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Guide e consigli
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Metodi e tecniche del servizio sociale, Appunti di Metodologia della ricerca

Temi affrontati: diritti umani, assistenza sociale in Italia, aspetti etici, istituzionalizzazione, approccio anti-oppressivo, maltrattamento istituzionale, empowerment, procedimento metodologico, visita domiciliare, colloquio, comunicazione, documentazione professionale, SIUSS, riservatezza e segreto professionale, lavoro con i gruppi, lavoro di equipe, modelli derivanti da teorie psicologiche, programma PIPPI, lavoro sociale e relazionale, rete di fronteggiamento.

Tipologia: Appunti

2020/2021

In vendita dal 27/10/2021

Uni-veristaria11
Uni-veristaria11 🇮🇹

4.7

(7)

23 documenti

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Scarica Metodi e tecniche del servizio sociale e più Appunti in PDF di Metodologia della ricerca solo su Docsity! Lavoro sociale e diritti umani 04.03.2021 "Promuovere e sostenere i diritti umani e la giustizia sociale costituiscono la motivazione e la giustificazione (essenziale) del servizio sociale” Definizione globale del lavoro sociale: Associazioni transnazionali di lavoro sociale hanno provato a dare una definizione che valesse a livello mondiale che potesse unire tutti i professionisti in tutto il mondo. "Il lavoro sociale è una professione basata sulla pratica e una disciplina accademica che promuove il cambiamento e lo sviluppo sociale, la coesione sociale, l'emancipazione e la liberazione delle persone. I principi di giustizia sociale, diritti umani, responsabilità collettiva e rispetto delle diversità sono centrali per il lavoro sociale, scienze sociali, scienze umane e conoscenze indigene. Il lavoro sociale coinvolge persone e strutture per affrontare le sfide della vita e migliorare il benessere” Giustizia sociale Concetto alla base di tanti movimenti sociali che hanno attraversato nel tempo le nazioni e che si sono uniti a livello transnazionale per promuovere cambiamento strutturale. Secondo la definizione dell'ONU: "È un principio di fondo finalizzato alla coesistenza pacifica e prosperosa tra le Nazioni. Sosteniamo un principio di giustizia sociale quando promuoviamo uguaglianza di genere o i diritti delle popolazioni migranti, quando rimuoviamo le barriere che le persone affrontano a causa del genere, dell'età, dell’appartenenza etnica, della religione, della cultura o della disabilità.” Il modo in cui una persona migrante, donna, o con disabilità accede ai propri diritti fondamentali e ha l'opportunità di realizzare la propria vita è diverso da maschio bianco laureato di ceto sociale alto. Differenze strutturali sulla base della propria appartenenza ad un genere, a una classe sociale, religione, etnia, questo può limitare l’accesso ai diritti e alle proprie opportunità di realizzazione. La giustizia sociale vuole rimuovere questi ostacoli in modo che tutte le persone a prescindere dalla fortuna che hanno avuto di nascere in un posto piuttosto che in un altro possano accedere alle stesse opportunità. È un principio che sancisce la necessità di un'uguaglianza di fatto delle persone. » Uguaglianza formale: sancita dalle dichiarazioni dei diritti » Uguaglianza sostanziale: giustizia sociale, si realizza con la pratica I diritti umani sono invece quei diritti che traggono la loro legittimazione dalla dignità intrinseca della persona umana, per cui non dipendono dal fatto che qualcuno li riconosca ma sono connaturati alla natura umana. Il lavoro sociale supporta una prospettiva emancipatoria ed è finalizzato ad accrescere la speranza, l'autostima e il potenziale per affrontare e sfidare le 1 dinamiche di potere oppressive e le fonti strutturali delle ingiustizie, incorporando in un insieme coerente la dimensione di intervento micro/macro, personale/politica. Non si parla di bisogni, fragilità, vulnerabilità; si dice che accresce la speranza, il potenziale, l'autostima, non mette lo stigma o l'accento sulle privazioni ma sul potenziale, sul fatto di avere uno sguardo sul futuro. » Dimensione fortissima della sfida e lettura delle dinamiche di potere che privano le persone del diritto ad esistere Fonde le due dimensioni: o Micro: lavoro con la famiglia o Macro: struttura della società Come facciamo a tradurre nella pratica questi diritti umani? Essi si realizzano se ognuno di noi si assume la responsabilità dell'altro e dell'ambiente (in cui l’altro e noi stessi viviamo), sia nell’importanza della creazione di rapporti di reciprocità all'interno della comunità. Es. responsabilità della pandemia: la responsabilità di ognuno permette all’altro di vivere. » La dimensione della responsabilità rende possibile nella pratica un’enunciazione teorica come quella di un diritto. » Reciprocità e comunità: dimensione sacrificata oggi, la nostra società tende ad una disintegrazione dei legami sociali, ognuno è solo. I servizi si trovano ad operare in un contesto difficilissimo, perché se manca la rete sociale, il servizio non può sopperire a tutto. Per cui questa dimensione della comunità va riscoperta e ricostruita; anche i servizi vanno ripensati in un'ottica territoriale, micro-locale. Obbiettivo del servizio sociale: difendere i diritti delle persone e facilitare tutti gli out-come dove le persone si assumono queste responsabilità reciproche che rispettano l’interdipendenza tra le persone. » Tenere presente non solo il singolo intervento ma anche la portata più ampia che questo intervento può avere » Dimensioni che aiutino a consolidare la dimensione della responsabilità collettiva e il riconoscimento dell’interdipendenza Questa pandemia ci ha strappato all’illusione che ognuno si basta da solo delle nostre società individualiste, e ci ha fatto riscoprire quanto siamo dipendenti. Diritti si dividono in varie classi: prima, seconda, terza e quarta generazione Prima: diritti civili e politici o Diritti civili (essenziali): diritto alla vita, a non subire tortura, alla libertà di parola, detenzione arbitraria; o Diritti politici: partecipazione alla collettività, possibilità di votare e di essere eletti, partecipare alla vita politica stesse strade, in tutti gli angoli del mondo. Sono secoli che in nome d'una pretesa ‘avventura spirituale' essa soffoca la quasi totalità dell'umanità». Provocazione: “chi osa dire queste cose? Un africano, uomo del terzo mondo” Per cui la declinazione dei diritti umani non è prerogativa del nostro mondo occidentale; i diritti che spesso abbiamo visto garantiti sono quelli che noi stessi abbiamo negato ad altre popolazione. » Passaggio dalla tolleranza delle differenze, all'affermazione di esse come grande valore e patrimonio di ricchezza Nel momento in cui ci troviamo in contesti in cui i diritti umani non sono garantiti bisogna pensare che la cultura stessa non è un fatto dato ma è sempre in cambiamento, mettendoci in un'ottica di confronto costruttivo. Non negare il confronto e il dialogo con persone che hanno posizione diverse dalle nostre ma utilizzare il confronto per produrre riflessioni da parte nostra e sull'altro sui diritti decostruendo un punto di vista da cui partiamo per costruirne uno nuovo. » Anche le nozioni universali cambiamo, la trasformazione è alla base del nostro lavoro perché bisogna credere che anche nelle contrapposizioni e nelle differenze ci sia terreno per un incontro per un riconoscimento del punto di vista dell'altro Rapporto diritti /doveri Conflitto che può sorgere, anche nella declinazione della nostra pratica quotidiana e spesso questo rapporto viene chiamato in causa in relazione ai beneficiari dei sussidi economici assistenziali. Spesso si può declinare il fatto di dare un aiuto economico chiedendo una controprestazioni, si hanno diritti ma anche doveri. Questo tipo di tensione non è mostra una persona che assume un approccio basato sul diritto e il desiderio. » Tutti hanno diritto, in quanto esseri umani, hanno diritto ad un livello minimo di sussistenza Come una partenza, non come una cosa per cui bisogna dare qualcosa in cambio; è un diritto umano essenziale, la soddisfazione dei bisogni primari. Qualsiasi declinazione di questo diritto in un'ottica di controprestazioni è profondamente mortificante nell'altra persona, però è un conflitto che si trova molto spesso (es. Reddito di cittadinanza, solo per alcune categorie di beni) » Dilemma crescente perché crescono i tagli alla spesa andando nella direzione di rendere le risorse condizionate all'accesso e al godimento E i doveri delle istituzioni di welfare? Le stesse linee guida sul reddito di cittadinanza hanno un approccio profondamente liberatorio ed emancipante che ha poco a che vedere con la legge che è stata costruita all’interno di un contesto politico che poi l’ha prodotta. "Non è possibile chiedere ai singoli responsabilità rispetto al proprio progetto di vita senza garantire una responsabilità dei servizi relativamente alla qualità del sistema dei sostegni e degli interventi messi a disposizione” Quando si chiede qualcosa alle persone bisogna chiedersi cosa dovrebbe essere garantito ad essere e non viene garantito. Elenco dei diritti delle persone beneficiarie dei servizi: e Essere trattato come un fine (promozione della persona, a volte i fini delle organizzazioni non coincidono i bisogni dell'individuo; centralità della persona in tutti gli interventi) e Essere accettato per quello che sono e Essere trattato come un individuo, nella sua unicità (non sempre gli strumenti a disposizione consentono di modellare l'intervento, più evidente in contesti gerarchizzati, interventi standardizzati; mancanza di risorse) Se gli interventi vengono personalizzati si creano percorsi che riescono a trasformare le persone, per cui se questo non succede se il progetto fallisce ha fallito l'istituzione e abbiamo fallito noi, non ha fallito la persona. Perché non si è dato alla persona quello di cui aveva bisogno, oltre ad aver violato un diritto della persona. e Essere trattato in maniera onesta, aperta e senza inganni Questione etica fondamentale di informare le persone, diritto all'informazione, diritto costantemente violato e spesso dire la verità alle persone è molto faticoso, se si hanno davanti persone sofferenti e non si hanno le risposte da dare. e Averela garanzia della riservatezza (difficile nella pratica) Diritto a essere felici La nostra professione si basa sul diritto delle persone ad essere felici e ad avere gli strumenti per costruire la propria vita secondo il proprio desiderio e le proprie attitudini. » La declinazione pratica del concetto di felicità non è semplice » La felicità è sempre un concetto relativo Noi dobbiamo mirare a che la persona abbia un livello abbastanza soddisfacente di benessere inteso non secondo il nostro metro di giudizio o secondo criteri generali, ma secondo quello che esperisce la persona date le sue singolarissime caratteristiche. Ogni persona è unica e ha una diversa personalità, struttura psico-fisica, sfera emotiva ed esperienza/storia di vita. » Trovare un compromesso per cui la persona possa essere felice e allo stesso tempo in condizioni non tutelanti è un limite che bisogna costruire volta per volta, non c'è una risposta univoca Questo fa riscoprire la creatività, perché si possono costruire tante risposte anche non standardizzata che riescono a mettere in pratica il diritto alla felicità, attenendosi a principi deontologici. Tenendo sempre presenti due dimensioni: e 1 diritti e la loro esigibilità e Il desiderio (se-sidus= stella) mancanza di stelle, quelle vite in cui non c'è luce, non ci sono buoni presagi Infondo la vita ha senso solo quando noi desideriamo, per questo questa dimensione è importante. Spesso si incontreranno persone che hanno dei bisogni primari fondamentali che però hanno anche il diritto a desiderare. Se una persona ha un lavoro che non apprezza, ha tutto il diritto di desiderare altro. Finché c'è desiderio c'è vita se si rinuncia al desiderio la vita si ammala. » Le famiglie si ammalano anche perché non è riconosciuto il loro diritto a desiderare quello che è proprio delle loro vite » Il diritto non è solo quello di avere le cose materiali ma anche quello di costruirsi un'identità Lo spazio della relazione è molto importante, perché lì che si riconosce all’altro il diritto. I 5 mali di Beveridge: Miseria, Ignoranza, Malattia, Squallore, Ozio e Lo squallore non è la dimensione di bellezza, di desiderio, di possibilità Nonostante la diffusione del concetto di “diritti umani” nella pratica ci sono ancora individui e gruppi di persone ai margini della società, i cui diritti non sono ancora pienamente garantiti o realizzati. Per cui è responsabilità degli assistenti sociali in tutto il mondo difendere, arricchire e realizzare i valori e i principi enunciati nella definizione (globale di lavoro sociale, basata sulla giustizia sociale, i diritti umani, la responsabilità collettiva e il rispetto delle diversità ). Una definizione di servizio sociale può essere significativa solo quando gli assistenti sociali si impegnano a rendere concreti i valori e la visione in essa espressi. I diritti umani e l'etica di lavoro sociale sono strettamente intrecciati tra loro e collegati al concetto di giustizia sociale. Fondamentale approccio per la professione, perché riflette l’attenzione a far sì che ogni persona possa fruire dei suoi diritti fondamentali. Art. 2 La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale Art. 3 > a memoria “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione. La legge stabilisce il limite minimo di età per il lavoro salariato. La Repubblica tutela il lavoro dei minori con speciali norme e garantisce ad essi, a parità di lavoro, il diritto alla parità di retribuzione. Art. 38 Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all'assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all'educazione e all'avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L'assistenza privata è libera. -Problema di accesso ai diritti fondamentali (es. bambino senza permesso di soggiorno non viene fatto iscrivere all'anagrafe sanitaria, o diritto scolastico). Perché le istituzioni non funzionano in modo perfetto, teorico, secondo tutto quello che dovrebbe essere, ma sono fatte di persone, stratificazione di livelli organizzativi, di confusione delle norme... per cui continuamente vi sono degli ostacoli. Es. tempi legati ai procedimenti nella pubblica amministrazione, questi tempi non valgono per i procedimenti legati all'immigrazione. La pratica professionale è fatta continuamente di confronti con questo livello di accessibilità ai diritti, accessibilità effettiva che non sia solo teorica, per cui come assistenti sociali si dovrà, tenendo come guida l'ottica dei diritti, adoperarsi perché i diritti vengano effettivamente fruiti. In modo tale non solo la persona che viene da noi ne possa godere ma anche le persone che verranno dopo; ottica di miglioramento che può essere un po' faticoso. Fondamento della nostra professione: riuscire a rendere effettivo il godimento per tutti, soprattutto per le persone che non sono in grado di esigerli da soli (es. straniero) 05.03.2021 Contesto politico e istituzionale del lavoro sociale Profilo di un’area professionale: il lavoro sociale oggi Excursus storico sul Welfare Espansione e consolidamento delle politiche di sicurezza sociale dopo la Seconda Guerra Mondiale (guerra e rischi del mercato) 10 e 1942: il Rapporto Beveridge e i “mali” della società: miseria, malattia, ignoranza, ozio e squallore o Sostegno al reddito o Sistema di contribuzione unificato o Centralizzazione delle responsabilità amministrative o Categorizzazione dei cittadini e accesso ai benefici Golden Age: il trentennio glorioso + espansione e consolidamento del Welfare State strutturazione di diversi modelli di welfare (Italia: le riforme degli anni Settanta) e Anni 70° crisi: 1973 (crisi petrolifera), caduta dei tassi di crescita economica, aumento della disoccupazione, tensioni sociali. e Anni 80'/90': ristrutturazione del welfare, decentramento, welfare mix e Tendenze attuali: Esternalizzazione, welfare aziendale, riprivatizzazione, ri-familizzazione, formalizzazione leggi volontariato o cooperative sociali Assistenza sociale in Italia Ventennio fascista: istituzione di numerosi enti di tipo categoriale + organizzazioni ecclesiastiche (soprattutto per le fasce più marginali della popolazione) Dopoguerra: nel corso dei primi decenni repubblicani, la frammentazione dell'apparato dei servizi socio-assistenziali subisce un ulteriore incremento. Non c'è un quadro organico e strutturale di riforma del settore assistenziale 1970: nascita delle Regioni. L'assistenza sociale è inclusa nella legislazione concorrente. DPR 616/1977: decentramento amministrativo. I Comuni divengono titolari delle funzioni amministrative relative a organizzazione e erogazione servizi di assistenza Il contesto italiano >» Frammentazione » Categorizzazione degli interventi » Mancanza di livelli essenziali di assistenza » Sistema a macchia di leopardo e 2000: L. 328 prima legge quadro sul sistema integrato di interventi e servizi sociali welfare di comunità protezione sociale attiva programmazione partecipata reddito minimo sussidiarietà orizzontale e verticale integrazione tra servizi livelli essenziali di assistenza risorse economiche e Riforma costituzionale del 2001, Titolo V Le trasformazioni sociali e i nuovi rischi Globalizzazione Perdita di potere delle istituzioni (attori economici, giganti del web ecc.) Trasformazioni demografiche e migrazioni Cambiamenti del mercato del lavoro o 00 o 11 Pandemie Nuove tecnologie De-standardizzazione dei cicli di vita (Saraceno) Società liquida (Bauman) o 00 o Gli assistenti sociali (e non solo) sono di fronte a enormi sfide, nuovi rischi e nuove vulnerabilità. Anche la professione si è trasformata nel tempo... Dal Casework, Groupwork e Community work all'approccio unitario e Ricerca di modelli e metodologie per l’azione e Sfide della professione in un contesto che cambia e Rischi della burocratizzazione e Equilibrio tra teoria e pratica (la compulsività del fare) e Conflitti etici La formazione della professione di assistente sociale in Italia 1984, Commissione nazionale di studio per la definizione dei profili e dei