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MEZZI DI PROVA: L'ESAME DELLE PARTI (TONINI), Dispense di Diritto Processuale Penale

MEZZI DI PROVA: L'ESAME DELLE PARTI (TONINI)

Tipologia: Dispense

2018/2019

Caricato il 09/09/2019

clacal
clacal 🇮🇹

3.7

(3)

4 documenti

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Scarica MEZZI DI PROVA: L'ESAME DELLE PARTI (TONINI) e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! L’ESAME DELLE PARTI 1. CONSIDERAZIONI GENERALI L’esame delle parti è il mezzo di prova mediante il quale le parti private possono contribuire all’accertamento dei fatti nel processo penale. Il c.p.p. prevede norme che forniscono una regolamentazione generale dell’esame e norme che riguardano determinati soggetti, per i quali sono previsti regimi giuridici diversi. REGOLE GENERALI: a. Il dichiarante non ha l’obbligo penalmente sanzionato di dire la verità né di essere completo nella narrazione dei fatti. Inoltre, egli ha la facoltà di non rispondere alle domande; b. Le dichiarazioni sono rese secondo le forme dell’esame incrociato. Pertanto, le domande sono formulate, di regola, dal PM e dai difensori delle parti private, nell’ordine indicato dall’art. 503, comma 1; c. Le domande devono riguardare i fatti oggetto di prova. L’esame è soggetto a regimi giuridici differenti, a seconda della persona che rilascia la dichiarazione • 1° regime: esame dell’imputato che sia chiamato a deporre nel proprio procedimento sul fatto a lui addebitato; • 2° regime: esame delle parti private diverse dall’imputato, cioè responsabile civile, civilmente obbligato alla bena pecuniaria e la parte civile che non deve essere esaminata come testimone. • 3° regime: imputati in procedimenti connessi o collegati, chiamati a deporre su fatti concernenti la responsabilità altrui. 2. L’ESAME DELL’IMPUTATO L’esame ha luogo soltanto su richiesta o consenso dell’interessato. L’eventuale mancato consenso, però, non può essere valutato dal giudice in senso negativo per l’imputato, perché rientra nella sua strategia difensiva; tuttavia, il mancato consenso non permette di adempiere all’onere della prova, ovvero convincere il giudice dell’esistenza di un fatto affermato. Se imputato chiede o accetta l’esame non è vincolato all’obbligo di dire la verità; infatti, egli non è testimone e, pertanto, può dire il falso senza incorrere in alcuna conseguenza penale. La falsa testimonianza è un “reato proprio” che, cioè, può essere commesso solo da chi depone in tale veste. Inoltre, l’imputato che con false dichiarazioni commette altri reati, beneficia della causa di non punibilità di cui all’art. 384 in favore di chi agisce per salvarsi da un grave e inevitabile pericolo nella libertà e onore. Chiaramente se dire il falso costituisce causa di non punibilità, tuttavia l’imputato che ha mentito non può essere ritenuto credibile per le dichiarazioni successive. Ecco perché, di solito, il difensore consiglia all’imputato di avvalersi del diritto al silenzio, piuttosto che affermare il falso. Riguardo al diritto al silenzio, l’imputato può rifiutarsi di rispondere ad una qualsiasi domanda su di fatto proprio o altrui. Del suo silenzio viene fatta menzione nel verbale, ex art. 209, comma 2, e ciò può essere valutato come elemento di prova, rendendo l’imputato non credibile dimostrando con il suo silenzio che vuole nascondere qualcosa. Inoltre, l’imputato ha il privilegio di poter affermare di aver “sentito dire” qualcosa, senza essere vincolato alle condizioni di utilizzabilità poste dall’art 195; infatti, egli può non indicare la fonte da cui ha appreso l’esistenza dei fatti. lOMoARcPSD|2292220 lOMoARcPSD|2292220 Questa possibilità è data dalla peculiare posizione rivestita da questo soggetto, risultando importante acquisire tutto ciò di cui egli sia venuto a conoscenza, anche indirettamente. Ovviamente, spetterà al giudice valutare l’attendibilità o meno di tale dichiarazione. 