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Modelli di intervento nella relazione familiare - Lis, Mazzeschi e Salcuni, Sintesi del corso di Psicologia Generale

Vendo riassunto completo del libro Modelli di intervento nella relazione familiare degli autori Lis, Mazzeschi e Salcuni. Sono presenti anche esempi integrativi che rendano maggiormente chiare ke varie teorie.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 20/05/2020

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Scarica Modelli di intervento nella relazione familiare - Lis, Mazzeschi e Salcuni e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Generale solo su Docsity! TEORIE E STRUMENTI PER LA VALUTAZIONE E PROGETTAZIONE PER L’INTERVENTO IN AMBITO FAMILIARE INTRODUZIONE Per poter parlare di assessment bisogna fare riferimento ad un sistema teorico di riferimento specifico, non deve essere un modello rigido perché la famiglia è fonte di ricchezza e di diversità. Bisogna riconoscere quando è necessario deviare dal mio livello. Di solito non si presenta mai la famiglia in toto a chiedere aiuto ma viene presentato quello che è il capro espiatorio della famiglia su cui si fa ricadere la maggior parte della responsabilità. Non bisogna mai lavorare solo su di esso ma è necessario ricercare e comprendere quelle che sono le dinamiche interne che hanno portato ai problemi → mai dare la colpa a qualcuno ma bisogna mantenere l’equilibrio. È una questione complessa perché di base si tende sempre ad allearsi con la parte più debole della famiglia che di solito è rappresentata dal minore, rischiando di far sentire in colpa i genitori stessi. L’approccio alla famiglia come sistema è qualcosa di unico che va al di la delle singole parti. LA FAMIGLIA Vediamo ora la definizione di famiglia secondo Shazer: “l’insieme dei modelli di intervento che si pongono come obiettivo la cura della famiglia piuttosto che degli individui, lavorando sulle loro interazioni emotive e cognitive”. Parlare di intervento in ambito familiare può includere tutta la famiglia o parte di essa (coppia, genitorialità…). Con il termine terapia familiare si fa riferimento ai modelli sistemici-relazionali. Storicamente l’ambito della teoria familiare è nato negli anni ‘50 su due versanti: la teoria psicoanalitica nel Regno Unito e l’ambito sistemico-relazionale. In Italia la terapia familiare era incentrata sulla Scuola di Milano di Mara Selvini Palazzoli e predilige la prospettiva di stampo psicoanalitico (Cesare Zabattini). La famiglia è un qualcosa che va al di la’ delle singole parti. Lavorare con i membri della famiglia essa è il nostro oggetto di studio e bisogna mantenere una sorta di equilibrio tra i membri della stessa. Ugualmente manteniamo la percezione delle caratteristiche dei singoli ma noi lavoriamo sulle dinamiche che legano i singoli, connesse al potere, all’emotività o ad aspetti delle radici dell’individuo tra cui l’esperienza. Considerare la famiglia come sistema significa considerare l’intera totalità come qualcosa di diverso dai singoli membri che la costituiscono. Il funzionamento o non funzionamento della famiglia è quindi in relazione all’intero sistema. Lavorare con la famiglia significa condividere l’idea che la famiglia è un sistema complesso, questa complessità caratterizza l’essere umano stesso e in ambito familiare si somma nell'interazione dei singoli. Le relazioni familiari sono un sistema prevalentemente chiuso, hanno confini e un setting che delinea i componenti del sistema. Le scelte teoriche del clinico implicano che nei modelli proporremo si terrà conto sia della complessità dell’intero modello familiare che del contribuito dei singoli sottosistemi e membri. In alcuni modelli non si guarda la famiglia in toto ma i sottosistemi che interagiscono in essa (coppia coniugale, coppia genitoriale ecc), la flessibilità con cui si passa da un sistema all’altro • Segnalazione del paziente • Benessere dell’intera struttura familiare (non allearsi con un membro) Definire la famiglia è un compito complesso: 1. Comunanza di esperienze e relazioni La famiglia rappresenta un fenomeno universale ed il nucleo fondante della società umana, impossibilità di proporre una definizione univoca ed esaustiva ella famiglia. La famiglia è un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti e aventi dimora abituale nello stesso comune. Una famiglia può essere costituita anche da una sola persona. L’assente temporaneo non cessa di appartenere alla propria famiglia sia che si trovi presso altro alloggio (o convivenza) dello stesso comune sia che si trovi in un altro comune italiano o all’estero. → la famiglia e i membri della stessa ha dei vincoli al suo interno e la seconda caratteristiche è la coabitazione. Quando si parla di famiglia si sottintende che all’interno della stessa famiglia che all’interno della stessa vengano incluse una varietà di esperienze e di relazioni comuni che presuppongono vicinanza e intimità (fisica e psicologica) nel tempo Fondamentali, tra le esperienze e le relazioni, sono quelle di affetto ed autorità. 1 2. La struttura familiare Condizione necessaria ma non sufficiente per poter parlare di famiglia è la convivenza, il vivere insieme sotto lo stesso tempo. La struttura rivela le regole con cui una convivenza familiare si forma. L’UNESCO sostiene che la famiglia esiste come realtà sociale anche senza convivenza. Si considera della famiglia anche un elemento che va a vivere fuori casa ma ha comunque l’intenzione di tornare a casa. La Play (sociologo) nel 1871 ha concettualizzato la differenza tra: • famiglia patriarcale famiglia dove il padre era il capo famiglia che aveva dei figli che rimanevano all’interno della stessa casa e della stessa zona e anche se costruivano una nuova famiglia rimanevano sotto il comando del capofamiglia • famiglia instabile il patriarca era presente e alla sua morte era dovere che il primo figlio diventava patriarca ma non era necessario che tutti i figli rimanessero sotto lo stesso tetto • famiglia ceppo alla scoparsa del patriarca non era il primo figlio ma un altro figlio prendeva il ruolo e costituiva un nucleo all’interno del quale tutti i fratelli dovevano rimanere presenti. Laslett (1975) distingue 4 tipi fondamentali di strutture di convivenza familiare definendole rispetto all’asse orizzonatle: dei rapporti di sesso e quello verticale: rapporti di generazione e discendenza. Essa riguarda il tipo di vincolo che lega i membri di una convivenza: vincoli di affinità e consanguineità, di matrimonio e di discendenza. Quando non ci sono rapporti di affinità allora si entra nelle problematiche della famiglia. I principali tipi di famiglia secondo tale esperto erano: • famiglia senza struttura: gruppo domestico privo di un nucleo coniugale e di chiari rapporti di sesso e di generazione. Fratelli e sorelle, di consanguinei senza rapporti di sesso e di generazione, di coinquilini o persone che vivono da sole; • famiglia semplice o nucleare: costituita da una sola unità coniugale, sia essa composta dai genitori con i loro figli, un genitore con figli o dalla coppia senza figli; • famiglia estesa: consiste nella famiglia nucleare con l’aggiunta di uno o più parenti conviventi ascendenti (un nonno o una nonna), discendenti (un nipote) o collaterali (un fratello o una sorella del marito o della moglie); • famiglia multipla: composta da due o più unità coniugali, ovvero più coppie con figli. Può articolarsi ulteriormente, a seconda dei legami, lungo l’asse generazionale esistente tra i diversi nuclei: può essere costituita da coppie di fratelli sposati con le relative famiglie o da una coppia più anziana che vive con quella di un figlio o una figlia. Una più recente suddivisione è quella di Sharma, 2013, che tenta di definire la famiglia e la sua struttura facendo riferimento alla fisica: neutroni, protoni, atomi e molecole. Persone che sono connesse tra loro da matrimonio, nascita o consanguineità che condividono la cucina (condividere i pasti) o l’aspetto economico. Propone la seguente classificazione: • Protone: singoli individui • Elettrone: coppie non sposate, senza relazione di sesso ma potrebbe esserci relazione di sangue • Nucleo: coppia coniugale di marito e moglie (con o senza figli) e sposati e non sposati • Atomo: famiglia nucleare con altri membri che non fanno parte della coppia nucleare • Molecola: ci sono 2 nuclei all’interno della stessa famiglia che però viaggiano su almeno 2 livelli generazionali (figli, genitori e nonni) • Struttura condivisa: 2 o più coppie ma che viaggiano su singolo livello generazionali (due fratelli che vivono nella stessa casa con la sorella e la moglie) • quasi elettroni, nucleari, atomo ecc: ci sono coppie che vivono in questa struttura ma sono conviventi e non sposati. 3. La componente temporale ed evolutiva: la famiglia come processo La struttura familiare varia nel tempo: i componenti della famiglia, i rapporti che li legano e ne definiscono la posizione, mutano con il passare del tempo. Nascite, morti, matrimoni, modificano il tipo di vincoli che li uniscono. Ogni famiglia passa infatti attraverso diverse fasi duranti le quali si trasforma sia dal punto di vista del chi vive con, sia da quello delle posizioni assunte in essa dai suoi componenti, che dal punto di vista dei contenuti delle relazioni familiari→ famiglia come processo in cui i rapporti di autorità e affetto cambiano 2 - SDQ prima solo per bambini mentre ora è stato sviluppato anche per gli adulti, le difficoltà vengono intese come disturbi internalizzanti (emotive) e esternalizzanti (iperattività, disturbi comportamentali), valuta punti di forza e debolezza del bambino -SCAS valuta l’ansia (non aggiornato al DSM 5 ma strumento utile a un primo screening) sia dal punto di vista del genitore che del bambino. • Relazione con il figlio (FMSS-PSI(SIPA)-IPPA-PSDQ) - utile per assessment è il Five minute speach sample (FMSS) è trasversale alle figure della famiglia e permette di avere elementi chiave da cui partire per comprendere la relazione, ci da possibilità di avere informazioni accurate sulla emotività espressa. - SIPA chiede di valutare al genitore quello che è il livello di stress percepito secondo 3 dimensioni: stress del genitore, difficoltà del bambino in quanto tale, lo stress che cresce e caratterizza la loro relazione. - IPPA questionario self report che è utile in adolescenza (12 fino ai 20 anni) composto da 25 domande che analizzano la tipologia della relazione positiva con madre, padre e pari (25 per ogni parte). E guarda i livelli di fiducia che l’adolescente deposita in queste 3 figure e il livello di alienazione. - PSDQ fa riferimento a relazione con figlio e indaga lo stile di parenting con la possibilità di valutarlo non solo verso se’ stessi ma anche verso il proprio partner. Recentemente è stata fatta versione per adolescenti e che valuta lo stile di parenting dei genitori. • relazione con il partner (MSI-AAI-AAP-CRI) - AAI intervista, valuta pattern di attaccamento, ci permette di conoscere aspetti di vita ma è uno strumento abbastanza lungo e mette difronte il soggetto al proprio vissuto e dunque riattiva direttamente lo stile di attaccamento. - AAP valuta pattern di attaccamento operativo interno, proietta immagini e chiedendo di raccontare cosa accade nell’immagine, prima o dopo di essa e cosa provano i soggetti. Va a elicitare aspetti strettamente connessi all’attaccamento e che permettono quindi di osservare i MOI del soggetto e hanno a che fare con la possibilità di lasciarsi trasportare dalla relazione con l’altro ed avere un senso di sicurezza. - MSI questionario self report, che permette tramite 150 domande di investigare quello che è il livello di soddisfazione coniugale all’interno della coppia - CRI intervista semistrutturata che è in linea con la modalità di strutturarsi e essere valutato dell’AAI, ha domande che fanno riferimento prevalentemente alle relazioni attuali dell'individuo e non alle esperienze passate. 4 principali costrutti: ripercorrere la storia delle relazioni sentimentali del soggetto, secondo indaga la qualità della relazione attuale del soggetto, terzo indaga le caratteristiche percepite nel proprio partner e dunque la possibilità di poter leggere gli aspetti positivi e di difficoltà della persona con cui si sta e infine indaga i comportamenti interni alla relazione. Sono circa 15 domande che hanno questi 4 elementi come elementi fondamentali e che prevedono anche sottodimensioni ed approfondimenti a seconda della risposta dell’individuo. Sono stati fatti studi per valutare la concordanza tra AAI e CRI, sono entrambi molto informativi e hanno bisogno di un training molto intenso per somministrazione e codifica. Differenza tra pattern di attaccamento e stili di attaccamento: il primo riguarda la teoria di Bowlby mentre la seconda riguarda un ottica sociale e non dinamica. Quando parliamo di pattern parliamo di qualcosa di inconsapevole per il soggetto e connesso strettamente all’attaccamento che dunque lo va a riattivare. Lo stile di attaccamento riguarda invece la parte consapevole di questo aspetto, e si calcola con strumenti principalmente questionari. LA DIAGNOSI va aggiustata sempre in base al focus del nostro interesse. Si tratta del processo con cui conosciamo la famiglia/l’altro. A seconda del modello al quale facciamo riferimento la diagnosi subisce alcune modifiche possiamo distinguere: • Approccio sistemico: coinvolge l’intera famiglia: seppure il sintomo si manifesta in un unico individuo, la patologia va ricercata nella disfunzione dell’intero sistema familiare. Il lavoro verte sull’identificazione della struttura familiare e delle dinamiche reciproche. Il sintomo ha significato metaforico all’interno dello status quo e stabilità familiare. Lavoro orientato all’identificazione della struttura familiare e le dinamiche e relazioni interviene ad essa e attraverso degli esercizi, role playing posso permettere al sintomo di decrescere e far star meglio l’intero sistema familiare. Importanza anche alla trasmissione intergenerazionale e dunque avere anche un colloquio con i genitori dei genitori per capire se il sintomo parte da così lontano e meno. → fondamentali le dinamiche 5 • Approccio alla teoria dell’attaccamento: il problema del bambino in relazione alla capacità dei genitori di trasmettere una base sicura. I genitori sono portatori di rappresentazioni. Problema del figlio connesso a problemi specifici di attaccamento. Il sintomo è relazionato strettamente al sentirsi sicuri e avere una base sicura internalizzata. → fondamentale lasciar spazio a momenti affinché la famiglia possano esprimere i loro bisogni relativi al sistema di attaccamento. Si tratta di modelli con una manualizzazione molto accurata e da interventi abbastanza brevi, per poterlo fare l’obiettivo non poteva essere quello di ristrutturare i pattern d’attaccamento di uno o più elementi della famiglia ma ci si concentrerà sulle mancanze e bisogni dei singoli membri, nello specifico cercando di aiutare i genitori a capire come il sintomo del bambino è spesso collegato al loro comportamento come base sicura, vicinanza e sensibilità o viceversa e dunque il bambino che non riesce a sintonizzarsi su ciò che i genitori riescono a dargli e dunque compie delle richieste non adatte. • Approccio psicoanalitico familiare: considera le dinamiche inconsce delle rappresentazioni del trasnfert e controtransfert. Problema del bambino fonte di difficoltà relazionale. Si concentra maggiormente sull’individuo e la sua particolarità pur mantenendo l’attenzione sulla famiglia stessa. Tiene sullo sfondo il singolo e le sue caratteristiche. • Approccio psicoanalitico individuale: il bambino è portatore di un conflitto intrapsichico suo (intervento su di lui); genitori intervento di sostegno alla terapia. Per riassumere: la consultazione • è il momento più delicato: quello iniziale, quando i membri della famiglia vengono a esporre cosa non va bene nel loro mondo. • Sono naturalmente preoccupati di come lo psicologo definirà il problema. • La sensazione che il terapeuta si prenda “cura” di loro. • Creare uno spazio sicuro, coinvolgere tutti e identificare un terreno comune su cui tutti siano d’accordo. • Contemporaneamente, prestare attenzione ai bisogni individuali e ai bisogni del sistema tessendoli insieme in modo che abbino senso per tutti. Fare questo potrebbe significare ridefinire il problema attuale, ed enfatizzando i valori comuni e le risorse della famiglia, guidare le alleanze tra i membri della famiglia implica trasformare gli obiettivi individuali in obiettivi di gruppo e accrescere il senso dello scopo condiviso della famiglia riguardo la terapia → trovare delle comunanze interne alla famiglia. Gli aspetti cardine all’interno di una consultazione sono: • accoglienza • ribadire la modalità di lavoro ed i criteri fondamentali sui quali si basa la consulenza e definire le regole del contratto; • scopo del primo colloquio è: verificare se è necessario e possibile un intervento, con chi, e in quale tipo e se esistano, da parte loro, le condizioni per poterlo effettuare e, da parte nostra, le competenze necessarie; • non vi è implicato alcun impegno reciproco e sarà probabilmente necessario un secondo incontro per decidere come è opportuno intervenire. • Analisi del pattern di collegamento alla consultazione • aspettative verso la terapia Pattern di collegamento alla consultazione è il modo con il quale l’individuo o la famiglia si collegano inizialmente al sistema terapeutico. Riguarda i comportamenti specifici e significati: chi telefona, chi è informato della telefonata e del problema, chi è disponibile a presentarsi alla consultazione, chi non si presenta benchè convocato, la dinamica dell’invio ecc… Le aspettative verso la terapia: sono un complesso di richieste, esplicite ed implicite, che vengono rivolte allo psicologo. Bisogna indagare i tipo di trattamento (individuale, familiare…), le motivazioni che sottendono la richiesta e i cambiamenti che si aspettano. È possibile porre a tutti i membri della famiglia domande su quale sia, a loro parere, la forma migliore di trattamento. “voi siete qui per sapere da noi come tecnici, quale sia la strada migliore da seguire per migliorare il problema di X e naturalmente vi daremo la nostra risposta al termine della consultazione. Prima però vorrei sapere da voi, che vivere direttamente la situazione e che conoscete X meglio di noi, quale ritiene che sia l’intervento 6 migliore. Ad esempio, lei, come padre, ritiene che sia meglio una psicoterapia individuale o invece un lavoro terapeutico con anche gli altri membri della famiglia. Perché? Se si optasse per una psicoterapia familiare, chi riterreste opportuno coinvolgere nel trattamento? Perché?” 