requisiti di formazione degli operatori sociali istituita dal Ministero dell’Interno*: 1987, D.P.R. n.14: Valore abilitante del diploma di assistente sociale “Il diploma rilasciato dalle scuole dirette a fini speciali universitarie costituisce l'unico titolo abilitante per l'esercizio della professione di assistente sociale” 1993, L.84: Ordinamento della professione di assistente sociale e istituzione dell'albo professionale: o L'assistente sociale opera con autonomia tecnico-professionale e di giudizio in tutte le fasi dell'intervento per la prevenzione, il sostegno e il recupero di persone, famiglie, gruppi e comunità in situazioni di bisogno e di disagio e può svolgere attività didattico-formative. o L'assistente sociale svolge compiti di gestione, concorre all'organizzazione e alla programmazione e può esercitare attività di coordinamento e di direzione dei servizi sociali. D.P.R. 328 del 2001: istituzione Albo A e Albo B Cos'è il servizio sociale oggi "Il servizio sociale può essere definito come azione, pubblicamente regolata, che rende effettivo il godimento dei diritti sociali di cittadinanza da parte dei cittadini e di altri titolari di accesso ai servizi (per es. le persone immigrate), nel quadro più complesso dei diritti-doveri di cittadinanza” Servizio sociale: come promotore del godimento dei diritti sociali (2 gen.) L'assistente sociale ha una funzione cerniera tra famiglie, istituzioni, comunità » Promotori, mediatori che si affiancano alle persone per facilitare il loro percorso di crescita 12 Possibili sostegni - Supervisione professionale - Condivisione in equipe, con i colleghi con tanta benevolenza reciproca Il rischio di giudicare i colleghi può essere alto, ma invece per superare le difficoltà bisogna creare delle belle equipe di lavoro, creare e condividere momenti, errori, fragilità chiedere un consiglio senza giudizio. Ambiente di lavoro molto supportivo e poco giudicante, e tanta benevolenza, accettare tutti i propri limiti e i propri errori. - Supporto psicologico (psicoterapia peri momenti più complessi) - Limitazione delle aspettative (vedere anche i micro-cambiamenti) - Accettazione dei limiti - Ricerca e formazione - Azione collettiva (reti tra colleghi, es. limitazioni istituzionali) - Dare spazio alla vita privata Supervisione professionale Momento in cui ci astraiamo dalla realtà quotidiana, momento in cui si crea come una stanza, uno spazio, tempo dentro di noi e dentro la nostra azione professionale; generalmente essa viene fatta con l’aiuto di un professionista, singolarmente o con il gruppo dei colleghi. Momento in cui ci si ferma e si riflette, su cosa si sta facendo, come lo si sta facendo, come si sta emotivamente... spazio in cui ci si ferma e grazie ad un aiuto guidato si cerca di trovare un equilibrio tra le componenti più emotive e la metodologia, progettualità e interventi, che si mette in atto. » Momento fondamentale che non c'è quasi mai, per cui si va in burn-out Noi siamo gli “specialisti” dell'umano. Ma siamo umani e Non siamo diversi dalle famiglie che seguiamo e Facciamo errori e Siamo vulnerabili e Abbiamo bisogno di essere ascoltati e accettati e Abbiamo sistemi di valori propri Esempio: 11.03.2021 Matteo fa l’educatore in una comunità per minori. Viene accolta Sara (15anni) vittima di abuso sessuale da parte del convivente della mamma. È molto agitata, mette tutto a soqquadro, scappa dalla comunità, esce nuda in pieno inverno, organizza le fughe dei ragazzi dalla comunità.... Una comunità che fino a quel momento era stata un esempio di virtuosità. Al primo incontro con la mamma, che non la ha protetta dagli abusi del compagno, questa inizia a rimproverare Sara per la posizione in cui ha messo la famiglia, lo scandalo che ha fatto emergere; invece di chiederle scusa per quanto accaduto. Matteo è presente al colloquio, ma rimane in disparte. 15 Dopo l’incontro Sara sembra tranquilla, ma poi tenta il suicidio due volte. Alla riunione di supervisione l’educatore inizia a raccontare quanto Sara sia ingestibile e metta in difficoltà gli altri. Il supervisore gli chiede a Matteo come sia andato l’incontro protetto con la madre. Lui abbozza una risposta vaga, ma sotto la pressione del supervisore si rende conto che non aveva protetto la ragazza dagli attacchi della madre. Parlando con il supervisore emerge che il motivo per cui Matteo non l’aveva protetta era che fosse arrabbiato verso Sara, perché stava mettendo a sogquadro la sua comunità “perfetta”. Gli aspetti etici nelle decisioni dell'assistente sociale Etica professionale e oppressione strutturale Fattori che fanno sì che i diritti delle persone non vengano rispettati, non giustizia sociale Esempio: Giulio ha problemi sul lavoro, non riesce a mantenere l'affitto. Va dalla sorella che abita con il marito e tre figli, e il proprietario della casa non vuole concedere la residenza perché l’appartamento è molto piccolo. Fattori strutturali di ingiustizia o squilibrio: e Persona che incorre in una difficoltà sul lavoro non è protetta da questo evento non riesce a mantenere un appartamento e Appartamento piccolo sovraffollato, per cui il proprietario non vuole concedergli la residenza Senza residenza non si può accedere a diritti fondamentali come il medico di base. Va dal comune chiedendo la residenza fittizia ma non gli viene concessa perché lui non vive per strada e ha un posto dove stare. Giulio senza residenza non può accedere a diritti di base come medico di base o diritto di voto. Chiama il servizio sociale chiedendo aiuto. L'assistente sociale sa che la politica del Comune in materia di residenza fittizia è restrittiva e viola un diritto soggettivo fondamentale di Giulio. Chiede al proprio responsabile di poter contattare il numero per gli appuntamenti, e spiegare che quello di Giulio è un diritto fondamentale e non sindacabile tanto più che vive effettivamente nel territorio. Il responsabile impone all’assistente sociale di non farlo, perché metterebbe un settore del Comune in conflitto con l’altro. L'assistente sociale potrebbe riferire a Giulio che non può fare nulla per lui, e dismettere il caso (assenza di riflessione etica). Sa però che facendo questo viene meno al proprio mandato professionale (dilemma etico). Dilemma etico Si pone quando l’assistente sociale è di fronte a due alternative spiacevoli, creare un conflitto all’interno della propria org o negare un diritto fondamentale a Giulio 16 Per aiutare le persone bisogna avere informazioni o andarsele a cercate, se animata da uno spirito etico inizia I’AS fare una ricerca Contatta quindi l'associazione degli Avvocati di Strada che si occupa a titolo gratuito di queste situazioni e prende appuntamento per Giulio, affinché lo difendano dall’arbitrio del Comune. Si offre inoltre, qualora quella strada non abbia successo, di accompagnarlo in Prefettura e aiutarlo a redigere il ricorso contro il Comune. Sa che se la mole di queste azioni diventasse rilevante, il Comune forse sarebbe spinto a cambiare la propria politica. Esempio 2 Dilemma: lasciare l’anziana (cieca) in casa propria o metterla in una struttura >» Dilemma tra: tutela e autodeterminazione della persona In questo caso si può chiedere un amministratore di sostegno, decidere eventualmente pagare una persona che stia stabilmente con lei mettere in sicurezza la casa Amministratore di sostegno: va contro la volontà della persona, decidere se andare contro il volere della persona o meno Compromesso, nominarlo contro la volontà, con l'obbiettivo per lasciare la signora in casa conciliare questo problema in questo modo Desiderio: pur in una casa non sicura, senza standard di confort tuttavia è il suo desiderio rimanere lì L'assunzione di decisioni morali Molto spesso l’AS si trova a dover decidere sul modo di agire in determinati casi. Es. se inviare o meno una signora all'ospedale contro la sua volontà. Ciò comporta una presa di decisione o un giudizio morale. Natura dei giudizi morali: 1. I giudizi morali riguardano il benessere umano, es. promozione della fiducia umana o la soddisfazione di bisogni. Ciò che viene considerato “bisogno umano varia da una società all‘altra. 2. I giudizi morali comportano azione, ossia sono prescrittivi. Se un’AS giudica che una persona mentalmente disturbata non dovrebbe essere inviata all'ospedale contro la sua volontà, l'operatore dev'essere preparato ad agire di conseguenza, ossia pianificare la permanenza dell'utente nella sua abitazione e riuscire a sostenere la famiglia. 3. Un giudizio morale dovrebbe essere universalizzabile, dovrebbe essere applicato a tutte le persone che si trovano nella stessa situazione. 4. I propri giudizi morali devono essere giustificati; essi possono riferirsi a particolari relazioni responsabilità, a qualche giudizio generale o ai principi interni a un particolare sistema. In questo caso l’AS potrebbe riferirsi al principio che “tutti gli individui hanno il diritto di decidere autonomamente” (autodeterminazione). questo a sua volta potrebbe essere giustificato in base al principio che “tutte le persone dovrebbero essere rispettate come esseri razionali”. Alla fine si giunge ad uno stadio in cui non possono essere date ulteriori giustificazioni. 17 e La prudenza e la necessità di agire e L'ascolto e la dimensione del tempo/carico di lavoro e Vicinanza e distacco e Parzialità della conoscenza e necessità di agire Tenere sempre presente la complessità della realtà, utilizzare diverse lenti lavorare su differenti livelli La complessità è lo stato di un sistema caratterizzato da un numero tanto elevato di relazioni e componenti che non si dà o non è reperibile un'unica descrizione del sistema stesso. IRRIDUCIBILITA' ad un unico punto di vista! I nostri principi, storie, idee, la nostra personalità... influenzano il modo in cui vediamo la realtà. Non è importante stabilire univocamente se sia un'anatra o un coniglio (immagine), l'importante è vedere la stessa cosa. Attenzione perché: "Ogni decisione dell'assistente sociale si basa più o meno consapevolmente su di una combinazione complessa di presupposti etici, scientifici e politici, riflettendo anche valori personali, quelli della professione stessa, quelli dell'ente e del contesto sociale più ampio”. Lab.i Franco Basaglia (1924-1980) Psichiatra Diventa direttore dell'ospedale psichiatrico di Gorizia, l'impatto con la realtà del manicomio è molto forte. Per reagire a quell’orrore cerca di sviluppare un nuovo modello terapeutico+ idea di base: rovesciare i rapporti di potere passando ad un’organizzazione orizzontale, nella quale i rapporti medico- paziente fossero paritari. - I pazienti dovevano partecipare attivamente alla vita della comunità e alla gestione dell'istruzione psichiatrica. - Si rifiuta l'uso di contenzioni fisiche e terapie shock - Attenzione alle condizioni di vita degli internati e ai loro bisogni - Superamento dell'istituzione totale per un’org. territoriale 1968- “istituzione negata”, simbolo della contestazione in Italia e nascita del movimento anti-istituzionale Basaglia trova molte resistenze nel modificare la situazione in quanto non si voleva stravolgere gli equilibri politici ed economici +Ospedale di Trieste: offerta di lavorare in piena autonomia. Si accorge che i manicomi devono esser chiusi, costruendo una rete di servizi esterni che arrestino il flusso di nuovi ricoveri 1978- viene approvata la legge 180 di riforma psichiatrica che si ispira alle esperienze di superamento dell'ospedale psichiatrico sviluppatesi in Italia a partire dall'inizio degli anni sessanta. Superamento graduale del manicomio; servizi territoriali, SPDC dentro gli ospedali, dell'esclusione, medicalizzazione e segregazione del paziente verso processi di aiuto personalizzati di reinserimento sociale. 20 Approvata quasi all'unanimità, la legge 180 avrà un iter difficile nella fase di realizzazione, e tutt'ora rimane una riforma non pienamente realizzata. Perché parlare di istituzionalizzazione se le istituzioni totali dovrebbero essere superate? Per arrivare alla chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari, si dovrà attendere il 2011. La data definitiva fissata per la chiusura era aprile 2015, tuttavia dopo quella data alcune strutture risultavano ancora esistenti. Questi erano un serbatoio delle posizioni più eterogenee: prosciolti per vizio di mente giudicati socialmente pericolosi; condannati poi colpiti da infermità psichica; imputati e condannati sottoposti a periodo di osservazione psichiatrica; imputati presunti pericolosi in attesa di giudizio definitivo; imputati sottoposti a perizia psichiatrica. Nozione di istituzionalizzazione oggi: può essere declinata come una pratica che annienta o mortifica la soggettività e la dignità della persona. Sono istituzionalizzanti tutte le strutture modellate sulle esigenze dei servizi e non delle persone. In questo senso oggi abbiamo ancora istituzioni “totali”: fino a poco tempo fa le residenze per anziani gestite in modo spersonalizzante, alcune strutture di accoglienza per minori, i centri per persone senza dimora.... Qualsiasi pratica che renda la persona, la famiglia, oggetto e non soggetto può essere assimilata alla logica dell'istituzione totale. Ogni pratica modellata secondo le esigenze del servizio e non della persona, frammentata, con interventi non integrati; ogni volta che proponiamo processi lesivi della dignità della persona, che non informiamo, che agiamo alle spalle, che usiamo uno sguardo colpevolizzante, che creiamo gerarchie di potere. >Programma PIPPI, per la prevenzione dell’istituzionalizzazione, che formalmente non esiste più. È sempre presente il rischio di proporre interventi singolarmente validi, ma che si coordinano in base alle esigenze del servizio anziché delle famiglie. La complessità della situazione familiare viene spezzata e ogni pezzo viene affidato alle cure di un singolo professionista: la cura psicologica dei genitori appartiene alla psicologa del Consultorio Familiare, I’/AS del Comune si occupa dei problemi abitativi, l'’educatore dei bambini a casa, l'insegnante a scuola, il pediatra quando stanno male ecc. Il soggetto, la persona, la famiglia diventa contenitore, ricettore di azioni parziali e interventi che sono decisi in altre sedi, dove la sua presenza può non essere prevista. Una tale mancanza di concertazione istituzionale tra chi è implicato nella proposta di una soluzione può addirittura portare ad aggravare la situazione di violenza sul bambino attivando processi di violenza secondaria o istituzionale. (dal Quaderno di P.I.P.P.I.) Se sono “istituzionalizzanti” tutte le pratiche che negano soggettività alla persona purtroppo Basaglia è attuale. Dobbiamo riconoscere e contrastare tutte le pratiche che non riconoscono dignità alla persona. 21 "Il mandato del cambiamento sociale si basa sulla premessa che l'intervento del servizio sociale ha luogo quando si ritiene che sia necessario portare cambiamento e sviluppo ad una determinata situazione a livello della persona, della famiglia, di piccoli gruppi, della comunità o della società. Esso è guidato dalla necessità di sfidare e cambiare quelle condizioni strutturali che contribuiscono all'emarginazione, all'esclusione sociale e all'oppressione. Le iniziative di cambiamento sociale riconoscono il ruolo dell'agire umano nel promuovere i diritti umani e la giustizia economica, ambientale e sociale. La professione è parimenti impegnata al mantenimento della stabilità sociale, nella misura in cui tale stabilità non viene utilizzata per emarginare, escludere o opprimere un particolare gruppo di persone” Approccio anti-oppressivo al lavoro sociale 12.03.2021 Cos'è l'oppressione? Si ha oppressione quando si privano le persone della possibilità di condurre una vita dignitosa, di partecipare alla vita sociale in tutti i suoi aspetti o di esercitare le libertà di base e i diritti umani. Si ha quando si impongono agli altri credenze, valori, regole e stili di vita, attraverso metodi violenti o pacifici. Art. 3 pg.8 Cos'è l'approccio anti-oppressivo (AOP)? Il lavoro sociale contiene numerosi approcci e filosofie riguardanti la “cura”, cosa si intenda per cura e i metodi per fermare o rallentare i fattori che generano il bisogno di cura. L'approccio anti-oppressivo è uno di questi approcci, orientato alla giustizia sociale ed affonda le sue radici nei movimenti sociali, gruppi di persone che agiscono insieme per cambiare la società. Quali sono le cause sociali dei problemi? Cosa posso fare per rimuovere le cause piuttosto che curare i sintomi? l’AOP mira a trasformare i fattori politici, sociali, culturali e economici che generano disuguaglianze e ingiustizie. L'operatore sociale si pone al servizio delle persone, ma allo stesso tempo lavora per riorganizzare e trasformare la società (livello MICRO e MACRO) » Le differenze con la pratica mainstream A volte potrebbe essere difficile distinguere l'approccio mainstream al lavoro sociale da quello AOP. I professionisti qualificati di entrambe le parti usano un approccio rispettoso e dialogico/partecipativo con gli utenti, e includono l’advocacy e la critica politica nel proprio repertorio di buone pratiche. Tuttavia, l'approccio mainstream si basa su teorie che considerano i sistemi sociali ed economici come politicamente neutri e non riconoscono invece le profonde ingiustizie della nostra società o il modo in cui tali ingiustizie sono insite dentro il modello profit del capitalismo patriarcale, razzista, omofobico e coloniale. 