Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Mirra di Vittorio Alfieri, Sintesi del corso di Italiano

Opera di Vittorio Alfieri, "Mirra", compresa di descrizione degli atti

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 01/12/2021

martina-de-marco-2
martina-de-marco-2 🇮🇹

4

(1)

3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Mirra di Vittorio Alfieri e più Sintesi del corso in PDF di Italiano solo su Docsity! MIRRA, Vittorio Alfieri “Mirra”, la più grande opera tragica di Vittorio Alfieri, fu stesa tra il 24 e il 28 dicembre del 1784. E’ incentrata su una vicenda tratta dalle Metamorfosi di Ovidio, ma naturalmente la tragedia alfieriana segue una direzione profondamente diversa rispetto all'episodio ovidiano. La tragedia si concentra sull'incestuosa passione della fanciulla per suo padre e sul suo conflitto drammatico interiore, tra amore filiale e passione. Mirra è vittima di un amore nato in lei per volontà di Venere; la vendetta della divinità offesa è solo uno sfondo che sottolinea il dramma interiore della fanciulla. L'amore che Mirra prova nei confronti del proprio padre è contemporaneamente orrendo ed incolpevole, e non determina nella ragazza il desiderio di appagarlo ma, al contrario, la volontà di liberarsene e la vergogna e l'orrore di doverlo subire: maledice il fato per averla fatta nascere figlia del padre e anche la madre per gelosia. Tuttavia prova anche uno struggente senso di colpa, quindi il conflitto interiore che si viene a instaurare è fra la passione incestuosa e la natura insieme alle convenzioni sociali. Mirra si libererà di una situazione insostenibile trafiggendosi con una spada, apparendo però rea ai suoi familiari. Da uno spunto così esile Alfieri ha saputo ricavare una tragedia ampia e complessa, interamente dominata dalla figura della protagonista; va rilevato che il dramma si svolge tutto nell'anima di Mirra e si sviluppa tremendo e inesorabile in un’atmosfera di solitudine. Mirra infatti è sola, vive sola, respingendo la vicinanza delle persone care e disdegnando di comunicare con tali persone chiudendosi nel suo tormento. Muore sola dopo aver lasciato esterrefatti i suoi genitori di fronte alla finale rivelazione dell'insano amore. La novità straordinaria della tragedia è che al centro non presenta più il “Titano” alfieriano, con la sua febbre di grandezza e la lotta contro i limiti che la ostacolano, ma un'umanità più semplice, in cui si mescolano nobiltà spirituale e debolezza ed in cui si rivela la miseria universale del vivere. In questa tragedia Alfieri effonde la sua pietà per l'infelice sorte degli uomini, simboleggiata da Mirra, in particolare dal suo dissidio interiore, innocente e colpevole, vittima di un “qualcosa” che si sviluppa dentro di lei e di cui non è responsabile, ma da cui è contaminata e distrutta. Non vi è più lo scontro della volontà dell'eroe con il mondo esterno, ma il conflitto si trasferisce nel profondo della coscienza, tra la passione sconvolgente, che nulla può soffocare, e la legge morale che l'eroina accetta senza residui. La tragedia si interiorizza, l'eroe non è più una figura gigantesca e monolitica, ma intimamente contrastata e perplessa. ATTO I: l re di Cipro, Ciniro e la regina Cecri, promettono la loro unica figlia Mirra in sposa a Pereo, futuro re dell'Epiro nonché un principe dalle virtù ammirevoli; Mirra, però, è stata condannata da Venere ad amare il padre a causa di un oltraggio alla bellezza della dea mandato avanti nel tempo da Cecri. Euriclea, nutrice di Mirra, completa i personaggi della tragedia. In prima istanza appaiono sulla scena la madre Cecri e la nutrice di Mirra FEuriclea, che discutono preoccupate sulla sofferenza di Mirra. Mirra, la figlia di Ciniro e Cecri nonché la protagonista, è infelice e triste in quanto affranta da un tormento che sembra non darle pace da molto tempo a questa parte. E° proprio Euriclea a mettere in evidenza il dolore della ragazza, che ella stessa definisce sempre triste, pensierosa, malinconica e che “strascina una vita peggio assai di ogni morte”. La nutrice ritiene che il dolore della fanciulla fosse nato dal giorno in cui ella ha scelto come sposo, fra tanti pretendenti, Pereo; secondo la donna, che conosce e accudisce Mirra da quando è nata, i suoi sospiri e il suo silenzio dimostrano proprio che ella non ama l'uomo che ha scelto. A questo punto Ciniro, nonostante per ragioni di stato sarebbe propenso a farsi amico il Re dell'Epiro e dunque a combinare il matrimonio, è deciso comunque a restituire la parola data a Pereo riguardo esso, se questo potrà giovare all'animo della figlia. ATTO II: Il secondo atto si apre con un colloquio tra Ciniro e Pereo, in cui Pereo ammette di vedere nell'atteggiamento di Mirra paura e repulsione verso le nozze: pare insomma che Mirra non ami Pereo. Tale atteggiamento viene reso esplicito nella seconda scena, in cui Mirra ammette che il matrimonio le procurerà un dolore infinito, per l'allontanamento dai genitori. Pereo, accolte tristemente queste parole, è disposto a chiedere ai genitori di Mirra l'annullamento del matrimonio in quanto, anche se innocente, si sente il motivo dell’orribile tempesta che lacera il cuore della ragazza. A questo punto è Euriclea a voler parlare con la fanciulla, nella speranza che possa finalmente informarla sul motivo della sua disperazione, ma Mirra non cede, anzi giunge perfino a proporre alla sua cara tutrice di ucciderla per porre così fine “una volta per tutte” al suo immenso dolore. Naturalmente, ad una richiesta simile, Euriclea rimane quasi sdegnata e minaccia di dire tutto