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Monografia di ALEKSANDR SERGEEVIČ PUŠKIN, Sintesi del corso di Letteratura Russa

Riassunto del capitolo riguardante A.S. PUŠKIN del libro Storia della civiltà letteraria russa, integrati con i miei appunti presi a lezione durante l'anno accademico. Oltre alla vita e alle opere, trovate un approfondimento sui "Racconti del defunto Ivan Belkin", con un riassunto del "fabbricante di bare" e di "metel-tempesta di neve" ed un'analisi di "Evgenij Onegin", "Pikovaja Dama" e "Kapitanskaja Docka-La figlia del capitano".

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 20/01/2022

NicoleB08
NicoleB08 🇮🇹

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Scarica Monografia di ALEKSANDR SERGEEVIČ PUŠKIN e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Russa solo su Docsity! ALEKSANDR SERGEEVIČ PUŠKIN (1799-1837) La solennità dello scrittore è dovuta al suo carattere umanitario e alla facoltà di fondere insieme varie tradizioni letterarie alla perfezione. L’impetuosa evoluzione di Puškin è la manifestazione della sua “libertà intellettuale”: nonostante in realtà non fosse veramente libero, non si lasciò mai influenzare dalle opprimenti condizioni esterne che lo circondavano, o almeno mai direttamente. Vita Puškin nacque il 7 giugno (26 maggio)1799 e morì nel 1837: ebbe vita breve ma intensa. Suo padre, il moscovita Sergej L’vovič Puškin, era un funzionario di medio grado. La madre era discendente di Abram Hannibal, ossia un principe abissino che era stato donato a Pietro I dal grande dal sultano turco. Puškin era orgoglioso di queste sue origini e amava ricordarle. A tal proposito, abbozzò un romanzo Il Negro di Pietro il Grande. I genitori non diedero ai figli un’adeguata educazione famigliare ed intellettuale. Venne affidato alle cure di precettori stranieri: scrisse in francese le sue prime opere poetiche (la prima all’età di dieci anni, grazie alle opere in francese presenti nella biblioteca del padre) e si ispirò alla cultura francese settecentesca (Rousseau, Montesquieu, Voltaire). Puškin ebbe a cuore la sua balia, Arina Rodjonovna, la quale costituì il contatto tra Puškin e il mondo popolare perché gli raccontava fiabe popolari, storie dalla tradizione, novelle, indovinelli, ecc. L’importanza della njanja divenne perfino mitologica, assunse la funzione di musa-madre popolare della Russia. La famiglia di Puškin era frequentata da molti scrittori dell’epoca (Karamzin, Žukovskij). Entrò a contatto sia con la letteratura popolare del folklore che con la letteratura colta. Nel 1812 Puškin cominciò a frequentare il liceo, Carskoe Selo Licej, dove si impartiva una formazione umanistica mescolata a un po’ di scienze politiche. C’erano docenti molto illuminati e all’avanguardia. • Periodo liceale: 1811-1816. Lettere ad un amico verseggiatore, A Natal’ja, Monach). Durante questi anni, assimilò un’educazione letteraria molto approfondita ed imperò anche a vivere. Le sue opere liceali colpivano per la loro compiutezza e perfezione in ogni singolo tentativo letterario: le tradizioni letterarie scelte sono eterogenee, passa da Voltaire a Ossian. Il tema principale da lui adottato è quello monacale, visibile soprattutto nell’opera K Natal’e. La prima poesia di Puškin data alle stampe è l’epistola Ad un amico verseggiatore: qui ammonisce un suo amico e lo esorta a rinunciare all’esercizio della poesia ponendosi la maschera di un poeta professionale esperto della vita. I nomi caricaturali sono una conferma d’appartenenza del giovane autore al versante karamziano della poesia russa. Tuttavia, non vi è una tendenza univoca perché sono evidenti le influenze di poeti anche non karamziani. Nella lirica Ricordi a Carskoe Selo è evidente l’influenza di Deržavin. Quando Puškin aveva solo sedici anni veniva già riconosciuto come promessa per la poesia russa e le sue poesie, che non erano pubblicate, circolavano manoscritte nella capitale: si era già formato un pubblico di lettore estimatori. Nel 1816 Puškin cominciò a frequentare la casa di Karamzin, estimatore dello stile letterario russo con un linguaggio elegante e innovativo. Questo rapporto gli permise di entrare nel circolo letterario di “Arzamas” le cui idee si contrapponevano ai conservatori e ai sostenitori dello stile russo slavonico tradizionale (circolo “Amici della parola russa”). Puškin fece anche della gavetta: partì dall’imitazione, dalla traduzione. Cercava una forma di poesia e di linguaggio estremamente laconica. Dopo il diploma, lui aspirava al reggimento degli ussari, però dopo esser uscito dal liceo nel 1817 entrò al servizio del Collegio degli Affari Esteri, dove lavorò per 3 anni. • Periodo pietroburghese: 1817-1820. Ruslan i Ljudmila Terminato il servizio, Puškin si trasferì a Pietroburgo, dove si lasciò andare agli svaghi e al lusso della città, diventando così uno scapestrato. Questi