3. LE PARTI PRIVATE DIVERSE DALL’IMPUTATO Responsabile civile, civilmente obbligato per la pena pecuniaria e parte civil, che non debba essere esaminata come testimone, sono sottoposti all’esame incrociato secondo le regole generali, quindi: 1. sono esaminati solo se lo richiedono loro o danno il loro consenso; 2. possono non rispondere alle domande; 3. non rispondono di falsa testimonianza poiché non sono testimoni; 4. se affermano di aver “sentito dire”, valgono le ordinarie condizioni di utilizzabilità previste dall’art. 195. La parte civile, quando è chiamata a testimoniare, è obbligata a deporre in tale qualità (e non come parte privata), con obbligo penalmente sanzionato di dire la verità. 4. L’ESAME DI PERSONE IMPUTATE IN PROCEDIMENTI CONNESSI O COLLEGATI I sistemi processuali che si sono succeduti nel tempo, hanno escogitato diverse soluzioni per acquisire il sapere della persona imputata nel processo penale. In estrema sintesi, vi sono 2 posizioni opposte. 1. Nel sistema inquisitorio, l’imputato ha l’obbligo di rispondere secondo verità; alle sanzioni conseguenti al falso si aggiunge l’uso della tortura; 2. Nel sistema accusatorio, l’imputato ha diritto di restare in silenzio, ma gli si permette di offrirsi come testimone volontario, soltanto davanti al giudice, con controesame della pubblica accusa e dell’imputato concorrente nel medesimo reato o in un fatto inscindibile. Il sistema misto ha risolto il problema con un compromesso, secondo cui l’imputato diventa incompatibile con la qualità di testimone, nel senso che non può neanche offrirsi volontariamente davanti al giudice; ma l’incompatibilità vale solo nel proprio procedimento penale. Tuttavia, l’imputato non è avvisato di tale diritto e non è garantito quando è interrogato dal PM, dalla polizia e dal giudice; egli ha solo il diritto di essere assistito dal proprio difensore che, tuttavia, non può porre domande né al proprio assistito, né all’accusatore. Con l’elaborazione del c.p.p. del 1988, il legislatore ha mantenuto questo sistema misto, introducendo la totale inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in segreto, prima del dibattimento, dall’imputato nei confronti di un altro imputato connesso e collegato. Alla inutilizzabilità si è accompagnata la mancata tutela del diritto a confrontarsi con l’accusatore, quando questi è, a sua volta, imputato. Tra il 1992 e il 1998 la Corte costituzionale ed il legislatore hanno adottato soluzioni opposte, ampliando o restringendo i limiti di utilizzabilità delle precedenti dichiarazioni. Solo nel 1999 il parlamento ha introdotto, tra i principi del giusto processo il diritto dell’imputato di confrontarsi con le persone che rendono dichiarazioni a suo carico (art. 111, comma 3, Cost.). Poteva essere l’occasione per accogliere la testimonianza volontaria dell’imputato, ma la l. 63/2001 ha introdotto un istituto complesso, che appare di difficile gestione nella pratica. In sintesi, la legge ha conservato in favore dell’imputato e dell’imputato concorrente nel medesimo reato, una assoluta incompatibilità a testimoniare, impedendo a costoro di assumere il ruolo di testimone volontario. lOMoARcPSD|2292220 lOMoARcPSD|2292220 quello di alleggerire la propria posizione, quindi avrà un forte interesse a dire il falso, accusando altre persone per ottenere un vantaggio o almeno un minor svantaggio. Il codice pone il riscontro come una condizione per l’impiego delle dichiarazioni del coimputato, senza tuttavia eliminare il libero convincimento del giudice; infatti, anche se il riscontro ha avuto esito positivo, il fatto affermato non necessariamente è vero, ma il giudice valuterà la dichiarazione, qualora sia utile a ricostruire il fatto storico in un determinato modo. Il riscontro può essere di 2 tipi: a. Intrinseco: il giudice deve valutare la dichiarazione al suo interno, verificando se è precisa, coerente in se stessa, costante, spontanea; b. Estrinseco: può dirsi effettuato in modo pieno, quando l’attendibilità della dichiarazione è dimostrata da altri elementi di tipo oggettivo, ossia da concrete circostanze fattuali. Possono essere anche dichiarazioni di altre persone, cioè altri testimoni o coimputati, al riguardo si parla di “riscontri incrociati”, ma le dichiarazioni altrui devono essere indipendenti da quella da riscontrare, cioè non ci deve essere stato un accordo tra i dichiaranti e le altre