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Microbiologia - batteri e virus, Appunti di Microbiologia

Batteri (gram positivi e negativi): struttura della cellula, membrana citoplasmatica, citoplasma, parete cellulare, peptidoglicano, periplasma. Sistemi di secrezione, biogenesi della membrana esterna, differenziamento cellulare, sporulazione. Quorum-sensing e socio-microbiologia Motilità batterica, chemiotassi, nutrizione e crescita batterica Antibiotici Plasmidi Mutazioni geniche e selezione naturale: test di fluttuazione Variabilità batterica Trasformazione e trasduzione Batteriofagi: coltivazione e ciclo riproduttivo, phage therapy. Virologia: virus eucariotici Herpesviridae: herpes simplex virus e herpes zoster

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 22/06/2024

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Scarica Microbiologia - batteri e virus e più Appunti in PDF di Microbiologia solo su Docsity! 1 La microbiologia è la branca della biologia che studia la struttura e le funzioni dei microrganismi viventi, unicellulari, pluricellulari o acellulari, che non si vedono ad occhio nudo. Essa comprende lo studio dei batteri, di piccoli eucarioti come funghi, lieviti, alghe, protozoi e dei virus, parassiti intracellulari obbligati che hanno un’organizzazione non cellulare e non possiedono metabolismo proprio (possono avere genomi non a DNA). Il range nel quale l’occhio umano riesce a distinguere due corpi è da 1mm in su; sotto questo livello si inizia a parlare di microscopia. Il microscopio ottico ha una risoluzione che permette di vedere da 1mm a 1 micrometro (Escherichia coli/staphilococco); quello elettronico permette di vedere fino ad 1 nanometro (virus dell’epatite B, poliovirus o AIDS virus) mentre per microrganismi fino a 0.1 nm (1 Armstrong) occorrono microscopi speciali. BATTERI I batteri sono presenti ovunque (ubiquitari); sulla terra sono 5x1030 contro i 7x109 esseri umani. Essendo in numero così ampio, hanno colonizzato praticamente qualsiasi ecosistema sulla Terra. Il corpo umano è composto da mille miliardi di cellule umane e 10mila miliardi di cellule batteriche, che contribuiscono a tantissimi aspetti fondamentali della nostra fisiologia. Dal punto di vista del DNA, un uomo possiede 25mila geni umani e 2milioni e 500mila geni batterici. I microrganismi possono essere studiati: • Osservandoli (grazie a tecnologie come il microscopio) e cercando di formulare ipotesi avvalorandole/confutandole tramite esperimenti che seguono il metodo scientifico. • Coltivandoli in laboratorio (in terreno liquido o solido, anche se solo una piccolissima percentuale sulla totalità dei batteri presenti in natura è coltivabile in laboratorio; questo per due motivi: il primo è che l’habitat/nutrienti sono difficilmente ricreabili e così anche i loro parametri chimico/fisici, il secondo è il fatto che spesso si formano comunità batteriche complesse e quindi alcuni batteri vivono solo se sono presenti altri. Alcuni hanno anche delle dinamiche di crescita lentissime). • Decodificando le informazioni contenute nel loro genoma (spesso il batterio non riesce ad essere coltivato in lab, ma attraverso delle tecniche si può estrarre solamente il loro acido nucleico). I batteri più noti sono i patogeni, ossia quelli che causano patologie nell’uomo o negli animali, come quelli che causano la meningite, le carie, le cistiti, la polmonite, le ulcere, le sepsi…. La cellula si divide in procariotica ed eucariotica; le differenze risiedono nelle dimensioni, nella struttura e nella composizione. Negli E il materiale genetico è contenuto in un nucleo delimitato da membrane, nei P esso è addensato a formare il nucleoide. Il fatto che i P non hanno membrane nucleari porta ad una serie di adattamenti; se negli E l’espressione genica è compartimentata, nei P la trascrizione e la traduzione avvengono quasi simultaneamente; la traduzione spesso inizia senza che la trascrizione sia finita. Nelle cellule dei P non ci sono i mitocondri, poiché la respirazione avviene sulla membrana citoplasmatica e non ci sono i cloroplasti. Alcuni batteri però, hanno avuto bisogno di una compartimentalizzazione, ma sono delle eccezioni e questi 2 comparti sono diversi da quelli degli E. All’interno della famiglia dei batteri, vi è il domino degli Archea, la quale membrana non è un doppio strato fosfolipidico, ma è formata da polimeri di isoprene. Le cellule batteriche svolgono tutte le funzioni che svolgono quelle eucariotiche, ma in modo diverso; tutte sono capaci di: • Assumere nutrienti dall’esterno, modificarli ed espellere rifiuti (metabolismo, che può essere genetico, replicazione, trascrizione e traduzione, o catalitico, energia e biosintesi). • Crescere, ossia di aumentare di numero o di biomassa tramite la traduzione dei nutrienti assunti dall’ambiente. • Evolversi, ossia acquisire nel tempo nuove proprietà. Alcune cellule possiedono delle proprietà, come: • La capacità di differenziarsi, formando nuove strutture cellulari come endospore, altamente resistenti a condizioni ambientali avverse, grazie alle quali il materiale genetico viene protetto affinchè l’ambiente non ritorna vivibile. • La capacità di comunicare, ossia la capacità di comunicare tra loro producendo molecole liberate nell’ambiente, che vengono captate da altre cellule; ciò permette di coordinare delle funzioni, come l’espressione genica. • La capacità di scambiarsi materiale genetico tramite il trasferimento di plasmidi, di virus batterici o DNA nudo. • La capacità di spostarsi autonomamente, grazie ad appendici come flagelli, ciglia e pili, di cui sono dotate. CLASSIFICAZIONE DEGLI ORGANISMI VIVENTI 1 mar. 22 FORMA DELLE CELLULE BATTERICHE Ogni genere di cellula batterica ha una forma peculiare; queste vengono raggruppate in: • Batteri coccoidi: forma rotondeggiante, possono vivere come cellule singole, come diplococchi (due cocchi), micrococchi (es. streptococco). • Batteri a bastoncello: forma allungata a bacillo, come i micobatteri della tubercolosi; alcuni hanno 5 TAPPE FONDAMENTALI STRUTTURA DELLA CELLULA Nella cellula procariotica non c’è una membrana a delimitare l’acido nucleico, non ci sono organuli come mitocondri né strutture membranose come il RE o l’apparato del Golgi. Trascrizione e traduzione sono quasi fenomeni simultanei poiché non vi è la compartimentazione in organelli/posizioni specifiche. Le cellule procariotiche sono talmente piccole che si riescono a vedere solo con il microscopio ottico. Per vederle, le cellule devono essere colorate; alcune sono colorate naturalmente, per altre bisogna ricorrere ad un certo tipo di colorazioni, come quelle a fluorescenza o quella di Gram. La colorazione di Gram (1884, medico danese Hans Gram) viene utilizzata tutt’oggi ed è differenziale, ossia colora in maniera differente due tipologie di batteri che a seguito della colorazione vengono suddivisi in gram positivi (blu) e gram negativi (rosso). Questa colorazione è possibile perche le cellule batteriche possono essere di due tipologie: la parete che le riveste nei gram negativi è costituita da un una 6 membrana citoplasmatica e da un’altra membrana esterna (didermi) in cui è presente il peptidoglicano immerso nel periplasma, mentre nei positivi vi è la membrana citoplasmatica e uno strato di peptidoglicano molto spesso e più impermeabile; questo fa si che la cellula si comporti in modo diverso durante la colorazione. Come prima cosa si prendono le cellule da andare a colorare mescolandole con soluzione fisiologica e posizionando l’ottenuto su un vetrino; il tutto verrà fissato col calore e si andrà, una volta raffreddato, a ricoprirlo con il colorante. Sul vetrino si metterà una goccia d’olio per usare l’obiettivo 100x. Dopo la prima fase di colorazione con il cristal-violetto, il preparato viene decolorato con etanolo per 20sec e poi sciacquato con acqua. Solo le gram negative si decolorano, quelle positive no grazie al peptidoglicano più spesso, che trattiene il colorante e quindi non decolorano. Le gram negative ritornano trasparenti ed è possibile colorarle con uno di contrasto rosso (safranina) ed è per questo che le due si distinguono. 7La forma delle cellule procariotiche è mantenuta dalla parete cellulare ed è determinata da proteine che presentano similarità con le proteine del citoscheletro eucariotico. Per quanto riguarda le dimensioni, la cellula procariotica è fino a 10 volte più piccola di quella eucariotica (1 micron); una cellula di forma sferica ha la maggior superficie possibile (con miglior rapporto superficie/volume) e quindi una maggior velocità di diffusione dei nutrienti e dei prodotti di scarto, con un effetto positivo su metabolismo e velocità di crescita. Membrana citoplasmatica: È formata da un doppio strato fosfolipidico costituito da un glicerolo fosfato (testa polare a contatto con l’ambiente acquoso) legato a catene di acidi grassi (parte idrofoba a contatto con l’ambiente idrofobo). La membrana è sede di numerosissimi processi biologici, e sono presenti tante proteine, che sono integrali di membrana (come le proteine canali), periferiche, monotopiche e cosi via. Sono presenti anche cationi, come magnesio e calci, che servono a stabilizzare la membrana schermando le cariche negative dei fosfolipidi (che stando vicini si respingono). 7 Gli acidi grassi sono legati al glicerolo tramite un legame estere. La composizione lipidica della membrana varia a sceonda della temperatura, in modo da mantenere più o meno costante la fluidità di membrana. Se la catena contiene acidi grassi saturi, la fluidità è minore e la temperatura di fluidificazione è più alta; se la catena contiene acidi grassi insaturi, la fluidità aumenta e la temperatura di fluidificazione è minore. Nella membrana procariotica non c’è il colesterolo ma ci sono molecole che svolgono una funzione simile; il colesterolo ha una struttura planare che si intercala negli acidi grassi rendendo la membrana meno flessibile. Nei batteri a svolgere questa funzione ci pensano gli opanoidi, simili agli steroli sia strutturalmente che funzionalmente (Archea no opanoidi). La membrana degli Archea sono presenti catene isopreniche; tra il glicerolo e l’acidi grassi vi è un legame etere poiché manca un carbonile. Il glicerolo negli Archea è L, mentre nei batteri è D. Anche negli Archea è possibile individuare una parte polare e una apolare ma non tutti hanno la membrana formata da un doppio strato. Alcuni hanno la membrana a monostrato, in cui la catena isoprenica è più lunga e possiede due teste polari; ciò influisce sulla resistenza. Il monostrato è più resistente del doppio strato poiché è più rigido e non si interrompe a metà. Negli Archea non ci sono nemmeno gli opanoidi ma vi è la necessità di più stabilità; le catene isopreniche hanno la capacità di ciclizzare e formare parti planari che vanno a svolgere la stessa funzione del colesterolo e degli opanoidi. Queste strutture a monostrato le si trovano spesso in Archea ipertermofili che hanno bisogno di più resistenza. Nella membrana citoplasmatica vi sono proteine periferiche, associate alla membrana tramite legami deboli, o integrali, che possono essere canali, trasportatori o sensori. Le proteine che attraversano la membrana hanno natura anfipatica; le regioni idrofobiche affondano nel doppio strato lipidico mentre le parti idrofile sporgono sui due lati della membrana plasmatica. Le funzioni di quest’ultima sono quella di barriera selettivamente permeabile, conservazione (riesce a conservare un gradiente protonico perché la concentrazione di ioni H+ è più elevata all’esterno che all’esterno) e produzione di energia (avviene la respirazione cellulare mentre negli eucarioti avviene nei mitocondri) e fa da sito di ancoraggi per proteine essenziali. Ci sono dei problemi però; la membrana è molto poco permeabile alla maggior parte delle molecole, come gli ioni (la bassissima permeabilità permette al batterio di generare un gradiente), di cui la cellula ha molto bisogno quindi necessariamente esisteranno sistemi che internalizzano queste molecole contro gradiente, ossia meccanismi di trasporto transmembrana, che utilizzano energia. 7 mar. ’22 La membrana è quindi una barriera selettivamente permeabile, cioè è permeabile a particolari tipi di soluti, come acqua, gas, piccole molecole liposolubili prive di carica, mentre non lo è per ioni, composti polari e grosse molecole. La cellula, però, ha bisogno anche di questi ultimi quindi attiva dei sistemi in grado di trasportarli dall’esterno (dove sono maggiormente concentrati) all’interno della cellula. Questi sistemi prendono il nome di sistemi di trasporto e si dividono in trasporto passivo (diffusione semplice e 10 Invece di un tetrapeptide, abbiamo un pentapeptide poiché dopo il DAP viene aggiunto un dimero di D-alanina, non un monomero (UDP-NAM + pentapeptide). Il pentapeptide si associa al NAG e attraversa la membrana plasmatica. • II tappa: trasporto del glican-pentapeptide attraverso la membrana. Il glican-pentapeptide riesce ad attraversare la membrana grazie al bactoprenolo trifosfato, una molecola lipidica fortemente idrofoba. Il NAM- pentapeptide viene caricato sul bactoprenolo; al complesso si aggancia anche il NAG e viene formato il monomero (associato al bactoprenolo tri-fosfato). Quest’ultimo riesce ad attraversare la membrana ed esporre all’esterno (periplasma) il monomero (si flippa). Il monomero adesso deve essere inserito nel peptidoglicano già presente per accrescere la parete (durante l’accrescimento della cellula prima della divisione). • III tappa: polimerizzazione dei monomeri. Dopo che il monomero si inserisce, il primo legame che si forma è quello di tipo glicosidico (tra NAM e NAG) grazie alle transglicosilasi, poi avverrano i legami di transpeptidazione che coinvolgono la parte amminoacidica, catalizzati dalla transpeptidasi (PBP, penicillin-binding-proteins; la penicillina vi si lega bloccandone l’attività e bloccando quindi la sintesi della parete). Una volta che il monomero si trova nel periplasma, tutte le reazioni che avvengono lì hanno bisogno di energia (che non sia derivata dall’idrolisi ATP, che si trova nel citoplasma) e quindi usano l’energia insita nel pentapeptide, idrolizzando e scindendo il legame (a opera delle transpeptidasi) che tiene unito il dimero di D-alanina per formare il legame crociato DAP/D-alanina. La sintesi del peptidoglicano deve essere accoppiata alla presenza di enzimi con funzioni litiche, che vanno a idrolizzare legami tra i monomeri del peptidoglicano gia presente al fine di poterne inserire di nuovi. L’attività litica deve essere regolata e coordinata con l’accrescimento della parete in siti specifici, degradando il filamento di glicano e sostituendolo con 3 filamenti nuovi. Gli enzimi con funzioni litiche sono le autolisine, e ce ne sono di diversi tipi: le muramidasi e le transglicosilasi litiche (scindono il legame tra NAM e NAG), le amidasi (NAM e L-alanina), le endopeptidasi (aa-aa) e le carbossipeptidasi (X e D- alanina). GRAM POSITIVI vs GRAM NEGATIVI Nei gram positivi il peptidoglicano costituisce il 40% del peso secco della cellula, ma non solo. Sono presenti proteine associate alla parete, acido teicoico e acido lipoteicoico inseriti nel peptidoglicano. L’acido lipoteicoico è più grande e ha affinità con la parte lipidica andando a inserirsi nella membrana citoplasmatica. Questi acidi sono polimeri anionici costituiti da unità ripetute di 1,3-glicerol-fosfato o di 1,5 D-ribitol-fosfato legati tra loro da legami fosfodiesterici, che si legano al NAM del peptidoglicano covalentemente. Gli acidi teicoici determinano le caratterische chimico-fisiche della parete (porosità, elasticità, resistenza…), sono responsabili della carica negativa della superficie cellulare e controllano l’assimilazione dei cationi metallici, sono riserva di fosfato e sono importanti ai fini dell’attaccamento alla mucosa e allo smalto dentale. 