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Michael Baxandall - Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

I fatti sociali portano allo sviluppo di precise capacità e abitudini visive che a loro volta si traducono in elementi chiaramente identificabili nello stile del pittore.

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Michael Baxandall - Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Michael Baxandall – Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento I fatti sociali portano allo sviluppo di precise capacità e abitudini visive che a loro volta si traducono in elementi chiaramente identificabili nello stile del pittore. Il capitolo I esamina la struttura del mercato dell’arte nel XV secolo – attraverso contratti, lettere e registrazioni contabili – talento artistico di chi ha capacità tecnica e abilità pittorica. I. Le condizioni del mercato Un dipinto del XV secolo è la testimonianza di un rapporto sociale. Abbiamo da un lato un pittore che faceva il dipinto, o per lo meno sovrintendeva alla sua esecuzione, dall’altro qualcuno che lo commissionava, forniva il denaro per la sua realizzazione e, una volta pronto, decideva in che modo usarlo. Giovanni Rucellai: il piacere del possesso, un’attiva devozione, un certo tipo di coscienza civica, il desiderio di lasciare un desiderio di sé e forse anche di farsi pubblicità, la necessità per l’uomo ricco di trovare una forma di riparazione che gli desse insieme merito e piacere, un gusto per i dipinti. L’uso primario di un dipinto era quello di essere osservato: esso era progettato per il cliente e per la gente da cui questi voleva che fosse ammirato. Le commissioni di privati avevano spesso un ruolo decisamente pubblico, sovente erano destinate a luoghi pubblici (pala d’altare). Accordo stipulato tra il pittore Domenico Ghirlandaio e il priore dello Spedale degli Innocenti; esso si riferisce all’Adorazione dei Magi (predalla della pala d’altare - 1488) che si trova tutt’oggi nello Spedale. Il contratto contiene tre temi principali: 1)specifica ciò che il pittore deve dipingere sulla base di un disegno concordato; 2)esplicita i modi e i tempi di pagamento da parte del cliente e i termini entro i quali il pittore deve effettuare la consegna; 3)insiste sul fatto che il pittore debba usare colori di buona qualità, specialmente l’oro e l’azzurro ultramarino (quattro fiorini l’oncia). In generale, una somma forfettaria versata a rate era di solito la forma in cui veniva effettuato il pagamento, ma talvolta le spese del pittore erano distinte dal suo lavoro. Il cliente poteva fornire i colori più costosi e pagare il pittore per il tempo impiegato e per le sue capacità. La somma concordata in un contratto non era del tutto rigida: Ghirlandaio, per esempio, ottenne 7 fiorini in più rispetto ai 115 originariamente pattuiti. Nel corso del Quattrocento i colori preziosi perdono il loro ruolo di primo piano, la richiesta di abilità pittorica assume maggiore rilievo. Questa sorta di limitazione dell’ostentazione si manifesta anche in molti altri tipi di comportamento. Per esempio, era altrettanto evidente negli abiti del cliente che stava abbandonando le stoffe dorate e le tinte sgargianti in favore del più serio nero di Borgogna. Il generale abbandono dello splendore dorato deve aver avuto origini molto complesse e differenziate: - un’impressionante mobilità sociale che portava con sé il problema di doversi distinguere dal vistoso nuovo ricco; - la netta diminuzione di disponibilità d’oro nel XV secolo; - un disgusto classico per le licenze sensuali che allora derivava dall’umanesimo neociceroniano e che avvalorava i temi più ricorrenti dell’ascetismo cristiano. Cambia l’orientamento dell’ostentazione, ma l’ostentazione in quanto tale continua. Un dipinto veniva pagato in base a questi due elementi: 1)qualità del materiale; 2)qualità dell’abilità tecnica dell’artista. Il cliente accorto aveva a disposizione vari modi per trasferire il suo denaro dall’oro al pennello. Ad esempio come sfondo alle figure poteva specificamente richiedere, in un dipinto da lui commissionato, dei paesaggi invece della doratura. Nel 1447 il Beato Angelico si trovava a Roma per dipingere degli affreschi per il nuovo papa Nicola V. Il suo lavoro non venne pagato con una cifra forfettaria, ma sulla base del tempo impiegato da lui e dai suoi tre assistenti; i materiali venivano forniti a parte. La tariffa annuale (in fiorini) per ciascuno dei quattro, mantenimento escluso, era pari a: 200 Beato Angelico; 108 somma dei tre assistenti. Si poteva spendere molto di più per l’abilità se una parte spropositata del dipinto veniva eseguita personalmente dal maestro di bottega anziché dai suoi assistenti. 