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Mezzi di impugnazione - Appello, Appunti di Diritto Processuale Civile

L’istituto giuridico dell’Appello rappresenta uno tra i mezzi di impugnazione attraverso il quale si ha un riesame totale della controversia già decisa dal giudice ([1]) di primo grado. La sentenza emessa dal giudice d’appello assorbe e sostituisce la decisione di primo grado.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 28/04/2019

alessiapollina
alessiapollina 🇮🇹

4.8

(5)

14 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Mezzi di impugnazione - Appello e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! XVII APPELLO Eì la più ordinaria fra tutte le impugnazioni. I connotati fondamentali sono: • è un’impugnazione dall’effetto devolutivo, poiché può sottoporre ad un giudice diverso e superiore lo stesso oggetto sul quale ha già pronunciato il giudice a quo; • ha natura sostitutiva, giacché ha come normale obiettivo sempre e direttamente la pronuncia di una nuova decisione sul merito della causa, la quale prende il posto della sentenza di primo grado; • è utilizzabile a fronte di qualunque vizio della sentenza di primo grado, sia esso in procedendo o in iudicando: ciò perché il giudice d’appello è anch’esso un giudice di merito. Sentenze appellabili e e inappellabili Di regola tutte le sentenze pronunciate in primo grado sono appellabili, salvo diversa disposizione di legge. Le ipotesi più significative di inappellabilità riguardano: • sentente pronunciate secondo equità; • sentenze nei cui confronti le parti si siano accordate per omettere l’appello, alfine di poterle impugnare direttamente (per saltum) per cassazione; • sentenze che dcidono controversia di valore non superiore a 25,82 euro. • Sentenze rese su un’opposizione agli atti esecutivi, che l’art. 618 definisce rese non impugnabili; • Sentenze per le quali la legge preveda un’opposizione dinanzi allo stesso ufficio giuri diario dal quale promanano: in tali ipotesi, l’opposizione instaura un giudizio che è pur sempre considerato di primo grado, sicchè sarà la sentenza con la quale essa viene definita ad essere soggetta ad appello. Giudice competente Competente per il giudizio d’appello è il giudice immediatamente superiore a quello che ha pronunciato la sentenza impugnata: il tribunale (in composizione monocratica) per le sentenze rese dal giudice di pace; la corte d’appello, quando sia impugnata una sentenza del tribunale. La competenza per territorio, inoltre, è attribuita all’ufficio giudiziario nella cui circoscrizione ha sede il giudice che ha pronunciato il primo grado. Oggetto del giudizio L’appello è un rimedio volto a riesaminare l’operato del giudice a qui e ad eminare gli eventuali errori. Questo può cogliersi dall’art. 342 c.p.c. che impone all’appellante d’indicare i motivi specifici dell’impugnazione. I motivi di appello non servono a servono sia a: 1 • individuare i capi della sentenza impugnata; • selezionare le questioni sulle quali il giudice ad quem è chiamato a decidere: nel senso che questo potrà riesaminare le sole questioni che gli siano state riproposte attraverso specifiche censure. Tale impostazione, esaltando la funzione come controllo, ricostruisce in maniera più razionale i rapporto tra primo e secondo grado di giudizio. La cognizione del giudice d’appello resta definitivamente circoscritta alle sole questioni sulle quali la pronuncia del primo giudice sia stata oggetto di specifiche censure nell’atto di appello; ed il grado di specificità richiesto dipende dal livello di specificità della motivazione della decisione impugnata. Le uniche deroghe sono rappresentate: • dalle questioni processuali o di merito, rilevabili d’ufficio anche in sede d’impugnazione e risultanti dagli atti, a condizione che su di esse non vi sia stata un’espressa decisione del giudice a quo; • da tutte le questioni di meri diritto, purchè riguardino dei punti della decisione che sono stati investiti, dalle censure dell’appellante. In entrambi i casi, si ammette che il giudice