22 - Tensione tra i valori di giustizia sociale e di uguaglianza, alla base del welfare state, e l'individualismo competitivo di mercato (sistema capitalistico) - Il welfare legittima un sistema iniquo? - Gli AS diventano strumenti repressivi di controllo sociale> categorizzando il diverso, marginalizzando le persone e i gruppi Il lavoro sociale è una pratica altamente politica e contestativa Al cuore del lavoro sociale e della sua esistenza vi sono i conflitti tra gruppi politici e sociali, la competizione tra forze diverse per definire quali sono i bisogni, come interpretarli e come soddisfarli. Quindi si fa politica perché: si costruiscono identità, distribuiscono risorse, si stabilisce chi ha accesso al servizio, in che modo, per quanto tempo; si negozia il benessere delle persone e il riconoscimento sociale; si decide chi ha accesso alle risorse, al potere di costruire la propria vita. Potete decidere solo se ignorarlo o rendervene conto, diventando professionisti consapevoli. Questa lotta può avvenire in forme educate e facilmente negoziabili tra le persone, oppure può essere più animosa, quando le persone contestano il modo con cui ci si rivolge a loro o le opportunità e risorse che gli vengono negate Il lavoro sociale non è una professione neutrale di cura, ma è un processo politico Non esiste una zona politicamente neutra e non c'è modo di evitare potere e politica nel lavoro sociale, specialmente quando cerchiamo di risolvere i bisogni delle persone in un contesto altamente squilibrato come quello neoliberista. Ogni azione è politica, legata alla distribuzione di potere e risorse, e stabilisce chi ha il diritto e l'opportunità di sentirsi bene con sé stesso, la propria identità e il proprio futuro. Il potere opera attraverso le parole che usiamo, i modi in cui il linguaggio è utilizzato nella pratica professionale per definire i problemi e in cui a volte limiti una conoscenza più approfondita, dinamica e complessa dei problemi e del modo di agire su di essi. Anche la conoscenza è un prodotto sociale; quello che sono, che penso, i miei sistemi di valore, le mie credenze in merito all'origine dei problemi influiscono il modo in cui approccio le persone e leggo i problemi. Utilizzare un approccio liberatorio ed emancipante I servizi sociali possono e devono essere erogati secondo modalità che li rendano accessibili e integrino una visione liberatoria dei problemi sociali e del comportamento umano. La ricerca e la pratica del lavoro sociale devono essere radicate nelle vite di coloro cui siamo al servizio e valutate attraverso un approccio critico per 25 essere sicuri di costruire un cambiamento duraturo e non invece riprodurre inconsciamente diverse tipologie di oppressione. La pratica AOP può essere faticosa quando si opera nelle PA o in org. del Terzo Settore da essa finanziati. - Le istituzioni pubbliche aiutano realmente tutti i cittadini o riflettono gli interessi dei gruppi dominanti? (economici, politici, burocratici), o semplicemente riproducono in un circolo infinito le disuguaglianze I lavoratori sociali, in quanto impiegati da enti pubblici, possono involontariamente svolgere un ruolo nel legittimare le ingiustizie esistenti, e addirittura beneficiarne. I lavoratori sociali spesso possono criticare e protestare contro politiche che sono poi chiamati ad applicare. Frustrazione, fatica, stanchezza, impotenza significa che c'è qualcosa di strutturale da cambiare. Maltrattamento istituzionale 25.03.2021 Atti e comportamenti di mala gestione delle procedure, gravissima discriminazione, trascuratezza, violenza psicologica, fisica e sessuale che possono essere compiuti da professionisti che avrebbero la funzione di tutelare, proteggere, assistere e, in termini generali, prendersi cura di bambini e ragazzi nei contesti educativi, sociali, sanitari, giudiziari e dell'accoglienza » È una specifica forma di maltrattamento dall'infanzia Se dopo l'intervento istituzionale la situazione di un singolo o di una famiglia non cambia o peggiora, si parla di maltrattamento secondario o istituzionale. Il prodotto del disagio individuale di cui è portatore il soggetto che entra in contatto con i servizi e il maltrattamento istituzionale provocano una rottura dirompente nei minori Le risposte istituzionali possono avere importante funzione riparativa o configurarsi come veri e propri fattori di ri-traumatizzazione e quindi come abusi secondari istituzionali. Il danno dipende dalla durata degli abusi e dei maltrattamenti e dalle capacità di rilevazione e di intervento degli operatori. Maltrattamento diretto: osserviamo atti ed eventi che riguardano direttamente la commissione di violazioni Maltrattamento procedurale: il sistema opera al di sotto di standard accettabili o usando modalità di intervento non accettabili dalla norma ù. Gli abusi si caratterizzano per atti classici di sfruttamento e violenza, ma anche per una perversione dei servizi e delle procedure: sovrapposizione di procedure, interruzione non spiegata di percorsi, ecc. Il maltrattamento istituzionale non avviene solo nelle comunità per minori, ma anche spesso nell'iter dei processi che portano all’allontanamento. Maltrattamento frutto di un'istituzione totale: come il maltrattamento che si verifica nei posti dell'accoglienza, quando i minori sono costretti alla 26 spersonalizzazione dei tempi e degli spazi di vita, al rispetto di regole ripetitive. Sono i sistemi estranianti dove il soggetto perde la propria identità Maltrattamento di sistema: quando non è il risultato dell'atto di un singolo ma è l'intero sistema di protezione che fallisce e concorre al mantenimento e alla copertura del maltrattamento Siamo tutti testimoni di traumatizzazioni secondarie prodotte da un sistema non sempre capace di sintonizzarsi sui bisogni dei bambini vittime di violenza. Maltrattamento come vittimizzazione secondaria: esito di un malfunzionamento dove non c'è la lettura di storie individuali ma il sistema agisce in modo standardizzato, che non risponde a condizioni specifiche dei singoli minori; La risposta standardizzata minimizza sofferenza dei minori. Produce svilimento della vittima che chiede ascolto personalizzato. Il sistema agisce in modo spersonalizzante negando i bisogni fondamentali Maltrattamento come relazione: condizione di attribuzione di responsabilità per ciò che è accaduto al minore che deve essere protetto: non si vede la sofferenza del minore, ma la si adduce al malfunzionamento della vittima Se le violenze familiari sono attivate da una cultura sociale e familiare, le violenze nelle istituzioni sono sempre attivate da una cultura organizzativa e sociale, quest’ultima basata su capisaldi teorici come la presenza di soggetti “deboli” e quindi senza diritti Pensiamo al caso eclatante delle persone senza dimora e alla violenza che l'interno sistema esercita continuamente verso di loro. Come evitare che al maltrattamento delle famiglie si aggiunga il maltrattamento delle istituzioni e che il servizio sociale diventi un fattore di ri-traumatizzazione? > Prevenzione "Per prevenire gli allontanamenti bisogna prevenire i maltrattamenti e usare gli strumenti di supporto in modo appropriato. Il maltrattamento istituzionale è un danno doppio per il bambino. Se questi viene maltrattato in famiglia può, in qualche modo, farsene una ragione. Ma quando è l'istituzione che dovrebbe proteggerlo, a maltrattarlo, allora il danno può essere ancor più grave". > Accompagnamento Domiciliarità e sostegno alla genitorialità. Le famiglie pur maltrattanti vengono abbandonate impedendogli di trasformare il dolore della separazione in motore della trasformazione. Quali azioni di prevenzione e riparazione mettere in atto per quello che è un abbandono agito doppiamente, dalla famiglia e dalle istituzioni? - Responsabilità delle famiglie o delle organizzazioni? La ricerca ha dimostrato che il successo o fallimento di un intervento non dipendono tanto dal livello di rischio e problematicità delle famiglie, ma anche 27 Attenzione! L'’empowerment può avere una accezione oppressiva se inteso come esito di un'azione che va dall'operatore sociale al beneficiario (oggetto di attivazione), se è il tecnico a generare l'empowerment del beneficiario. Radici dell’empowerment> azione dei social workers (movimento dei Settlement) negli Stati Uniti tra 800 e 900. In questo periodo l’accelerata industrializzazione aveva portato ad urbanizzazione e ad ondate di immigrazione interna ed esterna. In questo frangente, gli operatori sociali dovevano confrontarsi con delle inadeguate strutture sanitarie e abitative, un'assenza di tutela legislativa per il lavoro e la difficile integrazione tra le culture. Si dedicarono, così, a ricerche e interventi che privilegiando “l’agire insieme” con le persone in situazioni di bisogno, per rafforzare le loro capacità d'azione ed esercitare pressione sui responsabili politico-economici, al fine di migliorare le condizioni di vita garantite alla collettività. Prima 70”: il lavoro sociale ha privilegiato una prospettiva che etichettava i destinatari degli interventi come “incapaci” e riconosceva all'operatore sociale la conoscenza, il potere, l'autorità. Al contrario gli animatori sociali e i lavoratori che appartenevano ai movimenti si riconoscevano nei valori di azione comunitaria uguaglianza, equità sociale. L'empowerment nella concezione liberistica Gran Bretagna, 90’ Riforma Liberistica: obiettivo primario> “rafforzamento” del consumatore-utente (assieme al contenimento della spesa) di tutta la nuova politica sociale della Nuova Destra. Nell'ambito del servizio sociale radicale si è guardato con molta diffidenza a questa paradossale concezione dell'empowerment. L'espressione si era trasformata da concetto cardine dei movimenti rivoluzionari degli anni 60’ a bandiera della Destra per la liberazione dell'individuo attraverso le libere forze del mercato, le quali avrebbero opposto allo stato oppressivo il potere della libera iniziativa individuale e d'impresa. Critica ideologica da parte del Radical Social Work » Concezione individualistica del potere Riduce le relazioni sociali al livello interpersonale e nasconde le reali relazioni di forza presenti nella società. Questo nasconde le reali relazioni di forza presenti nella società. Es. bullismo sembra rappresentare la principale minaccia pubblica, mentre lo Stato, luogo dove realmente risiede il potere della società, appare non messo a fuoco. Smantellamento dello Stato Sociale: affermando che gli utenti, le famiglie e la comunità hanno “potere” di azione, che non è bene che qualcuno gli impedisca di affrontare i loro problemi se ne sono capaci, diviene politicamente accettabile agli occhi dell'opinione pubblica ridimensionare l'impegno pubblico per il welfare. 30 » Emerge però che il coinvolgimento e la partecipazione degli utenti alla programmazione dei servizi sociali è minima, se non di facciata » Così come la possibilità di acquisto autonomo di prestazioni assistenziali sul libero mercato Risultato non inatteso in quanto la legge di riforma poneva in secondo piano il vero obiettivo, quello del contenimento della spesa pubblica. » Protagonismo degli utenti si risolve in una mera consultazione Nella prospettiva neoliberale, la politica dell'empowerment si riduce spesso alla sollecitazione degli utenti a partecipare a decisioni tecnico-amministrative rispetto alle quali non hanno serie possibilità di controllo. >» Indebolimento del potere di azione delle persone nei confronti delle strutture L'’empowerment agito autonomamente. I nuovi movimenti sociali di utenti e care giver Anni 90’: Soprattutto nel campo della psichiatria e disabilità proliferano organizzazioni di utenti e familiari del tutto autonome dai servizi formali, se non in aperta contrapposizione. Secondo gli appartenenti a questi movimenti, l'empowerment è una questione che li riguarda in via esclusiva e che non intendono delegare. Essi non si propongono un generico cambiamento sociopolitico, ma si impegnano in un'azione libera da condizionamenti o strumentalizzazioni professionali, in direzione dell'adeguamento legislativo, di una migliore definizione dei loro bisogni, di un'affermazione della loro identità rispetto alla cultura dominante, di una più adeguata azione di fronteggiamento dei problemi, basandosi sulle loro stesse risorse. I movimento degli utenti e dei care giver rimangono distinti dai servizi istituzionali, avendo lo scopo di affermare la visione dei portatori delle problematiche assistenziali in contrapposizione agli interessi e alle visioni dei tecnici addetti ai lavori. Tuttavia queste organizzazioni interagiscono con professionisti che dimostrano sensibilità e capacità di collaborazione alla pari. Non è necessario che tali operatori siano utenti o care giver, la loro presenza è comunque apprezzata. Tendenza a sentirsi separati o in contrapposizione con il sistema dell'expertise assistenziale e anche dal mondo del volontariato è rivendicazione di autonomia Le organizzazioni no profit costruite da persone abili che si attivano per fornire servizi a persone “bisognose” sono considerate “esterne” dalle persone con disabilità o estranee ai loro interessi. Tale senso di difesa delle persone con disabilità arriva a estendersi anche nei confronti dei care giver. Le autonome iniziative collettive degli interessati costituiscono un importante fronte di azione sociale rispetto al tradizionale Terzo settore; in questo “quarto settore” potrebbero essere comprese le iniziative di quanti agiscono in forma collettiva per sé stessi. 31 Interessante rispetto all'empowerment è l’azione di quegli utenti che, per anni, si sono trovati sottoposti a un rigido controllo della loro vita da parte delle istituzioni assistenziali. - Affermazione della propria identità - Mutuo aiuto - Adeguamento legislativo - Migliore definizione di bisogni e soluzioni L'empowerment relazionale e il lavoro sociale di rete Esiste una concezione intermedia tra l’idea che l'empowerment sia un procedimento metodologico volto a far aumentare l'efficienza e il potere di professionisti, e l’idea che esso sia un'esclusiva rivendicazione di autonomia e potere di persone svantaggiate. Secondo il filone di pensiero fenomenologico: processo di aiuto professionale visto non come l'applicazione di una competenza bensì come un incerto ma fiducioso iter di “ricerca” condiviso tra tutti i potenziali interessati alla soluzione di un problema. In quest’ottica utenti, care giver, specialisti e tutti gli interessati sono incoraggiati ad uscire dalla rigida polarizzazione dei ruoli per divenire “alla pari” nella ricerca del benessere cui sono interessati. » In questo senso l'approccio è pienamente relazionale Secondo questo modo di interpretare il lavoro sociale, gli utenti divengono “operatori”, possono agire come agisce un operatore professionista: sentendosi in grado di esprimere creatività e responsabilità per la ricerca di soluzione. La metodologia di rete prevede, quanto all'empowerment, che i detentori ufficiali del potere terapeutico cedano parte di questo potere alle persone che tradizionalmente attendevano passive le soluzioni. In questo senso l'utente non c'è essendo concepito come un “agente” capace di intraprendere quel tipico genere di azioni che sono da sempre considerate appannaggio di chi è abile a risolvere i problemi. e L’esperto cede potere e lascia fare agli interessati, pur garantendo supervisione e predisponendo le condizioni favorevoli L'idea è che l'operatore non abbia il mandato di potenziare le persone, ma le persone siano agenti sensati, per quanto deboli e svantaggiati appaiano a chi si trovi in posizioni “superiori”. Da parte dei professionisti, va evitato il rischio di smantellare involontariamente questo potere d'azione attraverso concezioni paternalistiche e assistenzialistiche, sulla base dell'idea che i problemi sociali abbiamo soluzioni oggettive e che queste vadano imposte. L'empowerment inteso come “trasferimento di potere” da ruoli istituzionali al mondo della vita non è un gioco a somma zero. Nell'ottica relazionale invita a riflettere sul fatto che se il professionista cede potere ai suoi interlocutori 32 o Richiesta per un familiare ignaro o non consenziente+ non informazione o contrarietà B) Richiesta da persone esterne al nucleo familiare o Segnalante chiede intervento del servizio per situa problematica + delega o Segnalante aiuta persona consenziente a presentare richiesta > mediazione o Il segnalante è una persona autorevole che sollecita un intervento > raccomandazione C) Segnalazione preveniente da altro operatore o servizio o Segnalazione da un altro servizio non competente+ competenza o Segnalazione da un altro operatore/servizio che chiede collaborazione > co-gestione del caso/integrazione professionale o Segnalazione da un'autorità giudiziaria > mandato autoritativo (informare la persona del proprio ruolo, aiuto e controllo) Questioni da tenere presenti: Provenienza della domanda+ da chi proviene la domanda di aiuto Attenzione alle modalità di gestione delle segnalazioni effettuate all'insaputa della persona interessata Competenza+ una volta individuato il problema è necessario analizzare se sia di competenza del proprio servizio, nel qual caso si procede ad aprire la presa in carico, oppure se non lo sia, nel qual caso si invia ad altro servizio (si può anche facilitare il contatto). Richieste latenti> bisogna comprendere se oltre la richiesta esplicita ve ne siano altre latenti. Raccolta delle informazioni+ in questa fase è necessario raccogliere nei colloqui quante più informazioni possibili per inquadrare la situazione (persona e famiglia, contesto sociale, inviante, problema, richieste, aspettative, motivazione al cambiamento) 2. Analisi della situazione Oltre alle informazioni raccolte nei colloqui, l’AS reperisce altre informazioni utili (analisi di cartella sociale pregressa, eventuale documentazione) e può svolgere ulteriori colloqui con altri componenti della famiglia, persone di riferimento, medico di medicina generale, scuola ecc., sempre previo consenso dell'interessato, o comunque informandolo adeguatamente nei casi di tutela di minore o persona incapace. E importante riflettere accuratamente sulle informazioni raccolte, anche insieme all'interessato 3. Valutazione (ex-ante) In questa fase si confronta la situazione che si è analizzata con le prospettive teoriche e i modelli di riferimento. Si formulano le prime ipotesi sulla situazione 35 e sulle cause che hanno concorso a determinarla, e si indentificano i possibili obiettivi. 