eccessi erano interpretati come adesione alla società “La lampada verde”, il cui principio base era il libero pensiero e la libera condotta. Al Periodo Pietroburghese (1817-1820) corrispondono alcuni grandi componimenti poetici come l’ode Vol’nost’ (Libertà, 1817) e Derevnja (La campagna, 1819), che sono intrisi di versi politici che sostenevano un rigoroso ascetismo e propugnava il rifiuto della felicità individuale in favore della libertà della patria. Il suo esordio come poeta, tuttavia, va attribuito al suo primo poema, Ruslan i Ljudmila, terminato nel 1820. Si tratta di un “poemetto”, così l’hanno descritto i critici dell’epoca, con meravigliose imprese, amore non casti ed eroiche imprese; un po’ come se fosse ispirato all’Orlando Furioso. Questo scandalizzò i letterati conservatori. L’accostamento di brani fra loro eterogenei per stile e genere produsse una sorta di ironia verso la stessa idea di “genere”. Nel poema, i toni giocosi coesistono con quelli eroici e della lirica alta. Lo zar Aleksandr I fu personalmente irritato e ferito dalla condotta di Puškin e considerò ingratitudine il libero pensiero da parte di un ex allievo del liceo Carskoe Selo. Perciò, lo scrittore, nel 1820, sarà costretto a lasciare Pietroburgo per andare al sud (Ekaterinoslav), dove trascorse il soggiorno presso la famiglia del generale Raevskij alcuni mesi, il quale lo portò a viaggiare nel Caucaso e nella Crimea. • Periodo meridionale: 1821-1824. Si è spento l’astro del giorno, Gli zingari, Prigioniero del Caucaso, Fontana di Bachčisaraj, inizio di Evgenij Onegin. Qui, si aprì il Periodo meridionale, caratterizzato da un massimo radicalismo e da una poesia seria. Nell’area meridionale, in questo periodo, si andava formando la più ampia Società cospirazionista decabrista, la Società Meridionale, alla quale però Puškin non fu mai ammesso per il suo carattere “multiforme”. L’ironia venne messa da parte e tutto domina sul motivo elegiaco: Si è spento l’astro del giorno. Questo periodo della sua produzione, però, è stato anche chiamato il “periodo byroniano” perché vediamo nelle sue opere un forte carattere romantico. Il primo poema del periodo meridionale è Prigioniero del Caucaso, in cui la narrazione assume un tono quasi autobiografico. Puškin è diventavo un “fuggiasco”, ha reciso tutti i rapporti con la patria e l’amore non è più simbolo di libertà; fugge dalla prigionia distruggendo il suo amore per proseguire da solo. In questo poema vi è anche un altro aspetto, quello della descrizione delle “genti del Caucaso”. Un altro poema “byroniano” fu La fontana di Bachčisaraj. Il byronismo, nel poema, sta nel romanticismo psicologico, nel tono emozionale e da epiteti tendenti al topos. Nel 1824, a causa di mutamenti amministrativi, Puškin fu trasferito sul Mar Nero, a Odessa, una città molto cosmopolita e nuovo centro amministrativo. Qui ebbe un capo, Voroncov, alla cui moglie Puškin faceva la corte (Elisaveta Ksaverovna). Questo gli provocò un numero ingente di problemi: il suo capo assumerà una serie di investigatori, essi scopriranno una lettera in cui Puskin dichiara una certa attrazione per le dottrine ateistiche. Sebbene l’ambiente fosse stimolante, qui lui attraverso una profonda crisi. Questo stato di tensione è evidente nelle sue opere: le poesie sono intrise di quesiti relativi all’essenza dell’uomo e della storia. Mette in dubbio la tesi rousseauviana della naturale bontà e moralità dell’uomo e dubita che le azioni storiche siano state compiute per il bene del popolo. Segno principale di una nuova fase esistenziale è l’inizio del lavoro sul romanzo in versi Evgenij Onegin. Quella sull’Evgenij Onegin fu una fatica di lunga lena. I primi capitoli furono scritti ad Odessa, il terzo fu terminato a Michajlovskoe insieme al IV, V e VI. La parte restante fu completata fra Mosca, San Pietroburgo e Boldino. Il primo capitolo descrive il modo di vita di Evgenij e la sua educazione. Lui è un giovane dell’epoca dell’Unione della Prosperità, compare in società alla fine degli anni Dieci e fa suoi molti interessi e gusti dei migliori giovani del tempo (entusiasmo per le scienze economiche). La sua formazione intellettuale era casuale e superficiale, le sue occupazioni preferite erano le danze nei ricevimenti e la <scienza della tenera passione>. L’eroe scettico che Puškin aveva in mente a quel tempo, sullo sfondo della crisi da lui attraversata, assume una nuova fisionomia. Questo produce una contraddizione tra la figura inizialmente descritta e quella finale. Nel corso del lavoro sul primo capitolo l’autore formò una concezione creativa, secondo la quale la contraddizione del testo era di per sé un valore. Il testo internamente contraddittorio gli sembrava adatto alla realtà. Il principio di contraddizione si manifesta in tutto il romanzo: esso consiste nel contrasto delle caratteristiche dei personaggi che