quanto ai suoi genitori, ma un’affannata preghiera di Mirra la distoglie dal farlo. Inoltre la nutrice già intuisce un altro amore inconfessabile della protetta. Di fronte al dolore della vecchia, la fanciulla decide di accettare lo stesso il matrimonio con Pereo. ATTO III: In un colloquio con i genitori Mirra adduce come scusa del suo comportamento incubi e fantasmi tremendi che le tormentano il sonno. Ciniro e Cecri scongiurano Mirra di rinunciare alle nozze, ma la ragazza insiste, certa che allontanandosi da Cipro potrà guarire e dimenticare il suo male; infatti, nonostante ammetta tutta la sua sofferenza e il suo desiderio di morte, Mirra convince i genitori a portare a termine il matrimonio: questa è l'unica soluzione per salvare se stessa e la famiglia. Inoltre Cecri confida al marito che forse tutta questa situazione è nata per volere di Venere, che si è voluta vendicare per l'oltraggio commesso dalla regina per aver dichiarato la bellezza di Mirra superiore a quella della Dea. Nell'ultima scena Ciniro annuncia a Pereo la decisione della figlia. ATTO IV: Mirra saluta la nutrice e inizia la celebrazione delle nozze di fronte al popolo, ai sacerdoti e al coro, che intona canti nuziali. Mirra si sente oppressa da forze misteriose che la spingono a rivelare in una sorta di delirio il suo dolore mortale e il suo orrore per quelle nozze che significano per lei la morte. La cerimonia viene così interrotta e Pereo si allontana disperato. Ciniro, arrabbiato, decide di trattare severamente la figlia che l'ha Euriclea: Il suo disperato dolore non nasce dall'amore, te lo giuro. E' sempre stata vigilata da me; e non avrebbe potuto aprire il cuore alla passione, senza che io lo vedessi. A me lo avrebbe detto; a me che in questi anni l’ha tenuta come una madre e una sorella. Tutto me lo dice: il volto, le sue azioni e i suoi sospiri, il suo silenzio, che lei non ama Pereo. Prima di averlo scelto, era almeno tranquilla, se non allegra; lo sai quanto ha indugiato a scegliere. Eppure nessun uomo, di certo, le è piaciuto prima di Pereo: anche se, è vero, sembrava interessata, perché crede che è suo dovere sceglierne uno. Lei non l’ama, a me così sembra: eppure chi altri potrebbe amare a paragone del gran Pereo? La conosco come ragazza dai nobili sentimenti e non potrebbe entrare in lei una passione che non fosse elevata. Questo lo posso giurare bene: se amasse un uomo non potrebbe che essere di sangue reale; altro non potrebbe essere. Ora chi è venuto qui che lei non potesse far felice di sua volontà, offrendogli la mano? Il suo non è dunque un male d'amore. Benché l’amore si nutra di pianto e di sospiri, lascia sempre un non so che di speranza che traspare in fondo al cuore; ma in lei non si affaccia nessun raggio di speranza: purtroppo la sua è una piaga insanabile. Ah! Venisse prima a me quella morte che lei chiama sempre! Almeno così non la vedrei struggersi a fuoco lento. Cecri: Tu mi togli ogni speranza. Ah! Non voglio queste nozze se devono togliere a noi l’unica figlia. Ora vai; torna vicino a lei, e non dirle che mi hai parlato. Verrò là non appena mi sarò asciugato le lacrime e avrò ricomposto il volto con calma. Euriclea: Io torno da lei: non vedo l’ora di rivederla; ma tu vieni presto. Oh, cielo! Chissà se mentre parlavo così a lungo con te, non sia ricaduta nel medesimo forte impeto di dolore? Oh, eppure che pietà mi fai, povera madre! Io volo. Tu non tardare: quanto meno aspetti e meglio farai. Cecri: Quanto mi costa aspettare lo puoi immaginare, ma in quest'ora insolita non voglio né farla chiamare, né venire da lei, né mostrarmi turbata. Non voglio incuterle timore o darle dolore: è così tanto accondiscendente, timida e modesta che nessuno mezzo è mai troppo benigno, con quel carattere così nobile. Su vai da lei e confida in me, come io confido in te sola. Scena seconda (Cecri) Ma che sarà mai? E’ già quasi un anno che io mi consumo con lei; e non trovo nemmeno la traccia del motivo del suo dolore! Forse gli Dei invidiosi della nostra sorte, vogliono ora toglierci una figlia così rara, unico conforto e speranza di entrambi i genitori? Era meglio non darcela, o Dei. Oh Venere, Dea celeste di questa isola sacra a te devota, forse ti muove allo sdegno la sua troppa bellezza? Forse quindi ridurrai anche me, al pari di lei, in cattivo stato? AR! Tu vuoi che io sconti con lacrime di sangue la mia gioia eccessiva e stolta, di madre troppo spavalda. Scena terza (Ciniro, Cecri) Ciniro: Non piangere donna. In breve ho sentito tutto; ho costretta Euriclea a svelarmelo. Ah! Vorrei prima morire mille volte piuttosto che forzare mai la nostra unica e adorata figlia. Chi avrebbe creduto che a trarla a tal punto sarebbero state le nozze chieste da lei? Ma, si rompano. Non m'importa niente della vita, nulla del mio regno e neanche della mia gloria, se non vedo pienamente felice la nostra unica figlia. Cecri: Eppure Mirra non è mai stata volubile. L'abbiamo sempre vista più giudiziosa dei suoi coetanei; controllata in ogni suo desiderio e sempre intenta a precedere il nostro volere. Lei lo sa bene se per la sua nobile scelta noi ci riteniamo contenti: non può quindi pentirsene. Ciniro: E se in cuore ne fosse già pentita? Ascoltala, donna, adopera ora con lei tutte le lusinghe di una madre e fa si che infine ti apra il suo cuore, finché c'è tempo. Io intanto ti apro il mio, e dico e giuro che il mio primo pensiero è mia figlia. E’ vero che farmi amico il re d’Epiro mi è utile: e il giovane Pereo, suo figlio, agli occhi miei, aggiunge un pregio maggiore, della speranza di un grande regno futuro. Egli