4. Progettazione individualizzata In questa fase si elabora un progetto, fissando gli obiettivi e le strategie di azione per raggiungerli. Il progetto comprende: - Definizione e analisi del problema - Identificazione degli obiettivi (generali e specifici) - Beneficiari dell'intervento - Modelli di intervento, strumenti e azioni - Soggetti (quali, chi fa cosa) - Tempi intermedi e complessivi - Costi (per organizzazione e famiglia) - Risorse (dell'ente, della comunità ecc.) - Modalità e indicatori di verifica (in itinere, ex post) Il progetto dev'essere: coerente con i bisogni, compatibile con le risorse ed efficace negli esiti. Caratteristiche di un progetto individualizzato: e Parzialità: valorizzazione dei diversi punti di vista e Co-costruzione: di ipotesi e strategie e Flessibilità: aggiornamento continuo di obiettivi e scelte operative * Ampliamento delle opportunità: offerta di una varietà di alternative e Fattibilità: analisi realistica di vincoli (tempi, risorse, norme, ecc.) e Co-progettazione: con altri professionisti, con la famiglia e la sua rete... * Confrontabilità e riproducibilità e Intenzionalità: tutte le persone coinvolte devono volerlo * Verificabilità e valutabilità Approcci alla progettazione - Sinottico razionale o Il cambiamento può essere previsto sulla base di nessi di casualità lineari o La realtà è oggettiva o Il progettista è “neutro” o Obiettivi, ambiente e processi sono dati - Concertativo partecipato o Fondato sulla partnership o La realtà è soggettiva o I progettista “costruisce” la realtà o Obiettivi, ambiente e processi vengono costruiti insieme - Euristico o Fondato sulla ricerca-azione o Attenzione ai processi 36 o Privilegia lo sviluppo della conoscenza e della partecipazione 5. Attuazione In questa fase viene concretamente attuato il progetto. Vengono messe in atto una serie di attività (colloqui, riunioni d’equipe, stesura atti amministrativi, contatti con altri enti/organizzazioni di Terzo Settore, attivazione di risorse ecc.) per raggiungere gli obiettivi prefissati. 6. Valutazione Attività cognitiva volta a fornire un giudizio su di un'azione o complesso di azioni coordinate, intenzionalmente svolte o che si intende svolgere, destinate a produrre effetti esterni, che si fonda su attività di ricerca delle scienze sociali e che segue procedure rigorose e codificabili. Valutare significa analizzare se un'azione intrapresa per uno scopo corrispondente ad un interesse collettivo abbia ottenuto gli effetti desiderati o altri, ed esprimere un giudizio sullo scostamento che normalmente si verifica, per proporre eventuali modifiche che tengono conto delle potenzialità manifestatesi . In itinere: valutazione in corso d'opera, per verificare come stia andando il progetto e valutare se siano necessari aggiustamenti. Può esitare in una riprogettazione parziale o totale. Ex post e Valutazione finale: si ripercorre il processo di aiuto e si confrontano gli obiettivi raggiunti (output) con quelli ex ante, ponendo attenzione a tutti i risultati raggiunti (out come) e agli impatti. Si valuta anche la qualità del processo. e Ex post: dopo un lasso di tempo dal termine del progetto Differenza: efficacia / efficienza Effetti: attesi e inattesi (positivi o negativi), diretti e indiretti Valutazione partecipativa e trasformativa Integra e allo stesso tempo supera la valutazione intesa in senso puramente diagnostico in quanto: -Integra i punti di vista, le diagnosi, le informazioni, le analisi, la raccolta dei dati di fatto, delle opinioni tramite il lavoro di un'equipe multidisciplinare, che rappresenta il contesto in cui riflettere in maniera aperta e sistematica su tale insieme di dati per costruirne un’anali- si globale e condivisa; -È finalizzata a mobilitare le risorse della persona/famiglia attraverso la costruzione partecipata e graduale di una progettazione e della sua concreta realizzazione in vista della trasformazione delle condizioni che hanno provocato la situazione di povertà. 37 Il messaggio deve essere decodificato dal ricevente: l'informazione non è ciò che è stato comunicato, ma ciò che raggiunge il ricevente, superati i rumori e gli ostacoli. Paul Watzlawick e colleghi della scuola di Palo Alto 1. Non si può non comunicare (non esistono non comportamenti) L'attività o l’inattività, le parole, i silenzi hanno tutti un valore comunicativo e influenzano gli altri, che non possono non rispondere a questi messaggi e in tal modo comunicano qualcosa anch'essi. 2. Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione Messaggio di contenuto: oggetto di comunicazione intenzionale (verbale e non verbale) Messaggio di relazione: informazioni circa le persone, cosa è l'uno per l’altro (sempre non verbale). È il più importante. Messaggio di relazione: - Conferma per me tu vali - Rifiuto per me tu non vali - Disconferma per me non esisti 3. La natura di una relazione dipende dalla punteggiatura delle sequenze di comunicazione tra i comunicanti La comunicazione è un processo a spirale di tipo sistemico (retroazioni), ogni evento è causa ed effetto di altri eventi. 4. Si comunica attraverso il modulo numero e quello analogico Comunicazione verbale e non verbale. 5. Tutti gli scambi comunicativi sono simmetrici o complementari, a seconda che siano basati sull'uguaglianza o sulla differenza. Relazione simmetrica: un interlocutore rispecchia il comportamento dell'altro. Relazione complementare: un interlocutore completa il comportamento dell'altro. Comunicazione verbale e non verbale >» Verbale e Può non essere presente e Linguaggio orale o scritto e Sempre intenzionale (anche quando si è inconsapevoli dell’intenzione) e Maggiormente valida per trasmettere contenuti » Non verbale o Sempre presente o Tutto ciò che non passa per parole orali o scritte o È spesso inconsapevole 40 o Maggiormente valida per trasmettere emozioni e sentimenti Tra le due comunicazioni possono esservi incongruenze Comunicazione non verbale 1. Comportamenti cinesici Gesticolazioni, movimenti del corpo, espressioni facciali, direzione e durata dello sguardo, postura. Comportamenti emblematici: il loro significato è perfettamente definito all’interno di una cultura (es. linguaggio sordomuti, cenni da lontano) Comportamenti illustrativi: accompagnano il linguaggio verbale e lo illustrano (es. sottolineano o accentuano una frase) Display affettivi: espressioni facciali che indicano gli stati affettivi: possono ripetere o contraddire quanto detto verbalmente Comportamenti di regolazione: sostengono e regolano l'alternarsi della comunicazione tra due persone (es. cenni del capo per continuare, o chiarire, ripetere, sbrigarsi) Comportamenti di adattamento: si sviluppano durante l'infanzia, come sforzi adattativi nel tentativo di soddisfare bisogni, eseguire azioni, controllare emozioni, sviluppare contatti sociali ecc. Sono in genere inconsapevoli. Non sono generalmente codificati; sono frammenti molto variabili di comportamenti aggressivi, sessuali o intimi che spesso rivelano predilezioni, caratteristiche, idiosincrasie mascherate nel linguaggio verbale 2. Caratteristiche fisiche Aspetto generale del corpo, capigliatura, barba, età, peso, colore della pelle. 3. Paralinguaggio Modo in cui il messaggio verbale viene emesso. -Qualità della voce: tono, ritmo del discorso, tempo, controllo delle labbra ecc. -Vocalizzazioni divise in: caratterizzatori vocali (ridere, piangere, sbadigliare, sospirare), gualificatori vocali (es. intensità della voce), segregati vocali (ehm, uhm) 4. Prossemica Studio dell'uso che la persona fa del suo spazio personale e sociale durante la comunicazione (es. come più persone in gruppo si siedono) 5. Uso di artefatti Uso di tutti quegli oggetti la cui manipolazione o contatto possono trasmettere segnali non verbali (es. ticchettare con la matita sul tavolo) e Fattori ambientali: non fanno parte della comunicazione ma hanno rilevanza: arredamento, stile, odori, illuminazione, temperatura, musica... Tra comunicazione verbale e non verbale 41 =» Ripetizione (es. indico un oggetto di cui sto parlando) =» Contraddizione =» Sostituzione(ad es. in un ambiente con molto rumore) =» Complementazione (es. il capo dà una pacca sulla spalla al dipendente mentre lo elogia) =» Accentuazione =» Relazione e regolazione (regola il flusso comunicativo, viene usata per verificare ad es. se ciò che si dice è compreso dall’altro) I disturbi nei processi comunicativi Si definisce rumore qualsiasi interferenze o barriera che impedisce o disturba la comunicazione. Chi trasmette può percepire in modo negativo il destinatario, il messaggio può essere male organizzato, troppo prolisso, troppo stringato. Il ricevente può essere distratto, può avere timore di rispondere francamente, oppure il canale trasmissivo può essere scadente. Ognuno elabora le informazioni verbali e non verbali che riceve, e questo dà luogo ad un'interpretazione. Persone con caratteristiche diverse (orientamenti, genere, classe sociale ecc.) interpretano gli stessi contenuti in modo diverso. Secondo: > Mappe mentali > Visioni del mondo diverse Quello che comunichiamo all’altro è ciò che l’altro ha capito e non quello che pensiamo di aver comunicato. Barriere comunicative e Modoin cui il messaggio viene percepito: la percezione umana è condizionata dall'esperienza personale e come tale influenza l’interpretazione delle comunicazioni e a volte si ricorre a stereotipi. e Percezione selettiva: la persona a volte presta attenzione solo ad alcuni aspetti e non ad altri, non coglie una situazione nella sua interezza e Status di chi comunica e Carenze d'ascolto: a volte non si presta reale attenzione all’altro e Imprecisioni di linguaggio (alcune parole si prestano al malinteso) e Malintesi linguistici e barriere linguistiche e Fenomeno della saturazione: può dipendere dall’affaticamento del ricevente, dall’eccessiva quantità di messaggi, dalla perdita di informazioni dovute alla lunghezza del messaggio * Presenza di stimoli concorrenti: troppo rumore, troppo caldo o freddo e Presupposti impliciti: chi parla dà per scontato che l’altro abbia conoscenza dell'argomento trattato, stesso livello culturale, o stessi presupposti * Incompatibilità tra schemi di riferimento o culturali e Confusione nella presentazione * Limitatezza delle capacità del ricevente 42 » Il colloquio non è una discussione Non è un contenzioso dialettico in cui ognuno cerca di far valere le proprie ragioni, ma è il luogo dell’empatia e della comprensione dell'altro » Il colloquio non è un‘intervista L'intervista è una rilevazione di informazioni, una persona fa le domande e l’altra risponde. Il colloquio mira alla costruzione di una relazione. » Il colloquio non è un interrogatorio L'interrogatorio presuppone uno squilibrio di potere tra interrogante e interrogato; l'atteggiamento di chi interroga è accusatorio e genera panico > Il colloquio non è una confessione La confessione implica un giudizio di tipo moralistico; l’AS non giudica ,a comprende con empatia Il colloquio È: e uno strumento di lavoro dell’AS e una forma specializzata di comunicazione e un incontro formalizzato e regolato da norme e un momento in cui si affrontano argomenti specifici, anche spiacevoli ed è focalizzato sulle persone, sul loro agire e sulle relazioni sociali e haunobiettivo e è guidato dall’AS Caratteristiche e fasi del colloquio Il colloquio si svolge tra persone. L'AS ha la responsabilità professionale di condurre il colloquio. La caratteristiche personali di AS e interlocutore (età, sesso, classe sociale, livello culturale ecc.) ne influenzano l'andamento. Il colloguio deve avere: - Un luogo (setting) - Un tempo - Un contenuto e un obiettivo Fondamentale, come abbiamo visto, è il primo colloquio con la persona, che influenzerà gli incontri successivi. Il setting Il luogo dove si svolge l’incontro influenza il colloquio, perché invia messaggi non verbali positivi o negativi. Messaggio negativo: posto sporco, troppo freddo o caldo, rumoroso, senza privacy, troppo buio, pieno di oggetti o totalmente vuoto. Messaggio positivo: posto accogliente, ben tenuto, temperatura confortevole, silenzioso, arredamento adeguato, giochi per bambini, facilita la persona nel mettersi a proprio agio. 45 (Se vi sono più persone, è importante osservare il modo in cui si dispongono) I posti principali del colloquio sono generalmente: - La sede del servizio: qui |’AS ha pieno controllo del setting, e può accedere al computer e alla documentazione professionale - Il domicilio della persona: qui si possono creare una vicinanza e familiarità maggiori perché la persona è nel suo ambiente, ma l’AS deve fare attenzione a condurre comunque in modo strutturato l'interazione » Il domicilio dà info fondamentali - La struttura permanente o temporanea dove risiede la persona (RSA, carcere, comunità, ospedale): qui l'interazione può essere maggiormente disturbata perché non vi è controllo del setting e perché alcuni luoghi possono strutturalmente inibire la spontaneità dell'interazione (carcere). » In questi casi |’AS deve essere particolarmente accorto a creare una interazione empatica e attenta Il tempo Il tempo per ogni colloquio deve essere adeguato, no ai colloqui “in batteria”. e Rispettare sempre la puntualità (è un messaggio di cura o incuria) Bisogna imparare a governare il tempo del colloquio, senza lasciarsi sopraffare dall’eloquio della persona ma anche lasciandole adeguato tempo per parlare, considerando che spesso gli argomenti trattati sono delicati. e Lasciarsi tempo di registrare il colloquio e di recuperare le energie Fasi del colloquio: 1. Fase dell'accoglienza * staccare il telefono (rispondere durante un colloquio è una squalifica) e mettere a proprio agio la persona e conversare brevemente su argomenti generali (per rompere il ghiaccio) * fare eventuali adempimenti formali (documento, firma privacy) e moderare la durata di questa fase (né troppo breve né troppo lunga) e passare in modo calibrato, non brusco, alla parte centrale del colloquio e chiarificare il proprio ruolo e l’obiettivo del colloquio e valutare modi e tempi dell'invio (provenienza della segnalazione), anche per sondare la motivazione al cambiamento della persona 2. Fase dello sviluppo (fulcro del colloquio) * affrontare e approfondire gli argomenti centrali del colloquio, non evitare per fatica gli argomenti spiacevoli o imbarazzanti * stimolare la persona a parlare di sé e degli argomenti rilevanti * guidare l'interazione verso gli scopi prefissati e generare una interazione emotiva efficace, e una relazione positiva e cambiare tematica se necessario, ma non troppe volte (confusione) * riflettere sui contenuti e verificarne la completezza porre eventuali domande 46 e trovare il giusto equilibrio tra interrompere sempre o mai * ascoltare attivamente per collegare le info alla formulazione di ipotesi 3. Conclusione del colloquio (fase finale) * stemperare l'intensità creatasi nella fase di sviluppo, in modo che la persona esca dal colloquio in un sufficiente equilibrio emotivo e ricapitolare brevemente i temi del colloquio, per metterne in luce gli aspetti importanti, in modo che la persona possa eventualmente rettificare o aggiungere informazioni e ri-puntualizzare le questioni, i passi da compiere, e le eventuali procedure da seguire e chiudere eventualmente l’incontro conversando brevemente su temi generali e Lasciare comunque un momento vuoto, di silenzio, se la persona avesse qualcosa da aggiungere a volte le informazioni più importanti vengono dette sulla porta! La registrazione del colloquio Va fatta sempre e appena terminato il colloquio. Durante il colloquio si possono fare appunti brevi ma l’attenzione e lo sguardo devono principalmente essere rivolti alla persona, cosa non possibile quando si scrive. Durante il colloquio, infatti, dobbiamo guardare e osservare l'interlocutore per suscitare empatia, mostrare attenzione e rilevare i messaggi non verbali, nonché controllare i nostri. Vanno quindi appuntante velocemente alcune parole chiave o fatti per poi ricostruire l’intero contenuto al termine del colloquio. Per questo la registrazione va fatta subito dopo, quando nella mente sono ancora fresche l'interazione e le informazioni raccolte. - La registrazione è un documento fondamentale della cartella sociale, serve come base permanente per riflettere, descrive i passi della costruzione del progetto, rende possibile la continuità in caso di turnover degli operatori. » Colloqui successivi: avranno continuità e coerenza con i precedenti I colloqui al telefono o Prima del primo incontro Porre molta attenzione: la persona non ci conosce, usare un tono estremamente accogliente e rassicurante o Dopo la conoscenza Può essere utile per raccogliere o dare alcune informazioni o organizzarsi, nonché per aggiornarsi rapidamente ma non può sostituire il colloquio di persona. Quali sono gli ingredienti fondamentali di un colloquio? » Desiderio+ di entrare in relazione con l'altro, di ascoltarlo » Tempo+ adeguato ad ascoltare l’altro 47 e Cambio repentinamente argomento o mi contraddico e Nonmi preoccupo che il mio messaggio sia stato compreso Osservazione Attenzione al linguaggio non verbale, che è quello più autentico. Non solo per comprendere realmente lo stato d'animo e il pensiero di chi abbiamo di fronte, ma anche per porre in atto tempestivamente dei correttivi. Es. se vedo che una persona è a disagio, posso utilizzare delle tecniche per sciogliere la tensione relazionale prima di iniziare il colloquio vero e proprio. Chiarificazione Serve ad evitare fraintendimenti e ad essere certi: o Che il messaggio inviato sia stato correttamente recepito (l’AS può ripetere e sottolineare alcuni concetti, anche con parole diverse) o Che il messaggio ricevuto sia stato correttamente interpretato (l’AS può chiedere alla persona di ripetere o chiarire alcuni aspetti) Restituzione L'AS rielabora quanto ricevuto nel colloquio, componendo un quadro mentale di sintesi, collegando la realtà alla teoria (modelli di riferimento) e restituisce alla persona quanto da essa ricevuto, ma in modo coerente e chiarificato. È come se la persona portasse un puzzle alla rinfusa, fatto di tanti pezzi mischiati, da cui non si riuscisse ad evincere alcuna immagine finale, ma solo i frammenti che lo compongono. L'AS prova a rimettere insieme i pezzi all’interno di una cornice di senso, li orienta e li ricompone secondo criteri teorici. Invece dei tanti frammenti, restituisce così alla persona una immagine finale dotata di senso (come in un puzzle ricomposto). » Senza banalizzare, interpretare, generalizzare o semplificare Ricapitolazione Durante o alla fine del colloquio, si possono ricapitolare gli argomenti affrontati, e riepilogare anche il punto del procedimento metodologico a cui si è arrivati, i passi fatti e da compiere. Tecniche per fare buone domande Il colloquio non è una intervista o un interrogatorio. Il primo obiettivo