d’appello, all’interno dei capi impugnati, possa esaminare tali questioni di propria iniziativa, indipendentemente dalla sollecitazione della parte che ha impugnato. Quello previsto dall’art.. 342,I, c.p.c. può quindi qualificarsi come un onere dell’appellante: egli è tenuto ad indicare nell’atto di impugnazione le ragioni per le quali reputa erronea la soluzione cui è pervenuto il primo giudice. Onere di espressa riproposizione delle domande e delle eccezioni non accolte L’art. 346 c.p.c. introduce una limitazione circa l’operare dell’appello, giacchè fa onere alle parti di riproporre espressamente in appello le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado, onde evitare ch’esse s’intendano rinunciate. Tali dubbi ruotano intorno all’espressione !non accolte” riferito alle domande e alle eccezioni sottoposte al giudice di primo grado. Per quel che concerne le domande (intese in senso tecnic9 la suddetta espressione possa intendersi solamente nel senso di non decise, poiché qualora si trattasse, invece di domande respinte la parte soccombente non potrebbe limitarsi, ma dovrebbe impugnare il relativo capo di sentenza. Il problema dunque si circoscrive alle eccezioni. A tal proposito l’opinione prevalente ritiene debba distinguersi la posizione dell’appellante da quella dell’appellato nel caso in cui quest’ultimo sia vittorioso nel merito. Mentre per l’appellante, l’art. 346 troverebbe applicazione solo rispetto alle eccezioni non decise , per l’appellato vittorioso la norma riguarderebbe anche le eccezioni rigettate; con la conseguenze che tali eccezioni potrebbero essere riproposte al giudice ad quem, senza bisogno di alcuna impugnazione (incidentale) ad hoc. Secondo BALENA, tuttavia, anche per le “eccezioni” e non soltanto epr le “domande”,l’espressione non accolte può essere intesa esclusivamente nel senso di “non decise”; riconoscendo che invece si tratta di eccezioni vere e proprie respinte anche l’appellato vittorioso nel merito deve impugnare la relativa statuizione, ovviamente in via incidentale per evitare che sulla questione scenda la barriera del giudicato. 2 Si considerano rese secondo equità tutte le sentenze pronunciate in cause di valore non superiore a 1200 euro, ad eccezione di quelle derivanti da rapporti giuridici relativi a contratti conclusi mediante la sottoscrizione di moduli o formulari: in questo caso trattasi di un appello anomalo, in quanto notevolmente limitato dal punto di vista delle censure deducibili. In concreto esso potrà basarsi: • errori di diritto sulla violazione di norme di rango superiore o dei principi regolatori della materia; • vizi di attività da cui sia derivata una nullità del processo dinanzi al giudice di pace, nonché su qualunque violazione di norme processuali che abbia potuto condurre all’erronea soluzione di questioni pregiudiziali attinenti al processo (errores in procedendo). Non avranno alcuna diretta rilevanza gli errori attinenti alla valutazione delle prove o comunque alla ricostruzione dei fatti extraprocessuali, nel senso che al giudice ad quem non potrà chiedersi un diverso apprezzamento di tali fatti. Ciò non dovrebbe escludere la possibilità di un sindacato indiretto degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di pace, dal punto di vista della congruità della motivazione. Inoltre, poiché si tratta di un appello, e dunque di un’impugnazione sostitutiva, il giudice di secondo grado non potrà esimersi da una nuova decisione sul merito della causa,neppure quando la sussistenza del vizio denunciato dall’appellante dovesse rendere necessarie nuove valutazioni di fatto pretermesse dal giudice di pace oppure la rinnovazione di accertamenti di fatto da lui già compiuti. Atto introduttivo e possibili vizi Ex art. 342 c.p.c. il giudizio d’appello inizia con la notifica di un atto di citazione contenente l’esposizione sommaria dei fatti ed i motivi specifici dell’impugnazione, nonché le indicazioni prescritte nell’art. 163. Il II comma espressamente prevede, inoltre, che trovino applicazione anche qui i