dichiarazioni devono essere a loro volta riscontrate. Infine, ogni dichiarazione è frazionabile e cioè deve essere riscontrata per ogni fatto asserito e per ogni soggetto indicato come responsabile. La giurisprudenza maggioritaria afferma che è necessaria una conferma di attendibilità per ciascuna delle dichiarazioni accusatorie del dichiarante e per ciascuno degli accusati (c.d. riscontro individualizzante). Riepilogando: il riscontro è quell’elemento di prova che serve a confermare l’attendibilità di una dichiarazione. Esso deve essere individualizzante, e cioè deve dimostrare la attendibilità della dichiarazione nella parte in cui addebita la responsabilità di un reato all’imputato connesso o collegato nel corso del compimento del singolo atto. lOMoARcPSD|2292220 lOMoARcPSD|2292220 6. LA TESTIMONIANZA ASSISTITA Quando è sentito eccezionalmente come testimone, l’imputato è assistito obbligatoriamente da ul difensore di fiducia (o d’ufficio), in ragione del collegamento tra il reato che gli è addebitato e quello che è oggetto del procedimento nel quale è chiamato a deporre. Il legislatore ha previsto 2 categorie di testimonianza assistita: 1. imputati collegati o connessi teleologicamente, solo quando il procedimento penale a loro carico non si è ancora concluso con sentenza irrevocabile. Tali soggetti possono deporre come testimoni se hanno reso dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri (art. 64, comma 3, lett c). La compatibilità con la qualifica di teste è limitata alla deposizione sui fatti altrui già dichiarati; 2. imputato connesso o collegato, il cui procedimento penale si sia concluso con sentenza irrevocabile. NORME COMUNI A TUTTI I TESTIMONI ASSISTITI – Ex art. 197 bis c.p.p.: 1. ai testimoni assistiti si applicano norme sulla testimonianza, salvo se derogate espressamente o implicitamente dalle regole contenute nell’art. 197 bis. Pertanto, i testimoni assistiti hanno l’obbligo di presentarsi al giudice, godono del privilegio dell’autoincriminazione con riferimento ai reati diversi da quelli che sono oggetto del procedimento a loro carico; 2. tali testimoni devono essere assistiti da difensore, in mancanza di quello di fiducia gliene viene designato uno d’ufficio; 3. l’art. 197 bis, comma 5, stabilisce che dichiarazioni rese dai testimoni assistiti non possono essere utilizzate contro la persona che le ha rese nel procedimento a suo carico, nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualsiasi giudizio civile o amministrativo relativo al fatto addebitato al dichiarante (tale norma opera sia in caso di sentenza irrevocabile, sia in caso di p.p. ancora in corso); 4. ex art. 197 bis, comma 6, le dichiarazioni dei testi assistiti sono utilizzabili soltanto in presenza di riscontri che ne confermino l’attendibilità, questo perché il legislatore ritiene poco affidabili tali dichiaranti. Poiché il testimone assistito un imputato, anche se connesso o collegato, non si applica nei suoi confronti l’art. 63 a tutela delle dichiarazioni auto-indizianti; cioè, se egli rende dichiarazioni contra se, l’autorità procedente non deve interrompere l’esame, né dare avvertimenti, né invitarlo a nominare un difensore, ma l’esame prosegue normalmente. LE SINGOLE CATEGORIE DEI TESTIMONI ASSISTITI – (si è già parlato dell’imputato collegato e di quello connesso teleologicamente). I TESTIMONI ASSISTITI PRIMA DELLA SENTENZA IRREVOCABILE (ART. 197 BIS, COMMA 2) – I presupposti che fanno scattare l’obbligo di deporre come testimone assistito sono: • che l’imputato sia stato ritualmente avvisato che se renderà dichiarazioni su fatti che concernono la responsabilità di altri (cioè fatti che concernono la responsabilità di altri per un reato connesso o collegato con quello addebitato al dichiarante), assumerà l’ufficio di testimone (art. 64, comma 3, lett. c); • dopo l’avvertimento, l’imputato connesso o collegato deve aver reso dichiarazioni su fatto altrui. Ovviamente, deve trattarsi di un fatto che concerne la responsabilità di altri per un reato collegato o connesso teleologicamente. No n è necessario che il dichiarante, nel momento in cui parlava, fosse consapevole delle conseguenze