è sempre la relazione. Potete uscire da un colloquio senza che ci sia stato alcun incontro reale. Allora il vostro lavoro diventa inutile. Attenzione a non porre troppe domande o troppo poche. Le domande devono essere chiare e non prestarsi a fraintendimenti. Non devono essere manipolative, ovvero presupporre già la risposta (adesione o rifiuto del pensiero dell’AS). » Attenzione alle domande chiuse 50 “Va mai al parco con il suo bambino?”; “Ha mai avuto difficoltà nella gestione dei figli?”; “Quando gioca con i suoi figli?”; “Sei felice?” “Dove va quando esce con i figli?” » Favorire invece domande che aprono il campo esplorativo: “Come sta?”; “Che cosa le piace fare con i suoi figli?”; “Come si sente quando ci sono delle difficoltà con i figli?”; “Potrebbe raccontarmi di...” ; Potrebbe parlarmi di...”; “Perché secondo lei è successo questo?”; “Cosa la fa sentire bene?” Qualcosa è stato per noi un colloquio quando ha lasciato in noi qualcosa. Non il fatto dunque che siamo venuti a sapere qualcosa di nuovo ha fatto di qualcosa un colloquio, piuttosto il fatto che nell'altro ci è venuto incontro qualcosa, che nella nostra esperienza del mondo non ci era ancora capitato di incontrare. Il colloquio possiede una forza trasformatrice. Laddove un colloquio è riuscito, ci è rimasto qualcosa che ci ha cambiato (Gadamer, 1983) Ricapitoliamo: e Metodo: “Modo di procedere razionale per raggiungere determinati obiettivi” * Strumento: “Dispositivo necessario per compiere una determinata operazione o svolgere una attività” * Tecniche: Modi diversi di utilizzare uno strumento ® Modello: Un quadro mentale del modo in cui una realtà è costituita e funziona; “insieme di assunti fondamentali necessari a delimitare e determinare ciò che è più rilevante in una scienza o in una teoria” Qualsiasi strumento può essere piegato ad usi impropri. Se l'agire dei professionisti rimane fermo agli assunti secondo cui /a persona ha il problema, il professionista ha la risposta, qualsiasi strumento di lavoro sarà utilizzato per veicolare il punto di vista dell'esperto, un giudizio che viene dall'alto e che intende la partecipazione in maniera errata, ricercando nelle parole delle persone elementi utili per avvalorare il punto di vista di chi sa definire i termini del problema. Il valore dello strumento non è intrinseco, ma è nell’intelligenza e nell’intenzionalità di chi lo maneggia. Immettersi nella prospettiva della valutazione partecipativa e trasformativa significa anche sapere di iniziare un processo di apprendimento circa le pratiche da mettere in atto, sia per sé come professionista, che per le persone che ci stanno di fronte. (Il Quaderno di P.I.P.P.I) Il fatto di avere a che fare con situazioni di elevata incertezza e preoccupazione, soprattutto se sono coinvolti minori può indurre gli operatori a sentire il bisogno di strumenti che diano risposte certe”. Il metodo della valutazione trasformativa e partecipativa non ricerca strumenti che danno risposte, quanto piuttosto strumenti che consentano maggiore comprensione della situazione, condivisione, coscienza critica, circolazione di pensiero, che rendano le decisioni e il processo decisionale affare di tutti. 51 La visione che emerge dagli strumenti non è mai esaustiva: qualsiasi strumento, qualsiasi tecnica, permette di vedere solo una parte della realtà, gettando un cono di luce su una porzione di essa. (Il Quaderno di P.I.P.P.I Visita domiciliare 30.04.2021 La visita domiciliare è uno strumento di lavoro dell'assistente sociale e si realizza nel colloquio al domicilio della persona o della famiglia. "Nel servizio sociale conoscere il carattere, la vita, le speranza, i progetti delle , , , persone da aiutare, quindi anche il contesto dove tali elementi si esprimono pienamente, è esigenza antica” Come per tutti gli strumenti, le modalità di realizzazione effettiva e l'efficacia della visita domiciliare dipendono dal modo in cui è condotta dall’AS e dai fattori esterni che su di essa influiscono. Ricordate sempre, infatti, che qualsiasi strumento può essere piegato ad usi impropri. L'andare a casa può essere un atto molto intimo, che crea forte vicinanza tra AS e famiglia. Non a caso, Delmati vede la v.d. come “i/ mezzo per porre e per mantenere una buona relazione”. In generale, si va in visita da qualcuno che non può uscire di casa, per esprimere vicinanza o per un lutto. Si vanno a trovare le persone con cui abbiamo una “relazione”, a cui teniamo. > Mostriamo interesse per la persona+ andare verso > Andare incontro alla persona nel luogo che le è familiare Rinforza la relazione e permette di entrare in contatto anche con quei familiari/riferimenti che non verrebbero in ufficio (es. il vicino di casa). Proprio perché è un atto intimo, è molto importante che l’AS mantenga una buona strutturazione interna durante la visita, tenendo sempre a mente il proprio ruolo, l’obiettivo della visita, la sua funzione all’interno del procedimento metodologico di aiuto. Questo non significa essere rigidi o non entrare in profonda empatia con le persone> ma tenere sempre al centro del proprio agire "a persona” e il motivo per cui esiste la relazione tra essa e |'AS: > l’obiettivo del processo di aiuto deve rimanere sempre ben chiaro > l’obiettivo della v.d. dev'essere esplicitato durante l'interazione al domicilio (non vado a casa di una persona “per caso’). La v.d. è una preziosissima fonte di informazioni: “l'osservazione diretta della persona nel suo spazio allontana da interpretazioni soggettive del professionista legate alla sua sola narrazione” (Zilianti, Rovai 2007) » Aiuta a contestualizzare/arricchire la conoscenza della persona/famiglia Ci si addentra nello spazio di vita della persona, dov'è lei ad avere il controllo, a sentirsi a proprio agio, e dove può assumere facilmente anche il controllo dell'interazione. 52 disporre prima della visita; occorre inoltre comprendere se egli ha condiviso con la famiglia la segnalazione. * Valutare il rischio e l'eventuale necessità di andare in due o farsi accompagnare dalle forze dell’ordine e Informare almeno un collega della visita domiciliare L'AS deve sentirsi in condizione di poter svolgere la visita domiciliare in sicurezza, poiché uno stato di ansia potrebbe compromettere l'esito dell'intervento. In caso di dubbio è sempre bene ragionare su questi aspetti con il proprio responsabile o i colleghi. Un'altra accortezza riguarda l'orario: nei casi di famiglie non note, potenzialmente pericolose o di visite in cui si devono svolgere interventi delicati, è opportuno effettuarla nella prima parte della giornata. AI contrario nel tardo pomeriggio o verso sera l'intervento potrebbe risultare più complesso, e in caso di emergenza l'operatore avrebbe meno tempo per mettere in atto un intervento di protezione. e Raccogliere informazioni sulle questioni etniche e culturali Sebbene sa difficile generalizzare, prima di una visita presso una famiglia straniera è bene avere qualche info sulla loro cultura. Utile per decodificare alcuni elementi che potrebbero avere dei significati diversi a seconda della cultura e per relazionarci meglio con la famiglia. Nel caso in cui vi fosse qualcosa che ci lascia perplessi è bene chiedere spiegazione sul momento alla famiglia non restando vincolati ai propri condizionamenti culturali. (prima della v.d. bisogna anche valutare se sia necessario un mediatore culturale o linguistico, perché la persona o altri membri della famiglia potrebbero non parlare italiano rendendo inefficace la v.d.) * Atteggiamento professionale e abbigliamento adeguato e comodo Svolgere un intervento al di fuori del setting del servizio può far sentire l'assistente sociale meno sicuro. È bene tenere sempre a mente che si sta svolgendo un intervento professionale; in occasione della domiciliare conviene indossare un abbigliamento che si è soliti portare in ufficio, ma con un’accortezza in merito alla praticità: potrebbe capitare che per parlare con un bambino sia opportuno accovacciarsi o sedersi a terra, o che si incorra in situazioni igieniche precarie. Prima della visita domiciliare... Nel campo della tutela minori la visita domiciliare può assumere ari significati in relazione ai differenti scopi che l'operatore si prefigge; in ogni caso l’AS deve avere ben chiaro qual è il motivo per cui decide di effettuare una visita domiciliare presso un nucleo familiare. È necessario avere ben chiaro l’obiettivo, qual è lo scopo della v. d., l’AS può effettuarla per: o Raccogliere ulteriori informazioni rispetto a quelle che già si hanno 55 o Verificare la congruità delle informazioni con quanto emerso in altri colloqui/incontri o Sostenere la persona e mostrare vicinanza Analizzare le dinamiche relazionali tra i vari membri familiari nel loro contesto di vita Verificare le condizioni abitative, specie se vi sono minori Rendersi conto dell'effettivo tenore di vita della famiglia Migliorare o recuperare la relazione Conoscere membri della famiglia che non possono andare al servizio Monitorare la situazione familiare Valutare in via urgente condizioni di rischio/pregiudizio per un minore ecc. o o 000 o 0 Una volta chiarito l'obiettivo un passaggio importante va condividerlo con la famiglia (soprattutto casi tutela minorile) quando è facile che la visita domiciliare venga interpretata come mero “controllo”. Va quindi spiegato il perché della visita, mettendo in luce i diversi aspetti: vedere i bambini a proprio agio, nei loro spazi e con i loro giochi; parlare con i familiari in un setting diverso e più informale; conoscere i loro interessi e | loro abitudini, ecc. Può essere utile esemplificare alla famiglia il momento della visita: descrivere cosa si intende fare, come si potrebbe svolgere... in Modo da non ridurre del tutto la dimensione del controllo. Questo passaggio pur essendo complicato può prevenire il rischio di successivi fallimenti. Visita domiciliare come primo contatto, Come contattare la famiglia? Anche qui, come per il colloquio, si potranno prendere in considerazione diversi mezzi (telefono, lettera, email). Come prima cosa l’AS deve pensare a quale sia il modo migliore per contattare la famiglia ed esplorare diverse possibilità. La scelta dipenderà anche dai seguenti elementi: Prendere contatti con la famiglia rappresenta un passaggio delicato e in alcune situazioni decisivo per la buona riuscita dell'intervento: è opportuno disporre di un minimo di info sul nucleo per capire quale possa essere la migliore modalità di contatto. Si può decidere la modalità migliore con cui contattare la famiglia dopo aver analizzato i seguenti fattori: 1. La famiglia ha già tentato in passato di evitare contatti col servizio? Se sappiamo che la famiglia tende a evitare i servizi, potrebbe essere poco opportuno inviare una comunicazione scritta tramite uffici postali o raccomandata in quanto l'effettiva ricezione potrebbe essere dubbia. Recapitare personalmente la lettera presso l'abitazione o telefonare prova con maggiore certezza che la comunicazione sia andata a buon fine. 2. La famiglia parla italiano? In caso di famiglie straniere è importante considerare questo elemento; nel caso in cui i genitori non parlassero italiano, optare per la lettera risulterebbe 56 inefficace. Può essere utile valutare la possibilità di scrivere la comunicazione nella lingua d'origine della famiglia o in inglese. 3. È utile un interprete o un mediatore culturale? In caso di famiglie straniere potrebbe essere utile l’affiamcamento di queste figure, sia per la scrittura della comunicazione sia per la visita domiciliare. Data la delicatezza dei procedimenti di tutela è utile che sia un professionista e non un semplice volontario; il suo compito è quello di tradurre e non di dare spiegazioni, rassicurazioni che potrebbero risultare fuorvianti per l'operatore e per la famiglia. 4. La famiglia è analfabeta? A volte le famiglie in carico ai servizi presentano un bagaglio culturale povero, per cui in queste situazioni è opportuno contattare la famiglia via telefono. 5. La famiglia è a conoscenza della segnalazione fatta ai servizi sociali? L'AS dovrebbe verificare questo con il segnalante, poiché la mancanza di tale info potrebbe esporre ad una situazione di rischio sia l'operatore sia la famiglia. Generalmente il segnalante lo riferisce alla famiglia, per cui essa si aspetta di esser contattata dai servizi. Tuttavia vi possono essere situazioni in cui si valuta inopportuno informare la famiglia, ciò avviene soprattutto in caso di violenze o reati che richiedono riservatezza in ordine alla protezione dei minori + iter procedurale particolare. 6. Ci sono prove sull'esistenza di una situazione di violenza e quindi contattare la famiglia attraverso una comunicazione scritta potrebbe mettere qualcuno a rischio? Situazione che può verificarsi in caso di abuso o maltrattamento; per cui occorre valutare con cura la modalità di contatto, ragionando su chi sia opportuno riceva o meno la comunicazione, per evitare di mettere in difficoltà alcuni membri della famiglia. Comunicazione scritta via lettera: Comunicazione chiara e breve Linguaggio semplice e comprensibile, evitando termini tecnici Specificare quali membri si desidera incontrare Dare le informazioni essenziali (né troppo poche né troppe) Non dare rassicurazioni alla famiglia, perché potrebbero essere fraintese o ooo o Via telefonata, può essere una modalità efficace nelle seguenti situazioni: e Velocizza i tempi (se si ha il recapito) e Sesi tratta di una famiglia analfabeta e Permette di avere un immediato riscontro e Può cogliere di sorpresa la persona e quindi risultare invasiva e Puòal contrario dare uno spazio alla persona per chiedere spiegazioni e Permette di creare un primo aggancio emotivo (tono della voce, linguaggio rassicurante ecc.) 57 v Stato della casa (manutentivo e igienico) e arredamento v_ Risorse del contesto ambientale (mezzi, alimentari, farmacia, parco ecc.) v_ Tenore di vita della famiglia e contesto di riferimento v. Presenza di spazi, giochi e libri per bambini Registrazione della visita domiciliare La registrazione va fatta sempre e appena rientrati dalla visita. È il resoconto scritto della v.d. o del colloquio. Anche se ci siamo portati carta e penna, è probabile che si riescano a prendere solo pochi appunti o addirittura nessuno, dato il setting particolare e la necessità di porre l'attenzione a tutto l’ambiente e alla tenuta della relazione in un contesto destrutturato. Per questo la registrazione va fatta subito dopo la visita, quando nella mente sono ancora fresche l'interazione e le informazioni raccolte. La registrazione è un documento fondamentale della cartella sociale, serve come base permanente per riflettere, descrive i passi della costruzione del progetto, rende possibile la continuità in caso di turnover degli operatori. Finalità: - Memoria scritta degli eventi, per sé e per altri operatori - Analisi - Rielaborazione e Riflessione - Monitoraggio e Valutazione - Ripetibilità degli interventi Cosa contiene la registrazione della v.d./colloquio? =» Dati di contesto, data, persone presenti, luogo e obiettivo » Argomenti trattati =» Definizione del problema, differenti posizioni espresse =» Programmi e eventuali compiti attribuiti/cose da fare = Clima emotivo =» Interazioni verbali e non verbali =» Giochi e scambi relazionali =» Osservazioni sulla relazione tra persona e altri operatori/servizi =» Descrizione degli ambienti (se v.d.) =» Accordi presi Documentazione professionale 06.05.2021 Documentare: informare, insegnare. Quindi: » Trasmettere in forma scritta informazioni, notizie, riflessioni, valutazioni ecc. per conservare e accrescere le conoscenze in noi stessi e negli altri La documentazione professionale può essere definita come l'insieme dei documenti prodotti e l’attività stessa necessaria alla redazione. La letteratura di servizio sociale ha sempre attribuito un notevole peso alla documentazione 60 professionale quale strumento necessario sia allo svolgimento dell'attività di servizio sociale, sia alla costruzione dell'identità professionale. La documentazione a una funzione nei processi: - Conoscitivi - Comunicativi - Organizzativi La documentazione serve a: e Organizzare dati e informazioni e Storicizzare il lavoro e dargli continuità nel tempo * Produrre e trascrivere la conoscenza e mantenerne la memoria e Condividere l'esperienza e la conoscenza * Programmare, monitorare e valutare l'attività professionale e Orientare e rendere scientifico il proprio lavoro e Raccogliere dati per la ricerca scientifica e Dare trasparenza al lavoro del professionista e Garantire la qualità dei servizi e Permettere il funzionamento di una organizzazione Anche la documentazione è una forma di comunicazione: Mittente + codifica> messaggio emesso+ trasmittente> contesto + ricevente> messaggio ricevuto + decodifica> destinatario Ogni documentazione deve avere: - Un contenuto: cosa voglio comunicare o chiedere (registrazioni di colloqui, indagine socio-familiare, progetto di lavoro ecc.) - Un destinatario: a chi voglio comunicare (autorità giudiziaria, collega, famiglia, responsabile ecc.) - Un fine: perché voglio comunicare/qual è lo scopo della mia documentazione A seconda di questi, cambia il linguaggio, il tipo di informazioni trasmesse, il modo e il mezzo per comunicare (Zilianti, Rovai 2007) e Al mio collega posso scrivere una email informale * All’autorità giudiziaria ttasmetto un documento firmato e protocollato con un linguaggio estremamente formale e tecnico e Alla famiglia scrivo un messaggio (email, lettera ecc.) adeguando il mio linguaggio a quello del destinatario, per rendermi comprensibile, senza usare termini tecnici che potrebbero risultare astrusi e tenendo conto del livello di italiano parlato dalla famiglia e Nei miei appunti inserisco valutazioni e pensieri anche in forma sparsa e non strutturata La scrittura è un atto di auto riflessività Non è quindi una mera trascrizione di cose già note, ma un atto generativo di nuova conoscenza. 