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Mezzo di impugnazione: Appello, Appunti di Diritto Processuale Civile

Sbobina della lezione sull'appello, Procedura Civile I, a.a. 2020/2021

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 16/07/2022

giulia_scarpellini
giulia_scarpellini 🇮🇹

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Scarica Mezzo di impugnazione: Appello e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! 25/11 APPELLO È oggi un istituto particolarmente complicato da una disciplina che si è stratificata nel tempo, che lo ha significativamente modificata rispetto all’istituto dell’appello nella sua previsione originaria, storica. Nella sua origine romanistica, poi passata al diritto canonico fino alle grandi codificazioni napoleoniche, l’appello era un istituto fondato sul modello del gravame; • Oggetto giudizio di gravame tendenzialmente coincide con l’oggetto del giudizio che si è svolto nel grado precedente. Il giudice del gravame è come se fosse un giudice che per la prima volta affronta la ricostruzione della fattispecie e, a seguito dell’applicazione della norma giuridica, individua l’esistenza o inesistenza del diritto. Non c’è nessuna diversità tra il giudizio di grado anteriore e il giudizio di secondo grado (appello). È il c.d. effetto devolutivo; l’oggetto del giudizio di 1° grado coincide con l’oggetto del giudizio di secondo grado. • Effetto sostitutivo della sentenza in sede di appello (sempre); il giudice di appello, che deve rinnovare il giudizio di 1° grado emette una pronuncia che, anche se confermativa della pronuncia di 1° grado, la sostituisce sempre. Questo proprio perché il giudizio di appello, è come se fosse un giudizio che rinnova l’accertamento sullo stesso oggetto di 1° grado come se per la prima dovesse affrontare la ricostruzione della fattispecie o individuazione o meno del diritto nato da quella fattispecie. Si pensi che, nell’ambito del diritto romano o diritto canonico, era sufficiente che l’appellante chiedesse la rinnovazione del giudizio, senza dover in alcun modo lamentare un errore o vizio della sentenza già pronunciata in 1° grado. Semplicemente chiedendo la rinnovazione del giudizio sullo stesso oggetto, il giudizio di appello rinnovava il giudizio sullo stesso oggetto. L'appello era una specie di nova iudicium sullo stesso oggetto. La tecnica della stesura degli atti di appello ad iniziativa di parte seguiva la tecnica di stesura degli atti introduttivi di un processo di 1° grado. Non vi era nessuna differenza tra queste tipologie di attività, proprio perché era un nuovo giudizio di 1° grado. 1° modifica: influenza dei codici napoleonici sul codice 1865 e poi sul codice 1940 (attualmente in vigore); elemento di differenziazione: principio dispositivo. Dalla rivoluzione francese si riconosceva centralità all’autonomia contrattuale delle parti e questo si riflette nella caratteristica del processo civile nato nei codici napoleonici: lasciare nelle mani delle parti ogni iniziativa nell’ambito del processo (domanda, allegazione dei fatti fino alla deduzione dei mezzi probatori). L’iniziativa della parte è centrale; - 1° grado: principio della domanda e principio di allegazione dei fatti - Appello: espressione della volontà di quanto dell’oggetto del giudizio di 1° grado si vuole sia rinnovato in appello. L'effetto devolutivo non è automatico come nel diritto romano o canonico, ma è un effetto che viene filtrato dalla volontà dell’appellante di rinnovare integralmente l’oggetto del giudizio di 1° grado oppure di rinnovarne solo in parte l’oggetto del giudizio di 1° grado. Questa modifica lascia comunque l’appello ancorato al modello dei mezzi di gravame. Ulteriori modifiche negli anni, - l. 353/1990 che ha introdotto decadenze e preclusioni nel processo a cognizione piena di rito ordinario e ha modificato art. 345 c.p.c. - l. 134/2012 A seguito delle quale l’appello assume una fisionomia molto diversa. Le scelte del legislatore in molti casi sono state ispirate da mutamenti di orientamento della giurisprudenza soprattutto della Corte di Cassazione che modifica significativamente l’interpretazione delle norme sull’appello per poi offrire un orientamento che viene fatto proprio dal legislatore. Il legislatore finisce per tradurre in legge un orientamento giurisprudenziale. Modifiche introdotte: 1. Art. 345 c.p.c.: divieto dei nova in Appello; in appello non posso dedurre nuovi fatti, nuovi mezzi di prova e non posso formulare nuove domande. Posso condurre appello solo su: domande, eccezioni e prove già dedotte nel 1° grado. Questo avvilisce molto i poteri del giudice di appello di rinnovare ul giudizio sullo stesso oggetto perché quel giudizio deve tener conto solo delle domande, eccezioni e prove già dedotte in 1° grado. = appello come revisio priori instantiae; rivisitazione, sulla base delle stesse difese dedotte nel grado anteriore, l’oggetto del giudizio già esaminato dal primo giudice. 