accusatorie, derivanti dalla propria dichiarazione: ciò che conta è il fatto oggettivo che essa concerna la responsabilità altrui. La compatibilità con la qualifica del testimone assistito è “condizionata” (perché scatta solo se imputato rende dichiarazioni su fatto altrui) e “parziale” (è limitata al solo fatto altrui già dichiarato). LO “SPECIALE” PRIVILEGIO CONTRO L’AUTOINCRIMINAZIONE – Oltre al privilegio contro l’autoincriminazione con riferimento a reati diversi da quelli che sono oggetto del procedimento a suo carico, il legislatore ha riconosciuto all’imputato collegato o connesso teleologicamente che depone come testimone assistito anche un altro privilegio, cioè egli può non rispondere sui fatti che riguardano la propria responsabilità in ordine al reato per cui si procede o si è proceduto nei suoi confronti. Poiché l’obbligo testimoniale è limitato ai fatti altrui già dichiarati in dibattimento o nelle indagini, l’unico caso in cui l’escussione del teste può inerire alla propria responsabilità è l’ipotesi in cui le precedenti dichiarazioni vertono su fatti inscindibili. È in tale ipotesi che il legislatore ha riconosciuto al teste assistito la facoltà di non rispondere sul fatto proprio. Tuttavia, se decide comunque di rispondere, allora ha l’obbligo di verità penalmente sanzionato (perde la facoltà di mentire). IL FATTO CHE CONCERNE LA RESPONSABILITÀ ALTRUI – Ci si è chiesti se l’imputato durante la dichiarazione sia in grado di riconoscere il fatto come “altrui”; a volte avviene che un fatto solo successivamente rilevi come circostanza a carico di altri; tale circostanza potrebbe essere ignorata ex ante dal dichiarante. LA TESTIMONIANZA ASSISTITA DELL’IMPUTATO “GIUDICATO” (ART. 197 BIS, COMMA 1) – Il second o tipo di testimonianza assistita è quella che viene resa dall’imputato connesso o collegato dopo che la sentenza che lo riguarda sia divenuta irrevocabile, sia essa una sentenza di proscioglimento, di condanna o di patteggiamento. In questo caso, l’imputato giudicato può essere sempre chiamato come testimone assistito in un procedimento collegato o connesso, anche se non ha mai reso dichiarazioni su fatti altrui o non ha ricevuto l’avviso di cui all’art. 64, comma 3, lett. c. Così l’imputato connesso o collegato giudicato è un testimone permanente. L’obbligo di rispondere secondo verità non è limitato al fatto altrui su cui ha già reso dichiarazioni La posizione processuale dell’imputato connesso o collegato, dopo che sentenza che lo riguarda è divenuta irrevocabile, dipende dalla formula terminativa della sentenza. In seguito a 2 importanti sentenze della Corte cost., occorre distinguere 3 diverse situazioni: a. gli imputati connessi o collegati dopo che sono stati condannati o dopo che è stata loro applicata la pena su richiesta (patteggiamento), i quali possono sempre essere chiamati come testimoni assistiti in un procedimento collegato o connesso, anche se non hanno mai reso dichiarazioni su fatto altrui o non hanno ricevuto avviso ex art. 64, comma 3, lett. c. Costoro sono sentiti come testimoni assistiti con l’obbligo di verità penalmente sanzionato. In loro favore opera la garanzia di cui all’art. 197, comma 5, in base alla quale le dichiarazioni rese nel procedimento a loro carico non sono utilizzabili contro la persona che le ha rese nel procedimento di revisione della sentenza di condanna ed in qualunque procedimento civile o amministrativo relativo al fatto oggetto delle sentenze e dei procedimenti medesimi. Essi godono del privilegio contro l’autoincriminazione ex art. 198, comma 2, su fatti diversi da quelli giudicati. Di contro, essi di regola non hanno il privilegio sul giudicato. Il legislatore protegge il dichiarante solo nel caso in cui questi sia stato condannato con sentenza irrevocabile. In tale ipotesi, egli non può essere obbligato a deporre sui fatti per i quali è stata pronunciata sentenza di condanna nei suoi confronti, se nel procedimento aveva negato la propria responsabilità o non aveva reso alcuna dichiarazione. Tale privilegio non può essere invocato dalla persona nei cui confronti sia stata
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