mostra un animo umano e un cuore pietoso, non meno che nobile. Inoltre lo vedo assai innamorato di Mirra. Io non potrei scegliere mai uno sposo più degno, per fare felice mia figlia. Egli è certo delle nozze e sarebbe giusto lo sdegno, sia in lui che nel padre, nel caso si rinviasse la data pattuita; e anche per noi la loro ira può essere temibile: ecco molte e buone ragioni agli occhi di ogni principe, ma per me non contano. La natura mi ha fatto padre e solo il caso Re. Ciò che gli altri miei pari chiamano ragione di Stato, e alla quale sono abituati a subordinare l’affetto naturale, non sarà mai bastante, nel mio seno paterno, contro un solo sospiro di mia figlia. Io posso essere lieto solo della sua felicità, non in altro modo. Ora vai, diglielo, e dille anche che non tema di dispiacermi, nel rivelare la verità: non tema altro che di fare felice sé stessa, noi lo saremo con lei. Nel frattempo voglio sentire da Pereo, con discrezione, se si ritiene riamato e lo voglio preparare al dispiacere, che dorrà a me non meno che a lui. Ma se lo vuole il destino, resta ormai poco per tornare indietro. Cecri: Hai parlato bene. Io volo da lei. Con tutto il nostro dolore, mi arreca un gran sollievo vedere che in noi c'è un amore solo e un volere concorde. ATTO II, Scena prima (Ciniro, Pereo) Pereo: Eccomi alla tua chiamata. Spero, o re, che non sarà lontana l’ora in cui potrò chiamarti padre amato. Ciniro: Pereo, ascoltami. Se conosci te stesso, devi essere assai convinto quanta e quale gioia dà averti come genero, a me, padre, che voglio bene alla mia unica figlia. Se io stesso avessi voluto scegliere uno sposo per Mirra, fra i rivali illustri che gareggiavano con te, senza alcun dubbio avrei scelto te. Sei stato scelto da lei, quindi pensa se io non ti abbia caro doppiamente. Tu, a giudizio altrui, eri il primo di tutti in tutto; ma, a mio giudizio, eri e sei primo, più che per il sangue e per il regno paterno, per le ben altre doti veramente tue, per le quali saresti sempre maggiore di ogni re, anche in privato. Pereo: Ah, padre (già gioisco a chiamarti con un tale nome) padre il più grande mio pregio, anzi il solo, è di piacerti. Perdona se mi sono permesso di interromperti, ma non posso sentire tante lodi rivolte a me, prima di meritarle. Le tue parole saranno per me un degno stimolo per farmi essere quale tu mi credi, o desideri. Fra tutti gli affetti, sono qui per avere il più ricco: divenire sposo di Mirra e tuo genero, ne accetto l'augurio da te. Ciniro Ah, parli sincero come tu sei. E siccome tu sei così, io ardirò parlarti quasi come a un figlio. Vedo che provi un vero amore per Mirra; e ti farei un oltraggio grave, dubitandone. Ma dimmi se la mia domanda non è troppo indiscreta, sei riamato ugualmente? Pereo: Non ti devo nascondere nulla. Ah, riamarmi, forse Mirra lo vorrebbe, ma pare che non possa. Ne ho avuta la speranza in petto e ancora lo spero, o almeno mi illudo. Certo, l'atteggiamento con il quale si mostra a me è una cosa difficile a spiegare. Ciniro, benché tu sia padre, vivi ancora nei tuoi anni verdi e ricordi l’amore: ora sappi che lei viene a me sempre tremante, e mi si accosta a stento; le si dipinge in volto un grande pallore; mai mi fa il dono di guardarmi coi suoi begli occhi che muove dubbiosi, interrotti da poche parole, e avvolti in un gelo mortale; fissa al suolo le sue pupille, sempre gonfie di pianto; la sua anima sembra sepolta in un dolore orrendo; è indebolito il fiore della sua bellezza divina: ecco il suo stato. Eppure lei parla di nozze; a volte si direbbe che le desidera lei stessa, altre volte le detesta più che la morte; ora ne decide il giorno, ora le allontana. Se io le chiedo la ragione della sua tristezza, le sue labbra la negano ma il viso, pieno di dolore e di morte la mostra disperata. Lei mi assicura e mi conferma ogni giorno che mi vuole suo sposo; che lei mi ami non lo dice; il suo cuore grande e nobile non sa fingere. To desidero conoscere la verità e insieme la temo: freno il pianto, brucio di passione, mi struggo e non oso dirlo. A volte io stesso vorrei scioglierla dalla promessa data, a volte vorrei morire, perché non la posso perdere; né vorrei possederla, senza avere il suo cuore... Povero me! Ah, non so bene se io viva o muoia ormai. Così siamo giunti al giorno prestabilito, chiusi dentro entrambi, e con l’anima piena ugualmente di dolore, benché diverso, perché lei, irrevocabile, ha voluto fissare le nozze per oggi. Fossi vittima almeno di tanto dolore, io solo. Ciniro: Mi fai pietà quanto mia figlia. Il tuo parlare franco e caldo mi rivela un animo umano e elevato: io ti credevo tale, quindi non mi sentirai parlare meno franco. Io tremo per mia figlia. Il dolore di chi ama lo divido con te. Oh, principe! dividi anche tu con me il mio dolore di padre. Se almeno fosse infelice per causa mia! E’ vero che lei ti ha scelto da sola; è vero che nessuno la costringe; ma se pure la vergogna o il timore di una ragazza... Insomma, se Mirra ora si pentisse a torto? Pereo: Non capisco più. Ad uno che ama come me, tu puoi rappresentare la persona amata infelice per lui? Mi posso io ritenere la causa, benché innocente, dei suoi danni, senza che io muoia di dolore? Ah, Mirra pronunci ormai un verdetto definitivo su di me, sul mio destino: e se Pereo le dispiace, lo dica senza timore: io per questo non sarò pentito di amarla. Oh! Fosse almeno lieta del mio pianto!. Per me sarà dolce anche morire, purché lei sia felice. Ciniro: Pereo, chi può ascoltarti senza piangere? Non c’è un cuore più ardente e appassionato, né più fedele del tuo. Come l’hai aperto