2. Art. 342 c.p.c.: accentua onere a carico dell’appellante di chiarire quali sono i motivi di censura che intende sollevare nei confronti della sentenza di 1° grado. I motivi di censura possono riguardare a. Error in procedendo b. Error in iudicando Non basta più cosa dell’oggetto del giudizio di 1° grado la parte intende sia rinnovato, ma il legislatore vuole che la parte indichi anche i motivi di censura verso la sentenza di 1° grado. Questo aspetto modifica molto l’attenzione del giudice di appello; si occupa meno dell’oggetto del giudizio di 1° grado, mentre si occupa soprattutto della sentenza del giudice di 1° grado per verificare se i motivi di censura siano fondati o meno. Questo crea una prima deriva dell’istituto verso un mezzo di impugnazione in senso stretto. Mezzo di impugnazione in senso stretto: mezzi impugnatori in cui l’oggetto del giudizio è la sentenza, non l’oggetto del giudizio precedente. 1. DIVIETO DI NOVA IN APPELLO Il legislatore fa una prima scelta che si rivelerà complessa sul piano interpretativo. L. 353/1990: estende le regole proprie dell’appello di rito del lavoro (art. 427 cpc introdotto con l. 533/1973) all’appello di rito ordinario (art. 345 cpc). [art. 473 introdotto con l. 533/1973 = art. 345 cpc introdotto con l. 353/1990]. Art. 345 cpc - Co. 1: no nuove domande in appello - Co. 2: no nuove eccezioni in appello - Co. 3: no nuovi mezzi di prova in appello Le 3 principali attività di difesa statica – domande, eccezioni e prove – non possono essere acquisite nuove in appello. → Conseguenza: appellante e appellato devono misurarsi con le difese già svolte nel grado precedente, perché non può introdurre nuove difese, in quanto incorrerebbe nei divieti di cui all’art. 345 cpc. Non può neanche fare quel minimo di emendatio libelli; eccezione che come domanda; impone, proprio nella necessità di consentire la scelta alla parte, di considerare l’eccezione riconvenzionale come un’eccezione riservata alla parte. Le eccezioni riservate alla parte non possono ex novo essere formulate in appello. Le eccezioni rilevabili anche d’ufficio (che sono la stragrande maggioranza) possono essere sollevate ex novo anche in appello. Attenzione: sul punto c’è un dibattito fortissimo in dottrina e giurisprudenza; o è vero che il giudice può rilevare di ufficio queste eccezioni ex novo nel giudizio di appello, però questo è possibile se il fatto che costituisce eccezione sia stato correttamente introdotto nel giudizio di 1° grado nei termini preclusivi. Il giudice potrebbe rilevarne solo l’efficacia giuridica e può trarre il fatto che non risulta acquisito correttamente nel giudizio di 1° grado. o Le cose non stanno così perché altrimenti si esautorerebbe la qualificazione di rilevabilità anche d’ufficio del fatto corrispondente per cui, non solo la rilevazione degli effetti giuridici del fatto è possibile in appello, ma anche l’allegazione, deduzione e formulazione del corrispondente fatto ex novo. 2. Sia per le domande che per le eccezioni è possibile la remissione in termini = istituto di carattere generale regolato all’art. 153, co. 2 cpc che consente, quando la decadenza della parte dalla difesa è incolpevole (cioè deriva da fatto non imputabile alla parte), la parte può essere rimessa in termine. La rimessione nei termini potrebbe originaria sia in relazione ad una domanda nuova, sia in relazione ad un’eccezione nuova. - Co. 3: divieto di introdurre nuovi mezzi di prova. La complicazione della norma è dovuta alle continue stratificazioni legislative. Art. 345 cpc – previsione originaria (l. 353/1990): le nuove prove sono vietate salvo che il giudice le ritenga indispensabili. Il termine “indispensabile” si trova sia nel 437 cpc sia nel vecchio art. 345, co. 3 cpc. Oggi la previsione dell’indispensabilità della prova non si ritrova nell’art. 345, co. 3 cpc che sembra ipotizzare come nuova prova in appello solo quelle prove che sono ammesse con la remissione in termine, ossia con il richiamo all’art. 153 cpc. La norma ribadisce un concetto che è già contenuto nell’art. 153 cpc, per cui, in fondo, il legislatore avrebbe anche potuto astenersi dalla previsione. L'art. 153 cpc oggi ha una tale latitudine di applicazione che viene applicato in tutti i gradi di giudizio, per cui avrebbe anche potuto esser evitata la riproposizione di una previsione analogia. Tuttavia, il legislatore l’ha voluta inserire, per cui la norma sembra