanti le diverse concezioni su di essa. Se l’insegnante ha un’idea di intelligenza come qualcosa che si può sempre modificare, l’errore diventa una tappa nel processo di modifica della conoscenza, una tappa del processo di apprendimento. In base all’idea che ha sull’intelligenza, saranno diversi i messaggi che manderà nel processo di correzione di un errore, come lo utilizza, con chi (solo con chi ha commesso errore o tutti), il modo con cui si svolge (se diventa un processo a chi ha fatto l’errore è sbagliato, deve essere uno spunto utile che ci ha permesso di fare una cosa. Chi ha idee più statiche dell’intelligenza dice che l’errore è utile ma dice che va tolto, cambiato. Il compito principale dell’esercitazione era individuare nelle conversazioni proposte elementi relativi a: partecipazione al trattamento dell’errore, uso di domande aperte e/o affermazioni, sul contenuto ossia riflettere sull’errore o sostituirlo (ad esempio suggerendo risposta corretta), oggetto della valutazione ossia risposta o capacità dell’alunno, concezione dell’intelligenza ossia innatismo o costruttivismo. In alcuni spezzoni significativi notiamo che possono coesistere le due concezioni dell’intelligenza in un’insegnante, può essere costruttivista perché la maestra fa ragionare il bambino ma è anche innatista perché ricerca la risposta che vuole lei. In un’altra situazione abbiamo notato la concezione costruttivista dell’intelligenza della maestra perché lei chiede l’intervento non solo di un alunno ma di tutta la classe, propone delle domande molto aperte che possono essere interpretate in diverso modo. La maestra si chiede perché quel bambino ha dato quella precisa risposta e quindi ha creato un ambiente in cui tutti erano interessati a partecipare dicendo ciò che si sentono dire. Ogni bimbo si sente parte del processo di correzione della sua risposta. Abbiamo visto che se l’insegnante ha una concezione innatista dell’intelligenza, la bimba si potrebbe sentire in imbarazzo perché non conosce un concetto che dovrebbe essere appurato. La bimba, che sente altri bambini che rispondono a quella domanda, potrebbe pensare che ci sono bambini che possono imparare e altri che non sono in grado di farlo oppure che imparare significa farsi mettere delle idee nella mente degli alunni da parte della maestra senza una rielaborazione. Oppure come meccanismo di difesa potrebbe dire, in caso di delusione, che è la maestra che non è in grado di inculcare queste idee nella sua testa. La fiducia si costruisce non nel pensare che l’altro sa tutte le risposte (anche perché in questo modo si instaura un rapporto di dipendenza) ma si pensa all’altro come ad una persona con cui si può cercare nel modo migliore la risposta alla propria domanda. Da ciò capiamo come le nostre idee influenzano il nostro comportamento anche in classe ed inoltre influenzano la costruzione dell’idea dell’intelligenza che i bimbi si stanno costruendo. A tal proposito abbiamo anche letto un brano in cui si capisce chiaramente la concezione dell’intelligenza dell’insegnante. La maestra non ha aspettato di capire perché l’alunna ha sbagliato ma propone solo una strategia: rileggere la domanda. Alessia viene continuamente incalzata fino a quando non dà la risposta giusta. Non vi è una curiosità da parte della maestra di capire, questa curiosità viene superata dalla necessità di andare avanti. La concezione dell’intelligenza dell’insegnante è innatista. PIAGET  STADI IN GENERALE La teoria di Piaget si basa sul concetto di ‘stadi dello sviluppo’. Lo stadio di sviluppo è una tappa di crescita caratterizzata da un particolare modo di pensare il mondo, seguendo certi schemi. Ogni stadio è qualitativamente diverso dai precedenti e dai successivi ed è internamente coerente. Ciò vuol dire che il bambino usa lo stesso modo di pensare in tutti gli stadi ma in realtà non è proprio così, infatti può pensare in modi diversi. Lo sviluppo è discontinuo perché ci sono momenti in cui il pensiero è diverso e si entra in uno stadio diverso, cambia la struttura mentale con cui si interpretano le informazioni. Vi è una gerarchia