1.Cenni sulla terapia familiare (approccio sistemico-relazionale) Background storico: • l’interesse per la famiglia nasce nei paesi anglosassoni, in particolare Stati Uniti con integrazione di Inghilterra, il primo interesse riconosciuto per il coinvolgimento della famiglia nei percorsi da Ackeman negli anni ‘30 e ‘40 che è uno psicoanalista infantile che coinvolge per la prima volta le famiglie dei suoi pazienti. Indaga il ruolo della famiglia all’interno della patologia e dalla possibilità di uscire dalla patologia. • Bowen, anni ‘60 sostiene come sia importante studiare la storia (trigenerazionale) dei pazienti schizofrenici, la patologia nelle famiglia era un qualcosa di intergenerazionale che veniva trasmesso e per poterli aiutare era necessario lavorare con la famiglia completa (genitori e nonni) • Bateson, anni ‘50-’60 (Palo Alto) da importanza alla comunicazione delle famiglie nei pazienti schizofrenici. Parte dal presupposto che nelle famiglie con questi pazienti c’è una comunicazione alterata che crea confusione, come se il messaggio non verbale e quello verbale non fossero coerenti tra di loro e questo crea molte difficoltà nei pazienti schizofrenici. Nel dopoguerra negli USA ci si sposta dall’attenzione individuale a una familiare e ciò è connesso agli esiti sociali, economici e culturali avvenuti in questo periodo, si guarda più all’aspetto sociale della comunità. In questo periodo abbiamo una crisi delle istituzioni che non sembrano più essere in grado di essere curanti verso la malattia mentale, che aumenta di numero nei casi e una diminuzione di soggetti che beneficiano dell'aiuto di queste istituzioni. L’obiettivo era dunque di rivedere la cura psichiatrica alla luce della nuova condizione sociale e istituzionale del periodo (legami modificati dalla guerra). E inizia a maturare la consapevolezza che per poter aiutare soprattutto i pazienti più gravi c’è bisogno di accudimento considerando il dentro e il fuori la mente del paziente, fallimentare è proporre un intervento supportivo solo all’interno del contesto curante perché i miglioramenti che avvengono in questi modi poi non venivano prolungati all’interno della famiglia dove invece si aveva una regressione del paziente → l’istituzione non risponde più ai bisogni delle persone o di saperli aiutare solo all’interno di questa struttura. Si iniziò a studiare come nelle famiglie dei pazienti psichiatrici c’era maggior prevalenza di comunicazione verbale e non verbale non compatibile che provocava sofferenza al soggetto; era dunque necessario ampliare il modello includendo la famiglia nel trattamento, non basta fornire solo delle indicazioni ma è necessario osservarla e prenderla in carico interamente. Alcuni terapeuti iniziano dunque ad osservare il gruppo sociale in cui si trova il paziente, includendo la famiglia nel trattamento e sin dall’inizio la terapia familiare che presenta caratteristiche importanti: • necessariamente deve essere di breve durata, • praticabile anche all’esterno delle strutture ospedaliere (potenzialmente aiutando la famiglia possano diminuire i ricoveri); • rispetto a quella individuale appare più adeguata a rispondere alle esigenze sia umane delle persone che economiche dei servizi sanitari. Due principali poli di ricerca in ambito familiare: • zona più a ovest della California(Palo Alto) abbiamo autori come Bateson, Haley e Wekland, caratterizzato dall’applicazione della scienza tecnologica ai sistemi umani, come se trovassero continuità tra sistema cibernetico e il legame che si trovano all’interno della famiglia. • Zona più a est, New York e Filadelfia con autori quali Minuchin e Ackeman, fondato sulle teorie psicoanalitiche e sull’osservazione diretta dei pazienti psichiatrici, ospedalizzati, nell’interazione delle loro famiglia che causava spesso anche una regressione nel loro funzionamento come se stimolasse qualcosa che rendeva più faticoso affrontare la patologia e da qui l’importanza di spostare l’attenzione verso tutta la famiglia → entrambi erano psicoanalisti individuali e dunque usano basi di psicoanalisi. Punto in comune: la famiglia è l’unità su cui impostare il lavoro, la base da cui partire, per dar luogo ad un progressivo scambio denominato “terapia familiare” (quando si parla di terapia familiare di norma si fa riferimento all’approccio sistemico). 7 La filosofia di base della Scuola di Milano non tende a trasmettere un corpus consolidato di teoria e prassi ma piuttosto a suscitare un atteggiamento di apprendimento e di ricerca sull’eziopatogenesi relazionale di gravi disturbi psichici. Finalità del trattamento Poter classificare il paziente secondo la sua sintomatologia, riconosciuto fin dall’inizio del trattamento. Il terapeuta è l’esperto del sistema familiare: il clinico ha la competenza e il linguaggio adeguato inoltre per poter lavorare deve sempre avere un’ipotesi che deve verificare stimolando la famiglia e le sue relazioni. Vanno poi rinnovate in ulteriori ipotesi qualora non siano confermate o qualora sia necessario andare oltre. Non deve essere presente solo durante l’assessment ma è una costante di ogni seduta e di ogni momento della stessa. È come se il trattamento si basasse sulla conferma o meno delle ipotesi che non sono frutto solo del suo pensiero e osservazione ma nascono dalla condivisione con l’equipe di terapeuti. Avere un ipotesi è fondamentale perché ciò che permette al terapeuta di essere attivo e partecipante nella seduta perché deve andare a verificarla attraverso la stimolazione: domande, interventi, richieste fatte ai membri della famiglia che attraverso risposte e reazioni gli permettono di verificare se l’ipotesi sia pertinente o meno. Il terapista inizia ogni seduta con delle ipotesi in mente e una scaletta di step da poter raggiungere durante la seduta. Metodi per diagnosticare la disfunzione o patologia Le sedute sono realizzate con il paziente, con genitori e con i fratelli, si lavora per ricostruire nel dettaglio la storia personale di ciascuno e offrire alla famiglia una ricostruzione del processo patogeno. La patologia avrà un nome preciso a seconda dei criteri e che sarà molto connessa agli aspetti relazionali della famiglia. Per poter individuare i cambiamenti da fare (progetto terapeutico), considerando le risorse del sistema. È importante aiutare la famiglia a comprendere i passaggi chiave rispetto alla patologia: come è nata, come si è sviluppata, cosa l’ha creata così da poter lavorare sulla motivazione ad un percorso terapeutico per rinnovare la possibilità di confermare il desiderio di portare avanti il processo terapeutico. Non tenere a mente le risorse del sistema potrebbe portare il terapeuta a rispondere ai suoi bisogni e non a quelli della famiglia che ha difronte portando così a un lavoro frustrante e a un possibile drop out della famiglia. Se abbiamo un membro riluttante e magari portatore del sintomo non ha senso proporre un intervento familiare se prima non siamo riusciti a motivare questo membro. Struttura del processo terapeutico La scheda telefonica usata prima degli anni ‘90 per prendere le prime informazioni: era un intervista strutturata e come raccontano gli autori veniva effettuata telefonicamente prima di poter ricevere la famiglia per permettere al terapeuta di avere un ipotesi prima di vedere la famiglia. Erano informazioni anamnestiche permettevano di avere un quadro abbastanza approfondito della richiesta e della struttura della famiglia. Raccomandavano di fare tale scheda attraverso l’impiego di persone esperte e del settore e non della segretaria perché la conoscenza tra paziente e chi riceve la chiamata coinvolgeva delle sfumatura psico-emozionali che dovevano essere accolte e contenute da una persona preparata, si toccavano già allora aspetti di vulnerabilità. Successivamente tale modalità è stata abbandonata per motivi di tempo, durava quasi un paio di ore al punto che si parlava di telefonate fatte in due volte per toccare tutti i punti. Inoltre i professionisti coinvolti e dunque molto attivi non venivano retribuiti per questo interventi e inoltre i centralini rimanevano occupati a lungo non permettendo a tutti di interagire. Infine si creava una sorta di stanza ma poca empatia e poca presenza come se la persona si sentisse poca accolta e poco contenuta che portava la famiglia a non andare al primo e vero colloquio, mancava l’aspetto umano che accoglieva la sofferenza, ristrutturarla. Le domande erano connesse ai dati fattuali ma ci sono anche domande che raccolgono informazioni sulla figura del padre e della madre (nome, età, anno in cui si sono sposati e informazioni rilevanti circa il problema, chi effettua la chiamata e che ruolo ha rispetto al portatore del problema, osservazioni rispetto a quanto avviene, informazioni dell’inviante perché spesso colui che accoglieva la richiesta poi non era lo stesso terapeuta che conduceva il primo colloquio, vengono convocati alla prima seduta determinate persone e si fa domanda sulla composizione della famiglia di origine dei membri così da avere un quadro completo e complesso per permettere ai terapeuti di essere avvantaggiati sulle ipotesi da verificare). Un’altra tecnica molto comune all’interno del modello sistemico è quello dell’uso del genogramma proprio per l’interesse verso l’osservazione delle relazioni familiari non solo nel nucleo familiare ristretto ma di tutti i parenti, creare una sorta di albero genealogico delle relazioni familiari (rappresentati da simboli chiave). Una struttura connotata dai ruoli e stati (essere in gravidanza, aborto e adozione) e sia i legami che nasce in telefonata ma poi rinnovata dall’osservazione dei membri della famiglia stessa: due linee legame forte, riga 10 spezzata relazione conflittuale, due linee con linea spezzata legame forte ma conflittuale, tre linee legame confusionale. Il setting così come previsto da questo approccio è composto da una equipe caratterizzata da un approccio paritetico ovvero sono presenti un terapeuta uomo e uno donna per permettere ai vari membri della famiglia di poter spostare e usare il terapeuta, per poter non solo esprimere la modalità relazionale abituale ma soprattutto esperire una modalità diversa relazionale, permettendo ai terapeuti di poter vedere le modalità relazionali connesse al genere, la maggior predisposizione a dare fiducia all’uomo che alla donna, la differenza di empatia tra i due. Quasi sempre l’equipe lavora in parallelo ovvero si struttura durante il primo incontro e si mantiene tale per tutta la fase di assessment, come se identificassimo nell’approccio 3 momenti chiavi: l’intervista telefonica o segnalazione, momento di assessment (terapeuta maschio e femmina nella stessa stanza e due co-terapeuti al di la dello specchio unidirezionale e questo perché si lavora sulle ipotesi) e momento successivo della terapia. Nell’assessment è fondamentale avere più terapeuti perché quelli in seduta vedono il vissuto dirittamente con un feedback più emotivo e diretto mentre chi è fuori ha meno coinvolgimento emozionale ma ha la possibilità di pensare più a freddo rispetto a ciò che avviene e così la possibilità di fare 4 ipotesi che possono essere uguali o diverse e lavorare poi in equipe per confrontare tutte le idee. La terza fase della terapia in cui tendenzialmente c’è un solo terapeuta e gli altri osservano, è un percorso tendenzialmente breve, sono di solito 10 con cadenza mensile e che dunque in totale dura un anno circa. Per quanto riguarda questo approccio non c’è mai un unico e solo terapeuta. La terapia familiare è condotta come un lavoro di equipe, che ha la caratteristica di essere assolutamente paritetica. Quando uno dei clinici fa un intervento lo esplicita come proveniente dall’intera equipe, mai a titolo personale. Nelle prime fasi le sedute sono condotte da una coppia di coterapeuti mentre altri due li guardano da dietro lo specchio. Nei momenti successivi partecipa alla sessione un solo terapeuta e gli altri osservano. Ogni seduta è strutturata in 5 sottofasi: 1. pre-seduta: l’equipe discute le informazioni preliminari a disposizione della famiglia per impostare il trattamento e dove dunque si fanno le prime ipotesi e si decide il percorso della seduta; 2. una seduta in cui il terapeuta pone delle domande ai diversi membri della famiglia (1 ora circa) → osservatori possono essere coinvolti per approfondire un dato aspetto, o dietro lo specchio o comunicando con il terapeuta stesso dentro la stanza anche se sono momenti rari perché i percorsi sono decisi già nella fase 1, avviene solo quando emergono elementi forti che non fanno proseguire verso la strada precedentemente seguita 3. discussione della seduta: l’equipe si riunisce per capire come concludere la seduta stessa, il terapeuta lascia un attimo sola la famiglia e si prende un po’ di tempo per parlare con l’equipe per capire come concludere la terapia e cosa chiedere di portare a termine per la seduta del mese successivo 4. conclusione della seduta: il terapeuta comunica ai membri della famiglia commenti, prescrizioni e rituali; 5. discussione sulle reazioni della famiglia al commento o alla prescrizione Cosa si intende per prescrizione? Alcune esperienze cliniche compiute suggerivano che all’interno della famiglia molto spesso il sintomo o difficoltà portata da un figlio aveva molto a che fare con una famiglia all’interno della quale c’era una sorta di prevaricazione di ruolo, come una sorta di bisogno o presunzione da parte dei figli di poter avere parola, decisione e possibilità di cambiare per inserirsi nella relazione dei genitori. Dunque una delle prescrizioni più usate era quella che prevedeva alla fine dei colloqui di trattamento comunicare ai genitori in assenza dei figli di poter dedicare del tempo a se stessi mantenendo il segreto su ciò che facevano ai figli (ad esempio fare delle sparizioni, lasciare un biglietto senza specificare cosa facevano quando non erano a casa o in assenza dei figli senza dare spiegazione così da ricreare dei confini tra la coppia genitoriale e la coppia coniugale). Si è potuto notare come nei racconti di ragazze anoressiche come la prescrizione di questo segreto che doveva essere mantenuto, di questi genitori che sparivano, di questi figli che non si potevano più intromettere, hanno portato alla sparizione stessa dei sintomi. Un altro elemento fondamentale è la presenza del quadernino ovvero la richiesta esplicita ai genitori di compilare in modo autonomo e indipendente dei report sulle emozioni dei propri vissuti e dei familiari difronte a queste sparizioni e devono rimanere privati perché condivisi nella prossima seduta, in presenza del terapeuta che aiuterà a trovare significati rsispetto a ciò che è emerso e supportarli nel cambiamento. Tecniche adottate 11 • L’ipotizzazione è tecnica fondante del modello stesso e consiste nel far si che il terapeuta possa formulare un ipotesi che sia ancorata sulle informazioni in suo possesso (pre-seduta) con la quale si stabilisce il punto di partenza della propria investigazione. Una seduta non viene mai iniziata con un livello di informazione uguale a zero. Con l’ipotesi si garantisce l’attività del terapeuta (indagare), continuare a valutare la possibilità (no veridicità) delle ipotesi e continuare a cambiarle nel tempo: diverse punteggiature e punti di vista alternativi. Qualora l’ipotesi risultasse errata, il terapeuta dovrà formulare rapidamente una nuova ipotesi suggeritagli dalle informazioni raccolte durante il lavoro di verifica dell’ipotesi precedente. Se il terapeuta si comportasse in modo passivo potrebbe essere la famiglia a imporre il proprio procedimento rivolto esclusivamente a designare chi è “matto”, chi è “colpevole” con informazione uguale a zero. • La circolarità è la capacità del terapeuta di condurre la sua investigazione basandosi sulle retroazioni della famiglia in base alle informazioni da lui sollecitate in termini di rapporti, differenze e di cambiamenti. Ogni membro della famiglia sarà invitato a dire come vede la relazione tra altri due membri: si indaga il modo in cui una relazione diadica è vista da un terzo. Ciò infrange una delle regole della famiglia disfunzionante perché di solito hanno una comunicazione non trasparente ma fatta dietro a una comunicazione che altera dei passaggi e questo provoca retroazioni e ciò consente la prosecuzione delle investigazioni e di fare nuove ipotesi e confermare o meno le vecchie. Può comprendere dei comportamenti interattivi specifici: il terapeuta a fratello maggiore: quando Luca comincia a perdere il controllo e dare spintoni alla mamma, cosa f il papà? E la mamma come reagisce a quello che fa o non fa? E tu cosa fai?. Comprende anche differenze nei comportamenti, ad esempio: Francesco dice viviamo insieme ai nonni che sono dei gran rompiscatole, il terapeuta chiede cosa fanno per rompere le scatole, e Francesco risponde che si immischiano e il terapeuta chiede chi dei nonni si immischia di più. Spesso viene sollecitata creando una graduatoria tra i membri rispetto ad uno specifico comportamento o interazione. Si indaga anche il mutamento del rapporto e le differenze rispetto a circostante ipotetiche “se…” permettendo di fantasticare per uscire dall’aspetto concreto. L’acquisizione di tale competenza esige dal terapeuta un grandissimo sforzo per liberarsi dai condizionamento linguistici e culturali che gli fanno ritenere di essere capace di comportarsi in termini di cose al fine di riscoprire la profonda verità secondo cui si pensa unicamente in termini di rapporti. • La neutralità: l’insieme dei comportamenti del terapeuta nella condizione della seduta deve essere privo di giudizi moralistici (espliciti ed impliciti), il terapeuta inoltre si propone di cogliere e neutralizzare i tentativi di coalizione, seduzione o relazione privilegiata che un membro o un sottogruppo della famiglia tenti di fare. Deve stare ad un livello diverso (metalivello) rispetto alla famiglia. Gli interventi terapeutici devono basarsi sulla conoscenza sistemica delle modalità relazionali della famiglia. • Il refraiming ovvero del ristrutturare, seguendo i discorsi si da nuova struttura alla visione del mondo concettuale e o emozionale del soggetto e porlo in condizione di considerare i fatti che esperisce da un punto di vista tale da permettergli di affrontare meglio la situazione anziché eluderla, perché il modo nuovo di guardare la realtà ne ha mutato completamente il senso. Dunque non si alterano i fatti concreti avvenuti ma il significato che il soggetto attribuisce alla situazione, la lettura persona del soggetto. Non sono le cose in se stesse a preoccuparci ma le opinioni che ci facciamo di esse. È una tecnica per ottenere il cambiamento. Bisogna tener conto dei punti di vista, delle aspettative, delle ragioni, delle premesse che i clienti ci danno e insegna così un altro gioco. Nella prima fase della consultazione non è necessario usarlo perché va co-costruito e deve contenere un aggancio per la spiegazione del percorso futuro, è dunque nella fase terapeutica che avviene e non nelle primissime fasi perché serve alleanza con il terapeuta. Bisogna fare riferimento al sintomo perché esso è il cuore del problema e vanno utilizzate pezze giustificative tramite le loro parole e definizioni. Tanto più usiamo aspetti consapevoli della famiglia e tanto più riusciamo a passare a una modalità modificata perché vedono elementi concreti e forniamo percorsi da seguire per ottenere cambiamenti Una delle tecniche utilissime è la curiosità ovvero si auspica che il terapeuta rimanga sempre curioso perché perderla significa perdere la capacità di fare ipotesi perde la capacità di aiutare la famiglia. 