a me, così dischiuderai il cuore anche a mia figlia: sono certo che non potrà ascoltarti, senza aprirti il suo cuore. Io non la credo pentita (chi lo sarebbe, conoscendoti?), ma forse tu potrai farle uscire dal petto il motivo del suo male Mirra Ah, si, cara Furiclea, io posso almeno piangere con te. Mi sento scoppiare il cuore, dal pianto trattenuto... Euriclea: Sei in questo stato, figlia, e ancora insisti ad andare alle nozze? Mirra: Il dolore mi ucciderà prima, spero... Ma no; è troppo poco tempo; mi ucciderà dopo, e in poco tempo, morire, morire, non desidero altro; merito solo di morire. Euriclea: Mirra, non vi sono altre passioni che possano squarciare il tuo giovane petto in un modo così barbaro, fuorché la passione dell'amore. Mirra: Che osi dirmi tu? Quale penosa menzogna? Furiclea: Ah, non arrabbiarti, prego, contro di me, no. Lo penso già da molto tempo, ma se ti dispiace tanto, non proverò più a dirtelo. Purché tu conservi con me almeno la libertà di piangere! Non so bene se crederlo; anzi l’ho sempre fortemente negato alla madre... Mirra: Che sento? Oh, cielo! Sospetta forse qualcosa anche lei? Euriclea: E chi, nel vedere una giovane in tanto dolore, non crede che sia per amore? Ah, fosse soltanto per amore, il tuo dolore! Almeno qualche rimedio vi sarebbe. Un giorno, che stavo già da gran tempo immersa in questo dubbio crudele, sono andata al tempio della nostra sublime Dea Venere e ho pronunciato il tuo nome, inchinata davanti alla sua immagine sacra, con lacrime, incensi e calde preghiere e il cuore agitato. Mirra: Oimé! Che hai fatto? Venere? Oh cielo! Contro di me, Lo sdegno di quella Dea implacabile, Che dico? Povera me! Inorridisco, tremo... Euriclea: E’ vero, ho fatto male: La Dea rifiutava i miei voti. Gli incensi ardevano a stento e il fumo cadeva ritorto in giù, sopra la mia testa canuta. Vuoi dell’altro? Mi provo ad alzare gli occhi tremanti verso l’immagine, e mi parve che la Dea stessa mi scacciasse dai suoi piedi, con sguardi minacciosi e orribili, accesa di furore. Inorridita, esco dal tempio con passi tremanti... Nel raccontarlo, sento di nuovo che mi si rizzano i capelli dal terrore. Mirra: E fai rabbrividire e inorridire anche me. Che hai osato? Nessuno dei celesti ormai è da invocare per Mirra, e meno che mai la nostra terribile Dea. To sono abbandonata dagli Dei. Il mio petto è aperto alle Erinni infuriate; solo loro vi hanno potere e sede. Ah, fedele Euriclea, se rimane in te appena l’ombra della vera pietà, tu sola puoi togliermi l'angoscia: il dolore è lento, è troppo lento, oltre che immenso. Euriclea: Mi fai tremare... Che posso mai fare? Mirra: Ti chiedo di abbreviare i miei mali. Tu vedi il mio corpo misero struggersi a poco a poco. La mia sofferenza uccide anche i miei genitori; odiosa a me stessa e dannosa agli altri, non posso uscirne illesa: procurarmi la morte sarà una prova di amore e di vera pietà. La chiedo a te... Furiclea: Oh, cielo! A me? Mi manca la parola, la forza, la volontà... Mirra: Ah, no! non mi ami veramente. Frroneamente, credevo il tuo vecchio petto capace di una grande pietà. Eppure tu stessa, nei miei teneri anni, mi hai insegnato buoni principi: io stessa ho sentito da te che l’uomo deve preferire la morte all’infamia. Ohimé! Che dico? ... Ma tu non mi ascolti? Immobile, muta, respiri appena! Oh, cielo! Ora, che ti ho detto? Io accecata dal dolore, non lo so. Su, perdonami, mia seconda madre, ritorna in te. Euriclea: Oh figlia! Oh, figlia! Chiedi la morte a me? A me la morte? Mirra: Non giudicarmi ingrata; non credere che il dolore per i miei mali mi tolga la pietà per quelli altrui. Non vuoi vedermi morta in Cipro? Fra breve allora sentirai che io non sono arrivata viva, neanche in Epiro. Euriclea: Ti illudi se pensi di andare alle orribili nozze. Io corro a raccontare tutto ai genitori. Mirra: Non lo fare, o tu perderai del tutto il mio amore. Non lo fare, te ne prego: ti scongiuro in nome del tuo amore. A un cuore dolente le parole sfuggono: non devi badarci. Piangere con te (ad altri non l’ho mai concesso), mi è bastato come sfogo; e parlare del mio dolore, mi ha già raddoppiato il coraggio. Ormai mancano poche ore al solenne rito nunziale: stai sempre al mio fianco: andiamo. Intanto spetta a te di confermarmi sempre più nel mio proposito, alto e necessario. Mi devi essere utile con il tuo fedele consiglio e col tuo amore più che materno. Tu devi far sì che io prenda con fermezza la scelta più onorevole che mi resta. ATTO TERZO, Scena prima (Ciniro, Cecri) Cecri: Non c’è dubbio, anche se non è venuto a dircelo, Pereo è del tutto scontento dei sentimenti di Mirra. Lei non lo ama; ne ho avuta la certezza; e se lei andasse a queste nozze, correrebbe purtroppo, verso una morte sicura. Ciniro: Allora, come ultima prova, sentiamo noi stessi dalle sue labbra la verità. Nessuno di noi insomma vuole forzarla. Sa bene lei, alla quale non siamo meno cari, quanto l’amiamo. Mi pare del tutto impossibile che lei abbia ormai chiuso il suo cuore a noi, di cui lei dispone come di sé stessa. Cecri: Ecco, viene: Oh! Mi sembra molto lieta e più disinvolta... Ah! Tornasse come era! Quando vedo riapparire nel suo volto un lampo di gioia, mi sento subito tornare alla vita. Scena seconda (Mirra, Cecri, Ciniro) Cecri: Figlia amata, vieni da noi; su vieni! Mirra: Oh, cielo! Che vedo? Anche il padre!... Ciniro: Vieni avanti, nostra unica speranza e vita, vieni sicura e non temere il padre, più di quanto non temi tua madre. Siamo pronti entrambi ad ascoltarti. Ora, se sei disposta a svelarci il motivo del tuo triste stato, ci ridai la vita; ma