61 Quando l’AS deve esplicitare per iscritto il proprio pensiero, le proprie valutazioni, le informazioni raccolte, i vissuti emotivi propri e delle famiglie, i progetti condivisi ecc. deve compiere una operazione di esplorazione, chiarificazione e strutturazione del proprio pensiero, e nel fare questo produce conoscenza sugli eventi. E un momento in cui la corsa del fare si ferma, per lasciare spazio alla riflessione, alla rivisitazione di quanto pensato, vissuto, condiviso con gli altri. È un momento in cui il pensiero viene chiarificato e sistematizzato Es. relazione al Tribunale dei Minorenni e tracciare le proprie conclusioni. Bisogna ripercorrere il processo, i fatti, le informazioni raccolte, metterle in correlazione, rileggerle alla luce del modello teorico di riferimento, avanzare ipotesi e assumersi la responsabilità di quanto scritto, che può cambiare il corso della vita di un minore. La scrittura non serve solo ai fini del procedimento metodologico e del processo di aiuto. Serve anche all’AS per instaurare un dialogo con sé stesso e con le proprie emozioni, rivisitarle, esplicitarle. Abbiamo visto quanto possiamo essere portatori inconsapevoli di vissuti che influenzano la relazione con l’altro; o di giudizi impliciti, di sistemi di valore che orientano il modo in cui vediamo o non vediamo le cose. La scrittura può essere un mezzo che aiuta l’AS a fare a sé stesso quella restituzione che è abituato a fare con gli altri. La documentazione si divide in: * Documentazione di governo Orientata a produrre informazioni utili per il governo e la valutazione del servizio e dell’organizzazione dove il servizio è inserito; necessaria per il funzionamento del servizio e dell’organizzazione dove il professionista lavora (regolamenti, protocolli, piani, programmi, carta dei servizi ecc.) Esempi: Protocollo operativo: serve a strutturare una procedura per orientare in modo trasparente e coordinato un insieme di azioni finalizzate ad uno scopo e messe in atto da diverse organizzazioni/professionisti, in modo da evidenziare passaggi, funzioni, responsabilità Regolamento: “Insieme coerente di norme giuridiche emanate da un organo amministrativo nel quadro della legislazione vigente per regolare determinati settori di attività, o anche serie di norme autonome per disciplinare il funzionamento di un organo” (Oxford Language) o di un servizio/intervento Carta dei servizi: la carta dei servizi è un documento con cui gli enti erogatori di servizi esplicitano ai terzi quali siano i propri servizi, le modalità con cui vengono erogati, gli standard di qualità garantiti e le modalità di tutela dei beneficiari 62 Testo che si focalizza sull'attività di un singolo operatore/servizio in relazione a specifici obiettivi, prevalentemente di gestione e programmazione (Bini, 2005). Es. il report dei nuovi accessi al servizio diviso per operatore. >» Il VERBALE "Documento redatto allo scopo di attestare e ricordare, in forma sintetica ma completa ed esauriente nei dati essenziali, fatti, procedimenti e avvenimenti di varia natura” (Treccani). Non contiene valutazioni e osservazioni di chi lo redige+ registrazione neutra di quanto accaduto. Deve contenere alcuni dati essenziali: generalità dei presenti (incluso presidente e segretario che redige il verbale); ora di inizio e fine dell'evento, luogo, ordine del giorno se presente, interventi dei convenuti, decisioni prese, compiti assegnati, votazioni ecc. >» La RELAZIONE Atto finalizzato a trasmettere gli esiti dei processi tecnico-professionali di analisi, valutazione e progettazione. E il documento professionale per eccellenza, poiché esprime la competenza specifica dell'assistente sociale. "La produzione di una relazione è un atto complesso che implica una approfondita riflessione sull'intera vicenda. La relazione non ha la struttura del riassunto, in cui si evidenziano i punti salienti ripercorrendo il percorso narrativo, ma quella interpretativo-analitica, in cui risulta prioritario definire con precisione lo scopo e la finalità della relazione, in modo da determinare la prospettiva da utilizzare per la selezione delle informazioni e l'elaborazione dell’articolazione del percorso da illustrare” La relazione è quindi uno strumento finalizzato a interpretare i fatti ed operare di conseguenza “Sul piano metodologico, il nodo si presenta nell’elaborazione dei significati attribuiti alle vicende, alle storie e alla relazione di aiuto, ai fini della costruzione di uno scenario individuale e di contesto e per una valutazione, spesso espressamente richiesta, al termine della relazione stessa”. - Soprattutto le relazioni per l'autorità giudiziaria minorile, ricordate di esprimere una valutazione e un contenuto propositivo: per fare un mero riassunto di eventi non serve essere un assistente sociale Per scrivere una relazione bisogna focalizzare: e Destinatario della relazione e Finalità della relazione (informative, valutative, amministrative, progettuali ecc.) e Contenuto della relazione Il processo operativo per la stesura della relazione: e Definizione di oggetto e contesto della relazione e Definizione di destinatari e finalità 65 e Raccolta e selezione delle informazioni (storia familiare e sociale, condizioni di vita, rischi di pregiudizio, condizioni di salute, interventi fatti, ecc.) e Definizione delle ipotesi di lavoro e Fase interpretativa e Elaborazione delle proposte Alcune norme redazionali: Scrivere in un italiano corretto e chiaro Dare una strutturazione logica all'intero documento (premesse, sviluppo, conclusioni) Focalizzarsi sulle risorse delle persone più che sulle cose che mancano Fare attenzione al linguaggio: deve sempre rispettare la dignità delle persone che potrebbero poi leggere quanto scrivete (sono le stesse persone con cui siete in relazione) o Verificare la completezza dei contenuti, che devono essere pertinenti, significativi ed esaustivi Evitare inutili giudizi o ridondanze Riportare fedelmente i fatti (no a congetture, supposizioni, informazioni non verificate, sentito dire ecc.) Bisogna porre una grande attenzione alla documentazione, incluso l’aggiornamento del sistema informativo. Questa infatti è spesso una parte che viene trascurata nella corsa del “fare”, ma che è essenziale per una corretta azione professionale, sia dell'operatore nel momento presente che di quelli che si troveranno a intercettare la stessa famiglia in futuro Tenere adeguatamente la documentazione è un dovere professionale dell'AS nei confronti della persona/famiglia, perché è funzionale alla buona riuscita del percorso di aiuto e alla trasparenza di tutto il processo. Avere memoria delle persone e dei percorsi, senza memoria l'identità si perde 07.05.2021 Riservatezza, segreto professionale, privacy e accesso agli atti Art. 32 Codice deontologico "La riservatezza e il segreto professionale costituiscono un diritto primario della persona e un obbligo per il professionista, anche nell’ambito di pubblicazioni scientifiche o di materiali ad uso didattico, nelle ricerche e nella costituzione di banche dati, nei limiti previsti dalle normative vigenti. Nel lavoro con i gruppi, l’AS si adopera per impegnare i partecipanti al rispetto della riservatezza” SEGRETO PROFESSIONALE L. 119/2001: “Gli assistenti sociali iscritti all'albo professionale istituito con legge 23 marzo 1993, n. 84, hanno l’obbligo del segreto professionale su quanto hanno conosciuto per ragione della loro professione esercitata sia in regime di lavoro dipendente, pubblico o privato, sia in regime di lavoro autonomo libero-professionale”. 66 Quindi il segreto professionale è un obbligo giuridico che consiste nel non rivelare a terzi quanto appreso nell'esercizio della professione. Art. 200 CPP Segreto professionale Non possono essere obbligati a deporre su quanto hanno conosciuto per ragione del proprio ministero, ufficio o professione, salvi i casi in cui hanno l'obbligo di riferirne all'autorità giudiziaria (..), gli esercenti altri uffici o professioni ai quali la legge riconosce la facoltà di astenersi dal deporre determinata dal segreto professionale. 622 C.P. Rivelazione di segreto professionale Chiunque, avendo notizia, per ragione del proprio stato o ufficio, o della propria professione o arte, di un segreto, lo rivela, senza giusta causa, ovvero lo impiega a proprio o altrui profitto, è punito, se dal fatto può derivare nocumento, con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 30 a euro 516 e Nonè necessario che il danno si realizzi, basta che vi sia il pericolo di un danno potenziale. Art. 331 CPP Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio Salvo quanto stabilito dall'articolo 347, i pubblici ufficiali* [357 c.p.] e gli incaricati di un pubblico servizio** [358 c.p.] che, nell'esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. *Agli effetti della legge penale, sono pubblici ufficiali che esercitano una pubblica funzione legislativa, giudiziaria o amministrativa. Es. ufficiale giudiziario, consulente tecnico, testimone, assistente universitario, ispettore sanitario di un ospedale, i membri della commissione edilizia comunale, il portalettere, i carabinieri e gli agenti di Pubblica Sicurezza **Agli effetti della legge penale, sono incaricati di un pubblico servizio coloro i quali prestano un pubblico servizio. Es. esattori di una società concessionaria dell'erogazione del gas, impiegati di enti pubblici che prestano la loro collaborazione ai pubblici ufficiali nell'opera da questi espletata, custode del cimitero, i presentatori- conduttori delle trasmissioni televisive Art. 33 Codice deontologico: Eventuali deroghe al segreto professionale e all'obbligo di riservatezza, in particolare in riferimento alle seguenti fattispecie: a. rischio di grave danno alla persona o a terzi, in particolare minorenni, incapaci o persone impedite a causa di condizioni fisiche, psichiche o ambientali 67 e) Necessario per l'esecuzione di un compito di interesse pubblico o connesso all'esercizio di pubblici poteri di cui è investito il titolare del trattamento; f) Necessario per il perseguimento del legittimo interesse, a condizione che non prevalgano gli interessi o i diritti e le libertà fondamentali dell'interessato che richiedono la protezione dei dati personali, in particolare se l'interessato è un minore. Il trattamento dei dati sensibili è autorizzato: Con il consenso esplicito dell'interessato e per finalità specifiche Se è necessario per assolvere gli obblighi ed esercitare i diritti specifici del titolare del trattamento in materia di diritto del lavoro e della sicurezza sociale e protezione sociale, nella misura in cui sia autorizzato dal diritto dell'Unione o degli Stati membri Se è necessario per tutelare un interesse vitale dell'interessato o di un'altra persona fisica qualora l'interessato si trovi nell'incapacità fisica o giuridica di prestare il proprio consenso Se è necessario per motivi di interesse pubblico rilevante sulla base del diritto dell'UE o degli Stati membri Se è necessario per finalità di medicina preventiva o del lavoro, valutazione della capacità lavorativa del dipendente, diagnosi, assistenza o terapia sanitaria o sociale ovvero gestione dei sistemi e servizi sanitari o sociali sulla base del diritto dell'Unione o degli Stati membri o conformemente al contratto con un professionista della sanità, fatte salve le condizioni e le garanzie (ovvero se tali dati sono trattati da o sotto la responsabilità di un professionista soggetto al segreto professionale o da altra persona anch'essa soggetta all'obbligo di segretezza) L'accesso agli atti » L. 241/1990 sul procedimento amministrativo >» D.Lgs. 33/2013 FOIA- Freedom of Information Act La trasparenza è intesa come accessibilità totale dei dati e documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, allo scopo di tutelare i diritti dei cittadini, promuovere la partecipazione degli interessati all'attività amministrativa e favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche. 70 » Accesso documentale ai sensi della L. 241/90 sul procedimento amministrativo: il soggetto privato, anche portatore di interessi pubblici o diffusi, dev’essere titolare di un interesse diretto concreto ed attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso. » Accesso civico semplice: chiunque può richiedere i documenti, le informazioni o i dati che l'ente abbia omesso di pubblicare, pur avendone l'obbligo ai sensi del D.Lgs. 33/2013 » Accesso civico generalizzato: chiunque può chiedere di accedere a dati, documenti ed informazioni detenuti dalla PA, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti, secondo quanto previsto dall'art. 5 bis del D.Lgs. 33/2013 Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull'utilizzo delle risorse pubbliche e di promuovere la partecipazione al dibattito pubblico, chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle PA, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione (obbligatoria ai sensi del D.Lgs. 33/2013), nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti. L'esercizio del diritto di accesso non è sottoposto ad alcuna limitazione quanto alla legittimazione soggettiva del richiedente. L'istanza di accesso civico identifica dati, informazioni o documenti richiesti e non richiede motivazione L'accesso civico è rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno degli interessi pubblici inerenti a: a) sicurezza e ordine pubblico b) sicurezza nazionale c) difesa e questioni militari d) relazioni internazionali e) politica e stabilità finanziaria ed economica dello Stato f) conduzione di indagini sui reati e il loro perseguimento g) regolare svolgimento di attività ispettive. L'accesso è altresì rifiutato se il diniego è necessario per evitare un pregiudizio concreto alla tutela di uno dei seguenti interessi privati: a) protezione dei dati personali, in conformità con la disciplina legislativa in materia; b) libertà e segretezza della corrispondenza; c) interessi economici e commerciali di una persona fisica o giuridica, ivi compresi la proprietà intellettuale, il diritto d'autore e i segreti commerciali. Art. 35 Codice deontologico L'AS agevola la persona, o i suoi rappresentanti legali, nell'accesso alla documentazione che la riguarda, nel rispetto delle norme in materia. Il professionista assicura che siano protette le eventuali informazioni relative a terzi e quelle che potrebbero danneggiare gli interessati. Si adopera, inoltre, affinché l'eventuale accesso di altri soggetti ai documenti amministrativi o professionali rispetti i criteri e le limitazioni prescritte dalla normativa vigente. 20.05.2021 Interdisciplinarità e lavoro di gruppo e con i gruppi Ogni persona umana è inserita in un contesto di relazioni. La “rete” rappresenta "/a trama dei rapporti costruiti dalle persone nella vita quotidiana”. Le "reti sociali includono tutti i rapporti che una persona instaura con gli altri in un contesto di interazione reciproca”. “Il concetto di rete sottende che l'uomo è un soggetto in interazione con altri, capace allo stesso tempo di influenzarli ed esserne influenzato” 71 Le reti si distinguono in: e Reti primarie informali: familiari, amici, colleghi, conoscenti, vicini ecc. > Rapporti di affetto e reciprocità e Reti secondarie informali: persone che fanno parte della rete primaria e che offrono il loro aiuto in forma volontaria (associazionismo) > Spinta etica/solidaristica e Reti secondarie formali: istituzioni ed enti pubblici > Asimmetria e professionalità e Retiartificiali: gruppi di auto-mutuo aiuto, di pressione ecc. > Condivisione di una situazione in comune È necessario identificare e coinvolgere le diverse reti di cui fa parte la persona, in particolare quello che viene definito il reticolo personale (nicchia esistenziale) La rete può esseri o Coesa e omogenea: unico gruppo (può essere: chiusa, poco disponibile a apprendere nuovi comportamenti, disponibile, esclusiva) o Frammentata: sottogruppi, ogni gruppo è separato dagli altri (può essere: più mobile e flessibile, fornire sostegno meno stabile, confusiva se i valori sono in contraddizione) o Dispersa: le persone non si conoscono tra loro La rete può (doppia faccia della medaglia): *«* Fornire sostegno, calore affettivo, aiuto «*» Creare dipendenza, rinforzare l'emarginazione, causare disfunzionamenti Lavoro di rete significa ricercare sinergie fra i sistemi, partendo dai punti di forza presenti; lavorare in rete significa coinvolgere, mobilitare, senza isolare i bisogni individuali, bensì rendendoli collettivi per creare le premesse del benessere sociale (Folgheraiter 1995). Fare lavoro di rete, pertanto, consiste nell’operare per creare e rinforzare legami, per promuovere integrazioni, e nuove opportunità di comunicazione fra persone, istituzioni e altre risorse, allo scopo di farle tutte convergere in azioni condivise, creando quelle che sono definite “partnership sociali” » Cosa significa nel lavoro con le persone? Lavoro DI rete: azione di raccordo finalizzata a facilitare sinergie tra le risorse (formali e informali) in funzione del benessere della persona; supporto alle reti esistenti e promozione di nuove reti. Finalizzazione ad una unica risultante progettuale. Lavoro CON la rete: azione di guida blanda esercitata dall'operatore perché la rete possa attivarsi, funzionare, autoregolarsi, divenire autonoma Lavoro IN rete: azione di coordinamento tra professionisti e interventi per evitare disfunzioni, sovrapposizioni, sprechi (razionalizzazione risorse e efficacia interventi multiprofessionali) 72 L'integrazione professionale - Complessità degli aspetti > approccio multidisciplinare - Globalità dei bisogni> necessità di non frammentare la persona e gli interventi } Costruire una visione e un approccio comune, condiviso dai professionisti e dalla persona affinché si operi per gli stessi obiettivi e ogni intervento sia coerente con gli altri - Condivisione di tecniche e strategie operative - Ricerca e definizione di codici comunicativi comuni (linguaggi) - Arricchirsi dello sguardo degli altri - Evitare la dispersione della persona in percorsi burocratici, con passaggi ridondanti Buone prassi del lavoro in equipe... Elementi che definiscono i contorni di una “buona prassi” nella collaborazione multidisciplinare o Evitare stereotipi Uno dei problemi che possono emergere e che possono precludere una collaborazione efficace sta nel ricorso sistematico agli stereotipi. Ogni figura delle professioni d'aiuto coltiva una nutrita serie di stereotipi verso le altre, deformazioni della realtà che ostacolano, una collaborazione efficace. È necessario impegnarsi nelle