1)quando parli di un soggetto solenne stai ritto in piedi con un piccolo movimento del corpo, ma puntando con l’indice; 2)quando parli di un qualsiasi argomento crudele e pieno d’ira stringi il pugno e scuoti il braccio; 3)quando parli di cose celesti e divine guarda in alto e indica il cielo con un dito; 4)quando parli di gentilezza, dolcezza o umiltà appoggia le mani sul petto; 5)quando parli di argomenti santi o di fede tieni le mani alzate. Trattando lo stesso argomento dei predicatori, i pittori inserivano nel dipinto le espressioni fisiche dello stile dei predicatori. Nell’Incoronazione della Vergine il Beato Angelico utilizza il quinto gesto dell’elenco per fare in modo che sei predicatori stimolino la nostra reazione. Questo era il gesto devoto. Il gesto laico non era molto diverso rispetto a esso, ma aveva una gamma propria, difficile da classificare: diversamente dal genere devoto era più personale e cambiava a seconda della moda. Un esempio è il gesto utilizzato per indicare invito e espressione di benvenuto. Si presta a diverse inflessioni espressive. Nell’affresco di Botticelli Un giovane dinanzi al consesso delle Arti la figura principale usa una chiara forma di benvenuto verso il giovane; nella Camera degli Sposi di Mantegna, Lodovico Gonzaga riceve suo figlio, il cardinale Francesco Gonzaga, con un’espressione di signorile ritegno; nella Primavera di Botticelli Venere ci invita con la mano e lo sguardo nel suo regno. Il pittore non era l’unico a ricorrere all’arte di creare gruppi: gli stessi soggetti religiosi erano spesso rappresentati in drammi sacri. Nel corso del XV secolo a Firenze ci fu una grande fioritura di drammi religiosi. Dove esistevano, tali rappresentazioni devono aver contribuito ad accrescere nella gente la capacità di visualizzare gli avvenimenti rappresentati e a quell’epoca venne notato un certo rapporto tra queste e la pittura (angelo giovane, vestito di un abito bianco ornato d’oro). Tali spettacoli avevano in comune con i dipinti convenzioni antidrammatiche piuttosto che il realismo delle rappresentazioni. Queste, ad esempio, erano introdotte da una figura corale, il festaiuolo, spesso impersonato da un angelo, che restava sulla scena durante lo svolgimento dello spettacolo come tramite tra il pubblico e le vicende rappresentate: figure corali di questo genere vengono spesso usate anche dal pittore. Il fruitore del Quattrocento avrebbe percepito tali figure corali attraverso la sua esperienza del festaiuolo. 1)persino Piero della Francesca faceva assegnamento sul fatto che il fruitore fosse disposto a leggere i rapporti che c’erano all’interno dei gruppi. Nel suo Battesimo di Cristo c’è un gruppo di tre angeli. Una di queste figure sta fissando con sguardo trasognato o direttamente noi o un punto appena sopra/ accanto alla nostra testa. Questa situazione stabilisce tra noi e la figura un rapporto tale che ci sentiamo attratti da essa e dal suo ruolo. È quasi un festaiuolo. Ha sempre un ruolo secondario. Spesso, come accade nel Battesimo, la sua testa sarà vicina ad altre teste, con differenze tipologiche appena percettibili risetto alla prima, che fissano il punto centrale della narrazione, il Cristo battezzato. A fasi alterne siamo così fruitori, quando guardiamo l’azione stando di fronte, e attori, quando instauriamo un rapporto personale con il gruppo di angeli. Ancora, gli spettacoli venivano recitati da figure che normalmente non lasciavano il palcoscenico tra un’apparizione e l’altra; sedevano invece sulle rispettive sedie sul palco, alzandosi per recitare la propria parte con battute e gesti. Anche questa convenzione ha il suo corrispondente nella logica di molti dipinti. 2)nel dipinto La Vergine e il Bambino con i santi di Filippo Lippi le figure dei santi assistono sedute in attesa del loro turno per alzarsi e recitare. Un’attività del XV secolo abbastanza simile alla composizione dei gruppi in pittura che ci consente di comprendere questi ultimi un po’ più a fondo è la danza: in modo particolare la bassa danza, la danza a passo lento che divenne popolare in Italia nella prima metà del secolo. Diversi sono gli elementi che fanno della bassa danza un utile parallelo, senz’altro molto più valido che non le rappresentazioni sacre. 