oggi ipotizzare la richiesta di nuovi mezzi di prova in appello solo se la parte dimostra di non essere decaduta alla richiesta della prova per fatto a lei imputabile. È un regime molto severo: non è più possibile ammettere prove nuove se indispensabili e ritenute tali dal giudice. Questo regime molto severo della prova non vale solo per le prove costituende (= prove che si formano durante il processo), ma anche per le prove precostituite. Il legislatore ha fatto questa precisazione perché nella vecchia norma non era prevista questa estensione alle prove documentali, per cui la giurisprudenza ha inventato l’idea che le prove documentali, in quanto non sono prove che fanno perdere tempo al giudice, possono essere ex novo prodotte anche in appello. Osservazione: due pesi e due misure per le prove non ha molto senso, tanto che, ad un certo momento si è giunti ad estendere anche alle prove precostituite il regime delle preclusioni, in particolare il divieto di nova in appello. Questo è avvenuto con alcune sentenze della Cassazione dell’aprile 2005 poi nella traduzione in legge con l’attuale formulazione dell’art. 345, co. 3 cpc con la legge. 69/2009. È venuto a cadere il concetto di “indispensabilità della prova” con la l. 134/2012. Cosa è cambiato? Partiamo dalla ricostruzione che conserva il concetto di “prova indispensabile” in alcuni riti; o Rito del lavoro – art. 437 cpc; continua a consentire in appello prove nuove se indispensabili o Rito abbreviato – art. 702-quater cpc; regola l’appello contro le ordinanze che chiudono il rito semplificato e ammette la possibilità di nuove prove se indispensabili. Che senso ha, in queste norme, aver previsto il concetto di indispensabilità? Nel rito abbreviato; siccome il rito abbreviato è abbreviato proprio nella parte concernente l’istruttoria, si deve consentire al giudice di appello che ritiene non vi fossero gli estremi per l’abbreviazione dell’attività istruttoria di poter ripetere integralmente l’attività istruttoria. Indispensabilità servirebbe al giudice di appello di andare di controavviso rispetto al giudice di primo grado che aveva ritenuto di poter percorrere la domanda attraverso le forme meno complesse proprie del rito abbreviato. L'indispensabilità della prova nell’appello contro le ordinanze di rito abbreviato avrebbe significato di lasciare spazio al giudice dell’appello di rinnovare integralmente l’istruttoria secondo le regole comune. Nel rito del lavoro; il giudice ha dei poteri istruttori molto accentuati, infatti l’art. 421, co. 2 cpc prevede che “in ogni momento il giudice può disporre dei mezzi di prova d’ufficio”. Il legislatore, nel disciplinare l’appello, ha dovuto tener conto di questa peculiarità del giudice nelle controversie di lavoro e estendere gli stessi poteri che il giudice aveva in 1°° grado. L'indispensabilità serve a dare continuità all’accentuazione dei poteri istruttori che il giudice ha nell’ambito del giudizio di rito del lavoro. Che significato aveva l’indispensabilità nel rito ordinario? Si trattava di una chimera non facilmente chiaribile perché è un concetto che non si ritrova in altre disposizioni del codice che possano soccorrere nell’interpretazione della norma. Qualcuno aveva ritenuto che indispensabile = rilevante, ma questo voleva dire far venir meno il divieto di nuove prove in appello, atteso che la prova è irrilevante quando ha ad oggetto fatti rilevanti, cioè fatti costitutivi, modificativi, estintivi e secondari. Il concetto di rilevanza, dunque, non poteva essere l’ambito di prova indispensabile perché rilevanza significa tutti i fatti storici rilevanti in causa. D'altra parte, il concetto di rilevanza lo si ritrovava nel vecchio art. 702-quater cpc, prima della riforma del rito abbreviato e, poiché all’epoca il rito comune prevedeva il concetto di “prova indispensabile”, mentre in appello prevedeva il concetto di “prova rilevante”, è chiaro che i due concetti non potevano coincidere essendo definiti in norme assolutamente diverse, l’una dall’altra. Come possiamo tradurre il concetto di indispensabilità della prova? 2 interpretazioni possibili nell’ambito del rito ordinario, quando la norma prevedeva l’indispensabilità (oggi non esiste più); o Indispensabilità = fatti nuovi che potevano essere legittimamente allegati agli atti di appello (sicuramente fatti sopravvenuti e fatti che costituiscono eccezione rilevabile d’ufficio). Ogni volta in cui il sistema mi consente l’allegazione di un fatto nuovo, e se questo fatto è contestato, lo devo poter provare con nuove prove. Quando può capitare? o Fatto sopravvenuto o Fatto corrisponde ad un’eccezione rilevabile d’ufficio che non è soggetta a preclusioni o Fatto discende da intervento volontario del terzo in appello che formula una domanda Solo in queste ipotesi, ogni volta in cui l’appello acquisisca un fatto nuovo, correttamente e legittimamente, e quel fatto viene contestato dalle controparti, devo poter dedurre in appello nuove prove. o Indispensabilità = concetto più ampio che comprendeva una maggior latitudine di nuove prove in appello, lasciando al giudice un potere discrezionale, non sindacabile se motivato, di poter disporre prove nuove o ...sia quando il giudice avesse ritenuto di dover riformare la sentenza; necessità di rafforzare, all’interno del processo, azioni probatorie ed istruttorie sull’assunto del giudice che intende riformare la sentenza di 1° grado o ...sia quando il giudice volesse confermare la sentenza di 1° grado, attraverso anche la raccolta di prove diverse rispetto a quelle dedotte in 1° grado. Di queste due accezioni di indispensabilità, l’una legata alla legittima acquisizione di fatti nuovi in appello contestati dall’altra parte e l’altra discendente dal potere discrezionale del giudice in ogni caso di disporre di nuove prove – con la soppressione del concetto di indispensabilità nell’art. 345, co. 3 cpc, fa cadere l’esistenza di un potere discrezionale del giudice nel disporre nuove prove. Resta come unica, possibile e inevitabile lettura costituzionale delle norme, la possibilità di esperire nuove prove in appello non solo quando c’è remissione nei termini (come dice espressamente ’art. 345, co. 3 cpc), ma anche quando siano acquisiti legittimamente fatti nuovi in appello e questi devono essere oggetto di prova perché contestati dall’altra parte. L'eliminazione del concetto di indispensabilità non ha tolto completamente il suo rilievo; lo ha tolto se colleghiamo il concetto di indispensabilità al potere discrezionale del giudice di disporre nuove prove perché questo non è più possibile, ma resta l’applicazione del concetto di indispensabilità che scaturisce dalla necessità di provare fatti nuovi legittimamente acquisiti per la prima volta in appello. Il fatto di aver abbandonato questo schema dell’appello come applicazione di un potere discrezionale del giudice di disporre prove nuove significa allontanare molto l’appello dalla verità sostanziale; attraverso questo potere discrezionale, il giudice poteva indubbiamente rafforzare i convincimenti sui contenuti della sentenza di 1° grado o arrivare completamente a riformare. Dunque, vi era, attraverso questo potere, una maggiore attenzione dell’ordinamento verso la verità sostanziale. Averlo tolto oggi vuol dire giungere ad una verità, qualunque essa sia, auspicabilmente con un giudicato, ma non necessariamente ad una verità che si avvicina alla verità sostanziale. [fine divieto dei nova] ONERE DI MOTIVAZIONE DELL’APPELLANTE Seconda novità: oneri a carico dell’appellante di formulare particolari motivi di appello con una tecnica assai precisa e particolare. La specificazione dei motivi di appello rappresenta l’elemento che lo stimola e spinge l’appello al di fuori dello schema dei mezzi di gravame per attingere ai limiti del mezzo di impugnazione in senso stretto; se nella motivazione della porta, obbligo l’appellante a specificare quale sia il motivo di censura o il vizio in cui è incorso il giudice nella sentenza di 1° grado significa spostare l’attenzione del giudice di appello verso il vizio, verso l’errore, quindi più verso l’esame della sentenza più che verso l’accertamento dell’oggetto del giudizio di 1° grado. un’attività che non è dissimile rispetto all’attività della conclusione finale dell’appello. Allora, se devo impiegare tempo per valutare la ragionevole probabilità prima e poi un altro tempo uguale per decidere dopo, tanto vale decidere subito. Economicità inesistente Applicazione anche all’appello dell’art. 281-sexies cpc prevede la sentenza a verbale; modalità di conclusione del giudizio a cognizione piena che avviene mediante immediata pronuncia della sentenza finale sul modello dell’ordinanza. Giudice di appello, in sede di giudizio sulla sospensione della esecutiva della sentenza di 1° grado, si convince che quell’appello è fondato o manifestamente fondato, tanto vale fare la sentenza a verbale. Questo è lo strumento che avrebbe accelerato i tempi dell’appello, piuttosto che la nozione della “ragionevole probabilità”. Questo filtro è stato variamente utilizzato, ma le Corti di Appello sono state prudenti. Corte di Appello, Roma 30/01/2013 interpreta la “ragionevole probabilità” come abuso del processo. La sentenza assimila il concetto di ragionevole probabilità al concetto di manifesta infondatezza che troviamo nel giudizio in Cassazione. Secondo questa interpretazione, solo nei casi abnormi, cioè quando l’appello appare strumentalmente abnorme rispetto alla decisione di 1° grado, ha senso il filtro. Corte di Appello, Palermo 25/03/2013 ha ritenuto che anche solo aver osato di introdurre appello contro orientamento dell’orientamento della Corte è ragionevole probabilità di non accoglimento. Non può essere così perché il contrastare un orientamento della Corte di Appello non può essere ragionevole probabilità di non accoglimento perché deve sempre esser possibile contrastare gli orientamenti della giurisprudenza dando le giuste argomentazioni a questo contrasto. Questo dimostra come un concetto generico – quale la ragionevole probabilità di non accoglimento – possa ingenerare differenti orientamenti; la Corte di Roma come manifesta infondatezza e finisce per assimilare il filtro per la Corte di Appello al filtro per la Corte di Cassazione, dall’altra parte invece la Corte di Palermo come contrasto all’orientamento della Corte di Cassazione che già si sia pronunciata su quel tema. 30/11 Abbiamo esaminato i 3 fondamentali aspetti che hanno modificato l’appello come era in origine: - Formulazione del motivo di appello - Divieto dei nova in appello - Filtro in appello Profili processuali L'appello presenta delle particolarità sotto il profilo procedimentali. Tutti i casi di inammissibilità o improcedibilità dell’appello - come per gli altri mezzi di impugnazione – si risolvono, in quanto provvedimenti di rito idonei a definire la causa, nella forma della sentenza. Questo implica che, quando il profilo viene sollevato, le parti hanno sempre la possibilità di contraddire mediante le comparse conclusionali o le memorie di replica, poiché l’appello è disciplinato sulle stesse regole del giudizio di 1° grado. Dopo l’udienza di precisazione delle conclusioni, abbiamo lo scambio delle comparse conclusionali e delle memorie di replica nelle quali le parti hanno modo di esprimere le loro difese sulla questione di inammissibilità sollevata. Nell’ambito di inammissibilità dovuta a non ragionevole probabilità di accoglimento dell’appello; art. 348-ter, co. 1 c.p.c. che la decisione viene presa con ordinanza. Aspetti di criticità: 1. Motivazione Questa è la prima particolarità; una questione di rito così delicata, quale l’inammissibilità di mezzi di impugnazione, come l’appello, non viene presa nella forma della sentenza – con la sua articolazione, in particolare con riferimento al motivo – ma viene presa con le modalità duttili, schematiche e rapide dell’ordinanza succintamente motivata. Il legislatore vuole che questa ordinanza sia il più possibile priva di approfondimenti o articolazioni perché dice “anche mediante rinvio agli elementi di fatto riportati in uno o più atti di causa e il riferimento a precedenti conformi”; nella motivazione dell’ordinanza, il giudice può usare la tecnica del “taglia e incolla”, cioè acquisire elementi di fatto o di diritto riportati negli atti difensivi, anche delle parti, e tradurli nella motivazione dell’ordinanza. È una scelta che prevede la forma dell’ordinanza e non della sentenza, ovviamente meno garantistica sul piano della motivazione che spinge il giudice nell’usare una forma piuttosto che un’altra. 2. Rapidità con cui l’ordinanza viene pronunciata dalla Corte di Appello Premessa: introduzione dell’Appello - costituzione del convenuto con comparsa di costituzione secondo le regole del 1° grado depositata almeno 20 gg prima dell’udienza; l’attore che si vede eccepita dal convenuto l’inammissibilità per non ragionevole probabilità di accoglimento della domanda, ha solo 20 giorni per poter reagire e difendersi sul punto e lo può fare solo in difetto di memorie scritte, attraverso il verbale dell’udienza davanti alla Corte di Appello. Questo è sembrato un meccanismo veramente poco garantistico e poco attento alle esigenze del contraddittorio, considerando il tempo così rapido con cui l’attore, che si vede eccepita l’inammissibilità, deve reagire. Particolarità di applicazione di norme sul piano sistematico; Se il rilievo è del giudice – non del convenuto –, il giudice deve necessariamente applicare art. 101, co. 2 c.p.c. che impone la fissazione di un termine alle parti per presentare memorie, e le parti, in modo scritto e con tempo sufficiente, possono contraddire rispetto alla questione – in questo caso: inammissibilità per non ragionevole accoglimento del provvedimento – sollevata dal giudice. - Inammissibilità rilevata dal giudice: memorie entro termine - Eccezione deriva da atteggiamento difensivo del convenuto: tempi e modalità di replica lasciano perplessità perché la parte dovrà replicare solo all’udienza, entro 20 giorni. *se