termini minimi di comparizione contemplati dall’art. 163bis. Per l’intera disciplina del giudizio d’appello, l’art. 359 rinvia genericamente alle norme dettate per il procedimento di primo grado davanti al tribunale, in quanto applicabili. Per tutti i vizi della vocatio in ius, deve trovare applicazione la disciplina della’rt. 164, II e III; sicché l’eventuale nullità resterà sanata con effetti retroattivi ed indipendentemente dalla scadenza del termine per l’impugnazione, della spontanea costituzione dell’appellato oppure dalla rinnovazione dell’atto introduttivo. Sul versante dei possibili vizi della editio actionis non sembra invece che possa verificarsi una nullità della domanda, se non rispetto alle domande nuove eccezionalmente consentite in tale giudizio. Si pone per il caso in cui l’appellante non ottemperi all’onere di specificare le censure rivolte contro la sentenza di primo grado. La soluzione astrattamente configurabile quando l’atto di appello sia totalmente privo di motivi specifica: • rigetto (nel merito) dell’impugnazione, dovuto alla circostanza che il giudice d’appello, in mancanza di specifiche censure, non può riesaminare alcuna delle questioni sulle quali si è pronunciato il giudice di primo grado. Questa soluzione è l’unica che appare preferibile a spiegare come mai l’impugnazione, nonostante l’assoluta mancanza di motivi specifici, possa poi egualmente condurre alla riforma della sentenza di primo grado ogniqualvolta il giudice d’appello pervenga a tale risultato rilevando d’ufficio, 5 all’interno dei capi impugnati, una questione processuale o di merito risultante dagli atti di causa, oppure risolvendo diversamente una questione di mero diritto. Costituzione delle parti e conseguenze della mancata o tardiva costituzione dell’appellante Per quel che concerne la costituzione delle parti in appello, l’art. 347 richiama espressamente le forme e i termini stabiliti per il procedimento dinanzi al tribunale; il che significa che • l’appellante deve costituirsi entro 10 giorni dalla notifica dell’atto introduttivo; • l’appellato almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione indicata nell’atto di citazione. L’unica peculiarità relativa alla modalità di costituzione, consiste nella necessità che l’appellante inserisca nel proprio fascicolo una copia della sentenza impugnata. Per il resto, la disciplina della fase introduttiva ricalca sostanzialmente quella del procedimento di primo grado. Per quel che concerne le conseguenze ricollegate alla mancata o tardiva costituzione dell’attore- appellante, l’art. 348,I, prevede che l’appello debba dichiararsi improcedibile, anche d’ufficio se l’appellante non si costituisce in termini. Il che viene inteso nel senso che l’appellante è tenuto a rispettare il termine previsto dall’art. 165 (ossia 10 giorni dalla notifica della citazione) e non può evitare l’improcedibilità costituendosi entro la prima udienza. Ciò non esclude che in caso di mancata (o tardiva) costituzione di tutte le parti debba trovare applicazione la’rt. 307,I, e che la relativa disciplina possa assorbire quella dell’art. 348; col risultato che la sensazione di improcedibilità dev’essere circoscritta all’ipotesi di (tempestiva) costituzione dell’appellato. I caso contrario, l’unica conseguenza potrebbe essere l’estinzione del processo d’appello, qualora nessuna delle parti provvedesse a riassumerlo entro 3 mesi. Termini e modalità dell’appello incidentale In base all’art. 343, l’appello incidentale dev’essere proposto, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta all’atto della costituzione in cancelleria ai sensi dell’art. 166. Il che lascia intendere che la costituzione “ritardata” alla prima udienza, come non impedisce in primo grado che il convenuto incontra decadenze dell’art. 167, così non evita in secondo grado che all’appellato resti preclusa la possibilità dell’impugnazione incidentale. Fa eccezione l’ipoteso in cui l’interesse alla proposizione dell’appello incidentale sorga dall’impugnazione proposta da altra parte che