può verificarsi da un capitolo ad un altro o nel brusco cambio di tono nella narrazione. La conseguenza è che lo stesso pensiero in brani contigui può essere espresso una volta seriamente e una volta ironicamente; un altro aspetto che produce contraddizione è il contrasto fra testo ed il suo commento da parte dell’autore. Un secondo modo di passare dalla convenzione alla realtà è l’aumento, in misura paradossale, di convenzionalità letteraria in molti punti chiave del romanzo. I personaggi principali dell’opera possono presentarsi da sé, tramite altri personaggi o mediante l’autore. Queste varie modalità popolare. Si orienta verso il patriarcato, la semplicità e l’autenticità della parlata popolare, rifacendosi alla sperimentazione artistica di Krylov. Questo stile non riguarda solo l’arte, ma anche un modello di vita personale. Questo motivo, ad esempio, lo troviamo nella Figlia del capitano. L’ideale puskiniano della casa e della famiglia esigeva una vita bucolica e unita, ma altrettanto forte era in lui l’aspirazione a vedere sua moglie primeggiare fra le bellezze dei brillanti balli di corte pietroburghesi. Sebbene lei fosse una brava mamma, si buttò a capofitto nella vita mondana: Puskin era molto geloso, la donna era molto corteggiata, tra i corteggiatori troviamo Nicolaj I. A Pietroburgo, Puškin fu costretto ad accettare la carica di corte di Kamer-junker, che per un uomo di trent’anni anni era ridicola, (kammerjunker=sotto ciambellano): doveva portare una livrea che indicava il suo grado nella tabella dei ranghi; questo incarico non gli dava un reddito sufficiente però era l’unico modo per stare nella sfera di corte. Cominciò ad avere grossi problemi; egli non poteva contare su una ricca famiglia e decise di buttarsi nell’attività letteraria come fonte di reddito. Puškin era in grande difficoltà economica. Nel 1833 arrivò a Pietroburgo un barone d’Anthès, figlio adottivo del ministro d’Olanda, barone Heeckeren. Il giovane d’Anthès si innamorò della moglie di Puškin. In Il bottone Puškin indagò su questa situazione. L’artista cominciò a ricevere lettere anonime che parlavano della sua condizione umiliante di vittima di tradimento: d’Anthès sviò le domande di Puškin affermando di essere innamorato della sorella di Natal’ja, Katia, la quale venne fatta sposare a d’Anthès. Le voci sul tradimento aumentarono. La situazione arrivò alla crisi definitiva, quando dopo l’ennesima provocazione, Puškin mandò una lettera sprezzante al barone Heeckeren definendolo mezzano del figlioccio. D’Anthès sfidò a duello Puškin, il quale accettò; prese come suo padrino il colonnello Danzas: il duello venne fissato nel gennaio del 1837 alle quattro del pomeriggio; il poeta venne colpito per primo al fianco, sparò alla mano dell’avversario; Puškin venne portato a casa per la gravità della ferita al fianco ma il chirurgo dello zar disse che non aveva possibilità di sopravvivenza. Il 29 gennaio 1837 Puškin morì (aveva 38 anni). Il corpo di Puškin venne sepolto di nascosto e la sua morte venne sentita come un evento nazionale. Lermontov, un giovane letterato, scrisse una poesia, La morte del poeta, in cui accusava l’alta società di Pietroburgo di aver avvelenato la vita di Puškin spingendolo a una sorta di suicidio attraverso questo duello. Lermontov a causa di questa poesia venne a sua volta esiliato nel Caucaso, poi tornò nella capitale dove divenne famoso, ritornò nel Caucaso dove morì per un duello. A * * * (K * * *) Questa poesia è scritta in giambi: gli accenti cadono sulle sillabe pari. Sono quartine con rima alternata e in russo la clausola (parte finale del verbo) può variare da clausola femminile (9 sillabe), cioè piana, o clausola maschile (8 sillabe), cioè tronca ⟶ aggiungendo una sillaba il verso varia in lunghezza; queste clausole si alternano e quindi anche le rime sono alternate. Sono tetrapodie giambiche (5 quartine); l’accento cade sempre sull’ultima sillaba; la penultima sillaba (penultima posizione del piede) molto spesso non è tonica, cioè accentata. In Puškin si gioca sulla modulazione della melodia e sulla ripetizione dei suoni; è importante il gioco tra i confini di parola, cioè se il fine di parola coincide con il piede o se ha una parte in un piede e una in un altro piede ⟶ Il disegno melodico nella poesia russa è fatto sull’alternanza di sillabe accentate e non ma anche sullo spostarsi dei confini di parola che possono coincidere con lo spezzare il piede. “Tu” fa rima con il genitivo di “bellezza”: questa rima è simbolica e sta a definire il soggetto della poesia. “Istante” e “visione” fanno rima. Tutta la poesia di Puškin è intessuta di questa cesellatura molto raffinata. Nella prima e nell’ultima quartina si ripetono i due versi finali (la clausola finale). Il personaggio femminile è una misteriosa donna, indicata con *** e viene paragonata a un genio di pura bellezza. C’è il ricordo della visione di bellezza, di questa apparizione; sullo sfondo in contrasto c’è la sofferenza dell’io lirico. Nei primi due versi della seconda strofa c’è una ripetizione: si riprende la parola “tu” ma viene inglobata nella parola “vanità” ⟶ il “tu” diventa “bellezza”, “vanità”, “tratti” e poi “sogno ad occhi aperti”: il tema “tu” viene sviluppato in tutte le possibili connotazioni. Si passa dalla percezione visiva (sguardo & visione⟶ 1° quartina) alla percezione uditiva (ascolto ⟶ 2° quartina) ⟶ al poeta risuona la voce (è protagonista della scena ⟶ parallelismo sintattico tra “tu” e “voce”) a lungo (contrapposizione brevità della visione vs prolungarsi del suono della voce della donna). Il poeta vedeva in sogno i cari tratti del volto della donna ⟶ visione - suono - sogno (nel sonno) - sogno ad occhi aperti. Dopo la disperazione c’è l’oblio: il tempo passa e le bufere della vita hanno travolto i sogni ad occhi aperti della gioventù; il tempo fa anche svanire la voce della donna: dimentica la sua voce e anche le sue sembianze ⟶ la quarta quartina è quella dell’oblio, della dimenticanza ⟶ l’oblio causa l’assenza della vita, la disperazione. Nell’oscurità della prigione i giorni del poeta si allungavano (gioco silenzio vs lentamente): Puškin ripete “без” (monosillabo) per 5 volte in 2 versi, per sottolineare il senso della privazione ⟶ la ripetizione provoca l’assenza della comunicazione e nella poesia essa è marcata. Il risultato dell’oblio della visione iniziale, del magico istante, è il buio, il silenzio, la stanchezza, l’assenza di divinità, l’assenza di ispirazione, l’assenza di vita e passione e di amore ⟶ è un climax ascendente (assenza di poesia, amore, vita). Nell’ultima strofa c’è un elemento di risveglio positivo: il risveglio è giunto all’anima (è il protagonista); il poeta è passivo in tutto ciò ed è attiva l’immagine della poesia stessa, della bellezza, che dà vita (solo in 2 parti il poeta si indica con “io”: io ricordo, io ho dimenticato; poi si usano delle forme impersonali); l’anima si risveglia grazie al ritorno di questa visione e quindi la poesia di chiude con lo stesso inizio. La poesia del 1827 è stata inviata clandestinamente da Puskin ai suoi ex-condiscepoli deportati in Siberia ma fu pubblicata postuma soltanto nel 1874. Il tono è completamento diverso: il suono che viene ripetuto 9 volte in 4 versi (‘tr’ e ‘gr’) indica uno sforzo, la difficoltà, la pena della condizione degli amici. Il tono è quasi marziale in quanto vuole infondere determinazione a combattere e a lottare nonostante siano stati schiacciati. La voce raggiunge gli uomini (voi): la rima mette assieme “вас” e “глас”. La parola chiave che sta in contrasto con “catene” (quelle della prigionia) è “libertà” ⟶ si passa dalla schiavitù alla libertà anche nella struttura della poesia. Evgenij Onegin L’Evgenij Onegin accompagna la vita di Puškin dal 1823 al 1831, rappresenta la somma delle esperienze del poeta, una sorta di diario lirico e intellettuale. Questo poema è definito dallo stesso Puškin un “romanzo in versi” (романь вь стихахь) ⟶ Puškin dà una definizione di genere, un sottotitolo all’opera, che rompe le convenzioni. Questo romanzo si inserisce nell’ambito del bildungsroman e del romanzo come passe-partout. L’opera è stata chiamata dai contemporanei “l’enciclopedia della vita russa” (Belskij): ci sono tutti gli aspetti della società dell’epoca. Troviamo una trama alquanto banale, ma la particolarità non sta in questo. La critica storico-biografica ha trovato delle similitudini tra l’autore dell’opera e il protagonista: atteggiamenti, idiosincrasie, vizi e ideali. Il protagonista sostanzialmente riflette i caratteri tipici dell’epoca, proprio quelli che il suo creatore condivideva. Oltre ad aver vissuto nel medesimo momento sono figli dello stesso gruppo sociale e culturale. In questo poema Puškin raggiunge una nuova espressione, vanifica le etichette del romanticismo e del classicismo e le fonde nell’autentico realismo poetico. L’idea dell’Onegin nasce in Crimea, dopo aver letto Il Don Giovanni di Byron. La maggior parte del poema viene scritto a Michailovskoe. Trama: Onegin è un giovane ricco, un dandy piuttosto egocentrico e molto coccolato dagli ambienti nobili di Pietroburgo. Deve vivere per qualche tempo in campagna, dove fa amicizia con un giovane poeta, Lenskij, che ha invece un animo puro e idealista. I due frequentano la casa della famiglia Larin: Lenskij si fidanza presto con una delle due figlie, Ol’ga, mentre l’altra, Tat’jana, si innamora di Onegin e glielo confessa in una lunga lettera che è uno dei momenti più alti del poema. Onegin respinge Tat’jana e corteggia, per noia e per fare un dispetto a Lenskij, Ol’ga, scatenando la rabbia dell’amico poeta, che lo sfida a duello. Onegin e Lenskij si battono e quest’ultimo rimane ucciso. Alcuni anni dopo Onegin incontra a Mosca Tat’jana, che