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Modulo Innovation parte 1, Appunti di Strategia E Innovazione

Appunti di Strategic and Innovation Management, completi e collaudati

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 07/01/2023

Landongo94
Landongo94 🇮🇹

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Scarica Modulo Innovation parte 1 e più Appunti in PDF di Strategia E Innovazione solo su Docsity! INGEGNERIA GESTIONALE LM-31 Appunti di Strategic and Innovation Management 2021/2022 PARTE 2: INNOVATION 2 5 L’innovazione incide fortemente sul benessere di un Paese. La tipica misura del benessere di un paese è il PIL pro capite (GDP: Gross Domestic Product). Viene calcolato tramite una semplice equazione: 𝑌 𝑃𝑂𝑃 = 𝑌 𝑁 × 𝑁 𝑃𝑂𝑃 Y è il PIL, POP è la popolazione in età da lavoro, N numero di persone che lavorano nel Paese. Y/N rappresenta il Pil realizzato da ogni lavoratore, è una misura della produttività media del lavoro. N/POP è la percentuale di popolazione che ha un’occupazione (gli altri sono disoccupati o scoraggiati che non cercano un lavoro). Se guardiamo ai grafici della figura che mettono in relazione il PIL pro capite di USA e Italia notiamo che c’è un gap, il PIL italiano è più basso di quello americano. Scindiamo il grafico nella componente produttività (grafico in alto a destra) e la componente tasso di occupazione (grafico in basso a destra). Possiamo influenzare questi indicatori se cresce la produttività o se cresce la quota di occupati nella popolazione o se crescono entrambi. Esistono vari fattori per incrementare la produttività e uno di questi è l’innovazione tecnologica (altri fattori sono il capitale umano, il capitale fisico, le risorse naturali, la capacità imprenditoriale e l’ambiente istituzionale). Dalla prospettiva microeconomica per le aziende, l’innovazione tecnologica è il singolo drive più importante per il successo competitivo in molte industrie. Il successo nell’innovazione non è su quanto si spende ma piuttosto su come si investe. Le aziende altamente innovative migliorano le loro performance puntando sulle capacità critiche e allineandole con la loro strategia aziendale complessiva. Devono avere la capacità di gestire il ciclo di vita dei loro prodotti e progetti. Come possiamo misurare l’innovazione? L’Unione Europea ha un suo metodo che consiste nell’European Innovation Scoreboard e che viene aggiornata di anno in anno. Consiste in una serie di indicatori (25) che sono divisi in tre categorie 1) Fattori abilitanti: sono i prerequisiti che bisogna avere per attuare l’innovazione. L’indicatore che viene preferito è quello della spesa in ricerca e sviluppo che è una misura di quanti soldi investo nel processo di innovazione. Altri fattori sono le risorse umane (ovvero il grado di istruzione nel paese, numero di laureati, numero di dottorati) e i sistemi per la ricerca (si guarda alle pubblicazioni e co- 6 pubblicazioni internazionali). Un’altra voce è quella dei “venture capital” cioè il capitale di rischio, finanziatori privati che investono in nuove invenzioni. 2) Attività innovative: per attività si intendono tutte le attività di spesa in ricerca e sviluppo, le attività di innovazione fatte “in house” e quelle attività di innovazione che le aziende medio-piccole fanno in partnership con altre aziende, più le domande di brevetti. 3) Risultati dell’innovazione: sono gli output, la disponibilità di nuovi prodotti, di nuovi processi pro- duttivi, tassi di crescita delle aziende. Questi sono buoni indicatori del successo di innovazione. Sulla base di questi 25 indicatori, l’UE classifica ogni paese dell’unione e lo in casella in una delle quattro diverse categorie: Leader dell’innovazione (Danimarca, Finlandia, Svezia), Innovatori forti (Germania, Fran- cia, Irlanda), Innovatori moderati (Italia, Spagna, Portogallo, molti paesi dell’est), Innovatori modesti (Ro- mania). 7 Capitolo 2: Sources of Innovation L’innovazione può provenire da diverse fonti, le quali formano una rete di elementi complementare tra loro, possiamo pensare all’individuo (inventore che poi cede il brevetto all’azienda), alle imprese (open o close innovation), alle università o enti di ricerca (come contributi pubblici al processo di innovazione), enti no profit e fondazioni. Nel processo di innovazione un ruolo importante è giocato dalla creatività, cioè la capacità di produrre la- voro utile e nuovo. La creatività individuale è funzione di abilità intellettuali (come la capacità di articolare idee), conoscenza (conoscere uno specifico campo), stile di pensiero (scegliere di pensare in modi nuovi), personalità, motivazione e ambiente (ad esempio supporto e ricompense per idee creative). Bisogna inco- raggiare la creatività e può essere fatto in tanti modi. Un esempio in questo campo è rappresentato da Google che offre una gamma di meccanismi formali e informali per incoraggiare i suoi dipendenti ad inno- vare, tra cui: - 20% del tempo: tutti gli ingegneri sono incoraggiati a spendere il 20% del loro tempo a lavorare su progetti propri. - Riconoscimento con premi - Premi dei fondatori di Google - Concorso tra le idee - Recensioni e revisione dell’innovazione. Quando parliamo di innovazione e di fonti di innovazione, possiamo distinguere due diversi approcci: science push e demand pull. a) Science Push: il processo nasce da una scoperta, un’invenzione. Questa viene successivamente bre- vettata, si trova un’azienda disposta a trasformarla in un prodotto o in nuovo servizio. Quindi entra in produzione e l’azienda la realizza e poi il prodotto viene commercializzato e venduto. b) Demand Pull: è il processo contrario al precedente. La spinta viene all’innovazione viene data dal cliente. Il consumatore percepisce delle debolezze in un prodotto o servizio e ha l’intuizione di come questo possa essere migliorato. Il suggerimento arriva all’azienda che lavora per sviluppare questo nuovo progetto che entrerà poi in produzione e sarà venduto. Le innovazioni per demand pull sono più frequenti di quello che si possa pensare. Un esempio è quello della barca a vela di classe olimpica laser, una barca piccola che può essere trasportata sul tetto della propria auto. O un altro esempio è lo snowboard. CASO STUDIO: Lego Mindstorm È una serie Lego che consiste in robot elettronici che Lego sviluppa insieme agli scienziati del MIT. In pochis- simi mesi dal rilascio del prodotto migliaia di hacker si mettono al lavoro. Lego si rende conto che ci sono migliaia di adulti fan di Lego e che molti di questi sono anche dei designer estremamente capaci e può tra- sformarli in un vantaggio. Lancia un contest in cui gli utenti possono mostrare i loro design e quelli che sono particolarmente buoni vengono venduti e messi sotto licenza Lego. (è un’osservazione di come l’innova- zione possa partire dalla domanda ma risulti comunque complementare al Science Push che viene usato nelle fasi iniziali). CASO STUDIO: Camera Pill È una capsula che contiene al suo interno una telecamera che può essere ingoiata da un paziente e fornire immagini dell’intestino dall’interno. Fu inventata da Gavriel Iddan e un team di scienziati. Il progetto fu ini- ziato da un gastroenterologo, Iddan era invece un ingegnere missilistico senza un background medico. Id- dan applicò i concetti dei missili guidati all’esigenza del gastroenterologo. Durante il suo sviluppo si incon- trarono moltissimi problemi (dimensione, qualità dell’immagine, durata della batteria). Per renderlo un prodotto commerciabile Iddan fece una partnership con un CEO di una compagnia che fornì il capitale. Con- temporaneamente fece squadra con un team di scienziati per combinare le conoscenze. Il risultato fu un 10 1) Livello individuale: basato sulla ricchezza della conoscenza preesistente. Queste conoscenze sono aggiornabili e cumulative, ma solo nei propri domini. Allargare le proprie conoscenze in altri domini è difficile se non si hanno conoscenze di base. La conoscenza migliora l’apprendimento perché la memoria si sviluppa sull’apprendimento associativo: gli eventi vengono registrati in memoria stabi- lendo legami con concetti preesistenti. 2) Livello dell’organizzazione: è composto dalla capacità di assorbimento di ogni singolo membro dell’organizzazione. Qui l’assorbimento riguarda anche la capacità di sfruttare le nuove informa- zioni. Non è semplicemente la somma delle capacità di assorbimento dei singoli membri ma con- trolla l’ambiente e traduce le informazioni. Si base anche sull’interazione all’internodi sub-unità e sui collegamenti tra reti interne dell’organizzazione e fonti di informazioni esterne. Ciò che l’organizzazione ha imparato nel passato viene sfruttato nella nuova conoscenza. È il concetto di “Path Dependency” (dipendenza dal percorso – già descritto nella parte di Strategy, capitolo 6): l’abilità di creare conoscenza dipende da quello che la compagnia ha fatto nel passato. Se le aziende hanno sviluppato R&S nel passato questo può preparare meglio il terreno per un’acquisizione futura di conoscenza e una fu- tura innovazione. Inoltre, essendo che la capacità di assorbimento è Path Dependent, per un’azienda risulta impossibile eseguire un “leap frog” (letteralmente salto della rana), cioè il passaggio da uno stato di cono- scenza ad un altro risulta molto difficile e costoso se non si è creato un percorso di R&S costante nel pe- riodo precedente. Un altro concetto è quello dei “Knowledge Brokers”, una persona o un gruppo di individui (aziende) che facilitano il trasferimento di informazioni da una parte ad un’altra in cui possono essere utilmente impie- gate. Sono una sorte di ponte, di intermediari. Come già accennato, parliamo meglio dei Cluster Tecnologici, o Regional Innovation System. Essi sono reti di imprese connesse tra loro e di istituzioni associate operanti in determinati campi, concentrate territorial- mente, dove competono e allo stesso tempo cooperano, collegate da elementi di condivisione e di comple- mentarità. L’esempio più famoso è quello della Silicon Valley, ma esistono realtà simili anche in Italia, ad esempio in Sicilia ci sono Etna Valley e Palermo Biotech. Quando parliamo di cluster tecnologici parliamo di una rete trilaterale che combina la presenza delle industrie, dei centri di ricerca accademici e dello stato. Presenta dunque eccellenze in ricerca e innovazione e di creazione di valore. Essendo concentrati in un’area geografica circoscritta, difficilmente gli imprenditori si sposteranno da quell’area, il lavoro creato dalle aziende basate sulle nuove tecnologie forma un monopolio di conoscenze spaziale. Un concetto simile era quello dei distretti industriali (molto diffusi in passato in Italia) che però riguardano settori industriali come quello tessile, mobiliare, ecc. Queste aziende erano una vicina all’altra e potevano avere accesso a manodo- pera specializzata nella zona in cui erano localizzati i distretti. Culturalmente esistevano delle famiglie di artigiani che tramandavano di padre in figlio abilità e competenze necessarie per lavorare nel settore. I Clu- ster tecnologici sono invece dei cluster regionali in cui le aziende hanno in comune la tecnologia, solita- mente parliamo di high-tech. Queste aziende funzionano con gli stessi fornitori, clienti o complementi. Si basano su economie di agglomerazione e la vicinanza facilità lo scambio di conoscenze. Il cluster può por- tare a miglioramenti dell’infrastruttura (es. strade, utilities, scuole, ecc.). Non sempre è conveniente che aziende che operano nello stesso settore high-tech si vadano a localizzare in prossimità di altre aziende che operano nello stesso settore. La concentrazione territoriale, infatti, dipende da tre elementi: 1) Dipende dalla natura della tecnologia: la conoscenza legata alla tecnologia può essere di codificata, esplicita o di tipo tacita. Se la conoscenza viene passata facilmente non ho bisogno di un cluster ma se ad esempio questa è protetta da brevetti e copyright potrebbero servire comunicazione e fre- quenti interazioni. 2) Dipende dalle caratteristiche dell’industria 3) Dipende dal contesto culturale della tecnologia: cioè se la tecnologia verrà poi adattata al contesto culturale del mercato o meno. 11 A seconda di questi elementi avremo processi di localizzazione diversa che possiamo esplicitare tramite una matrice. Sull’asse orizzontale troviamo la complessità della conoscenza tecnologica; viene misurata in termini di co- noscenza tacita (high) e conoscenza esplicita (low). In questo caso la complessità cresce con l’ammontare di conoscenze non codificate. Sull’asse verticale troviamo la complessità della conoscenza del mercato; viene misurata in termini di ne- cessità di adattare il mio prodotto a quello che è il mercato (high) oppure no (low). Combinando queste due dimensioni si ottengono i seguenti quattro modelli: 1) Complessità della conoscenza tecnologica bassa e complessità della conoscenza del mercato bassa: la conoscenza della tecnologia è piuttosto semplice e facilmente accessibile. Questo vuol dire che l’azienda non ha bisogno di andarsi a localizzare né dove si genera la conoscenza tecnologica né dove si genera la conoscenza del mercato, né dove si genera l’innovazione. 2) Complessità della conoscenza tecnologica alta e complessità della conoscenza del mercato bassa: questo è il caso del cluster tecnologico che ha la sua logica di esistere quando la singola azienda può beneficiare al massimo degli spillover tecnologici legati alla conoscenza tacita. La conoscenza del mercato è poco complessa, non c’è bisogno di adattamento alla domanda locale e quindi al mercato, basta solo la conoscenza tecnologica per realizzarlo. 3) Complessità della conoscenza tecnologica bassa e complessità della conoscenza del mercato alta: abbiamo una conoscenza codificata ma l’informazione relativa al mercato è complessa. Per otte- nere dei vantaggi bisogna localizzarsi vicino al mercato. Ad esempio molte case automobilistiche si stanno spostando verso la Cina per realizzare modelli specifici per la domanda di quel paese. 4) Complessità della conoscenza tecnologica alta e complessità della conoscenza del mercato bassa: è il caso più complesso. Si applica una “rotazione”, ovvero si realizzano dei team di sviluppo e li si fanno ruotare da una localizzazione all’altra. Vediamo dunque che i cluster tecnologici non sono dei modelli che vanno bene per tutte le industrie ma sono soltanto una delle possibilità di localizzazione. Capitolo 3: Models of Innovation Il miglioramento di una tecnologia nel tempo è descritto da quella che prende il nome di “Curva S”. Sull’asse verticale è rappresentata la performance della tecnologia, intesa come cosa la tecnologia per- mette di fare (es. hard disk: prendo come parametri di performance la velocità e la capacità di memoria). Sull’asse orizzontale c’è l’impegno, inteso come investimenti finanziari nello sviluppo della tecnologia. Inizialmente abbiamo un’area della curva “piatta”, i miglioramenti della performance sono lenti perché i principi base della tecnologia sono stati compresi solo in maniera parziale. Dopodiché c’è un’accelerazione, aumentando la conoscenza della tecnologia il miglioramento delle performance comincia ad essere più ra- pido. La parte finale della curva torna ad essere “piatta”, questo perché molte tecnologie hanno un limite, raggiunto il quale è più difficile migliorare le performance (es. motore diesel ha raggiunto il suo limite). è possibile comparare differenti Curve S per differenti tecnologie che però hanno esigenze di mercato si- mili, sono semplicemente basate su conoscenze nuove (es. fotografia chimica e digitale). Una tecnologia discontinua è una tecnologia nuova rispetto la precedente. Nel grafico (a) la nuova tecnolo- gia, chiamata seconda tecnologia, riesce ad avere uno sviluppo più rapido con un investimento minore ri- spetto alla prima, ma essenzialmente raggiunge lo stesso limite. Nel grafico (b) la seconda tecnologia ha bisogna di un alto livello di investimenti per cominciare ma il limite di miglioramento di performance che può essere maggiore della tecnologia precedente. Non sempre una tecnologia riesce a raggiungere il suo limite, infatti, può succedere che questa venga rim- piazzata da una nuova tecnologia di tipo discontinuo. La tecnologia discontinua opera in un mercato simile ma con una conoscenza di base completamente diversa. Inoltre, la tecnologia discontinua, può avere ini- zialmente una performance più bassa. Un particolare tipo di tecnologia discontinua è quella chiamata tecnologia dirompente (disruptive techno- logy). Queste tecnologie hanno tre caratteristiche principali: 1) Sono tecnologie che hanno performance di prodotto peggiori nel breve periodo 2) Portano al mercato una differente value proposition. Hanno il potenziale di creare una nuova indu- stria o trasformarne una esistente. 3) Sono sotto le performance dei già affermati prodotti mainstream ma possiedono delle caratteristi- che che aggiungono valore per il cliente, solitamente un pubblico di nicchia (es. personal computer
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