11 Nei gram negativi sono presenti due membrane, esterna e interna (citoplasmatica); tra le due vi è il periplasma, che contiene il peptidoglicano. La membrana esterna è asimmetrica; la faccia rivolta verso il periplasma (fosfolipidi) è fatta in modo diverso di quella rivolta verso l’esterno (LPS=lipopolisaccaride). Troviamo sempre le porine, che attraversano la membrana esterna (la loro discriminazione avviene in base alla dimensione, non alla natura del substrato). L’LPS è costituito da lipide A, il core (esterno e interno) e l’antigene O. Il lipide A prende contatto coi fosfolipidi della faccia periplasmatica, la parte core è costante in tutti gli LPS mentre la parte variabile consiste negli zuccheri che vanno a formare l’antigene O. Il lipide A è formato da un numero variabile di acidi grassi legati ad un dimero di NAG esterificato con due gruppi fosfato (in modo da avere una parte polare). Questa parte poi lega il core polisaccaridico, che è una regione relativamente conservata formata da varie molecole di zuccheri (esosi, eptosi…) che poi legano l’antigene O, regione polisaccaridica molto variabile costituita da unità ripetute, fortemente immunogenica. Sulla membrana esterna possono inoltre esserci proteine come recettori specifici e lipoproteine (strutturali, di trasporto, di trasduzione del segnale). Un esempio è la proteina di Braun, che ancora membrana esterna al peptidoglicano. PERIPLASMA Il periplasma è lo spazio racchiuso tra membrana esterna e interna ed è costituito da una matrice simile ad un gel che contiene peptidoglicano e proteine, come le proteine trasportatori di aa come ABC. Esso è in continuità con lo spazio extracellulare tramite le porine e non contiene ATP o altre forme di energia equivalenti; infatti, i processi endoergonici devono accoppiarsi a sistemi della membrana citoplasmatica in grado di portare energia fino al periplasma. Le porine sono degli omotrimeri e ogni monomero forma un canale attraverso cui passano le molecole; alcune sono aspecifiche, e la specificità spesso è data dalle dimensioni del substrato, che passa secondo gradiente. COLORAZIONE DI GRAM Questa colorazione sfrutta le caratteristiche strutturali tipiche dei gram positivi (violetto) e negativi (rosso). 12 ALTRI RIVESTIMENTI Alcune possiedono rivestimenti esterni alla parete: lo strato S (surface layer) e il glicocalice (capsule e polisaccaridi extracellulari), che non sono presenti in tutti i batteri e non sono generalmente essenziali per la vitalità cellulare; questi rivestimenti proteggono la cellula dalla fagocitosi, danno resistenza e svolgono azioni di adesione. La struttura e la composizone varia da specie a specie. Strato S: strato di natura proteica che si forma per autoassemblaggio a formare pori, infatti questo strato fa da “setaccio molecolare”; la struttura è altamente organizzata con varie simmetria a seconda del numero e della struttura delle subunità. Glicocalice: strato di natura polisaccaridica (omopolimerici o eteropolimerici, altamente variabili sia per monomeri sia per tipo di legame); si può suddividere nella capsula, rivestimento ben strutturato e compatto e ben adeso alla parete cellulare, e nello strato mucoso, meno organizzato e lassamente adeso alla cellula. Appendici: Pili: protrusioni di natura proteica che si estendono dalla cellula batterica e si allungano e si accorciano; quando un pilo è allungato si lega al substrato, poi si accorcia e la cellula lo segue. Esistono i pili sessuali, attraverso i quali le cellule batteriche si scambiano materiale genetico, ed entra in gioco nella coniugazione (trasferimento genico orizzontale). In realtà i pili coniugativi sono bersaglio dei virus batterici; molti di questi riconoscono come recettori i monomeri proteici che costituiscono i pili e quindi, attraverso questi, entrano nella cellula. PARETE DEGI ARCHEAE La maggiorparte degli Archaea possiede un rivestimento proteico che circonda la cellula, simile allo strato S (sulfolobales). Non tutti però hanno il rivestimento di natura proteica; in alcuni rari casi vi è una seconda membrana (ignicoccus hospitalis), in altri un glicocalice, in altri casi una combinazione dei due o uno pseudo-peptidoglicano (methanosphaera). A differenza del peptidoglicano dei batteri, al posto del NAM c’è il NAT, l’acido N-acetiltalosaminuronico. Sono assenti anche amminoacidi in forma D e gli zuccheri sono legati tramite legami beta-1,3 (invece del beta-1,4) che non è sensibile al lisozima. CITOPLASMA DEI BATTERI: Il citoplasma è costituito da una matrice, formata al 70% di acqua e il restante 30% di macromolecole (DNA e vari RNA) e altri soluti; il DNA genomico è addensato nel citoplasma a formare il nucleoide (non rivestito, ecco perché la trascrizione e la traduzione possono avvenire simultaneamente) e la struttura granulare è data dall’elevato numero di ribosomi. Oltre ad DNA genomico, vi è anche del DNA extracromosomico che generalmente costituisce i plasmidi, frammenti di DNA tipicamente circolare a doppio filamento. Ci sono tuttavia delle strutture presenti solamente in alcune cellule batteriche, dette inclusioni citoplasmatiche, dove le cellule immagazzinano nutrienti sottoforma di polimeri (per mantenere più bassa la pressione osmotica intracellulare). In alcuni casi le inclusioni sono circondate da una sottile membrana costituita da un monostrato di fosfolipidi. I principali composti organici conservati sono glicogeno, amido, poli-β-idrossialcanoati, polifosfati e cianoficina. 15 Indirizzamento delle proteine nell’ambiente extracellulare Nei gram negativi, il sistema Sec esporta proteine periplasmatiche, proteine della membrana esterna e proteine extracellulari. Questo avviene grazie a 4 sistemi che lavorano a valle del Sec e aiutano le proteine ad attraversare la membrana esterna. I 4 sistemi prevedono un processo a due step (attraversamento della membrana citoplasmatica con Sec e attraversamento della membrana esterna) sono: Sistema di secrezione di tipo II: E’ formato da un complesso multiproteico (12/15 componenti) che attraversa l’intero involucro cellulare (IM, periplasma, OM). Dopo l’attraversamento della membrana citoplasmatica, le proteine che devono uscire si ripiegano e passano attraverso un canale, che attraversa la membrana arrivando a proteine citoplasmatiche in grado di fornire energia al sistema idrolizzando ATP o GTP. Queste proteine non sono coinvolte nel trasporto, mentre quelle che lo sono sono quelle che formano il poro (GspS). Sistema di secrezione di tipo V: a due partner e autotrasportatori: 1.I due partner sono il trasportatore e la proteina da trasportare (spesso di grandi dimensioni). Il trasportatore si inserisce nella membrana (beta- barrel) ed è specifico per la proteina da trasportare. Ci sono dei sistemi che permettono alla proteina secreta di riconoscere il suo trasportare; la proteina trasportata presenta un dominio TPS (two partners secretion) di circa 300 aa. La presenza di queste due proteine insieme deriva dal fatto che nei batteri più geni possono trovarsi sullo stesso trascritto (organizzati in operone, che consiste in un promotore che inizia la trascrizione dei geni per il trasportatore e per la proteina da trasportare); questi geni codificano per proteine che sono contemporaneamente tradotte e di conseguenza contemporeaneamente presenti. 2.L’autotrasportatore (proteina) si trasporta attraverso la membrana e contiene 3 domini: il peptide segnale N-terminale, il dominio centrale e quello C-terminale che forma un canale nella membrana esterna (così che la proteina esca). Dopo essere uscita, la peptidasi taglia e separa i domini. Non ha bisogno di prendere contatto con un complesso che ne medi il trasporto, ma possiede un dominio che forma un poro (grazie ad un complesso Bam - beta barrel assembling machinery che interviene per inserire il canale nella membrana), per questo è un “autotrasportatore”. Sistema di secrezione Chaperone/Usher: Questo sistema è associato alla secrezione di strutture di natura proteica che poi rimangono associati alla cellula (pili, adesine…). Sono coinvolte due proteine: uno chaperone periplasmatico e una proteina della membrana esterna (usciere). In figura, il PapD è lo chaperone e PapC è l’usciere: quando la proteina (pilina) arriva nel periplasma, si lega al PapD che la indirizza verso il PapC e lì si assembla andando a formare il pilo. PapD favorisce il corretto ripiegamento della pilina, previene la sua aggregazione nel periplasma e la trasporta a PapC. Ci sono anche altri sistemi, oltre il Sec, come il sistema TAT (passaggio attraverso la membrana interna) ed altri, come i Sec-indipendenti, che permettono l’attraversamento simultaneo di membrana interna ed esterna (one-step process). Figura 1: assemblaggio dei pili in E.coli. 16 Sistema TAT: il sistema TAT (twin-arginine translocation) riconosce come proteina da esportare delle proteine che hanno all’amminoterminale due arginine vicine. In Escherichia coli, il sistema TAT è composto da 3 proteine: la TatA, che forma una struttura multimerica che costituisce il canale, la TatB e la TatC coinvolte nel riconoscimento della sequenza segnale. Le proteine che vengono trasportate sono gia nella loro conformazione finale (struttura terziaria/quaternaria) e possono spesso coinvolgere cofattori, oppure TAT può trasportare interi complessi proteici. Questo tipo di trasporto è ovviamente post-traduzionale e richiede energia, che deriva dalla PMF (forza proton-motrice, gradiente si forma a cavallo della membrana citoplasmatica poiché all’interno vi è una concentrazione minore di H+ che entreranno secondo gradiente). Solitamente le proteine trasportate con TAT rimangono nel citoplasma. Sistemi TAT indipendenti one-step: Sistema di secrezione di tipo I: nei gram negativi è costituito da tre componenti: outer membrane protein, membrane fusion protein e trasportatore ABC; queste tre proteine formano un canale unico che attraversa le due membrane e il trasportatore ABC e la membrane fusion proteine sono specifici per il substrato. L’energia che serve deriva dall’idrolisi di ATP. La proteina secreta ha la sequenza di riconoscimento al carbossiterminale e non viene tagliata. Sistema di secrezione di tipo III (iniettosoma): sistemi presenti in batteri patogeni che permettono l’iniezione di proteine effettrici (fattori di virulenza) direttamente nel citoplasma delle cellule eucariotiche bersaglio. Questo sistema è formato da numerose proteine che attraversano la membrana citoplasmatica e posseggono un’estremità detta ago, che a sua volta possiede un “tappo” il quale, una volta oltrepassata la membrana esterna, si apre e fa si che l’ago si infili nella cellula bersaglio; la secrezione è attivata dal contatto con la cellula bersaglio. Le proteine che costituiscono il sistema sono numerose e sono conservate mentre le altre (ago, effettrici…) sono specifiche. L’energia deriva dall’idrolisi dell’ATP e le proteine trasportate hanno segnale di riconoscimento che sembra trovarsi all’amminoterminale e sono presenti degli chaperon che mantengono le proteine nello stato non ripiegato finchè la proteina non arriva alla cellula bersaglio. Sistema di secrezione di tipo IV: assomiglia ad un pilo coniugativo e media la traslocazione di numerose molecole di natura differente ed è costituito da almeno 12 proteine e una struttura simile ad un pilo. BIOGENESI DELLA MEMBRANA ESTERNA (gram negativi): Tutti i precursori (proteine integrali della OM, lipoproteine, LPS…) sono sintetizzati nel citoplasma e devono essere trasportati verso il periplasma o la membrana esterna, che però non sono energizzati quindi l’energia deve trovare un modo per arrivare, dal citoplasma, alle altre destinazioni. Tutte le OMP studiate attraversano la membrana citoplasmatica mediante Sec o TAT per cui raggiungono il periplasma 17 unfolded e in questa condizione possono essere legate ad un chaperon permettendo il contatto di queste proteine con il SurA, che ne permette il ripiegamento, dopo che esse sono entrate in contatto con il sistema Bam; in E.coli, l’inserzione nella OM avviene attraverso un complesso della membrana esterna detto Bam (beta-barrel assembly machinery). Il Bam è formato da varie proteine, come la BamA (molto conservata) costituita da 12 foglietti beta e da una lunga regione amminoterminale solubile che protrude nello spazio periplasmatico. Questa regione riconosce sequenze specifiche al carbossiterminale di molte OMP. Il sistema Bam funziona grazie alla presenza di lipoproteine (proteine + acidi grassi) che attraversano la IM tramite Sec e l’aggiunta della regione lipidica avviene dopo il loro trasporto attraverso la membrana citoplasmatica. Le lipoproteine vengono trasportate fino alla OM grazie ad un complesso proteico detto “Lol” che le riconosce e ne decide la localizzazione finale. Siccome i lipidi fanno fatica ad attraversare il periplasma (che è un mezzo acquoso), LolA li lega e porta la lipoproteina a LolB che la inserisce nella OM. Se la proteina ha l’acido aspartico in posizione +2 della lipoproteina allora questa resterà nella IM mentre se non lo possiede lì andrà nella OM. La sintesi di LPS avviene in due parti: prima l’antigene O e poi la porzione lipide A-core polisaccaridico, che poi vengono separatamente trasportati attraverso la IM. Entrambi sono sintetizzati nel citoplasma; i monomeri dell’antigene O attraversano la membrana tramite bactoprenolo (che era anche il trasportatore del peptidoglicano) e viene assemblato sul bactoprenolo sul lato periplasmatico della IM. La porzione lipide A-core polisaccaridico attraversa la membrana tramite un trasportatore ABC detto MsbA. L’LPS maturo viene generato nel periplasma grazie alla polimerasi Mzy e la ligasi WaaL. Una volta assemblato, il complesso multiproteico Lpt lo trasporta verso la OM. DIFFERENZIAMENTO CELLULARE Il differenziamento avviene quando la cellula batterica si differenzia dalla sua cellula madre ed il fenomeno è spesso correlato a fattori biologici e di sopravvivenza o a stimoli provenienti dall’ambiente. Il primo tipo di differenziamento cellulare è la capacità di formare endospore, che sono molto resistenti al calore e non possoo essere distrutte facilmente. Si formano durante un processo detto “sporulazione” e la sua funzione è quella di permettere al microrganismo di resistere anche in condizioni avverse (disidratazione, esaurimento di nutrienti); le spore possono germinare e dar vita a nuove cellule vegetative quando le condizioni ambientali diventano più favorevoli (i generi bacillus e clostridium tra i batteri -gram positivi- sporigeni). Alla fine del processo di sporulazione, da una cellula madre matura un’endospora matura che si libera grazie alla lisi della cellula madre (nel ciclo vegetativo, da una madre si originano due cellule figlie). 20 GERMINAZIONE La germinazione è il processo che permette alla spora di dare nuovamente origine alla cellula vegetativa; è un processo più rapido (1h e 30 min). La germinazione avviene in presenza di appropriate condizioni ambientali; quando queste sono tornate favorevoli, la spora “espelle” una cellula vegetativa che da origine alle figlie dividendosi per normale scissione binaria. Un’endospora può rimanere quiescente per molti anni, prima di essere riconvertita passando per 3 fasi: Attivazione: un endospora non riesce a germinare se prima non viene attivata, anche se si trova in un ambiente favorevole. Questa attivazione è innescata da vari fattori tra i quali riscaldamento (per breve tempo) a temperatura subletale; il riscaldamento è ciclico; scaldando per la prima volta “sveglio” le spore, scaldando per la seconda volta “sveglio” le spore rimaste ma uccido le cellule vegetative, che iniziano la sporulazione ecc…. Germinazione: perdita di rifrangenza, resistenza, di dipicolinato di calcio e dei componenti della corteccia, aumento dell’attività metabolica e le SASP vengono degradate ed utilizzate come fonte di carbonio ed energia per la nuova cellula. Esocrescita: visibile rigonfiamento dovuto all’assorbimento di acqua e alla sintesi di RNA, proteine e DNA e il protoplasto sintetizza nuovi componenti emergendo dai resti del rivestimento della spora. 