seppure ti giova e ti è gradito tacerlo, puoi farlo, figlia, perché il tuo piacere sarà anche il nostro. Manca ormai solo un'ora a rendere eterno il vincolo del matrimonio. Tutti lo danno per certo: ma se tu fossi cambiata, se ti fosse impossibile mantenere la promessa data , se la tua libera scelta spontanea ti dispiacesse, non temere cosa al mondo , rivelala a noi. Nessuno ti obbliga. Noi per primi ti sciogliamo da ogni vincolo, e ti scioglie anche il generoso Pereo, degno di te. Non vorremmo incolparti di essere leggera, anzi ci giova credere che nuovi pensieri maturati ti costringono ora a questo. Non puoi essere mossa da un motivo futile. Ci sono pienamente noti il tuo animo nobile, i tuoi sentimenti elevati e il tuo amore per noi. Non puoi nemmeno pensare una cosa indegna di te e del tuo sangue. Asseconda dunque pienamente il tuo volere; purché tu torni felice e tu renda ancora lieti i tuoi genitori per la tua gioia. Ora, quale che sia questa tua volontà, rivelala a noi, come a fratelli. Cecri: Sì! Lo senti? Dalle labbra della madre non avresti potuto sentire parole più amorose, più tenere e più miti di queste. Mirra: Vi è tormento al mondo pari al mio? Cecri: Ma che è? Parli da sola, sospirando? Ciniro: Suvvia, lascia che parli il tuo cuore: noi con te non usiamo altro linguaggio. Ora, via, rispondi. Mirra: Signore... Ciniro: Cominci male! Non sono tuo signore: sono tuo padre. Puoi chiamarmi, figlia, con un altro nome? Mirra Oh, Mirra, questo è l’ultimo sforzo. Coraggio, anima... Cecri Oh, cielo! Ha in volto un pallore mortale... Mirra Dici a me? Ciniro Ma perché? Perché tremare? Per tuo padre? Mirra Non tremo... mi pare... o almeno non tremerò più ormai, perché ora state ad ascoltarmi con commiserazione. Io sono la vostra unica figlia, troppo amata: lo so bene. Vedo che godete di ogni mia gioia e vi rattristate di ogni mio dolore; tutto ciò accresce la mia sofferenza. Il mio dolore va oltre i confini del naturale; lo nascondo inutilmente; eppure vorrei dirvelo ... se io stessa lo sapessi. Già molto prima che io scegliessi Pereo, in quel nobile gruppo di pretendenti illustri, la mia tristezza orrenda e fatale era andata crescendo in me, ogni giorno di più. Un Dio irato, implacabile e ignoto ha preso dimora dentro il mio petto; quindi ogni mia resistenza contro la sua volontà è vana... Credilo, madre, ho avuto, ed ho tuttora, l'animo assai forte (nonostante sia giovane) ma il mio corpo debilitato soccombe e... mi sento andare a passi lenti nella tomba. Il cibo, poco e raro, mi sa veleno: l'insonnia non mi lascia e i sogni mi perseguitano, più che la veglia, con fantasmi di morte tremendi. Non trovo mai pace, né riposo, in nessun luogo, né di giorno, né di notte. Eppure non desidero alcun sollievo e apprezzo, aspetto e chiedo la morte, come unico mio rimedio. Ma la natura mi tiene viva, con i suoi legami, per tormentarmi ancora di più. A volte mi compiango o detesto me stessa e piango, piango ancora...con furore. E’ questa la situazione persistente, insopportabile, nella quale passo i miei giorni infelici. Ma che? ... Piangete anche voi del mio stato orrendo? Oh, madre amata!... Lascia che io conceda un breve sfogo anche alle mie lacrime, succhiando le tue dal tuo seno. Cecri: Figlia diletta, come posso non piangere, se tu piangi? Ciniro: Le sue parole mi squarciano il cuore... Ma infine cosa si deve fare? Mirra: Credetemi, non ho mai pensato di dovervi rattristare, né di trascinarvi in una inutile pietà, coll’accennarvi alle mie indicibili angosce. Da quando, scegliendo Pereo, ho avuta la certezza della mia sorte, all’inizio - è vero - mi sembrò meno penosa; ma quando poi si è avvicinato il giorno delle nozze, si è ridestata sempre più forte l'agitazione dentro al mio cuore; tanto che per ben tre volte vi ho pregati di allontanarlo. Con questi ritardi io mi rasserenavo un più per noi. Cosa non ho fatto per placare poi la Dea? Quante preghiere, incensi e pianti? Sempre inutilmente. Ciniro: Hai fatto male, donna, e ancora peggio a tacermelo. Io, padre completamente innocente, avrei potuto forse calmare, con i miei voti, l'ira celeste: lo potrò forse ancora fare? Lo spero. Ma intanto, io ora sono d'accordo con Mirra, dobbiamo togliere la sua presenza da quest'isola, senza alcun indugio.. Chissà? Forse la Dea oltraggiata non vorrà seguirla in altre parti, e quindi forse nostra figlia infelice, sentendo nel petto questo ignoto presagio, desidera tanto la partenza e da essa spera tanto. Ma viene Pereo. Ben venga! Lui solo può conservarci la figlia, togliendola a noi. Cecri: Oh, destino! Scena quarta (Ciniro, Pereo, Cecri) Pereo: Voi mi vedete in ritardo, tremante, indeciso e pieno di dolore mortale. Un duro contrasto è in me: eppure hanno vinto l’attenzione e l’amore vero, per gli altri, non per me stesso. Mi costerà la vita. Non ho altro rammarico che il non poter spenderla bene ormai, almeno per utilità vostra; ma io non voglio, no, portare a morte Mirra adorata. Si rompa la promessa e insieme si rompa il filo dei miei giorni. Ciniro: Oh, figlio! Ancora ti chiamo con questo nome: e lo sarai tra breve, spero. Anche noi, dopo di te, abbiamo sentito le intenzioni di Mirra: io con lei, come vero padre, mi sono adoperato tutto perché lei seguisse pienamente la sua libera volontà; ma lei è più ferma di uno scoglio al vento: vuole e chiede te solo e teme che tu sia a lei tolto. Lei stessa non sa trovare una causa al suo dolore. Ormai forse la sola ragione è la salute debole, che prima ne era l’effetto. Ma il suo profondo dolore merita molta pietà, quale che sia. Tu non devi indignarti più di