non sia l’appellante principale e possa considerarsi dipendente da un’atra impugnazione incidentale: in tal caso l’appello incidentale è consentito fino alla prima udienza successiva alla proposizione dell’impugnazione cui si ricollega (art. 343, II). Nulla impedisce che l’appello incidentale venga proposto in via condizionata, cioè che la richiesta di riforma di un capo della sentenza venga subordinata all’accoglimento di un’altra impugnazione, principale o incidentale. Trattazione della causa ed eventuale inibitoria della sentenza impugnata Lo svolgimento del processo di appello è di regola assai più semplice rispetto a quello di prima istanza. Solitamente, l’attività del giudice si riduce alla trattazione, seguita da precisazione delle conclusioni e dallo scambio delle difese scritte conclusive. Dinanzi alla corte d’appello, ogni attività viene svolta dal collegio nella sua interessa; e la stessa composizione del collegio potrebbe cambiare tra l’una e l’altra udienza non essendo ad esso applicabile il principio di immutabilità previsto per il giudice istruttore. 6 Una disciplina ad hoc è prevista per l’ipotesi in cui l’appellante, pur essendosi anteriormente costituito in cancelleria, ometta di comparire alla prima udienza. In questo caso, il giudice, con ordinanza non impugnabile, è tenuto a rinviare la causa ad altra udienza, della cui data il cancelliere deve dare comunicazione all’appellante. Se poi l’assenza si ripete alla nuova udienza, la sanzione è rappresentata dalla dichiarazione di improcedibilità dell’appello, da pronunciare anche d’ufficio. Per il resto la disciplina così può riassumersi: • nella prima udienza, il giudice deve verificare anzitutto la regolare costituzione del giudizio e delle stesse parti e pronunciare con ordinanza i provvedimenti occorrenti epr porre rimedio ad eventuali vizi del contraddittorio, oppure diretti a salvaguardare l’unità del processo d’appello. Nella medesima udienza è anche previsto che venga dichiarata l’eventuale contumacia dell’appellato e si proceda al tentativo di conciliazione ordinando, ove occorra, la comparizione personale delle parti (art. 350); • anche la decisone sull’istanza di inibitoria è attribuita al collegio, il quale provvede con ordinanza non impugnabile nella prima udienza; il soccombente ha però il diritto di chiedere, con ricorso al giudice monocratico oppure al presidente del collegio, che la decisione sulla sospensione si pronunciata prima dell’udienza di comparizione. In questo caso si apre un procedimento incidentale in qualche misura autonomo e distinto da quello concernente il merito dell’appello, e al giudice o al presidente, col medesimo decreto con cui fissa la comparizione delle parti in camera di consiglio è anche consentito disporre “provvisoriamente”, quando sussistano giustificati motivi d’urgenza, la sospensione immediata della efficacia esecutiva o dell’esecuzione della sentenza; all’udienza in camera di consiglio, tale decreto dorà essere confermato, modificato o revocato con ordinanza non impugnabile. • qualora vengano eccezionalmente ammesse nuove prove, all’assunzione dei mezzi istruttorio può provvedere lo stesso collegio oppure uno dei suoi componenti all’uopo delegato dal presidente. • anche in appello è espressamente prevista l’applicabilità dell’art 279, II, ossia la possibilità di pronunciare sentenza non definitiva, nelle medesime ipoteso in cui essa è consentita dal giudice di primo grado. La decisione La fase decisoria del giudizio d’appello è uguale a quella del processo in primo grado: più precisamente: • quella applicabile davanti al tribunale in composizione monocratica, quando per l’appello sia competente il tribunale stesso; • quella dettata per il tribunale in composizione collegiale, quando dell’appello sia investita la corte d’appello. Con la sola differenza che il termine per la decisione è sempre di 60 giorni, rispettivamente decorrenti, a seconda dei casi: • dalla scadenza del termine per le memorie di replica; 7
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