21 mar. ’22 Altri esempi di differenziamento I batteri sono sempre stati ritenuti simmetrici ed in grado di dividersi attraverso la semplice scissione binaria con la conseguente creazione di cellule figlie identiche alla madre. Ogni batterio a forma di bastoncello è, tuttavia, asimmetrico con un nuovo polo creato durante la divisione cellulare e con un vecchio polo creato durante una precedente divisione. Per esempio, il Caulobacter crescentus sfrutta questa polarità per sostenere la sua motilità direzionale, per generare tassi di crescita variabili, per differenziare le dimensioni delle cellule e per produrre cellule figlie con destini diversi. Le cellule di C.crescentus sono dismorfe e possono essere peduncolate, non dotate di mobilità e provviste di un’appendice che permette di aderire a substrati solidi, e flagellate/sciamanti, dotate di un singolo flagello polare alla base del quale sono presenti pili. Questo dimorfismo è risultato di un processo di differenziamento che si attua ad ogni ciclo cellulare; solo le cellule peduncolate possono replicare il DNA e riprodursi per scissione binaria asimmetrica, al termine della quale si ottiene una cellula peduncolata e una flagellata. I mixobatteri sono batteri del suolo gram negativi, caratterizzati da una “vita sociale” in quanto si muovono in sciami su superfici solide per scivolamento. Questi sciami sono formati da migliaia di cellule che secernono enzimi idrolitici che lisano le altre cellule microbiche incontrate lungo il percorso. Durante i periodi di scarsità di nutrienti, la crescita si arresta ed inizia il processo di differenziamento con la formazione di corpi fruttiferi contenenti spore. La spora che germina da origine a delle cellule vegetative che si muovo in maniera coordinata per ottimizzare l’approvvigionamento di cibo mentre, in condizioni di carenza, alcune cellule all’interno dei corpi fruttiferi lisano e rilasciano sostanze utilizzate come nutrimento dalle cellule sopravvissute. Gli Streptomiceti sono batteri gram positivi filamentosi nei quali la replicazione del DNA non è accompagnata dalla formazione di cellule distinte, ma dalla formazione di setti separatori in un micelio; la 21 formazione delle spore avviene in seguito alla divisione del filamento in compartimenti contenenti ognuno un cromosoma, che matureranno in spore. Le spore quindi fanno parte del ciclo riproduttivo e sono formate dal micelio aereo. BIOFILM Il biofilm è una comunità microbica costituita da microrganismi, anche appartenentia specie diverse, adesi ad una superficie, sia biotica che abiotica, ed immersi in una matrice extracellulare adesiva secreta dalle cellule microbiche stesse. Il biofilm senza supporto solido viene detto flocculo, ed il suo materiale amorfo è più chiaro e costituito da una matrice polimerica extracellulare. Il biofilm non ha una composizione standard, in quanto vi è eterogeneità sia nella struttura sia nella composizione chimica a seconda dell’habitat e delle condizioni ambientali in cui il biofilm stesso si crea. I costituenti fondamentali sono i microrganismi che formano microcolonie, le sostanze organiche (proteine, polisaccaridi e DNA) nelle quali sono immersi i batteri e l’acqua, che forma canali tra le microcolonie favorendo la circolazione dei nutrienti e dei prodotti di scarto del metabolismo. Lo sviluppo del biofilm si compone di più fasi: • Adesione, durante la quale alcune cellule aderiscono ad una superficie solida adatta grazie alla produzione di fattori di adesione specifici; a questa fase segue il “differenziamento” cellulare in cui vengono persi i flagelli. • Colonizzazione: si ha la formazione e la crescita delle microcolonie grazie alla comunicazione tra le cellule e si ha la formazione del polisaccaride. • Sviluppo, in cui vi è la crescita e produzione del polisaccaride più intensa (processo legato al quorum sensing). • Rilascio, in cui le cellule planctoniche vanno a colonnizzare nuovi ambienti. Le cellule nel biofilm sono protette dalle radiazioni UV e dal calore, risentono meno degli effetti di cambiamenti ambientali, sono protette da sostanze tossiche e dalla disidratazione (dal momento che il biofilm è immerso in una matrice acquosa) e sono meno esposte all’attacco di microrganismi predatori, virus batterici e dal sistema immunitario dell’ospite. I biofilm microbici si trovano praticamente ovunque in natura; nell’ambiente sono quasi sempre multi- specie (procariotiche ed eucariotiche) ma ce ne sono anche monospecie, come quelli associati ad infezioni (biofilm su dispositivi medici o in vivo, quelli che causano infezioni polmonari ai pazienti affetti da fibrosi cistica, che proprio a causa della formazione del biofim diventano spesso croniche). Rilascio 22 QUORUM SENSING & SOCIO-MICROBIOLOGIA Dalla prima osservazione e descrizione dei batteri, ad opera di Antoni van Leewenhoek nel 1667, per centinaia di anni si è ritenuto che i batteri fossero entità individuali, senza interazioni sociali con altri organismi, il cui unico scopo era quello di riprodurre se stessi. Proprio come disse Francois Jacob (Nobel per la medicina nel 1965), “è perfettamente possibile immaginare un universo alquanto noioso, senza sesso, senza ormoni, e senza sistema nervoso; un universo popolato solo da cellule individuali che si riproducono ad infinitum. Infatti, questo universo esiste, ed è quello formato da una coltura batterica”. Già nel 1965, sulla rivista scientifica Nature, era stato pubblicato un lavoro rivoluzionario dello scienziato ungherese Alexandr Tomasz, in cui si dimostrava che l’ingresso nella fase di competenza (la capacità di acquisire DNA esogeno) di una popolazione di Steptococcus pneumoniae, dipende da un fattore extracellulare prodotto e secreto dalle stesse cellule di S.pneumoniae. 30 anni dopo è stato dimostrato che il fattore di competenza descritto come un “hormone-like factor” è un polipeptide modificato. Egli scrisse “Poiché l’attivatore - il composto chimico prodotto dai batteri - sembra imporre un elevato grado di omogeneità fisiologica nella popolazione di pneumococchi rispetto al loro stato di competenza, si è portati a credere che in questo caso la popolazione possa agire come una singola entità biologica, con un considerevole grado di coordinazione tra i suoi membri. Mi chiedo se questo tipo di controllo non possa essere operativo anche in altri fenomeni microbici”. 5 anni dopo, nel 1970, Hasting e i suoi collaboratori pubblicarono un articolo sulla rivista scientifica Journal of Bacteriology, in cui descrivevano come l’emissione di bioluminescenza nel batterio Vibrio fischeri fosse dipendente dalla densità cellulare della coltura formata da tale batterio, il quale emetteva bioluminescenza solo ad alte densità cellulari ma non quando le cellule erano diluite nel mezzo culturale. Inoltre, i ricercatori dimostrarono che era possibile indurre bioluminescenza in una coltura di V. fischeri a bassa densità cellulare aggiungendo al terreno di crescita il mezzo colturale proveniente da una coltura dello stesso batterio ad alta densità cellulare, privato delle cellule batteriche. Quindi i batteri producevano una molecola che si accumulava nel mezzo di coltura durante la crescita, e quando raggiungeva una certa concentrazione era in grado di attivare l’emissione di bioluminescenza. Nel 1972 lo stesso gruppo di ricerca riuscì, tramite cromatografia HPLC, a purificare la molecola prodotta da V. fischeri in grado di indurre l’emissione di bioluminescenza; questa molecola era un acil-omoserina lattone, il 3OC6-HSL. Negli anni, i ricercatori hanno compreso i meccanismi molecolari alla base dell’emissione di bioluminescenza indotta da questa molecola. La sintasi LuxI, codificata dal gene luxI, produce la molecola segnale 3OC6 -HSL, che viene secreta nel mezzo colturale. La concentrazione di 3OC6- HSL aumenta nel mezzo in modo proporzionale alla crescita batterica, fino a raggiungere una concentrazione soglia alla quale è in grado di legare il recettore intracellulare LuxR. Il complesso LuxR/3OC6- HSL lega alcuni promotori bersaglio, tra cui il promotore dell’operone luxICDABE, aumentandone lo stato di attivazione. L’aumento nei livelli trascrizionali di luxI genera un’amplificazione del segnale (feedback positivo), e la trascrizione dei geni luxCDABE (emissione di bioluminescenza). QUORUM SENSING Fenomeni di comunicazione simili a quello descritto in V. fischeri sono stati identificati in molti altri batteri, in cui regolano molti fenotipi diversi. Questi fenomeni, in cui una popolazione batterica è in grado di coordinare l’espressione genica in funzione della densità cellulare, prendono il nome di quorum sensing. 25 Mediante flagelli, appendici cellulari lunghe e sottili che funzionano come organi propulsori. La maggior parte dei procarioti si muove tramite flagelli grazie ad un movimento rotatorio. I flagelli sono più lunghi dei pili e arrivano ai 15 micron (i pili sono 1-4 micron, la cellula stessa è 1-2 micron) e sono, a differenza del pilo, cavi; questo è importante perche si riflette sul meccanismo di formazione. Il flagello si forma aggiungendo monomeri di flagellina, che, dal citoplasma, passano all’interno del flagello andandosi a posizionare sulla punta. Una cellula batterica può avere diversi flagelli ed il numero è una caratteristica della specie o può essere influenzato dalle condizioni di crescita; nei batteri che hanno più di un flagello, essi possono essere disposti in posizioni diverse. Nella struttura generale di un flagello sono identificabili 3 zone: il corpo basale, che serve ad ancorare il flagello sulla cellula ed è formato da dei complessi proteici (a forma di anello tramite il quale la flagellina attraversa il flagello andando a posizionarsi sulla punta); il corpo basale media il movimento del flagello poiché l’energia per la rotazione è fornita dalla dissipazione del gradiente protonico (le proteine del corpo basale sono responsabili dell’uso dell’energia). Nei gram negativi, il primo anello proteico è fuori dalla membrana citoplasmatica, uno la attraversa e gli altri due attraversano quella citoplasmatica. Dopo il corpo basale c’è l’uncino, sulla quale punta vi è la proteina Cap (forma un pentamero all’estremità del filamento) che garantisce il corretto assemblaggio dei monomeri di flagellina in forma elicoidale; anche la polimerizzazione dell’uncino richiede proteine con funzione simile a Cap. Il filamento ha quindi una forma elicoidale con passo costante tipico per ogni specie ed è composto da 20mila subunità di flagellina. Corpo basale (gram negativi); 4 anelli proteici ancorano il corpo basale all’involucro cellulare attraverso una struttura cilindrica cava coinvolta nell’esporto dei monomeri distali. Le proteine che costituiscono l’anello C e MS sono le proteine Fli che costituiscono il rotore, alle quali sono attaccate le Mot, che fungono da statore del flagello e ne mediano la rotazione (mille protoni per una rotazione completa). Le Fli regolano la direzione di rotazione; per esempio, con un batterio anfitrico, se il flagello ruota in senso antiorario, il batterio va dritto mentre se ruota in senso orario, il batterio va all’indietro. Il cambiamento di rotazione, che determina la direzione, è regolato da quello che il batterio percepisce nell’ambiente in cui si trova. Corpo basale (gram positivi); 2 anelli ancorano il corpo basale all’involucro cellulare. Il movimento del flagello dipende dalla dissipazione del gradiente protonico attraverso le Mot. Il complesso Mot converte il gradiente in energia meccanica: il flusso di H+ causa un cambiamento conformazionale in MotA che muove FliG causando la rotazione in senso antirario. Poi la forza motrice è trasmessa dall’anello C ad MS al bastoncello, uncino e filamento. 26 BIOGENESI DEL FLAGELLO La biogenesi è un processo molto complesso e finemente regolato e ci sono più di 50 geni coinvolti; le componenti vengono assemblate dall’interno verso l’esterno mentre il filamento cresce per aggiunta di subunità di flagellina all’apice. La regolazione temporale è affidata da fattori sigma differenti; per 38 geni il fattore è sigma 70, per gli altri 29 è sigma 28 (l’apparato di secrezione del flagello è considerato un sistema di secrezione di tipo III). Come percepisce il batterio l’ambiente? Come trasferisce l’informazione al corpo basale? Come fa la cellula a far muovere il flagello? La cellula deve essere capace di percepire e trasdurre l’informazione al corpo basale che poi indurrà il movimento del flagello. La motilità flagello-mediata si chiama swimming e può avvenire in tutti i batteri aventi flagelli, che possono essere molti. Quando un batterio ha più di un flagello, questi si devono coordinare in modo da ruotare tutti nella stessa direzione. Quando il ciuffo di flagelli ruota in senso antiorario (eliche sinistrorse), si uniscono in un fascio muovendo la cellula in avanti; quando invece ruota in senso orario si ha la separazione dei flagelli e un capovolgimento, che causa un cambiamento nella posizione della cellula, la quale capta l’ambiente nuovo in cui si trova e da lì è probabile che si riuniscano facendola andare dritta. Nei batteri con flagelli singoli, questi possono muoversi bidirezionalmente o unidirezionalemente (senza capovolgimenti). La velocità di nuotata va rapportata alla grandezza del microrganismo: per esempio, E.coli, che va a 30 micron/sec, se rapportata alla sua grandezza (2 micron), va veloce quasi come un ghepardo. I flagelli sono normalmente strutture extracellulari che sono ancorate alla cellula; in alcune cellule, come le spirochete, i flagelli sono interni. Nelle spirochete (gram negativi) la forma è garantita dalla presenza di questi endoflagelli, presenti nello spazio periplasmatico e sono dotati di 2 anelli (i 2 che mancano sono quelli che facevano uscire il flagello dalla membrana esterna). I flagelli prendono contatto sia con la OM che con il peptidoglicano; i due flagelli ai poli opposti ruotano in direzione opposta formando un facio che permette alla cellula di ruotare con un movimento a spirale come un cavatappi. Gli endofagelli fanno anche da citoscheletro periplasmatico (ceppi mutanti in proteine flagellari perdono la loro forma a spirale e hanno morfologia bastoncellare). La motilità puo avvenire in molte modalità: twitching (pili di tipo IV), gliding (ruota dentata), sliding (scivolamento) e swarming (tramite flagelli). Lo swarming spesso richiede la produzione di surfattanti, molecole anfipatiche che riducono l’attrito tra cellula e superficie Il flagello dergli Archaea è funzionalmente simile a quello dei batteri, ma è strutturalmente diverso: è più corto, i monomeri di flagellina si assemblano dalla base, non presenta un canale interno e l’energia di rotazione deriva dall’idrolisi di ATP. Il flagello degli Archaea è quindi un’elica batterica con struttura simile ad un pilo. 27 Ma perché la cellula si muove? La chemiotassi è molto importante perché è il movimento in risposta alla presenza di sostanze chimiche sia attraenti sia repellenti (o neutre). Per studiarla, abbiamo un batterio con flagelli sospeso in ambiente isotonico in cui sono mescolate delle sostanze. Si inserisce nella sospensione batterica un capillare di vetro contenente lo stesso mezzo isotonico in cui è sciolta la sostanza chimica; dopo un po’ di tempo che questi capillari sono immersi, si va a guardare il numero di cellule batteriche presenti dentro il capillare. La sostanza al centro è la sostanza di controllo, che è il solo mezzo isotonico senza la sostanza e nel quale capillare cellule batteriche che casualmente vanno nel capillare e fa tipo da “base”; se le cellule batteriche sono tante in un capillare, a confronto con quelle presenti nel controllo, la sostanza è attraente, e così via. In base a se una sostanza è attraente o repellente, trasducono l’informazione. I batteri sono anche in grado di capire un gradiente di tipo “temporale” (non spaziale come nelle cellule eucariotiche), ossia come cambia/non cambia l’ambiente nel tempo. Se nell’ambiente è presente una sostanza attraente, la cellula si muoverà avvicinandosi ma come fa? Tramite il “macchinario della chemiotassi”. CHEMIOTASSI I. Ricezione del segnale: le proteine chiave sono dei recettori specifici (metil-accettrici della chemiotassi) che riconoscono le sostanze attraenti. Esistono diverse classi di MCP che si diversificano a seconda della sostanza che legano; alcune legano direttamente la sostanza, altre lo fanno attraverso la presenza di una proteina periplasmatica che fa da mediatrice e ciascun batterio ne contiene varie. Questi recettori MCP possiedono nel dominio citoplasmatico dei residui di glutammato che possono essere metilati . II. Trasduzione del segnale: il legame dei substrati alle MCP ne cambia la conformazione e promuove/riduce l’autofosforilazione delle chinasi CheA (assistita da CheW). Le CheA si autofosforilano quando la concentrazione dell’attraente è bassa; CheA forforila CheY che interagisce con Fli e promuove la rotazione oraria del flagello. III. Rimozione del segnale: la proteina CheZ (fosfatasi, toglie il fosfato) defosforila CheY in modo da ripristinare la rotazione antioraria (avanzamento) così che il flagello sia di nuovo pronto a rispondere a cambiamenti nell’ambiente. Questa riposta è immediata. IV. Adattamento: grazie alla metilazione dei recettori, le cellule capiscono da quanto tempo la sostanza attraente/repellente si trova in quell’ambiente. Gli 8 residui di glutammato dei recettori sono metilati da 30 • Aerobi facoltativi: microrganismi che ottengono energia da una sostanza organica sia in presenza che in assenza di ossigeno. • Eterotrofo: il carbonio è ottenuto da composti organici. • Autotrofo: il carbonio è ottenuto da composti inorganici. COLTIVAZIONE BATTERICA La coltivazione si articola in diversi step: • Preparazione dei terreni di coltura. • Studiare i parametri della crescita. • Misurare la crescita. • Studiare l’effetto delle condizioni colturali sulla crescita. 1.Terreni di coltura: Per coltivare un batterio, bisogna creare delle specifiche condizioni colturali in cui siano presenti tutti gli elementi (chimici e ambientali) di cui il batterio necessita per crescere. In base allo stato fisico, i terreni si dividono in liquidi (in beute o provette, si va a guardare l’intorbidimento del liquido) e solidi (sulla piastra petri, hanno composizioni uguali a quelle dei liquidi ma è presente un agente gelificante; si vanno ad osservare le cellule generatesi dalla stessa cellula). Per quanto riguarda la loro composizione, i terreni si possono suddividere in complessi (non chimicamente definiti, non si conosce l’esatta composizione chimica del terreno -acqua distillata+derivati di prodotti vegetali o animali, come estratti di carne, soia, lievito, sottoforma di polvere iofilizzata-) o chimicamente definiti (si conosce l’esatta composizione chimica del terreno e sono sviluppati in base a specifiche richieste nutrizionali della cellula batterica in esame; fanno parte di questo tipo di terreni quelli “minimi” che contengono il minimo numero di sostanze indispensabili per la crescita). I terreni complessi sono talmente ricchi che a volte permettono la crescita anche di altre specie, oltre quelle in esame: per esempio, l’E.coli (prototrofo, riesce a costruirsi gli amminoacidi partendo da ammoniaca) e il L.mesenteroides crescono entrambi in un terreno complesso (ricco) mentre uno non crescerebbe nel terreno minimo definito in base alle esigenze dell’altro. I terreni possono essere anche selettivi (seleziona una tipologia o specie rispetto ad un'altra e sono addizionati di sostanze che impediscono la crescita di alcuni batteri, consentendo lo sviluppo di altri), differenziali (permettono la differenziazione di alcuni microrganismi addizionati di sostanze come coloranti e indicatori di pH in modo da evidenziare reazioni chimiche di interesse) e arricchiti (terreni complessi a cui vengono aggiunti nutrienti specifici che permettono la crescita di determinati microrganismi, per esempio un patogeno non sa produrre l’eme e sfrutta quello dell’organismo che va ad infettare; ecco perché quando si coltiva viene aggiunto il siero o il sangue intero). Un esempio di terreno selettivo e differenziale è il Mannitol Salt Agar che in base alla presenza di un indicatore di pH (rosso fenolo, fermentazione del mannitolo) e ai colori indica batteri diversi, come il dorato per lo staphilococco aureus, rosso/fucsia lo staphilococco epidermidis e rosso per la serratia marcescens. La fermentazione del mannitolo fa virare il rosso fenolo da rosso a giallo in prossimità delle cellule che possono farlo fermentare; l’epidermidis non lo può fare e quindi rimane rosso. È selettivo perché contiene 7.5% di NaCl, che è abbastanza elevata per cui solo alcuni batteri crescono, come lo staphilococco. Su terreno solido è possibile studiare le colonie, che presentano caratteristiche dei batteri che la formano e del terreno in cui crescono. Le colonie possono avere una forma, spessore e margine specifico in base alla forma delle cellule dei batteri che crescono. 31 La sterilità, in laboratorio, è un aspetto fondamentale. Un modo per coltivare sterilmente è il trasferimento asettico. Ogni colonia risulta dalla scissione binaria di un’unica cellula, quindi sono tutte identiche. Andando a prendere una singola colonia e strisciandola su un terreno di coltura nuovo si avrà una coltura pure. 29 mar. ’22 CRESCITA DELLE CELLULE E METODICHE CINETICHE DI CRESCITA Il concetto di crescita delle cellule batteriche è diverso da quello degli organismi superiori; per crescita si intende l’aumento del numero di cellule in una determinata popolazione batterica. La variazione del numero di cellule nell’unità di tempo è la velocità di crescita (influenzata da fattori esterni come la temperatura, quantità di nutrienti ecc.) e l’intervallo di tempo necessario affinchè la una cellula se ne formino due figlie è detto tempo di generazione. La fase in cui tutte le cellule sono in attiva duplicazione si chiama crescita esponenziale. La scissione binaria prevede il coordinamento temporale e spaziale di tante variabili; innanzitutto il cromosoma batterico deve duplicarsi, deve equamente dividersi nelle cellule figlie prima che si formi il setto e la separazione. Molti di questi meccanismi sono stati scoperti grazie allo studio di mutanti difettivi per i processi di divisione cellulare. Per esempio, alcuni sono difettosi per la formazione del setto a causa della mutazione delle proteine che servono a garantire la formazione del setto e la divisione cellulare (la FtsZ polimerizza una sorta di anello che riveste la cellula e indica dove avverrà la divisione). Anche proteine Min hanno un ruolo importante nella formazione del setto in posizione mediana; si chiamano Min perché la loro mutazione portava alla formazione di cellule “mini” a causa della scorretta posizione del setto durante la divisione. Cellule invece mutanti per FtsZ (iperproduttrici) formano più setti creando cellule difettose non vitali spesso anucleate. La MinE aiuta FtsZ a posizionarsi al centro e MinD impedisce l’aggregazione di FtsZ impedendogli di andarsi a legare in altri posti. Altre proteine importanti sono quelle che garantiscono la formazione del citoscheletro MreB (simile all’actina) che si associa al peptidoglicano neosintetizzato garantendo l’accrescimento in punti dispersi lungo la cellula; cellule bastoncellari che non hanno questa proteina presentano forma più rotondeggiante. 32 CRESCITA ESPONENZIALE È un momento in cui tutte le cellule presenti in una popolazione sono in attiva duplicazione a cui corrisponde sia un aumento del numero delle cellule sia della massa microbica. Ha un andamento esponenziale (da 4 se ne ottengono 8, da 8 se ne ottengono 16…). Innanzitutto, il ricercatore sa con quante cellule inizia (inocula) e questo numero si chiama N0; alla fine della fase esponenziale si misura il numero delle cellule finali (N) e si va a capire quante generazioni sono state necessarie per passare da N0 a N. Il tempo di generazione g invece si calcola come t/n, dove n è il numero di generazioni in un dato t (durata della crescita esponenziale). La velocità di crescita equivale all’inverso del tempo di generazione, quindi 1/g. il tempo di generazione in un terreno minimo e in uno complesso cambia; in uno minimo il batterio deve generare da solo le macromolecole di cui ha bisogno quindi ci mette di più e porta al dispendio energetico mentre in un terreno complesso è dato tutto ciò di cui il batterio ha bisogno e quindi cresce di più e più velocemente. Come si misura la crescita? Come si calcola il numero di cellule per mL? Uno dei metodi è contando il totale delle cellule al microscopio tramite dei vetrini “camere di conta”; essi hanno delle celle incise in grado di contenere un volume definito di colture e, dopo aver contato il numero di cellule nei diversi quadrati, si determina la media dei valori ottenuti. Il numero viene poi convertito in cellule/ml. Questa metodica ha dei limiti: la difficoltà di identificare le cellule batteriche e l’impossibilità di distinguere cellule morte da cellule vive (se non sono morte per lisi). Un’altra tecnica è la conta vitale, ossia la conta delle sole cellule vive in grado di dare vita ad una progenie (ed a una colonia) e prevede il “piastramento” (in superficie per gli aerobi, per inclusione per gli anaerobi). Per ottenere una conta accurata il numero di colonie sulla piastra deve essere compreso tra 30 e 300 (esprimere il risultato in ufc = unità formanti colonia); nel caso le cellule fossero molte di più devo diluire il campione tramite la tecnica della “conta mediante piastramento di diluizioni seriali”. Le diluizioni seriali sono necessarie per ottenere un numero di colonie contabili e il fattore di diluizione è il reciproco della diluizione. Se ho campioni ambientali, è necessario utilizzare dei terreni non selettivi e condizioni culturali differenti per permettere la crescita del maggior numero possibile di specie diverse. I valori ottenuti saranno sempre una sottostima della carica microbica poiché microrganismi a crescita lenta spesso non vengono rilevati e alcuni invece risultano ancora “non coltivabili”. Nel caso di campioni a bassa carica microbica può essere necessario concentrare il campione. 35 RELAZIONE CRESCITA-PH RELAZIONE CRESCITA-OSMOLARITA’ Nella maggior parte dei casi il citoplasma ha una concentrazione di soluti più elevata di quella dell’ambiente e l’acqua tende a penetrare nella cellula (equilibrio idrico positivo) e se la cellula si trova in un ambiente in cui A (rapporto tra la pressione di vapore dell’aria in equilibrio e quella dell’acqua pura) è bassa e non riesce a fronteggiare la fuoriuscita di acqua va incontro a plasmolisi. RELAZIONE CRESCITA-OSSIGENO In base al loro rapporto con l’ossigeno, i microrganismi possono essere aerobi, se hanno bisogno di ossigeno per vivere, o anaerobi, se non ne hanno bisogno. Gli aerobi si dividono in obbligati, i quali muoiono senza ossigeno, facoltativi, che non richiedono ossigeno ma crescono meglio in sua presenza, o microaerofili, richiedono ossigeno ma a livelli inferiori rispetto a quelli atmosferici. Gli anaerobi, invece, possono essere aerotolleranti, i quali non richiedono ossigeno e crescono meglio in sua assenza, e obbligati, per i quali l’ossigeno, in qualsiasi quantità, è dannoso o letale. Durante la respirazione aerobica, l’ossigeno molecolare viene ridotto ad acqua mediante addizione successiva di 4 elettroni; tutti gli intermedi sono molto reattivi e tossici per la cellula e possono formarsi accidentalmente anche in assenza di respirazione aerobica. RELAZIONE CRESCITA-PRESSIONE La pressione della superficie terrestre è 1 atm e gli organismi viventi si sono evoluti in funzione di essa e non ne sentono l'effetto. Tuttavia, ci sono luoghi sulla Terra in cui la pressione è più alta, come ad esempio la profondità degli oceani. I microrganismi reagiscono in maniera diversa alla pressione e a seconda di ciò vengono classificati in: barotolleranti, i quali tollerano un aumento di pressione, barofili, crescono meglio a pressioni elevate, e barofili estremi, che crescono più rapidamente a pressioni molto elevate. Figura 3: aumento della osmolarità intracellulare attraverso l'accumulo di soluti compatibili che non influenzano le funzioni metaboliche (per trattenere acqua). Osmolarità: numero totale di molecole e ioni presenti in un litro di soluzione. 36 4 apr. ’22 CONTROLLO DELLA CRESCITA MICROBICA Il controllo della crescita è importante in tantissime applicazioni, come per esempio in ambito industriale nella preparazione di alimenti. Per controllare la crescita microbica ci sono due importanti metodiche: la sterilizzazione (eliminazione di microrganismi e prevenzione della contaminazione da parte di agenti esterni come virus nell’aria) e la disinfezione (eliminazione dei microrganismi). Sterilizzare vuol dire preparare gli strumenti sia meccanici sia per esempio i terreni di coltura tramite sterilizzazione e poi prevenire la contaminazione finchè questi strumenti verranno usati. La disinfezione invece, elimina i microrganismi ma non previene la contaminazione. La crescita microbica si controlla tramite metodi fisici, come calore, radiazioni e filtrazioni, e metodi chimici, come disinfettanti/antisettici e antibiotici. METODI FISICI • Calore: la sostanza che si vuole sterilizzare va esposta a temperature elevate per un certo tempo; il tempo necessario per ridurre di dieci volte la densità della popolazione batterica si chiama tempo di riduzione decimale. Solitamente più è elevata la temperatura, più il tempo di riduzione decimale è ridotto. Questo tempo non dipende dalla carica microbica iniziale. Il tempo necessario per uccidere tutte le cellule si chiama tempo di inattivazione termica e dipende sia dalla carica microbica iniziale sia dal tipo di microganismo (i termofili, per esempio, necessitano di più tempo, e di una temperatura più alta, per essere uccisi). Ci sono tre metodi: • Fiamma diretta, tramite l’uso del becco Bunsen, che viene anche usato per sterilizzare strumentazione di laboratorio. Lavorare vicino alla fiamma permette di lavorare in sterilità grazie all’elevata temperatura. • Calore umido, che si ottiene grazie alla presenza di vapore acqueo, come avviene all’interno dell’autoclave. L’autoclave produce una vapore ad alta pressione a 121°; per 15 minuti ad una pressione di 1 atm si riesce ad uccidere anche le endospore. Il calore umido ha un potere di penetrazione maggiore di quello secco e permette di ottenere, ad una data temperatura, una riduzione più rapida del numero di cellule batteriche. L’uso dell’autoclave dipende dalla capacità di strumenti/sostanze da aggiungere ai terreni di coltura di sopportare una temperatura così elevata. • Calore secco: si utilizza il forno Pasteur, che impiega tempo maggiore (2/3 ore) ad una temperatura più elvata (160/180°); questo dipende dagli strumenti, per esempio quelli metallici e la vetreria riescono a sopportare questa temperatura. : metodo che serve a ridurre la carica microbica in alimenti sensibili al calore (latte, birra…); il metodo classico prevede 30 minuti a 63/66°C, mentre quella flash 15 minuti a 71°C e poi subito raffreddato. La sterilizzazione UHT (ultra-high temperature) prevede 1 minuto a 135°C. : metodo di sterilizzazione frazionata a temperature ridotte, usato soprattutto per eliminare le endospore; questa si compone di cicli di sterilizzazione ad alte temperature (80°C per 30 min) alternati con cicli a basse temperature (30°C per 24 ore): il ciclo di calore iniziale serve a boostare la crescita dell’endospora e le 24 ore successive sono utilizzate da queste per produrre le cellule vegetative: queste poi verranno uccise dal ciclo ad alta temperatura successivo e, se ancora ce ne fossero, altre endospore si attiverebbero e così via. Questa metodica è adatta alla sterilizzazione di materiali che permettono la germinazione di 37 spore, come gli alimenti che forniscono nutrienti al fine di permettere alle spore di germinare e formare le cellule vegetative. • Radiazioni: le radiazioni sono due: quelle ionizzanti e quelle ultraviolette. Le ionizzanti promuovono la formazione di ioni e radicali che vanno a danneggiare le macromolecole biologiche e hanno un elevato potere penetrante; vengono utilizzate principalmente per sterilizzare materiale plastico, medicine ecc. quelle ultraviolette promuovo la formazione di dimeri di pirimidine che causano mutazioni, le quali possono portare alla morte cellulare; hanno scarso potere penetrante e vengono utilizzate soprattutto per sterilizzare superfici. • Filtrazione: la filtrazione si attua mediante l’applicazione di un filtro, con maglie più o meno fitte; per esempio, i filtri HEPA, che filtrano l’aria che entra ed esce dalle cappe in lab permettendo di lavorare in sterilità. METODI CHIMICI • Disinfettanti: utilizzati per oggetti abiotici (non forme di vita), come la candeggina. • Antisettici: utilizzati per tessuti vivi a limitato uso esterno, per esempio l’alcol, che agisce sulla solubilizzazione dei lipidi e sulla denaturazione delle proteine. • Antibiotici: ad uso interno, mostrano tossicità selettiva. FARMACI ANTIBATTERICI Definizioni: • Chemioterapia: è una branca della farmacologia che sviluppa, a fini terapeutici, farmaci dotati di tossicità selettiva nei confronti di patologie. In basse alla sua natura, si distingue in: chemioterapia antimicrobica, che ha come bersaglio microrganismi patogeni nelle cellule infettate, i cui prodotti sono antibiotici, antivirali, antimicotici.., e chemioterapia antineoplastica, che colpisce la cellule neoplastiche con farmaci antitumorali. Un chemioterapico è un farmaco di sintesi chimica, ossia di origine non naturale. • Agente antimicrobico: composto chimico che uccide o inibisce la crescita microbica. • Antibiotico: composto chimico prodotto da un microrganismo che uccide o inibisce la crescita di altri microrganismi. Chi produce l’antibiotico produce dei sistemi per la protezione dall’azione dello stesso ed è quindi immune. Un antibiotico può essere modificato chimicamente per renderlo più efficace (antibiotici semisintetici). Gli antibiotici fanno parte dei metaboliti secondari, ossia prodotti metabolici non direttamente implicati in funzioni essenziali; sono generalmente prodotti alla fine della fase esponenziale e durante la fase stazionaria e sono spesso derivati dai metaboliti primari. Il 60% degli antibiotici noti è prodotto dagli attinomiceti gram+ (streptomyces e nocardia), il 30% da funghi filamentosi e il 10% da altri batteri. Solo una piccola percentuale degli antibiotici, però, sono utilizzati come farmaci e questo è dovuto alla loro tossicità: pochi, infatti, sono efficaci contro microrganismi patogeni senza andare a danneggiare le cellule che li ospitano. ORIGINI DEGLI ANTIBIOTICI: PAUL EHRLICH (Nobel 1908) Paul Ehrlich, all’inizio del ‘900 investigò la capacità di particolari composti chimici di agire specificatamente contro agenti microbici causa di malattie infettive. Questo concetto, Ehrlich lo espose parlando di magic bullets, riferendosi alla capacità di un antibiotico di uccidere il patogeno senza uccidere le cellule dell’ospite. All’epoca, una malattia molto diffusa era la sifilide, STD, e lui trovò un chemioterapico, il Salvarsan, in grado di uccidere l’agente eziologico che causava la sifilide, ossia il treponema pallidum, che è una spirocheta. 40 • Membrana citoplasmatica – peptidi antimicrobici: Questi peptidi vengono prodotti per via ricombinante sia in cellule eucariotiche sia procariotiche e possono uccidere direttamente il microrganismo o avere effetti immunomodulatori. I peptidi possono intercalarsi, rompere la membrana e portare alla lisi oppure entrare e svolgere all’interno la loro funzione tossica come l’inibizione dei processi vitali come trascrizione, traduzione ecc. Una classe di questi peptidi sono le polimixine, che sono dei lipopeptidi (peptidi fusi con amminoacidi, sintesi non ribosomiale) formati da un decapeptide cationico e prodotti da un gram+. Questi antibiotici riescono ad attraversare anche la membrana esterna dei gram- (alternativa obbligata); una volta attraversata vanno ad agire sulla membrana plasmatica disgregandola e portando alla lisi della cellula. Altro esempio è daptomicina, lipopeptide attivo contro i gram+ che riesce ad interagire con la membrana citoplasmatica portando alla depolimerizzazione di quest’ultima in presenza di ioni Ca2+. • Sintesi del peptidoglicano – fosfomicina, cicloserina (I), bacitracina (II), beta-lattimici; pennicillina, vancomicina (III). La fosfomicina inibisce la prima tappa della sintesi del peptidoglicano, ossia la sintesi dei precursori come il NAM (N-acetil-muramico) legandosi covalentemente al sito attivo dell’enzima piruviltransferasi MurA e inattivandolo; questo perché la fosfomicina è un analogo del PEP e quindi il MurA potrebbe legarla al posto del PEP. La cicloserina è un analogo strutturale della D-alanina e la andrà a sostituire in tutte le reazioni che la prevedono come substrato, inibendole: la formazione del dipeptide D-alanil-D-alanina, la racemasi (converte la L-alanina nel suo isomero D) e la sintetasi che catalizza la formazione del legame peptidico tra le due molecole D-alanina. La seconda tappa (trasporto del glican-pentapeptide attraverso la membrana) avviene grazie al bactoprenolo, che veniva riciclato per trasportare un altro precursore; per poter essere riciclato, doveva essere defosforilato. La bacitracina inibisce la defosforilazione del bactoprenolo e lo blocca all’esterno della membrana citoplasmatica impedendo il suo riciclo e quindi bloccando la sintesi del peptidoglicano. La terza tappa prevede la polimerizzazione dei monomeri, che avviene grazie a reazione di transpeptidazione e di transglicosilazione; le transpeptidasi potrebbero legare l’antibiotico (beta-lattamici, pennicillina) invece del dimero di D-alanine, poiché sono analoghi, inibendo la loro funzione (formazione dei legami crociati) e portando la cellula alla lisi. La pennicillina è il capostipite della classe dei beta-lattimici, che contengono una struttura simile a quella della pennicillina, alla quale possono legarsi gruppi funzionali o altre molecole per ottenere pennicilline semisintetiche, come la meticillina (attiva solo contro i gram+ perché i gram- producono le beta-lattamasi che idrolizzano l’anello beta-lattamico), l’oxacillina (resistente alle beta- lattamasi e quindi attiva anche contro i gram-), l’ampicillina (ampio spettro, attiva contro i gram- perché 41 resistente alle beta-lattamasi) e la carbenicillina (ampio spettro, attiva contro i gram+ ma non gram- perché è sensibile alle beta-lattamasi). I beta-lattamici possono essere anche cefalosporine, che sono una classe formate da anello beta-lattamico legato ad un anello diidrotiazinico. La vancomicina è un antibiotico glicopeptidico che interagisce direttamente con il dimero D-ala,D-ala del glican-pentapeptide legandocisi e schermandolo dal legame con il suo enzima. La vancomicina è una molecola molto grande che non passa attraverso la membrana esterna dei gram- ecco perché non è efficiente contro di loro. Alcuni batteri sono resistenti perché hanno un modo diverso di sintetizzare il peptidoglicano, come quelli che al posto del dimero D-ala,D-ala hanno un dimero D-ala,D-lac (lattato) che non viene riconosciuto dalla vincomicina. • DNA girasi – chinoloni, cumarine (novobiocina). La DNA girasi è formata da due coppie di identici polipeptidi che corrispondono alle due subunità A e B che servono a garantire che il DNA venga srotolato durante la replicazione; la A taglia e despiralizza e la B garantisce la despiralizzazione negativa. I chinoloni interferiscono con la A e la novobiocina con la B e possono essere utilizzati in sinergia anche perché non promuovo la resistenza crociata, ossia la resistenza a più di un tipo di antibiotico causato da una mutazione. • RNA polimerasi – ansamicine: rifampicina. Le ansamicine, prodotte da attinomiceti, si legano alla subunità beta dell’RNA polimerasi inibendo la trascrizione. • Subunità 50S (grande) e 30S (piccola) dei ribosomi – eritromicina, azitromicina, streptomicina, tetraciclina. Alcuni antibiotici inibiscono il legame dell’unità d’inizio all’mRNA, come le tetracicline, mentre altri inibiscono l’allungamento oppure la reazione di rilascio del ribosoma dall’mRNA; l’inibizione di varie fasi fa sì che questi possano essere utilizzati sinergicamente, al fine di abbassare la MIC totale per ridurre la tossicità per l’ospite (alzando l’indice terapeutico). L’eritromicina, prodotta da un attinomicete, stimola la dissociazione del peptidil-tRNA dai ribosomi e blocca quindi la sintesi proteica agendo sulla 50S. La streptomicina interagisce con l’rRNA 16S inibendo la 30S, mentre le tetracicline si legano alla 30S inibendo la sintesi proteica. • Metabolismo dell’acido folico – trimetroprim e sulfamidici. Alcuni chemioterapici non permettono la sintesi dell’acido folico. La sulfanilamide agisce come antimetabolita perché compete con l’acido para-amminobenzoico, del quale rappresenta un analogo strutturale, e si legherà a quegli enzimi che convertono il para in acido folico inibendo quindi la biosintesi delle basi azotate del DNA e quindi la sintesi degli acidi nucleici. L’acido para-amminobenzoico viene trasformato in acido diidropteroico, poi nel diidrofolico e successivamente nel tetraidrofolico, che è il precursore per le purine, per la timidina, per la metionina e per il tRNA. I sulfamidici non permettono l’entrata del para-amminobenzoico mentre il trimetroprim non permette la trasformazione dal diidrofolico al tetraidrofolico. La maggiorparte degli antibiotici utilizzati in medicina sono le cefalosporine, i macrolidi, le pennicilline e i chinoloni. ANTIVIRALI E ANTIMICOTICI I virus si moltiplicano all’interno della cellula infettata utilizzando enzimi dell’ospite mentre i funghi hanno numerose vie metaboliche in comune con quelle della cellula ospite e quindi è difficile trovare antibiotici con tossicità selettiva. I bersagli di farmaci antivirali possono essere per l’assemblaggio, l’assorbimento, la decapsidazione e proteine specifiche per la replicazione, utilizzando per esempio inibitori per la RNA polimerasi virale o enzimi codificati specificamente dal virus, che non sono presenti nelle cellule eucariotiche. I bersagli di farmaci antimicotici possono essere per la sintesi della parete, degli steroli di membrana e degli acidi nucleici andando a lavorare sulle differenze e “attaccando” delle componenti che non sono presenti nelle cellule eucariotiche. 42 Grazie alla scoperta degli antibiotici, molte delle malattie per cui si moriva all’inizio del ‘900 non sono più cause di morte; per esempio, l’influenza e la polmonite. Ciò ha portato all’innalzamento dell’età media della popolazione, che ora è intorno agli 80/85 anni contro i 50/55 di inizio ‘900. Inevitabilmente, però, la resistenza compare nei ceppi clinici poco dopo dell’introduzione degli antibiotici nella pratica clinica. Ad oggi sono stati isolati diversi ceppi patogeni resistenti quasi a tutti gli antibiotici utilizzati (i multiresistenti o panresistenti) e ciò ha imposto la scoperta di nuove tecniche per uccidere il patogeno, come per esempio impedendogli di assumere i nutrienti indispensabili per la sua crescita (es. ferro). MECCANISMI DI RESISTENZA La resistenza può essere sviluppata con diverse strategie: • Impermeabilità all’antibiotico: comprende sia le resistenze intrinseche e acquisite. Es. ridotta espressione delle proteine di trasporto come le porine o la loro presenza in minor quantità o la modifica di specifiche componenti della parete. • Efflusso: il batterio riconosce l’antibiotico entrato e lo pompa fuori attivamente, con dispendio di energia; la concentrazione intracellulare di antibiotico rimane quindi sempre bassa. • Alterazione del bersaglio dell’antibiotico: se l’enzima a cui si deve legare l’antibiotico viene modificato, l’antibiotico non si lega e l’enzima continua a funzionare. Es. mutazione nel sito di legame dell’antibiotico rendendo il bersaglio insensibile all’antibiotico senza ridurre la funzionalità dell’enzima; generalmente queste riducono la fitness del batterio, quindi il suo successo riproduttivo. • Inattivazione dell’antibiotico: ci sono degli enzimi in grado di degradare le molecole di antibiotico (i gram- producono le beta-lattamasi). • Sviluppo di vie metaboliche alternative: come quella per la resistenza alla vancomicina tramite la presenza di un dimero D-ala,D-lac invece di D-ala,D-ala. Come si sviluppa la resistenza? Tramite mutazioni spontanee o grazie al meccanismo di trasferimento genico orizzontale. La resistenza spesso è gia presente nelle popolazioni naturali e il problema si pone quando questa si sviluppa nei patogeni; la presenza degli antibiotici impone una pressione selettiva che porta alla selezione dei microrganismi resistenti e l’antibiotico-resistenza può trasferirsi attraverso trasferimento genico orizzontale. La resistenza agli antibiotici è un tipico processo di selezione darwiniana e lecause dell’antibiotico- resistenza sono l’uso massivo degli antibiotici, in medicina, in agricoltura, in zootecnia (utilizzati negli allevamenti intensivi a scopo preventivo) e anche in casa. Tutto questo ha conseguenze importanti sulla salute umana: influisce sulla mortalità, sulla morbosità della malattia, sulla ridotta efficacia degli antibiotici, sulla diffusione e sul trasferimeto della resistenza ad altri patogeni. 11 apr. 22 Il genoma detiene l’informazione genica nessaria alla biogenesi, riproduzione, omeostasi e adattabilità degli organismi. Nel batterio modello E.coli, il genoma è costituito da un’unica molecola di DNA circolare che, con le proteine associate, costituisce il cromosoma, condensato in una struttura detta nucleoide (priva di membrana nucleare che la separi dal resto del citoplasma). Il genoma batterico è costituito da due componenti: • Cromosomi, che contengono i geni essenziali (housekeeping) per la sopravvivenza. • Elementi extracromosomici mobili, che contengono i geni accessori, come quelli responsabili del trasferimento genico o quelli determinanti per la virulenza. Questi possono essere i plasmidi, gli elementi trasponibili e i profagi (virus, cioè un genoma avvolto da un capside proteico; quelli che infettano unicamente i batteri vengono chiamati batteriofagi. Quando i virus entrano nell’ospite, possono andare in contro ad un ciclo litico o litogenico, ossia quando il genoma del virus entra a far parte del cromosoma batterico originando la cellula infetta). 45 REPLICAZIONE PLASMIDICA I plasmidi a DNA circolare si replicano in due modi: bidirezionalmente tramite forca di replicazione o secondo il modello a circolo rotante. Quest’ultima funziona così: è prodotto un taglio in una sola delle due eliche all’origine di replicazione e l’estremità 5’ dell’elica tagliata si allontana dalla molecola circolare. Il DNA circolare intatto fa da stampo per l’elica leading (replicata in maniera continua). Con il procedere della replicazione, l’estremità 5’ del filamento tagliato è srotolata fuori come un filamento libero di lunghezza crescente ricoperto di proteine SSB, che stabilizzano la struttura impedebdo alle eliche di riassociarsi. Mentre il cerchio ruota, la lingua a singola elica viene usata come stampo per un’elica lagging: la primasi sintetizza brevi primer di RNA che sono allungati dalla DNA polimerasi III in direzione 5’-3’. Questi primer vengono poi rimossi dalla polimerasi I e i vari frammenti sono uniti dalla ligasi. I plasmidi lineari si duplicano attraverso la formazione del legame covalente delle estremità lineari e del legame covalente a proteine terminali. I plasmidi possono essere coniugativi F, che contengono i geni che codificano per i pili e possono trasferirsi ad altre cellule tramite coniugazione, plasmidi R, che posseggono geni per la resistenza agli antibiotici, plasmidi Col, che presentano geni per batteriocine (proteine che uccidono altri batteri) e di virulenza, che hanno geni che codificano per fattori di virulenza (tossine e/o invasine). Es. plasmide F (F da fertility) è un plasmide di grandi dimensioni contenente il fattore di fertilità che, tramite la produzione di pili, permette la coniugazione batterica. Questo plasmide è presente in basso numero di copie e si replica per modello Theta a circolo rotante; possiede un sistema di mantenimento tossina/anti-tossina ed è solitamente integrato al genoma batterico, prendendo il nome di episoma. Numero di copie e modalità di replicazione I plasmidi si replicano con due modalità e alcuni, quelli di grandi dimensioni, si replicano in maniera coordinata con la replicazione del cromosoma batterico e si dicono sottoposti a “controllo stringente”. Quelli di piccole dimensioni, invece, si replicano in maniera indipendente dalla replicazione batterica e si dicono sottoposti a “controllo rilassato” e questi sono presenti in molte copie. Incompatibilità L’incompatibilità è la capacità di due plasmidi con sistemi di replicazione simili, di coesistere nella stessa cellula. L’arrivo di un plasmide in una cellula che già possiede un plasmide può dare origine alla competizione tra i due per il raggiungimento del numero di copie prefissato; se A è simile a B e se il loro numero di copie è 3/cellula, nel corso di alcune generazioni si verranno a creare cellula con plasmide A e cellule con plasmide B. I plasmidi che hanno differenti meccanismi di controllo replicheranno indipendentemente l’uno dall’altro, ognuno sarà ripartito tra le cellule figlie ed entrambi saranno mantenuti nella cellula. Il fenomeno dell’incompatibilità è controllato da geni coinvolti nella regolazione della replicazione plasmidica e affinchè un batterio possa contenere diversi tipi di plasmidi, questi non devono essere strettamente correlati. Una volta replicati, i plasmidi devono essere ripartiti ugualmente tra le cellule figlie; per i plasmidi presenti in alto numero di copie la ripartizione può essere casuale mentre non è così per quelli presenti in basso numero di copie. Questi ultimi sintetizzano due proteine ParA e ParB che si legano ad un sito specifico sul plasmide ParS, mantenendo i plasmidi nel centro delle cellule in divisione fintanto che questa non si conclude. 46 Sistema Par ParR si aggancia al ParC (centromero) andando a costituire il punto d’aggancio per ParM (ATPasi simile all’actina) che a sua volta forma una specie di “coda”, che progressivamente spinge il plasmide grazie all’attività ATPasica che permette il passaggio da ParM-ATP e ParM-ADP. Questo porta al distacco del filamento di ParM da ParR permettendo l’entrata di altre molecole ParM-ATP dalla parte apicale, le quali sospingono il plasmide ai poli. I vari plasmidi possono fare una sorta di “accoppiamento” perché, attraverso una proteina di ripartizione, due plasmidi si agganciano a livello del sito di divisione, garantendo la giusta divisione tra le cellule. Un’altra strategia è quella di eliminare delle cellule senza plasmide grazie ad un sistema tossina/antitossina, di cui il plasmide F è un esempio. Il plasmide F sintetizza un sistema basato su tossina/antitossina, in grado di eliminare le cellule che, in seguito ad un errore nella divisione, non hanno ricevuto una copia del plasmide F. La proteina CcdB è una tossina stabile con bersaglio la DNA girasi, la cui funzione viene bloccata dal legame con l’antitossina CcdA più facilmente degradabile. Se è presente il plasmide F, la sintesi continua di CcdA inibisce CcdB mentre se non c’è, CcdA verrà degradata più velocemente di CcdB, che rimarrà quindi liberà e che potrà inibire la girasi provocando apoptosi. Elementi genetici trasponibili Gli elementi genetici trasponibili sono entità genetiche in grado di cambiare localizzazione nel replicone in cui sono inseriti, o di saltare su altri repliconi. Si dividono in 3 classi: • Sequenze di intersezione (IS) Queste sono piccoli segmenti di DNA che codificano unicamente per le funzioni che ne promuovono la mobilità; la loro sequenza nucleotidica è composta da una regione codificante per le proteine necessarie per la trasposizione (trasposasi), fiancheggiata da brevi sequenze ripetute disposte in senso opposto l’una rispetto all’altra (IR inverted repeat), le quali sono i siti riconosciuti dalle trasposasi.. Le IS esistono anche “criptiche”, che non codificano per la trasposasi ma sono composte solo da IR e DR e devono essere affiancate da un altro elemento trasponibile in trans per essere mobilizzate. Le DR sono delle sequenze ripetute dirette e sono delle conseguenze della trasposizione; si forma grazie ad un taglio sfalsato, da parte della trasposasi, sui due filamenti del DNA e taglia le due estremità del trasposone a livello dei siti di giunzione, generando su ognuno di questi un OH libero. • Trasposoni semplici e composti Sono delle unità genetiche in grado di cambiare la loro posizione nel replicone in cui sono inseriti, grazie ad una trasposasi che taglia alle estremità il trasposone dalla molecola in cui si trova e lo sposta in un altro punto. Differiscono dalle IS poiché codificano delle funzioni accessorie che conferiscono un particolare fenotipo all’ospite (es. resistenza all’antibiotico). Il trasposone composto è costituito da un modulo centrale codificante per le funzioni acessorie, fiancheggiato da una coppia di sequenze IS che codificano per i determinanti genetici necessari per la trasposizione dell’elemento (come due IS + marcatori non coinvolti nella trasposizione). I trasposoni semplici non hanno struttura modulare o sequenze IS e i geni che ne conferiscono il fenotipo sono localizzati tra le brevi 47 sequenze IR insieme alle funzioni di trasposizione(uguale ad una IS + marcatori non coinvolti nella trasposizione, es. geni per antibiotico-resistenza). Entrambi hanno la regione codificante per geni diversi (dalla motilità) e geni che codificano per la trasposizione. Un esempio è il trasposone Tn3; questo tipo di trasposone contiene geni accessori, a parte quelli deputati alla trasposizione, come geni di resistenza agli antibiotici. Sono noti 2 meccanismi di trasposizione: 1. Conservativa: prevede l’escissione precisa dell’elemento trasponibile e la sua reintegrazione in un nuovo sito (sito bersaglio) senza che avvenga la replicazione del DNA trasposto (numero dei trasposoni non cambia). 2. Replicativa: prevede la trasposizione di un trasposone, in genere semplice, da un cromosoma a un altro o tra due siti lontani di due cromosomi; la porzione di cromosoma che contiene il trasposone, si fonde per breve tempo con la porzione di cromosoma accettrice. A questo punto, il trasposone si duplica e una delle copie, si posiziona nel DNA del cromosoma (o nella porzione di cromosoma) accettore, mentre l'altra rimane nella porzione donatrice. Durante la trasposizione, il trasposone si replica aumentando il suo numero. Effetti della trasposizione: • L’inserzione di un IS o trasposone può causare inattivazione genica (perdita di funzionalità) o alterazioni nell’espressione genica, oppure morte della cellula in caso il trasposone si collochi in sequenze di geni esseziali. • L’inserzione di un trasposone, semplice o complesso, può far acquisire nuove funzioni, come l’antibiotico-resistenza. Operone Lac E.coli: i geni operonici sono trascritti sullo stesso mRNA e codificano proteine che funzionano insieme. Il lattosio, grazie alla beta- galattosidasi può essere trasformato in 1,6- allolattosio e, tramite lisi, trasformato in due molecole di galattosio. In E.coli, sia il glucosio e il lattosio possono essere utilizzati come fonte di carbonio, con la differenza che il glucosio è più favorevole; i geni i cui prodotti rpoteici fanno parte della via del lattosio fanno parte dell’operone lac e non sono espressi quando la fonte di carbonio utilizzata è il glucosio. Il lattosio si lega sul repressore, che viene spostato, facendo si che i geni operonici Lac vengano espressi. 50 MUTAZIONI E SELEZIONE NATURALE La mutazione è la fonte della variazione genetica su cui agisce la selezione naturale. I rapporti tra mutazione e selezione e il ruolo della selezione hanno trovato nella genetica dei microrganismi le loro spiegazioni e fondamenti sperimentali del darwinismo. L’obiettivo comune degli esperimenti era quello di capire se la selezione applicata ad una popolazione batterica fosse responsabile dell’insorgenza dei mutanti adattati all’ambiente selettivo oppure se la selezione fosse il mezzo per far emergere i mutanti gia esistenti nella popolazione. Secondo l’ipotesi Lamarckiana (adattativa), l’insorgenza dei mutanti adattati al nuovo ambiente è indotta da questo e il carattere viene pertanto acquisito dopo l’esposizione all’ambiente stesso. Secondo l’ipotesi Darwiniana (mutazionale), l’ambiente seleziona, tra mutazioni casuali già presenti nella popolazionem prima dell’esposizione al nuovo ambiente. Negli anni ‘40/50, alcuni esperimenti hanno dato un forte sostegno all’ipotesi darwiniana; il primo di questi, noto come test di fluttuazione di Luria e Delbruck, fu di importanza fondamentale per l’affermazione di una concezione darwiniana della microbiologia. Test di fluttuazione: Una coltura di E.coli sensibile al batteriofago T1 è cresciuta fino a saturazione e un’aliquota di questa è piastrata sul terreno di crescita, mentre un’altra viene piastrata con un eccesso di particelle fagiche. Dopo l’incubazione, si osserva un tappeto di crescita batterica nella piastra di controllo non infettata, mentre in quella infettata tutte le cellule sono state uccise, tranne pochissime che hanno formato colonie resistenti al fago. La comparsa delle resistenze può essere spiegata secondo due ipotesi: adattativa e mutazionale. 1. Adattativa (Lamarckiana, mutazioni indotte dall’ambiente), secondo la quale tutti i batteri seminati in piastra sono sensibili al fago T1 e dopo il piastramento, come risposta allo stimolo presentato dal contatto col fago, ogni batterio avrà una piccola ma costante probabilità di sviluppare la resistenza e questa sarà trasmessa alla progenie, per cui si formerà una colonia di mutanti. Il numero di colonie mutanti è uguale al numero di mutazioni avvenute e dipende dal numero di batteri piastrati in presenza di fago. Ripetendo la selezione di mutanti con tante e identiche colture indipendenti, si avrà lo stesso numero di colonie mutanti, con variazioni (fluttuazioni) rispetto alla media dovute puramente al caso. 2. Mutazionale (Darwiniana, mutazioni sono casuali indipendenti dall’ambiente), secondo la quale ogni batterio sensibile al fago ha una piccola e costante probabilità, ad ogni generazione, di andare incontro a mutazione di resistenza o a qualsiasi altro tipo; una volta insorta, la mutazione sarà trasmessa a tutta la progenie del mutante originario, aumentando esponenzialmente il numero di mutanti presenti nella coltura. Quando la coltura verrà messa a contatto con il fago, i mutanti resistenti gia presenti sfuggiranno all’infezione e formeranno una colonia. Il numero dei mutanti nella popolazione non sarà uguale al numero di mutazioni avvenute, perché il numero dei mutanti dipenderà dalla frequenza di mutazione e dal numero di generazioni intercorse tra l’insorgenza della mutazione e l’esposizione all’agente selettivo. Ripetendo la selezione di mutanti con tante e identiche colture indipendenti, può casualmente succedere che una mutazione avvenga precocemente durante la crescita generando un subclone di mutanti numericamnete maggiore rispetto alle colture in cui la mutazione sia avvenuta più tardivamente. Oppure può casualmente succedere che nessuna mutazione insorga e nessun mutante sarà registrato. 51 VARIABILITA’ Le mutazioni non sono sufficienti a spiegare la variabilità del mondo microbico. Il genoma di un batterio risulta costituito da un “puzzle” di sequenze provenienti da altri batteri che non sono suoi progenitori, ma contemporanei. I batteri sono capaci di acquistare da altri organismi geni che permettono loro di diventare resistenti ad antibiotici, causare nuove malattie e aumentare la loro sopravvivenza.I meccanismi che permettono lo scambio di materiale genetico nei batteri sono raggruppabili in 3 categorie principali: • Coniugazione, con la quale il materiale genetico è trasferito da una cellula all’altra. • Trasformazione, ossia l’acquisizione da parte di una cellula di DNA nudo presente nell’ambiente in cellule competenti. • Trasduzione, un processo attraverso il quale un batteriofago, nel corso dell’infezione di una cellula batterica, può trasferirle geni provenienti dal batterio in cui si è precedentemente sviluppato. Tramite questi meccanismi, il materiale genetico può essere trasferito in modo unidirezionale, da un batterio “donatore” ad uno “ricevente”; per questo si parla di trasferimento genico orizzontale o laterale, mentre nella riproduzione cellulare (scissione binaria, mitosi e meiosi) si ha un trasferimento genico verticale dalla cellula parentale alle due figlie. Coniugazione: La coniugazione è un processo attraverso cui la molecola di DNA, o parte di essa, è trasferita da una cellula donatrice ad una ricevente mediante l’attività di un complesso multiproteico specializzato presente nel donatore. La coniugazione è un meccanismo di tipo infettivo con cui plasmidi e trasposoni di tipo autotrasferibile si trasferiscono da un batterio all’altro. La coniugazione richiede che ci sia uno stretto contatto tra le due cellule; nei gram – questo è inizialmente stabilito dai pili sessuali (che si estendono al di fuori della cellula) mentre nei gram + sono presenti dei prodotti codificati dai plasmidi che permettono l’aggregazione cellulare. 1946 – Lederberg & Tatum Per i loro esperimenti utilizzarono coppie di ceppi batterici con auxotrofie multiple complementari (es. mescolarono un ceppo abcDEF con un ABCdef, dove le lettere minuscole significano le diverse richieste metaboliche); nessuno dei due ceppi cresceva da solo su terreno sintetico senza l’aggiunta dei fattori nutrizionali richiesti, mentre se le due colture venivano mescolate in una provetta e poi piastrato su terreno non permissivo, colonie del tipo ABCDEF comparivano dopo l’incubazione con un’alta frequenza. L’ipotesi che la crescita delle colonie fosse dovuta a sintrofismo (produzione di fattori diffusibili da parte di un ceppo che permttono la crescita dell’altro e viceversa) fu abbandonata visto che nessuno dei due poteva crescere con gli estratti cellulari dell’altro. Le colonie quindi erano ricombinanti la cui comparsa richiedeva un contatto diretto tra i due tipi di batteri e il passaggio del loro DNA da un batterio all’altro. Due osservazioni furono fondamentali: durante la coniugazione il materiale genetico si era trasferito unidirezionalmente dal donatore al ricevente e la ricombinazione avveniva solamente tra coppie di polarità diversa costituite da batteri donatori “fertili” denominati F+ (che originano ricombinanti) e da cellule riceventi F-. L’incrocio era fertile tra coppie F+ e F-, sterile per F- x F- e scarsamente fertile per F+ x F+. La fertilità era geneticamente determinata da un fattore trasmissibile chiamato fattore di fertilità F. I ricombinanti non si ottenevano trattando i batteri F- con estratti cellulari di F+, il ricevente mescoltato al batterio F+ è convertito in donatore e il 52 donatore può perdere il fattore F spontaneamente o in seguito a danni. In seguito si scoprì che il fattore F è un plasmide costituito da DNA extracromosomico che può passare da un batterio all’altro in modo “infettivo”. 2 mag.’22 Per capire se fosse sintrofismo o no, Davis, nel 1950, allestì un esperimento: un tubo a U aveva, nella parte conca, una membrana attraverso la quale le cellule non potevano passare, mentre il terreno e i fattori diffusibili si. Egli capì che, affinchè le cellule potessero crescere in un terreno minimo, dovevano essere in contatto perché serviva che si formasse un ponte citoplasmatico tra le due. Il contatto avviene in quanto la cellula donatrice esprime il pilo coniugativo, il quale prende contatto con una cella F- e polimerizza facendo avvicinare le cellule. La formazione del ponte fa si che il DNA possa trasmettersi dalla donatrice alla ricevente tramite il meccanismo della coniugazione. Il DNA viene trasferito sottoforma di singolo filamento; il primo tratto che entra nel ricevente codifica per proteine SSB che proteggono il ssDNA dalle nucleasi. La mobilizzazione del DNA è un processo che coinvolge l’apparato detto “rilassosoma” che rilascia il superavvolgimento del DNA in seguito al taglio della nickasi. Durante il trasferimento del DNA questo si replica con un movimento a cerchio rotante dal 3’-OH procendendo in direzione 5’-3’. Il plasmide F presenta due origini di replicazione: oriV permette la trasposizione mediante modello theta, mentre oriT mediante replicazione a circolo rotante. Presenta anche la regione tra, che include geni mpf (mating-pair formation) e dtr (DNA transport and processing). Sono presenti anche le nickasi, che sono delle proteine che tagliano il filamento del DNA del fattore F, che si muove attraverso il ponte coniugativo entrando nella cellula ricevente dall’estremità 5’. Nella cellula ricevente viene portata avanti al sintesi del DNA complementare (discontinua) fino a quando la sintesi finisce ottenendo due cellule F+. Può succedere che a volte in una cellula F+ il DNA del plasmide F si integri nel cromosoma per ricombinazione omologa tra le sequenze IS presenti nel plasmide F e nel cromosoma. I batteri con F integrato si chiamano Hfr (high frequency of ricombination) e possono promuovere il trasferimento del cromosoma batterico. Così come il plasmide F si integra nel cromosoma, può anche excidersi e può capitare che l’excisione sia imperfetta e che quindi esso si porti dietro dei geni appartenenti al cromosoma (formazione di ceppi F’). Questi ceppi F’, arrivando in un’altra cellula, possono portare dei geni che in quella cellula sono già presenti, portando alla formazione di diploidi parziali. • Coniugazione ceppo Hfr/ceppo F- Il fattore F viene tagliato a singolo filamento dalle nickasi creando l’origine di trasferimento del cromosoma; inizia il trasferimento attraverso il ponte di coniugazione e inizia la replicazione su entrambi i filamenti, mentre continua il trasferimento del cromosoma. Il fattore F è ora alla fine del cromosoma adiacente 55 fago lambda e quelli della serie dispari; questi sono detti virus a simmetria binaria perche hanno sia la simmetria icosaedrica (testa) sia elicoidale (coda). I batteriofagi possono avere due cicli: litico e lisogeno. Nel primo, dopo pochi minuti la cellula va incontro a lisi e liberano la progenie fagica mentre nel secondo può esserci una fase in cui il genoma del fago non viene espresso e quindi il fago coesiste, per un certo tempo, con la cellula ospite. CICLO RIPRODUTTIVO DEL BATTERIOFAGO • Adsorbimento: il fago prende contatto con l’ospite. È la fase iniziale, caratterizzata da due stadi: uno reversibile (collisioni casuali fago/batterio) e uno irreversibile (adsorbimento vero e proprio). Nel momento in cui le collisioni portano al riconoscimento delle strutture della cellula batterica, complementari a quelle del fago, il recettore (presente su alcune componenti nella cellula) lega il fago alla cellula ed inizia il vero adsorbimento. Se il recettore è alterato, l’ospite diventa resistente all’infezione da parte del virus che utilizza quel recettore: se anche il virus poi muta, può tornare ad infettare l’ospite resistente. Una volta che il batteriofago lega la cellula, si ha una modificazione per cui il capside esce dalla cellula mentre l’acido nucleico entra e i geni vengono espressi. • Penetrazione: l’acido nucleico entra. L’acido nucleico viene iniettato all’interno del citoplasma del batterio ospite; spesso entrano anche enzimi, come la RNA polimerasi fago-specifica. Il DNA spesso entra in maniera graduale, in modo da permettere l’espressione dei geni precoci (i primi che vengono espressi, tipo quelli che codificano per gli inzimi per la replicazione), seguiti da quelli intermedi e poi quelli tardivi. Nella maggioranza dei casi è solo l’acido nucleico virale ad entrare nel batterio; nei casi in cui i batteriofagi abbiano una coda, questa spinge all’interno l’acido nucleico grazie al passaggio di questo lungo il tubo cavo. In molti casi i geni sono raggruppati in precoci (coinvolti nella replicazione del DNA e nel blocco delle normali funzioni batteriche), intermedi (coinvolti nella replicazione e ricombinazione del DNA) e tardivi (codificano per le proteine coinvolte nella formazione del capside e proteine litiche). In alcuni fagi come il T7, il passaggio da una fase all’altra è geneticamente controllato attraverso la sintesi di una nuova RNA polimerasi o fattori che alterano la specificità della RNA polimerasi batterica. I geni tardivi dirigono la sintesi di tre tipi diversi di proteine: le proteine strutturali del fago, quelle che intervengono nell’assemblaggio ma non fanno parte del fago e quelle coinvolte nel processo di lisi e di liberazione dei fagi (lisine). L’ingresso del genoma all’interno del capside avviene nel momento in cui la testa è gia stata assemblata e l’assemblaggio del genoma avviene in due vie: a testa piena o ad estremità fisse. Il primo consiste nell’incorporazione di una certa quantità di genoma indipendentemente dalla sua sequenza (può succedere che integri 56 genoma batterico precedentemente frammentato dalle DNAsi, fago T4), il secondo invece avviene in fagi che riconoscono le estremità della sequenza di DNA da incorporare (fago lambda). Una volta che il genoma è entrato nella testa, il virione viene assemblato e vengono prodotti degli enzimi litici per far lisare la cellula. Questo ciclo è definito LITICO. Il ciclo LISOGENO (temperato) è il ciclo durante il quale il virus può rimanere quiescente nella cellula senza che il suo genoma venga espresso e che venga provocata la lisi. COLTIVAZIONE DEI VIRUS Coltivare i virus non è semplice: i virus animali vengono coltivati inoculando animali sensibili o uova embrionate di pollo, ma alcuni hanno un’elevata specificità d’ospite e anche i virus vegetali sono difficili da coltivare. Quelli più facilmente coltivabili sono i batteriofagi. Il lisato che si ottiene deve essere titolato, quindi determinare la concentrazione dei virioni. Per fare questo si usa la tecnica della crescita in agar per ottenere le placche di lisi; tramite una coltura di batteri, si mette a contatto un volume noto di lisato e uno noto di batteri, il quale va piastrato. Si osserva che sul tappeto di batteri, appaiono delle placche chiare. Ogni placca ha avuto origine da una singola particelle virale, quindi il numero delle placche prodotte equivale al numero di virioni infettanti o di unità formanti placca; dal numero di placche si risale allla concentrazione di particelle infettanti. I fagi lisogeni possono rimanere quiescenti per lungo tempo, fino a quando fattori ambientali ne stimolano l’excisione inducendo poi il ciclo litico. Fin quando il genoma virale rimane quiescente all’interno della cellula, vengono prodotti dei fattori che mantengono stabile la situazione; quando poi i fattori ambientali stimolano excisione, vengono prodotti dei fattori che inducono la lisi della cellula batterica. La crescita di un virus avviene in diverse fasi: - Periodo di eclisse: periodo durante il quale non è possibile rilevare la presenza di particelle virali infettiva nemmeno all’interno dei batteri; dopo l’adsorbimento vi è la scomparsa delle particelle virali infettive dovuto alla spoliazione. - Periodo di latenza: periodo di sviluppo dei fagi nel batterio infettato; i fagi non sono ancora liberati all’esterno, ma intanto il genoma fagico si sta esprimendom e si osservano i virioni neoformati. - Periodo di crescita: le cellule vanno incontro a lisi liverando i fagi infettanti e quando tutti saranno liberati, si raggiungerà il plateau. STRUTTURA E ORGANIZZAZIONE Esistono batteriofagi a RNA e DNA a singolo (M13) e doppio filamento (T4 e lambda) e può essere organizzato in un’unica molecola, una molecola circolare oppure segmentato in più molecole. Qualunque sia il genoma, per potersi esprimere deve essere trascritto e tradotto. I virus dsDNA vengono trascritti (filamento -) da una RNA polimerasi-DNA dipendente in mRNA mentre quelli ssDNA vengono prima duplicati e poi trascritti. Quando il genoma è RNA, la cosa si complica. L’RNA può essere o a polarità positiva o negativa; il primo funziona direttamente come se fosse un mRNA, che codifica, oltre alle proteine necessarie, anche le replicasi, che iniziamente sintetizzano RNA negativi usando come stampo il filamento +, e poi li usano come stampi per produrre ulteriori molecole positive che costituiranno i genomi della progenie. L’RNA a polarità negativa viene trascritto in positiva grazie ad una polimerasi-RNA dipendente; questi enzimi si trovano all’interno del virione, che possiede anche le trascrittasi che 57 sintetizzano RNA positivo che funge da mRNA e RNA negativi che costituiranno i genomi della progenie. I virus a RNA a doppio filamento: a partire dallo stampo negativo una trascrittasi, polimerasi RNA- dipendente, sintetizza il filamento +, che fa da mRNA codificando un’altra RNA polimerasi-RNA dipendente che svolge la funzione di replicasi sintetizzando RNA a doppio filamento. Il fago T4 ha uno dei più grandi genomi virali a DNA a doppio filamento lineare (166 kb) e il suo ciclo replicativo dura solo 25 minuti; si ha l’infezione, adsorbimento e la penetrazione del DNA. Questo viene trascritto e vengono espressi i geni precoci (nucleasi, DNA polimerasi, nuovi fattori sigma), intermedi (proteine della replicazione) e quelli tardivi (proteine dell’involucro). A questo punto vengono assemblati i virioni e la cellula va incontro a lisi, con conseguente liberazione delle particelle fagiche. Già nel primo minuto vengono direttate le funzioni cellulari batteriche in funzione di quelle virali: geni mod e alt vanno a ribosilare la subunità alfa dell’RNA polimerasi dell’ospite, che non è più capace di riconoscere il DNA batterico ma è più affine a quello fagico. La sintesi del DNA di T4 richiede idrossimetilcitosina al posto della citosina, che viene anche glicosilata in modo da proteggere il DNA dalle endonucleasi. Il genoma del T4 presenta delle estremità ripetute, che permettono la formazione di concatenameri, che vengono tagliati nel momento in cui il genoma viene incapsidato. Questo fa si che all’interno della popolazione si possa osservare la permutazione; in una testa fagica entra sempre un po di più di genoma. Il fago T7 è un fago litico dsDNA più piccolo, simile al T4. Esso codifica tutte le porteine neccessarie per la replicazione e trascrizione del suo DNA ed è dotato di sistema di controllo per l’espressione dei suoi geni, che si dividono in: precoci immediati, intermedi e tardivi. I precoci sono trascritti e tradotti subito perché riconosciuti dalla RNA polimerasi dell’ospite: uno di qesti codifica per la RNA polimerasi specifica che riconosce i promotori dei geni intermedi e tardivi. La sua replicazione è caratterizzata dal fatto di non passare da un intermedio circolare, quindi non è in grado di completarla ad una estremità lasciando un 3’ protruding. Per risolvere il problema, grazie ad una DNA polimerasi e ad una DNA ligasi, si ha l’appaiamento delle ripetizioni terminali non replicata e l’unione di vecchie e nuove molecole per la formazione di un concatenamero. M13 è un fago filamentoso con genoma a DNA a singola elica; contiene circa 10 geni e si adsorbe ai pili coniugativi, infettando esclusivamente le cellule con plasmidi di tipo F. La differenza è che i virioni non vengono liberati per lisi, ma con un altro meccanismo che non provoca la lisi. 60 CRISPR-Cas (Clustered regurarly interspaced short palindromic repeats, CRISPR associated sequences) È un sistema paragonabile ad un sistema di immunità acquisita mediato da piccoli RNA scoperto poco più di 10 anni fa; è un sistema adattativo di difesa specifica contro fagi e plasmidi. Analizzando i genomi, si è scoperto che c’erano dei motivi ripetuti: una sequenza leader (ricca in AT) contenente un promotore, le sequenze ripetute (tra loro parzialmente palindromiche e identiche tra loro) e gli spacer (che separano le sequenze ripetute). In questi locus vi erano dei geni Cas, che codificano proteine con domini elicasici, nucleasici, polimerasici e di legame con l’RNA e proteine del core (sono specifici per i sottotipi). Gli spacer variavano da un ceppo all’altro e si è scoperto che spesso erano complementari a pezzi di genomi fagici. A partire dalla sequenza leader, si inizia a trascrivere (non sempre venivano tradotti) e si producono questi piccoli RNA, che si appaiano al genoma fagico guidandone le endonucleasi Cas, codificate a valle del sistema CRISPR. Quando entra un DNA esogeno, la cellula lo riconosce e guidando su quel genoma gli enzimi di restrizione, lo taglia. Gli spacer vengono acquisiti a seguito di infezioni andate a buon fine e possono essere usate dalla cellula per riconoscere un patogeno simile. Ultimamente sono stati scoperti nei batteriofagi, sistemi anti-CRISPR-Cas, utili per bypassare questo sistema di “immunità”. Questi sistemi sono stati ingegnerizzati per applicazioni che prevedono l’editing genomico, ossia di inserire/tagliare geni nelle sequenze genomiche che possono causare patologie, ad esempio. Phage therapy La phage therapy è l’utilizzo terapeutico dei batteriofagi per trattare le infezioni ad opera di batteri patogeni; nacque nel 1923 quando G.Eliava conobbe d’Herelle all’istituto di Pasteur e fondò l’Eliava Institute in Georgia, centro mondiale di riferimento per la terapia fagica. La terapia fagica è utilizzata anche contro infezioni di batteri pan-multiresistenti per uso compassionevole, ossia quando tutti i protocolli ordinari/extraordinari sono stati apllicani e non vi è altro modo di curare l’infezione. Come vengono scelti i batteriofagi? Vengono raccolti campioni che possono contenere batteri e batteriofagi e vengono coltivati insieme ai batteri su terreno di crescita; se i batteri muoiono, la miscela viene centrifugata e vengono raccolti i fagi in superficie per essere estratti e testati (per vedere se mostrano effetti di soppressione sulla crescita o distruzione dei batteri bersaglio). Il fago che induce la lisi viene amplificato sulle colture di batteri bersaglio e passato attraverso un filtro, per rimuovere tutti i fagi. Vengono somministrati solo i fagi litici perche quelli lisogeni integrano il loro genoma con il cromosoma dell’ospite, scambiando DNA, diffondendo la resistenza e rendendo i batteri più patogeni. 61 Trattamento: L’elevata specificità della terapia dei fagi rende necessario la realizzazione di diversi cocktail per il trattamento della stessa infezione o malattia; i fagi vengono applicati per via orale, topica o utilizzati durante procedure chirurgiche. In Russia e Georgia vi sono due prodotti fagici disponibili senza ricetta: l’intestiphage, che contiene fagi che uccidono patogeni opportunisti intestinali e il pyophage, che contiene fagi che eliminano gli agenti causali delle malattie pyoinfiammatorie ed enteriche. 12 mag. 22 VIROLOGIA La virologia è la disciplina che si occupa dello studio dei virus (eucariotici) responsabili di infezioni nell’uomo, dello studio dei meccanismi legati alla genesi della patologia associata all’infezione, delle strategie di diagnostica, delle conoscenze e sviluppo di vaccini e di farmaci antivirali. I virus sono agenti infettivi di piccole dimensioni e semplice composizione che si possono replicare solo in cellule viventi, basando la replicazione sui processi metabolici della cellula ospite; sono quindi parassiti intracellulari obbligati. Sono privi di molte caratteristiche delle cellule e quando infettano una cellula si appropria del suo metabolismo per replicarsi; infettano tutte le cellule, anche i virus (batteriofagi e virofagi). Le interazioni tra ospite e virus sono molto specifiche, per esempio i batteriofagi riconoscono dei recettori nella cellula ospite, e possiedono numerose strategie per assicurarsi la sopravvivenza e la replicazione nelle cellule che infettano. I virus hanno delle caratteristiche comuni con gli esseri viventi, per esempio la riproduzione (in maniera peculiare) e le mutazioni, ma anche delle differenze: non hanno un’organizzazione cellulare o un’attività metabolica propria e non sempre posseggono un genoma di DNA a doppia elica. I virus, per esistere in natura, devono essere infettanti, utilizzare i meccanismi dell’ospite per produrre i propri componenti (basi azotate per replicare il genoma) e codificare proprie proteine specifiche (es. RNA- polimerasi RNA-dipendenti, trascrittasi inverse). I virus sono inerti nell’ambiente extracellulare e la loro sopravvivenza dipende da diversi fattori. I virus sono quindi delle entità con struttura acellulare, strutturalmente molto semplici ma estramamente complesse per qualto riguarda la biologia. La loro presenza è stata testimoniata gia dai geroglifici datati 3700 a.c.; migliaia di anni dopo, Koch ebbe le prove della loro esistenza, grazie ad esperimenti svolti sui topi, e capì che non tutte le malattie infettive hanno un’origine batterica. Si iniziò a pensare che dovesse esserci qualcos’altro in grado di causare la malattia e si notò che era possibile isolare, da soggetti infetti, un qualcosa capace di indurre la patologia in un altro soggetto anche se veniva filtrato, e che quindi doveva essere molto piccolo. Questo agente venne chiamato “contagium vivum fluidum” fin quando Twort e D’Herelle, nel 1917, scoprirono l’esistenza dei batteriofagi. Nel 1898 Loeffler e Frosch riproducono l’afta epizootica utilizzando materiale patologico filtrato, inducendo la mattia. L’afta è la prima malattia animale in assoluto per la quale venne evidenziata un’origine virologica. Nel 1892 Ivanowski scopre che l’agente causale del mosaico del tabacco non è visualizzabile al microscopio, attraversa i filtri e non può essere coltivato. Nel 1898 Beijerinck, con esperimenti di filtrazione, conferma che l’agente infettivo è più piccolo dei batteri e ipotizza sia qualcosa di simile ad un organismo vivente; chiama questo patogeno “Contagium vivum fluidum”, un germe vivo ma solubile: il virus. Nel 1901 Walter Reed dimostra che la febbre gialla è causata da un virus trasmesso dalle zanzare, la prima malattia degli umani con origine virologica. 10 anni dopo, Rous dimostra che il sarcoma dei polli è trasmesso da un virus. La virologia è una scienza “recente”: i virus sono troppo piccoli perché siano visti al microscopio ottico, infatti serve quello elettronico; il primo fu inventato attorno al 1940, anno in cui Hirst riesce a coltivare un virus e dimostra che i virus dell’influenza ha la capacità di agglutinare i globuli rossi, perché presenta delle proteine specifiche che emoagglutinano i globuli. Intorno agli anni ’50, i primi scienziati sviluppano il primo sistema di coltivazione virale su cellule (polio su cellule umane). Nel 1970 Termin e Baltimore identificarono l’enzima trascrittasi inversa; anni dopo Roberts e Sharp riconobbero che gli introni egli mRNA degli adenovirus erano sottoposti a splicing e, nello stesso anno, 62 inizia l’era della genomica virale con il sequenziamento del genoma del batteriofago FiX174, un virus piccolo a genoma circolare. Nel 1979 l’OMS dichiara eradicato il vaiolo, la prima malattia infettiva eradicata attraverso una vaccinazione, nell’80 Gallo isola il primo retrovirus umano associato alla leucemia e nell’83 quello dell’HIV. Nel 1989 i ricercatori della Chiron identificano il virus dell’epatite C, il primo ad essere clonato prima che isolato pocihè era difficile da coltivare. Nel 2003 è stato isolato il SARS-CoV-1 (sindrome respiratoria acuta grave) e, 16 anni dopo, si diffonde il SARS-CoV-2. Le peggiori epidemie nella storia recente sono quasi tutte derivate dalla zoonosi, ossia quando un agente infettivo ha un serbatoio animale acquisisce la capacità di infettare l’uomo. L’incontro del patogeno con l’uomo è una novità, quindi l’uomo non ha nessun sistema che lo protegge; dapprima il patogeno può essere troppo aggressivo con l’uomo, uccidendolo, ma con il progredire dell’infezione questo potrebbe sviluppare varianti meno aggressive e meno patogene (nessun virus ha interesse ad uccidere il suo ospite). VIRUS Le dimensioni dei virus sono molto ridotte in confronto alle cellule procariotiche, ma non vi è correlazione tra la loro dimensione e le cellule che vanno ad infettare (batteriofagi o eucariotici). Proprio a causa delle dimensioni ridotte, la loro risoluzione è possibile tramite il microscopio elettronico. VIRUS EUCARIOTICI I virus eucariotici hanno una struttura tipica: più internamente vi è il core, che contiene il genoma che può essere a DNA o RNA ed enzimi che nell’ospite non sono presenti. Il genoma è ricoperto da proteine (capside) formato da tante unità proteiche dette capsomeri. Esternamente al capside, può esserci un involucro di lipo-glico-proteine, il pericapside o envelope, il quale somiglia alle membrane cellulari (spesso il virus lo acquisisce quando gemma). Nell’envelope si possono trovare delle proteine spike, proiezioni superficiali che protrudono dall’envelope. All’interno della cellula il virus, spesso, è presente sottoforma di acido nucleico, mentre all’esterno della cellula è un virione. Non tutti i virus sono così: i virus nudi hanno solamente core e capside, mentre nei virus rivestiti il capside può essere rivestito da proteine della matrice e poi dall’envelope. Le forze che tengono insieme il capside sono quelle termodinamicamente più stabili: possono esserci 3 tipi di simmetrie: - Elicoidale: i protomeri sono disposti in modo da formare un’elica in cui il genoma è costituito da RNA dipsosto all’interno di solchi formati di proteine stesse. Ogni elica è definita da due parametri: ampiezza e passo . - Icosaedrica: l’icosaedro è una figura geometria costituita da 20 facce triangolari equilatere. I capsomeri possono essere formati da monomeri uguali o diversi (se sono diversi, i pentameri sono ai vertici e esameri sulle facce). - A simmetria complessa: non hanno una struttura assimilabile alle altre, per esempio i poxvirus, che hanno un genoma a DNA double stranded grande associato a proteine, racchiuso in un nucleoide delimitato da una membrana. Questo fa il suo ciclo replicativo nel citoplasma perché è in grado di sintetizzare l’enzima per la replicazione. 65 Replicazione virale Può avvenire soltanto all’interno di una cellula permissiva che viene infettata; una volta che il virus entra nella cellula, perde l’unità morfologica che caratterizza il virione. Una volta all’interno della cellula vengono sintetizzati acido nucleico e proteine strutturali grazie all’energia che la cellula ospite fornisce. Il virus non è dotato di movimenti autonomi fuori dalla cellula e deve incontrarsi con cellule permissive, nelle quali penetra (attività virus mediata), si sposta nel compartimento adatto (es. virus a DNA va nel nucleo, quello a RNA va nel citoplasma) e avvia il processo di deviazione delle attività cellulari. Fasi: 1. Adsorbimento: una proteina dei rivestimenti virali (antirecettore) riconosce un recettore cellulare (molecola che normalmente la cellula utilizza per le sue funzioni + corecettore) e il virus entra in diversi modi, es. per endocitosi. Gli anticorpi diretti contro l’antirecettore sono spesso provvisti della capacità di neutralizzare la capacità infettante; gli anticorpi legano l’antirecettore facendo sì che questo non possa legarsi con il recettore (monoclonale). 2. Penetrazione e decapsidazione: l’acido nucleico si spoglia del suo capside. Richiede una partecipazione attiva della cellula ed è quasi istantanea dopo l’attacco. I virus nudi possono essere traslocati attraverso la membrana cellulare all’interno della cellula mediante proteine capsidiche oppure attraverso la vescicola endocitica (invaginazione membrana). I virus rivestiti invece hanno l’envelope che si fonde con la membrana cellulare (è fatto della stessa sostanza) grazie a proteine fusogene, attivate in seguito a modificazioni conformazionali dell’antirecettore virale e rilascia all’interno il genoma oppure possono entrare per endocitosi. 3. Espressione genica e sintesi delle proteine virali: le proteine prodotte passano nell’apparato di Golgi e vengono glicosilate: spesso quelle che fanno parte dell’envelope migrano in zone specifiche della membrana citoplasmatica della cellula che corrispondono al punto dal quale il virus gemmerà e uscirà. 4. Replicazione del genoma virale: varia a seconda del tipo di genoma; si articola in infezione, fase di eclissi (in cui il virus è presente solo come acido nucleico), fase logaritmica (in cui l’acido nucleico viene duplicato) e la morte cellulare. 5. Assemblaggio e maturazione dei virioni: per assemblaggio si intende il raggruppamento di tutti i componenti neoformati in un particolare sito della cellula e il suo sito dipende dal comparto in cui è avvenuta la replicazione e dalla modalità di uscita. Il genoma viene impacchettato grazie a forze elettrostatiche negative. L’envelope è uno strato fosfolipidico sotto al quale sono presenti delle proteine della matrice e servono a legare il nucleocapside con l’envelope e alcune portano segmenti di ancoraggio transmembrana. Le proteine che protrudono dall’envelope sono glicosilate e ce ne sono altre, canali, che formano un canale proteico che attraversa l’envelope (svolgono un ruolo importante nell’acidificazione della vescicola endosomica, entrata ioni H+), che permette il rilascio dell’acido nucleico dal capside/pericapside. La maturazione è lo stato replicativo in cui il virus diventa infettante; coinvolge modificazioni strutturali e conformazionali e spesso è portata avanti da proteasi codificate dai virus, dalla cellula o da una miscela dei due. 6. Fuoriuscita dalla cellula: può uscire per esocitosi (gemmazione) o lisando la cellula. Per quanto riguarda i virus nudi, questi escono per lisi: i virioni si ammassano in cristallini e fanno lisare la cellula. I virus con envelope invece escono per gemmazione quando le glicoproteine si posizionano su un preciso punto della membrana cellulare (queste zone si chiamano raft di membrana, arricchite da colesterolo, sfingolipidi…); in prossimità di queste proteine migra il nucleocapside che interagisce con le proteine della matrice e viene circondato, uscendo per gemmazione. 66 16 mag. 22 La cellula ospite fornisce: • Energia. • Precursori a basso peso molecolare per la sintesi delle macromolecole virali. • Ribosomi. • Enzimi per la sintesi proteica. • Condizioni stabili e ambiente protetto. La sintesi delle macromolecole virus-specifiche può avvenire ex novo, di acidi nucleici e proteine. Queste ultime possono essere strutturali e non strutturali, come quelle con funzioni regolative (inibitorie sulle sintesi della cellula ospite) e gli enzimi coinvolti nella replicazione dell’acido nucleico. Le proteine (di deossiribovirus) possono anche essere precoci e tardive. Un virus può svolgere il suo ciclo replicativo interamente nel citoplasma oppure anche nel nucleo; questo dipende dal tipo di virus preso in considerazione, per esempio il poxvirus è un virus molto grande e può codificarsi da solo gli enzimi che servono per la replicazione come le DNA-polimerasi. Solitamente i virus a RNA svolgono la replicazione nel citoplasma; se l’RNA è a polarità negativa, le RNA-polimerasi RNA dipendenti sono gia presenti nel virione, mentre se è a polarità positiva queste sono sintetizzate appena il virus penetra nella cellula. Alcuni virus ad RNA entrano nel nucleo perché necessitano di mettere in atto meccansimi più complessi, così come fanno alcuni virus a DNA. Replicazione di deossiribovirus: Tipicamente la sintesi dell’mRNA avviene nel nucleo ad opera di transcrittasi cellulare; spesso gemmando dal nucleo acquisiscono l’envelope. Tra i virus a DNA si possono avere dsDNA e ssDNA. In genere la replicazione dei virus avviene nel nucleo e la DNA polimerasi della cellula ospite viene usata per produrre nuove copie di RNA virale. Eccezione: poxviridae; il suo genoma codifica molti enzimi tra cui quelli atti al processo di replicazione/trascrizione/sintesi di macromolecole, grazie ai quali svolge questi processi nel citoplasma. Gli Hepadnaviridae hanno genoma dsDNA circolare non completamente sintetizzato, poiché esce dalla cellula prima che la sintesi del DNA finisca. Infetta la cellula, entra nel nucleo e si forma un DNA circolare chiuso covalentemente che viene trascritto; l’mRNA esce dal nucleo e viene tradotto nel citoplasma, dove viene anche retrotrascritto (funge da stampo per sintesi di DNA). Replicazione di ribovirus: I ribovirus possono avere genoma ss, ds, diploide o bicatenario. Entrano nella cellula, il genoma viene rilasciato nel citoplasma dove avviene la traduzione (in quelli a RNA +) degli enzimi necessari come la RNA-polimerasi RNA-dipendente; dal filamento positivo ne fa uno negativo e poi tante altre copie che vengono assemblate all’interno dei capsidi. Quelli a RNA – non subito riconosciuti come messaggeri, pertanto è necessaro produrre un filamento + complementare e siccome gli enzimi cellulari non possono prourre RNA utilizzando RNA come stampo, i virus devono portare con loro RNA polimerasi-RNA dipendenti. Quelli con genoma diploide sono a polarità + ma sono diploidi, formati da due identiche molecole di RNA monocatenario lineare che non funziona da messaggero, ma funge da stampo per la sintesi complementare di DNA bicatenario; il genoma a RNA a singolo filamento viene convertito in DNA a doppio filamento (retrotrascritto dalla trascrittasi inversa); questo DNA si lega all’integrasi, che lo inserisce nel DNA. Il 67 genoma virale, ora integrato, viene trascritto dalla RNA polimerasi che produce molecole di mRNA, le quali vengono poi tradotte. Parti della cellula e cosa ci succede dentro La durata del ciclo replicativo è il tempo che intercorre tra infezione e comparsa di progenie ed è estremamente variabile; dipende da eventi biosintetici necessari, dal grado di dipendenza da funzioni cellulare e dalla complessità dei processi morfologici. In linea di massima la durata è proporzionale a complessità e dimensione del genoma e oscilla da poche ore a più di 24. 19 mag. 22 HERPESVIRIDAE Gli herpesviridae sono dei virus che hanno un dsDNA, appartenenti alla prima classe di Baltimore, che presentano un envelope. Questa famiglia include numerosi patogeni umani di grande rilevanza clinica e possono causare infezioni litiche, persistenti e latenti con periodica riattivazione. La famiglia degli herpesviridae si dividono in alpha (HSV-1 herpes labiale, HHV-3 varicella), beta e gamma (HHV-4 mononucleosi). Questi virus sono in grado di infettare più cellule contemporaneamente; in alcune completano il loro ciclo replicativo, mentre in alte non lo completano e rimangono quiescenti (es. HSV-1 infetta prima l’epitelio squamoso stratificato e infetta “latentemente” i neuroni). Questi virus sono rotondeggianti di grandi dimensioni (150-250 nm) con matrice (tra capside ed envelope) ed envelope che presenta delle glicoproteine che servono come antirecettori. Il capside è icosaedrico costituito da 162 capsomeri prismatici: all’interno del capside troviamo il DNA avvolto intorno ad un “rocchetto” proteico al fine di avvolgerlo il più possibile. Il DNA è lineare e presenta delle sequenze di basi ripetute sia agli estremi che internamente che dividono il genoma in 2 segmenti (UL regione lunga, Us regione breve) legati covalentemente; questi segmneti sono orientati in maniera diversa dando origine a diverse isoforme. Questo DNA codifica per circa 100 proteine, 30-40 strutturali e le altre con funzione enzimatica. La prima fase della replicazione è quella di attacco: il virus riconosce i recettori ed entra per fusione; una volta che il genoma viene espresso. L’assemblaggio dei nucleocapsidi avviene nel nucleo, mentre l’acquisizione dell’envelope avviene durante la gemmazione della membrana nucleare. L’uscita del virus avviene tramite vescicola esocitica o per lisi. 70 • Modificazioni istopatologiche: ringonfiamento delle cellule infette, produzione di corpi inclusi intranucleari, degenerazione dei nuclei, formazioni di cellule giganti multinucleate. • Comparsa di un fluido chiaro vescicolare. • Guarigione: riassorbimento del liquido. Patogenesi L’infezione avviene a causa di contatto diretto o attraverso ferite. I virus erpetici infettano le cellule epiteliali mucose o linfociti (infezione litica). Il virus prodotto dalla lesione può infettare neuroni, rimanendo quiescente. Gli HSV possono infettare macrofagi e linfociti dando infezione persistente. Infezioni primarie HSV-1 - Infezione attraverso lesioni della cute e mucose. - Localizzazione prevalentemente nella cute (zona periorale o buccale). - Si contrae tipicamente nella prima infanza. - Il virus si replica nella sede di prima infezione e può andare in latenza nei gangli trigeminali. Infezioni primarie HSV-2 - È localizzata nella cute e mucose genitali. - Trasmissione sessuale. - Latenza nei gangli sacrali. In alcune cellule neuronali il virus è latente poiché sono prodotti degli mRNA virus-specifici complementari ad alcuni mRNA precoci immediati formando complessi RNA;RNA che non possono essere tradotti (ribosomi non riescono ad aprirli) e bloccano l’espressione geniva virale. In soggetti sani l’infezione viene rapidamente dominata, mentre in osggetti immunocompromessi la forma sintomatica può essere grave; la frequenza delle riattivazioni è correlata alla gravità dell’infezione primaria e al numero di virioni migrati verso i neuroni. Epidemiologia L’HSV è labile, inattivato da ambiente secco, ed è trasmesso dai liquidi delle vescicole, saliva, secrezioni genitali. In soggetti immunocompromessi può esserci autoinoculazione per via oculare (cheratite erpetica: questa infezione può portare a cecità/opacizzazione della cornea). Una volta acquisite, queste infezioni non vengono eradicate e durano per tutta la vita. Anche se il virus entra rapidamente in latenza, l’individuo infettato può infettare gli altri come conseguenza della reattivazione. Herpes labiale: fasi: - Primo/secondo giorno: fase prodromica (formicolio) - Secondo/terzo giorno: fase dell’eritema. - Quarto giorno: fase delle vescicole. - Quinto/sesto giorno: fase ulcerosa. - Ottavo/decimo giorno: fase della crosta. Terapia Tipicamente, i farmaci sono atti a contrastare infezioni di virus che vanno in latenza (si sa che il soggetto è entrato a contatto con il virus quindi si sa che potrebbe ripresentarsi), perché i “comuni” virus hanno una diagnosi tardiva poiché accomunati da stessa sintomatologia. 71 HSV-1: Farmaci inibitori della DNA polimerasi virale: Molti dei farmaci contro gli herpesviridae sono pro-farmaci, ossia devono essere attivati prima di poter essere funzionali. L’attivazione consiste alla fosforilazione ad opera di una chinasi virale (dalla timidina chinasi codificata dal virus, per eliminare l’effetto tossico nell’ospite). Questi farmaci sono degli analoghi nucleotidici: vengono riconosciuti dalla polimerasi e incorporati durante la polimerizzazione, bloccandola: l’aciclovir assomiglia alla guanosina ma non ha l’aggancio (3’ OH) per il nucleotide successivo. VARICELLA VZV / HHV VZV causa varicella e herpes zoster (fuoco di sant’Antonio), che è lo stesso virus della varicella che si riattiva. È morfologicamnete identico al virus dell’herpes simplex ma è di dimensioni minori, spettro d’ospite più limitato, si trasmette anche per via respiratoria ed è più veloce a replicarsi formando anche corpi inclusivi intranucleari. Hanno però cicli di replicazione simili e le sedi dell’infezione latente sono le radici dorsali o i gangli dei nervi cranici. Meccanismi patogenetici Varicella: penetra attraverso ie respiratorie o congiuntiva e, attraverso i linfonodi regionali, raggiunge il circolo sanguigno per iniziare a replicarsi in cellule endoteliali e localizza nella cute e mucose. Si palesa con la formazione di vescicole balloniformi piede di liquido interstiziale; guarisce da sola e raramente richiede l’intervento clinico (es. encefalite erpetica). ZOSTER: affezione esclusiva in età adulta, lesioni cutanee identiche a quelle della varicella ma anche infiammazione cutanea dei nervi e dei gangli sensoriali; spesso è interessato un unico ganglio e in genere il responsabile della riattivazione è il declino dell’immunità. I pazienti infetti da zoster possono trasmettere l’infezione a bambini suscettibili. Durante la fase viremica, gli anticorpi sono importanti per la limitazione dell’infezione; esiste una profilassi passiva per immunizzare i soggetti a rischio con immunoglobuline specifiche che conferiscono protezione se somministrate entro 5 gg dall’infezione. Se si contrae la varicella in età adulta, la risposta immunitaria potrebbe essere troppo energica con conseguente danno cellulare più estero e un quadro clinico più grave. Manifestazioni cliniche: Varicella: • Eritema maculo-papulare prima al tronco poi al viso, arti e mucose del cavo orale. • Vescicole si trasformano in pustole e poi in coste. Zoster: • Riattivazione di uno o più gangli con infezione della zona innervata (cervicali, toracici, lombo- sacrali). • Le vescicole sono limitate in un dermatomero. La terapia/profilassi è prevista solo in immunocompromessi; per gli altri è previsto un vaccino costituito da virus vivo attenuato.
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