quanto non lo facciamo noi. Tu sarai un dolce sollievo per il suo male: il tuo amore forte è la base di ogni sua speranza.. Ora quale prova vuoi, maggiore di questa? Lei stessa vuole lasciare ad ogni costo noi (che l’amiamo tanto) al nuovo giorno; la ragione che ne dà, è per essere più vicina a te, per divenire più tua. Pereo: Lo potessi credere almeno! Ma appunto questo voler partire subito... Ohimé temo che , nel suo pensiero, lei progetti di rendermi strumento della sua morte. Cecri: L’affidiamo a te, Pereo, lo vuole oggi il destino. Purtroppo qui cadrebbe morta, davanti ai nostri occhi, se il cuore ci suggerisse di ostacolare la sua volontà più a lungo. Nella mente di un giovane ha grande potere cambiare ambiente. Dunque abbandona ogni pensiero triste e adoperati solo di renderla più lieta. Fai tornare nel tuo volto la gioia di un tempo e, se non le parlerai mai del suo dolore, vedrai che il dolore in lei finirà presto. Pereo: Posso dunque credere, davvero, che Mirra non mi respinge? Ciniro: Da me puoi crederlo, sì! Ricorda cosa ti ho detto prima. Ora sono convinto, dalle sue parole, che lei vede le nozze con te, piuttosto che causa dei suoi lamenti, il solo rimedio. Con lei sarà assai vantaggiosa la dolcezza e si piegherà a tutto. Vai e preparati svelto al lieto evento e insieme (purtroppo) disponi anche tutto il necessario per andare via con lei, al nuovo giorno. Non andiamo davanti all’ara del gran tempio a Cipro: il rito, troppo lungo, sarebbe di ostacolo ad una rapida partenza. Canteremo gl’inni d’Imeneo in questa reggia. Pereo: Mi hai fatto tornare pienamente in vita. Volo. Ritorno fra poco. ATTO IV, Scena prima (Euriclea, Mirra) Mirra: Si, cara Euriclea, mi vedi tornata pienamente tranquilla. Sono quasi lieta della mia partenza certa. Euriclea: Ohimè! Sarà vero? Te ne andrai sola con il tuo Pereo? Non vuoi portare con te neppure una delle tue tante ancelle fedeli? E neppure me vuoi? Non mi distingui da loro? Che sarà di me, se resto privata della mia dolce figlia? Solo a pensarci, ohimé! mi sento morire... Mirra: Su, taci! ... ritornerò un giorno... Euriclea: (Speriamo) che il cielo lo voglia! Oh, figlia amata! Non credevo tale durezza in te, no. Avevo sempre sperato di morire al tuo fianco... Mirra: Se potevo acconsentire a portare via da questa reggia qualcuno insieme a me, saresti stata tu sola quella che avrei chiesto... Ma in questo sono decisa... Euriclea: Partirai con il nuovo giorno? Mirra: Ho ottenuto la certezza dai genitori. L'alba nascente mi vedrà salpare da qui. Furiclea: Che il giorno ti sia propizio! Purché io, almeno, ti sappia felice!...E’ una gioia un po’ crudele questa che dimostri, ora, nel lasciarci... Eppure, se a te fa piacere, io piangerò, ma sarò muta con tua madre, addolorata... Mirra: Oh, che assalto muovi al mio cuore mal fermo? Perché costringermi a piangere? Furiclea: Come posso nascondere il pianto? E’ l’ultima volta, questa, che ti vedo e ti abbraccio. Lasci me molto carica di anni e molto più di dolore. Al tuo ritorno, se tornerai mai, mi troverai nella tomba: spero qualche lacrima... alla memoria della tua Euriclea... la verserai... Mirra: Su, lasciami per pietà, o almeno taci. Te lo comando: zitta. Ormai io devo essere dura con tutti e, prima di tutti, con me. Questo è un giorno di gioia e di nozze. Ora, se tu mi hai amata, oggi te ne chiedo l’ultima difficile prova; trattieni il tuo pianto... e il mio. Ma già vedo venire lo sposo. Non parliamo di dolore. Scena seconda (Pereo, Mirra, Euriclea) Pereo: Mirra, tuo padre mi ha ricolmo di gioia inaspettata: Lui stesso, lieto, mi ha annunciato felice il mio destino, che io aspettavo tremando. Ad un tuo cenno, saranno issate le vele, domani, all’alba, se tu vuoi così. Mi compiaccio, almeno, che i tuoi genitori acconsentano, tranquilli e contenti: per me non vi può essere altra gioia, che di soddisfare il tuo desiderio. Mirra: Si, dolce sposo, (già ti chiamo così), se vi è cosa al mondo che io abbia mai desiderato con fervore, è di partire con te al nuovo giorno, lo voglio. Ritrovarmi subito sola con te; non vedermi più intorno nessuno dei tanti oggetti che a lungo sono stati testimoni, e forse causa, del mio pianto; attraversare nuovi mari e andare ad approdare a nuovi regni; respirare un’aria nuova e pura, e ancora trovarmi vicino uno sposo così, pieno di gioia e di amore; sono certa: in poco tempo, tutto ciò mi farà tornare la gioia di prima. Allora ti sarò meno penosa, spero. Dovrai intanto avere un po’ di pietà per il mio stato. Ma non sarà a lungo, stai certo. Il mio dolore, se tu non me ne parlerai mai, sarà in poco tempo estirpato. Tu mai dovrai ricordarmi, né nominarmi mai più, la reggia paterna, né i mesti miei genitori, lasciati soli, né alcun’altra cosa insomma già mia. Sarà questo rimedio, il solo, che asciugherà per sempre il mio orribile pianto, finora interminabile. Pereo: Il tuo proposito è strano, Mirra, inaudito. Voglia il cielo che un giorno tu non abbia a pentirtene. Eppure, benché in cuore ormai non mi faccia illusioni di esserti caro, nel mio intimo io sono deciso a soddisfare ciecamente ogni tuo desiderio. Se poi il mio destino non vorrà che io meriti il tuo amore, la vita che io conservo solo per te (questa vita che mi sarei già tolta con le mie mani, se oggi ero costretto a perderti), questa vita io consacro per sempre al tuo dolore, perché tu mi hai scelto per questo. Ecco: io sono pronto a piangere con te, se tu lo desideri, a farti ingannare, fra giochi e feste, il tempo e il tuo dolore, se ti giova, a soddisfare e a prevenire tutti i tuoi desideri, a mostrarmi a te sempre, come più mi vuoi, sposo, amico, fratello, amante, o servo. Io metterò tutto me stesso e la mia gloria solo in questo. Se non potrai poi amarmi mai, mi sembra essere certo, che almeno non potrai neppure odiarmi. Mirra: Che dici? Conosci e apprezza meglio Mirra e te stesso. Aggiungi un amore così immenso, alle tue tante doti, che ti fa degno di avere ben altro da quel che io sono. L'amore mi accenderà il cuore, appena lo avrà liberato dal pianto. Ne avrai un'ampia prova oggi nel vedere che io scelgo te, perché tu guarisca pietosamente ogni mio male. Io stimo te, che chiamo ad alta voce Pereo, il solo mio vero liberatore. Pereo: Ora mi dai tanta gioia, mi entusiasmi: le tue labbra non mi hanno mai detto tanto. Queste tue dolci parole sono ormai impresse a fuoco dentro al mio cuore. Ecco che vengono già i sacerdoti, la gente festosa e i cari genitori nostri. O sposa, che questo istante sia davvero lieto per te, il più bello della tua vita, come lo è per me. Scena terza (Sacerdoti, Coro di fanciulli, giovani e vecchi, Ciniro, Cecri, popolo, Mirra, Pereo, Euriclea) Ciniro: Figli amati, nel vedervi precedere noi tutti verso il rito sacro, io traggo un lieto augurio. Pereo, nel tuo viso è scolpita la gioia; e vedo anche l'aspetto risoluto e sereno di mia figlia. Abbiamo certo favorevoli gli Dei. Fumino dunque sugli altari gli incensi in grande quantità e, per rendere gli dei ancora più miti con noi, si dia inizio al canto, risuonino fino al cielo i vostri inni devoti di ringraziamento. Coro: O tu che consoli noi deboli mortali, fratello d'amore, dolce Imeneo, bel Nume: scendi propizio. Accendi la fiamma del tuo lume puro fra i lieti sposi, che niente spenga, altro che morte. Fanciullo Imeneo vola benigno su di noi, sulle ali di tuo fratello amore, Ragazza E coi suoi stessi inganni a lui ruba l’arco e la faretra: Vecchi Ma scendi libero dai lamenti e dai suoi tristi affanni Spero di esserti più sorella che madre... Ma oh, cielo? Che vedo? O figlia... sei arrabbiata con me? Mi respingi?... Rifiuti di abbracciarmi? E quegli sguardi infuocati? Ohimé, figlia! Anche alla madre? Mirra: Oh, Anche il vederti mi accresce troppo il dolore: coll’abbracciarmi mi squarci ancora più il cuore ... Ma ohimé!... Che dico?... Ahi, madre! Sono una figlia indegna, ingrata e ingiusta, che non merito amore. Lasciami al mio destino orribile; ... o se di me senti vera pietà, te lo dico di nuovo, uccidimi! Cecri: Ah, ucciderei me stessa, se dovessi perderti: Ahi, crudele! Puoi dirmi e ripetermi quelle aspre parole? Anzi, voglio vegliare sempre io sulla tua vita. Mirra: Tu vegliare sulla mia vita? Devo rivederti ad ogni istante? Sempre davanti agli occhi? Ah, voglio i miei occhi prima sepolti nelle tenebre eterne: con queste stesse mie mani me li voglio strappare, io, dalla fronte... Cecri: Oh, cielo! Che ascolto! Oh, cielo... mi fai rabbrividire! Dunque mi detesti? Mirra: Tu sei la prima, la sola, tu la causa funesta e perpetua di ogni mia miseria... Cecri: Che dici? Oh, figlia! Io la causa? Ma già il tu pianto a dirotto... Mirra: Oh, perdonami... Non parlo io; parla in me una forza sconosciuta... Madre, mi ami troppo... ed io... Cecri: Chiami in causa me? Mirra: Tu, si! Sei stata la causa dei miei mali, nel dare la vita a un’empia e lo sei ora, se ti rifiuti di togliermela, ora che io te lo chiedo con preghiere fervide. C'è ancora tempo, ancora sono innocente, quasi... Ma il mio corpo languido... non regge a tante furie... mancano le forze, manca... la volontà... Cecri: Io voglio portarti nelle tue stanze. Hai bisogno di un po’ di ristoro, sono certa. Il vaneggiare nasce in te dal tuo lungo digiuno. Ah! Vieni. Affidati a me, su tutto. Voglio servirti io, io sola. ATTO QUINTO, Scena prima (Ciniro) Oh, misero e sventurato Pereo! Amante troppo autentico! Ah, se fossi stato rapido a giungere, forse tu non avresti vibrato la lama crudele dentro al tuo petto. Oh, cielo! Che dirà il padre privo del figlio? Lo aspettava sposo felice ed ora si vedrà portare davanti agli occhi quel corpo esangue, morto suicida. Ma sono forse io padre addolorato meno di lui? E’ vita quella in cui resta, fra le sue furie atroci, Mirra disperata? E’ vita questa, nella quale ci lascia il suo orribile stato? Ma voglio sentirla: ed ho già il cuore armato di una ferrea corazza. Lei merita tutto il mio sdegno (e lo sente) e si mostra lenta a venire alla prova: eppure le ho mandato già il terzo avviso. Certo, in queste sue pene è nascosto un segreto grande e orribile. Voglio sentire la verità dalle sue labbra, oppure non voglio mai più vederla davanti a me. Ma, oh cielo, se la forza del destino o l’ira degli Dei offesi la condannano innocente a un pianto perenne, devo aggiungere alle sue tante sventure l’ira di un padre? Lasciarla ad una morte lunga, abbandonata e disperata?... Ah, mi si spezza il cuore... Eppure io devo nasconderle, per questa prova suprema, il mio immenso affetto, o almeno in parte. Lei fino ad ora non mi ha mai sentito parlare con sdegno: una ragazza non ha un cuore così saldo, da andare contro alle insolite minacce del padre. Finalmente eccola. Ohimé! Come avanza a passi lenti e forzati! Pare che venga da me a morire. Scena seconda (Ciniro, Mirra) Ciniro: Non avrei mai creduto, Mirra, no, che tu non curassi affatto il mio onore. Mi hai convinto di ciò, purtroppo, in questo giorno infelice per tutti noi: ma che tu ora ritardi ad obbedire ai comandi espressi e ripetuti da tuo padre, questo mi giunge ancora più nuovo. Mirra: Tu solo... sei signore.. della mia vita... Io chiedevo a te la pena per i miei gravi e tanti errori... qui...prima. Fra