1)si trattava di un’arte a sé, con trattati propri – il primo è di Domenico da Piacenza, scritto negli anni ’40 – e una sua terminologia teorica. La danza si componeva di cinque parti: - aere; - maniera; - misura; - misura di terreno; - memoria; 2)i danzatori erano concepiti e classificati in gruppi di figure, in schemi; 3)il parallelo tra danza e pittura sembra si sia esso stesso imposto alla gente del Quattrocento. Abbiamo visto come il trattato sulla pittura dell’Alberti e il trattato sulla danza dell’Ebreo abbiano in comune una preoccupazione per i movimenti fisici come riflesso dei moti mentali. Nei dipinti di soggetto neoclassico e mitologico il pittore era costretto a inventare qualcosa di nuovo in un linguaggio quattrocentesco. La Nascita di Venere del Botticelli fu dipinta negli anni ’80 per Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici; suo cugino, Lorenzo di Piero de’ Medici, il Magnifico, aveva composto una danza intitolata Venus, probabilmente negli anni ’60. L’analogia dello schema (due figure laterali dipendono da una centrale) non significa che quella danza particolare abbia influenzato proprio quel dipinto: ma sia la danza che il quadro vennero creati per gente con lo stesso tipo di approccio alle scene artistiche di gruppo. Quando aveva a che fare con un soggetto neoclassico, privo di qualsiasi tradizione prestabilita riguardo all’impostazione e di qualsiasi certezza che la storia fosse ampiamente e intimamente nota, il pittore poteva far danzare le figure in modo da esprimere palesemente il loro rapporto, come fa il Botticelli nel suo Pallade doma il centauro. Non importa se la storia non ci è familiare: il dipinto può essere preso nello spirito di un ballo in due. A Firenze, un ragazzo nelle scuole laiche o municipali riceveva due gradi di istruzione. A partire dall’età di sei o sette, per circa quattro anni, frequentava una scuola elementare o botteghuzza, dove imparava a leggere e scrivere e alcune nozioni di base di corrispondenza commerciale e formule notarili. Poi, dall’età di dieci/undici, per circa quattro anni, proseguiva gli studi in una scuola secondaria, l’abbaco. Qui studiava alcuni libri un po’ più impegnativi, come Esopo e Dante, ma la maggior parte dell’insegnamento era basato sulla matematica. Pochi proseguivano con l’università per diventare avvocati. Per buona parte della gente appartenente alla borghesia le nozioni matematiche acquisite nella scuola secondaria costituivano il nucleo centrale della loro formazione intellettuale e della loro cultura. Matematica commerciale - misurazione Si trattava di una matematica commerciale, strutturata sulle esigenze del mercante. Prima del XIX ogni contenitore (per il trasporto delle merci) era unico, e calcolare il suo volume in modo rapido e preciso era una condizione essenziale negli affari. Un mercante italiano, per esempio, misurava i suoi barili mediante la geometria e ilπ. Piero della Francesca stesso aveva scritto un manuale di matematica per mercanti, il De abaco. Le capacità che Piero usava per analizzare le forme che dipingeva erano le stesse che usava per misurare delle quantità. Il legame tra misurazione e pittura è estremamente concreto. Il pubblico aveva queste stesse nozioni geometriche per guardare i dipinti. Un modo ovvio per il pittore di provocare l’intervento del misuratore era quello di fare un acuto uso del repertorio degli oggetti solitamente utilizzati negli esercizi di misurazione. Quando un pittore come Piero usava un padiglione nella sua pittura invitava il suo pubblico a misurare. Non che essi si mettessero a fare calcoli, ma tendevano a riconoscere nel padiglione prima di tutto un composto di un cilindro e di un cono e, solo secondariamente, qualcosa che andava al di là del cilindro e del cono in senso stretto. Ne risultava una più completa conoscenza del padiglione quale precisa forma volumetrica. Non c’è niente di banale nell’uso che Piero fa qui dell’abilità del suo pubblico; è un modo per soddisfare la terza richiesta della Chiesa al pittore e cioè lo stimolare l’uso della vista nella sua speciale qualità di immediatezza e di forza. Aritmetica commerciale - proporzione Landino era uno studioso di latino e un filosofo platonico, un esponente della lingua volgare e docente di poesia e retorica all’università di Firenze; era anche scrittore di lettere pubbliche presso la Signoria di Firenze. In breve la sua professione consisteva nell’esatto uso della lingua. Altri due elementi lo mettevano in grado di pronunciarsi sui pittori: era amico dell’Alberti, di cui aveva letto il trattato Della pittura (1435), ed era il traduttore della Naturalis Historia di Plinio. Il metodo di Plinio si fondava prevalentemente su una tradizione di uso della metafora: egli descriveva lo stile degli artisti con parole che dovevano buona parte del loro significato al loro uso in contesti sociali o letterari, non pittorici. Nel 1473 venne pubblicata la traduzione di Plinio fatta da Landino. Trovandosi di fronte ai termini di Plinio durus, gravis, severus egli si limitò a tradurli