interazioni con i colleghi rapportandoci a loro come persone in carne ed ossa senza accontentarsi degli stereotipi o Comprendere i rispettivi ruoli Altro ingrediente fondamentale è comprendere le funzioni delle altre figure professionali. Se non sappiamo metterci in sintonia con i compiti che devono svolgere non potremmo renderci conto del lavoro che debbono affrontare. o Riconoscere i valori e le priorità degli altri Ogni gruppo professionale tende a sviluppare un suo bagaglio di valori e priorità. Nel lavoro sociale ad es. la priorità è rappresentata dall'impegno per la giustizia sociale, al medico invece interessa più la salute della giustizia sociale. La diversità di opinioni non deve ostacolare la qualità del lavoro con le persone. o Evitare gerarchie Quando più gruppi di persone si trovano a collaborare esiste sempre il rischio che si sviluppi una gerarchia. Ne può derivare una situazione di esplicita rivalità tra figure professionali diverse al punto che questo distolga l’attenzione dal compito essenziale di essere d'aiuto alle persone + investire sulla partnership o Evitare personalismi Può capitare di sentirsi molto vicini alle persone con cui lavoriamo, il rischio in questo caso è di eccedere nei personalismi, come se l'utente fosse solamente il 75 yu “nostro utente”. E scorretto reclamare una sorta di “proprietà” in quanto su una persona vi lavorano più professionisti. o Puntare su una buona comunicazione linguaggio condiviso Quando collaboratori di estrazione diversa si trovano a collaborare è prioritario che riescano a comunicare bene tra loro. Se i canali di comunicazione interdisciplinare non funzionano bene, la qualità del servizio potrebbe risentirne Discipline diverse possono apportare punti di vista diversi, da cui una prospettiva tendenzialmente olistica, che può rivelarsi molto più valide della visuale ristretta dei singoli operatori. La programmazione può trarre notevoli benefici dallo sviluppo di una collaborazione multidisciplinare di alta qualità. Esempi di lavoro di gruppo nella pratica professionale: «<* Unità di valutazione multidimensionale per gli anziani (medico di distretto, infermiere, assistente sociale, medico di medicina generale, specialisti ecc.) Unità di valutazione multidimensionale per la disabilità (neuropsichiatra infantile/psichiatra, psicologo, assistente sociale, educatore, medico ecc.) Gruppi di lavoro nell’area della salute mentale + gruppi di auto-mutuo aiuto Gruppi di lavoro nell’area delle dipendenze+ gruppi di auto-mutuo aiuto Gruppi di lavoro nell’area minori e famiglie st * * * st * st * Lavoro di comunità 20.05.2021 Casework Groupwork Community work Sotto l'influenza delle teorie ecologiche e sistemiche, si supera gradualmente la divisione dei tre metodi di servizio sociale per orientarsi verso un approccio olistico e unitario, che possa tenere conto della globalità della persona e di tutte le dimensioni coinvolte. » Una delle dimensioni di lavoro è quindi quella della comunità Ottica trifocale nell'azione dell’AS: » Persona » Organizzazione di lavoro » Territorio/ambiente Il senso di comunità Non vi può essere lavoro di comunità senza un adeguato senso di comunità. Secondo McMillan e Chavis (1986) vi sono 4 elementi chiave nella costruzione del senso di comunità: 1. Senso di appartenenza La sensazione di far parte di un tutto integrato, che connette reciprocamente i componenti. Si raggiunge mettendo confini fisici/tangibili o simbolici (il dialetto, i riti ecc.). Le persone si sentono al sicuro, riconoscono l’altro e si sentono riconosciute, investendo risorse ed energie nella comunità. 76 2. Connessione emotiva condivisa È il legame emotivo ed affettivo che sussiste tra i membri, ciò che fa sentire uniti e dipende dalla qualità dell'interazione. 3. Potere Effettiva capacità di produrre o impedire cambiamenti. e Singolo verso la comunità e la propria vita e Comunità verso il singolo (efficaci processi partecipativi) e Comunità verso l'esterno 4. Integrazione e soddisfazione dei bisogni Percezione abbastanza certa da parte dei membri di una data comunità che i loro bisogni saranno soddisfatti mediante l’accesso alle risorse fruibili in base all’appartenenza a quello spazio comunitario. Lo sviluppo di comunità Nel 1955 troviamo la dicitura “sviluppo comunitario” all’interno di una relazione del Segretario Generale al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite : Social Progress through Community Development “L'espressione sviluppo comunitario è entrata nel linguaggio internazionale per designare l'insieme dei processi mediante i quali gli abitanti di una determinata zona uniscono i loro sforzi a quelli dei pubblici poteri allo scopo di migliorare la situazione economica, sociale e culturale della comunità, di associarla alla vita della nazione e di porla in grado di contribuire al progresso del Paese. Tutti questi processi presuppongono due elementi essenziali: la partecipazione attiva degli abitanti agli sforzi intrapresi per migliorare il livello di vita e la massima iniziativa possibile della popolazione stessa; la disponibilità di servizi tecnici ed altri in forma tale da favorire e rendere più efficace l'iniziativa, l'assistenza reciproca e l’aiutarsi da sé. È su tali elementi che si basano i programmi di sviluppo di comunità, la cui attuazione deve permettere di realizzare tutta una serie di definiti miglioramenti”. Inizia nel Dopoguerra in Europa un fermento di iniziative che parte dalle esperienze anglosassoni, passa per la Francia e i centri sociali in Italia, per arrivare poi ai temi più raffinati della programmazione territoriale. 1946 Convegno di Tremezzo: riconosce il servizio sociale di comunità come strategia sia di promozione e sviluppo di processi democratici, sia di responsabilizzazione della comunità nei confronti dei propri problemi. Questo approccio porta all'inserimento di AS in zone urbane e rurali disagiate e prive di servizi adeguati. Attraverso i centri sociali, si creano spazi destinati alla vita associativa e alla crescita delle relazioni tra cittadini, per attivare il loro capitale umano insieme alle risorse del territorio e migliorare il livello di sviluppo socio-economico della comunità. 77 Sensazione di avere potere: - Nella propria vita+ senso psicologico di controllo - Sul piano interpersonale e politico (istituzioni e vita comunitaria) è contrastare attivamente strutture e sistemi che riproducono forme inaccettabili di imposizione di potere - Verso i servizi sociali istituzionali L'organizzazione di comunità L'organizzazione di comunità è un “processo attraverso il quale una comunità identifica i propri bisogni o obiettivi, dà ad essi priorità, sviluppa la fiducia e la volontà di lavorare per essi, trova le risorse (interne ed esterne) per fronteggiarli, e così facendo estende e sviluppa atteggiamenti collaborativi e pratiche cooperative nella comunità” In questa definizione “processo” si riferisce ad un movimento che va dall’identificazione di un problema o obiettivo, all’individuazione di una soluzione del problema o il raggiungimento dell'obiettivo da parte della comunità. Quindi il processo di org. di comunità corrisponde alla capacità di una comunità di funzionare come una unità integrata rispetto a problemi collettivi. I programmi organizzativi di tipo comunitario devono avere le loro radici nella comunità stessa. o Una corretta istruttoria e valutazione dei bisogni è il prerequisito necessario per l'avvio di qualsiasi programma © Un principio fondamentale è fare un uso massimo ed ottimale delle risorse prima di crearne di nuove o chiederle all’esterno o È generalmente desiderabile che i servizi siano indigeni alla comunità o Bisogna attuare un processo di progettazione partecipata Identificare il problema, analizzare il contesto, dare priorità, selezionare una priorità adeguata, mobilitare risorse, formulare un piano d'azione, attuare, monitorare, valutare, modificare, continuare. L'educazione di comunità Interventi orientati a promuovere apprendimento e sviluppo sociale per individui e gruppi nelle loro comunità, utilizzando metodi formali e informali. Lo scopo di questo approccio è sviluppare la capacità di gruppi/individui (in particolare attraverso la metodologia dell'educazione degli adulti o dell'educazione popolare) attraverso azioni collettive volte a migliorare la qualità della vita della comunità Nucleo della prospettiva: incremento della capacità dei cittadini di partecipare ai processi democratici L'educazione di comunità opera prevalentemente nel sistema informale e la sua nascita corrisponde ad una posizione critica circa alcuni aspetti del sistema educativo formale ritenuto inadeguato a facilitare processi di apprendimento e 80 sviluppo di ampie fasce della popolazione, in particolare nei confronti dei soggetti svantaggiati e degli strati più poveri della popolazione. Dagli anni 70 l'educazione comunitaria ha influenzato le pratiche di animatori, operatori sanitari, progettisti e architetti, che hanno focalizzato i loro interventi sulle tecniche del lavoro con gruppi e comunità svantaggiate. L'educazione comunitaria è una pratica antidiscriminatoria basata su attività di apprendimento e di sviluppo tese a migliorare la vita delle persone e a accrescere la loro sfera di influenza. =» Educazione » Sensibilizzazione » Coscientizzazione: o coscienza collettiva: il problema non è solo di chi lo vive o coscienza sociale: correlazione tra dimensione strutturale e dimensione sociale dei problemi o coscienza politica: programmi di cambiamento strutturale a livello politico istituzionale » Il riferimento teorico più importante è Paulo Freire Pedagogia degli oppressi ** Critica dell'educazione come strumento di pura trasmissione del sapere che relega le persone e i gruppi sociali in ruoli passivi, di semplice ricezione e adattamento passivo (educazione depositaria) «* Affermazione delle potenzialità creatrici e liberatrici dell'educazione come prassi orientata al cambiamento e come forma dialogica di comunicazione Lavoro di sensibilizzazione e coscientizzazione alfabetizzazione — coscientizzazione — liberazione st * La presa di coscienza critica di tipo problematizzante permette di stimolare un processo di attivazione collettiva per l’autopromozione comunitaria Programmazione sociale partecipata Dalle prime esperienze di servizio sociale di comunità realizzate in alcune aree si è passati, attraverso riforme amministrative e sociali, all'ipotesi di servizio sociale di zona (L. 328/2000) m Dimensione territoriale del lavoro sociale m Sussidiarietà orizzontale m Partecipazione (incompiuta!) dei cittadini/associazioni C'è una differenza fondamentale con lo sviluppo di comunità: nella programmazione sociale l’obiettivo è l’infrastrutturazione sociale, mentre nello sviluppo di comunità è il processo (partecipazione e controllo democratico dei progetti) Fasi per la programmazione integrata e partecipata o Analisi della comunità o Analisi organizzativa: rapporto servizi/bisogni - territorio/risorse 81 o Coinvolgimento istituzioni, terzo settore, cittadini o Negoziazione e definizione di obiettivi e priorità o Assunzione di responsabilità, definizione di vincoli e risorse, integrazione e connessione (chi fa cosa, come quando, in che modo, con chi) o Verifica in itinere ed ex post: traguardi raggiunti, livello di soddisfazione, qualità del processo, nodi critici, riprogettazione Analisi della comunità Analizzare la comunità in cui si va ad operare è un'operazione complessa. Tuttavia, conoscere a fondo la comunità è la pre-condizione essenziale per poter impostare un qualsiasi lavoro. Bisogna infatti tenere presente: contesto in cui si lavora, bisogni, aspettative, desideri, risorse, storia, organizzazione, i sotto-gruppi e le loro interazioni. Elementi fondamentali per definire una comunità: contesto territoriale, profilo demografico, profilo delle attività produttive, dei servizi, istituzionale, antropologico-culturale, psicologico e sociale. ZR Pg.192 Modelli derivanti da teorie psicologiche 27.05.2021 Modello problem solving, Modello psico-sociale, Modello centrato sul compito, Modello di modificazione del comportamento... Modelli derivanti da teorie ecologiche- sistemiche Modello esistenziale, Modello unitario, Modello integrato, Modello unitario centrato sul compito, Modello sistemico-relazionale, Modelli di rete... Due modelli: - Lavoro sociale e relazionale (Folgheraiter-Donati) - Modello bioecologico dello sviluppo umano Modelli alla base del programma - Modello della resilienza } PIPPI IL PROGRAMMA P.I.P.P.I. Programma di Intervento per la Prevenzione dell’'Tstituzionalizzazione Programma elaborato dal LABRIEF laboratorio di ricerca dell'università di Padova in collaborazione con il ministero lavoro e politiche sociali, metodologia di intervento con le famiglie con minori in particolare famiglie negligenti. > Obiettivo è aumentare la sicurezza dei bambini (ridurre il rischio di allontanamento dalle famiglie) e migliorare la qualità del loro sviluppo “Il Programma persegue la finalità di innovare le pratiche di intervento nei confronti delle famiglie negligenti al fine di garantire ad ogni bambino una valutazione approfondita e di qualità della sua situazione familiare, articolando in modo coerente fra loro i diversi ambiti di azione coinvolti intorno ai bisogni dei bambini, tenendo in ampia considerazione la prospettiva dei genitori e dei bambini stessi nel costruire l’analisi e la risposta a questi bisogni” 82 - Che al primo collocamento esterno non seguano collocamenti multipli - Che la famiglia di origine sia inclusa nel progetto come protagonista e non solo come destinataria, e che la relazione bambino-genitori di origine sia oggetto specifico di intervento - Che gli operatori coinvolti nel programma siano motivati e formati in maniera adeguata a coinvolgere entrambi i genitori e i figli nel progetto Con PIPPI> L'idea di proteggere il minore non è superata, ma l'approccio olistico e sistemico ci dice che dobbiamo operare su tutti i sistemi non solo sul minore. Dobbiamo superare l’idea assurda di proteggere il minore dai genitori, assumendo una prospettiva relazionale che non ponga in antitesi il benessere del bambino con il benessere dei genitori (al contrario coniugandoli tra loro). » Lavorare sullo spazio relazionale, per rinforzarlo e sostenerlo, piuttosto che indebolirlo ulteriormente allontanando il minore Proteggere spazio relazionale significa mettere in atto, sperimentare e valutare un programma multidimensionale specifico per rispondere ai bisogni delle famiglie negligenti, basato sulle /oro risorse e del loro ambiente vitale. Aiutare le famiglie a: - Affrontare i loro problemi - Assumersi le responsabilità - Migliorare competenze genitoriali - Migliorare la qualità delle relazioni Rompere il ciclo dello svantaggio sociale Antitesi della costituzione + a prescindere dal contesto in cui si nasce Riferimenti teorici » Il modello bio- dimensioni ecologico dello sviluppo umano di Bronfernbrenner Lavoriamo con 4 sistemi: /a_ singola persona con le sue caratteristiche; il processo (relazione dinamica bambino-contesto), il contesto (come ecologia di sistemi), il tempo La crescita del bambino non è determinata in modo causale da quanto accade in un unico sistema, ad es. la relazione bambino-genitori, ma si realizza grazie all'interazione tra i diversi sistemi. La crescita del bambino avviene anche grazie a come gli adulti si accordano, nel senso musicale del termine, per trovare un intervallo armonico secondo la prospettiva della co-educazione, grazie alle possibilità di crescita degli adulti stessi e alle risorse culturali del contesto micro e macro di vita. Le relazioni nei diversi sistemi sono da ritenere sia risultati dello sviluppo avvenuto fino ad un dato momento sia generatori di possibilità di sviluppo futuro. E necessario operare sia all'interno di ciascun sistema affinché le persone possano prendervi parte in modo attivo, sia sulla comunità spaziale e 85 temporale tra i diversi sistemi costruendo ponti che permettano di attraversare confini e quindi di passare in modo facile e consapevole da un sistema all’altro. E auspicabile che ciascuna persona si renda responsabile del suo agire nel singolo sistema e della connessione con gli altri sistemi con cui è in relazione > Modello della resilienza La resilienza è la capacità di attivare processi di riorganizzazione positiva della propria vita, di raggiungere un certo livello* di stabilità e benessere emotivo, familiare, lavorativo, finanziario, a dispetto di esperienze critiche che, di per sé, avrebbero potuto sfociare in esiti negativi. *"certo livello” livello soggettivo di benessere, ci interessa che raggiungano un livello sufficiente di benessere che può essere raggiunto a stadi diversi in situazioni differenti La resilienza è la risultante di un processo ecologico di interazione tra persona e ambiente (contesto) sul quale interferiscono: le caratteristiche personali e le determinanti sociali, come la disponibilità e accessibilità dei servizi di welfare. Anche se i bambini presentano fattori di vulnerabilità personali importanti (attaccamento non sicuro, difficoltà di apprendimento ecc.), nessuno di questi fattori renderà necessariamente difficile la vita adulta se quei bambini potranno crescere in contesti ricchi di risorse, in cui qualcuno (un adulto significativo, una istituzione, la loro cultura) metta a disposizione ciò di cui hanno bisogno per crescere. Esito positivo: non dipende dal livello iniziale ma dalla qualità del processo di intervento che le istituzioni mettevano in atto; scarsa qualità=esiti minori Sistema sociale: propone un modello di relazione antitetico a quello necessario alla costruzione della nostra identità, chi ha altre risorse ce la fa chi non le ha non ce la fa. Quattro punti cardinali: > Nord Decentrarsi dal bambino, concentrarsi sul rendere un contesto nutritivo, migliore. Concentrarsi sulle relazioni che il bambino ha nel suo contesto. L'attenzione spasmodica al minore rischia di esacerbare le sue difficoltà. Sollevare il bambino da uno sguardo focalizzato sulle sofferenze e mancanze, per porre attenzione sulle relazioni e sul contesto. La possibilità e il cuore del cambiamento non sono situati né nel bambino né nell'ambiente, ma si esprimono nel processo in cui l’ambiente provvede a fornire il bambino di risorse che sarà in grado di utilizzare per la sua crescita, quindi nella modalità in cui questi entrano in relazione. 86 Relazioni di qualità> il bambino avrà possibilità di crescita positiva. Relazioni significative con adulti di riferimento anche all’esterno della famiglia possono rendere quello di cui ha bisogno per crescere. > Sud Tenere sempre presente la complessità delle situazioni e dei processi. Non utilizzare una logica diagnostica centrata sulla patologia (“ingredienti” per curare una malattia) o sulle classificazioni (persona resiliente/non resiliente). Pensiamo sempre in ottica di processo. Una persona può essere resiliente in determinate circostanze, le caratteristiche personali non sono statiche ma sempre dinamiche. Pensare in ottica di processo ci toglie da una necessità di definire, sguardo attuale e circostanziale in movimento. Il nostro lavoro non avrà mai un termine perché i processi della vita andranno avanti, però che la famiglia dopo il lavoro con l’AS potrà riprendersi nei processi che si andranno a mutare > Ovest Atipicità Questo punto cardinale ci suggerisce di non guardare alla resilienza e ai percorsi di crescita definendo i comportamenti come buoni o cattivi. Concetto chiave: metterci in ascolto per comprendere il senso, le persone si comportano in un certo modo perché dal loro punto di vista quel comportamento ha senso. Non possiamo giudicare quel comportamento dal nostro punto di vista. La ‘resilienza nascosta” evidenzia che la partenza può essere insita in qualcosa di apparentemente “non adatto” e i percorsi resilienti sono spesso intrisi di creatività La resilienza si manifesta anche in modalità “non tipiche” che possono apparire bizzarre ma viste dal punto di vista di chi attua quel comportamento risultano necessarie per intraprendere un percorso nuovo che porti il soggetto ad utilizzare nel tempo modalità socialmente più accettabili che non incrementino la sua vulnerabilità. > Est Relativismo culturale Bisogna essere in grado di comprendere le sfumature della cultura di ciascun nucleo familiare, di rispettarla, valorizzarla come risorsa e insieme a bambini e genitori negoziare la relazione tra tale cultura, quella dei servizi, della scuola e del contesto di vita, che non si presentino in sintonia. In un mondo globalizzato in cui si ha la possibilità si entrare in contatto con persone che provengono da latri contesti culturali, le pratiche educative genitoriali rappresentano un esempio per comprendere quanto la cultura della genitorialità sia legata alle esperienze fatte nel corso della vita. 87 » Lavoro di equipe (allargata, inter-professionale) e Persona significativa per la famiglia e I genitori e la famiglia Gruppo di lavoro integrato in cui sono presenti tutte e persone, la famiglia dentro l’equipe è il centro e il cuore del lavoro. Programma che utilizza il riferimento teorico: “Il mondo del bambino”, strumenti: 4 dispositivi + 1: Educativa domiciliare Gruppi per genitori e bambini Attività di raccordo scuola/servizi Famiglia d'appoggio (affidataria, riferimento per genitori e minore) Sostegno economico o 000 o >Metodo di valutazione partecipativa e trasformativa La valutazione partecipativa e trasformativa » Processo di apprendimento Chi lavora con il programma PIPPI crea una relazione affettuosa, nutritiva e viva con la famiglia. Il metodo di valutazione partecipativa e trasformativa implica un processo in cui operatori e famiglie imparano, per tutti è un processo trasformativo. Si è tutti portatori di esperienza competente diversa, si costruisce insieme. Non è scontato nella nostra cultura, cultura tecnocratica. La conoscenza è sempre frutto dell'interazione, non esiste conoscenza oggettiva separata dalla comprensione di ciò che si ha di fronte in un senso più ampio. - Nella nostra cultura non siamo abituati a pratiche che prevendono la partecipazione - Siamo abituati a trovare persone che ci diano delle risposte e ci indichino i comportamenti più adeguati da seguire Le nostre famiglie sono dei sistemi complessi, per poterle conoscere bisogna entrarci in relazione, altrimenti le nostre azioni saranno fallaci. Il programma segue gli stessi passi del procedimento metodologico (accoglienza...) solo che ogni fase è preceduta e seguita da un momento di riflessione e negoziazione, implica che il punto di vista di nessuno è privilegiato. Si negozia tra punti di vista diversi per arrivare a un punto comune, ognuno è potatore di qualcosa alla pari, ognuno si spoglia di un pezzo per accogliere quello dell'altro per trovare un significato comune. » Costruire il senso dell'intervento e favorire la gerarchia delle relazioni Nel metodo della valutazione partecipativa e trasformativa proposto da PIPPI la prima preoccupazione di un operatore è la costruzione del senso dell'intervento da svolgere insieme alle famiglie. Successivamente il progetto di vita e la distribuzione dei compiti dei professionisti avviene naturalmente in base alle competenze di ciascuno in una cornice di riferimento in cui è stato definito ciò 90 di cui ha bisogno la famiglia, collocandosi oltre le gerarchie istituzionali favorendo una gerarchia delle relazioni. All’interno dell'equipe chiunque può essere il case manager, non per forza |’AS, lo fa chi ha la relazione più significativa con la famiglia (può essere anche l’educatore). - Capire come costruire il senso di quello che facciamo insieme La valutazione partecipativa e trasformativa integra e allo stesso tempo supera la valutazione intesa in senso diagnostico. La diagnosi presuppone una gerarchia di livelli nella conoscenza. Invece la VPT: - Integra i punti di vista, le diagnosi, le informazioni, le analisi, la raccolta dei dati di fatto, delle opinioni tramite il lavoro di un'equipe multidisciplinare, che rappresenta il contesto in cui riflettere in maniera aperta e sistematica su tale insieme di dati per costruirne un'analisi globale e condivisa; - È finalizzata a mobilitare le risorse della persona/famiglia attraverso la costruzione partecipata e graduale di una progettazione e della sua concreta realizzazione in vista della trasformazione delle condizioni che hanno provocato la situazione di povertà. Le persone sono portatrici di esperienza competente sulla propria vita, la competenza non è in capo al professionista. Il professionista non si pone in una posizione gerarchicamente superiore, non c'è l'autorità dell'esperto ma autorialità delle persone rispetto alla propria vita. Per questo la persona è il centro del percorso trasformativo e partecipativo e ne è il protagonista. Spirale della valutazione partecipativa e trasformativa+ parte dalla segnalazione, seguita poi da accoglienza, progettazione, intervento e infine la chiusura, tra una tappa e l’altra si pone un momento di riflessione e negoziazione, e alla chiusura del percorso si giunge all'autonomia della famiglia. La spirale rappresenta la circolarità del percorso. A volte è difficile distinguere le varie tappe e questo è tanto più vero nella valutazione partecipativa e trasformativa che richiede non solo la partecipazione dei professionisti nel percorso, ma anche la partecipazione delle famiglie. Tale partecipazione ha in sé una funzione trasformativa, ovvero il miglioramento delle pratiche dei professionisti e quello della vita quotidiana delle famiglie Per realizzare questo, la valutazione partecipativa e trasformativa prevede che ogni tappa sia preceduta e seguita da momenti di riflessione e negoziazione, che richiedono a professionisti e famiglie di lavorare insieme e dare a ognuno la possibilità di esprimere il proprio punto di vista e di vedere come questo viene considerato alla pari degli altri. Il fatto di avere a che fare con delle situazioni di incertezza può spingere gli operatori a cercare strumenti che diano risposte certe. Nelle famiglie negligenti c'è un rischio di pregiudizio nei minori (dipendenza, esclusione). Noi lavoriamo 91 in un contesto in cui il minore è esposto a pregiudizio. Dove fallisce il processo vi saranno ripercussioni sul benessere del bambino questo porta ansia*, ci induce a cercare modelli diagnostici che danno sicurezza, ci aiutano a uscire dall’incertezza che può logorare. Nelle situazioni in cui lavoriamo non ci sono mai risposte certe è sempre un approssimarsi alla cosa migliore possibile, bisogna tollerare l'incertezza, margini di ambiguità » L'unica cosa che salva è la qualità del processo Il metodo della VTP non ricerca strumenti che danno risposte, quanto piuttosto strumenti che consentano maggiore comprensione della situazione, condivisione, coscienza critica, circolazione di pensiero, che rendano le decisioni e il processo decisionale affare di tutti. - Ogni bambino è unico, ogni situazione è unica, si possono creare pattern ma l'importante è dare qualità *Suggerimenti che vengono dati agli operatori + scheda di sostegno agli operatori e Creare clima positivo: parole positive, mettersi in ascolto * Autenticità e rispetto della persona: riconoscere forze e debolezze affinché le persone ci percepiscano come “veri” e Visione ottimista: postulare che il cambiamento positivo sia possibile e Embpatia: non essere distaccati, senza confondere ciò che è proprio con quello che è dell’altro, non proiettare le nostre aspettative e Trasparenza: esplicitazione delle “regole del gioco” e Ricerca attiva delle competenze: ammettere che la persona può risolvere dei problemi e che li abbia risolti anche in passato * Privilegiare i punti di forza: ripetere un comportamento positivo è più facile di eliminarne uno negativo e Empowerment: dare potere e fiducia, lavorare “con” e Creare reciprocità: permettere alla persona di aiutarci e Ricercare le eccezioni: quando il problema atteso non si verifica e Lasciare che la persona esprima i suoi progetti: e Obiettivi chiari e realisti: obiettivi positivi, micro obiettivi piccoli passi che siano concreti e non imprecisi e Responsabilizzare e non colpevolizzare: la colpa blocca qualsiasi possibilità di trasformazione e Accettare i nostri limiti: malgrado i nostri sforzi la persona può non collaborare Il mondo del bambino Triangolo strumento che si usa in equipe, famiglie e bambino per avvicinarsi alla situazione Al centro si mette la foto del bambino, strumento pratico che facilita il dialogo, definire i bisogni di sviluppo del bambino e come i genitori e il contesto riescono a rispondere ai bisogni. 92 Si pone a metà strada> sulla relazione La teoria relazionale fissa il baricentro nel punto centrale tra l'operatore e le persone nei “mondi della vita”, ossia le comunità umane dove le persone e le famiglie vivono e si ritrovano. Il paradigma relazionale considera l’aiuto come una processo emergente dalle relazioni sociali ben-intenzionate. Da questa definizione risalta la natura del lavoro sociale inteso come professione che accompagna il “libero farsi del bene” nelle società umane. Questa concezione relazionale non coincide con il noto approccio sistemico di terapia della famiglia che pone enfasi negativa e meccanica sulle relazioni sociali: relazioni interpersonali sono viste come cause dei disagi sociali che necessitano di essere riparate da precisi interventi. Neppure è da confondersi con il lavoro sociale di stampo psicanalitico che si fonda su una matrice clinica estranea alla logica sociale dell'aiuto. Il concetto cardine dell'approccio è un'idea non intuitiva di relazione sociale così come essa è stata elaborata nelle riflessioni sociologiche di Donati e in tutte le principali scienze umane. L'operatore sociale è un professionista che concorre a generare soluzioni incognite associando persone motivate a ricercarle. Egli opera per favorire l’innesco e il rafforzamento di legami fiduciari di grado sufficientemente intimo e profondo. » Aiuto efficace se si instaura un legame intimo e profondo. C'è chi non è d'accordo con questo paradigma+ visione distaccata che non entra in relazione con l‘assistito. AI contrario l'approccio relazionale pensa che il punto curativo è la costruzione e il rafforzamento di legami intimi e profondi. Sguardo che costruisce l'identità dell’atro, quando costruiamo le nostre identità siamo persone in grado di porci sulla scena della vita, in grado di costruire Lungi dall’essere una tecnica oggettiva che prevede risultati certi, il lavoro sociale relazionale considera l’aiuto come un processo in gran parte imponderabile emergente da relazioni sociali ben-intenzionate. Noi lavoriamo nel mondo dell’incerto+ la garanzia di buon processo ce l'abbiamo se lo basiamo sulla relazione. - Ma quindi l'operatore cosa deve essere capace di fare, essenzialmente? Dev'essere capace di mettersi in relazione » Lavoro su di sé, fondamentale perché la relazione si costruisce in due Non deve essere accogliente e empatico in modo forzato, perché così dice la teoria, quindi per un fine strumentale. Deve porsi sul serio in relazione con l’altro, avere desiderio di entrare in relazione con l’altro, sentire che la relazione è reciproca e trasforma anche sé stesso/a, restituendo a entrambe le parti qualcosa di positivo. 95 E per fare questo deve essere capace di porsi in relazione, incontrare l’altro da sé. Alterità> non scontata, l’alterità dell'altro ci mette in difficoltà, nonostante sia irriducibile al nostro essere Il primo strumento che abbiamo: siamo NOI. Se non abbiamo lavorato su noi stessi, se non abbiamo risolto i nostri nodi, affrontato le nostre paure, imparato l'alfabeto emotivo, se non riusciamo a stare in contatto prima di tutto con noi stessi, se fatichiamo a confrontarci con gli altri, se siamo arroccati sulla difensiva, se siamo persone che evitano il contatto reale.... Evitare di andare a proiettare nelle vite degli altri i nostri vissuti, se non riusciamo a stare in contatto con noi stessi non riusciremo a creare spazio in cui l’altro esprima ciò che è. » Importante essere consapevoli Come possiamo facilitare questo stesso percorso per gli altri? Siamo noi il nostro primo caso! I due principi controintuitivi del lavoro sociale relazionale 1) Rispettare l’alterità Punto di partenza: il nostro esistere è un viaggio, da una parte siamo irriducibilmente soli, in quanto in alcuni punti esistenziali la solitudine non viene meno, d'altra parte il nostro benessere è condizionato dall'incontro con l’altro. Lo star bene nel mondo durante il viaggio del proprio esistere è, per ogni persona che pure è irriducibilmente sola in sé stessa, condizionato dall'incontro con l’ “altro da sé” (Levinas) Questo sentire l'umanità altrui legata alla propria, avvertirsi cioè in un legame significativo, vuol dire sentire che la propria vita ha un senso anche fuori da sé stessa, cioè in funzione della responsabilità sociale (Jonas 1979). Responsabilità sociale> percezione di un legame » Quand'è che arriva la percezione di senso per la propria vita? Solitudine e socialità irriducibili, in particolare l’incontro con l’altro da sé, identità altre. Incontro che può dare senso alla nostra vita. Percepirsi dentro legami significativi, percepiamo che la nostra vita ha senso anche fuori da sé stessa in funzione dell'altro. Ecco perché i fondamenti antropologici dei sistemi culturali sono falsi perché ci dicono che ognuno di noi trova senso in sé stesso (noi potremmo avere tutto e non trovare comunque senso) Quando mi apro, perché non posso condurre la mia esistenza in una sfera autoreferenziale, trovo senso 3 Quando l'essere eccede sé stesso e “tracima”: io sto bene compiutamente solo in quanto mi apro, divenendo responsabile per il “mio fratello” (Bauman 2000) Potersi decentrare+ apre all’esterno, a capacità generative che se rimaniamo autoreferenziali non si svilupperanno mai 96 In quanto sento di vivere in funzione di altro rispetto al mero funzionare del mio essere, io sono un essere morale e vado fiero della mia identità (cit.) Questo però vuol dire anche avere cura di noi stessi, essere amorevoli verso i nostri limiti allo stesso tempo uscire da noi stessi. > No senso assistenziale, caritatevole o di sacrificio Per donarmi devo prima essere, costruire la mia identità, raggiungere il mio benessere che si raggiunge in una costruzione del sé. Perché per fare una relazione ci vogliono due alterità, essa esiste solo se gli esseri rimangono distinti. La fusione non è incontro con l’altro ma negazione dell'altro. L'identità del due non esiste, ma esistono identità singole. La fusione non è tracimare da sé > Operare questa fusione: operazione mortale, la relazione sarebbe morta Noi vediamo e tocchiamo l’ALTRO, ma non siamo l’ALTRO La relazione per definizione è possibile solo nell'alterità Levinas spinge questo paradigma all'estremo: anche la pretesa di conoscere l'Altro, per mera sete di sapere o necessità funzionali (es. formulare diagnosi o relazione), vuol dire inquinare la relazione "La conoscenza è sempre assimilazione, con tutto ciò che di “prendere” si trova nel "com-prendere”. La conoscenza più audace e lontana non ci mette in comunione con l’altro, non rimpiazza la socialità: la conoscenza è ancora e sempre una solitudine” (Levinas 1982) Con un'operazione di scavo, di appropriazione dello stato mentale dell'altro stiamo inquinando la relazione, come se noi agiamo una modalità intrusiva verso l’altro. Conoscere comporta in parte un’assimilazione, l’altro lo conosciamo attraverso quello che noi siamo. » La conoscenza è sempre soggettiva nella misura in cui conosco attraverso quello che sono Il processo di conoscenza dell'altro deve rispettare la sua alterità, io non posso includere la sfera esistenziale dell'altro. Quando noi pretendiamo di conoscere l’altro al di fuori dal punto di vista della relazione (ottica diagnostica) stiamo uscendo dalla relazione La relazione con l’altro/famiglia ci chiede di esserci, di metterci in gioco, con un carico emotivo grande che deriva dal confronto con l’alterità genera angoscia. Nella misura in cui ci sottrae alla relazione, al confronto angoscioso e vitale con l’alterità. Come si può declinare questo nel nostro lavoro? Capire la situazione per fini insiti nel lavoro in questo modo, ci pone fuori dalla relazione, in quanto pretendiamo di entrare nell’altro e di conoscerlo. Non posso conoscere se non dentro una relazione che mi chiede di esserci 97
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