12 riconoscimento della loro involontaria parte di responsabilità nell’eziologia delle difficoltà del paziente, si deve porre più avanti nel processo di presa in carico e del trattamento. L’obiettivo di depatologizzare il paziente non è un urgenza del primo colloquio anche se è un elemento fondamentale dell’approccio. L’applicazione prematura e/o troppo radicale di quello che Mara Selvini Palazzoli chiamava principio di competenza potrebbe essere dannosa (il terapeuta racchiude il sapere). È una regola ferrea non fare nel primo colloquio alcuna domanda relazionale “ come è stata, come è, la relazione del paziente col padre?” perché queste domande vengono lasciate per la prima seduta di consultazione familiare condotta in equipe, hanno attenzione di più attenzione e tempo e necessita la consapevolezza che la famiglia voglia lavorare con noi. Le osservazioni relazionali emergono copiosamente dalle semplici osservazioni e dai fatti che vengono raccontati. Non c’è tempo per domande relazionali, che sono pericolose su quel territorio della colpevolizzazione e della vergogna. Salvador Minuchin e le terapie strutturali Rientrano sempre nell’approccio familiare ad approccio sistemico e Minuchin è capostipite dell’approccio strutturale, inizialmente di orientamento psicoanalitico è poi passato ad un approccio strutturale. Dopo aver letto un articolo con intervento familiare hanno loro stessi iniziato a sviluppare un nuovo approccio, lavorava con minori in difficoltà sociale e difficoltà di comportamento e tramite la pratica clinica sviluppa i principi cardine. Il modello nacque grazie alle persone che sono intervenute in questo modello e che lo hanno supportato osservando le sedute e riportando gli elementi peculiari della tecnica. Minuchin nasce da una famiglia dell’Argentina e nasce in un quartiere che continuava a mantenere le tradizioni russe ebraiche e dunque sentirsi come una sorta di estraneo nel paese che lo ospitava. Alla scuola dell’obbligo si è trasferito nella zona di New York per studiare medicina. Conosce Achenbach che lo introduce allo studio psicoanalitico e viene inserito in una clinica pediatrica dove conoscerà la sua futura moglie e con la quale maturerà l’idea che la terapia così come proposta dentro l’istituto, dedicata solo al bambino e non al contesto, è una terapia abbastanza povera perché lascia a desiderare la possibilità d mantenere in modo positivo ed a lungo termine i miglioramenti ottenuti nella struttura. Ottiene il suo primo incarico in un ospedale di un quartiere povero di New York dove ci sono bambini che hanno commesso dei crimini e che quindi sono raccolti lì per aiutarli a correggere il loro comportamento. In parallelo Minuchin comprende quanto sia necessario lavorare sulla famiglia più che sul singolo individuo così da contenere il problema del bambino e integrarlo nel sistema famiglia e società. Nel 1965 Minuchin è chiamato a dirigere a Filadelfia la Child Guidance Clinic che sotto la sua guida diventa un centro di riferimento internazionale per la terapia familiare secondo il modello strutturale. L’assunto di base che guida i sui studi è che il contesto sociale rappresenta un organizzatore quando è adattivo e disorganizzatore quando è disadattivo e l’ambiente familiare è elemento familiare dell’organizzazione o meno del paziente. Gli interventi sono orientati al contesto, più il contesto è allargato e presente nella seduta terapeutica e migliore sarà l’intervento. Due sono i concetti fondamentali dell’approccio strutturale alla terapia familiare: struttura ed adattamento. La struttura della famiglia è un insieme implicito di regole che organizzano il modo in cui i membri interagiscono, la famiglia si evolve nel tempo e la sua organizzazione subisce clinicamente delle ristrutturazioni. Il funzionamento della famiglia si struttura con una forma gerarchica tra i membri della famiglia: genitori al vertice e figli dipendono da essi, anche se ci sono fasi evolutive infatti quando i genitori sono anziani viene sovvertita la posizione. Ogni famiglia prevede la definizione di regole di comportamento, presenta chiari confini tra sottosistemi e ha uno stile transazionale compreso tra due estremi: più famiglia è sana e più lo stile transazionale è buono. Abbiamo famiglie disimpegnate (legame debole, scarso senso di responsabilità) e famiglie invischiate (troppo collegate e mancanza di chiarezza di confine). I confini sono generati dalle regole definite da chi e da come partecipa al sistema familiare e possono essere ben definiti, diffusi o rigidi. • Le famiglie con confini diffusi si concentrano su se’ stesse, hanno un amento di comunicazione e di coinvolgimento tra i loro componenti. Il risultato è che la distanza diminuisce e i confini si confondono, producendo un indebolimento della differenziazione del sistema (invischiamento). Si perde la propria identità personale. 15 • Nelle famiglie che sviluppano confini eccessivamente rigidi la comunicazione tra i sottosistemi (membrane molto rigide, molte regole) diventa difficile e le funzioni di difesa della famiglia sono danneggiate (disimpegno). La maggior parte delle famiglie ha sottosistemi invischiati e disimpegnati, un passaggio fluido tra una modalità e l’altra (madre figli piccoli: invischiamento; sottosistema genitori-figli adolescenti: disimpegno). Questi tipi di interazione possono diventare disfunzionali quando vengono a collocarsi ai due estremi. Gli esiti di una famiglia invischiata è che i suoi membri possono essere svantaggi dal fatto che la forte appartenenza non fa acquisire autonomia, per stare bene devono essere un’unità, la distinzione tra genitori-figli e tra marito e coppia coniugale e genitoriale viene a mancare e viene scoraggiata così l’autonomia e il padroneggiamento dei problemi. In situazione di tensione un tale sistema può essere sovraccarico e privo delle risorse necessarie per adattarsi e cambiare, tutto la devono pensare allo stesso modo e non ci sono nuovi elementi che portino elementi di novità e stimolazioni. I componenti delle famiglie disimpegnate possono funzionare autonomamente ma hanno un senso distorto dell’indipendenza, mancano di sentimenti di lealtà e di appartenenza nei confronti della famiglia, della capacità di interdipendenza e di richiedere aiuto e sostegno quando necessario. Si tratta di una modalità molto autonoma. Sottosistemi e adattamento I contorni sono generati dalle regole defnite da chi e da come partecipa al sistema famiglia, Minuchin infatti, osserva ogni specifico componente della famiglia come potenzialmente e simultaneamente coinvolto in diversi sottosistemi che definiscono i ruoli e le identità. I sottosistemi sono strutture sociali attraverso cui una famiglia differenzia ed esegue le diverse funzioni quotidiane, e decisioni, le alleanza, le azioni e le scelte della famiglia. Se le alleanze superano il contorno diventano disfunzionali, cioè non è solo un periodo particolare della vita ma una madre è molta devota alla cura dei figli e non ha più bisogno di condividere dei momenti loro. Il rischio è che alleanza madre e figlio possa creare un sottosistema molto rigido e che non consente un adattamento a livello familiare. Ogni membro è potenzialmente coinvolto in diversi sottosistemi che definiscono la sua identità e ruolo; la moglie può essere sia madre che moglie. Il potere si riferisce all’influenza relativa di ogni membro sul risultato di un’attività. L’adattamento è la capacità della famiglia di rispondere in modo flessibile agli andamenti della vita, ance ad eventi stressanti che possono alterare l’equilibrio di una famiglia (intrafamiliari, ambientali, lavorativi o fase della famiglia). Per un buon funzionamento serve: definizione, flessibilità e coesione. Famiglia sana vs patologica (funzionale vs disfunzionale) I problemi strutturali possono portare ad un elevato grado di invischiamento o disinnestamento, altre disfunzioni strutturali includono la formazione delle alleanze o delle coalizioni all’interno delle famiglie. Sono 3 le dimensioni principali: 1. Struttura: i problemi strutturali possono portare ad un alto livello di invischiamento o disinnestamento o alla creazione di alleanze o coalizioni all’interno della famiglia; 2. Sviluppo: e disfunzioni si verificano quando la famiglia non riesce a fare una transizione adatta da una fase del ciclo di vita alla seguente. 3. Adattamento: le disfunzioni si presentano nello sforzo di adattarsi a nuove situazioni (perdita di occupazione, divorzio, nascita di un figlio…) Parlando di una famiglia sana ci aspettiamo che i confini siano ben saldi, ben definiti per proteggere il sano sviluppo del sottosistema permettendo ai suoi membri di esercitare le loro funzioni senza interferenze indebite (genitori); permeabili per consentire il contatto tra i membri del sottosistema e gli altri; flessibili al fine di non ostacolare la crescita della famiglia e di permettere nel contempo, una sana crescita dell’individuo. La sopravvivenza della famiglia come sistema dipende da una gamma sufficiente di modelli, dalla disponibilità di modelli transazionali alternativi e dalla flessibilità nel mobilitarli quando sia necessario. Deve avere un corredo transazionale variegato. Indicazioni di rilevanza per il trattamento Famiglie in cui il paziente è un bambino o adolescente. Essendo un modello nato nel contesto non ricco è importante che possano partecipare alla seduta anche delle figure che non sono i genitori biologici del figlio ma che siano figure di rilievo del bambino. 16 Metodi per diagnosticare la disfunzione o la patologia Bisogna indagare a livello di sistema familiare come si esprime e si mantiene il sintomo nella famiglia, quali caratteristiche della famiglia quale sottosistema alimentano la disfunzione. È importante evidenziare come la definizione di un problema non consiste o non si limita alla percezione da parte dei membri della famiglia di ce cosa è errato ma bisogna dare attenzione alle interazioni e non alle credenze dei membri, perché attraverso si ha una visione abbastanza complessa dei sottosistemi e quando sono flessibili. Il terapeuta nelle sedute diagnostiche iniziali raccoglie dei dati e deve fare delle ipotesi relative alla disfunzione e dunque ai contorni, fase di sviluppo, adattamento, ha dunque un ruolo attivo tanto che una tecnica utilizzata da questo modello è allearsi con un membro per un periodo per poter meglio verificare un’ipotesi. Setting e tecniche adottate All’interno di questo modello è prevalentemente presente un terapeuta, un co-terapeuta serve solo in casi specifici quando magari ci sono complessità nella lettura di sottosistemi in caso contrario si tratta di un modello pensato per un terapeuta, definito come empatico e disponibile ma contemporaneamente fermo e direttivo, accentuate nella tecnica dell’avvicinamento. I terapeuti strutturali della famiglia tendono a presentarsi alla famiglia come disponibili ed empatici ma anche fermi e direttivi. Associazione ed accomodamento sono due modalità usate dal terapeuta nella seduta in momenti diversi: l’associazione usata per descrivere le azioni che il terapeuta fa per stabilire un rapporto con la famiglia ovvero le modalità con cui cerca di stimolare l'interesse della famiglia. Con accomodamento si intende quei cambiamenti e riadattamenti che il terapeuta fa per arrivare ad un contatto empatico con la famiglia, ad esempio seguendo la tempistica con cui vengono portate le tematiche dalla famiglia, rallentare il tempo di ascolto, aumentare le domande con una famiglia che non riesce a dare risposta, facendo domande dirette e specifiche. • Alcune tra le tecniche specifiche di accomodamento possono essere: mantenimento dove il terapeuta cerca di fornire un sostegno temporaneo delle strutture che nel corso della terapia dovranno poi essere messe in crisi. Il terapista così può scegliere di mantenere specifici modelli transazionali di un sottosistema familiare, sostenendo e rafforzando il modello abituale. Solamente quando l’unità terapeutica si sarà stabilita potrà spingersi al di la di questa struttura al fine di promuovere il cambiamento. Le operazioni di mantenimento possono implicare spesso il sostegno attivo dei sottosistemi familiari, ad esempio quando il terapista accetta la definizione di complementarità datagli dalla coppia, oppure quando partecipa apertamente dell’umorismo della famiglia, o quando esprime affetto per essa. Nel corso della terapia le operazioni di mantenimento possono avere una funzione ristrutturante perché il sostegno fornito ad un sottosistema può spingere le altri parti della famiglia a ristrutturarsi al fine di accomodarsi a questo sostegno cioè come se vedendo che il terapeuta si allinea a delle modalità più pacifiche, aperte conflittuali, il protrarsi di queste modalità permettesse anche ad altri sottosistemi di fare battute, di litigare o portare fuori del malumore e dunque si accomoda verso queste modalità che sembrano essere preferite dal terapista. Di norma la famiglia lo fa in modo parzialmente inconsapevole mentre il terapeuta deve essere consapevole del motivo per cui sta adottando questa tecnica. Un’altra tecnica è quella di seguire le tracce quale capacità del terapeuta di seguire contenuti e racconti della famiglia mostrando interesse e incoraggiandola a continuare. Prevede delle domande di chiarificazione, commenti o richieste di maggiori delucidazioni rispetto ad una argomento scelto dalla famiglia. Il terapista si pone come un interlocutore interessato. Seguire le tracce dei contenuti delle comunicazioni permette di esplorare la struttura familiare, conoscere i ruoli del racconto. • Un'altra tecnica è la mimesi dove il terapista usa delle tecniche per diventare come un camaleonte vicino alle modalità della famiglia stessa, ad esempio rallentare il ritmo comunicativo con famiglie con tempi lunghi, che pensa molto; viceversa con una famiglia con toni più vivaci e scherzosi può essere che il terapeuta si senta più disinvolto nel fare domande o battute. Le operazioni mimetiche sono spontanee ed implicite nel processo terapeutico così da integrare la famiglia e creare legame, se non è spontanea è senza utilità perché probabilmente la famiglia se ne accorgerà della mancanza dell’aspetto reale della relazione. Queste tecniche possono essere usata sia nella fase iniziale che nella fase finale ovvero della ristrutturazione, post scardinamento di alcune caratteristiche. 17 cui i familiari iniziano a non essere più tanto consapevoli delle direzioni della terapia e dunque devono affidarsi per poter andare avanti e capire ciò di cui si parlerà e in che modalità. Fase orientata all’associazione e far sì che la famiglia possa accomodarsi ai terapeuti e viceversa; 2. nella fase centrale l’obiettivo è riorganizzare la struttura familiare in base alla nuova configurazione interpersonale dopo aver esplicitato e lavorato sui sintomi; Whitaker si pone come elemento disturbante, spesso aggressivo nella modalità di porsi, non è un terapeuta che sta attento al fatto che tutti parlino e si sentano accolti, non si pone come regolazione di flussi di comunicazioni: svagato, sonnolento e distratto,sembra parlare a casaccio, a volte si addormenta in seduta come pretendesse che sia la famiglia ad attirare la sua attenzione. Tecniche adottate e finalità Nonostante abbia definito la gran parte delle tecniche psicoanalitiche come difese, considera alcuni aspetti che hanno molto a che fare con esso, da importanza al mondo simbolico e dell’inconscio, parla per immagini. Parte dal presupposto che il terapeuta non deve sostituirsi al paziente, non deve dare risposte ma deve creare le situazioni per cui le risposte arriveranno in automatico, in caso contrario indebolisce le risorse della famiglia stessa. Deve solo delineare la strada verso i disturbi relazionali e non dare risposte, qui il terapeuta non ha la conoscenza, non da spiegazioni sul sintomo o sulla patologia. È importante far notare le ricadute che hanno i confini troppo rigidi o fusionali sui singoli membri per aiutare a decostituire le identità che sono state assegnate come modalità più semplici per adattarsi ad un cambiamento, che può essere reso migliore o alleggerito da un altro problema. Fattori di cambiamento Il ruolo centrale del terapeuta si basa sul rapporto interpersonale focale all’interno dell’intervento, l’esperienza è cruciale nel rapporto, l’esperienza di se’ porta a crescita emotiva che Whitaker acquisisce ad ogni seduta che fa. Nella relazione c’è la possibilità di conoscere aspetti nuovi di se stessi. Per fare terapia è necessario sviluppare e mantener e un costante rapporto con il mondo interno che non viene portato in seduta ma è fondamentale da tenere a mente perché ci si deve donare molto e dunque bisogna distinguere ciò che appartiene alla famiglia e ciò che appartiene a se’ stesso. Il terapeuta si rivolge all’inconscio familiare, non conta differenziare i singoli della famiglia ma cambiare qualcosa nel loro stare insieme, nelle relazioni che li caratterizzano. Sviluppi recenti A livello nazionale abbiamo Andolfi (gruppo romano, 1977) che è partito da spunti di Withaker e cerca di usare queste tecniche adottando il punto di vista del bambino nel contesto familiare quale parte debole della stessa. Si cerca un alleanza tra terapeuta e la parte debole della famiglia. La relazione che crea esula dall’intervento terapeutico, si tratta di relazione creata che va oltre la seduta, si tratta di un prendersi cura anche senza la famiglia concreta. Il centro studi di terapia familiare è il primo centro sistemico-relazionale dedicato espressamente alla famiglia all’inizio degli anni ‘70 e il gruppo fondamentale era composto da: Andolfi, Cancrini, Fioravanti e Vella. Gli obiettivi del centro sono: • attività formative (training degli operatori); • attività di studio e ricerca per approfondire il significato teorico e rendere più adeguati e utili gli strumenti di lavoro; • elaborazione, diffusione e discussione di testi per far conoscere il modello sistemico, • progettazione e messa in opera di interventi nelle strutture assistenziali Quello che lo caratterizza è la tendenza a considerare l’approccio sistemico come un paradigma di interpretazione della realtà applicabile anche a diversi contesti: clinico, servizi territoriali, scuola, formazione… non solo terapia familiare e le sue tecniche. Approccio narrativo-dialogico: terapie narrative Un concetto emergente nella terapia familiare di quest’ultimo decennio è la narrativa. Succede quotidianamente che per persone si costruiscano vita e aspettative nei confronti degli altri sotto forma di storie, utilizzando il pensiero narrativo così come descritto da Bruner nel 1986. Michel White, 1992, a partire da un lavoro con i bambini ecopretici cerca un modo di separare la persona dal problema: coniando un motto secondo cui la persona non è il problema, il problema è il problema. Egli fa in modo di esternalizzare il sintomo ossia di distaccando dalla persona per farlo diventare qualcosa che il soggetto può 20 affrontare e anche vincere. L’esternalizzazione del sintomo è il correlato dell’oggettivizzazione del problema che risulta essere la traduzione metodologica della necessità teorica di ricondurre le radici del problema della persona o della famiglia alle condizioni culturali che si suppongono essere la sua sorgente. Oggettivizzare il problema significa mostrarlo come il prodotto di processi di istituzionalizzazione di tipo culturale, sociale, che lo portano a sviluppare alcuni dei suoi se’ potenziali e a lasciarne rattrappire altri. Il lavoro del terapeuta risulta essere conseguentemente un lavoro da non esperto, ossia che non da soluzioni, ma che opera sull’incremento del potere personale e dell’identità dell’individuo. David Epston, 1994, oltre all'uso delle domande come veicolo principale di intervento, adotta mezzi letterali, soprattutto lettere. Il terapeuta è un allenatore che guida la famiglia e l’individuo a trovare i passaggi giusti er le proprie evoluzioni esistenziali. L’uso delle lettere ha anche un correlato pragmatico. Il terapeuta annota quanto i clienti dicono nel corso della seduta al fine di essere meglio preparato a scrivere lettere e rileggerle con i clienti quanto hanno detto durante la terapia. Le domande circolari tipiche della scuola di Milano tendono a spostare l’attenzione dell’intervistato verso le relazioni con gli altri o verso gli eventi della vita, per poi eventualmente tornare al soggetto, con un movimento dall’esterno all’interno. Le domande narrative, al contrario, si centrano proprio sull’esperienza soggettiva e sull’identità, per passare in un secondo momento a considerare le relazioni, realizzando così un movimento dall’interno all’esterno. 