presente la madre... perché non mi hai uccisa allora?... Ciniro: E’ tempo, è tempo ormai di cambiare modo di fare, Mirra. Mandi inutilmente parole disperate e invano fissi al suolo i tuoi sguardi, tremante e sconsolata. In mezzo al tuo dolore traspare molto chiara la vergogna. Tu stessa ti senti colpevole. Il tuo errore più grave è tacere con tuo padre. Pertanto tu meriti appieno il mio sdegno e che cessi in me l’amore immenso che io ho già portato alla mia unica figlia. Ma che? Tu piangi, tremi, inorridisci ... E taci? L'ira del padre è dunque per te una pena insopportabile? Mirra: Ah!... peggiore... di ogni morte... Ciniro: Ascoltami. Hai fatto divenire i tuoi genitori, e te stessa, una favola nel mondo, con l’infelice fine che hai dato alle nozze da te volute. Già il tuo crudele oltraggio ha troncato i giorni del misero Pereo... Mirra: Che ascolto? Oh, cielo! Ciniro: Si, Pereo è morto; e lo hai ucciso tu. Appena allontanatosi da me, si è ritirato solo nelle sue stanze, sepolto in un muto dolore: nessuno ha osato seguirlo. Purtroppo io, ahimé, sono giunto tardi... Trafitto dal proprio pugnale, lui giaceva in un mare di sangue: volgeva il suo sguardo gonfio di pianto e di morte verso me... e, fra gli ultimi sussulti, dalle sue labbra usciva ancora il nome di Mirra. Ingrata... Mirra: Non dirmi altro... Io sola, sono degna di morte... E ancora respiro? Ciniro: Il dolore orrendo del padre infelice di Pereo, solo io che sono padre e infelice, posso sentirlo.: lo so io, quanto forti debbano essere in lui lo sdegno, l’odio, il desiderio di farne un’aspra e giusta vendetta su di noi. Io quindi, mosso non dal terrore delle sue armi ma dalla pietà per il giovane estinto, voglio sapere da te, come deve un padre offeso e ingannato, (la voglio sapere ad ogni costo) la ragione vera di un così orribile danno. Me lo nasconderesti invano, Mirra. Ah! ti tradisce ogni tuo atto: il parlare rotto, il tuo impallidire e arrossire, il sospiro pesante e muto, il tuo corpo che si consuma a fuoco lento, lo sguardo tremante, la tua confusa incertezza, la vergogna, che sempre a te si accompagna... ah! Tutto, si tutto in te me lo dice, e invano me lo negheresti; le furie che sono in te... sono figlie dell'amore. Mirra: Io?... d'amore?... no, non crederlo... T'inganni. Ciniro: Più tu lo neghi , più io ne sono convinto. Sono purtroppo certo, ormai, che non può essere altro che un’oscura fiamma d'amore, quella che tanto nascondi. Mirra: Ohimè! Non vuoi uccidermi con la spada e ...intanto mi uccidi... con le parole... Ciniro: E perché non osi dirmelo, che non senti amore? Se tu lo dicessi, e se anche tu avessi il coraggio di giurarlo, io ti riterrei spergiura. Ma chi mai è degno del tuo cuore, se non poteva averlo neppure l’incomparabile, vero, caldo e innamorato Pereo? Ma così tanto è il turbamento in te, tale il tremore, così forte la vergogna, in questa vicenda, e ti si scolpiscono così forti in volto, che le tue labbra lo negherebbero invano. Mirra: Dunque vuoi... farmi morire ... di vergogna... davanti a te padre? Ciniro E tu vuoi avvelenare, troncare i giorni di un genitore che ti ama più di sé stesso, con il tuo ostinato silenzio, inutile e crudele? Sono ancora padre: scaccia il timore. Quale che sia la tua passione, (purché io possa vederti felice!) io sono capace di ogni sforzo inaudito per te, se me la sveli. Ho visto, e vedo ancora, (misera, figlia!) il contrasto orribile e generoso fra l’amore e il tuo dovere, che ti strazia il cuore. Già hai fatto troppo, immolando te stessa al tuo dovere; ma l’amore più possente di te non l’ha voluto. La passione si può scusare; ha più forza di noi; ma non dirla al padre, che te lo comanda e te ne scongiura, ti rende indegna di ogni scusa. Mirra: Oh, Morte, Morte, che tanto invoco, sarai sempre sorda al mio dolore? Ciniro: Oh, figlia! Placa il tuo animo, calmati: se non vuoi più vedermi indignato contro di te (io già non lo sono quasi più) devi parlarmi. Parlami, su, come a un fratello. Anch'io ho conosciuto per esperienza l’amore: il nome... Mirra: Oh, cielo! Amo, si, poiché mi costringi a dirtelo; io amo disperatamente e invano. Ma chi sia, tu mai lo saprai, e nessun'altra persona, lo ignora anche lui e quasi lo nego a me stessa. Ciniro: Ed io devo e voglio saperlo. Non puoi essere crudele contro te stessa e non esserlo anche, assai più, con i tuoi genitori che adorano te sola. Su, parla! Su! Già, da padre arrabbiato quale ero, vedi che torno a supplicarti piangente: non puoi morire , senza trarre anche noi nella tomba. Quale che sia colui che ami, lo voglio far tuo. Lo stolto orgoglio di un re non può strappare dal mio petto il vero amore di padre. Il tuo amore, la tua fermezza, il mio regno, possono ben cambiare ogni persona umile in alta e grande. Sono certo che l’uomo che ami, anche se umile, non può essere del tutto indegno. Te ne scongiuro, parla: io ti voglio salva, ad ogni mio costo. Mirra: Salva?... Che pensi?... Queste tue parole affrettano la mia morte... Lascia, oh, lascia per pietà che io subito da te... per sempre... mi allontani... Ciniro: Oh, figlia, unica, amata. Oh, che dici tu? Su, vieni fra le braccia paterne. Oh, cielo! Mi respingi ora, come una forsennata? Detesti dunque il padre? E ardi di una passione così vile ... che temi... Mirra: Ah, non è vile!... La mia passione... è perversa; mai io... Ciniro: Che dici? Perversa... se non la condanna prima il tuo genitore, non lo sarà: rivelala. Mirra: Vedresti il padre raccapricciare d’orrore se Ciniro... la sapesse... Ciniro: Che sento! E tu sei
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved