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Mito e mitologia greca, Appunti di Greco Antico

Riassunto delle lezioni, testi a fronte e traduzioni

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 23/12/2021

RebeccaMaria99
RebeccaMaria99 🇮🇹

4.3

(49)

47 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Mito e mitologia greca e più Appunti in PDF di Greco Antico solo su Docsity! MITO E MITOLOGIA NELLA GRECA ANTICA 17 Novembre 2021 Testo e Immagine Arte e Letteratura Greca Nascita di Venere, Sandro Botticelli, 1485, Tempera su tela, Galleria degli Uffizi, Firenze Venere avanza leggera fluttuando su una ) conchiglia lungo la superficie del mare increspata dalle onde, in tutta la sua grazia e ineguagliabile bellezza, nuda e distante come una splendida statua antica. Viene sospinta e riscaldata dal soffio di Zeffiro, il vento fecondatore, abbracciato a un personaggio femminile con cui simboleggia la fisicità dell’atto d'amore, che muove Venere col vento della passione. Forse la figura femminile è la ninfa Clori, forse il vento Aura o Bora. Sulla riva una fanciulla, una delle Ore, che presiede al mutare delle stagioni, in particolare la Primavera, porge alla Dea un magnifico manto rosa ricamato di fiori per proteggerla (mirti, primule e rose > i fiori di Afrodite). Essa rappresenta la casta ancella di Venere ed ha un vestito setoso riccamente decorato con fiori e ghirlande di rose e fiordalisi, i fiori che la dea Flora trovò vicino al corpo dell'amato Cyanus. > La fonte del mito fu quasi sicuramente una delle “Stanze” del Poliziano, Ovidio, alla “Teogonia” di Esiodo, al “De Rereum natura” di Lucrezio e a sua volta ispirata a a un “Inno Omerico”. > Contrariamente al titolo con cui l’opera è nota, essa non raffigura la nascita della dea, ma il suo approdo sull’isola di Cipro. Anche se effettivamente la Dea nacque dalle acque. > Athenaeus, A.D. 2-3, Deipnosophistae (i dotti a banchetto): finzione letteraria dove delle persone dotte si trovano a banchetto e parlano di argomenti vari che prende spesso spunto anche dal banchetto stesso. E per supportare i vari ricordi, si fa la citazione del testo letterario a supporto: opera di erudizione, testimone di moltissimi testi ed autori. Nel libro 13, sez. 590e, 59la, Ateneo ci dice che lo stesso Apelle aveva fatto un dipinto un’Afrodite anadiomene (che sorge dalle acque) Book 13, 590e-591a (Kaibel paragraph 59 line 22ss.) tf Sè t@v 'EXeuorviwv ravnyupet kai Ti tav Mooeiswviwv èv dper tv MNavervuv raviwv anogeiévn Boliatiov Kai Addaga TG K6pac véRave tf AaXdTT]: Kai an'aùti)c Artec mv Avasvoyévnv Adposimv ameypdpato. “Durante le celebrazioni elusine e la festa di Posidone, sotto gli occhi di tutti i greci riuniti, deposto il mantello e sciolte le chiome, scendeva nel mare (scil. Frine): appunto da lei Apelle trasse il modello per dipingere l’Afrodite aanadiomene (che sorge dalle acque)”. Nota Ateneo, | Deipnosofisti: i dotti a banchetto, prima traduzione italiana commentata su progetto di Luciano Canfora, introduzione di Christian Jacob, Curatori vari, voll. |-IV, Roma (Editrice Salerno) 2001, p. 1508 n. 2. =. L'Afrodite anadiomene, cioè ‘che sorge dalle ac que’, era l'opera più celebre di Apelle, raffigurante una donna nuda nell'atto di strizzarsi i capelli bagna- ti; fu conservata a Cos fino a quando l'imperatore Augusto l’acquistò nel 30 a.C. per consacrarla al rem- pio di Cesare, concedendo in cambio la cancellazio- ne di un tributo di 100 talenti che gli abitanti di Cos dovevano a Roma (cfr. Strabone, x1v 2 19; Plinio il Vecchio, ruxv 91); secondo Plinio il Vecchio, 1 86- 87, la modella del quadro non ff Frine ma Pancaspe (© Pancasta), una favorita di Alessandro Magno ama- ta da Apelle e a lui donata dal re macedone (cfr. an- che Eliano, Storie varie, xt 34): un'altra tradizione parla di Afrodite stessa, comparsa nuda in sogno al pittore (cfr. Antologia Palatina, xvt 179). Le celebrazio- ni eleusinie, distinte dai Misteri di Eleusi, erano una grande festa (pandgris) di fine dicembre, chiamata anche Haléa ‘festa dell’aia’, comprendente una pro- cessione al mare in onore di Posidone (cfr. Pausania Atticista, € 76, p. 158 Erbse); pare che fosse partico- larmente cara alle etère, come qui a Frine, ma l'a- neddoto di Ateneo trascura la componente religiosa del bagno di Frine e ne fa piuttosto un'astuta mossa pubblicitaria; sulle Eleusinie cfr. Deuanz® 1969, pp. 60-67. Il Parnaso, affresco (670cm alla base), Raffaello, 1510-1511, Stanza della Segnatura, Stanze Vaticane Monte Parnaso: monte delle arti antiche, monte delle Muse. La scena è una presentazione del Monte Pamaso, che secondo la mitologia greca è la dimora delle Muse. Sulla sommità del Colle, nei pressi della fonte Castalia, Apollo, coronato di alloro e al centro della composizione, suona una lira da braccio circondato dalle Muse. Tutto intorno si trovano 18 poeti divisi in più gruppi, alcuni di identificazione inequivocabile, altri più dubbia, tutti disposti come in una platea concatenati l'un l'altro da gesti e sguardi, a formare una sorta di mezzaluna continua che si proietta verso lo spettatore come ad avvolgerlo. Da sinistra in basso sono vari poeti lirici, di cui di identità certa sono solo Saffo con un cartiglio col proprio nome, e Francesco Petrarca più arretrato. Gli altri sono stati inoltre identificati il barbuto come Pindaro, il giovane come Catullo, Tibullo o Properzio, e la figura di spalle Orazio oppure Ovidio. Secondo altri sarebbero invece Alceo, Corinna e Anacreonte. Più in alto i poeti epici: il giovane Ennio, che ascolta il canto di Omero (cieco), seguiti più dietro da Dante, che guarda verso Virgilio, che a sua volta si rivolge a Stazio vicino a lui. Saffo e Corinna, perché furon dotte, splendono illustri, e mai non vengon notte - Ariosto (1474-1533) Orlando Furioso XX, 7s. Aldo Manuzio, (1449-1515) e le Edizioni Aldine La celeberrima marca tipografica, stampata in xilografia, col simbolo del delfino intorno all’ancora, che rappresenta il motto “Festina lente”, e col nome Al-dvs ripartito ai due lati, adottata da Aldo Manuzio per contrassegnare le proprie edizioni. Aldo Manuzio inaugura la sua attività di stampatore pubblicando “Ero e Leandro di Museo” (1495-1497) ritenendo che la lingua e letteratura greca dovessero essere conosciute da un pubblico sempre più ampio. Egli stesso ebbe a dire “in che modo chi non conosce la lingua greca può imitare gli scrittori greci che sono i più dotti in ogni campo del sapere? Da essi infatti è derivato tutto ciò che è degno di lode nella lingua latina”. Museo, prima metà del VI d.C. “Ero e Leandro” - Esametri omerici - Infelice storia d'amore - Novella d’amore e piena di pathos - Argomento affine all’elegia alessandrina Ero e Leandro, Rubens, 1605, Dresda, Germania. Ero e Leandro, Tumer , 1775-1851, Regno Unito Hero holding the Beacon for Leander, De Morgan, 1885 Zeus e Danae, Edilo, HE 1865-1870 (= Athen. VIII 344f-345a) #900c è «WyBuc: vilv E iBade tiv Baravaypav Il pesce bello è cotto: ora metti la chiave al catenaccio, MON pd Mowrede “Avic è tOv Aonébuv, affinché non giunga Agide, il Proteo delle padelle. vived' Sup kai n0p kai è fovnetar AA andre Diventa acqua e fuoco e ciò che vuole; orsù, chiudi tifa ydp roradra petandiaodeic rugdv dx Ze 5 Sì avventerà, infatti, dopo essersi mutato in chissà quale forma, 5 ypuoopéng éni riv8' Axpioiou Xondba. come Zeus pioggia d'oro, su questo piatto di.Acrisio. Epigramma parodistico, dove si tratta l’elemento gastronomico, dove si dice che Agide, il Proteo delle padelle “diventa acqua e fuoco e ciò che vuole”. E si conclude ad una allusione al mito di “Zeus e Danae”, caratterizzato dal mutamento di forma di Zeus. Il mito che voleva che narra del fatto come Zeus fece innamorare Danae, divenuto pioggia d’oro, rinchiusa dal padre. Ed ecco che il mito trova in questo epigramma una peculiare declinazione, dove Zeus è paragonato al protagonista ed invece Danae era paragonata ad un piatto gustoso. Danae, olio su tela (161x193 cm), Correggio, 1531-1532 circa, Galleria Borghese, Roma Danae, olio su tela (129x180 cm), 1553, Tiziano Vecellio 2- Afrodite ferita Omero, /liade, V 297-430 Kai vò xev £v0' dndhorto iva£ dubp@v Aiveiac, si pa) dp” GGU vonce dindc Buydmp Agposim, primo. fi pi Un° Avgioni teKE Bouodtovne Gudi 6" ov dihov viv £xedaTo miuee AEUKiD, nipdobe Sé ci néndoro darvoù miu” txtiubev (315) prog pev Bekéuw, pi) me Aavadiv tagundrhuv yadkdu £vi otideon Faròv k Bupdv ÉAorro. ‘î pèv éàv pidov vidv Unest@epev noASuSIO- 8 8è Kompw Erygeto ALE gd, (330) vibo 1° avaliac Énv Bede, 0U8È Bedww Thwy di 1° avipi@y néheuov kdta Koipavécuoy, ip' A@nvain cute mToAimopfoc Evuò. AN de Sià p' Exixave noAÙv Kad" Sudiov Ondlwv, Eve" enopefduevoc peyaBiuou Tubtoc vide (335) akpnv oUtace yeipa perdiuevoc Gigi Sovpi dBAngpiv- eIBap Sè Sépu ypode avretdpnoev diuPpocivu Sià némhov, dv ai Xdprrec dov aurai, nipupvòv Unèp Bbvapoc: pée 8° dpfpotov ala Becîo, ixdp, 0Î6c np te péei pardpeca: Beotaw. (840) E allora certo moriva ll sie d'eserciti Enea, ‘Se non lo vedeva subito la figlia di Zeus Affocite, La madre che lo generò da Anchise pastore di buoi. Tese le bianche braccia intorno al figlio suo, E lo nascose stendendo il peplo ampio, splendente, Per ripararto dai dardi, perché nessuno dei Dana cavalli rapidi, Gettandogli i bronzo nel petto, potesse rapirgi ia vita. Ella dunque traeva il figlio for della mischia. ‘Questi (sci. Diomede) col bronzo spietato inseguiva Ciprigna, “Sapendo che è debole dea, non è una dea di quelle Che dominano fra le battaglie degli uomini, Non è Atena, non Eni, l'attentatrice di mura. E la raggiunse tra la folla inseguendola; Si tese allora il figlio di Tidieo magnanimo, E d'un balzo ferì con l'asta acuta il braccio tenero infondo; è subito l'asta entrò nella pelle Traverso il peplo ambrosio, che lavorano le Grazie, All'altezza del polso: spicciò il sangue immortale della dea, L’icore, quella che scorre nei numi beati. Spesso nei racconti dell’Iliade gli dei scendono tra gli uomini, accanto agli eroi, e anche Afrodite entra in battaglia con esiti però infelice, perché viene ferita da uno dei guerrieri Achei (Diomede). Scende per aiutare il figlio Enea. Enea nacque infatti tra Anchise, un pastore di buoi ed Afrodite. Afrodite tende le “bianche braccia”, epiteto tradizionale che si trova spesso in Omero, ad indicare parti del corpo femminile, e anche formulare. + l’uso del duale per indicare qualcosa che va sempre in coppia: le braccia in questo caso. “Danai, cavalli rapidi”, tipica formula omerica: si danno ai nomi delle qualifiche (spesso dei composti) che magari si ripetono uguali (il piè veloce Achille) (Anchise, pastore di buoi). Per far si che si riconosca il personaggio. Afrodite nasconde il figlio sotto il mantello per renderlo invisibile ai nemici e ripararlo dai dardi e che così nessuno gli potesse togliere lo spirito vitale. Diomede ha visto Ciprinia (Afrodite) e la insegue sapendo che era una debole dea, non è Eniò, l’attentatrice di mura, non è Atena e non è una delle dee che persegue alla guerra. Afrodite viene ferita profondamente da Diomede, e a sottolineare “debole braccio”: non è una dea robusta. où yàp oîtov #010', où nivovo' aigona olvov: Tobver: dvaipovéc cia kai dBévato1 KaXÉovraL Îì Sè péya iaxovoa darò É0 kaBRadev viov: Kai tòv pèv petà yepoîv épvoato DoîBoc AMO WwY xuavéni vedéani, pri TG Aavadv Taxunvàuv — (845) yaAkòv vi otr@E001 Parev Èk Bupòv ÉXorro. fi 8' érri paxpòv diboe Bonv ayaBòc Aropn&nc- “gike, Aidc Bbyatep, moAguou kai Sniomitoc. Îî oux de, STm yuvatkac dvédiSac meponede:G: ei Sè où y° éc néAcuov muNricear, fi té 0° dlw (350) piyrioew néreuòv ye, kai ei y' £TE9U01 nogna1.” dc Epae- i) d' dAbovo' aneRrigeto, Teipeto è aivac. 1.8” dip” Ap S@xE xpuodpnurag imnouc. ne eq Sippov ÉBavev aknxepévn dilov fitop, néo 8é ci "Ipic ÉBawe kai via Adleto xepoiv, (365) udiotigev d' ÈAdav: Tò 5 oÙk dkovte meréosnv. aîipa 8' gnei8” ikovto Be@v #80, aimùv "OAuprtov: Essi non mangiano pane, non bevono vino di fiamma, Non hanno sangue perciò, e son chiamati immortali. Ella dié un grido acuto, lasciò cadere giù figlio; Ma tra le braccia Febo Apollo lo prese, In mezzo a nube oscura, perché nessuno dei Tanzi cavalli rapidi, Gettandogli bronzo nel petto, potesse rapirgi la vita A lei intanto urlò Diomede potente nel grido: “Vattene, figla di Zeus, dalla mischia e dalla battaglia! Non ti basta sedure donne prive di forza? Ma se in guerra ti metti, so dirti che avrai Orrore della battaglia, per quanto lontana la impari”. Disse, ed ella fuggi disperata, perché orrendamente soffriva. Ed Ares le diede i cavalli frontali d'oro; Ella safi sul carro angosciata nel cuore, Ed accanto Ir salì e prese in mano le briglie, E frustò per ancaare; quelli volarono ardenti Giunsero subito alla sede dei numi, l'Olimpo dirupato. 10 Spicciò il sangue immortale (ambroton) della dea, l’icore (si mantiene il greco) quello che scorre nei numi beati. Gli dei non hanno sangue, ma icore. E parte così una digressione su alcune caratteristiche degli dei: non mangiano pane (siton) [spessissimo per indicare tutto quello che non era umano / grano come prodotto prima della terra], non bevono vino rosso [vino come simbolo di umanità evoluta]. Le divinità però sono uguali agli uomini. Apollo salva Enea, visto che Afrodite ferita lo aveva lasciato cadere. [il verso 395, uguale al verso del paragrafo precedente rappresenta una formula standard, aspetto formulare che ritorna nella tradizione omerica] Terminata la vicenda di Enea, approfondisce la situazione della dea. Diomede prende la parola e grida ad Afrodite, “non ti basta sedurre donne prive di forza?”: donne indifese, la guerra di Afrodite per Diomede è su un altro “campo”. La ammonisce sul fatto che la guerra non fa per lei, e che ne avrà terrore. Ed Afrodite fugge perché soffriva orrendamente. Ares le diete i cavalli d’oro [stessa immagine del frammento 1 di Saffo, dove però ci saranno i passeri: animali spesso raffigurati nel contesto afroditico] guidati da Iris (che ha il ruolo di portare gli dei verso la terra). Na ell cadde a ginocchi di Dione, Arci, Della madre; e questa strinse la figlia sua, La accarezzò con la mano, le disse parole, parlò così îî 8° év yobvaa inte Abe 6? Apposim, (70) uinmpòe tic: i) 6° ayicàg ÉAGTETO Buyarépa fiv, xerpi té pv Katépetev, Émoc 1° Eat” FK 1° dvépalev: Disse, e deterse licore dal polso con ambe le mani; El polso guarì, si lenirono i gravi dolori. Ma Atena ed Era che la guardavano Îî pa, kai duporépniorw are ix XeIpòg duopyvo: GAGETO Xeip, OBUva1 Sè ammiéwvTO Bapeîa: al 8’ alt’ sicopdwoa A@nvain te kai "Hon Keptohioic èriéegai Aia Kpovisny épéeov, toîo1 sè uoduv fipye Bcà YAaux6ric ABfvn- (420) “Zeò nétep, Î) PA TI por rexoAdosa, dti Kev eimw; Îî uoda Sf tiva Kinpic Axaiiaswy dvietva Towolv dua onéo@ai, toÙc vOv ExmayA' è nov, TÒv nva Kappétovoa AyaiiaSuv eUnétALwY pdc xpuoéni nepovni Katayigato xepa dpauîv.” — (425) dc ATO. peibnoev Sè nam)p dvbpav te Bedv te, Kai pa Ka\ecodevoc mpocédn xpuorîv Adpodimy- “où TOI, tÉKvov Éuòv, Gé6ota1 noAeLIIa Epyar AN 00 Y' ipepdevra perépyeo Épya yduoro, taòTa 8’ “Apnii God kai Adrivni névta peMricer” —(430) Vollero provocare Zeus Cronide con detti pungenti: Dunque si mise a parlare tra loro la dèa Atena occhio azzurro: “Padre Zeus, t’adirerai con me, se dico una cosa? Certo Ciprigna ha spinto qualcuna delle Achee A seguire i Troiani, cella ama tanto adesso. E carezzando una delle Achee pepli leggiadri, Contro una spilla d'oro la tenera mano ha graffiato” Disse così, e il padre dei numi e degli uomini rise, E chiamò la dorata Afrodite e le disse: “Creatura mia non a te furono date le cose di guerra. Ma tu seguita l'opere amabili delle nozze; Ares ardente e Atena provvederanno a questo”. Cade ai ginocchi di Dione (madre della dea per Omero), che la consolò. Quando i personaggi parlano c’è sempre un verso che da introduzione al discorso e un verso che lo conclude, perché era importante segnalare i passaggi. AI termine del discorso, guarisce la ferita grazie all'intervento della madre. Omero qui fa una digressione sulla reazione degli dei, e c'è questo aspetto anche fortemente colloquiale e quotidiano che troviamo spesso negli dei omerici: un quadretto quasi famigliare. Atene ed Era vollero provocare Zeus Cronide con detti pungenti. Atena, occhio azzurro (forse splendore della vista, glaucos) (epiteto di Atena), prende la parola e con tono colloquiale si rivolge al padre, dicendo che Ciprinia ha spinto Elena a seguire Paride e quindi la incolpa della guerra, ma ora è lei a difendere i troiani perché tra di loro sta suo figlio Enea > contradizione. Il giudizio di Atena è sarcastico, dicendo che la piccola ferita è come un piccolo graffio provocato da una spilla. Zeus ride (riso molto presente nella narrazione omerica). [non sono distanti dagli umani] Il padre chiama poi la figlia adorata, e le dice che le sue priorità non rientravano tra la guerra, ma le sue prerogative erano le azioni delle nozze amabili. Ares e Atena invece provvederanno alla guerra > ripristina i campi d’azione delle divinità. 1 Afrodite e Ares Omero, Odissea, VIII 266-366 abtàp d doppituv aveRdAMeTO Kaddv debe du’ “Apeoc gUbmoc E latepdvoL 1 Apposime, che tà mod suimoav év Héalaroro S6u0 A6Bpp: modà Sè Gare, Agyoc S' fjoxuve kai evviv H@alatoro dvaxtoc. dibap Sé ci ayyeXoc fixeev (270) “Haioc, è 0p* évende piyalouévoue pad. ‘Hearotos 8° de 0Ùv Aupeiyéa 080v dkovoe, Bi p'ivev éc xakkediva, kakà dproì BuocoBopeduy: 8v 8" E0e1' dxoétw péyav dkpova, xonte dè Seopode dippiietove dAbrove, d@p' Eunesov alel pevorev. (279) autdp eri 6 tedEE S0A0ov Kexoluptvoc ‘pei, Bi b ipev èg BdAapov, 68 ci giXa SéLvia Keîto dii 8° dp’ Spifia xée Séouara koh andvmn, moMà dè kai KaBinepte peaBpdgpiv sEexéxuvTO, MIT apra hemtd: TG y° aÙ Ké nc oÙbè [Borro, (280) oUéè Gedv paxdpwy- nepî yàp SoXbevta TÉTUKTO. autàp émtEÌ ST nAvTa S6.0v nepi Sé yedEu, eîaar' ipev Èc Afiuvov, sUrtilevov rtoNieBpov, Ed acco tentando le corde intonò un bel cantare L'aedo: gli amori di Ares ed Afrodite bell corona, Quando la prima volta si unirono nella casa d'Elesto Furtivi, e molti doni le cede e letto disonorò Dal site Efesto: ma a lui fece la spia 11 Sole, perché. vide abbracciati n amore. E come Efesto udì a parole strazio nel cuore, Andò alla fucina, nel suore profondo meditando vendetta, E sul sostegno pese la grande incudina e bafteva catene a non poter sciogliere 0 infrangere, perché restassero presi. Pol com'ebbe finito la trappola, sdegnato contro Ares. Andò nella stanza, dov'era. ll suo letto, E ai sostagni del letto attaccò le catene in corchio, da tutte le part, E molta anche callato, dall soffto, pendevano, Sottili coma fi di ragno, & nessuno avrebba potuto vederla, Neppure ci numi beat: con grande astuzia eran fatte. Quando tutta la trappola tomo al letto ebbe stesa, Finse c'andare a Lemno, rocca ben costruita, Îi ci yarkuwv RORÙ ITEM ÉoTiv Amaoduv Cha gli carissima sopra tutto le tre. L'aspetto colloquiale tra gli dèi viene qui sottolineato. È uno degli episodi per riconoscibili dell’Odissea, noto come gli episodi dell’amore di Afrodite ed Ares. Il testo narra del tradimento di Afrodite con Ares nei confronti di Efesto, e narra anche della vendetta di quest’ultimo con un motto arguto finale dove si fa riferimento alla tradizione popolare “il lento supera il veloce”, perché alla fine Efesto ha la meglio su Ares. Nel testo omerico ci sono le indicazioni precise agli esecutori “tentando le corte intona un bel cantare”, questo pezzo era considerato come un pezzo cantato dall’aedo che poteva anche star in piedi di per se, al di fuori del macro contesto dell’Odissea. Viene esplicitato l'argomento: l’amore di Ares e Afrodite, bella corona (nella coppa di Nestore /una delle prime attestazioni scritte di greco VII sec a.C. si fa riferimento così ad Afrodite) quando la prima volta si unirono alla casa di Efesto. Efesto viene a sapere tutto perché il Sole gli disse tutto, che li vide. Ed Efesto straziato nel cuore andò alla fucina (il racconto mutzos /quando ascoltò il racconto che causò dolore al cuore/) per cercare vendetta. La sua vendetta si realizza forgiando delle catene talmente ben costruite che non potevano essere sciolte o rotte, e sono realizzate perché rimanessero per sempre. Crea una trappola per Ares e Afrodite. E dopo aver completato la trappola (rete fatta da catene), andò nella stanza adirato. Racconta come le catene vengono messe sui sostegni del letto, disposte in cerchio da ogni parte e molte anche dall’alto sottili come fili di ragno (aracne), invisibili alla vista per tutti, anche per gli dei beati. [attenzione al dettaglio, è un racconto che non tralascia mai niente]. Erano state create per recare danno e finito il lavoro finge di andare a Lemno, rocca ben costruita (ogni divinità era legata ad una località). 12 4- Afrodite e Anchise Inno omerico V. Ad Afrodite, vv. 1-201 e 241-291 Modod por Evvene gra noluipicoe ime Kinpi80c, i te Brotow tri phuxbv lueplv por Hai r Bbaudiooaro Gila Karabmrtv dvn, oiuvoGie re Sunettac Kai Onpla névta, iipev do fimapoc nodhà rpége: 8 Boa névroc- (5) ndo» 8 Bava ubimbev S0oTebIvO0 Kudepelne. tpioodc 5 où Sivarai nemiBeiV gpEvaG OLE dinamica: soGpav T'aipogoio dude yAauòmiv AB cÙ vdp cieUaSev Epva noluxpicov Aposime. 6 pa ci nbàepoi Te bor al Epyov “Apnoc, (10) dopivat Te pai TE xa ayhaà toy dAeyiven. molo 1ÉKTOvar dvipac erudovioue éi6ate norca carivac al dipyara rosi xa 1) Sb re nando dnadbypoat dv peyprian aydad Epy 66160657 èni gpedi Acica #x6om. (15) i, musa, le imprese dell'aurea Afrodite che negli dèi eccita il dolce desiderio le genti degli uomini mortali i che volano in cielo e rutt le fiere, ‘nutre la terra, quante il mare: son grate le opere d''Afrodite dalla bella ghirlanda. dee non sa persuadere né sedurre: la mente: di Zeus Egioco, Atena occhi luctati, son grate le opere dell'aurea Afrodite, Je guerre e le imprese di Ares, e battaglie, e proteggere nobili opere prima istruì gli artigiani sulla terra nera ire carri e conchi cesellati di bronzo, case insegnò alle vergini dalla tenera pelle ‘opere, ponendole nella mente ad ognuna. Nell’inno si racconta tutta la vicenda di Afrodite, nello specifico questi sono i passi che narrano della vicenda di Afrodite e Anchise, padre di Enea. “Racconta musa le imprese dell’aurea Afrodite Cipride, che negli dei eccita il dolce desiderio e doma le genti degli uomini (antropon) mortali, e gli uccelli che volano in cielo e tutte le fiere”. Afrodite viene elogiata, l’elogio si apre con il nome della divinità, con i suoi epiteti e con i suoi predomini. Ma ci sono tre dee che le sfuggono: - la figlia di Zeus Egioco, Atena, dea della guerra; lei ama le guerre e le imprese di Ares e proteggere nobili opere. Piccola digressione su Atena. 068 nor pria punito selena Snare br mm Govi apo I ydp The rbt mal pe Mpa brcipen. POPE TE xopOI TE dep 1 den Aceti ve ev Soa embe eu. PO) piè pevaltola noan dior or Aepodime NOT N. GOT TELETO ROOVOC RAT. me Ordona dub cino. br ino sous ei Ano Bb blade Bce GIA orge interi, 9) pose dè pa dpsow. è i teredEEvOx de Gtat ega erge be aio nanaeLoe basco bre pesa, Ha esi 1 6 naro Zed Gi nad vÉpoc dv 00, e] ti e np de ee do using nda Pons eb noto rina. tbcroÙ Giara nemici gpimc 006 naro vd $ EM 08 np riniccunptrov or gnosi ine Bs empire tr pm (38) nale nopda Zaha vor rpm Ge perde re rio ds rv IT 108 cre Bb}ox mdc pvc Lorotod0a e ee Hori dledidoa norris bag te, 00) Artemide freccia d'oro l'urltrice, in amore Afrodite che ami il sorriso: cari l'arco sterminare fiere sui monti, e e danze, le grida che giungono al ciclo, i ombrosi e le città di uomini giusti. Esta, vergine uera, ama le opere di Afrodite, ‘nacque per prima da Crono complessi pensieri, ancora per ultima, per volere di Zeus Egioco, veneranda che Poscidone ed Apollo bramarono, non voleva e rifiutò fermamente ran giuramento, che trovò compimento, la testa di Zeus padre, Egioco: d'essere vergine sempre, la dea luminosa. Aci Zeus padre donò un bel privilegio in logo i cede in mezz alla casa, ine il cuore del in tutt i empli dei numi riceve una pute d' € presso tuti i mortali è la dea più venerata, Di lo tre so può persundere pé sedurre ma nessuno degli ati riesce a fuggire Afr né tra gli dèi beati né tra gli vomini mortali. Turbò perfino la mente di Zeus che gode del che è più grandee ottenne l'onore più grande, ma anehe di lui, quando vuole, inganna l'animo; senza fatica lo a unise a donne mortali di nascosto da Era, sua sorella e sua sposs, - Artemide, freccia d’oro, l’urlatrice; dea della caccia, simbolo di giovinezza femminile. Lei che nacque per prima da Crono, complessi pensieri. - Estia, vergine sempre, la dea luminosa, dea del focolare domestico, che sta al centro al tempio. Afrodite è in grado di agire anche su Zeus, che gode del fulmine; inganna anche lui a suo piacere, senza fatica facendolo unire facilmente a donne mortali, di nascosto da Era. 15 dì vo cibox pio dv davima Befia rsbiomv 8 Spa Lv tixeto Kpovoc amudautmme pîTmp Te ‘Prin: Zede 8 da pica cibo alboini GAoxov morioaro eb situa. TI 66 nol cin Zede ch epor Eno Gun (49) foi xoodimtÒ podi. dbpa rémoto in ii porinceiie dnocpribmein nor neuiouw cin età nor Bon tig veionocoa ionico Aoposim dx pa col cuvite cerotti pnl 60) nai te saramuetade vice réxov GBavimdion, e dee citate arabo evi Iiiotia S' Gp di vAurcùv atgor Epftade Gud da TÒ1 tv dxpondio dpcorv morumitbo ing Bodc é0% diodo don. 155) 10464) Ener 60000 quanta Agposim thptcar, dina Sè Hard dpévox luepoc rev. #6 Kompov 8 #1.80d0a Buia voy Bsuvev ic Mbpor Eta dé o Tips Buphc re Biba 0 y eiobodoa GUpac intense qaenve. 160) dea bp prec odo al pica» Hale dupbit» oîa Geol éreviuotev citv ebvrac. difpookp E60 16 pd ci esmibori è La generarono Crono e la madre Rea (Era). che di molto eccelle tra le dee immortali e gloriosissima la generarono Crono complessi è la madre Rea. Zeus, che conosce eterni consi la prese come sposa casta, esperta di nobili azi Eppure, alla stessa Afrodite Zeus destò nel dolce desiderio di unirsi a un uomo mortale, perché anche lei non restasse immune da un letto, e vantandosi non si gloriasse tra tutti gli dèi dolcemente ridendo, Afrodite che ara il d'avere congiunto gli dèi a donne mortali che generarono a loro figli mortali, 3 dimessi css muschi mortal, Je pose nell'anima dolce desiderio d' dr; allora sulle sulle vette più alte dell’Ida ricco di; pascolava giovenche e somigliava agli dèi perl Appena lo vide Afrodite che ama il sorriso s'innamorò, straordinaria passione le invase la Andò a Cipro, entrò nel suo tempio odoroso; a Pafo, dove possiede un santuario e un altare e giunta là richiuse le porte splendenti. Le Cariti la detersero e la unsero d'olio i ‘quello che cosparge le membra perte divino, dolce, che era stato profumato per ki Passa a narrare della vicenda di Afrodite, l’unione di lei ed Anchise è voluta da Zeus per far si che anche lei si trovi nella stessa situazione a cui condanna anche tutti gli altri dei. Anchise che passeggiava sul monte Ida, ricco di fonti. Appena lo vide Afrodite si innamorò, per volere quindi di Zeus. Andò a Cipro ed entrò nel tempio (versi alla fine dell’episodio di Ares ed Afrodite — ripresa testo omerico). E giunta le porte, avviene un rituale per prepararsi. So0apévn $' eli néva nepî poi sluara xadà xpuod Kogunteica qiiopueiòiic A@pobim (65) oEdaT ari Tpoine npONImAdO e bdEa KUmpov Ur perà vegeor pipa npigcovga KéAevBov. “IGnv 6' ikavev noXunibaxa, untépa Anpév, pa Jc sta@Loîo Br opeoc: ci Sè per asti Gaivovtee nONioi Te AUkGI XapONOI te AÉowrer (70) pio: nApSENÉg te Boal npokdbtwv diebprito! ificav: i) 8' bpdwoa perà ppeoi tépreto Gupdv al toîc dv omdeg Pad iuepov, oi 6 da névreg aùvévo Kouicavto Kata axibevtac èvalAoue. im) 6'éc droiac eUmonitoUI dgixave» (75) Tòv 6 eùpe otabpoîa: Aedeuuévov oÎov an GA Aww Aygionv iipwa Be@v dino kiMoc dovra. oi & da Bovalv énovto vopode éta nornevtaG néiviec, è Sè otadpoîa LeXejpévoc dio dn’ GN niwdett 8vda kal Évda Sianpiorov xBapitov. (80) sul corpo, con cura, le sue vesti belle, ente percorse la via da dalle mol socgenti, madre ci ere il monte subito si diresse al recinto: la coda l'acompagnvano lupi grigi. i suo cuore godeva nel petto d'amore infuse nell'anima: coppie, giacquero nelle valli ombrose. vò all capanna ben costruita Va verso Troia, giunse sull’Ida, e varcando il monte si diresse al recinto con un corteggio di fiere. Ella arrivò da Anchise, che ricevette dagli dei la bellezza, che stava suonando la cetra. Qui viene definito eroe anche se nel contesto non ha nulla di eroico. 16 (25 Novembre ) ott) 8 auteO NPONdipOIRE Ardg Buydmp Appobim maptévw àbuim ueyedoc kai elboc duoin, ui piv TapRihosiev év dpearvoîa vonoac. Aygione 6' apduv Eppateto Bavpawtv te eib6g te pbyeBoc kai eipata aryaXdevta. (85) némov pev yàp geoto qaciverepov mupòc auvnic, sie 8' émyvautàg dAinag ed duRdG TE daevdic, Bpuo1 8' duci aradfi Seiprì nepuaAAéec ijoav xadoi xpUoeiai naproikior: de Sè ceXqvy omBEov dpp' amadotow éXyero, Badpa i8609a1 (00) ‘Aygionv 8' Epoc eev, Eno 66 uv dvrlov n6a- Xaipe dvaoo', ii nic pandpuv tASE Spad indvesc, “Aprepie Î) Antò hè xpuotn A@pobim i Ogjuic Muyewdg nè pAaux@nie ABU fi mou mig Xapituv Sedp' TAVOES, al te Broîo1 (95) niéow ETAIpIZova kai dBdvaro: xaAéovrar, fi nic vuudduv al 1° dora xaXà vépovrar, Î) vuppavaî xaddv dpag 166e vaietdovo: e statura a una vergine noni'ancora dorata, iriconoscendola non avesse paura di lei. ammirò vesti splendenti un peplo più luminoso d'un raggio di fuoco, li a spirale e orecchini lucenti, jal morbido collo correvano ‘meravigliose collane foro, ben cesellate: come la lun sul tenero "I signora, chiunque tu gia tra le dee ‘a questa dimora: Artemide, Latona, Afrodite ele Cariti giunta sin qui, quelle 0 a tutti gli dèi e sono dette immortali, le Ninfe che abitano le belle foreste Ninfe che hanno dimora in questo bel monte Afrodite ha raggiunto Anchise sul monte Ida; Afrodite non si presenta come una dea (i mortali non potevano vedere gli dei, guardare le divinità, sarebbe stato motivo di punizione divina) ma come una vergine. Si ha poi la descrizione del corredo femminile in tutti i suoi particolari. I suoi ornamenti sono belli e dorati, pieni di varietà, con pietre preziose. E poi si ha un paragone “come la luna brillavano sul tenero seno, un prodigio vedersi” > riferito allo splendore dei gioielli con la luna. Spesso la bellezza femminile viene comparata alla bellezza della luna (la quale luce sovrasta tutte le stelle). Inizia il dialogo tra Anchise e Afrodite (simile al dialogo tra Odisseo e Nausicaa). Le prime parole che Anchise esprime, sono parole di elogio e comunque non essendo a conoscenza della natura divina di Afrodite le dice di avere una bellezza divina. «al ninyàc notaav xai niosa romevra. doi 8' yo èv aKorufi. nEPIPAIVOLEvw Èvi XÒp0, (100) Bupòv nonow, per 86 tor iepà KaXà Gppow ndopor aù d' eUppova Bvpòv xovaa Béc ue età Toleoow apinpené' E upevai dvépa, mole 8° ciconiow dadepdv yovov, autà» Éu' aùtdv Enpàv éù Loew kai dpàv pioc Meri (108) ABiov Èv Aaoîc kai yhPAoc OUBAY ixÉoBar. Tàv 6'hiuelRer' gnema Aide Buydmno Adpobim. ‘Aygion, KUS1oTE yapayevéwv dv@pontov, oi tig Tor Bedg eipi: ti p' aBavemnow tioxerc; Ad xataBvnmA ve, vuvi 6É pe velvaro piimp. (110) 'Otpede 8 doti nanp Svopa KAuté6, el tov dkodere, dc maone Opuyinc eUTENITTOIO avdoozi. vA@o0av 8 Upertpnv kai Auertpnv odga olba- Tpwàc Yap peyipy Le tpoPòc tPÉbev, 1) Sè Già mpò e nelle sorgenti dei fiumi e nell'erba dei prati. A te sopra una vetta, in un luogo ben visibile concedi che concedimi perl futuro viva a lungo e veda la lu ricco trail popolo e tocchi «Anchise, gloriosissimo tra gli uomini mortali, no, non sono una dea: perché mi paragoni agli SETTI te nel fama, che regna su tutta la Frigia cinta da rocche. nutrice trolana mi crebbe dentro la casa, che per po Continua con le sue parole di elogio, considerandola come una dea, chiedendo anche benefici per se in cambio di una venerazione. Lei lo ricambia rispondendo (dialogo serrato) Anchise, gloriosissimo tra gli uomini mortali, confermandogli di non essere una dea. Afrodite si presenta come una donna mortale, creando una propria genealogia, dicendosi figlia di Otreo e Frigia. 17 AN ei pèv to1odTOG Edbv £Î66G Te Sé pag Te (241) Tore, MuéTEP9G TE MÉOIK KEKANuÉvoG eng, Uk div Emertà ' dxoc mukivàc ppévac aupikaX urto! vòv 6É ce pèv tàya wipac duotiov dupiadiper vneréc, TÒ T' Emetta Mapiotata! Avaporiciov, (245) oUAduevov Kauamnpòv, è Te otUYÉOvA Beoi mep. autàp éuoì ey Sveisog év ddavétoroi Beoîov Sooeta ijuara nàvra Siaprepèc sivera oeîo, oî mpiv guove dépove Kai piftiag, alc note navtac aBavatove ovvéifa Kata@vntfiai yuvar$i, (250) T&pReokov: ndvtac Yàp uòv Savaoke vonpa. vov Sè Sì) oUkéti por otépa yeicetal privar toùTO per ddavàtoraiv, Èriei pdda tOMÒv ddognv oxéTÀI0v oUK Ovotaotdv, amenAdyX@nv Sè véoro, riaîba 8' Unò Zon é06nv portò euvnOsîca. (255) tàv pèv émiv Gi) npATOV ÎSN dhog Melioto, voga! piv Epépovov dpeok@ol RABUKOArOI al 165e varetdiovolv Spoc uéya te CaBedv Te che incombe, col tempo, sugli uomini, , tremenda, che odiano anche gli dèi, roverò tra gli immortali , sempre, a causa di te, prima temevano i mici vezzi e le astuzie feci congiungere a donne mortali tutti gli dèi, ila mia mente tutti li soggi la mia bocca non oserà più rico ic tra gli immortali, poich da non confessare, us ‘un uomo concepii nel mio ventre un figliolo, 10, appena vedrà la luce del sole, montane dal seno ricolmo, 0 su questo monte grande e divino, Gli dice però che la sua sorte sarà comunque una sorte mortale, senza condividere con lei la immortalità. Anchise invecchierà. Quella vecchiaia che anche gli dei disprezzano. Gli spiega poi il motivo del suo innamoramento, lei ora proverà vergogna perché prima soggiogava tutti con la sua mente tra dei e umani, ma ora finita anche lei innamorata ed incinta di un uomo mortale proverà grande vergogna, perché lei uscì di senno. Il figlio sarà nutrito dalle ninfe appena vedrà la luce del sole. éq néuntov Ét0g alto fAeLoopa viòv dyovoa. ov uèv érmv SÒ mpATOv T8nc BdXoc d pda poor, mAafoere dpéwv- para yàp BeosikeXoc Éotat fe 8 aùtika viv nori "IAiov Nveudecdav. (280) Îiv 8é tic sipntai ve KataBvnt@v avBporiwv i) tic dol piAov viòv Urtò Town Béto uimnp, T@ Sè où pudeiodai peuvnpévoc de de keXeùw- Quando lo vedrai coi tuoi occhi nel suo primo ti rallegrerai perché sarà molto simile a un dio, Allo î e se qualcuno tra gli uo! ali ti domanderà! quale madre t'abhia portato un figlio nel grembay a lui rispondi ricordando ciò che comando: agiv tor viupne karurbrisog Ekyovov elvar Guelle che soiano | monte restio di selva. al tòse vaietdovov dpoc Kkataeévov Un. (285) Ma ti vanterai con animo folle ei 68 Kev &&eimng kai gnedéeai dppovi BUp@ di esserti unito in amore con Afrodite dalla bella! i 4 299 4 ghirlanda, év dAGTT Layfivar svotepdvw Kudepein, Ja folgore fumosa Zeùc ce xowodpevoc Badéet PoXDEVTI KEpauvA. e t " stato Ta rifletti nella tua mente sipntai tor névta: cÙ Sè ppeoi ofici voftoac e bada di non fare il mio nome, guardai dall'ira Gosì detto balzò verso il cielo in cui corrono ii ioyeo uns' ovéparve, Bedv 8 éroniteo uv. (290) “Qe sinodo ifife nPÒG oLpavòv Nvepdevra. Descrive poi la prima infanzia tra le ninfe di Enea. E quando avrà 4 anni sarà nuovamente portato da Anchise. Lui sarà simile a un dio e Anchise dovrà portarlo a Troia (Ilio). E se qualcuno dovesse domandare da chi era nato, Anchise non potrà rivelare la vera natura della madre, ma dire che è nato da una ninfa viso di fiore. Se lui racconterà la verità verrà colpito da Zeus. Così si conclude l’episodio. 20 5- Afrodite ed Eros Apollonio Rodio, Argonautiche, III 39-166 e 275-298 Epica 8' siceXdodda, Un aidovon BaXk poro Eotav, iv evriveoke Bcà Abxoc ‘Hoalotoro. (40) AN ò prev Èe yadeedva kai dxLiovae ripi ReBAKei, viicoso Mayemc eUpùv puxdy, è Ei navra Salbada xÉ\Kkevev pinf) nupéc: i) 8' pa poùvn Toto Sb Sivuròv tàvà Bpdvov dvta Bupduy, Aeuxolov 8 &xdtepBe Képac meme duorg (48) kboei ypuorip stà kep(8i, pexde sè pakpooe mAéfaodai nAordpoue: tàc Sè mpondportev i60000 EoyeBev ciow TÉ ope KéAer, kai inò Bpovov pro elob 1 évi Kiopoîon: diràp perénerta kai aut Tdavev, diiierove Sè yepoiv dveSioato altac. (50) toîa Sè peisiduoa npocévverev aiuudio1ow *’HBgîai, ric 6eOpa vbac yperd Te KoNitet Snvarde aùnw6; TI 8 indverov, où mÉpog ve Ninv gortiKoucar, Enel nepieote Geduvi* Thlv 5" ‘Hpn rotorow dueifouévn npooternev: (65) {Atena ed il portico dove la dea CAfrodite] preparava il letto di | dato di buon mattino nell'offi recesso segreto dell’isola errante, fiamma del fuoco forgiava le opere splendide, in casa sedeva su di un trono adorno, davanti porta cadere da ambo le parti i capelli candide spalle, li ravviava col pettine d'oro, lunghissime trecce. Vedendole, Je chiamò dentro, e si levò dal suo trono, pedere e sedette di nuovo anche lei, con le mani le chiome non curate dal pettine. do rivolse loro queste sottili parole: quale pensiero, quale necessità vi guida Ranto tempo BBD cr. certo in passato è de me, voi due che sicte le dec più grandi», disse queste parole: Era] nel cortile e si fermarono Passo noto perché prelude a uno dei nuclei tematici fondamentali del testo di Apollonio Rodo (poema epico in 4 libri). Romanzo perché c’è la storia d’amore tra i due personaggi. Il terzo libro infatti è dedicato alla storia d'amore tra Medea e Giasone, voluto dagli dei. Era chiede ad Afrodite di intervenire per suscitare attraverso il tramite del figlio Eros amore in Medea per Giasone in modo che lei possa aiutare Giasone ad ottenere il vello d’oro. Non dovrà appunto intervenire direttamente Afrodite, ma suo figlio Eros. Afrodite dice di non avere potere su Eros, nonostante sia suo figlio e così deve rincorrere all’astuzia per convincerlo: una palla variopinta costruita da Efesto, un oggetto che si addice ad un bambino divino in questo caso. [La descrizione di Eros nel periodo alessandrino è quella di un bambino vizioso e sfrontato, che si fa beffa degli uomini — mentre nella poesia arcaica era una potenza indefinita e indistinta che ha il predominio su tutti gli uomini], Era ed Atena vanno a casa di Efesto dove si trovava Afrodite, ma lui era nella sua fucina. Abbiamo poi l’immagine di Afrodite che in casa si pettina (passerà alla raffigurazione come immagine tradizionale) e si faceva bella. Vedendole smise e le chiama all’interno chiedendole come mai fossero venute da lei. Ed Era le rispose, “Kepropigeic, vv 6è xéap ouvopivera: cry. Gn vàp noraniò évi Odatdi via karioyer Aioovibng h6' dAMor doo perà kag Enovrar taviito nviw év, éneì nédac Epyov Spwpev, Selbipev &«mdy)ue, nepì 6 Aiaovibao pdNiota. (60) tÒv pèv ydov, ei al nep Èg "Aida vavtiANtA Avodpevog xa\kéwv giova verba: Seopdv, pioopai dovov Buoîav évì o8évog EMETO YulOIG, Sepa ui evveXdon MeAine kaxòv oîtov GAUfac. 8c ji Unepnvopn Guiwv dyépaorov onkev. (65) Kai 8' Mg Er kai npiv épol peya Hat Iowy, 8661 è npoyofiaw ddic mMAfBovtoG Avabpov dvbp@v ebvoping nepuéw dvreR6Ancev, Gong 8E iviov: v@era 8 éraAbveto névia ‘oùpea kai okoruai nepiumkeec, oi bè kar' aùr@v (70) xciuappor avanéà xAiv8seva dopiovto veni sé p'eicauévnv diogiparo, kai p' avaeipac aùTdg 80Ù pcioi Six mpoaAEG déper d8we. 10 vò por dAnrtov reprriera1, oùsé e AoBNv teiociev MeAinc, si pi) où ye véotov ònbioone." (75) quale pensiero, quale necessità vi guida tanto tempo? Perché venite? Non certo passato me, voi due che siete le dee più grandi», le disse queste parole: A Issione dalle catene di bronzo, Fendt pr gra bocce dl Tali dhe prato e dele l'ho incontrato, quando volevo provare la giustizia] tatto dll sua caccia: le cime de mont era ada torti ridevano già inonda ebbe pietà di me, mi prcse sulle sue spalle e mi port al di là dell'acqua impetuosa Perciò ionon cesserò di stimarlo; del resto Pelia potrà scontare lì pena, se tu non gli doni 21 Che teme per la sorte di Giasone e dei suoi compagni, per far si che non possa vincere Pelia e perché di lui, la dea aveva già simpatia. Lei aveva messo alla prova la giustizia degli uomini prendendo le sembianze della vecchia per attraversare un fiume in piena e Giasone le propose un aiuto. Afrodite era stupita di vedere Era supplicarla. “Ac nùsa, Kumpiv 8 e veootaoin AGRE pw: dteto 8 avropévnv “Hpnv Égev cicopdwoa, xai piv émetr' dyavoîoi npocévvenev iy' Éméegonv: “Métva B£d, où TOI TI Kaxbrepov dMo néXorro Kimpi6oc, ei Si) orto NAaropévne Abepilw (80) i gmoc né tl Epyov Ò kev xé pec albe kGorev Timtebavai: Kai i) tIG dpoiRain pic Éotw.* 706 EpaB* “Hpn 8' adric Emppabbwe dyopevoev: "On pin xatéouoar ikavopev oùsé TI XeIpav, dA abtwe dkéovoa te@ è rukékAeo nardi (85) napfévov Aitew BéXfa1 68% Aicovisao. gi yap oi Keivn cuI@poagoeta: e evéovoa, Pnisiwc uv gXbvta Sépoc ypuoetov diw vootioeiv ÈG wAkÒv, Èrteì GoAdeoda TETUKTAL." 79 "“Hpn A@nvain te, migorrò kev Upi pariota S@n: KUnpic 6è per au@otépnow gernev: (90) Così disse; e Afrodite fu presa da muto stupore; turbata a vedersi davanti e finalmente rispose con dolci parole: 4 «Dea veneranda, che nulla al mondo sia cosa più: Cipride n se non mi prendo cura del tuo desiderio — con parole o atti che E da te non vorrò ricompensa in cambio di Così disse, ed Era le diede questa accorta risj questo siamo venute: resta tranquilla che ammalii la giovane figlia di Eeta di desì Giasone. 1 Se, benigna verso di ui, gli farà dono dei suoi credo che facilmente conquisterà il vello d’oro e tornerà a Lolco: essa ha grandissima astuzia». Così parlò e ad entrambe Afrodite rispose: «Era ed Atena, Afrodite acconsente sottolineando però la sua incapacità di portare aiuto nelle vicende degli eroi e si dichiara però disponibile. Ed Era sottolinea ancora che non c’era bisogno di forza ne di braccia, ma di chiedere al figlio di far innamorare Medea (figlia di Eeta) di Giasone. Se Medea (che conosce anche le arti magiche) si legherà a Giasone, lo aiuterà a conquistare il vello d’oro e tornerà a Iolco. Î guoi. vpelwv yàp avait nep ov 18 y' aibòc Éooer év Spuaow: autàp éueîo ou d8eta1, pda 8 aièv Epibuaiviv dBepite. Kai Sf ci pevénva, nepioxouévn Kax6 ma, (5) abtofpiv 1600 Suonxéac dia dioroie aupadinv: toîov ' dp' ennesiinoe xadegeeic- gi più MA6AI Xeîpac, wc ET Bvuòv Épuker, #6 éudc, petérertà y' ateuBoiunv éoî aù "Aq géTo, peibngav Sè Beai kai éogSpaxov avmv (100) AAA A 8 aùmig dknyeévn npoogemev- "AMoic dAyea tàLià yéAw6 nÉXeL, 0d8é Ti pe xof uuBetoGa: navtea: dic ciSuta kai aut. vov 8' Eneì Uppa diXov 168e n) nÉXEI dupore pnaw, nepiicw kai uv perifopar, obé ambioa.* — (105) TO déTo- tiv 8 “Hpn pasiviîc emeuaodato Xelpdc, fika 6è pedibwoa rapaBAnonv mpoogermev: “Oiitw viv KuBépeia Tobe xpÉoc oc dyopetere EpSov depap: kai pi) n YaXértte0 pné' spiSave Ton a me, giacché, per erro GI, che ritegno per voi lo avrà pure negli occhi, pon si mi provoca sempre. to addirittura, non potendone più della sua Menevo ferme le mani, quando era ancora capace are la rabbia, poi avrei avuto a pentirmene». se, e dedito) guardandosi l'una con afflitta, così riprese a parlare: È dolori fanno ridere gli altri; e io non devo ccontarli a tutti: basta che sia io a saperli. bé questa cosa a voi due sta tanto a cuore, ‘non si tirerà indietro». a Prese la mano gentile, \soavemente e a sua volta le disse: o che dici, Afrodite, compilo subito, fambbiarti: non vale la pena di litigare p figlio; la smetterà, prima 0 poi». Afrodite accetta, ma dice che suo figlio a lei non ubbidisce ma probabilmente alle due dee si, perché per quanto sfrontato comunque per loro due avrà ritegno, ma di lei non ha riguardo. Eros è malvagio e lei perfino era arrivata alla minaccia di rompergli l’arco e le frecce (minaccia tradizionale dell’epigrammistica, anche da parte degli autori). [Questa descrizione di Eros del periodo alessandrino rimarrà poi l’immagine tradizionale] Le due dee sorrisero guardandosi l’un con l’altra e Afrodite afflitta riprese a parlare, che i suoi dolori fanno ridere gli altri (come in ricordo dell’evento del tradimento). E promette di persuadere il figlio e Era le prese la mano (segno simbolico di ringraziamento) e la incoraggia con un aspetto familiare. 22 6- La potenza di Afrodite Saffo, fr. 1 Voigt Afrodite immortale, che siedî ‘Sopra il trono intarsiato, Figlia di Zeus, tessitrice d'inganni, Ti supplico: non domare il mio cuore Con ansie, tormenti, 0 divina, no] \éBpolv' dgavàt' Adposrta, rtai] Af]og SoX[érAoxe, Niccopai ce, Hr) p'] doaai [yng' òviaror Sava, [mnòrv]ka, Ad[uov, GANG 1vi8 #8", ai rota KATÉpLTA (5) Tà]c éPac aù[bac diorva mimXor #]\uec, ndtpole Sè Sbpov Aimoiva Ipoarov fMefec dp] Umaose[btava: kahor SÉ a’ dyov idlkeec oTpOO[BOI mepi yac peraivac (10) nujkva Sivvevtec mtép' an Wpavwige- [polc &tà péoow- Vienimi accanto, come una volta Quando uciito il mio grido da lontano Mi hai ascoltata: giungesti Lasciando la casa d'oro del padre, Aggiogasti il tuo carro. ‘Sopra la terra bruna ti conducevano i passeri Bell, veloci, battevano rapidî le ali Nell'abisso del cielo. Noto come l’inno ad Afrodite, con cui iniziava la raccolta di Inni di Saffo. Il metro che caratterizza è la strofa saffica: tre endecasillabi e un verso più breve finale che si ripetono. Costituiva il primo frammento dell’opera di Saffo. È un canto di lode ad Afrodite e quelle che sono le sue forze, come la capacità di infondere amore nell’uomo. Si ribadisce la nascita di Zeus in questo testo (tratto omerico). Colei che è intessitrice di inganni amorosi, (stesso termine delle catene di Efesto), come un sortilegio d'amore. Supplica di non domare il suo cuore con ansie, tormenti, ma chiede di andarle accanto come una volta (si introduce la reciprocità in amore / Saffo in un primo momento ricorda un suo precedente intervento quando ne aveva chiesto aiuto, la richiesta della poetessa è intervenite nuovamente) e la risposta da parte della dea sarà positiva e si fa garante della giusta reciprocità in amore. E c'è la descrizione dell’aiuto precedente di Afrodite che scende sulla terra, usando il suo carro condotta dai passeri attraverso le profondità del cielo sopra la terra bruna. allpa &' Efiko[vro: où 8’, © pakaipa, petsiai[oao ABavéT”WI MPOCWTWI ijpe' TT &nùte némovga Kim (15) [En]ùte K[AXIN[pui «tt [por pedioTa BÉXw yéveoBaI Hlavé)a: [Bopwr- tiva Ente meigw J.odynv [8g càv diaétata: TIC 0°, © LWalno*, [asure: (20) Kaji y[àp ai pevyei, Tagéwe swf, ai Sè SOpa pi) Séket', GANà Eiwoer, ai Sè pi) dia, Taféwe durfoer KWUK 2860100. #0 poi Kai vov, xaXériav Sè AGgov (25) éK pepiuvav, dova dé or TÉdETdaI @0poc iuéppei, téXE00v, cÙ è’ ata odpuaxoc É000. in un attimo, furono qui! E tu, beata, Sorridendo nel volto immortale Hai chiesto perché ancora soffrivo E perché ancora chiamavo E che cosa voleva sopra ogni cosa il mio Cuore folle. “E chi ancora devo convincere ad accettare il tuo amore? Saffo, chiti fa torto? Se ora fugge presto inseguirà E se respinge i toi doni poi ne ofirà E se nonti ama presto ti amerà Purse non vuole” Vieni ancora, liberami dal penoso tormento, E quello che il mio cuore desidera, Compilo: sii mia alleata! 25 L’atteggiamento è quello dei passi precedenti, la dea sorridente dal volto immortale. La dea scende per aiutare Saffo e le chiede cosa volesse nel suo cuore folle. (follia d’amore che si vede anche nell’innamoramento di Medea che diventa priva di mente) Afrodite promette l’amore del corrisposto anche se non lo vuole: promessa della giusta reciprocità amorosa che rende giustizia da chi non accetta l’amore imposto da Afrodite. Le chiede di venire ancora ad aiutarla e liberarla dal tormento e portare a compimento quello che lei desidera. ( sii mia alleata: compagna d’armi: guerra d'amore). E Afrodite sorridendo acconsente a questo. 26 26 Novembre Nascite divine * Apollo: Callimaco, Inno a Delo, vv. 1-54 * Artemide bambina: Callimaco, Inno ad Artemide, vv. 1-169 * Efesto: Omero, Iliade, XVIII 369-409 * Atena: Pindaro, Olimpiche 7,33-51 Luciano, Dialoghi degli dèi, 8 (13) * Dioniso: Euripide, Baccanti, vv. 1-52 Luciano, Dialoghi degli dèi, 9 (12) Nonno di Panopoli, Dionisiache, VI 145-210 1- Apollo Callimaco, /nno a Delo, vv. 1-54 Ti isoriv, d Gupé, tiva xpbvov tnmort drive ‘Afjhov Anohiwvoc soupotpbbovi î) pèv anaca KuxA&82c, al vijew ispirata: siv dAi eîvraI, eUupvor Aoc 5 é0É)e1 TÀ npota dipeoda x Movogwu, im Boîfov doriàuv peSéovta — (5) A00dot TE Kai omEIpw0E Kai be Bedv fivece mpam. “ac Modou tv doibòv è pù NiurAziav àeion Aitàe vév ollinc dnosdoopa, dr dv AndAuv Kivéioc alviton pe iànc ahéyovra néfvnc. (10) net 8° iveudeoca kai arponoc told 84 GhinAt aiBuinc xai paXov ri6ponoc riénep fnmore tbvro iveoripusta: è 8 audi è novhùc éicouv TO ade kai igugoxfec AAimAoa1 èvviccavto. (15) Md ci où vepeontàv évi porno \éyeoga,, ‘òrmér èq Oxeavév TE ai ég TrmviSa Ty@iv attuano scr, visore, vati la sac Certo tutte le Cicladi, le isole più sacre che si trovano nel mare, sono degne di canto, ma per prima Delo vuole la gloria delle Muse, poiché Febo, dei canti protettore, me il cantore che non canta Pimpla hanno în odio le Muse,! così Febo chiunque tralasci di cantare Delo, A Delo ora offrirò parte del canto perché mi dia la gloria Apollo Cinzio se mi do cura della sua nutrice. flagellata dai flutti, non arabile, aperta più ai gabbiani che ai cavalli E il mare, intorno a lei, vasto nei vortici, sfrega e rigetta schiuma senza fine dell'onda icaria. Quindi l'abitarono i naviganti a pesca con l’arpione. Ma non può provocarle alcun rancore avere il primo posto: quando insieme verso l'Oceano e la titania Terhi Inno composto in onore della località che ha dato i natali alla divinità Apollo > l’isola di Delo. La lode di Gallimaco è rivolta a Delo che per prima ha dato i natali alla divinità. Si focalizza in particolar modo sulla vicenda dell’isola che prima di dare natali ad Apollo, era un'isola costretta a vagare sul mare Egeo senza avere salde radici nell’abisso e non portava il nome attuale di Delo. Oggi Delo invece sta immobile nel mare. 27 avere riservata per se una sola città, perché la sua casa sono i monti e scenderà nella città solo quando le donne la chiameranno in soccorso per proteggere i parti (altra sua prerogativa). E spiega che questo è stato dato a lei perché la madre nel partorirla non soffrì. dipao8a:, moXAàc Sè patnv gTavbocato Yelpac péxpic iva padozie. ratijp è' emtévevae YeAdaoac, Hi dé Katappélwv- ‘6TE pol ToLAOTA Béalval Tiktoiev, TUT@dv Kev È yo nArjpovoc “Hong (30) ywopéwng dAéyolpi. pépeu, TÉKOG, doo' EEN udc aitite, kai 8' dAa ram)p Éti peitova Sori. tpic Béka tor mtorieBpa Kai oùx Éva mipyov èracow, Tpic Séka tor ntorieBpa, tà im) Bedv dixAov égemv elcetai, dAXà pòvnv cè kai Apréusog KaAécogar (35) moMàc Sè Euvfî moria dialeTprcaodal NPECAÒYEWG VIDOUE TE: Kai èv danow Éoovtar ‘Apréuidog Bwpoi Te Kai dara. kai pèv dyuiaîg Eoon kai Mpévedav éniakoroc.' de è pèv cinuy pOBov EmEKprinve Kapijari. Baîve Sè koùpn (40) Aeukòv Émi Kpntaîov dpoc kekopnpévov Un, 8vBev ér 'Oxeavév: noAéac 6° èmeAégato viudac, a Tese invano la mano per sfiorarla. GCarezzandola: “Se mi partorissero Le dee creature simili, pochissima ur persico dr, che sidra Per gelosia. Le cose che mi chiedi E di cui ti accontentanti, eccoti, figlia. Altre cose più grandi darà il padre: Tenta it, nor una soa tore Trenta città ti donerò per giunta Che nessun altro dio celebreranno, Ma solo te, dicendosi di Artemide; Molte città sul continente ed isole Gon altri da dividere, ed in tutte Altari vi saranno per Artemide E boschi sacri, e tu sarai custode Delle strade e dei ponti”. Così detto Confermò con il capo le parole. E la fanciulla andò sul monte Bianco, Nell'isola di Creta, su cui crescono Chiome di boschi, e andò di i al'Oceano. Viene evidenziato un tratto di fanciulla: piccola Artemide che tenta di toccare con la mano, invano, le guance del padre. Segue la reazione di Zeus che accondiscende alla richieste della figlia, iniziando con una consacrazione delle buone indoli della figlia e aggiunge doni maggiori di quelli richiesti: non 1 ma 30 città e dice che Artemide avrà molti altari e boschi sacri e diventerà custode di strade e ponti. màoac eivéteac, nacac En malbac dpitpouc: xaîpe dè Kaiparoc notauòc péya, yaîpe sè Tn8uc, oùvexa Buyatépac Antwidi méumov duopRovc. (45) ale sè KuxAwrac petekiade- toÙc pèv #TeTIE vrjow vi Aimapn (Aimàpn véov, dAXà TOT” Eokev olvopuà oi MeAiyouvic) gr dkuoow 'Hbaiotoo #otadtac nepì pùòpov- rteiveto yàp péya Epyov- inneinv TetoKkovto Moceisàwvi moriotpnv. (50) ai voppai 6 E56e100v, bnwg Tbov aivà néàwpa mpnéow Oggaioow gorxòta (naar 6 Un èppùv dea pouvéyAnva adkei iva TeTpAPoziw Selvòv UmoyAabocovta) kai ènmote Soùmov dkovoav dikuovoc ixrigavroc énì péya movAù T' anpa (55) duodwv aut@v Te Bapùv otovov: ade yàp Aîtwn, Tutte di nove anni, tutte ancora Bambine che non portano cintura Ed il fiume Cerato era ben lieto E lieta Tethi, che le lora figlie Mandavano alla figlia di Letò Come compagne. raggiunse nell'isola di Lipari (oggi Lipari, Ma allora si chiamava Maligunide) Che stavano alle incudini di Efesto Intorno ad una massa incandescente. Un gran lavoro urgeva; fabbricavano un abbeveratolo per cavalli A Poseidon. Furono atterrite Le Ninfe nel vedere i mostri orrendi, Che parevano i vertici dell'Ossa E quando il suono cupo dellincudine Udirono echeggiare fortemente E il gran vento dai mantici soffiato E ili pesante ansimare ciel Ciclopi. 30 ale Sè Tpivaxpin Zixav@v #50c, ale Sè yeitwv ‘tradin, peydànv Sè Bonlv émi Kopvoc dite, ela" oive palotipac deipapevo: Umép pw î) xaAkòv Zeiovta Kapivéfev MÈ cifnpov (60) àporabic temÙmoviEc ènì péya puxBioceav. TO opéac aUk ETddagDav dikneéec 'Okeaviva: olt' avmnv ISéav oùTe KtUmOv olaoi SéxBar. où véuecic: keivouc ye kai ai paia unkéti TuTBai olsérot d@pikti paxapwv dpéwai Buyatpec. (65) dia STE Koupdwv TIC anertéa untépi TEÙXOL, urimp pèv KuxAwrrac éf) gr masi KaXiotpeî, “Agynv î) Eteporinv © Bè Sipatog ÈK puydTolo Epyetar Eppeing amositi Kexpiuévoc aidf- autika mv Kobpnv popydocetai, n bè TeKovone (70) Guvel f0w K6AmOUC Beliévn rt paeol Yelpac. Koùpa, cù Sè mpotépw mep, én tpémmpoc todca, La dea allora si allontana con le ninfe e va dai ciclopi, per farsi costruire le armi. E dei ciclopi viene fatta anche una descrizione: viene descritta la loro fucina, le loro azioni e il loro aspetto. Ne risonava l'Etna, la Trinacria Ne risonava, sede del Sicani, Ne risonava la vicina Italia E un gran rimbombo rimandava Cimo, Quando, i martelli alzando sulle spalle E battendo con ritmo ininterrotto, Dalla fornace, ll rame che bolliva Oil ferro, con gran forza sospiravano. Di vederli di fronte a ascoltare il cupo suono, senza avertimore. Non c'è da vergognarsi: anche le figlie Non più tanto piccine dei beati Non li vedono senza raccapriccio. Si mostra poco docile, la madre Va a chiamare | Ciclopi per a figlia. Arge e Sterbe. Si nasconde impaurita la bambina Nel seno della mamma, con le mani Davanti agli occhi Viene data una descrizione di questo luogo e dei suoi abitanti che vuole sottolineare come questi mostri erano degni di terrore, e le ninfe che seguivano Artemie erano infatti spaventate. E questo punto da l’occasione per una digressione, nella quale il poeta sottolinea come i ciclopi venissero chiamato in causa insieme con Ermete (col volto nero di cenere) quando si voleva redarguire una bambina o un figlio poco docile all'insegnamento della madre (immagine dell’uomo nero). E poco dopo si descrive infatti l’immagine della bambina che spaventata si nasconde nel ventre della madre tenendo le mani sugli occhi. In contrapposizione al timore delle ninfe e dei bambini difronte ai ciclopi, Artemide che pure è bambina, non ha timore nemmeno la prima volta che ha incontrato un essere mostruoso. alt’ gpoXev Ant ce per” dykaAiSeoa depovoa, “Haiotou KaAéovtoG érwe èrmipia soin, BpévreL de aTIBApoîov è pecdaLtvov yovateoo, (75) atteoc èKk peydidon Aaving sSpafao yaime, Aowac sè Bindi tò 5’ dtpIov £ioéti Kai vv duròc è vbpuaeica kdunv ereveiuar' dAtbrnE. TO paia Bapoarén ode tdSE MpPooEAÉgao Tuoc* (80) “Kixdwreg, poi ti KbSdviov ei 8' dye tOfov Né" ioùc Koinv te kataxAnisa Beréuvwv Tebfate- kai yàp éyò Antuide Gore ATOM UwY. ai 88 «° éyò TéÉoic povidv Sdkoc Î} Ti TÉAWwPOV Anpiov dypedow, tò 6é kev KukAwmec éSolev” (85) Evvenec- oi & èTéAsagav- idap E WbrmAiccao, Salpov. alpa 8 émî oxvAakag nd rec: ikeo abAlv ‘Apkasuv ém Mavéc. è Sè kpéa Auykòg éTaLve ‘presentarle i donì Efesto l'ivitava). poiché Bronte ancora adesso, Proprio al centro del petto, gli rimane Senza peli una zona, come quando S'insedia sulla testa l'alopecia E devasta la chioma di qualcuno. Alora. In questo mado ad essi i rivolse: “Ciclopi, fabbricate anche perme, Suvvia, qualche arco del Cidonii & i dardi Ed un concavo astuccio per le frecce. o pure sono figlia di Letà Come lo è Apollo. Se con l'arco a caccia Catturerò una belva solitaria. Gun animale di grandezza immane, | Giclopi l'avranno come pasto.” Dicesti, essi esequirono, ti armasti Rapidamente, dea. Subito dopo Andavi alla ricerca della muta. Tirecasti in Arcadia, nella grotta. Dove dimora Pan. Carne di lince, 31 E anzi ebbe l’ardire di traspare dal petto di Bronte un ciuffo di peli con forza senza ombra di paura. Natura impavida della dea. Tanto è vero che ancora la zona priva di peli rimane tale come quando si insedia l’alopecia sulla testa e devasta la chioma. Artemide si fa avanti e chiede ai ciclopi di forgiarle le armi e loro ubbidiscono, ed ecco che la dea va ad Arcadia verso la dimora di Pan. Mawading, iva oi Tokdsec Kivec eÎ50p #801ev. Tiv.6' ò vevenime Sio pèv kuvac iuiov minyovc, (90) tpeîc Sè mapovaiove, éva &' aidàov, cî pa Agovrac aurode al gplovrec, dTe Spdfavto Sepdwy, eDkov ém Qiovrag én' avdiov, érrtà & ESuxe 8dovovac alpduv Kuvogeupibac, ai pa 810601 iiota1 veBpobc TE Kai où pdovta Aaywév «ai koimy éAd@oro kai votpLoc Évda Kaluai anpijvai kai Copxòc én° iuov ri yrjoaoBa.. Eveev ànepyopévn (età kai kivec tosevovto) elpec énì mpopolfio' Speoc 100 Mappacioio axaipoioar EAdpovc, péya ti xpéoc- ai pèv ér' dx@nc (100) alév éBouxoXfovro peiouyridisoc Avalpou, pdogovec f) TAÙpOI, KEpdLIv 8° dmeXdIUmETO ypLObE- #fanivne 8' Eta@ée Te Kai dv noti @uuòv Benec- “TOÙTÒ Kev Apréui$oc mputaypiov div cin. Proveniente dal Menalo, tagliava, Perché le cagne di recente parto Potessero nutrirsi. A te il barbuto Dette due cani bianchi per metà, Tre rossieci, uno amacchie, che al covile I leoni perfino, ancora vivi, All'indietro riversi, sanno trarre, Conte zanne piantate dentro il collo. Cinosuridi, | cerbiatti a rincorrere e la lepre Che non chiude mai gli occhi e a segnalare Dove ha il giaciglio il cervo e i covi l'istrice. E a guidare sulle orme del capriolo. Di tà partita (e i cani ti seguivano), ‘Sul valichi montani del Parrasio. Qualcosa di grandioso: pascolavano Più maestose di tori, sempre a riva Del fiume Anauro dalla ghiaia nera Erlluceva l'oro della coma. Lo stupore ti colse all'improvviso E dicesti tra te: “Degna di Artemide Dove si procura la muta di cani che la accompagna: il corteggio della dea. Poi vede sul monte Parnaso delle cerve che saltellano e pensa che questa possa essere la sua prima caccia. E riesce ad aggiogare queste cerve che aggiogano il suo carro d’oro. név” Évav ai nica: nicupac 8’ #hec dia Bé0voa (105) véodi euvoSipopinc, iva to1 Bodv dipua depwar. “ny 8è piav KeAdSovroc Unép morapoîo gupoigav “Hpnc ewecinaw, dégdov ‘HparAft otepOv Spa yévorto, ndyog Kepiveiog ESExTO. “Apre Map@evin Trvoktove, yobora uévTo1 (110) Evrea kai Lbvn, ypooeov 6' éTebéao dippov, #v 8' éRalev ypuoeia, deri, Kepdseoai yodvé. mod dé ce tò nPOTOYV KEpdeIc dyoc iipfar' deipe; All énî Oprura, t68ev Bopéao Karùig Epyeta! dyAaivora Sucaéa kpupiòv diyovca. (115) noò 8' ETaJEG mevkMN, dirò SÈ dAoydc fipao roing: Mood év OUALumIW, pdeoc 8' évenkac dutpriv doféotou, TÒ Pa Natpòc dimootà ovo Kepauvoi. mocodki 5' dpyupéoio, Beri, nEIpriGao TEOU; np@rov Éni ntedénv, Tò Sé Sevrepov fixac émi Spov, (120) tò 1pitov aùt ni Biipa. tò rétparov oùkét téni Spovt, Erano cinque in tutto: quattro in corsa Ne catturarsi svelta senza cani, Perché il veloce carro ti portassero La sola che oltre il fiume Celadonte, Su consiglio di Era, fuggi via — per divenire poi una prova di Eracle — La ricevette il colle di Cerinio. Artemide Parteia, che di Tio Facesti strage, hai d'oro arco è cintura Ed attaccasti al giogo un carro d'oro E dove ti portò la prima volta Il carro di animali con le corna? porta un gelo Esiziale per chi non ha l mantello. E la fiaccola dove la tagliasti E a quale fiamma l'accendesti? Un alito Di fuoco producesti inestinguibie, Che sprigionano i fulmini del padre sull'Olimpo di Misia. E quante volte: Sperimentasti, dea, l'arco d'argento? La prima volta a un'olmo, la seconda: A una quercia mirasti, ad una belva: La terza volta, non contro una quercia 32 3- Efesto Efesto Omero, Iliade, XVIII 369-409 H@alotou &' cave Sopov Den dpyupéneta Gep@rtov demepdevta peranpent' aBautoo (370) y6Akcov, dv $' alrdg nONoaTo KLMonosiuv. tÒv 8' aUp' iSpibovta ÉNiaoduevov nei piva aneòbavta» tpimobac yùp ézik0@ ndvrac È TeUXEV ot bEvaI NEDÌ ToÎov UOTABEOc peyipoo, ypi0ra Sé ap’ Unò xbid.a Edera nuGuÉa BAKev, (375) pd ci aùnépano: Seiov Suoalar' dyva 6° alne node Saya veoiaro dadpa (5é0001. o 8° iiro1 16000 dv Sxov tÉX0c, obra 8' ol nuw Ba1S6Xea npooékerto TÀ è Îiprue, seme 8è Secuoix 6@p' 6 ye raf énovetto iSvino: npaniBcoo, (380) T6NA DI Eppodev ÎiA8E Bed Gen dpyuponeto. Ti)v Sè i5e npopododoa Xépig AmapoxpiSeuvog salvi, Tv Grue nepecduràe diudirutiere Ev 1° ipa ci dù Epi Enoc 1' E9ar' Ex 1° dvéuate tinte Oem ravonende ixdverc uétepov 6© (385) aiboîm Te ix Te; ndpoc ye pèv où n Bapiter. ME fai piede d'argento giunse alla casa d'Efesto,! indistruttibile, distinta fra gli immortali, ppzea, che da se stesso aveva fatto lo Zoppo. Jotrovò sudante, che girava tra i mantici, dalfarato; venti tripodi in una volta faceva, gollocare intorno alle parcti della sala ben costruita; d'oro poneva sotto ciascun piedistallo, hé da soli entrassero nell'assemblea divina, Rornassero a casa, meraviglia a vedersi. fin qui eran finiti, sa non ancora le anse mate v'erano; queste appunto faceva e forgi. da e cara? prima non ci venivi, seguimi avanti, che possa offrirti doni ospitali». dicendo la guidiò avanti la dea luminosa ll fece sedere sul trono a borchie d'argento, padorno: e Vera, sotto, lo sgabello pei piedi. inclito fabbro e disse parola: ‘vieni qua, Teti ha bisogno di te». parlò lo Storpio glorioso: DE i ape ga Ah terribile nume e venerando m'è in casa, In questo passo si fa cenno alla vicenda di Efesto che secondo un ramo della tradizione nacque addirittura dalla sola Era. Il racconto viene compiuto dalla stessa divinità che ricorda quell’episodio della sua nascita sfortunata perché al suo seguito (lui contrasse un debito di riconoscenza verso) la ninfa marina Teti che si reca presso la casa di Efesto per chiedere aiuto e lui accetta proprio perché in passato è stata a sua volta benevola nei confronti di Efesto bambino. Il passo si apre con l’arrivo di Teti presso la casa di Efesto e Afrodite e viene fatta sedere su un trono con borchie d’argento. E chiamato da Afrodite giunge Efesto che ricorda subito il suo debito di riconoscenza. “Ne dpa quwicaza mpdow dive Sa Beduv. iv pév Emerta caBeîoev éri Bpdvov dpuporAou xalod dabadtou: Unò dè Gpijvuc noolv fev. (890) uéxdeto 8 “Hoparotov Kutoté Xv eÎné re pùgov: “Hate npépod' bée- Qénc vò n oeîo yariter che mi salvò, quando lo strazio mi possedeva, rv 8 ir Enna nepuude dnep: di cagna, che mi voleva #66 vò por Ser re a ion Geòx Év60v, e avrei patito scrazi FI 1} sodo! rep dipoc dgicero te neabvra (995) x Eurnomee Tei nonmiacogienmo nc seno dl rtpÒe Gi im amibmboc, i ' SRI Eurinome, la figlia d'Oceano, che scorre all'indieta] vpi xuddv #bvta: T6T' div ndBov dAyea BUNO, ci più p' EdpuvGun Te Oéne @° UmeSégaro ndAmw Presso di loro nove anni foggiai molte artistiche fibbie e braccialetti ricurvi, e monili e collane, Ebpuvéun Buyimp dipoppéou reavoîo. nello speco profondo; intorno la corrente d'Oceano! Tia nop' eivieree Xiao Golfaka noXdò, | (400) correva infinita e spumeggiando scrosciava: nessuno 6 pMAG TE YvaETÀe 6° Blue GALA Te HaÌ dppove sapeva questo fra i numi e neppure fra gli vominî, Ev onii Yrapupd- ncpi Sè pS0g Oxcavoto ma Taisepor cd urine, che mi sbarono. dp popuopuv déev domerog: oUSÉ mc dor Ella viene ora nella mia casa; è grande fiscev oe Bedv oLte Bury dvBpionuv, a darà Gente Kai Eupundym loav, ai p' èodwoav. (405) Tu, dunque, ponile accanto bei doni ospi Îì vov muérepov Sbpov iker nù pe pda ped io mantici e attrezzi metterò tutti in ordine». nidvta Oén xaimoxduy (pdypia river. AAA gÙ uév vOv ci mapdbec fari add, Bébp' div dvi dine dmoBicionai SmAA Te mévta. Efesto rimprovera la madre che l’ha cacciato dall’Olimpo perché era zoppo e voleva nasconderlo, e ha potuto salvarsi solo grazie all'accoglienza di Eurinome e Teti. Presso di loro forgiò tantissime cose di ingegno ed abilità, fino all’età di 9 anni. Nessuno sapeva questo tra gli uomini, se non loro due; e ora ha dovere di ripagare il favore. Dopo essersi scambiati i doni (rito tradizionale), Teti chiederà ad Efesto di forgiare le armi di Achille. 35 1°Dicembre Atena, Pindaro, Olimpiche 7,33-51 TÒ pèv è xpuooképac eù- A lui il dio dall'aurea chioma . LE Aff a Dal recesso odoroso prescrisse tibeos FE Giro vai nAGov (82) La giusta otta cele navi eine Aspvaiac ar’ dktàc Dal lido di Lema EUBÙv Èc dupiBAaccov vopdv, (33) Al pascolo cinto dal mare, Eva rotè B'péye Bedv PaoAeùc ò péyac Dove un giomo ll grande re degli di Faceva piovere sulla città ypuoéarc v@dbeao nédv, (34) Fiocchi di neve dorata, a sese T6poc AGavaia xopupdv Kar fispav (86) Lana fui forio di guera. Oupavòc &' p'piéé viv kai ala pamp. ‘TOTE Kai pavoiuBporoc Saipuwv Yrepiovibag uéMov Evremev duAGEaofal ypéoc (40) naidiv pixoe, Allora il dio figlio d'Iperone Che di la luce ai mortali Atena e Dioniso erano nati rispettivamente dalla testa e dalla coscia di Zeus. L’olimpica ha un suo sviluppo relativo all’elogio del vincitore, in questo agone atletico; in questi versi si ritrova la vicenda di Atena. Pindaro era un esponente della poesia corale arcaica, inno scritto in occasione di agoni in questo caso atletici. In questi inni che di norma elogiano il vincitore, buona parte viene lasciata al ricordo e narrazione del mito a cui spesso Pindaro semplicemente allude, come in questo caso. Racconto della nascita di Atena, per le arti di Efesto con la scura di bronzo, Atena è balzata fuori dalla testa (sommità) del padre. Gridò con un urlo forte (urlo di guerra), quindi Atena secondo la tradizione è nata direttamente dalla testa di Zeus. 6 div Bed MPGITO! KTICAIEV Bwpòv Evapyéa, kai ceLvàv Buciav Bépevor (42) mar pi re Bupòv iavai- evk6pa 1° EmeiBpouu. Èv 8' dperdv (43) EBadev kai xppar avepunorai npopaBéog alb n pv Paiver n xaî AdBag dmexpapra vépog, (45) Kai rapfAkei mpayuémwv èpdàv dbbv al toî yàp aiBoioac Exovteg anépu' avéfav dhoyàc ol. tefav 5' ambporc iepoîc (48) dA dog év dx pordhe. kei vorai pèv EavBàv dyaydv vedéAav {Zeùc} (49) moAùv oe x'puodv- aùtà SÉ apiov damave Téxvav (50) nàoav ny doviuv Mauk- @ric dpiotondvere Xepoì x'pargîv. (51) innalzare per primi ala dea Un altare splendente E, istituito l rito venerabile Del sacrificio, placare l'animo All pacire e alla vergine lancia il tuono. Arreca agli uomini virtù e gioia Il rispetto per chi prevede. Tuttavia sopraggiunge imprevista Anche la nube dell'oblio. TE svia dalla mente Il diritto corso alle azioni. E così salirono senza avere Ilsome della fiamma ardente, IE fondarono ll tempio sulla rocca Gon sacrifici senza fuoco. Addensata su essi una nuvola bionda Egli piove molto oro KE la stessa Giaucopide concesse loro DI superare con mani industriose In ogni arte i mortali. La glaucopide, epiteto di Atena, concesse di superare in ogni arte (con le mani industriose/laboriose) in ogni arte i mortali. La sua opera è presiedere alle arti, frutto dell’ingegno umano. 36 5- Atena Luciano, Dialoghi degli dèi, 8 (13 Macleod) HOAIETOE Ti pe, © Zed, Sei moieiv; fw Yap, de ExÉAevoac, fxuv tòv nÉexuv dEbTATOv, ei Kai AiBovg SÉ01 più MANY Biareueîv. ZEVE EÙ ye, d “Hate: dXAd diedé ov mv keparnv sic dio saTEVEYRLV. HOAISTOX Newpà pou, ci péunva; npdotatte 8 olv dAndèc Gneo BEE 001 yevéoBaL. ZEYE TodTo astò, Sialpe8fivai por ò Kpaviov: si Sè ame@rveie, où vv npeTOv dpyCouévou neipdon ov. dXià ypil xaBikveîodai ravrì Tp Bup@ undè peMewandMuya yap UNÒ tiv dobivuv, ai or tòv E yepaov dvaotpÉpovov. EFESTO Che devo fare, o Zeus? Io sono venuto, tia hai comandato, buon che, se fosse necessario, a spezzare delle pietre co] colpo solo. zEUS Benissimo, 0 Efesto. EFESTO Mi tenti per vedere se sono impazzito? “dunque qualche altra cosa che vuoi che ti faccia. Proprio questo, che mi spacchi il cranio: se disubbidirai, non sarà questa la prima volta che rimenterai la mia collera.! Occorre calare il colpo) la massima energia e senza indugiare: muoio dalle glie? che mi Tutto il dialogo è basato sul racconto di questa strana nascita, quasi una messa in scena questo dialogo tra Zeus ed Efesto. Con Luciano si parla di prosa in epoca imperiale, e in questo caso si tratta dei “Dialoghi degli dèi”. Efesto è arrivato da Zeus con l’ascia più tagliente (la lama più sottile); Zeus allora gli dice di dividergli la testa in due. Efesto tentenna, temendo che sia un tranello, ma Zeus vuole quello: che Efesto gli colpisca il cervello, preso da dolorose voglie, se non vuole essere colpito dalla collera (minaccia). HOAIETOS “Opa, d Zed, pi xax6v ni noriowuev- dEÙc vàp è médexde éon Kai oÙK avaluri 0USÈ Katà tiv Ei fguiav pardoetai ce. zEevE Karéveyke pbvov, d "Hoaiore, Bappiv: ol5a vàp éviù tò abudepov. H®AIETOS Katoigw Ti ydp XoT) mOIEÎV 000 KEAELOVTOGI TI TOÙTO; KOpN Evordoc; péya, ò Ze0, kaxdv sixec év TT) KedaXf- cikétwe yoov 6608vpoc oa miKkabmv Unò TÀv pijvyya napfévov woyovav xai taOTa Evortov: îj mou otpaTonESOv, OÙ KedaXmv MENSE Exuv. i) Sè rin6a xaî nuppyiTer kai mv doniba tiviooa Kai rò Sòpu node kai évBovarà Kai Tò péyiotov, KaAm mAvu Kai akpaia veveuntar SA év Bpayet: YAaux@ric pév, aXXà Kooueî todTO i) Képuc. ate, è Zed, paiutpà por amésoc yyuricac n auriv. zZevE ‘ASivata aiteîc, è “Hpaiote: napgévoc yàp del S0eX1oe1 peven. ey 6 olivTÒ YE én° éuoi OUGÈY GvdÉjw. HOAILTOZ Todr éRouAbunv- éuoì errori rà Aornà, kai tn cuvapridow ai. ZEYE El gol ddi1ov, oùw noie:: rAriv alba dn aSuvdtwv É pdc. EFESTO ” Bada, 0 Zeus, che non facciamo qualche lascia e non ti farà partorire senza né alla maniera di lira ZEUS festo, pensa a calare il colpo, e non ti s0 io ciò che mi conviene. EFESTO he si deve quando dai un ordine? Che è questa? Una fanci mata? Un @RORGIIMIIARE i nel capo, 0 Zeus! ben naturale che fossi irritabile, portando viva meningi una tale fanciulla, e per di più armata. saperlo avevi un accampamento in luogo della Ed ora salta, danza la pirrica agita lo scudo, lancia, è piena d’ardore e, cosa più importante di ha raggiunto in breve tempo il fiore delletà e della Jezza: ma l’elmo così l'adorna. In conclusione, o Zeus, pagani la mi sistenza al parto fidanzandola fin d'ora a me z£us Chiedi una cosa impossibile, 0 Efesto, giacché rà rimanere sempre vergine. lo, per quel che dij da me, non mi oppongo. Questo volevo: al resto penserò io e me la re rà subito. Seti riesce, fa’ pure; ma io so che desideri una co. ‘ga impossibile. Efesto gli dice che sarà un parto un po” particolare e doloroso, ma Zeus gli dice di non pensarci e di scagliare il colpo. Quello che esce è una fanciulla tutta in armi, una giovane armata. Motto arguto: senza saperlo avevi un accampamento in luogo della testa. Atena appena nata salta, danza la pirrica (danza di guerra sul corpo del nemico ucciso), agita lo scudo, ma soprattutto ha raggiunto la sua bellezza 8con i suoi occhi vividi, adornata con l’elmo), (descrizione di come è nata), ed Efesto allora come ricompensa la chiede come fidanzata. Ma Zeus gli dice che è impossibile dato che Atena (senza suo volere) vorrà rimanere vergine. Armata= dea della guerra + Testa di Zeus= presiede alle arti. 37 8- Dioniso Nonno di Panopoli, Dionisiache, VI 145-210 ‘audi 6è kapyapéovta yévuv nendunto cidripov (145) eipokòup gaivovoa nepi ktevi Arvea koùpn, mMakdm 5' evidiore: noALOTPA@ASEDA1 Sè pimaîc siMv@6tv dnpartog EN Batdppov naXpd undopévuv éx6peve pituv KUAodpEvOG 6dk@- Kai noci dorraAgoiai nadivSpopoc dikpov dn’ dikpov (150) nipwronayf noinoe Sidopata, papeoc dipyriv, iot@ 8 auic ENogev- parve Sè kepkiSi koùpn Tnviov #8fxovoa mapèx pitov, dui 6è nem» Intanto la fanciulla [Persefone] carda la lana e sii intorno al pettine! simile ad una mascella metallica ect api avvolgendo i fili intorno alla conocchia; sotto un it parc il fuso danza, girando con salti cadenzati, avviluppato dalle spire dei fili Ds si o] E muovendo i piedi avanti e indietro da un'esti allaltre AA forma le prime trame, l’inizio di un velo, vvolgendole ai due lati del telaio; la fanciulla lavori la spola, tirando il rocchetto lungo il filo; intorno a questa: Un passo di Nonno di Panopoli, al VI libro di 48 quindi ancora all’inizio dell’opera. Mostra anche come spesso la tradizione del mito è una tradizione inquinata, ed in questo caso, per esempio, la figura di Dioniso viene ad assimilarsi a quella del figlio di Persefone e di Zeus, viene meno il rapporto Semele e Zeus. Si cerca di mettere insieme i due aspetti del mito, per cercare di spiegare perché ci fossero tradizioni differenti. Dalla morte di questo figlio scaturisce la figura di Dioniso, il dio che è capace di mutare di forma e si presenta sotto tanti aspetti. Inizia con la descrizione di Persefone (viene descritto anche il modo di tessere, presieduta dalla sorella Atena). yvunijv istotéAeIav Èv ÉAiyanvev ABfvnyv. mapeéve Meporpovzia, aù 8' où yàpov eUpec dAbfar, (155) did Eparovesionv evwppedeng Lpevaioie, Zeùc dTE MOLALÉNIKTOG dpeiouévoo mpoOtDOU vuudioc iuepdevn Spaxwy kudoduevoc dò sic puxdv dp@pvaioio Sitonye rapfevedvoc, ariuv Sau\à yévea: napiotauevwv Sè Aupétp@ (160) Eivaoev IGOTUNUIV NEDOBNUÉVOY Up SPAKGUTUY .... Kai yapiaic yevdeaai Séuac Ayudleto Kkovpne peiuyoc. aiBepiuv SÈ Spakoviziuv Upevaiuv (164) Mepos@évng yovdevn téKkq Kupaivero yaotip, (168) Zaypéa yevapévn, «epéev Bpépoc, dc Aide É5pNC (165) uoòvoc émoupavine éneBhvaro, xeipi Sè Bari datepormv EXÉNITE- venyevéoc Sè dopijoc vmiayorc naXaunow ÉXappiCovto Kepauvoi. aUbè Aròc Bpévov iyev éri ypévov: aXAd È yop KepSaAén pioBévEG énikdona kira npociimov (170) Salpovog dotpyoio 6A Papupriviog "Hong Taprapin Tirivec #6nAricavTo paxcipn dvrmint véBov sÎ60g dminEDOVTA KaTOnTp". Jun canto per sua sorella Atena, che presiede alla tessitura. piatti che Zeus, mutatosi in un serpente sinuoso? o in amorose spire, come uno sposo sa nei bui recessi della tua camera verginale, do le mascelle squamose; quanto ai dragoni suoi ‘simili ts000 di guardia alla porta, nel passare li addormenta. gicemente lecca il corpo della fanciulla sua bocca di sposo. Per l'unione con il serpente cleste pptre di Persefone si gonfia d'un frutto fecondo era Zagreo, bambino munito di corna, che sale, lui solo, ono celeste di Zeus; con la sua piccola mano tl fulmine, è nelle mani puerili neonato che si librano le saette.” cn occupa per molto il trono di Zeus, perché i Titani, i, cosparso il volto con del gesso ingannatore, ‘dalla rabbia profonda e spietata di Era,* idono con un pugnale venuto dal Tartaro, re guardava la sua falsa immagine riflessa nello specchio. Persefone si unisce ad un serpente, la forma in cui Zeus si presenta a lei. Viene poi narrata la loro unione. Il ventre di Persefone si gonfia e genera Zagreo, correlato con la figura di Dioniso (uno dei suoi epiteti). Un bambino munito di corna che attenta al trono di Zeus, usando anche quelle che sono le prerogative di Zeus. Ma non lo occupò per molto perché i Titani, cosparso il volto dal gesso ingannatore, spinti da Era lo uccidono con un pugnale proveniente dal Tartaro, mentre si guardava allo specchio (preso dal mito di Narciso). Ev0a Syatopévwv peréuv Turi abripw Téppa Biou Albvuooc Éxuwv madivaypetov dpymv (175) dopu poppooto norvamepèc eidoc dpeiBwv, nifi pèv dite Kpovi&ne 56A10g véoc alyiba aciuv, Mote moAouoppov Énv Bpépoc, dNAote Koopw glikeAoc DIOTPNBEVTI, véov dé vi dvBoc ioLAwv (180) dkpoxeaiduyta KaTÉypade kokda npocwrou mifi Sè yOXw BaonAfiti Aétwv piprdòg iGAAwv dpxadéov Bpoynua ceonpoTi paiveTo Aaluò, òpB%Iac MUKIVTai KatdoKiov aUyéva Yalta, audereAiTopévn Aaciotpi{oc Upoai votov (185) aùtopàm pdotiyi nepiotituwv dépag oupîi. È va Aeovteioro Amy ivisa)ua nipoownov UNaédw xpeuetiouòv duoilov ÉBpeuev inmw dluyi, yadpov OSévta petoxpaZova xaAivod, Kai noNd Aeukave neprtpifuwv yévuv d@p@- (190) More poitnevia xéwy cupiyuòv Umrivne . fe dodicon Sodano 1) some, YA@davay èxuv mpofiNrita Kexnvotoc dvBepe@voc, xal Biocupd Tmivoc éncoripmoe Kopriv» Souov Exbwievra nepinokoy aiyév éioac: (195) xai Sépac #prinottjpoc deidivntov #a00ag i00@uic, oTOpATUV SÈ véBov purnduòv ix uv AnvoXén Trmjvag dveotUpENEE Kepain. Kai puxiic npopaxitev, Éwc CMAfipovi Maud (200) TpryeAS0v piuma 8 Népoc Rpeev "Hpn, aidépiov eXdSnua nuda: xavayiZov 'OXGumov, rai Bpagùc dirhace rabpoc- dpoifain Sè dowiec taupodufi Aibvuoov éuotiNAovto paxaipn. (205) Zeùc 6è namip, mpOTÉ POLO Scitopévou diovicov pntépa Timivuv ÉXdgac TomTOpI muPod Zaypéog eùkepdioio karexdijioe povjac Taprapip nuAedu. (20) che le sue membra sono dilaniate dal ferro titano, ia natura e si trasforma in molti esseri diversi: il Cronide, giovane uso agli inganni, scuote l'egida; Crono, vecchio appesantito sulle ginocchia, scaglia la pioggia; in queste trasformazioni è un neonato, talvolta assomiglia ad un adolescente in amore, a cui la prima barba adombra con i suoi segni i contorni del volto.$ Ora imita un leone che in preda ad una rabbia spalanca la bocca e incute terrore con i suoi folli drizzato il collo a cui fa ombra una folta criniera, segna il corpo con quella frusta animata che è la che si muove da una parte e dall'altra della schiena Lasciato poi l'aspetto del leone, fa sentire un nitrito — è simile ora ad un cavallo i dall’alta criniera, che tenta di rimuovere il dente dell morso prepotente; e a forza di morsicarlo, imbratta la mascella di una biancastra. Dioniso intanto ,essendo il dio multiforme, fa della fine una rinascita (aspetto caratterizzante del dio che viene qui portato all’estremo nella sua capacità di assumere varie forme). A volte emettendo dalla gorgia un sibilo stridente, si slancia allora sulla testa terribile di un titano, legandogli attorno al collo una soffocante collana serpigna. Lascia pei l'aspetto del serpente ei suoi contor per diventare una tigre con il corpo maculato; a simile ad un toro colpisce i Titani con le corna appuntite, mentre manda dalla bocca un falso muggito. È la sfida di un'anima, finché Era con l'ira cattiva matrigna fa risuonare nell'aria un terribile grido dalla gola 'unisono con la dea ipo strepitano e il rumore si un colpo di pugnale dopo l’altro, fanno a pezzi in forma di toro” Zeus padre allora riconoscendo l'ombra del primo Dioniso ucciso, riflessa nell’inganno dello! specchio, ver colpito con il fulmine la madre dei Titani per. ‘gendetta, — gli uccisori di Zagreo dalle belle corna Je porte del Tartaro.* Dioniso viene ucciso in forma di toro, e Zeus si vendica che riconosce il figlio Zagreo nel toro ucciso. Sovrapposizione fra le due figure. Tutto quello aspetto così narrato da Euripide fino a Luciano, viene meno e la vicenda narrata dal nostro Nonno di Panopoli diventa molto più complessa che tenta di spiegare questo rapporto tra Dioniso e Zagreo partendo dal fatto che effettivamente Zagreo era uno degli epiteti affiancati alla divinità; e dando grande valore all’aspetto di Dioniso di trarre forza dalla morte, diventando capace di cambiare forme. Contenendo inoltre anche elementi di altri miti come quello di Narciso. Il mito subisce (qui nel V sec. d.C.) una serie di variazioni che arrivano a modificare il mito stesso. 41 Zeus Reae NASCITA Nascita Esiodo, Teogonia, vv. 453-506 cà da Con genò sini gi: Esta e ema ed Era san ‘oro, e il possente Ade, che abita nel profondo del suolo e ha un cuore spietato e Poseidone che scuote la terra, e Zeus sapiente, padre degli dèi e degli uomini, sotto il cui tuono vibra l'empia terra. Ma appena dal ventre della sacra madre scendevano alle sue ginocchia il grande aveva questo pensiero perché nessuno dei nobili i Urano conquistasse il trono e l'onore regale: aveva appreso da Gea e da Urano stellato che per quanto potente era destino che fosse vinto dal figlio, per volontà del grande Zeus. Perciò non faceva la guardia da cieco, ma sospettoso inghiottiva i suoi figli e Rea provava un immenso dolore. Ma quando fu prossima al parto di Zeus, padre degli dèi e degli uomini, pregò i suoi genitori, Gea e Urano stellato, di consigliarie un'astuzia per generare in segreto il figliolo @ compiere la vendetta voluta dalle Erinni per il padre e peri figli, che il grande Crono dagli occhi obliqui pensieri aveva inghiottito. ‘Pin dè Sundeica Kpéwp tÉKE Qaibia réxva, “lorinv Afhuntpa kai “Hnv xpuoonésuov, t9Qu6v T° Aibnv, dc UnÒ yBovi Siopata vaiei. (455) vete Îitop Exuv, kai épixtunov 'Evvociyatov, Ziva te pamdevra, Gedv naméo' bè kai dvépav, “t0Ù kai Umò Bpoveric neAepiteta: eUpela yGov. ai toùc pèv katémive peyac Kpévoc, ic rc Éxaotog vnSbdoc èE iepîic untpòc npòc YobvaB' ikorto, (460) “TÀ @povéwv, iva pri nic dyaudv OUpavibvuv 600€ èv dBavitorov Ex01 Baadniba turiv. mebBero yàp l'ainc te Kai Opavoò aotepdevroc ‘oùvexà oi nénpuro è Unò naisì Sapfivai, ai xpatepò nep èévn, Aiòg peytiou Sià PovAdc. (465) 1@d y dp" cur GAaooxomiv Eyev, dà Boxeduv naibac goùc raténive: ‘Pénv 6 $xe névdoc dA aorov. dA Ste Bi) Al EueMe Bedv narép' héè kai avipov ‘Té&200a1, 161° Énerta ilovc Ardveve oxiiac “Toùc aumtiG, l'aîdv TE Kai Oupavòv dorepdevta, (470) urinv cvp@piovaoBar, énwe AeXaBorto TeKodoa naîba giov, teicatto 6' épivog matpÀc éoîo naisuv <0> ode Karémve péyac Kpévoc dy«uXoyime. Crono Estia, Demetra, Era dai sandali d’oro, il possente Ade, (Urano — Crono — Zeus) generarono figli Poseidone e Zeus, padre degli dei e degli uomini. Ma appena Rea partoriva, Crono li inghiottiva per far si che nessuno avrebbe preso il trono, ma sapeva che era destino che Zeus vincesse il trono, secondo quello che Gea ed Urano gli avevano detto. E Rea provava un dolore indicibile. Rea pensa allora ad un inganno, quando era incinta di Zeus, e prega ai suoi 10L6è Gorni GO pv sd E bor. vai negposérme. 600 cp ntnguo toto: (479) dpi pb ion voi ii maprepchie ipa È Alco, Koi be riva bi drm oinoe ain Ave rent, vo bra rev pv ol toro l'aa mb Not be ipa peotsev deralAbusa re (680) 0 porro pongo dtd ona par, NOI BE ino np E È oi lado tp iv Co din ni o Aol tv bper nerimoopép ev. 10 bt onappovisnna vor av dev (485) Obpavit ty va, di pone Pari nd n iv eps e Contee i ortdoc. 008 eine per uo, Gc i nia ii i 0 tn n eine, 6 ur dhe Bi a ego Samb (400) st ELE, 0 Év Mavi dote spal & dp Enea pos qa e vo dive en nà ang twcoina noluppeleran doi ue dp te pe po eta. (498) vole riso ini e noce. ndnov O elfinoc Nor niro naro rd ade ore nà hoc cipuoleie (Te o” per tono Soda Bri porci. 100) oe è nerpocaomeinose di inò fenin. E quelli dettar ascolto alla figlia, l'accontentarono e le consigliarono ciò che poi si sarebbe compiuto per il re Crono e per suo figlio infallibili: quando Rea diede alla luce l'ultimogeni inviarono a Lifto, Gea immensa lo accolse nella grande Creta crescesse e fosse allevato. UU giunse Rea. portandolo veloce nella notte più buia dapprima a Lilto, e stringendolo in braccio lo nascose in una grotta, dentro le viscere della terra divina, sul monte Egeo coperto di fitte foreste. AI io di Urano, primo re degli dii aL ato ale foga a lo, è non comprese che al posto del sasso era rimasto in vita suo vi suo figlio, invincibile e salvo, che presto l'avrebbe domato con la forza delle braccia e l'avrebbe scacciato dal trono per regnare sopra gli € al compiersi del tempo Crono e vinto dalle arti vomitò il sasso che aveva trangugiato per ultimo, e Zeus lo piantò sopra la terra dagli ampi cammini nella splendida Pito, sotto le balze del Pamaso, perché fosse un meraviglia per gli uomini mortali. del padre, i figli di Urano, che il sua incatenato, ed essi si ricordarono del beneficio e gli donarono in ‘cambio il tuono, la folgore abbagliante e il fulmine, che Gea sremanca eva neces froci quel jr i i agi De genitori di aiutarla a trovare un inganno per poter partorire in segreto Zeus e compiere la vendetta voluta dalle Erinni (le divinità che presiedono alla vendetta familiare). Soluzione: Rea darà a Urano una pietra da inghiottire al posto del figlio e questo invece verrà portato lontano e fatto crescere in disparte. I genitori consigliarono infatti la figlia. Quando Rea partorì venne mandata a Creta e Gea la accolse così che il figlio potesse essere allevato. Rea partorisce Zeus a Creta e poi offre a Urano una pietra avvolta in fasce e lui sciocco non se ne accorse. Cresciuto Zeus ha la meglio su Crono e lo costringe a rigettare la pietra ai piedi del Parnaso e liberò i fratelli che li donarono in cambio il tuono e il fulmine. 42 Passa a descrivere le prerogative di Zeus: il potere su tutti gli uomini e gli dei. E parte da una confutazione, è tradizione che non erano per niente veritieri gli antichi aedi quando dicevano che ai tre figli fu assegnata la sede in sort : Olimpo, Mare e Terra e Ade. Questa idea che le tre sedi furono determinate dalla sorte era falsa perché sarebbe stato un sorteggio impari. Zeus divenne dio degli dei per la sua dimostrazione di forza, grazie anche alla quale gli altri fratelli ebbero di nuovo la vita. Lo stesso Zeus si è aggiudicato l’Olimpo mostrandosi superiore. Per annunciare i suoi prodigi ha poi scelto l’uccello più elevato: l’aquila. Tscgii ci E, TSE ‘uomo terra e l'esperto di lancia e il rematore ud ogni altro uomo. Cosa può sfuggire rode, di Un vetpa vsubpoc. di pie alga, a chi por E n cavi br o cate di Efesto, i combat Svipéme, dv névia 18 où «partovrog in' op; (78) TA adria yalkiiac uv biciouev Hoaioto:o, fu i chitone e, cro Febo, tumarde 8° ‘Apnoc, enaemipax Sè Xmivne Shi ben conce cani dela, _ AprbuGox, Do] BÈ inceù iborac aloe Foa nia dro pre ate per questo od assegnati loro dinbropoe vci i piva Mit 180) Get i castodia e in alt sulle rocche ‘S0xae Sè mToAISBRA duAnaobev, Iso 8' aUTde delle città sedest a vigilare ti su chi comanda coa oblique leggi dispo” èv nohicoom, endpIEG ol Te Simo su chi fail contrario, E li colmasei Aady und oxodia' ol 1 Ema diopulemza e fortuna pese Snai ct Ev 8 Gig Spor ma non in egual modo. Hai ritenui dimettere alla prova l nostro re. er eb nepmpè vo cid eb Sepe mi par Ho n Cere teo dome pe vel 1 vio rl tamépioc tà péyioTa, tà priova 8. eùte vorion. Per una cosa agli altri occorre un anno ‘i dè tà pèv mem, tà &' où ivi, tov &' dimò néumav per altre più d'un anno, dalire ancora rd dm è 4 è è tu stesso ostacolasti l compimento, ‘altàc dv did levvac, suisdiaorac Sè pevonty, (90) siero. Sire ade, fonte di letizia. chi mai potrà cantare? ‘90 véver, ou Eorar tic kev Aide foyer diver: MITE asa pad no cli alpe, natep, xalp' al: dida d' dperiiv 1 dpevde Te, Chi può cantare le pere di Zeus? Salve, padre, di nuovo ti saluto i deri rp Dif inioma ipo n 9 Dacci vite ricchezza. La fortuna senza virtù nom può innalzare l'uomo 6 alè la virtù senza ricchezza. E poi Zeus ha distribuito le sedi agli altri dei. E l’inno si conclude con il saluto finale alla divinità e la richiesta di essere propizio (strutta tipica dell'inno). 45 Pausania, Periegesi della Grecia, V 7,6-10 6) tadta pèv Sì éxer tpértov tv sipnpévov: È Sè tòv dy@va tv 'OXupriuòv Aéyovow "Hieiwv oi tà dpyaiétata pvrpovevovtec Kpévov niv év oUpavò ayetv Baareiav mpatov kaî év 'OXvpria rongfiva Kpévw vaòv Umò TAV TOTE AvVOpWmUWY, oî bvoudtovio TuumOnv Kai ‘Iaordv TE Kai Sè ‘HpaxAéa maitovta—eivar yàp Si aUtòv mpeootatov MAkia— Per quanto conceme l'agone olimpico, quelli degli Eleî che ricordano le più antiche vicende! dicono che dap» prima deteneva il regno celeste Crono e che a Crono fu costruito in Olimpia un tempio da parte degli uomini di allora, che erano chiamati la stirpe aurea; affidò la custodia del fanciullo ai Dattii Idei, detti anche questi - Eracle, Peoneo, Epimede, Iaso e Ida - giunserotdili!dardiGretiziEracle, che era il più anziano, Qui ci si trova con la prosa, l'elemento interessante è che in questo caso si ripropone la tradizione della nascita e dell’infanzia cretese di Zeus. Toma la figura dei Cureti, che vengono presentati per nome in questo testo. Soffermandosi in particolare su Eracle Ideo. ouuParsiv todc dbsApouc èc duhav Spopov kai tv vucrigavta LE aUt@v KAdSl oTE@AvDDAI KOTIVov: Mapeiva Sè abtoîg noAÙv Sf n oUrw TÀv Konvov bc TÀ XAWPÀ ET TOV db Awv UmeatRROBAI addi KaBebdovTag, Kopia@fva: dè ek TE YmEpRopéw ig TOV KOTVOV QIA UmÒ TOD ‘HpaxAéove éc “ENAnvac, siva SÈ avepirove ol Unép tdv Avepiov ciali tòv Bopéav, (8) npdiroc pv èv vp t@ dc Axailav aroinoev Liv Almoc dguto6a1 TÀY Axariav $c Adov SK TAV YNEPRORÉUV TOUTE: Enerta 6è d»6v Merdvwnog Kupatog éc *Onv kai ‘Exagpynv Îioew, ac éK 1@v YnepBopéwv kai alta nPÉTEPOv Eni mic Axaiac G@iKovTo [kai] £6 (9) AMov Apioréac <bè> [yàp] è Mpokouwioiog —bviynv <vàp> éroricato YrepBopéwy raî obtoc—rAXa i Kai MAéov riepi aUt@v nenvopévog <àv> cin napà Igonsévuv, éc ada Uv 160iq TO Kpoi (9 i uvoBETaaI daav Morte AbyovtaL kai dt AnbMuv napaspanoi uèv épitovra Epuiy, xpatfjoai dè “Apewc nuyii. Tobrou dè £vexa xai tò alinpa Tò MuBihv boo td naSfuan ereivardiva tov nievedBAwv, dg TÒ pv lepdu 100 AméMuvog Tè aUAnpa du, ròv ‘Anéiiuva SÈ dvnpnpévov ‘ONupriàc vikac. fer gioco tece competere 1 tratett n una gara ci corsa e Errorand il vincitore con una ghirlanda di oleastro:' ave vano infatti così grande abbondanza di oleastro che con Je foglie verdi facevano dei giacigli per dormire. Dicono chellolcastro era stato portato ai Greci da Eracle dal pae se degli Iperborei, e che questi sono uomini che abitano oltre la zona dalla quale viene il vento Borca. Fu il licio Olene, nell'inno ad Acheia, il primo a far giungere da questi Iperborci l'Acheia a Delo, mentre Melanopo di Cuma cantò in un'ode a Opi e Ecaerge che — anche queste dagli Iperborci — giunsero precedente- mente presso l'Acheia e a Delo; Aristea di Proconneso fece infatti menzione di Iperborei, e questi doveva essere informato in modo anche migliore intorno a essi da parte esso i quali dice nei suoi versi di essere tab che avesse luogo ogni quinto anno, momento che lui ei fratelli erano in tutto cinque. Alcuni dicono Jlostesso Crono per ARTO tere, altri che egli ab ‘bia organizzato puanti ‘erano stati da lui sottomessi; si narra che anche altri dèi vi abbiano riportato vittorie e in particolare che Apollo visuperò Ermesin gara nella corsa, Ares nel pugilato. È.a motivo di cià, dicono, che la sonata di flauto pitica fu in- trodotta per il salto dei pentalli, in quanto quella sonata è sacra ad Apollo e Apollo conseguì vittorie olimpiche. Che si vantava di aver'istituto la gara delle Olimpiadi. E alcuni dicono che Zeus ci abbia lottato con Crono per assicurarsi il potere > evidenziare il legame di Zeus ed i giochi olimpici. Per dire come il ricordo della nascita di Zeus trovì altri legami anche nei testi come quelli di prosa e si crea un parallelo tra le figure che hanno avuto importanza nella nascita e crescita di Zeus, e la fondazione in questo caso dei giochi olimpici. 46 * ZEUSEDERA Zeus ed Era Esiodo, Teogonia, 886-929 Zeùc Sè Gedv Raodeùc npmy dioxov Beto Mijrv, nsiora Be@v cibuiav ibè Buntov dvapumuv. E Zeus sovrano per prima sposò Mea creatura più sg giatra gli déi e gli uomini mortali. Ma quando ella era punto di penare de dagli occhi glauchi, Ton CTATERRI rai sea pr ra ingannandola. ur lci Faso RA tc dp cl dpaodmy, va pi) Baonniba Tuir tre, peri consigli di Gya e di Urano stellato: sa a detto che un altro dio eterno avrebbe assunto l'onore) GMI06 Bypi Abc dini dedv aleveventior. gale al posto di Zeus. Era stabilito dal fato che da Bed mg réxva x prima la dea Tri mpwwnv pv «oépnv Navrconi da Tprroyévaav, (895) forza e sapienza identiche ivov Exovoav narpi pévog ai énippova RovArv, padre, poi avrebbe generato un figliolo che sarebbe abtàp éner apa naîba 860 Paciia rai avbpdv tato re degli dèi e degli uomini, un dio dal cuore ‘ipeddey 1ÉE208a1, Unépfiov Î dre Gora te. Per questo, prima, la dea lo consigli asse sì Elenco degli amori di Zeus, dei quali ultimi fu Era. La prima sposa fu Meti, la creatura più saggia tra gli dei e gli uomini mortali (saggezza), ma quando fu sul punto di generare Atena, Zeus la inghiottì nel suo ventre peri consigli di Gea ed Urano stellato; perché gli avevano detto che Meti avrebbe partorito un altro figlio che lo avrebbe spodestato. Fa un piccolo accenno ad Esiodo, alla tradizione che dice che Zeus trasformò Meti in una cicala o una goccia d’acqua e la inghiottì, e anche dall’interno Meti continuò a consigliarlo sul bene e sul male. Atena di conseguenza uscì dalla testa del padre. (200) Eùvopinv te Aiknv te kai Eiprivny te8aAviav, alt’ 8py opesovoar Kata@untoio: Bporotor, Moipac 8", fic mAiomny nuhv népe pntieta Zede, dEOR&BEunomia, Dike e Pace fiorente — che s le opere degli uomini mortali, «pailleMaîtà, a cuiil gio Zeus donò l'onore più grande: Cloto, Lachesi e A che concedono figlia di Occano dallo splendido as ‘AkEavoÙ KOUpN META eÎs0g #xovoa, gli generò le belle GititidAglaia, eine e Talia ‘AvAaînv Te Kai Euppoaivnv Qadinv 1' épatemtv: le, dai cui occhi si versa l'amore che TOv Kai anò PAedpuv Épox siBero Sepropevdw cds guardano splendide da soto leci nda di biade che; 19 die le candide braccia: Aidoneo la alla madre, gliela concesse Zeus sapiente. na splendide chiome, da nacquero leM&sERdillBaurco diadema, nove, che le feste ela gioia del canto. dv Acurievow, iv Aibenede | Swéa, tiv dbov Badia kai téppic dordiic. Poi sposò Temi, che generò le Ore (Eunomia, Dike e Pacefiorente) che scandiscono le opere degli uomini e le Moire (Cloto, Lachesi, Atropo) al cui Zeus donò l’onore del diserimine tra il bene e il male su tutti gli uomini. La terza moglie è la figlia di Oceano, Eurinome, che generò le Cariti (Aglaia, Eufrosine, Talia = dai cui occhi si versa l’amore). Poi Demetra, che gli diede Persefone, dalle candide braccia; Ade la rapì dalla madre ma Zeus gliela donò. Poi amò Mnemosine (memoria) da cui nacquero le 9 Muse che amano il canto e le feste. 47 Aggiunge le fibbie d’oro, orecchini a tre perle grosse come una mora. Era risplende per la molta grazia. Si coprì con un velo il capo, ed indossa sandali belli e poi successivamente uscì dal talamo e chiamò Afrodite. Le chiede aiuto, e le dice di darle l’amore/l’incanto/fascino con cui Afrodite soggioga tutti gli immortali e mortali. E Afrodite accondiscende, e scoglie dal petto la fascia ricamata (oggetto del fascino d'amore), di molti colori dove stavano tutti gli incanti. È il dono che Afrodite fa ad Era. roccmmeerence ca Soia rr ssrianizni jeduzione, oche parlò così Griasttere ves Ò mapei fia uovonge sic dd cha nil cassia 0% o. none Pose mina "Men. potfioona 5" Ent C@ Cpcartero bin Mpa Ea pdc 07 Gna Napo. di Zeus Afrodite, 229) pino eeB000 nni Holt parenti ndr: 7 monroe ta verra zo e ce neve dl Tic che seven condi, nina no: 0058 va pe masi LEA ri bero Eco volvo, inox slondinre nile Bino Govice. (230) tre oa ci 00 epiEnox 1° La dat Vive bk mn re do mira ia. iubtà nov eL0v Ecc bauec, 8° Em vcl vo ivan rpoTe evo intooe udc vite (050) Incontrò il Sonno, fratello della Morte, e gli chiede di addormentare Zeus per favorire l’inganno. Il Sonno prima rifiuta questa richiesta per non avvicinarsi a Zeus perché un’altra volta lei aveva fatto la stessa richiesta per ingannare Zeus per Eracle e il dio alla fine si era adirato col Sonno stesso. corona Fredieretoi dirai mae dra Boro, Mace dome de clodoo08 dale spandendon stormo: r media meli Goo” pvt chetsnan ri novo fit. soffì di venti tremendi facendo sorgere sul mare, vol nemo e i vanni 259 ca Coslo trascina, la ben popal Mon oP n 6 Empire ottano da tutili amici ma Zeus destò e moenb inte dec 4 "Lora maltratta gli dè e palazzo, e me soprattuto Bin alc Berov dn lp Ea nor. cercava; dalletere certo m'avrebbe scagliato a mare, n 000 mi slavi La Notte, che doc consini e dl in essa mi rifugia fuggendo; c allora «mis, per cib NOE Spdropa Bel boot aid indie o Enio nautici. 12001 SEO 1) Nuti oi di Enter. "nd: uova e0r8 dine dine o velo perché temeva di fare uno sgarbo alla rapida Notte. TOv8' ine nocottiRe Bone GO "HOYr Ora mi spingi di nuovo a far questa cosa terribile» frei 68 3 rata ETÀ ggCOL A ON: «Sonno, che cosa rimugini n cuore? o dici che i Teucri vorrà aiutare Zeus vasta voce «Giura dunque per l'inviolabile acqua di Stige, e tocca con una mano la terra nutrice di molti, ° soa l'altra il mare splendente, in modo che tut ci sian testimoni gli dèi di sotto, che Crono ci che tu mi darai una delle giovani Grazie, Pasitea; 0 bianco, id utt li di, fartaro, che si dicono Titani. Ma quando cbbe giurato, perfetto i giuramento, mossero, lasciando la città d'Imbro e di Lemno, Era allora promette in sposa una delle Grazie Pasitea al Sonno, e allora lui accetta dato che ne è sempre stato innamorato. Chiede quindi che la giurì di mantenere la promessa e la segue sull’Ida. 0, i picgavano sorto i piedi le cime dei boschi. che gli occhi di Zeus lo rando pel letto, dei ari parenti all: Fe fi accanto, le disse parola, parlò così: che cosa vieni 4 cercare quaggiù dall'Olim, Da al cure e cli ni Sl oma meni. principio dei mumi, e a madre Teti, ele case loro mi utrirono e crebbero Il Sonno si mette in agguato, sul piano più alto per non farsi vedere da Zeus, sembrando un uccello appollaiato. Era invece si fa vedere da Zeus, che le nubi raccoglie. E Zeus venne preso da un colpo di fulmine (usa una struttura tipica — si trova anche in Saffo nel frammento 31 della passione amorosa) “come la vide così la brama avvolse il suo cuore prudente” (idea dell’immediatezza). Era raggiunge i suoi scopi. Zeus le chiede di fermarsi e coricarsi in amore. 68 re np El 008" Are Li OA di 6 Mpa xporcpdgg0m YET ida rà Asino Tu re bp eos (228) 968 dre anse eo dere, 6 bare nodc tonico. SÈ cei alte Sc oto ve Epava sole nie eparina “TO Sports paola nVa HEY rare a arr poor foce. (30 iv bugie civ “alp evnegogi, rà menta novo ic dci vide nerd bor Apice, n ec mespdibo cu du Evove t0dv mpdz Spa vendi (336) ddr ord robe Gov LEN CO rg ETA o eee n rvgoneue ft “IE it i ric i 6 inevnionee civ rosiosevcon. DAD The ima anBbianune nesober vegedaneptra Zeli- Era accondiscende anche sotto la promessa di Zeus di mantenere la riservatezza e di non farsi vedere «he Perseo generà, glorioso fra li ero Ja figliuola di Fenice ampia fama, | — 018 i id Mino Radamanto divino; o Semele 0 Alemena in Tebe, che Eracle mi diede figlio saldo cuore, — e Semele generò Dioniso, letizia degli omini; ‘0 Demetra, la regina riccioli belli, Latona gloriosa, e neppure t, tanto ti bramo oral desiderio dolce mi vincel». “Terre Cronide. Se tu ora brami abbandonati all'amore sulle cime dell'Ida, c tutto è in piena luce, A ALL ve qualcuno dei numi che vivono eteri ci vede dormire e andando in mezzo agli dèi Jo dica a tutti? To non tornerei più nella tua casa, da questo letto levandomi: sarebbe odioso. Ma se tu vuoi, € questo È caro al cuore, ‘che i figlio tuo costruì, memi etneo cd Andiamo a stenderci là, poi ci poi a E disse rispondendole Zeus che raccoglie le nubi: «Era, non temer che nessuno, né uomo né dio, di rò tutt'intorno, d'oro: non rarla e vederci nemmeno il: e il suo raggio è ben acuto a discemere». Disse il figlio di Crono e afferrò tra le braccia la; e sotto di loro E ito rugiadoso e eroco gici Cioe fot, che del terr i sotto era 1 questa i stesero si coprirono di una nuvola {el d'oro oeciava rugiada lucente. neanche dal Sole. Sotto di loro iniziò a nascere erba nuova. E viene descritto il luogo dell’amore > locus amenus. 51 e LE LACRIMEDI ZEUS Le lacrime di Zeus Omero, Iliade, XVI 419-505 Zaprinsav 8' We oÙv i" durrpoxituvac éTaiPOvE xépo' Uno Marpériaio Mevomdzao Sapévrac, (420) uéder' dp' avn8éoroi KaBantoevos Aukioow aisc d Adxior: néoe devyete; viv Booì gore. divirioni yàp ty toG8' dvbpoc, ppa Sariw dx nic d8e Kpanéei kai SÒ) Kakd moMà gopye Tp@ac, ingi noMAov Te Kai #o8A@v youvar' ÉXvorv. (425) TH pa, Kai é€ dxéuwv olv Tebxeav dito yapdte. Mampardoc ' éépuBev Énei ibev ÉxBope Sippou. LE xx Almalaurea TÉTPN È uni preveda KAGZovTe paguvta!, e oî exAriyovtec én' dA Aci Spovoav. (430) “Honv sè mipoogenme soon DITA Te: come vide gli amici dal chitone non cinto "Li ove fg? ora dovete essere ardenti. quest'uomo e voglio sapere si tanto forte, che molti mali ha già fatto rtigli adunchi, becco ricurvo, to roccione stridendo combattono, ibalzarono l'uno sull” ‘altro gridando. siero complesso, il più caro fra gli uomini, mano di Patroclo Meneziade. Zeus vorrebbe intervenire nella vicenda dello scontro in armi tra troiani ed Achei, nello specifico nel duello di Sarpedone, a lui caro, per il quale vorrebbe intervenire, ma sa che morirà colpito da Patroclo e quindi piange. Viene descritto il duello (schema e terminologia tipica dell'Iliade) tra Sarpedone e Patroclo (scendendo dal cocchio immagine tipica/). E come due avvoltoi balzarono l’uno sull’altro (spesso nella narrazione omerica ci sono paragoni con il mondo naturale). Zeus geme quando li vede e parlò ad Era sua sposa e sorella. Zeus sa che è fatto che Sarpedone muoia per mano di Patroclo. 61 8 hier Enea pome bra "Hoa, clvrore Kona nov Òv poBon time 140) duipa Bernd ddr ni: menpusvor clon rip 05 igor SMD tor Sine rob 1 i (149 169o/Grof ro Er Sb ve di re o ci, nen pv Bear Te pepe al upon Onori one SY unire copeine Bloc suna (488) ciba av ru, 04 DÌ NEnpOndOG BUE (480) Bit Lu Too Loft M6R pe E" G1E6 ge ionva m, five Menposdoe dyacdembe Opozii ov, Sc Pepi Foo er aos sul velo sarà vaorégo. 00€ SÈ vu. (468) via dal Sonno). Eta augusta grandi occhi: Cronide, che parola hai detto. e, da tempo dovuto al destino, bi re alla morte lugubre gemito? Jun'altra cosa, ru mettila nella tua mente: casa vivo Sarpedone rimandi, o Tinie eni salvare figlio dalla mischia brutal, ché molti lottano intorno alla gran rocca di Pri figli di numi immortali, Ma sei è caro, se il tuo cuore lo piange, nella mischia violenta sotto le mani di Patroclo Meneziade e appena il respiro l'abbia lasciato SD manda la Morte a prenderlo e il Sonno soave, che la contrada dell'ampia Licia raggiungano; e lì l'onoreranno i fratelli e i compag di tomba e stele: dhesto è l'onore dei morti!», Disc cos, perso paiesici numi c degli < gocce sanguigne sopra Îa terra versò onorando il suo figlio, che Patroclo gli doveva uccidere in Troia fertile zolla, lontano dalla Or quando furono a tiro, marciando uno sull ecco che Patroclo Trasidemo glorioso, che del re Sarpedone era illustre scudiero, colpì al basso ventre, Ed Era rispose che, potrebbe intervenire, ma facendo così scatenerebbe gli altri dei che vorrebbero intervenire peri loro protetti, e invece lui deve comportarsi da esempio e padre di tutti gli dei. Gli dei sarebbero stati contrari se avesse strappato Sarpedone dalla morte. Sarpedone potrà inoltre avere onore soltanto morendo (c'è un quadro di Fussli che rimanda all'immagine di Sarpedone morente che viene portato 52 degli altri (un tratto che causerà il mancato aiuto verso Polifemo degli altri ciclopi), si fanno le leggi da soli. vico Enema Adxeia napèk Aévog TerevuoTaI, yaing Kuxinwv oÙtE AfeSdv OUT anotmAod, UAfieoo". dv 0° alpec anaipsarai yeydiaov Giypiar où pèv vp ndtoc dvipinv ameporei, oùSé pv siconveta: uvnyétai, ai Te Ka8' GAnv (120) di yea ndoxouaw kopuddie dpéuv ègenovteg. gilt dpa nolinaw kataloxera! civ” apgrotow, GANN i y° domaproc kaî avfjporoc ijpara nevra vip ampedea, Aéoxa 88 te pnkédac alyag. où’ dubpec nov ui rékTOvEG, ci Ke KdioseY vîac sbocéAuouc, ai xev TEASOIEV EKaota dote” En avBpiinwv invedlievai, già te nodhà viper èn' arihovc vuolv nepduwai BiXaccay- ci ké civ Kai vijoov Sixmpévnv Exduovto. (190) où pòv ydp n ax ye, épor Sé Kev dipia nvra» piatta davanti al porto si stende, vicina, né molto lontana dalla verra dei Ciclopi, e vi nascono capre infinite, passo d'uomini mai le spaventa, cacciatori le inseguono, che tra le sche uno stenti correndo le cime dei monti. (da pastori son possedute, né da aratori, l'isola, sempre inseminata e inarata, ini è vuota, nutre capre belanti. O alti cercandosi, il mare sulle navi raversano; ipotrebbero anche far l'isola ben abitata, non è sterile e produrrebbe ogni sorta di fruti. Isola dei ciclopi e descrive questa isola prospicente detta l'isola delle capre. È un’isola feconda, non abitata, non seminata e priva di uomini, che nutre soltanto boschi e capre > sottolineare un altro aspetto dei ciclopi: assenza di arti legate all’artigianato o produzione delle navi, non conoscono la navigazione quindi nemmeno il commercio e la colonizzazione. Sv pèv Yap Xaudiveg dAòc rodioîo nap' dxBac Usendoi parakoi: dA 808" dipoorg Aein. pada kev fagù Wrfiov aisi sic dipac dubwev, èneì pda nîap Un’ oùsac. (135) ; ÎV' où xpeò neioparòc gonv, dim ebvdc falée oÙte npupvjor avipar, GIA EmkÉA0avTaG pelvar ypòvov, sic è Ke vautéuv Guuiòc EnoTpIm Kai eninvebcworv dita. Vi son prati, del mare sc umidi e morbidi: Facile v'è l'aratura e folta sempre la messe alla stagione potrebbero mietere, ch'è molto pingue suolo di sotto cè dove non e'è bisogno di odi legare le gomene, ma basta approdare restare a piacere dino a che lg dei marinai non fa fretta o non spirino i venti. I ciclopi sono dediti solo alla pastorizia, anche se con una terra coì feconda potrebbero dedicarsi alle altre attività come l’agricoltura. C'è un porto comodo, quindi sarebbe anche un approdo adatto al commercio. Il ciclope omerico è quindi un mostro privo di ogni elemento civile. 55 Il borghese filosofo Euripide, Ciclope, vv. 316-346 PE _ n La ricchezza, uomo da niente, è il dio Kuò rRodToci dvepirione, Tolk vomoic B56c, di chi ha senno;' il resto son soltanto TÀ 5 dala Kéumoi Kai Abyuv eUpopoia, ciance e belle parole. Me ne infischio dikpac 5° èvadiac ale KaBiSpUTAI namp dei promontori ove mio padre siede: scpev nel i 86 npovonioe yo Farai Zr 5 yo féve, (320) £ È TO TRENI 620) straniero, né saprei per qual motivo 068’ 08’ ti Zed éar' s100 kpeigowv Beéc. sarebbe Zeus un più potente dio où poi peri tò Aoiméy: de 8 aÙ Lor pere dime. Di tutto il resto non m'importa un accidente di niente; il perché, adesso, se sta attento, te lo spiego. Dramma satiresco, dove il ciclope Polifemo interagisce con altri personaggi come quelli del racconto epico e come i satiri che rientrano nel corteggio del ciclope stesso e rendono anche l'aspetto di ironia del testo stesso. È un ciclope questo che si caratterizza per un alto livello di civiltà, ha dei servi al suo servizio, si dedica alla caccia, conosce il cibo coto e si vanta di conoscere anche varie tipologie di cottura. In questo pezzo c’è un lungo monologo dove il ciclope filosofeggia: dove spiega i motivi per cui è empio (privo di leggi). Euripide fa del ciclope un personaggio superbo per pronuncia il proprio discorso verso gli dei e di come soprattutto non debbano essere temuti dall’uomo, in particolare Zeus. Tutto un discorso che contrappone tutti i doveri verso gli dei, e l’unico vero dovere riconosciuto: verso se stessi. Ciclope empio, privo di leggi che non obbedisce a nessuno se non a se stesso. Tutte le altre cose sono solo vanità e belle parole. Se ne frega degli alti promontori dove sta Zeus, non si da cura dell'Olimpo. Il cilope non teme Zeus, che per lui non è un dio più potente di quanto possa essere lui. ‘Quando io me ne sto al riparo acquartiétuto in questa mia caverna e m'imbandisco ora un vitello arrosto, ora una bestia selvatica; poi mi tracanno un'anfora di larte e accordo il ventre in gran subbuglio; indi, mi metto a percuotermi il manto, rumoreggiando in gara con i rombi di Zeus... Quando poi capita che Borea trace sparga neve sulla terra, fo m'infagotto in pelli di animali, la neve sparisce! terra, poi, che voglia 0 no, Ev Tide MÉTpaL OTÉYV' Eywv OKNvVWpara, Î) pooyov OmTV i) tl Briperov Gakoc (325) Salvopevoc, eÙ téyYwv Te vaotép* Untiav, èmekmidv yaXakTog dudopéa, memAov Kpobdu, Aoc Bpovtalalv sic E plv KTUN@Y. éTtav Sè Bopéac yiòva prog xémi, Sopaîa Bnpov sua nepiBardyv guòv (330) € A , xiovog oùbév uo: pedi. n yi) d' vizi, Kdv BÉA Mi Kcàv pr) BAI, dyò cUmvi Bbw nAfjv spoi, Seoîa 5' où, io non agli dèi ma a me soltanto Quando Zeus getta la pioggia, lui si ripara nella caverna e si prepara come pasto un vitello arrosto oppure una bestia selvatica e tenendo il ventre supino si tracanna un’anfora di latte. Quando capita invece che nevichi lui si avvolge nelle pelli dianimali ed attizza il fuoco. E la terra poi fa nascere dopo questo erba ed animali dei quali lui si ciba 56 sacrifico, e al più grande degli dèi, Kai Ti peyiomi, yaotpi mise, dapovuv. (335) a questa pancia ra. Bere © many doc ToUymieiv Ye Kai GAyeiv TOÙ9' uénay, tuttii giorni, senza mai darsi pena: Zebc oùtog ivepunola ToTa: addpoow, eccolo Zeus, per gli uomini di senno! Quant Avneîv Sè pnsèv aùtéov. 8 nokia giov, per me possono andare a farsi fottere: Ò AO AR continuerò a trattare con riguardo View Guy: tiv <0"> Sui uyiv é1b (840) Li Si peesha divi où nabdopaI SpA EÙ, KaTeoGILav Ye cé. Per evitar rimproveri, son questi Eevia Sè Nm todb”, oc dpepimtoc d, X prgn 5 e questo patrio braciere di bronzo A 5a (soon che bollirà le tue carmi a puntino av capra Siadopntav dudétei KaA@c. eti rivestirà con eleganza dI Éprer' sio, Tod Kat” alidiov 8e00 (345) (vedrai che peso grave da portare!), Adesso, tutti dentro a farmi festa iv dupi Bupòv otavtEG eUWNiTe pe. attorno all'ara del dio della grotta! (le sacrifica non agli dei, ma al suo ventre per se). Per gli uomini saggi Zeus e così e gli uomini che hanno rinchiuso la loro esistenza nelle leggi possono andare “al diavolo”. Un altro elemento che lo rende civilizzato è l'introduzione del tema dell’ospitalità (ciò che nell’Odissea è l’elemento di inganno), come riferimento a quegli oggetti che servono per cucinare la carne di Odisseo. Il discorso invita i personaggi sulla scena a seguirlo dentro la grotta (è un dramma > importanza elementi scenici) e festeggiare il “dio della grotta” > unico dio riconosciuto dal ciclope: se stesso. 57 Una grotta descritta come un luogo ben tenuto (contraddicendo la descrizione Omerica); all’interno c'è la vite, acqua fresca. Si fa riferimento anche all’Etna, posizionando la grotta. Ci sono legno di quercia e un fuoco sempre acceso (gli elementi che lo feriranno successivamente). Per lei sopporterebbe anche di versi bruciare l’anima e persino il suo occhio (aspetto ironico perché lega la sua sorte futura all'amore per Galate). Rimpiange poi di non avere le branchie che lo aiuterebbero a raggiungerla e quindi di non essere respinto dall’amata. sbocciano gli uni, gli altri nell'inverno e non avrei potuto tutti insieme portarli fino a te. Bambina, adesso 01° où xd 01 Tadta pbperw pa néve' é Sutor. Terme: viv pd, dò xbpiov, viv po, (60) abordo d'una nave, per capire gi kKG ni dv val mA6un #evo6 | perché è così piacevole per voi dg sI50 ti noy A6ù katonelv Tv Buddy Upprv. abitare l'abisso. Galatea, GE6vd or: l'addtera, Kai Evoiva AbB010, Magari tu venissi e, quando vieni, ionep éyò viv die Ka8ipevog, cikab' aevdeîv: dimenticassi di tornare a casa, nowalven 8' 2801 odv éuiv da rai yel' qpéryer (65) [come capita a me seduro qui. i a E tu volessi andare con me al pascolo, Kai topo nia toiDOv Gpiuriav éveica. Iongere i lane è rassodere il cacio pova, rai péppopai ang: versando dentro il caglio inacidito! obbèv nrinoy SAwx nori rivcbilov cino Unto ico, Solo siatmeeon mi fa giustizia ‘ed io me ne rammarico con lei (tina buona paralaeppure vede L'intento con cui si conclude questa digressione del ciclope, racchiude un’ultima allusione all’episodio omerico: che se mai qualcuno si recherà presso la sua terra vuole imparare a nuotare per raggiungere la sua amata. Chiede a Galatea di abbandonare il mare e dedicarsi al pascolo. che, giorno dopo giorno, a Le dirò che mi lates e entrambi i picdiin modo che si affligga, dal momento che sono affitto anch'io». al tade nl duap i Le Aermivora. AO Ne ES oe repo iab (Cd) O cielope, ciclope, da che parte agioseiv dsc dai, eneì Kijydav nba ia fida dio auceso pel olo? © Kidwp Kidup, md tàc @pévac dmendraca: Se venissi a intrecciare canestrini gi” Ev@kiv taNdpue TE MAfkoic Hai BaXidy dudooc e a cogliere il germoglio per le agnelle taîc dpveoai déporc, àxa Ka mahù pidov Exorc vba certamente saresti pii ® c9 Mungi quella che hai accanto» Senza dubbio troverai eipnceîe Paléterav ice Hai kGAdiov” av. nodali cvymaiodev pe xdpar tàv vieta KÉhovra, Ruditom SÈ nda, eni x altale Umano. Giîhow dt' Ev TA VG dv TIR dalvopar fuev. un'altra Galatea, anche più bella. Mi invitano la notte a divertirmi molte ragazze, tutte gridolini, quando do loro ascolto. Allora è chiaro che anch'io sono qualcuno nel paese. Qiu ta: Mohbpauoc amolpavev tv Gputa (79) ; Manet E. E così pascolava a suon di musica povoiasuv, ffiov dè did i ci ypuodu ESuxev. (80) Polifemo il suo amore, e stiva meglio che se avesse pagato del denaro. Ed infine torna la madre di Polifemo che non ha mai messo buone parole in favore del figlio verso Galatea, nonostante lo vedesse soffrire per amore. Il canto si conclude quindi con questa accusa alla madre. Ed infine c’è un autoinvito che il ciclope fa a stesso dove si chiede perché rincorre chi fugge, rielabora anche il concetto dell’amore ricambiato, invitandosi anche a guardare altrove per trovare un’altra oltre Galatea anche perché è chiaro che anche lui tra i pastori è qualcuno. Infine con un piccolo stacco ci sta la chiusa finale che ripropone la parte inziale (la struttura di epistola), che dice come il canto era un farmaco/rimedio molto più efficiente che spendere denaro dal medico per avere un filtro contro l’amore. 10 DICEMBRE SUPERBIA PUNITA ® Tantalo: Omero, Odissea, XI 582-592 * Sisifo: Omero, Odissea, XI 593-600ù Alceo, fr.38° Voigt ® Tizio: Omero, Odissea, XI 576-581 * Prometeo: Apollonio Rodio, Argonautiche, II 1246-1259 ® Niobe: Omero, Iliade, XXIV 602-617 1 Tantalo Omero, Odissea, XI 582-592 yaîa pédava paveoxe, xataZrivaoxe Sè Saipuv. SévSpea 8' upariémAa katà pfidev xée Kapnév, Syxva ai porai kai pnAéai ayAadrapnoi aukéai Te pAukepai kai èXaîar tAeBdwoar: (590) t@v 6nét' iBv0e' Ò yépuov ni Yepoi pioao@ar, E Tanta vii, che pene atroci soffriva, questa s'avvicinava al suo mento; ‘ma non poteva prenderne e bere. Ogni volta che il vecchio voleva piegarsi avido a bere, Tutte le vole l'acqua spariva, inghiottita intorno ai suoi piecî Nereggiava la terra: la prosciugava un dio. Alberi eccelsa chioma sulla sua testa lasciavano pendere i frutti, Peri e granati e meli dai frutti lucenti, E fichi dolci e floridi ulivi: ma quando Si protendeva il vecchio a toccari, fino alle nuvole ombrose. L’undicesimo libro è un libro dove Odisseo racconta cosa vede nell’Ade (così come Dante). Odisseo vede Tantalo che aveva delle pene atroci: stava nell’acqua della palude e questa si avvicinava al mento e lui stava in piedi, assetato (non beveva da tempo) ma non gli era concesso di prenderne e bere. Ogni volta che il vecchio (rappresentato anziano) si piegava per bere, l’acqua spariva. Cerano degli alberi che avevano sulla chioma dei frutti lucenti, ma quando l’anziano si protendeva per prenderli, il vento li scagliava fino alla nuvole. 2) Sisifo Omero, Odissea, XI 593-600 dkpov UnepRaléew, tòr' amootpépaoxe Kparaiîe- ‘aùnig Énerta né6ovse kuAivéeto Adag avalbric. aùtàp 6 y° ày idoaoxe tTavépevoc, katà 8° bp Bppeev èx pedéuwv, Kovin 8' èK Kpatòc opioper. (600) “Sisifo pure vidi, che pene atroci soffriva; Per superare la cima, allora lo travolgeva una forza violente Di nuovo al piano rotolando cadeva la rupe maligna. E lui a spingersi ancora tendendosi: scorreva il sudore Colando giù dalle membra; intorno al capo saliva polvere. Omero subito dopo l’incontro con Tantalo, vide Sisifo (incontro di vari quadretti). Che anch'esso soffriva di pene atroci. I versi sono esattamente uguali a quelli precedenti > formulare in esametro. Descrive poi la sua pena: doveva spingere una rupe fin sul colle, ma quando stava per fargli superare la cima questa ricadeva di nuovo. Il sudore sgorgava copioso giù dal suo corpo > esprime la fatica; ed attorno al capo saliva la polvere. 61 3) Sisifo Alceo, fr. 38a Voigt nove [.. tòrape[...] Swvéevr Axépovra pey[ TaRalle dleriw K6Bapov oc [ Byeoa', dAN' yi pi) peydAw ènf và AioNi8arc Bacilevc [ (5) | vonodiuev GNAà Kai noXwWiSpic Ev Unà KGpi [ Bivvdevr Axépovr' enéparce, I xBSvoc. dAN' yi a) To[ (10) ‘.taBdoopev ai tota KiMota. [ Inv Stava t@vÉe nd@Nv Ta 2... &vejuog Bopiaic éru[ Bevi e ubriacati con me, Varcatto il grande guado, L'onda rabbiosa d’Acheronte, Rivedrai mai la pura luce del sole? No, non aspirare a cose troppo grandi. o, figlio di Eolo, " uto degli omini, Sperò di domare la Morte. Era scaltro, eppure per volere del fato Due volte passò l'Acheronte vorticoso Eiilre Cronide meditò per lui Unadi ‘Su, tieni a mente questo: ora più che mai Finché siamo giovani bisogna sopportare Queste sciagure che ci manda il dio Invito simposiale a bere rivolto all'amico Melanippo; invito tipico della poesia arcaica. E all’interno di questo invito si inserisce anche la vicenda di Sisifo come esempio di vita caratterizzata da sofferenza dopo la morte a cui si contrappone l’invito di godersi il presente, soprattutto ora che sono giovani. L'invito a non aspirare a cose troppo grandi; anche il re Sisifo... (nella poesia arcaica, si introduce il mito che diventa elemento di paragone per quello che si va dicendo; prima quindi parte di carattere gnomico con richiami alla contemporaneità del poeta, c'è una sentenza di massima dell’uomo che in questo caso è che nessuno può tomnare indietro dall’Acheronte, e i precetti generali che sono spiegati col ricorso al mito > Saffo fa lo stesso procedimento nel frammento 16 per ciò che si ama, confrontandosi con il mito di Elena che ha abbandonato tutto ciò che aveva per seguire l’amato Alessandro perdendo tutto). Sisifo che era il più astuto tra gli uomini, peccato di superbia > ha aspirato a cose troppo grandi; sperò di domare la morte, passando due volte l’Acheronte (per volere del fato) ed il re Cronide (Zeus) meditò per lui una gran pena. Due inviti: > Guardare al presente perché non si può varcare per due volte l’Acheronte >. Necessità di farsi coraggio sul presente, non aspirando a cose troppo grandi Tizio Omero, Odissea, XI 576-581 E Tizio vidi, il figlio glorioso di Gaia, Disteso in terra: per nove iugeri si distendeva. E due avvoltoi, annidati ai suoi fianchi, rodevano il fegato, Penetrando nei visceri: né con le manipolava difendersi, xaì Ttuòv sÎsov, laine pikUS806 vIÉY, KEiuevov év Sanésw. ò &' în évvéa keîto né\egpa, \ î 9 Séptpov Écw Sivovtec: ò È oÙk amapiuvero yepoi. Antò vàp #\gnoe, Aròc kusphiv napàkomv, (580) Nugwé' gpyopévnv già kaXAixépou Mavortfoc. epes nc URI Ekeipov Perché Letò ardî violare, la compagna di Zeus, Che a Pito andava attraverso Panopeo belle piazze. Un'ulteriore incontro di Odisseo è con Tizio, uno dei figli di Gaia (della Terra). Inizia i modo analogo. Descrive così il suo supplizio: giaceva privo di forze a terra e si distendeva per 9 iugeri; e due avvoltoi annodati ai suoi fianchi gli rodevano il fegato. Lui non poteva difendersi con le mani, perché le letò di violare la compagna di Zeus. 62 La morte Pausania, Periegesi della Grecia, IX 30,4-6 A peqgoeito di Oaieo | Geeci condono = GIRI vu primav posi tc 58 voro 600 riv Opgntr np si cre Bivaroy, dn obilv toÙc dvipac drodoutciv EnnoEY roeuundne, SES BE rav vapor 06 tolpl Ge SE È divou, Eetpritovta: 1ò 16N1nua, noi toc ivbobav and rodTOv hanno un canto più bello. In realtà Pausania dimostra di non credere alla tradizione sulla morte di Orfeo e sulla sua nascita della musa Calliope, che le muse lo seguissero ammaliate dal canto e che sia sceso nell’Ade per chiedere la restituzione della sua sposa > Pausania nega la tradizione. utore da la sua interpretazione razionalistica, per lui Orfeo fu solamente un abile cantore, e in realtà la sua arte poetica aveva anche effetti terapeutici. Ed inizia il racconto delle donne di Tracia che si intreccia con la sua figura: le donne (dopo essersi ubriacate) complottarono per farlo morire perché aveva convinto gli uomini a seguirlo per le sue peregrinazioni. Per questo i Traci si ubriacano prima di andare in battaglia. Secondo altri invece fu fulminato da Zeus perché aveva rivelato parole che si pronunciano durante i misteri (empietà), altri dicono che dopo la morte della sposa la cercò in Teosprozia dove c’era un antico oracolo dei morti, credeva che l’anima di Euridice la seguisse, ma si voltò indietro, la perdette e si suicidò così che gli uccelli sopra la sua tomba hanno un canto più bello. 65 La testa parlante Filostrato, Eroico, 28,7-12 fneltev aUtòv Arop&ne kai NeontéAeuioc gabvta éc Tpoiav inyayov ixetEGGOVIEG UnÈp 100 ‘EXAnuxoù Kai avayvovteg aùt@ Tèv Unèp 1@v TÒÉwv xpnopov, Bk /\fofiou, dic gaav, fikovta- xprioBa ev ydp ai Toîc gixoi pavtzior ToÙc Axaiode Td TE Awsuvaie Kai Ta Mudik@ kai ènéoa pavrela euséHIIO BowbTd Te fju Kai Dwrid, 16è GAiyov amexoGong ToÙ "Ta lou otéMEN È6 tt Ta mola E 1a! Diomede e Neottolemo lo ricondussero di sua vo stava in una grotta dell'isola e nella cava terra da- orscoli. Perciò i Lesbi e rutti gli altri Eoli e i vicini lo- lai serio di La testa infatti canta- spo pri e è oct che Co n SaovespOvto te alri Tà pavmikà AoGoL TE Kai tò 0 név Aiclwdy rai “luveg Aiodeda1 npPScoKO, Filostrato (Maggiore) in questo passo parla di una serie di oracoli e si sofferma in particolare su quello di Orfeo, dove secondo la tradizione, la sua testa parlante pronunciava oracoli. L’oracolo di Lesbo viene consultato dai greci perchè si diceva che provenisse da Orfeo. La sua testa giunta a Lesbo, dopo il delitto commesso dalle donne (qui si difende la morte a causa delle donne di Tracia), stava in una grotta dell’isola e dava oracoli. Perciò i Lesbi e tutti gli altri Eoli e gli Ioni usufruivano di questo, ed i suoi responsi arrivavano fino alla Babilonia (vicino Asia Minore), che cantava spesso per il re dei Persiani. Kipor È aac vp Kipoc Unèp notapòv latpov è mi Maocayétac TE Kai ‘Icangévac— tà Sè #Bvn taoTa ZkùBa— E si racconta che Ciro il vecchio fu dato un vaticinio/profezia: “ciò che è mio, Ciro è tuo” > e lui lo interpretava che avrebbe ampliato i suoi domini ad occidente, poiché Orfeo divenuto potente grazie alla sua sapienza godeva di prestigio presso diversi popoli, tutti quelli che erano ispirati dai misteri. Ma l’autore crede invece che Ciro avrebbe patito le stesse disgrazie di Orfeo, che venne infatti ucciso dalla donna che regnava sui barbari che tagliò la testa di Ciro, come le donne di Tracia tagliarono quella di Orfeo. 66
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