3. Modelli basati sulla teoria di attaccamento La teoria dell’attaccamento La teoria dell’attaccamento rappresenta attualmente una delle prospettive più studiate e validate in ambito di ricerca. Bowlby viene considerato un teorico dell’età evolutiva. Purtroppo la ricchezza teorico-metodologica acquisita non sempre si riflette in ambiti specifici di intervento, tant’è che gli studiosi di attaccamento spesso si dedicano soprattutto alla ricerca. Tentativi di collegare l’attaccamento al trattamento psicoanalitico sono attualmente in corso ma un modello più generale sulla teoria della tecnica non è ancora ben sviluppato. Background teorico Bowlby definisce l’attaccamento come una propensione dell’essere umano a costruire specifici legami affettivi con altri soggetti significativi, generalmente per il bambino, la madre. Il legame di attaccamento è un legame affettivo. Il concetto di attaccamento attinge, tra gli altri, ad alcuni contributi in ambito ecologico quali: • Imprinting di Lorenz • Bisogno di calore di Harlow Bowlby concepisce l’attaccamento che unisce il piccolo alla madre come una motivazione primaria al rapporto con la stessa, che ha la funzione biologica di protezione con una propria motivazione interna, distinta e non conseguente al soddisfacimento di bisogni primari legati al comportamento alimentare. La teoria dell’attaccamento è comunque una teoria spaziale: quando si è vicini a chi si ama ci si sente bene, quando si è lontani si è ansiosi, tristi, soli. Dunque sentirsi sicuramente attaccati significa sentirsi sicuri e protetti. Nel caso di un attaccamento insicuro, può coesistere una miscellanea di emozioni verso le proprie figure di attaccamento: amore, dipendenza, paura del rifiuto, irritabilità e vigilanza. Si definisce come comportamento di attaccamento quello che una persona manifesta nel mantenere la prossimità e la vicinanza a un’altra, ritenuta in grado di affrontare il mondo in maniera più adeguata. È innescato dalla minaccia di separazione e viene mitigato o eliminato dalla vicinanza. Viene postulata l’esistenza di una organizzazione psicologica interna con un certo numero di caratteristiche specifiche che comprendono schemi di se’ e della figura di attaccamento. Le esperienze precoci di relazione, infatti, creano rappresentazioni interne delle modalità relazionali, dei modelli di attaccamento in cui vengono rappresentati il Se’, gli altri significativi e le loro interazioni. Dobbiamo a Mary Ainsworth (1973) la fondamentale scoperta che le risposte del bambino potevano essere raggruppate in tre distinti, coerenti ed organizzati pattern di attaccamento: sicuro, insicuro-evitante, insicuro- ambivalente. Successivamente fu aggiunta una quarta tipologia: insicuro-disorganizzato/disorientato. La misura dell’attaccamento nel bambino Lo strumento di assessment dell’attaccamento nel corso dell’infanzia ideato da Mary Ainsworth è la Strange Situation Procedure, 1978, una procedura osservativa che, pur svolgendosi in laboratorio, assume un carattere naturalistico. Si propone di osservare l’attaccamento di fronte ad indizi naturali singoli e combinati di pericolo. Il 21 bambino e la sua figura di attaccamento, di solito la madre, vengono osservati mentre rispondono a tre tipi di elementi naturali di pericolo: 1. un setting non familiare, 2. l’approccio di un estraneo, 3. due separazioni e riunioni tra il bambino e la sua figura di attaccamento. Ci si aspettava che ciascuno di questi elementi avrebbe suscitato qualche propensione alla ricerca di prossimità verso la figura di attaccamento. Inoltre questi elementi, chiamati attivatori del comportamento di attaccamento e elementi verso la sicurezza, venivano successivamente seguiti da terminatori che comportano la riduzione o la cessazione del comportamento di attaccamento. La procedura consiste in 8 episodi che, eccetto il primo lungo minuto per l’introduzione nella e alla stanza da parte di un assistente alla ricerca, sono della durata di 3 minuti ciascuno. → il bambino sicuro gioca felicemente con i giocattoli ed esplora l’ambiente prima della separazione, mostra segni di perdere la madre come chiamare o piangere ma prima della fine di ciascun episodio di riunione, ritorna all’esplorazione e al gioco sicuro della presenza del genitore. → il bambino insicuro-evitante non mostra alcun segno di disagio quando la madre esce dalla stanza e quando essa torna non le fa nemmeno un segno di saluto ma anzi attivamente si volta dall’altra parte, la ignora e tante colte si allontana da lei. → il bambino insicuro-ambivalente mostra comportamenti di attaccamento anche dopo parecchio tempo che la madre è tornata, dimostrando che essa non segnala sicurezza al suo ritorno. La misura dell’attaccamento nell’adulto Il concetto chiave di Internal Working Models (IWM) secondo il quale il bambino in fase di sviluppo costruisce una serie di modelli di se’ stesso e degli altri basati su modelli ripetuti di esperienze interattive. I modelli operativi del se’ e delle figure di attaccamento sono complementari. Il termine Working sta a significare che la rappresentazione è un processo dinamico e models rimanda alla struttura relazionale della rappresentazione, infine, internal definisce il fatto che si sviluppa nel corso dell’interazione tra il bambino ed i suoi genitori. Pochi autori che si interessano di attaccamento si accorgono o riconoscono che la costruzione di un modello mentale costituisce un approccio generale alla rappresentazione che può applicarsi al mondo, sia fisico che interpersonale e che, non è assolutamente limitato alle relazioni di attaccamento. Queste rappresentazioni diventano a loro volta lo strumento attraverso cui il bambino interpreta gli eventi, dirige ed orienta la percezione e l’interpretazione degli avvenimenti. Bowlby sostiene che i pattern di attaccamento precoci possono influenzare il modo in cui il bambino può entrare in relazione con ulteriori caregivers adulti e con i pari e così pure nell’età adulta con il futuro partner e con i propri figli. Gli IWM vengono rivisti e in più subiscono un profondo cambiamento nel tempo quando il bambino non guadagna maggiore comprensione dei sentimenti emotivi della propria figura di attaccamento. Questa modalità viene chiamata goal-corrected-partnership. 1. Adult Attacchment Interview si tratta di un’intervista strutturata e semiclinica, della durata di circa un ora, che può essere somministrata a soggetti adolescenti ed adulti per valutare le rappresentazioni delle relazioni di attaccamento. È formato da 18 domande che si concentrano soprattutto sulle relazioni familiari passate. L’intervista comprende due parti: nella prima vengono poste domande che riguardano il racconto delle prime esperienze relazionali del paziente concentrandosi sulla descrizione delle figure di riferimento, fornendo ad esempio 5 aggettivi che definiscano la qualità della relazione. Nella seconda parte vengono poste domande che riguardano il vissuto rispetto ad eventi significativi: malattie, lutti o eventi traumatici. L’intervista viene integralmente audioregistrata e trascritta verbatim. Lo scoring comprende le scale di esperienza e le scale della mente, il primo gruppo valuta quanto narrato dal soggetto mentre il secondo comprende le sottoscale che descrivono la modalità narrativa usata nel riferire ed esporre le proprie esperienze. La classificazione finale dei pattern di attaccamento rappresenta l’ultima fase dell’analisi dell’AAI che, riconsiderando i punteggi ottenuti nelle differenti sottoscale, consente di attribuire all’intervista una categoria tra quelle prevista dal sistema di classificazione: sicuro, distanziante, preoccupato e mancata risoluzione del lutto e/o dell’abuso. Qualora il protocollo non presenti le caratteristiche di alcuno dei summenzionati pattern viene classificato come cc, cannot classify. 22 I soggetti sono stati seguiti ed esaminati a partire dal primo anno di vita e fino all’età di 19 e 26 anni (AAI), con valutazioni intermedie a 12 e 18 mesi (Strange Situation), a 2 anni, a metà della fanciullezza e a 13 anni. Ai 20 e 26 anni è stato proposto un assessment completo sulla relazione d’amore ed i loro partner o a casa o in laboratorio. In tali soggetti la relazione media era durata 2-4 anni. Gli strumenti applicati per questo assessment includono la CRI. In queste osservazioni videoregistrare le coppie dovevano prima discutere un problema che esse stesse identificavano e poi collaborare alla compilazione di un Q sort che descriveva la coppia ideale. La qualità della relazione è stata valutata il “processo della relazione romantica”. I partecipanti giudicati sicuri all’AAI a 19 anni risultavano coinvolti,a 20-21 anni, in una relazione d’amore di qualità più elevata di quelli insicuri. Relativamente alle competenze relazionali adulte, la questione fondamentale non è dunque se l’attaccamento prevede un qualche risultato ma come le esperienze di attaccamento si inseriscono nella complessità dei processi evolutivi dell’individuo. Riassumiamo i principali risultati: • la storia dell’attaccamento infantile prevede il processo di relazione romantica; • quando alle variabili relative all’attaccamento infantile si aggiunge la competenza con i pari; la previsione sulla qualità della relazione romantica aumenta, • si osservano anche delle complicate interazioni: per esempio, se si considera l’ostilità osservata nelle relazioni romantiche, essa viene predetta da una parte dell’attaccamento infantile. Dall’altra dalla competenza nella fanciullezza mentre questi ultimi non sono correlati. L’attaccamento adulto dal punto di vista dei pattern di attaccamento Crowell nel 1989 ipotizzando che la relazione di attaccamento tra partner adulti subisca uno sviluppo e che parte di questo processo includa l’elaborazione di una specifica rappresentazione cognitiva della relazione adulta. Per confermare le sue ipotesi usò la Current Relationship Interview. La Current Relationship Interview Nella teoria dell’attaccamento abbiamo due tecniche di lavoro, una più classica e una sociale che misurano due costrutti diversi tra loro e dunque non sono la stessa cosa. Quando parliamo di assessment a livello familiare uno degli strumenti che possiamo ritenere utili anche se poco usato in Italia, è stata usato una decina di anni fa ma non sono moltissimi, rispetto all’AAI e AAP e ci permette di valutare i pattern di attaccamento (approccio clinico), è una scala strutturata semiclinica con 15 domande strutturate per sotto-domini e domini che va ad indagare le relazioni di coppia degli individui che abbiamo di fronte e che vanno a strutturarsi nelle relazioni affettive delle persone e che sollecitano e si trasformano all’interno del rapporto di un unico partner (relazione di un periodo abbastanza lungo). Si chiama current perché parte del presupposto che si possa usare in una relazione sentimentale attiva ed è concentrata sulla relazione attuale col partner. Le domande fanno riferimento al presente e al modo di vivere la relazione attuale ma anche rispetto alle relazioni passate. La modalità di scoring è molto simile all’AAI e dunque fatta sulla coerenza del discorso con analisi delle narrative e che valuta l’attuale e nuovo livello di consapevolezza di concetto di base sicura così come interpretato dal membro della relazione. Sebbene il focus della CRI sia costituito dalla relazione che il soggetto intervistato si trova a vivere in quel momento della sua vita, l’intervista chiede inizialmente di raccontare la storia sentimentale precedente l’attuale legame. Questo primo gruppo di domande riguarda i primi appuntamenti, le rappresentazioni che la persona ha delle sue esperienze sentimentali passate (storie brevi o lunghe, molto o poco numerose ecc), l’identificazione di relazioni considerate più importanti rispetto alle altre, la progettualità che ha caratterizzato tali relazioni e le motivazioni che ne hanno determinato la conclusione. Si passa poi gradualmente ad interrogare il soggetto circa la relazione attuale con domande che vertono sull’incontro con il partner, sulla quantità di tempo trascorso con lui/lei e sulla frequentazione delle reciproche famiglie di origine. Al soggetto viene anche chiesto se è a conoscenza di informazioni relative al trascorso sentimentale del partner Col secondo gruppo di domande, il focus passa definitivamente sulla relazione attuale e sull’esplorazione della natura e delle caratteristiche di quest’ultima. Le domande riguardano gli iniziali elementi di attrazione reciproca tra i partner, la percezione dei cambiamenti del partner dall’inizio della relazione al momento dell’intervista, le modalità di risposta del partner all’espressione di idee e opinioni personali da parte del soggetto intervistato. Sul modello dell’AAI, in questa fase dell’intervista si chiede al soggetto di descrivere la propria relazione col partner attraverso 5 aggettivi o parole e di sostenere ciascuno di essi con degli episodi specifici. 25 Terzo gruppo di domande va ad indagare la capacità e possibilità che il soggetto ha di ottenere supporto e conforto dal partner, ed il grado in cui ciascun partner è disponibile a fungere per l’altro da rifugio sicuro, ossia da elemento di supporto, accoglimento, contenimento, nei momenti di distress (turbamenti emotivi, malanni o altre difficoltà fisiche, problemi materiali). Il quarto gruppo di domande va ad indagare le progettualità e strategie che la coppia ha per raggiungere gli obiettivi ed i ruoli di facilitazione versus ostacolo/limitazione al raggiungimento di tali obiettivi che l’uno potrebbe esercitare per l’altro. Alcune domande racchiuse in questo raggruppamento interrogano il soggetto circa gli effetti che il legame sentimentale attuale può aver avuto nell’influenzare le sue scelte, i suoi comportamenti e la sua personalità. Vengono qui poste alcune domande sull’attuale reciproca gelosia e sugli effetti delle separazioni del partner Col quinto gruppo di domande il focus dell’intervista si sposta sulla descrizione del rapporto di coppia dei genitori del soggetto e sulla percezione dell’attuale dell’eventuale influenza di tale relazione sul legame attuale col partner. Si chiede al soggetto di indicare somiglianze e differenze tra la sua relazione col partner attuale e quella dei suoi genitori come coppia. Si indaga, inoltre, la rappresentazione della qualità dei rapporti con la famiglia del partner e di quest’ultimo con la propria famiglia. L’ultimo gruppo di domande ella CRI riguarda la dimensione progettuale della coppia, l’eventuale intenzione di avere figli, le speranze e le attese legate al proseguo della relazione, i problemi previsti. Si chiede al soggetto cosa pensa di aver appreso nella sua relazione con il partner e cosa crede o spera che il partner apprenda nella relazione con lui/lei. Quindi attraverso la CRI si indaga il processo attraverso cui una nuova relazione di attaccamento può essere con facilità o meno integrata nelle rappresentazioni già esistenti dei singoli soggetti e come queste rappresentazioni possono modificarsi in virtù della nuova relazione stabilizzata. La CRI si basa sul concetto di sicurezza, utilizzato per indicare la capacità dell’individuo di usare come figura di attaccamento ovvero come base di sicura l’altro per poter esplorare il proprio ambiente e relazioni e potendo far ritorno al porto sicuro rappresentato ora non più dai genitori ma dal partner. La valutazione si basa sul trascritto e consente la collocazione dell’individuo in uno dei tre gruppi principali: sicuro, preoccupato, distanziante/svalutante a seconda del profilo che emerge dai punteggi (da 1 a 9) ottenuti su 18 scale di valutazione. Le scale consentono di definire: 1. il comportamento del soggetto e i suoi pensieri rispetto ad argomenti correlati con l’attaccamento (indipendenza, intimità…) 2. il comportamento del partner; 3. lo stile narrativo dell’intervistato (rabbia, disprezzo, idealizzazione, passività nel linguaggio, paura della perdita, coerenza generale) Il progetto di ricerca Esso si sviluppa in 3 fasi più una di follow up. In un primo momento sono state incontrate 150 coppie già coinvolte in una relazione di coppia e che si dovevano sposare dopo 3 mesi e 100 che si davano ancora solo appuntamenti. Tutte sono state rincontrate dopo 18 mesi rispetto al matrimonio del primo gruppo e a 70 mesi sono state rincontrare quelle del primo gruppo e quelle che nel frattempo si erano sposate. Infine sono state rincontrate le coppie quando il bambino aveva 36-48 mesi. Il follow up del bambino è stato fatto tramite videoregistrazioni di gioco libero separatamente con il padre e con la madre. I risultati fondamentali mostrano come le rappresentazioni generali dell’attaccamento sono molto stabili e se si verificano dei cambiamenti essi sono dovuti a eventi scatenanti. Si riscontrano correlazioni molto elevate tra risultati della CRI e risultati dell’AAI, relativamente alla CRI, la concordanza dello status di attaccamento nella coppia è elevata. 26 5. L’attaccamento nella prospettiva sociale: gli stili di attaccamento Secondo Bowlby le minacce fisiche e psicologiche automaticamente attivano il sistema di attaccamento . Per quanto riguarda i legami romantici, l’ipotesi che possano essere considerati come attaccamenti risiede nell’accostamento fatto dallo stesso Bowlby tra i lutti delle vedove e le risposte dei bambini piccoli alla perdita del genitore. Le relazioni d’amore tra due adulti implicano un rapporto paritario, in cui certi momenti ciascuno dei partner può sentirsi minacciato, spaventato o ferito o sente la necessità di protezione e conforto. Alla fine degli anni 80 all’interno di un orientamento psicologico-sociale, Hazan e Shaver descrivono 3 stili di attaccamento tra adulti analoghi ai pattern descritti dalla Ainsworth per i bambini, a partire da una semplice misura categoriale di quello che viene definito “stile di attaccamento”, Romantic Attachment Style (RAS): • distanziante: qualche volta mi sento a disagio quando sono vicino agli altri, trovo difficile fidarmi completamente di loro, • ansioso: trovo gli altri riluttanti a venirmi vicino quanto lo desidererei, spesso sono preoccupato che il mio partner mi aiuti, • sicuro: per me è relativamente facile stare vicino agli altri e mi sento a mio agio nel dipendere dagli altri e nel sentire che gli altri dipendono da me. Le misure identificate da questi autori per mezzo del RAS valutano i sentimenti che prova la persona in riferimento alle sue relazioni, in particolare quelle di coppia. Tuttavia con l’ideazione di altri strumenti self report come la Close relationship Scale (CRS) per la misura dell’Attachment Avoidance and anxiety si è giunti a proporre uno schema in 4 categorie: • sicuro (bassa angoscia, basso evitamento) proprio delle persone che hanno una degna e amorevole considerazione di se’, capaci di intimità e autonomia e conforto nelle proprie relazioni sociali; • preoccupato (alta angoscia/basso evitamento) proprio di persone che hanno lacune nel senso di adeguatezza, tanto da non sentirsi degne dell’amore e dell’accettazione altrui, • dismissing-distanziante (alta angoscia/alto evitamento) tipico delle persone che tendono ad evitare il contatto con gli altri per anticipare un possibile rifiuto sociale; • evitante/spaventato (alta angoscia/alto evitamento) tipico di persone che tendono ad evitare il contatto con gli altri per anticipare un possibile rifiuto sociale. Studi recenti Shaver e Mikulincer, 2002, secondo le 4 dimensione sopra descritte hanno proposto un nuovo paradigma che include tre principali componenti: monitoraggio e valutazione della disponibilità e della responsività della figura di attaccamento. Quando la ricerca di prossimità è sentita come vitale o essenziale, le persone adottano una strategia di attaccamento iperattivo, che include un intenso legame con la figura di attaccamento come fonte di conforto. Nei contesti minacciosi, automaticamente e inconsciamente si attivano le rappresentazioni della figura di attaccamento, confermando la nozione che il sistema di attaccamento si innesca in condizioni di pericolo. Individui con attaccamento ansioso si sentono minacciati e conseguentemente attivano più frequentemente il loro sistema. Vediamo ora alcuni correlati: • La percezione dei partner della propria interazione è pregiudicata dallo stile di attaccamento e dalla qualità della relazione. L’attaccamento ansioso ed evitante predice come le persone parlano delle esperienze di cura dei propri partner nel momento del bisogno. • L’attaccamento sicuro è associato a un buon livello di soddisfazione nella relazione, mentre l’attaccamento insicuro è associato a un deterioramento della relazione e un’insoddisfazione personale. • La qualità della vita sessuale di coppia è un importante contributo al grado di insoddisfazione ed è influenzata dalla modalità di attaccamento sicuro/insicuro. • Il conflitto di coppia è influenzato dallo stile di attaccamento. L’ansietà di entrambi i partner è importante nell’esprimere il comportamento conflittuale. • Molte persone preferiscono partner sicuri poiché infondono sicurezza all’interno della coppia e incoraggiano l’apertura ed il reciproco scambio. 27 differenza da altri modelli. Tenta di unire la teoria dell’attaccamento e la teoria sistemica, coniugando così tecnica e teoria. La sua finalità è quello di cercare di aiutare i familiari a riparare il legame di attaccamento e dunque lavorare sui pattern di relazione negativa; si usa quasi esclusivamente per le coppie coniugale ma ci sono evoluzioni usati su famiglie con adolescenti, ma inizialmente nasce solo per la coppia. Nel modello ruolo fondamentale hanno le emozioni e la modalità con cui esse si comunicano, proprio perché essere a contatto con le emozioni e saperle verbalizzare è ciò che permette di costituire una relazione di attaccamento duratura ed efficace. Parte dal presupposto che intende indagare le risposte e i modelli connessi alla relazione specifica e non in generale all’attaccamento (no ristrutturazione pattern di attaccamento ma di modelli adattivi della relazione specifica); molto vicino allo stile di attaccamento sotto prospettiva sociale anche se alla base ha i capisaldi della teoria di attaccamento. Johnson (2003) è ideatrice e afferma che ci sonno collegamenti significativi tra teoria di attaccamento e la teoria sistemica tra cui: 1. attenzione ad aspetto intrapsichico ma anche interpersonale in un’ottica olistica; 2. si occupano di condizioni non patologiche (si scontra col sistemico nato per ragazze anoressiche); 3. hanno una visione simile della disfunzione (più flessibilità e tanto più famiglia è adattiva vs rigidità) 4. usano il concetto di casualità circolare per spiegare come avvengono e interazioni intime e come si creano stabili pattern di attivazione; 5. evidenziano come i modelli del se’ e degli altri siano costantemente definiti in termini di interazione. È possibile considerare la teoria dell’attaccamento come un’estensione della teoria sistemica. Essa afferma che ogni terapia di coppia che condivide un approccio sistemico e considera la relazione intima in termini di attaccamento, si articola seguendo i seguenti principi: • pone il focus sui processi di interazione, all’interno dei quali i bisogni di attaccamento sono espressi; • privilegia la comunicazione emotiva; • fa emergere i cruciali legami di attaccamento ed anche eventuali ferite e violazione degli stessi; • crea una base sicura e un safe haven in terapia; • riconosce l’importante processo dell’autodefinizione e usa nuove interazioni per rivedere modelli negativi del se’ che inibiscono il coinvolgimento emotivo del partner (auspicano l’autonomia e identità degli individui per cercare di mettere maggiormente in gioco l’emotività e di esprimere i propri bisogni nella coppia); • focus sulle ferite di attaccamento che bloccano le relazioni; • analizza gli aspetti chiave della relazione adulta attraverso la teoria dell’attaccamento sicura. Indicazioni di rilevanza per il trattamento L’EFR sembra essere efficace per le famiglie in cui ha senso il focus sui bisogni di attaccamento, la creazione di fiducia di base della donna che l’uomo possa prendersi cura di lei e una connessione emotiva in cui un uomo descritto dalla donna come poco espressivo → due esempi di stereotipie sono dunque molto riduttive per le casistiche in cui può avere effetto il trattamento. Il trattamento non è indicato per coppie con storia di abuso o uomo indipendente e donna tendente alla dipendenza. Finalità del trattamento Prestare attenzione ed aiutare il paziente tramite due compiti fondamentali: accedere e riformulare le risposte emotive ovvero di fornire interventi e possibilità affinché il soggetto si possa concentrare sulla esperienza emotiva vissuta e riuscendo a vedere con lucidità il ruolo che ha giocato nel benessere o malessere della coppia e dunque molto ancorate al presente della coppia. Secondo compito è la formazione di nuove interazioni basate su queste risposte e dunque aiutarli come tecniche quali ripetizioni di modalità o vissuti emotivi connessi ad episodi di attaccamento disattesi e comprendere così i bisogni di riferimento e quali bisogni non sono stati trattati dalla coppia. Il processo terapeutico dell’EFT Essendo manualizzato presenta fasi e sottofasi del processo, con 3 stadi principali: 1. Stadio De-escalation 30 è fondamentale creare un alleanza tra famiglia e terapeuta che sia genuina e vera, la famiglia deve sentirsi accolta perché andremo a parlare di emozioni e di base sicura dell’attaccamento, bisogna evidenziare le problematiche connesse all’attaccamento presenti maggiormente in quel nucleo. Non si guardano i sintomi ma solo ciò che non va nella relazione di attaccamento. Identificate l problematiche bisogna far vedere alla famiglia come queste difficoltà fanno sì che nella coppia le problematiche si mantengono e non vi sia un attaccamento sicuro, non si comprende cosa l’altro ha bisogno. Infine inquadrare la problematica in un’ottica sistemica ed aiutare la coppia ad avere accesso alle emozioni sconosciute della coppia. 2. Stadio Changing Interactional Position Ha come obiettivo il rendere noti alla coppia i loro bisogni di attaccamento disattesi di ogni singolo individuo, dandogli il nome e riconoscendolo in seduta così da capire cosa ostacola una relazione non positiva. Aiutare l’altro ad accettare i bisogni ed eventualmente pensare ad una modalità ad andare incontro ai bisogni ed infine facilitare l’espressione dei bisogni e integrare un coinvolgimento emotivo. 3. Stadio Consolidation and Integration Trovare nuove soluzioni ai vecchi problemi quali aspetti negativi della coppia nella vita (collaborazione e sicurezza) e consolidare nuove posizioni caratterizzate da accessibilità e responsività reciproca. Tecniche adottate nell’intervento • Riflettere l’esperienza emotiva ovvero cercare di dare parole connesse al bisogno di attaccamento e sui vissuti meno filtrati in un momento esperienziale da parte dei membri, aiutare il singolo a sentire cosa sta provando e entrare in contatto empatico con il proprio vissuto e contemporaneamente aiutare il partner a sintonizzarsi su essi. • Validare ovvero legittimare le risposte con affettività negativa, paure e bisogni legati all’attaccamento. Aiutare il paziente a lasciarsi coinvolgere dai suoi vissuti. • Ipotesi empatiche ovvero chiarire e riformulare quelli che sono i nuovi significati che emergono dalla seduta e connessi a bisogni particolari di attaccamento. • Seguire il cammino, riflettere, ripetere le interazioni: esplicitare le sequenze chiave affinché vengano ristrutturate in modo maggiormente positivo, il terapeuta funziona un po’ da specchio per proporre come sente lui le emozioni e chiedendo come le sentono gli altri; • Riformulare nel contesto del ciclo e del processo di attaccamento: esperienze, bisogni e paure concretizzate nella vita dei pazienti; • Ristrutturare e dare forma alle interazioni: sostituire i pattern negativi con altri più funzionali (nel modo meno doloroso possibile, non andando troppo nel passato ma usarlo solo come riferimento perché potrebbe dare l’impressione che nella coppia non ci sia più nulla da fare). • Risposta evocativa: allargare l’esperienza per facilitare l’organizzazione dell’esperienza stessa: incoraggiare l’esplorazione e il coinvolgimento emotivo • Evidenziare e delucidare: evidenziare esperienze principali che organizzano risposte al partner e nuove formulazioni di esperienza che riorganizzeranno l’interazione. • Ipotesi empatiche ed interpretazioni: chiarire e riformulare nuovi significati specialmente facendo riferimento alle interazioni e alle strategie di coinvolgimento. Efficacia clinica dell’EFT è un modello validato, sono stati diversi studi in letteratura che ne supportano l’efficacia. Questo approccio è stato rilevato più efficace del modello cognitivo e comportamentale e nel 1985 si riteneva ottenere risultati migliori rispetto a tutti gli altri modelli pensati sulla coppia. Facendo riferimento all’outcome si è visto come la qualità dell’alleanza terapeutica appare predittiva dell’outcome dell’EFT e i risultati sono stabili anche in situazioni stressanti. La coppia sembra impegnata nel miglioramento anche dopo la fine della terapia come se avesse interiorizzato la coppia e dunque gli effetti risultano stabili nel tempo. 2/3 delle coppie sembrano migliorare notevolmente dopo 10-12 sessioni, il 90% delle coppie si giudica significativamente migliorato (valutazione self report e dunque si deve considerare anche che è complesso al termine del trattamento dire che non siamo stati soddisfatti perché il giudizio comprende un vissuto molto forte ed emotivo) e solo il 4% delle coppie presenta un accumulo di stress dopo l’EFT contro il 46% negli approccio cognitivo-comportamentali. 31 Un caso clinico: Riccardo e Susanna Riccardo e Susanna sono sposati da 5 anni e decidono di intraprendere una terapia di coppia. Descrivono la loro relazione come un affare domestico nel quale vivono in modo inadeguato. Susanna lavora come segretaria e si occupa dei figli che dormono nel letto con lei relegando il padre al divano. In concomitanza con la nascita del secondo figlio il rapporto con Riccardo è cambiato tanto che lui dice che lei non ha mai voglia di fare nulla insieme. Susanna afferma di non essersi mai sentita supportata dal marito e per questo afferma di essere arrabbiata. Deriderebbe che iniziasse a prendersi cura dei bambini e che non proponesse solo di prendere una baby sitter. Esprime disappunto circa il fatto che Riccardo beve. Riccardo fa l’elettricista, la sua carriera è iniziata da poco e la definisce stressante. Lamenta che quando torna dal lavoro deve sempre sentire le lamentele e i problemi della moglie e che lui propone la baby sitter affinché abbiano più tempo da trascorrere insieme. È felice di essere diventato padre. È sconcertato dai cambiamenti della moglie con l’arrivo dei bambini, si è sentito rifiutato e capisce di non essersi mai occupato attivamente dei figli. Apprezza Susanna come madre. La finalità del trattamento è quella di aiutare la coppia a vedere come le loro interazioni individuali hanno contribuito alla creazione della loro problematica, aiutarli ad andare oltre la rabbia, aiutarli ad esprimere le proprie paure. Riccardo diviene da subito capace di descrivere la sua incapacità di aiutare Susanna che riprende il marito di cercarla solo per sesso, lui si mostra dispiaciuto e ammette di aver commesso degli errori, lei lo descrive come un adolescente immaturo ma lui rifiuta questa descrizione dicendo di sentirsi sempre attaccato da lei. Mostrano dunque un’interazione negativa e un modello di attaccamento insicuro. Il terapeuta non ritiene patologico nessuno dei due comportamenti e afferma che entrambi ammettono di aver temuto di doversi separare. Riccardo comincia ad aiutare di più in casa e bene meno e Susanna apprezza questi sforzi. Dopo 8 sessioni sembra stabilirsi una situazione più rilassata, il sistema appare meno rigido e la coppia comincia a creare una base sicura. A fine terapia Susanna descrive il marito come più maturo e responsabile e Riccardo vede la moglie come meno controllante, finalmente anche lui sente di avere un suo spazio e ruolo ben definito nel contesto familiare. ATTACHMENT BASED FAMILY THERAPY INTERVENTIONS (ABFT) Intervento sperimentale emotion focused creato da Diamond per giovani depressi o con rischio suicidario, si tratta di un intervento breve di 12-16 settimane, è supportato empiricamente e l’obiettivo principale è migliorare la qualità della relazione di attaccamento adolescente-genitori. L’intervento prevede una serie di tasks ideati specificatamente per risolvere le rotture dell’attaccamento che hanno diminuito la fiducia dell’adolescente verso il genitore e hanno minato il sottostante legame relazionale. Opportunità in vivo di sperimentare nuove relazioni e all’interno di questo intervento il focus è sull’adolescente ed è spronato in modo più diretto le sue esigenze affettivo-relazionali. Il genitore è spronato a rispondere in modo più affettuoso, empatico, supportivo e meno difeso. Per stabilire una cornice relazionale e promuovere/riparare le relazione di attaccamento, i terapeuti ABFT utilizzano 3 principali tipi di intervento: • ricontestualizzazione della relazione • focus sulle emozioni primarie e bisogni di attaccamento disattesi • sperimentazione di situazioni attachment related più funzionali. Nei colloqui si evita di focalizzarsi sui sintomi ma ci si concentra sulle relazioni di attaccamento, partendo dal presupposto che la depressione o idee suicidarie è legato alle relazioni di attaccamento. Il grado in cui l’adolescente riesce a fare riferimento ai suoi genitori nel momento del distress per esprimere i suoi sentimenti e bisogni, il grado di supporto, conforto e protezione che ottiene dai genitori. È spesso un intervento associato ad altri interventi come quello farmacologico, parte dal presupposto che la relazione tra adolescente e genitori ha a che fare con i vissuti di solitudine, disperazione, incapacità di progettare il futuro connesse a relazioni di attaccamento poco sicure e dunque senza possibilità di internalizzare la figura di attaccamento e rivolgere poi l’attenzione verso l’esterno. Gli interventi che vengono fatti per provocare uno spostamento dalla depressione all’espressione del bisogno e della richiesta di aiuto ai genitori che risponderanno in modo adeguato ed accoglienti per non invadere i confini dell’adolescente ma essere supportivi, si avvalgono della tecnica della ricontestualizzazione ovvero di lavorare sul qui ed ora e aumentare la consapevolezza rispetto ai bisogni e difficoltà nel conoscere e nel comunicare. Terzo aspetto è infondere la consapevolezza che il cambiamento è possibile. 