con duro, grave severo. Così quando nel 1480 Landino si trovò a descrivere gli artisti del suo tempo ci si sarebbe aspettati che usasse i termini di Plinio. Ma fu un suo merito il non averlo fatto. Egli non usò i termini di Plinio, bensì il metodo dei termini di Plinio. Come Plinio Landino fece uso di metafore, o coniate da lui o appartenenti alla sua cultura, riferendo aspetti dello stile pittorico del suo tempo allo stile sociale o letterario della sue epoca – per esempio prompto, divoto, ornato. Come Plinio anch’egli usa termini ricavati dalla bottega degli artisti, non così tecnici da essere sconosciuti al lettore comune – per esempio disegnatore, prospectivo, rilievo. Il resoconto sugli artisti si trova nell’introduzione al suo commento alla Divina Commedia in cui egli mirava a respingere l’accusa che Dante fosse stato antifiorentino; egli sostiene la lealtà di Dante e poi l’eccellenza di Firenze parlando degli uomini della città che si erano distinti in vari campi. Nel corso del Rinascimento parte di questo vocabolario per analizzare criticamente l’arte e la vita si estese dagli studiosi e dagli scrittori ad altre persone. Il banchiere prese a usare molti di questi termini e concetti senza alcuna particolare consapevolezza della loro origine classica. Questo processo costituì una parte importante del durevole influsso classico sulla cultura europea nel Rinascimento. Ornato: per noi è un elemento decorativo. Ma nel Rinascimento ciò era solo una piccola e discutibile parte dell’ornato che abbracciava invece molto di più. Per capire cosa fosse l’ornato ci viene in aiuto la critica neoclassica e specialmente il libro VIII delle Institutines oratoriae di Quintiliano. Per i critici letterari le prime due qualità del linguaggio erano la chiarezza e la correttezza; tutto ciò che si aggiungeva alla chiarezza e alla correttezza era ornato. Quintiliano ne elenca la qualità generali: acutum, nitidum, copiosum, hilare, iucundum, accuratum. Per Landino i dipinti di Filippo Lippi e del Beato Angelico erano ornato, mentre Masaccio era sanza ornato perché perseguiva altri valori (sacrificava questa virtù a favore di una chiara e corretta imitazione del reale). È chiaro che quando il Quattrocento usava questo termine nel contesto di motivi particolari nei dipinti, intendeva molto spesso riferirlo all’atteggiamento o al movimento di una figura. E in questo il Rinascimento non si discostava molto dall’antichità classica. In un famoso brano Quintiliano, nel tentativo di spiegare l’effetto di figure ornate in retorica, usa come paragone una statua; la rigida statua eretta con le braccia che sembrano incollate alla figura, manca di gratia e di ornamento, mentre una posa curva, mobile e varia ha gratia ed è l’equivalente della prosa ornata. E questa è forse l’immagine mentale che più si adatta al nostro scopo: la figura decisa ed eretta (Masaccio) è sanza ornato e quella flessa e bilanciata (Filippo Lippi) è ornato. Questo libro aveva iniziato sottolineando che le forme e gli stili della pittura corrispondono alle situazioni sociali; buona parte del libro è stata dedicata all’esame di aspetti pratici e convenzioni sociali che possono rendere più acuta la nostra percezione dei dipinti. È quindi simmetrico e corretto terminare il libro ribaltando l’equazione – suggerendo cioè che le forme e gli stili della pittura possono acuire la nostra percezione della società. Una società sviluppa le proprie capacità e le proprie abitudini, che hanno un aspetto visivo, dal momento che il senso della vista è il principale organo di esperienza, e queste capacità e abitudini visive diventano parte degli strumenti espressivi del pittore – analogamente uno stile pittorico consente di risalire alle capacità e alle abitudini visive e, tramite queste, all’esperienza sociale tipica di un’epoca. Un dipinto antico è un documento di un’attività visiva. Se osserviamo che Piero della Francesca tende a un tipo di pittura legata alla misurazione, il Beato Angelico a un tipo di pittura legata alla predicazione e il Botticelli a un tipo di pittura legato alla danza, osserviamo qualcosa che riguarda non solo loro ma la società in cui vivevano. Ciò che offrono i dipinti è la possibilità di intuire cosa volesse dire intellettualmente e sensibilmente essere persona del Quattrocento. L’ultima parola in proposito è meglio lasciarla al fiorentino Feo Belcari e precisamente alle prime righe del suo dramma Abramo e Isacco, rappresentato nel 1449: Lo Occhio si dice che e la prima porta Per la quale lo Intellecto intende e gusta. La secunda e lo Audire con voce scolta Che fa la nostra mente essere robusta.
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