la decisione è presa con ordinanza, non ci saranno le comparse conclusionali e le memorie di replica in cui la parte avrebbe potuto contraddire in modo più adeguata. Divieto di sanatoria Inammissibilità pronunciata con ordinanza: esclude la possibilità di riproporre il mezzo, anche se vi vi fossero i termini per poterlo riproporre. Si tratta di un atteggiamento sanzionatorio molto pensante nei confronti della parte. Art. 348-ter, co. 3 c.p.c.: una volta dichiarata l’inammissibilità, l’ordinanza che dichiara l’appello inammissibile non è impugnabile. Peculiarità: sentenza di 1° grado appellata diventa suscettibile di ricorso per Cassazione. ORDINANZA DI INAMMISSIBILITA’ NON IMPUGNABILE IN CASSAZIONE → SENTENZA 1° GRADO (IMPUGNATA) IMPUGNABILE IN CASSAZIONE nel solco e limiti dei motivi oggetto di appello. Questo significa che non è possibile, con il ricorso per Cassazione, recuperare motivi contro la sentenza di 1° grado che non erano stati coltivati nel giudizio di appello. L'ambito dei motivi in Cassazione deve essere per forza coerente con l’ambito dei motivi che contraddistingue il giudizio di appello Il giudizio in Cassazione non ha ad oggetto l’ordinanza di inammissibilità (che resta priva di impugnazioni), bensì ha ad oggetto la sentenza di 1° grado. Questione giurisprudenziale: è corretta la previsione per cui l’ordinanza di inammissibilità non è impugnabile, mentre è impugnabile la sentenza di 1° grado? 2014 – Corte di Cassazione sent. 7273, sent. 8940; hanno escluso l’impugnabilità ex art. 111 Cost, con il ricorso straordinario per motivi di illegittimità, dell’ordinanza di inammissibilità per ragionevole non probabilità di accoglimento, la quale di per sé non sarebbe impugnabile di fronte alla Corte di Cassazione. Differenza tra questi due sentenze; - Una pone in assoluto il divieto di una ricorribilità in Cassazione dell’ordinanza di inammissibilità - L'altra dice che, se l’ordinanza è stata usata in modo abnorme, cioè che attraverso l’ordinanza si è inteso in realtà dichiarata una inammissibilità per la quale era prevista la sentenza come forma necessaria, vi sarebbe allora spazio per un’impugnativa davanti la Corte di Cassazione avverso l’ordinanza. Questa soluzione è criticabile perché il provvedimento che dichiara inammissibile l’appello ha natura decisoria, che impedisce alla parte – ormai definitivamente – la possibilità di appellare quella sentenza. Quindi, sulla persuasione della dottrina e spinte degli avvocati che ricorrevano, si è giunti ad una nuova soluzione con sentenza Corte di Cassazione a SS.UU. Corte di Cassazione, sez. Un. 1914/2016: hanno ritenuto ammissibile il ricorso straordinario ex art. 111, co. 7 c.p.c. avverso l'ordinanza di inammissibilità per non ragionevole probabilità di accoglimento dell’appello. In questo modo ha riportato il sistema alla coerenza dei principi costituzionali, in particolare dell’art. 111 Cost. Impugnativa in Corte di Cassazione della sentenza di 1° grado Segue regole diverse: A. Termine; Normalmente il termine per impugnare in Cassazione è di 60 giorni dalla notifica della sentenza o 6 mesi dal deposito della sentenza. In questo caso; il legislatore dà rilievo anche alla comunicazione della sentenza in cancelleria, per cui il termine è di 60 giorni che non decorrono dalla notifica della sentenza, laddove la notifica sia stata preceduta dalla comunicazione alla cancelleria dell’avvenuto deposito dell’ordinanza (come avviene quasi sempre). *Si ricorda che le comunicazioni avvengono lo stesso giorno in cui le ordinanze vengono depositate. B. Limiti; impugnativa deve seguire il canale dei motivi già espressi in appello. Questo ha un’implicazione: art. 348-quater, co. 4 c.p.c.; essendo impugnata la sentenza sulla base degli stessi motivi di appello, non è possibile il n.5 art. 360 c.p.c. (= motivo dovuto a errore di fatto). Il motivo n. 5 dell’art. 360 c.p.c. è espressamente escluso per i motivi di ricorso in Cassazione. Applicazione non ragione probabilità al rito del lavoro e rito delle locazioni - Rito del lavoro – art. 436-bis c.p.c. - Rito delle locazioni – art. 437-bis c.p.c. che richiama il 436-bis c.p.c. • Sentenze equitative; sentenze per le quali non dovrebbe mai essere previsto l’appello perché l’equità “è una sola”, nel senso che è un criterio extragiuridico che può essere pronunciato da un solo giudice ed ogni giudice ha una diversa equità per definizione. Infatti, per molto tempo l’ordinamento ha escluso l’appellabilità delle sentenze equitative. Tuttavia, è subentrata una sentenza della Corte costituzionale, cui ha fatto seguito una legge che l’ha riconosciuta, secondo cui anche le sentenze equitative, se violano i principi fondamentali del sistema – quali sono le norme costituzionali, norme comunitarie direttamente applicabili e principi regolatori di una certa materia (aspetti che attengono alle scelte fondamentali dell’ordinamento giuridico) - sono impugnabili anche in appello perché si tratta di norme imperative alle quali neanche l’equità può derogare. • Sentenze non definitive; sentenze che nascono dal caso in cui il giudice rimetta la causa su una questione pregiudiziale di rito o su una questione pregiudiziale di merito e poi, in sede di decisione, si accorge di aver sbagliato, cioè che la questione pregiudiziale di rito e la questione pregiudiziale di merito non erano fondate e, allora, doveva essere rimessa in istruttoria la causa per lo svolgimento della fase istruttoria. In questi casi, il giudice non può limitarsi solo all’ordinanza di rimessione sul ruolo della causa, ma deve anche pronunciare una sentenza non definitiva in cui risolve una volta per tutte la questione pregiudiziale di merito o la questione pregiudiziale di rito. Queste, ma l’appellabilità può avvenire con 2 modalità diverse sentenze non definitive sono appellabili; o Appello immediato secondo i termini previsti: 6 mesi dal deposito o 30 giorni dalla notifica della sentenza o La parte si riserva l’appello della sentenza non definitiva all’esito del giudizio di merito finale di 1° grado, considerando che la sentenza finale di 1° grado potrebbe dar luogo – per altre ragioni – non ad una soccombenza della parte che avrebbe potuto appellare la sentenza non definitiva, ma deve farlo nel primo atto difensivo successivo o nella prima udienza successiva se viene fissata (e viene fissata) per la prosecuzione della causa, a pena di decadenza. Quindi, la riserva è possibile però deve essere formulata entro termini perentori. Competenza del giudice di appello Art. 341 c.p.c.: - Contro le sentenze del giudice di pace; presso il Tribunale - Contro le sentenze del Tribunale; presso la Corte di Appello. Forma Art. 342 c.p.c. motivazione consta di: parte volitiva (= filtro dell’effetto devolutivo) + parte argomentativa (censura + proposta); questo contenuto deve essere inserito in un atto formale che segue le regole del rito di 1° grado; - Rito di 1° grado è rito ordinario; citazione - Rito di 1° grado è rito del lavoro o assimilati; ricorso Art. 346 c.p.c. prevede che domande e eccezioni non accolte nel giudizio di 1° grado che non sono riproposte in appello si intendono rinunciate; possono esserci questioni non accolte nella sentenza di 1° grado che devono essere semplicemente riproposte in appello senza un vero e propri appello e questioni che, invece, necessitano di un vero e proprio appello per essere esaminate nel giudizio di appello. Questione: come si distinguono le questioni da appellare espressamente dalle questioni semplicemente da riproporre in appello? = appello è originato dalla soccombenza; si può avere soccombenza solo rispetto alle domande; se formulo una domanda e viene espressamente rigettata al termine del processo, devo appellare, cioè devo introdurre l’appello in via principale contro la sentenza o in via incidentale se la domanda formulata è da parte di un soggetto che si è già visto notificare l’appello principale. ➢ sentenza di primo grado respinge esplicitamente la mia domanda; devono introdurre appello, non potendo semplicemente riproporre la domanda. Riproposizione di questioni; ogni altra questione diversa dalla domanda respinta, quindi eccezione respinta o mezzo di prova respinto non necessitano di un vero e proprio appello e possono semplicemente essere riproposti. Domande; possono essere semplicemente riproposte le domande su cui il giudice non si è - pronunciato. Introduco domanda alternativa o subordinata; se il giudice si pronuncia sulla domanda principale o si pronuncia su una delle due domande alternativa, non si pronuncia sull’altra domanda subordinata o sull’altra domanda alternativa. In questo caso la parte non ha necessità di appellare su queste domande perché restano assorbite, e allora le posso semplicemente riproporle. DOMANDA RESPINTA: PARTE DEVE APPELLARE DOMANDA ASSORBITA O ECCEZIONE RESPINTA O MEZZO DI PROVA RESPINTO: PARTE PUO’ RIPROPORRE IL MEZZO COME SE SI TRATTASSE DI UN GIUDIZIO DI 1° GRADO. *Precisazione; eccezione oggetto di sentenza non definitiva (es: giudice ha ritenuto che la prescrizione sollevata dal contenuto non fosse fondata e ha ordinato la prosecuzione del processo); la parte deve impugnare eccezione con appello. Effetti della mancata riproposizione Appello non presentato: passaggio in giudicato del capo di sentenza che ha rigettato la domanda o la sentenza che ha pronunciato sulla questione preliminare. Non riproposizione delle difese, cioè quelle che soggette solo ad un onere di semplice riproposizione e non di appello; la parte non subisce un giudicato perché mai si potrà manifestare rispetto a queste questioni, per cui la parte potrà riproporle in autonomo e successivo giudizio. Appello incidentale Ogni volta in cui vi sia una: - impugnativa principale - integrazione del contraddittorio ex art. 331 c.p.c. - denuntiatio ex art. 332 c.p.c.; Il soggetto destinatario dell’impugnazione principale può anch’egli impugnare la sentenza, però solo con impugnativa incidentale a pena di inammissibilità e può impugnare la sentenza con impugnativa incidentale anche tardiva rispetto ai termini previsti per l’impugnativa della sentenza (30 gg dalla notifica, 6 mesi dal deposito), cioè si tratta della disciplina del c.d. appello incidentale tardivo = tardivo rispetto ai termini ordinari di impugnazione, ma effettuato comunque all’interno della comparsa di costituzione depositata 20 gg prima dell’udienza. Si ricorda che le sorti dell’appello incidentale tardivo dipendono dall’impugnativa principale; se l’impugnativa principale viene dichiara inammissibile o improcedibile, viene ugualmente dichiarata inammissibile o improcedibile l’impugnativa incidentale tardiva. Trattazione dell’appello Sentenza da impugnare; - Sentenza del giudice di pace: competenza del Tribunale in formazione monocratica - Sentenza del Tribunale: competenza della Corte di Appello in formazione collegiale. Udienza di trattazione Una volta che l’appello è stato introdotto, cosa accade concretamente nello svolgimento del procedimento? Art. 351 c.p.c. udienza di trattazione; - il giudice valuta la regolarità dell’appello dal punto di vista dei soggetti che dovevano essere convenuti, altrimenti ordina le notifiche di cui agli artt. 331-332 c.p.c. - Se l’atto di appello è nullo, ne ordina la rinnovazione della notifica della citazione - Provvede alla riunione di più appelli eventualmente ramificati in più procedimenti - Se ci sono gli estremi della non ragionevole probabilità di accoglimento, emette ordinanza di cui all’art. 348-bis c.p.c. - [attività più delicata] inibitoria = sospensione dell’esecutività della sentenza di 1° grado; Premessa: sentenza conclusiva di 1° grado è immediatamente esecutiva (art. 282 c.p.c.), per cui, nelle more del giudizio di appello, l’appellante potrebbe trovarsi colpito da attività esecutiva (per equivalente o in forma specifica) dell’altra parte. Il legislatore, per soppesare interesse delle parti, ha previsto la possibilità di un’istanza con cui l’appellante chiede che siano sospesi gli effetti esecutivi della sentenza appellata; ▫ necessariamente essere contenuta nell’appello principale, altrimenti non potrà essere ammessa in giudizio di appello ▫ decisa alla prima udienza, salvo che vi siano motivi di particolare urgenza che consentano di chiedere la sospensione della sentenza inaudita altera parte alla Corte di Appello o al Tribunale. Art. 283 c.p.c. presupposti per la sospensione: gravi e fondati motivi che assestano il giudizio su un: ▫ Periculum (gravi): particolare intensità del pericolo che non deve essere un danno grave e irreparabile, non deve avere gli estremi della inibitoria quando viene fatta impugnativa innanzi alla Corte di Cassazione (art. 373 c.p.c.), ma semplicemente deve esserci un pericolo grave, nel senso di particolare intensità (non irreparabile) ▫ Fumus (fondati): fondamento dell’appello e buone possibilità di essere accolto. Decisione a verbale A seguita di una modifica, l’art. 352 c.p.c. ammette che la decisione a verbale anche in appello, richiamando art. 281-sexies c.p.c. In particolare; l. 183/2011 ha introdotto il co. 3: quando non provvede ai sensi dei commi che precedono, il giudice può decidere la causa ai sensi dell’art. 281-sexies. Consente di accelerare la decisione sugli appelli. Decisione con ordinanza Anche l’appello può concludersi con ordinanza quando l’appello deve pronunciarsi su: a. Appello deve pronunciarsi su profili di competenza b. Appello deve pronunciarsi sulla sospensione del procedimento di appello, artt. 337-335 c.p.c. c. Nelle ipotesi di cui all’art. 348-ter c.p.c.: il giudice dichiara inammissibile appello per una non ragionevole probabilità di accoglimento. Ordinanza di estinzione Le regole generali ex art. 308 c.p.c. sono state abrogate dalla novellazione dell’art. 357 c.p.c. L’ordinanza di estinzione di 1° grado è reclamabile innanzi al collegio; • … conferma dell’estinzione; il processo si conclude con sentenza • … revoca l'ordinanza di estinzione; il processo prosegue e il collegio decide con ordinanza.
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