32 • richieda una significativa rinuncia alle spinte edipiche. • Amore costituito da TENEREZZA e SESSUALITA Freud sostiene che, per mantenere un atteggiamento del tutto normale vero l’amore, sia necessario che si sintetizzino due fondamentali componenti: tenerezza e sessualità. La tenerezza si costituisce in connessione con le cure fornite inizialmente a livello corporeo e psicologico dagli oggetti primari mentre la sessualità si realizza con la pubertà. Quando le due componenti affettive e sessuali si sintetizzano, l’amore romantico può rivolgersi verso oggetti extrafamiliari, con cui l’unione sessuale è possibile e viceversa. Negli uomini esisterebbe una generalizzata tendenza alla ipervalutazione dell’oggetto sessuale, legata a un bisogno di vittoria sul padre nel complesso edipico, e nella donna vi sia la tendenza a evocare mentalmente o realmente la condizione di proibizione a cui è stata educata, legata alla rinuncia alla madre e al ripiego edipico sul padre. Con la nuova concettualizzazione relativa al narcisismo Freud rivisita l’argomento sul matrimonio tramite la nuova prospettiva della distinzione tra due forme di amore: narcisistica (che deriva dai bisogni di autoaffermazione dell’Io) e anaclitica (che deriva dal desiderio per le qualità amorevoli e accudenti dell’oggetto amato). Le due correnti sono indissolubilmente legate. Successivamente Freud osserva come, affinché si verifichi un amore profondo, sia necessaria una sintesi degli scopi libidici e aggressivi, poiché è la natura stessa che mantiene l’amore sempre vigile e fresco, e tiene in guardi difendendo l’oggetto dall’odio che cova dentro. Infine, sempre Freud, si rivolge allo stato inusuale dell’essere innamorati, affermando che al picco di tale esperienza c’è la minaccia che venga spazzato via il confine tra oggetto e Io. • Balint afferma che in amore è necessaria una particolare forma di identificazione, in cui interessi, desideri, sentimenti, sensibilità e obiettivi del partner sono o dovrebbero essere molto simili ai propri. • Secondo Kernberg l’innamoramento richiede e crea una situazione di lutto relativa al fatto di crescere, diventare indipendenti e doversi lasciare alle spalle l’oggetto d’amore primario. Aveva anche sottolineato come la nascita di un bambino portasse ad una riattuazione dei vecchi conflitti edipici. L’amore è una disposizione emotiva che integra: - l’eccitamento sessuale, trasformato in erotismo diretto verso una persona precisa; - la tenerezza, derivata dal compromesso tra libido ed aggressività, dove la libido predomina e rende possibile l’accettazione dell’ambivalenza verso l’imperfezione delle relazioni umani internalizzate e reali; - l’identificazione con l’altro, che include aspetti di identificazione genitale ed empatia verso il sesso opposto; - una forma di idealizzazione matura che prevede un intenso investimento sulla relazione affettiva, - un atteggiamento, appassionato nella relazione d’amore che incorpora la dimensione sessuale, quella oggettuale e l’investimento superegoico della coppia. Akhtar (1994) evidenzia 5 categorie di psicopatologia dell’amore romantico e le differenti abilità o competenze maturative che la terapia di coppia in ambito psicoanalitico dovrebbe stimolare per portare i partner a migliorare e stabilizzare la relazione: 1. Incapacità di innamorarsi Una relazione vera, dici? Ma perché? Non ti basta stare insieme così, piacevolmente, senza tutte le complicazioni delle relazioni? Poi, sai, io non sono proprio capace di legarmi, mi sento soffocare, pensare “per due” o addirittura pensare a dei figli… no, davvero, non posso rinunciare a me stesso. Si hai ragione, non posso chiedere a te di stare con uno come me che non offre niente… che dire? Puoi scegliere: se resti, le cose saranno sempre così, non chiedermi di più. Se te ne vai, beh non posso biasimarti. È la più grave forma di psicopatologia della vita amorosa (Kernberg 1974), caratterizzata da scarso senso di intimità, fiducia, empatia e mancanza di pensiero simbolico (vivono la relazione sulla base di eventi e fatti concreti). Non riescono a idealizzare l’altro A livello diagnostico è accompagnata da tratti schizoidi, paranoidi, e sadomasochistici, o sono i cosiddetti narcisisti maligni (Kernberg, 1984) con tatti di personalità antisociale. Invidia inconscia elevata nei confronti dell’oggetto amato, disattivazione affettiva e sessuale per proteggerlo. A livello psicoterapeutico comporta un’incapacità ad autosegnalarsi, ma spesso viene riconosciuta dal partner, il quale segnala la persona per la freddezza sia affettiva che sessuale o per problemi psicosomatici oppure per senso di ansia diffuso e difficilmente gestibile. Nella terapia porta ad un atteggiamento del soggetto di falsa compliance (innamoramento da transfert). 35 2. Incapacità di rimanere innamorati Ho incontrato la donna dei miei sogni: perfetta, bellissima, simpatica, intelligente, brillante e così dolce. Nulla potrà separarci. Sarà sempre così, come il primo giorno, l’Amore eterno. Così pensavo, poi un giorno lei non era così ben pettinata e truccata e sexy, non mi diceva più nulla… ci siamo lasciati. Insomma, ero in bus, preso da questi miei pensieri e all’improvviso ho visto lei, la creatura più affascinante che avessi mai visto: bellissima, con uno sguardo così dolce, un sorriso che la illuminava tutta…Ma fare la spesa è anche un po’ noioso, non solo così romantico, poi lei vuole sempre le coccole, e che chiuda l’asse del wc… poi perché se viene in casa mia resta lì, come se fosse casa sua?… non ha funzionato. Si innamorano, presi da forti passioni, capaci di creare legami, seguire il desiderio e conquistare l’oggetto d’amore. Dopo poco però il loro entusiasmo, l’innamoramento, comincia a calare. Si sentono a disagio, sentono che non gli basta o non fanno davvero parte di quella coppia: non riuscendo a trovare/accettare una causa interna a questo disagio, iniziano a criticare il partner e le sue caratteristiche, fino al momento in cui l’appiattimento della relazione, porta alla sua conclusione. Dopo brevi periodi di solitudine, il ciclo si ripete. Sono state individuate diverse ragioni per questo tipo di psicopatologia di coppia. Akhtar ipotizza: l’attivazione di una rabbia primitiva e distruttiva quando l’oggetto amato fallisce nel rispondere a tutte le aspettative abbastanza idealizzate percepite dall’individuo (Kernberg, 1974); l’ansia relativa alla fusione con l’oggetto (Mahler et al., 1975). Spesso auto-segnalazione quando nasce il primo figlio (riattivazione aspetti edipici e fusionali/ bisognopaura) ¢ L’intervento psicoanalitico deve puntare sugli aspetti dell’ambivalenza del soggetto, cercando di evidenziare la paura e il bisogno all’interno della coppia e nella relazione transferale, in modo da mitigare il timore della fusionalità. Contemporaneamente dovrebbero essere presi in carico gli aspetti di aggressività e distruttività, riflessi dalla depressione e dall’invidia. 3. Innamorarsi della persona sbagliata Una donna viene picchiata, per l’ennesima volta, dal compagno che la manda in ospedale con la milza spappolata. Lui viene messo in carcere. Lei intervistata dichiara: “Dentro di me l’ho perdonato, fuori non so… certo è che tra noi c’è un vero sentimento e io lo amo ancora, gli parlerò per chiarirci quando uscirà”. E’ la tendenza a innamorarsi della persona sbagliata, la quale richiama e si sostituisce all’oggetto edipico, riattivando il conflitto e la scissione preedipica tra seno buono e seno cattivo. Ruolo della donna e dell’amante (dove affetto e carica erotica sono vicendevolmente inibite e mantenute su oggetti separati, rappresentanti della scissione dell’oggetto di amore originario). 4. Incapacità di disinnamorarsi e terminare una relazione Lui la lascia. Lei piange disperata, non può farsene una ragione. Come può averla lasciata? Si deve essere sbagliato, di certo cambierà idea. Inizia a telefonargli, di giorno, di notte, per chiedergli “perché?” non le basta sapere che non la ama più, che l’amore può finire. Deve esserci un motivo e lei può cambiare, possono tornare insieme. Cosa fa lui alla sera, senza di lei? Lei inizia a seguirlo. Gli manda fiori, messaggi, fogliettini attaccati al cruscotto dell’auto. Poi inizia a insultarlo, perché lui è cattivo con lei, non la calcola, addirittura dopo solo un anno esce con un’altra… l’amore diventa persecuzione, il legame non può finire. Si presenta soprattutto in strutture fortemente nevrotiche, o borderline o con tratti psicotici. Nelle coppie normali la fine dell’amore in un partner genera nell’altro le difese contro complesso edipico e promuove processo di lutto e separazione dall’oggetto inaccessibile. In questi pazienti (non risoluzione del livello edipico o per il persistere delle pressioni dettate dal bisogno di accettazione pre-edipico) tendenza opposta: intensificazione dell’amore e del desiderio verso chi non è più innamorato. Ultima difesa nei confronti della rabbia generata dall’abbandono. Le persone che restano legate e innamorate soffrono di mancanza di costanza oggettuale, delegano la loro autostima e il loro equilibrio affettivo all’oggetto esterno, non tollerano le frustrazioni e le negano, per evitare di regredire a uno stato di rabbia assassina o suicidaria (amami così come io voglio, totalmente, o mi(ti) ucciderò. Il trattamento della coppia -se esiste ancora una coppia- e del singolo, si focalizza sulla 36 gestione della rabbia, cura del transfert erotico maligno e delle implicazioni aggressive che esso comporta (Ahktar, 1994). 5. Incapacità, impossibilità di sentirsi amati Vuoi sposarmi? Oddio, amore, ma certo… (...) … sì, che domande, certo che sono felice. Solo che pensavo che forse è troppo per me. In fondo io non sono brava a cucinare come tua nonna, né sono laureata come tua madre. Tu forse ti meriteresti di meglio. Io ti amo, perchè tu sei un traguardo per me… ma io per te? Non so, non sono sicura… potresti stufarti, io non sono all’altezza della tua famiglia, mi sentirei a disagio... e poi non avevi già chiesto in sposa, con questo anello, la tua ex? Davvero, ragiona, non credo sia il caso. Sentirsi amati prevede "la costanza del sé e il raggiungimento del narcisismo secondario” (Moore & Fine, 1990, p 113); la capacità di essere umili e grati; di riconoscere il valore degli altri e di tollerare l’invidia; di godere della vita interiore e di quella reale, accettando gli impulsi e i sentimenti, in una visione dove le imperfezioni di sé e degli altri vengono accettate e si può accettare la possibilità di riparare i torti e l’aggressività verso l’oggetto amato. A volte l’incapacità di sentirsi amati è accompagnata da un atteggiamento attivo di rifiuto o di distruzione delle possibili relazioni che si creano: narcisismo maligno (Kernberg, 1984; Rosenfeld, 1971). Queste persone distruggono ogni tipo di amore che viene loro fornito o proposto, con un atteggiamento di fredda distanza e superiorità, che de-umanizza e toglie vitalità agli altri. Tali soggetti difficilmente si rivolgono allo psicologo. L’intervento risulta molto complesso e spesso più rivolto a aumentare la consapevolezza e le risorse nel partner che manifesta depressione, a causa della fuggevolezza del narcisista. Agganciare quest’ultimo è complesso (tratti di personalità “simil-paranoici” e sente il terapeuta o disinteressato a lui, o addirittura infastidito e rifiutante). Patologia dell’individuo e presa in carico della coppia. Modello psicoanalitici di funzionamento della coppia e della famiglia La psicoanalisi non trascura l’oggetto, teorizza sulla relazione parentale, sull’amore adulto, sulla relazione tra fratelli e lo fa con un interesse rivolto a come l’individuo si costruisce delle rappresentazioni interne di queste relazioni e come si costruisca la sua vita attorno a questo suo mondo interno. Dicks (1967): teoria e tecnica dell’intervento con le coppie. Una relazione affettiva di lunga durata e significativa è da intendersi come una sorta di relazione terapeutica naturale da intendersi come campo di manifestazione delle relazioni oggettuali irrisolte. Il filone che maggiormente è stato ampliato e punto di partenza di almeno 2 modelli fondamentali è la teoria delle relazioni oggettuali perché essa è adatta ad intendere le relazioni familiari tramite questa matrice e quale punto di partenza facendo riferimento a meccanismo di difesa molto presenti nella famiglia e quali sono quelli privilegiati nello svilupparsi del sistema interno e che si trovano maggiormente nelle relazioni disfunzionali? Proiezione, identificazione proiettiva, scissione. Definizione famiglia sana vs patologica Una componente della psicopatologia familiare è da attribuire ai bisogni inconsci e meccanismi specifici di difesa che influenzano la relazione attuale con gli altri membri della famiglia. Tuttavia ogni autore presenta dei modelli specifici di funzionamento sano e/o psicopatologico di funzionamento. Strumento principe: scambio verbale sotto forma del colloquio. L’unità è diadica o di sistema a seconda che si rivolga alla coppia, sia essa coniugale o genitoriale, o all’intero sistema familiare. Il momento diagnostico è separato e precede la fase di trattamento. Prima di iniziare una terapia bisogna stabilire un contratto. Finalità del trattamento Vengono precisate alla fine del processo diagnostico di consultazione (obiettivi terapeutici). Scopo generale della terapia familiare è accogliere la sofferenza delle famiglie all’interno di un contesto relazionale (considerando l’influenza del singolo membro, delle relazioni e dei significati consci ed inconsci delle modalità relazionali che si sono costituite all’interno della famiglia). Il clinico si propone di aiutare le famiglie a condividere ed esprimere emozioni e stati affettivi, ad accettare e condividere anche momenti di disagio e malessere sostenendosi vicendevolmente senza angosciarsi eccessivamente, a risolvere i problemi che le hanno portate al trattamento, a vivere, accettare ed elaborare le situazioni conflittuali, affrontandole con una maggiore flessibilità ed un uso più flessibile ed adattivo dei meccanismi difensivi, migliorare autoriflessione. 37 Anche il terapeuta ha un proprio mondo interno di relazioni oggettuali la cui organizzazione corrisponde a quella del paziente, anche se si ipotizza che sia meno rigida. Si assume che il terapeuta abbia n migliore accesso alle parti del se’ e alle relazioni oggettuali rimosse. I fattori di cambiamento sono dati dal riuscire ad adattarsi al transfert (contestuale o focalizzato) e l’utilizzo del controtransfert. Gli Scharff ritengono sia importante distinguere tra un transfert contestuale e uno focalizzato. Il transfert contestuale si rivolge al terapeuta come fornitore di un ambiente che sostiene (holding) le angosce dell’intera famiglia e precede il costituirsi di un transfert focalizzato. Si tratta dello spazio che il terapeuta crea affinché la famiglia possa maturare e svilupparsi. Il terapeuta per potere contenere il transfert contestuale deve prima di tutto essere equidistante da tutti i membri della famiglia. L’holding contestuale viene mediato tramite l’holding ovvero la gestione degli arrangiamenti: la competenza nel condurre i colloqui, il condividere la preoccupazione per la sicurezza della famiglia e il vedere l’intera famiglia lavorare, scambiare opinioni ed ascoltare. L’holding centrato si manifesta nel momento in cui il terapeuta ingaggia il cuore delle questioni della famiglia, ed essa lo incontra come una persona su cui fare affidamento. Questo consente, un po’ alla volta, di raggiungere la modalità comunicativa profonda (centered relating) tra i vari membri della famiglia. Lo scopo immediato non è la risoluzione del sintomo ma la progressione con una migliorata capacità di lavorare come gruppo e di differenziare e soddisfare i bisogni individuali dei singoli membri. Difese contro un eccessivo controtransfert - Distanzuarsi: il terapeuta decide di rimanere distante per evitare diverse trappole immaginative. Quando il terapeuta si distanzia inconsciamente invece è incastrato in una posizione di outsider, vede sempre di più ma impara sempre meno tramite l’esperienza stessa di essere con la famiglia. - Interpretazioni non empatiche, aggressive e premature che possono distruggere il lavoro con la famiglia. - Prendere le parti, escludere le diadi. - Semplificazione. Può aiutare anche il mantenere un’attenzione liberamente fluttuante, fornire una cornice flessibile, regole di accoglienza della famiglia, come iniziare i primi minuti della seduta ecc… 2. Ruszczynski, nasce in Inghilterra, da massima attenzione al modello delle relazioni attenzionali (parte da modelli di Bion e la Klein) ma da maggiore attenzione alle relazioni di coppia, quale elemento centrale nella dinamica tra tensione relativa e al bisogno di individualità e la relazione intima che si vuole instaurare (preoccupazione per l’altro → posizione depressiva). Fondamentale è l'identificazione proiettiva ovvero la capacità di poter restituire ciò che viene proiettato, la coppia è non patologia quando le parti proiettate dall’uno vengano tenute con cura, interiorizzate e poi ridate al soggetto. Se ci si limita a contenere le parti oscure dell’altro e non ridandole elaborate all’altro allora c’è un grosso problema perché non riusciamo a vedere qualcosa di buono nell’altro, la persona che proietta vede il suo brutto nell’altro e nemmeno in quel caso riuscirà ad accettare queste parti. Ogni relazione è il prodotto condiviso di identificazioni proiettive ed introiettive; ciò che tiene unita la coppia è la capacità di accettare le identificazioni del partner. Ruszczynski sostiene che sia la preoccupazione per l’altro a determinare il desiderio di intimità, preoccupazione che deriverebbe proprio dalla posizione depressiva così come delineata dalla Klein. Un eccessivo bisogno di intimità può denunciare una modalità intrusiva di controllo dell’altro che diventa a sua volta, estensione narcisistica del primo. Il modello ruota attorno al concetto di identificazione prioettiva che può essere definita in termini di fantasie inconsce che influenzano le modalità dell’uno di vivere l’altro. L’oggetto viene percepito come possessore di tutti quegli elementi che gli vengono proiettati. L’oggetto acquista quindi attrattività per essere esattamente come il soggetto. La coppia sana ha una flessibilità delle strutture difensive. La coppia si può distinguere in base al suo situarsi: o uno stile depressivo (è quello auspicabile e con cui si può lavorare, abbiamo relazioni più evolute e la coppia è consapevole che ci siano sia aspetti positivi che negativi e c’è la capacità di tolleranza del partner) o schizo-paranoide (abbiamo un funzionamento maggiormente disadattivo, una coppia con cui non sarà possibile lavorare proprio perché la coppia non regge le ristrutturazioni, ed è dunque un rischio trattarle. Sono caratterizzate da angosce persecutorie, difese rigide, relazioni con parti dell’altro, capacità di pensiero limitata, spostata su azione). 