e sequenzialità ben precisa. Gli stadi principali sono 4 e sono caratterizzati da 3 momenti di profonda riorganizzazione mentale per ricreare un equilibrio più complesso e adatto all’ambiente. Per analizzarli al meglio abbiamo visto diversi video, che descriveremo nella nostra analisi. Il primo stadio è lo stadio senso motorio. Esso va dalla nascita ai 18/24 mesi. Il bambino comprende il mondo in base a ciò che può fare con gli oggetti e con le informazioni sensoriali, ossia impara a conoscere il mondo attraverso le percezioni e i movimenti del corpo. La conoscenza del mondo deriva dai sensi e quindi dalla percezione e dalle azioni sugli oggetti in un rapporto circolare. In questo stadio si verifica il passaggio da un organismo riflesso a uno riflessivo, in quanto nel primo mese di vita ci sono moltissimi riflessi che dipendono dagli stimoli ma che poi durante il corso del tempo diventano intenzionali. Non vi è una rappresentazione mentale interna degli oggetti. Quando incomincia ad esserci una rappresentazione mentale interna degli oggetti avviene il passaggio allo stadio successivo. Questo primo stadio è suddiviso in 6 sotto stadi. Il primo corrisponde al primo mese di vita ed è caratterizzato dall’esercizio dei riflessi applicati a nuovi oggetti. Da 1 a 4 mesi ci sono le reazioni circolari primarie, i bambini cominciano a crearsi delle abitudini ripetendo i comportamenti per scoprire il loro corpo. Abbiamo visto un video riferito a questo stadio. In esso si può vedere una bambina di due mesi che è nella culla, muovendosi per sbaglio tocca la macchinina appesa alla culla e la vede muoversi. A questo punto continua a toccare la macchinina per farla muovere ancora. Mentre la sta facendo muovere, ancora per sbaglio, tocca l’altro giochino appeso e anche questo inizia a muoversi. La bambina quindi inizia a toccare anche quello per farlo muovere. In questo modo inizia a creare delle abitudini. In questo sotto stadio agiscono molto i riflessi come relazione con l’ambiente esterno, sparisce gradatamente la dimensione più automatica e riflessa e le azioni sono più intenzionali. Le reazioni circolari primarie sono reazioni ad eventi che il bambino tende a ripetere. Il neonato sperimenta il proprio corpo fino a quando capisce la divisione tra se stesso e l’ambiente esterno, prova a rifare la stessa azione e continua. Non c’è ancora intenzionalità, è difficile governare tutte queste competenze in maniera funzionale. Il terzo sotto stadio corrisponde ai 4-8 mesi e troviamo le reazioni circolari secondarie. È fondamentale l’azione sugli oggetti esterni e anche lo studio dello schema conseguenza – azione – visione + prensione. Anche per questo sotto stadio abbiamo visto un video in cui la stessa bambina, ovviamente cresciuta, muove ancora i giochi appesi al suo seggiolino ma li manipola in modo diverso, è padrona di quello che sta facendo. La bambina sta muovendo i giochi non per scoprirli ma per fare rumore e il suo comportamento è molto più intenzionale. I suoi comportamenti sono rivolti al mondo esterno. Il quarto sotto stadio corrisponde all’età di 8-12 mesi, è caratterizzato dagli schemi delle azioni intelligenti, quindi dalla coordinazione di azioni circolari, da mezzi fini, da una sequenza di azione per raggiungere uno scopo, dai tentativi di assimilazione dell’oggetto a schemi posseduti per conoscerlo e dall’intenzionalità. Il bambino capisce l’intenzionalità di un’azione e la mette in atto per sperimentare cose nuove. Il quinto sotto stadio è quello dai 12 ai 18 mesi ed è caratterizzato dalle reazioni circolari terziarie, ossia dalle azioni complesse sugli oggetti, da prove ed errori, dalle variazioni per sperimentare e comprendere meglio gli eventi, da novità e curiosità. Il sesto sotto stadio è quello dell’età di 18-24 mesi, è caratterizzato dal pensiero simbolico. Il bambino sa costruirsi un’immagine mentale delle cose e persone che non può più vedere, sentire, toccare. Si ha la rappresentazione mentale della realtà, la permanenza dell’oggetto, l’imitazione differita, il gioco simbolico (usare un oggetto al posto di un altro), la