nel frattempo è andata in sposa a un generale per volere della madre. Stavolta le parti si ribaltano; Onegin, dopo un lungo viaggio di cui non si racconta niente, si rende conto di amare Tat’jana, la quale è ormai diventata una dama della società, e la corteggia, ma lei, pur amandolo ancora, lo rifiuta per fedeltà al marito. Ci sono molte divagazioni del narratore nonostante la voce principale sia quella del protagonista, Onegin: il narratore diventa un vero e proprio personaggio e dai suoi commenti si apprende molto sui costumi della società russa. C’è un’impressionante capacità di narrare e di inserire personaggi e situazioni in capitoli che danno un quadro completo della Russia dell’epoca (tutto è legato da un sottofondo fabulistico). L’opera è ambientata negli anni che vanno dal 1819 al 1825: sono gli anni della fine del regno di Aleksandr I, anni che vedono una disillusione delle speranze dei giovani che avevamo conosciuto il pensiero rivoluzionario e che erano anche stati nell’esercito che aveva sconfitto Napoleone e che aveva conquistato Parigi. Evgenij è un uomo affetto da uno spleen (хандра), una condizione spirituale basata sul disinteresse e sul grigiore della vita ⟶ condizione esistenziale di incapacità di provare passione e interesse. Nel primo capitolo Puškin presenta il protagonista. Evgenij Onegin è un personaggio che ricompare spesso in altre opere (es. Il cavaliere di bronzo). Evgenij è letteralmente “ben nato”, cioè nobile, però ha smarrito il suo interesse per la vita; vengono descritte le sue attività nella capitale che però gli danno sazietà e quindi nausea. Dalla città si sposta in campagna, condizione che riporta alla Bednaja Liza di Čulkov. La famiglia Larin è formata da sole donne (modello famigliare che ricorda sempre Bednaja Liza): Ol’ga e Tat’jana sono le due figlie della madre e sono anche loro indifese nonostante abbiano una posizione di nobildonne e proprietarie terriere; Ol’ga è una bellezza convenzionale; Lenskij, il giovane poeta romantico, si innamora di una bellezza tipica. Onegin, di cui il narratore dice che non capiva della poesia, capisce però che se Lenskij fosse davvero poeta sarebbe interessato a Tat’jana, che è un personaggio più complesso. Il terzo capitolo è dedicato a Tat’jana, la quale è triste e silenziosa come Svetlana (questo romanzo è pieno di rimandi intertestuali a opere famose all’epoca e appartenenti alla tradizione letteraria ⟶ con Svetlana, Puškin si rifà a Žukovskij: Svetlana è l’elemento di passaggio tra romanticismo e preromanticismo). La “stupida luna” e lo “stupido cielo” sono elementi fondamentali nell’estetica preromantica. Tat’jana si innamora di Onegin come si innamoravano le eroine settecentesche dei romanzi che ella stessa leggeva. Tat’jana come personaggio letterario (letteratura settecentesca, personaggio démodé, costruzione di una vita come quella della letteratura) > Tat’jana vede la proiezione letteraria di Onegin e si innamora di questa. Ricorre a un gesto inappropriato nella tradizione russa: prende la parola e scrive una lettera ⟶ infrange l’etichetta esprimendo il suo sentimento e la volontà di realizzarlo. In questo si nota un’uscita dal modello di donna tipico del ‘700 e dell’’800 (≠ Liza) ⟶ la lettera è espressione spontanea del suo sentimento nei confronti di Onegin e costituisce uno degli elementi della simmetria del romanzo in versi. Tutto il romanzo in versi è costruito in stanze/strofe che hanno una struttura molto rigida: strofa oneginiana ⟶ strofa di 14 versi (con ripresa della struttura del sonetto); la struttura del sonetto viene ripresa infrangendo una norma del poema narrativo più tipico secondo cui la strofa era composta da 10 versi. Sono tre quartine seguite da un distico; ciascuna quartina ha un disegno di rime fisso: la prima alternata, la seconda baciata, la terza alternata, il distico baciata ⟶ questa misura corrisponde ai paragrafi della narrazione: permette di svolgere un punto della narrazione in modo completo. Questo dà un senso di continuità e svolgimento. La lettera di Tat’jana invece non è organizzata in strofa ma è libera: questo perché è uno svolgimento libero del pensiero di Tat’jana (qui espone la sua anima). La nobildonna/fanciulla non poteva essere rovinata prima di sposarsi, e allora la convenzione sociale permetteva e approvava che un giovane nobile facesse conquiste tra donne sposate. Quando Onegin incontra Tat’jana e le fa la predica (propoved’) su questo suo atteggiamento, lo fa perché Tat’jana non ha seguito le norme sociali e ne avrebbe pagato le conseguenze. Dopo che ella è diventata una dama, egli a sua volta le fa la proposta per intrecciare un rapporto amoroso (ottavo e ultimo capitolo). Anche la lettera di Onegin a Tat’jana non segue la strofa oneginiana ⟶ entrambi escono dalla struttura su cui è fondato tutto il romanzo. C’è un sistema di personaggi a coppie: • Onegin & Lenskij: sono i due giovin signori di città e campagna; Onegin affetto da chandra, Lenskij ingenuo e sprovveduto, autore di una poesia stereotipata e romantica; l’uno l’opposto dell’altro. Inizialmente fanno un’amicizia che si incrina sin dall’inizio a causa di scortesie; il conflitto culmina nel quinto capitolo in cui Onegin corteggia Ol’ga e suscita la rabbia di Lenskij che poi lo sfida a duello; questa vicenda precorre la vicenda di Puškin stesso (il dramma che porta alla fine della vita di Puškin: gelosia e amore adulterino); • Ol’ga & Tat’jana: sono due parti della stessa medaglia; Ol’ga è una bellezza scontata e convenzionale, una bellezza appariscente in quanto rotonda e bionda ⟶ bellezza diurna, solare; Tat’jana è una bellezza difficile, più misteriosa ⟶ bellezza notturna, lunare; Ol’ga dopo la morte di Lenskij si sposa con un altro uomo; Tat’jana e Onegin rimangono soli a loro modo; La storia di Pugačëv e La figlia del capitano, opere di Puskin che creano una sorta di distico, si integrano a vicenda: il secondo contiene continui rimandi impliciti al primo, molto più didascalico ed informativo. La figlia del capitano non ha un valore storiografico: in esso, la Storia è un personaggio come gli altri, solo più potente e impersonale, complesso e corale, capace di travolgere e dirigere i destini individuali dei protagonisti. Il libro è stato impostato inserendo il romanzo in un periodo storico realmente accaduto nel 1700 in Russia. La povera gente e i contadini sono accomunati dagli stessi problemi: le sofferenze e precarie condizioni di vita scatenano drammatiche sommosse; in quel periodo ci furono molte ribellioni: infatti i cosacchi, presi dalle furie di saccheggiare le fortezze dei nobili, rubano e uccidono, perdendo il controllo di sé stessi e diventano, così, più simili alle bestie e meno agli umani. Il romanzo è di vita drammatica e ci sono pochissimi momenti di vita tranquilla. Il narratore, protagonista, a volte interviene rivolgendosi al lettore. L’autore mette in rilievo la notevole e comune rassegnazione tra poveri e ricchi, nella preghiera, lasciando che sia Dio a decidere la sorte dei personaggi, per cui il bene vince sul male. Nel romanzo emergono vicende di odio e amore, povertà e ricchezza. Su questa terra dominata dalla violenza, anche i più squallidi e temuti personaggi come lo squilibrato Pugacëv forse non sono poi così negativi, irriconoscenti e incapaci di amare il prossimo. La fede in Dio fornisce all’uomo la forza per affrontare il male e il peccato. La ricerca della libertà è probabilmente uno degli elementi più significativi del romanzo: infatti l’autore mette a dura prova i protagonisti nel realizzare le loro scelte, superando ogni tipo di ostacolo, facendo apparire alcuni dei suoi personaggi come degli eroi. L’opera va contestualizzata nell’epoca della grande Caterina II, imperatrice di tutte le Russie, che dichiarò a parole di ispirarsi ai principi dell’Illuminismo. Nel 1767 la zarina convocò una Commissione per la riforma dello stato. Le riforme relativamente alla condizione delle masse contadine erano urgenti e questo fu dimostrato da un’imponente rivolta che fra il 1773 e il 1774 sconvolse le regioni meridionali dell’impero russo. Il cosacco Pugacëv, spacciandosi per lo zar Pietro III, raccolse un esercito con grande successo iniziale, ma successivamente le bande contadine da lui capeggiate non poterono reggere alla controffensiva dell’esercito regolare; Pugacëv, sconfitto e fatto prigioniero, fu trasportato a Mosca ed ivi pubblicamente giustiziato. • Il protagonista del racconto è Andrej Petrovič, il narratore interno; egli riporta in prima persona gli avvenimenti della narrazione; è destinato ad una fortezza degli Urali, assalita da un’orda di cosacchi ribelli guidati dal rivoluzionario Pugacëv. Andrej viene accusato di tradimento, ma da ultimo riesce a dimostrare la sua innocenza; • Maša, la figlia del capitano Kuzmič, ucciso da Pugacëv, innamorata di Andrej, ha un carattere forte e maturo, tanto da farne l’eroina del romanzo; • Pugacëv è un rivoluzionario temuto per la sua scelleratezza, ma non così irriconoscente verso il suo prossimo. In realtà, Pugacëv fu un organizzatore di rivolte contadine in Ucraina, il quale si trasferì nel 1773 nella regione del Volga. Egli guidò la regione dei cosacchi contro Caterina II, che aveva deciso di abolire il loro status autonomo, sconfisse ripetutamente le truppe russe conquistando Orenburg e Kazan; • Švabrin è un ufficiale e in seguito traditore dell’imperatrice, anch’egli innamorato di Maša, che cerca sempre di ostacolare il rapporto tra Andrej e Maša. Più tardi viene arrestato per essere stato “complice” di Pugacëv nella rivolta. A prima vista, la storia di Andrej sembra un elogio dello status quo, un'esaltazione della triade tradizionale di Dio-Patria-Re. La morale della storia si raggrumerebbe quindi nell'uccisione del ribellioso Pugačëv e del ruolo salvifico della zarina Caterina che, in chiusura del romanzo, aiuta i protagonisti a conseguire il lieto fine nonostante mille avversità. Puškin simpatizzava con i ribelli, fraternizzava con illuministi e decabristi, presentava Pugačëv non come un eroe ma neppure come un usurpatore, ce ne restituiva un'immagine molto umana ed evidentemente simpatica. Quindi, sia Pugačëv che Caterina ricoprono il ruolo di aiutanti dei protagonisti; sono entrambi simpatici e amichevoli, utili e benigni, ma solo fintanto che si presentano al lettore e agli altri personaggi sotto mentite spoglie, liberi dai loro incarichi istituzionali. Ogni potere è destinato ad una deriva istituzionale che finirà con l'alterarne la natura eventualmente benigna. Racconti del defunto Ivan Belkin I Racconti del defunto Ivan Belkin furono composti nel 1830, durante una grave epidemia di colera. È un ciclo di cinque novelle, collegate tra loro da una cornice narrativa. Le novelle sono attribuite, secondo quanto scritto nella cornice, al defunto Ivan Belkin, un giovane uomo di provincia morto molto preso per un’infreddatura. Egli morì a 30 anni: questa è un’età che ha forti richiami biblici e letterari. Egli presenta tratti caratteriali diametralmente opposti a Puskin. I racconti presentano diverse tematiche della narrativa del tempo: l’aneddoto militare ne Lo sparo, il racconto fantastico ne Il fabbricante di bare e La tempesta di neve, il racconto sentimentale ne La signorina-contadina e Il Mastro delle poste. I racconti vennero composti secondo un ordine che è diverso da quello in cui sono presentate nella raccolta. Nella cornice c’è una nota dell’editore A. P. che include Puškin stesso, in cui si afferma che Belkin ha scelto degli eventi straordinari, sentiti da altre persone, arricchiti poi da lui stesso con la propria immaginazione; egli, dunque, ha raccolto i suoi racconti da più fonti. Nella cornice vengono menzionati i due narratori esterni: l’editore e il vicino. Il defunto Ivan ha lasciato un certo numero di manoscritti, ritrovati e conservati dal vicino, mentre altri sono stati usati per usi domestici, come sigillare porte e finestre durante l’inverno. Il vicino afferma anche che i racconti narrati sono per lo più veritieri, che i nomi dei personaggi sono invece fittizi, e che i suoi apporti sono dovuti a una scarsa immaginazione. Questo aspirante scrittore è quindi un uomo qualunque che non si distingue nella folla. Il vicino ne dà anche una descrizione fisica, che risulta abbastanza insignificante. Sia nella cornice che all’inizio dei vari racconti Puskin ha inserito delle epigrafi. • La tempesta di neve (Metel’) Metel’ è il secondo racconto e riprende il tema della tempesta di neve come metafora del caos degli elementi e anche della rivolta popolare (lo ritroviamo anche ne La figlia del capitano). L’epigrafe è tratta dalla ballata di Žukovskij, Svetlana, a sua volta una rielaborazione. Il richiamo alla ballata con i suoi elementi di mistero, atmosfera lugubre, e tragicità è significativo e anticipatore: anche lo spunto della tempesta di neve è ripreso dalla ballata di Žukovskij e citato esplicitamente nell’epigrafe. La vicenda però si risolve positivamente e tradisce quindi le aspettative del lettore. Qui compare il toponimo Nenaradovo, già presentato nell’introduzione in quanto villaggio del vicino del defunto Belkin. Il narratore è extradiegetico cioè esterno all’azione. Il modello è quello del romanzo sentimentale: due innamorati il cui amore è contrastato decidono di fuggire per sposarsi in segreto e vincere così la resistenza delle loro famiglie. Tuttavia, si alza una tempesta di neve e il giovane si perde, mentre la sorte della fanciulla resta sconosciuta fino alla rivelazione finale. Quando finalmente il giovane giunge alla chiesa, in grande ritardo, “quale notizia lo attendeva!”, e qui il narratore improvvisamente sposta l’obiettivo sul villaggio di Nenaradovo senza dare ulteriori spiegazioni e lasciando il lettore nell’incertezza e nella curiosità. Mar’ja Gavrilovna era tornata a casa e nessuno si è accorto di nulla, cade poi malata, e nel delirio rivela il suo amore per Vladimir, il quale, però, alla notizia che i genitori della sua amata acconsentono alle nozze, reagisce in modo strano fuggendo e arruolandosi nell’esercito e restando ferito a Borodino (nota la collocazione storico-temporale nel glorioso 1812). Passa il tempo, riprende la vita di sempre, Mar’ja è ormai una ricca ereditiera in quanto le muore il padre, le fanno la corte in molti, e giunge un giovane ufficiale ferito con una croce di San Giorgio, Burmin, il quale ancora una volta ha tutte le caratteristiche del giovane misterioso e malinconico che suscita la curiosità e l’ammirazione delle fanciulle. Mar’ja è un’autentica eroina da romanzo sentimentale, sia come educazione, ricevuta appunto leggendo romanzi francesi, sia per come si atteggia e si veste. Burmin le confessa di essere innamorato di lei, ma di non poterla sposare perché è già sposato, ma non sa con chi, e racconta (e qui subentra il narratore di secondo grado in questo racconto) una strana vicenda di come una notte durante una tormenta si fosse trovato in una chiesa e il prete in tutta fretta lo avesse sposato ad una sconosciuta che dopo averlo visto in volto grida “non è lui, non è lui!” e sviene. Dopo questo fatto egli abbandona precipitosamente la chiesa. Tutto l’episodio è avvolto nel mistero, egli non sa il nome del villaggio, il nome della fanciulla e nemmeno perché abbia deciso di sposarla, se non per una beffa “ora crudelmente vendicata”. Ma il mistero è presto chiarito: Mar’ja esclama “allora eravate voi! E non mi riconoscete?” Si tratta sostanzialmente di una scena di agnizione che chiude con un colpo di scena il racconto, svelando tutto il mistero e il pathos. Il lettore però può restare incerto su come interpretare l’esclamazione di Mar’ja: sollievo e gioia nello scoprire che nulla ostacola il suo amore, o ira al pensiero che il suo destino sia stato condizionato da un gesto così insensato e stupido? • Il fabbricante di bare (Grobovščik) Il terzo racconto si apre con un’epigrafe tratta da Vodopad di Deržavin, dedicata al tema della morte. Il modello letterario è quello del racconto fantastico, ma anche leggermente parodico. Belkin ascoltò questa novella dall'amministratore B. V., che non è fra i protagonisti del racconto stesso. Adriàn Próchorov è un fabbricante di bare moscovita che si è appena trasferito, assieme alle due figlie Akulìna e Dàr'ja e alla domestica Aksìn'ja. Próchorov, a differenza di altri becchini shakespeariani o scottiani, non è un uomo allegro e scherzoso, ma ha un carattere che corrisponde perfettamente al suo lugubre mestiere: è cupo, sempre pensieroso, scontroso e dispotico con le figlie e con la governante. Dopo essersi stabilito nella sua nuova residenza, in cui si vendono e riparano bare, Gottlieb Schulz, il calzolaio tedesco vicino di casa, lo invita a festeggiare l'indomani le sue nozze d'argento con la quarantenne Luisa. Alla festa ci sono soprattutto artigiani tedeschi; è presente anche la guardia municipale russa Jurko. I convitati bevono molto e i brindisi si susseguono copiosamente, in onore di tutti gli invitati. A un tratto uno degli ospiti propone che ciascuno dei presenti s'inchini a coloro per i quali lavora: la proposta viene accolta con grande entusiasmo. Ad Adriàn viene urlato da Jurko di brindare alla salute dei suoi morti. Tra le fragorose risate generali, Adriàn si offende profondamente. Nessuno se ne avvede e alla fine della festa, tornato a casa ancora arrabbiato e ubriaco, si pente dell'invito che aveva avuto in animo di ricambiare per festeggiare la nuova casa. Dichiara di voler invece invitare per l'indomani i morti, perché il suo lavoro non ha una minor dignità rispetto agli altri. Addormentatosi, Adriàn sogna la festa a casa, tutta popolata da scheletri, che in seguito a uno screzio lo insultano e lo minacciano. Risvegliatosi e realizzato con suo grande sollievo che si è trattato solo di un sogno, ordina immediatamente un tè e che si presentino le figlie. Il narratore è extra-diegetico e onnisciente. Pikovaja Dama – La donna di picche Il Pikovaja Dama fu scritto nel 1833 e poi pubblicato nel 1834, all’interno di una raccolta di racconti. La versione finale del suo manoscritto non è mai stata ritrovata; tuttavia, quella pubblicata nel 1834 riscosse immediatamente un gran successo, probabilmente grazie alla trama particolarissima. 1. Germann è un modesto ufficiale di genio affascinato dal gioco d’azzardo, ma da cui non si lascia coinvolgere in prima persona, in quanto non è in condizione di sacrificare il necessario nella speranza di acquistare il superfluo. Il suo ragionamento rivela un temperamento rigorosamente razionale che reputa degno di dedizione solo ciò che ha un’utilità sicura. Ma, durante una delle tante partite che segue da spettatore, il suo amico e compagno d’armi, Tomskij, racconta la storia della sua anziana nonna, una baronessa ultra ottuagenaria che sessant’anni prima a Parigi, dopo aver perso un’ingente somma che il marito, da sempre succube della moglie, si era rifiutato di saldare, si era rivolta disperata a un Conte di Saint Germain, dedito all’occultismo e alla magia, il quale le aveva rivelato una sequenza di tre carte sempre vincenti: il tre, il sette e l’asso. La contessa seguì il consiglio del conte e si rifece delle perdite a Versailles. Da allora, nonostante le insistenze di parenti e amici, solo in un’occasione la nobildonna rivelò la magica sequenza, a patto che il beneficiario, una volta saldati i debiti di gioco, non toccasse più le carte per il resto della sua vita
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