40 Per quanto riguarda il setting è fondamentale che si siano entrambi i partner, vi è la presenza di un unico terapeuta. I colloqui sono settimanali di 60 minuti e la conclusione non è prefissata anche se è un intervento che si risolve in circa 2 anni. Il setting deve aiutare a esplorare la relazione e le difficoltà connesse ad esso, spronando al cambiamento. Prevede la partecipazione di entrambi i partner. Le sedute vengono condotte da un unico terapeuta con cadenza settimanale e si tratta di terapie a lungo termine ma senza conclusione prefissata. I metodi per diagnosticare la disfunzione e unità di interesse sono colloquio di assessment (da 1 a 3 della durata di 75 minuti l’uno) orientati per aree (natura dell’angoscia, difese usate, tipo di relazione oggettuale, flessibilità dei meccanismi di difesa). Il processo di intervento proposto comprende una fase di consultazione e una fase di terapia tra loro ben distinte. Ogni relazione passa attraverso momenti difficili e lo scopo della consultazione è di dare un senso a quello che sta accadendo e trovare una via per andare avanti. Questi aspetti consentono al terapeuta di verificare quanto sia primitiva la relazione di coppia portata dai pazienti. Indicazioni per il trattamento: ne beneficiano prevalentemente le famiglie in posizione depressiva. L’interpretazione è centrata sull’interazione di coppia, se un membro presenta caratteristiche border o narcisistiche è meglio una terapia individuale. Tecniche adottate e loro finalità: analisi ed interpretazione delle dinamiche inconsce per permettere insight e sviluppo di maggior consapevolezza di se’ all’interno della relazione. Intepretazione del tranfert interno alla coppia (stile depressivo), interpretazione del transfert verso il terapeuta (stile schizo- paranoide). Tra i fattori di cambiamento è importante usare l’interpretazione per aiutare a passare da schizo-paranoide a depressive e si da un importante ruolo alle difese e alla resistenza. Nella terapia di coppia è auspicabile che l’interpretazione si collochi nella relazione con lo psicoterapeuta come comprensione di come la coppia funziona in relazione al terapeuta. 3. Norsa e Zavattivi, nasce in Italia ma ha avuto meno successo e meno diffuso rispetto alla Selvini Palazzoli, parte da spunti di Anna Freud e va verso più teorie. MdD (proiezione, identificazione proiettiva) tipici per risolvere i problemi emotivi attraverso il rapporto di coppia; dimensione intersoggettiva (identificazioni proiettive incrociate); il partner contiene i lati oscuri dell’altro; coppia genitoriale interna. L’ingaggio di coppia valenza difensiva: l’altro è usato per fuggire dal proprio mondo interno. Famiglia sana vs patologica: ogni coniuge contiene l’oggetto interno dell’altro a cui, a sua volta, vengono attribuiti aspetti di sé. Patologica: a seguito della proiezione degli aspetti inaccettabili del sé, al partner non viene concessa la possibilità re-introiettare i propri contenuti mentali: il coniuge collude e impedisce il ricongiungimento degli oggetti interni e di quelli proiettati all’esterno. Setting: regole rigide, presenza di ENTRAMBI i partner. Presenza di 2 terapeuti (M e F), lunga durata, incontri settimanali. Il t. deve riformulare, fare riferimento a sogni, fantasie per dare nuovi significati. Spesso in concomitanza con intervento individuale. Metodi per diagnosticare la disfunzione e unità di interesse: Colloqui d’assessment per aree: perché proprio ora la richiesta d’aiuto? Rapporto tra psicopatologia di un membro e dell’altro? Come viene mantenuto l’equilibrio? Quale è il tema inconscio condiviso (come la sofferenza dei singoli diventa di coppia). Indicazioni per il trattamento: spesso persone professionalmente, economicamente e socialmente di successo, pervase da senso di insoddisfazione e frustrazione reciproca. Assistere e partecipare agli agiti della coppia che drammatizza in seduta aspetti della vita reale di coppia. Presenza del tema inconscio condiviso: insieme di rappresentazioni di vita quotidiana della coppia, ritualizzazioni di schemi di reazioni prevedibili. 41 Tecniche adottate e loro finalità: equilateralità: prendersi cura dei partner e della relazione: la relazione è un soggetto a sé stante (non sommare il mondo interno dei partner ma valutare lo spazio in comune tra i mondi). Considerare il transfert di coppia e il transfert sulla coppia terapeutica. Fattori di cambiamento: ristrutturazione del mondo interno dei coniugi. Decolludere e gestire con modalità maggiormente consapevoli la sofferenza intrinseca alla richiesta di aiuto. Questi modelli criticati nella loro scarsa validazione empirica. 10. Modelli supportivi Modelli di intervento supportivi. I modelli di intervento familiare polarizzano l'attenzione sul disagio come espressione di una difficoltà relazionale, in cui sono coinvolti aspetti consci e inconsci. Il disagio, nelle varie prospettive teoriche, viene inserito in una complessità di significati collegata alla realtà intrapsichica delle relazioni familiari. Gli interventi possono essere definiti lungo un continuum espressivo-supportivo, in base alle finalità e alle tecniche usate. • Interventi espressivi: conducono il paziente a una ristrutturazione della personalità e a una soluzione più adeguata dei conflitti, in una prospettiva evolutiva, cambiando il mondo delle rappresentazioni oggettuali e del Sé, operando nel profondo. Richiedono al terapeuta un training psicoanalitico personale per riuscire a tollerare il transfert e il controtransfert. • Interventi supportivi: accompagnano il soggetto in un percorso, resta più vicino alla consapevolezza e alla situazione attuale, fornendo un supporto emotivo. Si cerca di potenziare l'alleanza terapeutica attraverso l'impiego del "noi" o riconoscendo capacità maggiori del soggetto. Possono essere brevi ma di solito sono terapie a lungo termine e la conclusione non è prefissata. • Counselling: lavora con le coppie e con le famiglie per assisterle nelle difficoltà nelle relazioni (comunicazione, risoluzione dei conflitti, fiducia..); si basa sulla comunicazione verbale, sull'aiutare il cliente a riflettere sulle proprie parti sane ed evolutive, su aspetti consapevoli. • Guidance: insieme di interventi in cui vengono dati consigli ai genitori per sostenerlo nel ruolo educativo. Le terapie in ambito psicoanalitico hanno sempre sia interventi supportivi che interpretativi, ma cambia lo spazio dato a uno o all'altro; l'alleanza terapeutica e gli interventi di sostegno, più che l'interpretazione, sono fattori di miglioramento comune a tutti i tipi di modello di intervento. Aspetti condivisi di teoria e teoria della tecnica tra terapia supportiva ed espressiva: 1. La famiglia è un insieme diverso dalla somma delle parti. L'individuo inoltre ha modalità forti di agire che influenzano la relazione con gli altri membri della famiglia viceversa. 2. Aspetti basi della teoria psicoanalitica: considerano la persona intera, non come espressione del sintomo; ipotizzano l'influenza di aspetti consci e inconsci sulla modalità di relazionarsi e rappresentarsi le relazioni; fanno riferimento alle relazioni iniziali genitore-bambino ed evidenziano come si costruiscono rappresentazioni relative all'intero sistema; le relazioni passate sono presenti nel mondo interno dei soggetti; danno importanza alle relazioni con la madre e con il padre. 3. Una componente della psicopatologia familiare è da attribuire a meccanismi specifici che influenzano la relazione attuale con gli altri membri e che le strategie di esternalizzazione di bisogni sono una componente fondamentale del relazionarsi nel contesto familiare. 4. Lo scopo generale della terapia familiare a base psicoanalitica è: accogliere la sofferenza delle famiglie all'interno di un contesto relazionale, tenendo conto sia dell'influenza del singolo sia delle relazione e dei significati consci e inconsci del relazionarsi; aiutare ciascun membro a migliorare le capacità di dare un nome ai sentimenti e a esserne consapevoli; aiutarlo a produrre connessioni tra pensieri ed emozioni; accrescere la capacità di autoriflessione; rendere attivi i membri della famiglia dando loro l'opportunità ad agire insieme affinché vengano messe in atto nuove modalità di rapportarsi. 5. Formulazione del caso: valuta cosa non funziona e perché la richiesta è arrivata in quel momento; è una mappa della diagnosi e di progettazione dell'intervento. L'analisi della domanda diventa il punto di partenza che permette di strutturare la fase osservativo - diagnostica. 6. 6. Importanza agli affetti, alla riflessione e all'insight, al transfert e controtransfert come fattori curativi principali. Aspetti differenzianti: 1. Relativamente ai concetti di base: - Dà importanza alla realtà e al contesto ambientale in cui la famiglia è inserita, oltre che alla dimensione inconscia. - L'attenzione è rivolta a una diagnosi delle parti sane e funzionamenti contro quelle patologiche. 42 Finalità del trattamento. Lo scopo del lavoro supportivo è accogliere la sofferenza della coppia genitoriale, senza focalizzarsi solo sull'aspetto sintomatico o su un'analisi del malfunzionamento delle dinamiche relazionali, tenendo quindi conto anche delle relazioni e i significati consci e non delle modalità relazionali. Si devono aiutare i genitori a: • risolvere i problemi; • migliorare la capacità di dare nome ai sentimenti nei confronti dei figli e di riconoscerli; • produrre delle connessioni tra episodi diversi della vita del bambino; • accrescere la capacità di autoriflessione e domandarsi cosa e perché sta accadendo; • diventare attivi e confrontarsi con nuove modalità di pensiero. Il terapeuta cerca di contenere i genitori con un'attenzione premurosa (reverie riflessiva di Bion): la sofferenza nella mente del terapeuta può essere restituita alla famiglia in modo più digeribile. Il setting è uno spazio di condivisione della sofferenza, di conferme e contenimento dei comportamenti e delle rappresentazioni; dà un senso di sicurezza e competenza ai genitori. Struttura del processo terapeutico: la formulazione del caso: il clinico deve capire se e quanto la coppia vuole accostare il disagio del figlio a un lavoro su di sé e capire quanto la situazione che si trova ad affrontare necessiti di questo interventi. Viene data importanza agli affetti, alla riflessione e all'insight, al transfert e controtransfert come fattori curativi del trattamento; viene valorizzata l'attenzione liberamente fluttuante e vengono accolte le angosce e la sofferenza dei genitori. Si deve sempre tenere presente il contesto sociale e ambientale in cui la famiglia è inserita. Il clinico deve accertarsi che la coppia funzioni come coppia genitoriale e che vi siano delle risorse. Viene data importanza all'hinc et nunc: l'oggetto di interesse è la quotidianità e le abilità interpersonali e di coping che vengono messe in atto in quel momento. Il clinico accoglie la coppia con empatia ed entra in relazione con loro; poi attraverso la comprensione cerca di coinvolgere entrambi i genitori in un processo volto al cambiamento. Si fa un'idea della complessità delle relazioni e dei desideri anche inconsci di ognuno e li contiene dentro di sé (holdino); il sostenere è terapeutico in sé, ancor prima dell'interpretazione. 0uesto lavoro consente ai genitori di entrare in contatto con parti del proprio funzionamento appena al di fuori della consapevolezza, attraverso tecniche di chiarificazione e verbalizzazione. Nel lavoro supportivo, il clinico incoraggia i genitori a sviluppare e accrescere la propria empatia. La gestione del figlio deve emergere da obiettivi condividi; per fare ciò il terapeuta deve allearsi con l'Io osservante della coppia. Fondamentale è il rapporto di fiducia e l'instaurarsi dell'alleanza terapeutica in quanto garantiscono continuità ed efficacia alla terapia. La coppia in seduta può parlare di quello che vuole, come nel modello psicoanalitico. 12. Modelli specifici di intervento: la relazione madre-bambino Processo e struttura del sistema di interazione madre-bambino. Le prime relazioni influenzano lo sviluppo successivo del bambino, quindi la presenza di problemi relazionali è strettamente legata alla possibilità che insorgano difficoltà nello sviluppo. I problemi che il bambino non è in grado di esprimere verbalmente si manifestano sotto forma di disagio. Il bambino e il caregiver sono parte dell'interazione stessa e si influenzano mediante meccanismi di regolazione reciproca, quindi la diagnosi deve prendere in considerazione questa dinamica. Il modello transazionale descrive il processo attraverso il quale due individui entrano in relazione, cambiano e si influenzano reciprocamente e la struttura del sistema. Considera lo sviluppo del bambino come il prodotto dell'interazione di fattori individuali ed esperienziali, il contesto è importante perché può modificare il fenotipo. Importante è anche il sistema di significati che il genitore utilizza per comprendere e organizzare l'agito del bambino. Tale sistema si compone di due aspetti: • il tipo di rappresentazioni interne che si sviluppano nella famiglia: rappresentazioni che si sviluppano nel conteso familiare e sono ritenute in memoria, guidano il comportamento individuale e danno senso alle esperienze; incidono sul modo in cui i membri della famiglia si regolano e interpretano le loro relazioni • il pattern di interazioni messo in atto all'interno della famiglia, cioè come i membri si comportano: i pattern sono ripetitivi e servono a garantire un senso di coerenza e di identità. La comprensione del sistema di interazione (rappresentazioni e relazioni) permette al terapeuta di identificare lo sviluppo problematico e pianificare un intervento. Anche le caratteristiche del genitore sono aspetti importanti nella prima infanzia quando il legami sono asimmetrici e c'è eteroregolazione. Stern prende in considerazione soprattutto la ristrutturazione delle rappresentazioni materne alla nascita del bambino, che è caratterizzata da due aspetti: la trilogia materna (rielaborazione psichica delle rappresentazioni materne passate e presenti) e la costellazione materna (emergere di tematiche che determinano azioni, tendenze e fantasie da cui dipende la 45 modalità di relazione; comprendono il tema di vita-crescita, di relazionalità primaria, della matrice di supporto e di riorganizzazione dell'identità). Classificazione dei modelli di intervento madre-bambino 0ualsiasi intervento madre-bambino è costituito da quattro elementi base interdipendenti: il comportamento interattivo del bambino, quello della madre, le rappresentazioni del bambino e quelle della madre. La maggior parte degli interventi dinamici considera le rappresentazioni materne come nucleo della patologia delle interazioni; per gli altri la patologia è nel comportamento interattivo. Essendo però questi aspetti interdipendenti, qualunque sia la chiave di ingresso nel sistema, tutti gli aspetti saranno influenzati. Stern e Stern: 5 modelli di intervento: 1. Approccio psicoanalitico: - fonte di informazione: ciò che la madre racconta e come interpreta i problemi. - oggetto: rappresentazione della madre. - obiettivi: cambiare le rappresentazioni materne. - tecniche: interpretazioni e chiarificazioni per esplicitare lo stato mentale della madre 2. Approccio psicoeducativo: - fonte di informazione: comportamento interattivo. - oggetto: comportamento interattivo della madre. - obiettivi: rafforzare l'autostima della madre, lavorando sui suoi comportamenti manifesti che, una volta modificati, modificheranno anche le sue rappresentazioni. - tecniche: rinforzo positivo, informazioni e consigli e transfer per creare un'alleanza. 3. Approccio comportamentale- pediatrico: - fonte di informazione: storia medica del bambino e comportamento. - oggetto: comportamento della madre e le rappresentazioni sui limiti e le capacità del figlio. - obiettivi: adattare il comportamento in base alle capacità del bambino. - tecniche: educazione, informazione, suggerimenti, rinforzo positivo e modellamento; transfert non necessario. 4. Approccio comportamentale: - fonte di informazione: comportamento del bambino in interazione con il terapeuta e interazione madre-bambino. - oggetto: comportamento del bambino e della madre. - obiettivi: modificare i comportamenti sia del bambino che della madre; mantenimento dello shapino cosicché possa generalizzare nuovi comportamenti appresi con il terapeuta; - tecniche: rinforzo positivo e negativo, insegnamento e consigli diretti; transfert presente e spesso ambivalente. 5. Approccio della terapia familiare: - fonte di informazione: tutte le interazioni reciproche madre-padre- bambino e le rappresentazioni dei genitori. - oggetto: comportamento interattivo, rappresentazioni o comportamento di entrambe; la tecnica dipende dal focus. Seconda classificazione di Stern in base al bersaglio terapeutico (obiettivo: modificare le rappresentazioni o le interazioni) e l'ingresso nel sistema. Le terapie che puntano a cambiare le rappresentazioni, usano come ingresso: 1. Le rappresentazioni dei genitori (come ingresso nel sistema e come bersaglio teorico): - Psicoterapia genitore-bambino di Lieberman e Pawl: l'obiettivo è il cambiamento delle rappresentazioni che i genitori hanno di se stessi e del bambino, in quanto sono l'agente patogeno. L'obiettivo è far acquisire ai genitori una migliore esperienza del Sé in relazione con il bambino. L'intervento è volto alla popolazione più svantaggiata. - Psicoterapia breve madre-bambino di Cramer e Palacio-Espasa: il bersaglio sono sempre le rappresentazioni e si concentrano soprattutto sui meccanismi proiettivi e di identificazione; postulano l'esistenza di conflitti irrisolti dell'infanzia del genitori e per questo la tecnica più adatta è l'interpretazione. 2. Il comportamento del bambino: cerca di modificare la rappresentazione della madre di sé stessa e del figlio. 3. L'interazione genitore-bambino: il comportamento interattivo manifesto ha la funzione di tornare direttamente alle rappresentazioni e ai ricordi della madre collegati con quanto esperito. 4. Le rappresentazioni del terapeuta: il focus dell'attenzione è rivolto alla soggettività del clinico che mette in atto la propria esperienza interiore del bambino, per capirlo appieno. 5. Le rappresentazioni (immaginate) del bambino. I modelli che hanno come obiettivo quello di modificare i comportamenti interattivi manifesti, usano come ingresso: 1. Il comportamento manifesto della madre (modello di McDonough): il terapeuta cerca di rinforzare positivamente i comportamenti materni appropriati perché possano riemergere nel repertorio della paziente. 2. L'intera rete delle interazioni familiari (modello sistemico): il focus è l'organizzazione dei comportamenti interattivi di tutti i membri della famiglia. Il gruppo di Losanna ha creato un particolare setting che permette di vedere come tutta la famiglia entra in relazione. 46 Sameroff: a causa della difficoltà di pianificare un intervento, cioè di scegliere un focus, propone un'ulteriore classificazione, che parte dall'analisi dei punti di forza e debolezza del sistema al fine di focalizzare i target specifici su cui lavorare; i target definiti dall'autore sono: • Remediaoion: ha lo scopo di cambiare il comportamento del bambino per adattarlo alle preesistenti abilità di cura della famiglia. È consigliato quando le aspettative e le richieste rivolte al bambino sono adeguate. • Redefinioion: lo scopo è la ridefinizione delle credenze e delle aspettative dei genitori in modo da favorire comportamenti di parentino più appropriati; tale strategia è consigliata quando le rappresentazioni della famiglia non sono adeguate (es. bambini con handicap). Il cambiamento delle credenze consente al genitore di utilizzare con successo le abilità di parentino che già possiede. • Rieducazione: l'obiettivo è fornire al genitore o all'intera famiglia delle conoscenze rispetto al bambino e a specifiche abilità di parentino; spesso è utilizzato in condizioni di rischio socioemotivo. Psychodynamically Informed Inoervenoion. 0uesto modello di intervento si basa sulle interazioni faccia a faccia e attribuisce molta importanza ai processi di regolazione reciproca interattivi e del Sé. Si usano studi microanalitici per esaminare momento per momento l'interazione madre-bambino codificandone tutti i comportamenti durante il gioco faccia a faccia nei primi mesi (5-9) per cogliere le microstrutture dei pattern relazionali del Sé e dell'interazione. Nel primo incontro madre e bambino vengono fatti interagire faccia a faccia e vengono videoregistrati; i filmati sono rivisti e codificati e fatto poi vedere ai genitori spiegandone i micromementi dell'interazione positivi e negativi e rivelando i pattern. Il terapeuta indaga le emozioni della madre e quello che crede che il bambino abbia sentito. Gli aspetti relazionali positivi vengono enfatizzati, cercando si insegnare alla madre di inferire come l'interazione si sviluppa. La funzione del terapeuta è quella di mostrare come si manifesta l'interazione e favorire la consapevolezza nel genitore sulle abilità del figlio. L'obiettivo è di aumentare la consapevolezza dei comportamenti non verbali favorendo la capacità di insight del genitore nello stabilire collegamento tra la propria storia e quella che si osserva. Waoch, Waio and Wonder (WWW). Intervento che parte dalla teoria dell'attaccamento e dagli effetti del legame sicuro. Ha come obiettivo quello di aiutare i genitori e i bambini a scoprire il modo migliore per loro di entrare in relazione, per prevenire la trasmissione intergenerazionale di pattern di attaccamento insicuro; lo scopo è ridurre i problemi presentati dal bambino, aumentare la fiducia del genitore nelle proprie capacità, di gestire i problemi e ridurre lo stress associato al parentino. Per metà sessione il genitore gioca con il bambino senza prendere l'iniziativa e osserva, aspetta e si pone degli interrogativi. Il ruolo dello psicologo è meno interattivo, chiede solo alla madre di giocare e guardare. Nell'altra metà sessione, il genitore parla di quello che ha osservato del comportamento del bambino e dell'esperienza. ciò rende maggiormente consapevole il genitore anche senza intervenire con consigli. CEF Inoervenoion Enory: interazioni triadiche. Considera la totalità dell'interazione genitore-bambino (play dialooue) che si estende su vari livelli. Gli aspetti fondamentali del sistema sono la totalità (complesso di scambi tra i membri) e la gerarchia (modalità di comunicazione, es. holding). Le sedute si possono svolgere in diversi modi: • feedino: il genitore nutre il bambino; un terapeuta osserva dalla stanza uno dallo specchio; • play dialooue: il bambino è preso in braccio dalla madre, poi dal padre, poi dal clinico (estraneo); • interazioni tra bambino e consulente, terapeuta e famiglia in momenti di gioco e di pasto: un supervisore valuta le interazioni; • osservazione delle videoregistrazioni delle interazioni e discussione. Il gruppo è considerato nella sua totalità, crea un'alleanza, è focalizzato sul raggiungimento del benessere del bambino. Il consulente e il supervisore sono un sottosistema composto, co-organizzano un contesto per lo sviluppo di terapeuta, genitori e bambino, contestualizzano l'interazione come una cornice dinamica per favorire l'autonomia. 13. Le dimensioni dello studio degli interventi in ambito familiare Disturbi e interventi nell'ambito della famiglia Gli interventi effettuati attraverso il parent trainino comportamentale e la terapia familiare, basata su principi cognitivo-comportamentali, danno buoni risultati sui disruptives behaviours, poiché sono in grado di promuovere la qualità delle relazioni genitori-bambino e la buona riuscita del co-parentino; funzionano anche per i disturbi d'ansia e la depressione in quanto i genitori imparano a sostenere i bambini nell'utilizzo delle abilità di coping. 47 distinguere alcuni momento che si susseguono nell'accostarsi al caso: la segnalazione, l'assessment (diagnosi), la pianificazione dell'intervento e la realizzazione dello stesso. La segnalazione psicologica il momento in cui la persona, a causa di un disagio o un problema che sente come non più sostenibile con le sue forze, richiede l'aiuto di un professionista. Generalmente avviene con una telefonata, risultato di un lavoro mentale che può derivare da un problema recente o è frutto di una lunga riflessione. La persona che telefona può rivolgersi a un professionista specifico o al centro di riferimento in zona senza sapere quale professionalità trova. La domanda del cliente deve essere sempre interpretata dal professionista; significa che il clinico, con un processo di riflessione, cerca di comprendere qual è la miglior chiave di ingresso a fronte della richiesta di aiuto. Importante tenere presente il background teorico dello psicologo e il motivo della segnalazione. La segnalazione: chi diviene "paziente" rispetto al background teorico dello psicologo clinico Il modo in cui verrà fissato il primo incontro non è sempre conseguenza diretta dell'esplicita richiesta del paziente, perché viene a inserirsi nel quadro teorico di riferimento dello psicologo che accoglie la domanda. Inoltre, il clinico acquisisce una modalità specifica di lavorare che deriva dal contesto teorico-metodologico e dalla teoria della tecnica che condivide. Tutto ciò, rende la figura del clinico e il suo modo di lavorare autorevole. La segnalazione riguarda inizialmente tre tipologie di domanda: 1. Richiesta di un approccio individuale da parte del paziente: la risposta dipende dall'approccio teorico dello psicologo: - Approccio individuale: il paziente verrà accolto nella sua motivazione all'assessment e al trattamento. Nel caso di un'impostazione psicoanalitica il trattamento verrà rivolto al mondo intrapsichico. Il paziente è l'individuo. - Approccio rivolto al disturbo della relazione e della comunicazione (approccio sistemico e orientate al contesto familiare): il disagio non è riferibile solo all'individuo, ma verrà proposto al paziente di venire all'appuntamento con gli altri membri della famiglia. Il paziente è la famiglia o la coppia coniugale/genitoriale come sistema di relazione. 2. Richiesta fatta evidenziando un disagio del paziente in relazione a un altro membro del sistema familiare: - La richiesta è fatta per un familiare adulto: se l'approccio è individuale il paziente è colui che esprime il disagio e verrà accolto come tale per dirimere successivamente le questioni presentate. -Se l'approccio del clinico è relazionale il paziente è l'intera famiglia e/o la coppia. - La richiesta è fatta per un minore: si deve coinvolgere la coppia genitoriale o l'intera famiglia. Il paziente è la famiglia. 3. Richiesta fatta evidenziando un disagio specifico della coppia. I due coniugi possono essere concordi nell'effettuare la richiesta in termini di una sofferenza legata alla relazione, il paziente è la coppia. La motivazione e le esigenze del cliente. Se da una parte c'è il clinico con il suo background, dall'altro c'è la motivazione e la disponibilità del cliente. Il paziente sceglie il clinico, il cui compito è quello di comprendere e riformulare la richiesta del cliente e rispondere secondo la propria competenza e autorevolezza, ma deve comunque tener conto della situazione. • Il paziente specifica fin dall'inizio che, nonostante il problema riguardi qualcun altro, desidera parlare lui del problema. Se il clinico usa un approccio individuale la richiesta si incontra con la modalità del lavoro; per un clinico che privilegia l'approccio familiare, questo può creare problemi per il successivo lavoro con la coppia. • Il paziente chiarisce che l'altro membro non è disponibile a partecipare. Il paziente deve essere accolto individualmente, e interventi successivi sulla famiglia/coppia possono diventare in seguito difficili. • Il paziente chiede un intervento di coppia. Se il clinico condivide tale approccio si troverà a suo agio con la richiesta; se invece usa un approccio individuale, dovrebbe chiedere a un altro professionista la presa in carico. • Il paziente chiede aiuto per il figlio; bisogna capire se il malessere riguarda l'intera famiglia o solo il figlio. Dalla segnalazione all'inquadramento del problema (assessment). Al primo incontro si intrecciano i fattori rappresentati dalle esigenze teorico-metodologiche del modello dello psicologo e dalle motivazioni del paziente. I primi incontri possono essere usati per inquadrare la problematica del paziente. La prima cosa da indagare è se il paziente che si presenta è realmente quello che si è ipotizzato e può 50 succedere che si ridefinisca il paziente. Un secondo problema dell'assessment è il background del clinico, nel senso del significato che il problema può assumere nella dinamica del funzionamento del paziente. Il sintomo In ogni modello, il sintomo può essere sia definito che interpretato, acquisendo significati completamente diversi; nell'ambito delle relazioni familiari il sintomo assume sfumature ancora più differenziate perché il malfunzionamento può riguardare sia i singoli che l'intera famiglia. • Disagio di un singolo membro: ci si deve occupare della cura di quel membro; si ritiene che sia principalmente il disagio del singolo quello che poi si riflette in un più ampio disadattamento del sistema familiare. Il caso della fobia del piccolo Hans (Freud,1931), Hans aveva sviluppato una fobia nei riguardi dei cavalli: aveva paura che entrassero nella stanza e lo mordessero ma come conseguenza aveva anche paura di uscire per strada. Freud interpreta la paura del piccolo come il risultato di uno spostamento sul cavallo di dinamiche di competizione del padre nei confronti della madre e di desideri che egli muoia per conquistarla. In altre parole la fobia è connessa ad impulsi sessuali e di aggressività. Freud, tramite il padre di Hans, interpreta al bambino i suoi sentimenti e così la fobia scompare. • Risultante della componente individuale di un membro e di quella di uno o più altro membro della famiglia: è l'intersezione non adattiva di queste combinazioni di crea il disfunzionalmente familiare. • Disagio dell'intero sistema: la coppia/famiglia si rivolgono allo psicologo perché ammettono che hanno un problema; viene riconosciuto che il sintomo è un problema familiare e come tale viene trattato, oppure ci si orienta verso un lavoro con i genitori (o con i familiari di un adulto con problematiche psichiche) e l'attenzione viene rivolta al fatto che essi non sanno come gestire il figlio o l'adulto. Si parla di un moderno piccolo Hans. Il caso in questione è un bambino che ha paura dei cani che servirebbe secondo quanto elaborato dal terapeuta a distrarre i genitori da un reciproco non coinvolgimento. In questo caso specifico la madre è ipercoinvolta mentre il padre assume un ruolo periferico. Si era anche verificato un episodio di infedeltà familiare che aveva lasciato nei genitori un’amarezza irrisolta. La terapia dunque non si concentrò sul sintomo più evidente ma su una ristrutturazione del rapporto del coppia dei genitori. Al termine della seduta ognuno aveva ripristinato i propri ruoli e il bambino aveva smesso di avere paura dei cani e la coppia coniugale si era rafforzata. • Pure essendo situato in un singolo membro del gruppo è espressione di un disagio e malfunzionamento dell'intera famiglia e come tale viene curato: il problema del figlio è visto come sintomo della relazione di coppia). Esempio sintomo nella teoria degli Scharff: Martin è un bambino di 8 anni che viene segnalato per difficoltà scolastiche e perché lamenta di non essere trattata bene dagli amici. Il ragazzino si presenta come un tipico ragazzo arrogante e aggressivo. La madre è casalinga mentre il padre un fisico di successo. Una sorella maggiore Rachel di 11 anni e un fratellino più piccolo. La seduta congiunta mette in rilevanza che la famiglia attribuisce molta importanza alla performance scolastica dei figli. Si evidenzia inoltre una coalizione tra maschi e un isolamento delle femmine descritte come estremamente combattive. Il figlio esprime il problema che gli amichetti giocano cambiando le regole in modo sleale. Ma la sorella dice che è Martin stesso a creare confusione cambiando le regole dei giochi ai quali partecipa e che si arrabbia moltissimo se qualcuno glielo fa notare. Il clinico lavora sul fatto che la famiglia sembri cercare un capro espiatorio, la famiglia ha sempre preteso che Rachel si prendesse cura di Martin ma essa lamenta di non sentire la madre come punto di riferimento. Dopo che si è sentita sufficientemente compresa, la madre inizia ad aprirsi esprimendo la sua bassa autostima. A detta del marito, difficilmente la moglie fa qualcosa per se’, ma mette al primo posto sempre i figli. Il clinico percepisce che la famiglia desiderava che Rachel fosse una figlia perfetta poiché la madre non si sente abbastanza brava. Si può ipotizzare che il padre proietti all’interno della moglie dei sentimenti di inadeguatezza che in realtà appartengono a se stesso. Il clinico chiede al padre come fosse considerato nella sua famiglia e egli afferma di essere sempre stato il favorito. Rachel porta di non sentirsi così speciale, proprio come la madre da bambina. Il terapeuta continua dicendo che Martin, per il solo fatto di essere un maschio è visto dai genitori come adeguato, come lo era il padre 51 nella sua famiglia, mentre in realtà non è così ma si tratta di un bambino con diverse debolezze. Ha bisogno di essere seguito da un professionista. Alla fine il terapeuta raccomanda una terapia familiare e un tutoraggio per Martin ed entrambi i genitori si dichiarano d’accordo. Il sintomo del figlio nell’ottica dell’attaccamento Marco ha 7 anni e viene presentato allo psicologo attraverso il racconto dei genitori, in seguito alla segnalazione della madre. Marco ha iniziato da qualche tempo a manifestare una notevole insofferenza nei confronti della scuola, dapprima solo con qualche capriccio poi addirittura con attacchi di vomito. Raccontando di se’ la mamma dice di aver scelto il mestiere di casalinga solo dopo la nascita del figlio e il marito dal canto suo guardia giurata, sempre alla nascita del bambino, aveva deciso di abbandonare i corpi speciali e chiedere una mansione più tranquilla. Per quanto riguarda il sintomo del bambino lo psicologo decide di suggerire ai genitori di assecondare la richiesta del figlio di non andare a scuola, almeno per il momento. Emerge poi che Marco gioca solo se in presenza dei due genitori, non da solo e non con amici, per sua personale scelta. Molto spesso quando uno dei due genitori si allontana senza portarlo con se’, ha delle crisi isteriche. Il marito racconta di aver deciso di riprendere i suoi sport estremi e la moglie puntualizza che è avvenuto un paio di settimane prima che Marco manifestasse i sintomi. Lo psicologo riesce a collegare la sintomatologia e comprende che i genitori avevano fallito nel trasmettere al bambino la rappresentazione di base sicura della famiglia. La diagnosi. La diagnosi descrittiva consente una classificazione del paziente rispetto ad aspetti sintomatologici obiettivi secondo criteri riconosciuti a livello internazionale (ICD o DSM). 0uando ci si rivolge invece alla famiglia/coppia come paziente, da qualunque prospettiva ci si ponga, l'attenzione è rivolta alla disfunzione in ambito familiare e/o in un suo sottosistema; bisogna quindi identificare i deficit che operano nel mantenimento di dinamiche familiari disfunzionali e distinguerle da deficit individuali. Nella diagnosi sistemica, l'assessment del sistema sovrasta la diagnosi dell'individuo e gli elementi di storia individuale. Nella diagnosi che integra la terapia sistemica con l'attaccamento viene dato spazio ai problemi dell'attaccamento della coppia e alle esigenze che vengono espresse in tali dinamiche nelle reciproche tipologie di attaccamento. Negli approcci a base psicoanalitica il terapeuta è più sensibile sia ai deficit individuali che alle dinamiche familiari. È importante capire se vi è anche una patologia individuale. • Approccio della teoria dei sistemi: coinvolge l'intera famiglia; il sintomo riguarda un solo membro, cioè il paziente designato, e la patologia va ricercata nella disfunzione dell'intero sistema familiare; è la famiglia a dover essere interpretata, il problema del figlio rappresenta il sintomo di una più complessa situazione familiare; il lavoro con la famiglia verte sull'identificazione della struttura familiare e delle dinamiche reciproche messe in atto che hanno portato all'identificazione del paziente designato; il sintomo ha un significato metaforico del funzionamento familiare. • Approccio della teoria dell'attaccamento: considera il problema del bambino in relazione alla capacità di trasmettere, o meno, da parte dei genitori una base sicura al figlio; i genitori sono considerati portatori di rappresentazioni d'attaccamento e il sintomo è derivato da problemi di attaccamento. • Approccio familiare basato sulla teoria psicoanalitica: tiene presente dinamiche inconsce delle rappresentazioni e del transfert e controtransfert; considera il problema del bambino come fonte di una difficoltà relazionale. • Approccio individuale basato sulla teoria psicoanalitica: tiene presente dinamiche inconsce delle rappresentazioni e del transfert e controtransfert; comporta il vedere separatamente il bambino come portatore di un conflitto intrapsichico e un lavoro con i genitori. Multiapproccio 0uesti descritti sono modelli puri, ma nella realtà si verifica spesso che le cose si complicano e vi è la necessità di ricorrere a diversi modelli di intervento che derivano dalla coniugazione delle competenze e proposte sia dal paziente che dal clinico (Multiapproccio al problema). Nell'approcciarsi al caso e nella fase di intervento, l'azione terapeutica può essere diretta contemporaneamente sulla famiglia come sistema, sulla coppia genitoriale o coniugale o sul singolo; questo non vuol dire che debba farlo lo stesso terapeuta. L'attività si svolge con la famiglia. • Lavorare con la famiglia: il clinico può proporre un intervento familiare, ma può proporre interventi separati per il sottosistema coppia genitoriale o coniugale e una terapia individuale con il figlio. 52
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