pianificazione di azioni in base a realtà immaginate. Ci dobbiamo soffermare sulla permanenza dell’oggetto, con essa si intende il fatto che il bambino è consapevole dell’esistenza di un oggetto anche quando non lo vede più. Ciò significa che il bambino ha una rappresentazione mentale di quell’oggetto o di quella persona. Per lo sviluppo della permanenza dell’oggetto sono importanti i libri con le tendine, in cui il bambino cerca un qualcosa di cui presuppone la presenza ma che non vede. Abbiamo visto un video riguardo alla permanenza dell’oggetto. In esso una bambina sta giocando con lo scivolo delle macchinine e sta riprendendo tutte le sue macchinine per organizzarle. Ad un certo punto si accorge che una con cui aveva giocato e di cui ha un’immagine mentale non è uscita. Se non è uscita da quella parte non può essere scomparsa, deve essere da un’altra parte e quindi la bambina vede se è finita dietro. Questo passaggio è davvero importante, è una competenza cognitiva che aiuta la bambina a stare meglio. Inizialmente quando un oggetto scompare dalla vista, il bambino perde rapidamente interesse per esso. Dal primo al quarto mese, nel momento della scomparsa dell’oggetto, il bambino guarda con più intensità nella direzione in cui è scomparso l’oggetto con attesa. Tra i 4 e gli 8 mesi circa comincia la ricerca attiva dell’oggetto parzialmente nascosto. Tra gli 8 e i 12 mesi il bambino cerca attivamente l’oggetto nascosto nel punto dov’è scomparso. Ci sono però degli errori di perseveranza, infatti tra il 12 e i 18 mesi il bambino cerca attivamente l’oggetto nascosto dove è stato visto scomparire l’ultima volta ma non è in grado di immaginare i movimenti che non ha visto direttamente. Tra i 18 e i 24 mesi il bambino riesce a rappresentarsi l’oggetto e riesce a trovarlo anche in seguito a spostamenti invisibili e soltanto inferiti. Quello è appena descritto è un concetto che possiamo collegare all’esistenza continua degli oggetti e all’occlusione di un oggetto in movimento. Anche riguardo a quest’ultimo concetto abbiamo visto quattro video. Nei primi tre video una carota passa dietro ad uno pensiero raggiunge il massimo livello e il soggetto riesce a condurre ragionamenti corretti senza la necessità di partire da un dato di esperienza e di verificare il ragionamento attraverso un dato di esperienza. Il soggetto è in grado di svolgere questo compito: Marco è più alto di Paolo, Paolo è più alto di Andrea, chi è più alto? Anche senza conoscere le persone in questione. Stefano e vederica VYGOTSKIJ  ZONA DI SVILUPPO PROSSIMALE E PARTECIPAZIONE GUIDATA, ESERCITAZIONE TUTOR E APPRENDISTI Il concetto di zona prossimale di sviluppo è il concetto unificatore di tutta la teoria di Vygotskij, anche se è supportato da pochi dati empirici. È una zona che non è né fisica né temporale ed indica ciò che il bambino potrebbe fare se supportato da un adulto o da un esperto, quindi rappresenta la differenza tra ciò che il bambino sa fare da solo e ciò che sa fare insieme ad un altro. È fondamentale il concetto di socialità: per Vygotskij le funzioni intellettuali superiori (intelligenza, sviluppo cognitivo, linguaggio) emergono a partire dalle esperienze sociali. Ciò lo differenzia da Piaget, anche per quest’ultimo le relazioni sociali sono importanti ma Vygotskij afferma che sono proprio il motore dello sviluppo. C’è una visione socio- costruttivista dello sviluppo, il processo deve essere di co-costruzione. Dalle singole relazioni e interazioni con l’altro il bambino riesco ad interiorizzare e far sue delle modalità di interpretare l’ambiente e le persone intorno a lui ed essere più adatto a quel determinato contesto. È un movimento diverso da quello che proponeva Piaget, in cui bisogna superare l’egocentrismo per interagire davvero con gli altri. Per Vygotskij invece è proprio nelle interazioni con gli altri che il bambino riesce a interiorizzare concetti fondamentali che lo aiutano a rapportarsi con il mondo. Notiamo in questo concetto una valutazione dinamica dell’intelligenza, a tal proposito è importante sottolineare il potenziale di apprendimento, infatti non si valuta solo quello che il bambino sa fare ma anche il suo potenziale misurando le sue conoscenze in un determinato momento e poi in un momento successivo per vedere se ci sono differenze. La zona di sviluppo prossimale però può essere anche fonte di frustrazione in quanto il bambino può considerarsi come uno studente (nel migliore dei casi) che non ce la fa oppure come una persona (nel peggiore dei casi) che non ce la fa. La zona di sviluppo prossimale è diversa in tutte le persone. Il progresso attraverso la zona di sviluppo prossimale avviene in tre fasi: in una prima fase la prestazione è controllata dall’adulto/esperto, nella seconda è controllata dal bambino e infine è autogestita. Anche Barbara Rogoff ragiona sul concetto di zona di sviluppo prossimale e si sofferma sull’importanza della reciprocità. Secondo lei la zona di sviluppo prossimale è una procedura grazie alla quale gli adulti aiutano i bambini ad acquisire varie conoscenze mediante la collaborazione in situazioni di problem-solving e in una vasta gamma di interazioni casuali e informali. A tal proposito abbiamo analizzato il dialogo tra il bambino Luca e sua madre mentre stanno facendo un puzzle. Dal loro dialogo emerge che la madre cerca di esercitare la zona di sviluppo prossimale, facendo domande, dando suggerimenti, suggerendo strategie. In questo modo il bambino trasforma il linguaggio di questi dialoghi come parte del suo linguaggio interno, utilizzandolo per organizzare il suo stesso modo di pensare e di comportarsi. Possiamo collegare a questo concetto quello di scaffolding, analizzato da Wood e Bruner. Esso è il processo grazie al quale gli adulti offrono aiuto a un bambino nell’attività e adattano sia il tipo sia la qualità di esso al livello del bambino. L’impalcatura fornita dall’adulto serve a compensare il dislivello tra le abilità richieste dal compito e le ancora limitate capacità del bambino e gli permette di realizzare completamente il compito e di progredire ad un livello più avanzato. È l’impalcatura necessaria per costruire conoscenze. Una volta che queste conoscenze sono acquisite l’impalcatura non serve più e deve essere rimossa. Riguardo a questo argomento abbiamo svolto in classe un’esercitazione in cui ci siamo divisi in tutor e apprendisti. Inizialmente ai tutor è stato proposto un esercizio di logica (le porte dell’autobus, rintracciare un dettaglio in una figura intera). Successivamente i tutor dovevano svolgere e far capire l’esercizio di logica agli apprendisti. Era necessaria una certa relazione tra le due parti e il decentramento cognitivo, ossia dare un punto di vista che può essere differente. È fondamentale anche mantenere alta la motivazione degli apprendisti, ad esempio i tutor potrebbero dire loro che anche loro stessi hanno impiegato molto tempo per arrivare ad una soluzione. Allo stesso tempo non devono mai dare consigli in modo diretto. È importante non avere un tempo prestabilito per questa attività, in questo modo non si scatena ansia in entrambe le parti. Il tutor crea un ponte tra conoscenze e abilità possedute dall’apprendista e quelle richieste dal compito, fornisce aiuto e sostegno all’apprendista, potenziando la capacità di quest’ultimo di risolvere il problema. Le azioni del tutor garantiscono il ruolo attivo dell’apprendista nella soluzione del problema, contribuendo al raggiungimento di un esito positivo. A volte i tutor si concentrano solo sulla soluzione e non su chi deve arrivare a quella soluzione, deve emergere solo la risposta corretta. Ma è sbagliato, è fondamentale l’immagine del tutor come -ponte. Un’efficace assistenza comprende il trasferimento di responsabilità dal tutor all’apprendista. Il successo dell’azione dell’adulto dipende dalla sua sensibilità che racchiude alcuni elementi specifici, come la capacità del bambino di sfruttare l’aiuto ricevuto, il tipo di relazione tra adulto e bambino (legame di attaccamento unisce le due persone soprattutto se si tratta di genitore e figlio o bimbo e maestro), il tutor deve stare attento a questi aspetti. Vygotskij afferma che il modello del tutor-apprendista (esperto-novizio) può presentarsi in molteplici varianti: genitore-figlio, insegnante-allievo, bambino esperto-bambino inesperto. In tutte queste relazioni esiste un’asimmetria di ruoli. I bambini traggono vantaggio dalla guida di un compagno anche di poco più esperto. Come gli adulti, i tutor-bambini devono adottare strategie efficaci. In ambito scolastico tali possibilità vengono utilizzate nell’apprendimento collaborativo e nel tutoring tra pari. LINGUAGGIO  STUZZOCADENTO/CORRETO. VIDEO DELLE PROVE A FAVORE DEL LAD Il LAD (language acquisition device) è un ipotetico dispositivo di cui sono dotati gli uomini e permette l’acquisizione della lingua, è un meccanismo del cervello che Noam Chomsky postula per spiegare l’innata capacità umana di apprendere le strutture sintattiche del linguaggio. Esso consente di filtrare le informazioni delle persone che parlano, di comprendere quello che dicono e permette la produzione di frasi, indipendentemente dalla specificità delle varie lingue. È indipendente dai meccanismi di apprendimento (imitazione, associazione), infatti, la lingua madre si acquisisce ad una data età prefissata, si parla precocemente e rapidamente anche se l’offerta della stimolazione linguistica è diversa. Il LAD è così importante che lo vediamo anche in alcune fasi dello sviluppo del linguaggio dei bambini, come per esempio nel caso dell’ipercorrettismo (o sovrageneralizzazione della regola). A tal proposito abbiamo visto un video in cui possiamo notare la formazione spontanea del plurale che viene colto dalla regolarità nei discorsi degli altri, infatti nessuno insegna al bambino come bisogna formare il plurale ma lui lo capisce dai discorsi che sente. Il bambino nel video alla domanda ‘che cos’è questo?’ riferito ad uno stuzzicadente, risponde che si tratta di uno stuzzocadento, questo perché ha costruito l’idea che se il plurale (denti) finisce con la I allora il singolare finisce con la lettera O, non tiene quindi conto delle eccezioni, come in questo caso, che acquisirà nel tempo. Nessuno gli dice che se una parola al singolare finisce con la O non per forza il plurale finisce con la I e viceversa. Il bambino quindi applica le solite regole anche nel caso di eccezioni. Un'altra video sulle prove a favore del LAD che abbiamo visto in classe ha come protagonista una bambina che dice ‘correto’ al posto di ‘corso’, questo perché ha imparato che se il verbo all’infinito finisce con ‘ere’ il participio passato si forma con ‘eto’, allo stesso modo se il verbo finisce con ‘are’ allora il participio passato si forma con ‘ato’. La bambina ha filtrato delle regole e si è costruita una sorta di regola che poi applica in diversi casi. Ricordiamo anche alcuni punti critici di della linguistica generativa appena descritta: essa non attribuisce importanza al rapporto tra il linguaggio e le attività cognitive, percettive, motorie, non spiega come mai la comprensione è possibile anche quando le regole sintattiche sono violate e nemmeno come mai per interpretare una frase occorre riferirsi a qualcosa che va oltre la struttura sintattica. Inoltre sottostima gli aspetti che riguardano la pragmatica del linguaggio che è molto importante perché permette di capire il significato di una frase in base al contesto in cui ci si trova.  BAMBINI COSA HANNO FATTO DURANTE LA GIORNATA Per la nostra analisi è fondamentale fare riferimento ad un’esercitazione svolta in classe. Essa consisteva nell’ascolto di bambini di diverse età (4 e 7 anni) e il nostro focus era il vocabolario e la costruzione delle frasi (combinazione delle parole e LME) in base alla loro età. Ai due bambini protagonisti è stato chiesto di raccontare cosa hanno fatto durante la giornata appena trascorsa. La bambina più piccola ha 4 anni e ha raccontato la sua giornata alla scuola dell’infanzia, mentre il bambino di 7 anni racconta la sua giornata alla scuola primaria. La bambina parla molto anche se i fatti narrati non erano legati logicamente e in ordine cronologico, il bambino ha parlato meno ma ha utilizzato un criterio logico raccontando in ordine cronologico ciò che aveva fatto e anche in modo più preciso. Abbiamo notato che la bambina si lasciava distrarre facilmente, tutto era una fonte di distrazione, come l’erba con i fiori, il rumore del tagliaerba. Inoltre la sua intonazione non aiutava la comprensione. Il bambino quando deve rispondere ad una domanda riprende le stesse parole del quesito, è molto influenzato dall’ambiente scolastico. La mamma era chiamata ad intervenire maggiormente con la bambina, le faceva infatti molte più domande, costruiva la struttura narrativa per riuscire a comporre il pensiero. Martina ha capito la domanda ma non è andata oltre, si è fermata ad un’interpretazione letterale di ciò che le ha detto la mamma: è quest’ultima che fa da interpretazione, con le domande le fa capire che ha bisogno di altre informazioni. Spesso la bambina non coglie l’intenzionalità pragmatica della mamma. Al contrario il bambino aveva già in mente una sua struttura narrativa. La bambina inoltre dava per scontato molti dettagli nel suo racconto perché, vista la tenera età, non ha ancora capito che non tutte le persone riescono a capire quello che tralascia, non riescono ad immaginare i dettagli persi per strada. Tommaso, invece, sa che non bisogna sottintendere tutto perché le persone non sempre conoscono quello di cui si sta parlando. Quindi Tommaso riesce a mettersi nei panni del suo interlocutore e riesce ad anticipare quello che serve sapere alla persona che ha davanti. Se il bambino è più ‘egocentrico’ (Piaget) pensa invece che anche l’altro conosca la sua situazione e quindi dice quello che per lui è essenziale della situazione senza pensare che se l’interlocutore non ha vissuto quell’esperienza certe cose non le può capire anche se è adulto. Quest’ultimo è il caso di Martina che non esplicita le informazioni importanti per spiegare all’altro cosa è successo, per lei sono scontate dato che le ha vissute. Hanno due vocabolari diversi: Martina sapeva poche parole e molto semplici, mentre il bambino conosceva molte più parole ed era più preciso, la sua pronuncia era inoltre perfettamente comprensibile. Con questo video notiamo che con lo sviluppo del linguaggio aumenta gradualmente la LME, ossia la lunghezza media dell’enunciato. Esso è il numero medio di parole che il bambino dice quando parla in modo spontaneo. Più la LME cresce, più le frasi del bambino sono probabilmente complesse. TEORIA DELLA MENTE  VIDEO SOFIA, FALSE CREDENZE, COMPITO DI JOHN E MARY Per l’analisi del compito di falsa credenza è fondamentale partire dalla descrizione del filmato visto in classe. Vengono fatti due esperimenti che sono i primi inventati per capire se il bambino ha la capacità di mettersi nei panni dell’altra persona. Il bambino deve essere capace di attribuire ad un altro soggetto una falsa credenza rispetto alla realtà e di rappresentarsi il contenuto della mente dell’altro come diverso dal proprio. I compiti da descrivere sono due: lo spostamento inatteso (Wimmer, Perner, 1983) e la scatola ingannevole (Perner, Leekman, Wimmer, 1987). Nel filmato relativo al primo vengono fatte vedere a Sofia, che ha quattro anni, due bambole che la mamma sta muovendo come se giocassero insieme. Una bambola prende le sue scarpine e le mette nella sua cesta, poi se ne va. Nel frattempo l’altra bambola riprende le scarpe e le sposta nella sua cesta. Dopo un po’ di tempo, arriva la bambola che se ne era andata e a questo punto la mamma chiede alla bambina dove la bambola numero uno va a cercare le sue scarpe. La bambina risponde giusto perché si è messa nei panni della bambola e perché ha visto tutto. Gli studiosi si chiedono se il fallimento nel compito di falsa credenza sia dovuto alla difficoltà del soggetto testato di tenere in considerazione l’aspettativa implicita del protagonista (un oggetto rimane dove è stato collocato). Gli autori decidono di rendere esplicita tale aspettativa all’interno della narrazione ma i bambini di tre anni falliscono ancora. Nel video relativo alla scatola ingannevole secondo alla stessa bambina viene mostrata una scatola
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved