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Storia di Pompei: Dalle origini alla fine del II secolo a.C. - Prof. Sacchi, Appunti di Archeologia

Una panoramica della storia di pompei, dalla sua fondazione nel vi secolo a.c. Fino alla fine del ii secolo a.c. Vengono descritti gli insediamenti, le mura, le strutture abitative, le arti, le decorazioni e i cambiamenti epocali che hanno caratterizzato la città. Il documento illustra anche la presenza di popolazioni etrusche, greche e locali, la costruzione di templi, il commercio e la trasformazione della piazza principale della città.

Tipologia: Appunti

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Scarica Storia di Pompei: Dalle origini alla fine del II secolo a.C. - Prof. Sacchi e più Appunti in PDF di Archeologia solo su Docsity! 22-02-22 CORSO MONOGRAFICO – POMPEI Massimo Osanna pubblica Pompei ritrovata: insieme di sensazioni ed emozioni date e sviluppate dall’incontro con una natura intrisa di storia. Pompei e il Vesuvio sono stati tra loro sempre fortemente interconnessi. Pompei è stato qualcosa di estraneo al mondo moderno e al contempo qualcosa di prossimo, fin dal 700: cogliamo la vita di uomini di tanti secoli fa, che non è molto differente dalla nostra per molti aspetti. Il fascino è dovuto al fatto che consente di scavalcare i secoli e ci offre un’illusione dell’interruzione del fluire del tempo, con le sue declinazioni storiche. Continua a restituire oggetti, edifici ecc. e permette di poterci confrontare con la quotidianità di tanto tempo fa. I cibi di strada, i gioielli, il gusto per i giardini. Le Corbusier ha percepito nelle case pompeiane con giardino un modello mediterraneo da imitare ancora. La presenza di fontane e fognatura avvicina la città antica alla nostra vita moderna. Rapporto con una cultura materiale richiama ancora la nostra società moderna. La città è sempre alla ribalta, da un lato per degli scandali (crolli, degrado), dall’altro perché è un laboratorio di archeologia, ci sono anche restauratori e architetti. Per la prima volta in questi ultimi anni si è pensato anche a far ricerca. Ebbe una lunghissima vita, nasce nel VII secolo a.C., prima che i Romani arrivino in Campania, poi rimane fisso il 79 d.C. È attuale anche per altre ragioni: è uno dei pochi casi in cui l’archeologia può indagare un ambito urbano, una città nel suo insieme. Spesso gli scavi archeologici hanno indagato solo piccole porzioni di città. Ad esempio, Efeso è stata scavata solo in parte. Edifici pubblici, case private, luoghi di culto, aree sepolcrali. Non dobbiamo però esaltare troppo questa cittadina, perché rimane una cittadina ricca ma provinciale e piccola. Scavi in estensione: non si limitano a piccoli settori. In più, Pompei è rimasta congelata al momento dell’eruzione. Ci sono degli aspetti positivi: coloro che fuggivano hanno abbandonato tutto quello che non potevano portare con sé; quindi, possiamo conoscere dove fossero utilizzati gli oggetti, letti in legno o avorio, parti di tessuto o cuoio, materiali deperibili. Parleremo in maniera esaustiva di una città antica, e il lusso dell’abitare. Pompei è stata dal 700 in poi un grande laboratorio per gli artisti moderni e contemporanei. Con la scoperta degli affreschi, si viene a conoscere la pittura parietale romana. Innesca nel 700 il fenomeno di ripresa di modelli antichi per produrre la nuova arte, Neoclassicismo. Ancora oggi, ospita mostre: Mitoraj. A Modena nel 2020 è stata fatta una mostra fotografica: prendere alcune immagini a Pompei per trasmettere il suo ideale di arte. Articolo su Vanity Fair: manuale di vita e di morte. Espressioni di vita della comunità locale che rimangono in tante cose, nei negozi, nei graffiti, nei termopolia. Incontro con la morte: calchi dei pompeiani. Info generali sulla slide. È un patrimonio fragile che ha bisogno costantemente di manutenzione. 3 milioni di visitatori all’anno, 2016. Attrattiva turistica fortissima, ma la gran quantità di turisti porta con sé un degrado, ha un impatto fortissimo sulla conservazione della città. Deterioramento delle strutture. Lo Stato Italiano ha riconsiderato in maniera diversa la questione delle città vesuviane. Le sovrintendenze regionali si occupano dei beni archeologici, hanno problemi di finanziamento. Pompei richiede un’attenzione del tutto particolare. Creare una soprintendenza ad hoc per le città vesuviane. 1981. 1997. 2007. 2008. 2014. Vedi slides. La città di Pompei è ricca di giardini, e anche questi hanno bisogno di essere mantenuti. Connubio tra resti antichi e verde, e anche la gestione ottimale del verde. Impegno finanziario enorme. Dal 700 divenne subito meta del Gran Tour. Tra gli illustri visitatori, Winckelmann e Goethe, che riporta una sua impressione su Pompei. La costruzione di una residenza Borbone porta alla scoperta di Ercolano e poi Pompei. Sullo sfondo del dipinto c’è il Vesuvio. Spon: gli oggetti antichi non sono altro che libri. Sensibilità verso gli oggetti materiali, anche quotidiani, non solo oggetti esotici e particolari. Anche l’oggetto più banale ha un significato storico e archeologico. Agli inizi del 700 cominciano ad apparire i primi trattati che illustrano i monumenti antichi. Tra XV e metà XVIII i monumenti antichi erano sempre quelli, con Pompei ed Ercolano si immettono nuovi monumenti. Bernard de Mountfaucon scrive L’antichità spiegata per immagini, che tenta di classificare per ambiti e tematiche i monumenti antichi, superando la visione del mondo antico come blocco unitario. Le categorie sono nella slide: divinità greche romane, miti, feste, sacerdozi, istituzioni e strutture private, usanze militari, usi sepolcrali. Conte di Caylus: grande viaggiatore, nelle regioni dove non era potuto andare aveva dei contatti locali. Considera l’archeologia come una scienza, e non come passatempo. L’archeologo è come il fisico, ha la necessità di confrontare e sperimentare. Rispetto al fisico, l’archeologo ha difficoltà maggiori nel reperire gli oggetti di studio. Non si occupa di oggetti belli, prestigiosi, ma umili oggetti. Guarda all’oggetto antico come una testimonianza della tecnica che l’ha prodotto. Poi, Winckelmann, griglia cronologica: Storia delle arti e del disegno presso gli antichi, 1765. Scoperta di Ercolano nel 1738, Pompei nel 1748. Antichità e retorica: archeologia manipolata a fini politici. La ripresa nostalgica del passato non è vincolata al Neoclassicismo. Nel 1711, d’Elboeuf, scoperte casuali nello scavo di un pozzo: rinvengono sculture che fanno parte dell’arredo del teatro di Ercolano. Due figure femminili ammantane, piccola e grande Ercolanese, acquistate dal re di Polonia. Scoperte anche iscrizioni che parlano della città di Ercolano. Il re Carlo di Borbone costruisce nel sito di Portici, che confinava con Resina, una grande reggia. 1738. Carlo dà avvio agli scavi in concomitanza con i lavori per la sua reggia, che nasce per esporre i resti. Per la prima volta un sovrano decide di finanziare uno scavo su vasta scala. Carlo Borbone si vuole proporre come un sovrano illuminato, nei confronti degli altri sovrani europei. Si affida al colonnello Alcubierre, ingegnere minerario e militare. Fa una serie di gallerie sotterranee orizzontali, come i minatori. Realizzate da operai ergastolani condannati ai lavori forzati. Vengono individuati altri monumenti pubblici, spogliati da statue, iscrizioni e pitture parietali. Villa dei Papiri e altre case private. Carlo utilizza gli scavi come autopromozione sul piano politico. Costituisce un museo nella reggia di Portici, non aperto al pubblico, ma destinato solo ai nobili e agli ambasciatori. Promuove un’editoria scientifico archeologica degli scavi, in cui illustrare i reperti più importanti. Anche le pubblicazioni non sono destinate al vasto pubblico. Si presenta come Nuovo Ercole o Nuovo Alessandro, instaurator artis. Nell’angolo in basso si vedono tromba di guerra e corazza (meriti militari), dall’altra parte piccone ecc. (meriti culturali). La reggia di Portici oggi nella foto. Soprattutto le pitture parietali romane staccate ed esposte nel museo. Vedi slide. Considera i reperti come deliciae principis, oggetti quasi personali del principe, è gelosissimo dei reperti. Concetto molto diverso dal museo moderno. Tutto finalizzato alla promozione del re Borbone nel resto di Europa. 24-02-22 Inizialmente, si realizzava un pozzo profondo e poi si procedeva con la realizzazione di gallerie, poi la terra scavata era usata per riempire le gallerie successive. Alcubierre, nel realizzare tutti i cunicoli, non si preoccupa di metterli in pianta, cioè senza nessun tipo di documentazione: nelle successive indagini si correva il pericolo di scavare di nuovo gallerie già aperte. Quando incontravano un muro o parete di edificio antico, la bucavano per entrare nell’ambiente e recuperare i materiali di maggiore interesse: operazione deleteria per le vestigia antiche. Sollevò critiche da parte della intellighenzia europea, in particolare Winckelmann. Non operarono più sfondamento di pareti, ma seguire il perimetrale fino a individuare la porta o la finestra da cui entrare. La prima stagione degli scavi è guidata da Alcubierre. Winckelmann indirizza una lettera a un conte tedesco, in cui ironizza sulle competenze di Alcubierre, che ha tanti rapporti con l’archeologia come la luna con i gamberi. Quando trovavano oggetti particolarmente preziosi e importanti, procedevano così: se si riusciva a portare in superficie gli oggetti d’arte senza danneggiarli troppo, lucidavano la crosta verde del bronzo per arrivare alla superficie lucente, snaturando la patina di antichità. Se trovavano delle sculture in bronzo Le pitture prima sono sopravvalutate, poi si arriva a un giudizio molto più tiepido: almeno nella pittura, l’antico non aveva nulla da insegnare ai moderni. Però, livelli sublimi aveva raggiunto la statuaria. Le pitture di Portici scendono dal piedistallo iniziale. Comincia a entrare nella mentalità moderna che le pitture erano destinate a case private o a monumenti pubblici di città periferiche. La committenza non poteva rivolgersi ai grandi artisti. Arte pittorica di medio livello che non poteva competere con Roma ecc. I soggetti influenzarono tantissimo, tanto che i costumi vennero copiati nella vita privata. Ritratto di Lord Hamilton, ambasciatore inglese alla corte borbonica: la moglie Emma si fa raffigurare come Baccante, al centro. Immagini svolazzanti su fondi neutri, ispirata dalla casa di Cicerone a Pompei. Questi soggetti ebbero tanta risonanza nella cultura europea. Altro genere pittorico che influenzò sono le raffigurazioni delle nature morte: frutta, animali, che si pensava essere soggetto inventato nella pittura olandese del 600. Sale alla ribalta il gusto delle decorazioni antiche, minori. Nella reggia di Portici affluiscono grandi quantità di pitture e si espongono secondo criteri specifici. Nelle sale immediatamente dopo l’ingresso, nature morte, poi alla fine le grandi megalografie. Ordinamento di tipo tipologico, basato sui soggetti rappresentati. 177. Tra gli oggetti rinvenuti ad Ercolano, alcuni sono selezionati dai Borbone per le loro collezioni private. Caso delle Monocromi su marmo: artisti di capacità più elevata, bellissimi, nelle stanze private della regina. Anche le pavimentazioni antiche subiscono sorte analoga alle pitture: il pavimento veniva tolto e messo come pavimento nella reggia di Portici nelle sale. Un problema che si pone è il fatto che si trova con superfici molto ampie. E bisogna avere spazi adeguati. Alcuni pavimenti musivi subiscono sorte diversa. Decorazioni raffinate, allora diventano quadri essi stessi. Lo si fa nel caso dei cosiddetti emblemata: la parte centrale del pavimento poteva ospitare rappresentazione sofisticata. C’erano maestranze normali che mettevano in posa la parte normale, la parte centrale era lavorata in botteghe apposite, realizzate da artisti famosi, spesso greci, spesso si firmavano. Erano lavorati in Grecia e poi spediti, o lavorati già in Italia. Quadretti di Plauto: Winckelmann riconosce l’altissima qualità, e anche il loro stato di conservazione era ottimo. Mancavano solo poche pietre nella parte centrale, ma non osano colmare le lacune. Ci si mette un cristallo per conservarlo meglio. L’autore è Dioscurides di Samo, attivo tra il II a.C. e il I a.C. La villa era stata costruita a metà del I a.C. quindi convivono oggetti di periodi diversi, secondo un gusto per l’antiquariato. Winckelmann dice che i mosaici sono belli, ma non arrivano alla qualità delle colombe del defunto cardinal Furietti: mosaico sulla slide, da Villa Adriana. Questo mosaico fin dal momento della scoperta è messo in relazione con una descrizione che fa Plinio di un mosaico famosissimo di Sosos di Pergamo. Ci mette di fronte a questa attenzione per le opere di arte antica. Alcuni studiosi ritengono che il mosaico sia un acquisto del mercato antiquario e acquistato da Adriano a Pergamo. Commercio di opere d’arte antiquarie degne di essere esposte nelle proprie abitazioni per la loro bellezza. La città di Pompei arcaica, VI secolo Geografia: area dominata dal Vesuvio, sempre ricordato insieme alla ricchezza dei campi coltivati nelle fonti antiche. Strabone, di età augustea, si rifà a fonti del II a.C., riferisce che la città di Pompei aveva una vocazione fondamentalmente mercantile, perché controllava col porto il movimento delle derrate agricole con il fiume Sarno. Venivano da Nola, Acerra e Nocera. In rosso, la zona di antica Pompei. Oggi non è vicina al mare, in epoca antica la linea di costa era arretrata, poi eruzione che crea una pianura. La stessa città di Pompei viene costruita sui resti di una precedente eruzione del Vesuvio, che aveva creato una collina di tufo, promontorio nelle vicinanze del mare. In età antica era come nella slide, in nero: lambita a est dal fiume Sarno, non lontano da una zona paludosa marina. L’aspetto di Pompei come centro commerciale non lo cogliamo tanto oggi perché gli scavi hanno interessato soprattutto il promontorio, mentre nel banco tufaceo hanno trovato scali ecc. L’importanza commerciale non caratterizza da subito l’insediamento: ai primordi è uno dei tanti centri della Campania che sfrutta il territorio. Nel IX secolo a.C., l’insediamento preferisce zone arretrate rispetto alla costa: si datano i centri in blu, Striano, San Valentino Torio, San Marzano. Insediamenti che si distribuiscono quasi a ventaglio nella parte più alta del bacino del fiume Sarno. La costa veniva avvertita come pericolosa. Erano nuclei autosufficienti con pochissimi oggetti che lasciano presupporre contatti esterni limitati. Tra IX e VIII secolo, si hanno le prime avvisaglie di genti etrusche, e in particolare nell’area di Pontecagnano. Gli Etruschi creano un’area di influenza etrusca, tra Capua e il fiume Sele. Gli scrittori greci e romani parlano di 12 città etrusche e dell’origine dell’occupazione etrusca di Capua, poi anche Nola, Nocera e Pompei forse. Pompei, quindi, non è una città romana. È un settore particolare: anche popolazioni indigene, chiamate variamente Ausonii, Opici, Osci, Sanniti, Campani. Nell’VIII a.C., si nota che nei corredi funerari appaiono oggetti che segnalano formazione di personaggi eminenti, emergono figure di signori locali potenti. Tra i materiali troviamo oggetti legati all’attività militare o tessitura della lana per le donne. Nel corso dell’VIII arrivano pure i Greci, che frequentano la zona da almeno 25 anni prima della fondazione della città di Cuma, fondata nel 750 a.C. Le popolazioni greche si insediano a Ischia, nel 775: scavata una necropoli di questo periodo. Tombe con tradizione di sepoltura e oggetti diversificati: cultura greca, etrusca, fenicia. Nell’VIII secolo il territorio campano attrae popolazioni varie che creano una comunità mista. L’isola di Ischia è più vicina ai grandi bacini metalliferi, appetibili. Solo 25 anni dopo si fonda Cuma, che segna l’interesse dei greci in questo ambito. 03-03-22 Nel VII secolo a.C., la presenza greca si intensifica con la fondazione di Partenope, e intorno al 600 sono fondate la città di Poseidonia, cioè Paestum, e nel 535 la città di Veglia. Sono a sud della penisola sorrentina. Presenza greca sostanzialmente lungo le coste. Le città greche sono formate da popolazioni che giungono dalle differenti città della Grecia che creano questi centri in cui gli abitanti si riconoscono come appartenenti alle città di fondazione. Si riconoscono come parte della comunità nuova. Popolazioni greche eterogenee. Coloro che abitavano da tempo il territorio, cioè gli indigeni, in questo momento storico si trovano ad avere a che fare con popolazioni alloctone, con cui devono interagire. In questo clima culturale particolare, nel VI secolo a.C., nasce l’insediamento di Pompei. Chi fonda l’insediamento di Pompei? Le popolazioni della valle del Sarno decidono di abbandonare i territori di origine per spostarsi lungo la costa, unendosi e formando un nuovo centro di maggiori dimensioni. Lo chiamiamo sinecismo: tante piccole comunità che si fondono e danno origine a una città, composta da personaggi diversi. Questo fenomeno storico dal punto di vista archeologico viene indicato dal fatto che nelle antiche necropoli dei centri dell’entroterra si vede una rarefazione delle deposizioni nelle necropoli, cioè diminuisce la popolazione che veniva deposta lì, mentre cominciano ad affiorare tracce archeologiche che indicano come la zona di Pompei diventa più frequentata dal punto di vista antropico. Nascono intorno al 600 anche centri nella zona della penisola sorrentina, come Stabia e Nuceria, che traggono la loro ricchezza dal commercio tra valle del Sarno e colonie greche nel golfo di Sorrento. Rispetto al periodo precedente a seguito di contatti e scambi commerciali gli interessi si spostano più verso il sud e diventano di tipo prettamente commerciale. Nei secoli precedenti le comunità producevano per sé stesse. Ci si sposta lungo la costa in zone dove il commercio era più favorevole. Quale clima culturale si respira nei centri vicino a Pompei? Popolazioni indigene sicuramente, però materiali di importazione che vengono da molto lontano e sono particolarmente significativi per comprendere la rete di commerci. Dalle necropoli di Nuceria, Stabia tra gli oggetti di corredo abbiamo materiali in bucchero (ceramica locale nera lucente, etrusca) locale; inoltre, si hanno delle anfore da trasporto, ceramiche etrusco corinzie e bronzi dell’Etruria meridionale. Contatti commerciali, scambi di beni di prestigio. Oltre a prodotti ceramici, sono significative delle iscrizioni incise sul vasellame ceramico che ci danno indicazione di chi frequentasse queste zone oltre le popolazioni indigene. A Stabia abbiamo iscrizioni etrusche che precedono la metà del VI secolo a.C., a Nuceria anfore con contrassegni etruschi, su brocca iscrizione con alfabeto sudpiceno, coppetta in bucchero con nome di un greco di Cuma. Anche dal punto di vista della documentazione epigrafica, ci sono etruschi, piceni, greci. In questo contesto si deve porre la prima occupazione del promontorio di Pompei. È indiziata nel VI da resti di strutture monumentali: non nasce come centro povero, ma si dota di strutture di un certo impegno. Sono la costruzione di mura che vanno a recingere il pianoro su cui si sviluppa la città di Pompei, e poi una serie di strutture che furono rinvenute in una porzione del pianoro dove sono indicati con i numeri romani i quartieri romani. Accanto alle strutture murarie, che non era del tutto occupata, c’erano zone verdi, in vari punti del pianoro sono stati trovati resti murari di abitazioni o reperti ceramici di VI a.C. Già da subito vengono messi in cantiere due grandi monumenti pubblici: santuario del dio Apollo, area in cui molti secoli dopo verrà costruito il foro romano, e nel foro triangolare verrà costruito un tempio in onore della dea Atena. Il fiume Sarno scorreva in questo punto. Tra le più antiche costruzioni, la realizzazione della cinta muraria. Ci sono due tecniche edilizie differenti: nei filari inferiori, grossi blocchi squadrati di colore grigiastro, nella parte alta una tessitura muraria con paramenti di colore giallastro. Si tratta di due fasi edilizie differenti. Le più antiche, di VI secolo a.C., sono quelle più basse e sono realizzate in blocchi di pietra o tufo di colore grigio scuro, formatesi dalla coesione di sabbie vulcaniche che è definito pappamonte. Le cave di pappamonte sono coltivate solo nel VI secolo, poi si utilizzano pietre diverse, come quelle in giallo, che sono le mura di epoca sannitica, IV secolo, quando le mura di VI non esistevano più perché abbattute nel V. Il fatto che siano costruite nelle immediate vicinanze è dovuto al fatto che devono difendere tutto il promontorio di Pompei. Pallini in rosso sono strutture murarie in pappamonte, oppure in blu reperti ceramici databili all’epoca arcaica, cioè VI. Notiamo la grande concentrazione nell’area occidentale del pianoro di Pompei, dove in retinato in blu c’è la zona del santuario di Apollo, in rosso il foro triangolare con il tempio dorico della dea Atena, cioè i due poli religiosi. Nell’epoca più antica si preferì abitare nella zona ovest. Cfr. mura di IV. Luoghi di culto nel VI secolo Cosa conosciamo dei templi più antichi? Il tempio di Apollo venne ricostruito nel II a.C., e poi restaurato nel 62 d.C., quello arcaico ci rimane pochissimo, ma da scavi sono state recuperate lastre in terracotta, placche applicate su strutture lignee, che caratterizzavano il tempio arcaico. Il tempio arcaico era costruito in materiali deperibili, soprattutto assi di legno, per proteggerle dalle intemperie erano rifatte di continuo, per proteggere il tetto erano inchiodate lastre di terracotta, decorate con motivi vegetali. Nel disegno sulla slide, i frammenti in terracotta del VI. Tra questi, una antefissa, collocata lungo i lati lunghi del tempio, in corrispondenza della terminazione delle tegole dei coppi che costituivano la copertura del tempio. In epoca antica erano realizzati dei manufatti in terracotta rettangolari con bordi rialzati, collocati gli uni vicino agli altri, e per proteggere i giunti erano sistemati i coppi. L’ultima tegola poteva essere sostituita dall’antefissa. Noi moderni non le usiamo. Le antefisse del tempio di Apollo riproducono motivi e forme note nella città greca di Cuma o etrusca di Capua. I primi pompeiani si affidano a maestranze esterne, perché la città è appena nata. Anche nell’area del foro triangolare è costituito un edificio di culto, il tempio del foro triangolare: fondazioni e cella interna. La grande piattaforma dove c’è la cella centrale si eleva su una serie di gradini che corrono su tutti e quattro i lati: tipicamente greco. Inoltre, da scavi condotti nell’area del foro triangolare di Pompei, sono trovate terrecotte la cui decorazione è stata ricondotta a officine di Paestum, nel sud rispetto a Pompei, con genti di cultura greca. Ci fa capire alcuni aspetti significativi. I riferimenti ad ambiti culturali e artistici differenti all’interno della stessa città, significa che i committenti appartengono a etnie culturali diverse. Dal tempio di Apollo provengono numerosi frammenti ceramici che provengono da officine di Corinto, Atene e anche in bucchero locale. Il repertorio vascolare che si può desumere dai frammenti ceramici ha restituito soprattutto crateri e coppe per bere. Tra questi, frammento di cratere a figure rosse con scena di simposio. Questi primi abitanti di Pompei hanno possibilità economiche notevoli, perché è vasellame greco importato, e si riconoscono nel costume greco orientale del banchetto, e quindi vogliono testimoniare il loro stato sociale offrendo doni nei poli religiosi della città. La realizzazione di due poli religiosi nel momento in cui la città nasce è molto importante. Cfr. tempio di II, di età sillana, di età augustea. di Pompei: agglomerato destinato a chi lavorava nel porto. Culti legati al commercio e alla navigazione, di cui abbiamo indizi, ma molto più tardi, come la dedica dio Nettuno ma siamo già in epoca romana. Sono stati recuperati frammenti di statuine femminili in terracotta di VI secolo, forse Afrodite Euploia. Anche qui recipienti in bucchero e in ceramica arcaici. Traiamo conclusioni. Quando costruisce santuari extraurbani, la città di Pompei vuole sempre ben definire i suoi confini territoriali. Luoghi di interscambio tra chi vive in città e i forestieri. Luoghi di culto che iniziano nel VI, hanno vita lunga, divinità che rimangono, ristrutturati, temenos, continuità del culto. Dopo il VI: la sconfitta etrusca a Cuma, 474 a.C. La situazione di pacifica convivenza di etnie diverse che caratterizza il VI secolo a.C. era destinata a una stagione di breve durata. Il desiderio di controllare i circuiti marittimi e di operare una politica di maggiore controllo del territorio della Campania costiera fece sì che gli Etruschi operassero un espansionismo politico verso il basso Tirreno che la tradizione storiografica siracusana descrive sotto forma di azioni di pirateria rivolte dagli Etruschi contro Lipari. In questo stesso contesto si inquadrano gli assalti contro l’indebolita Cuma che, nel 474 a.C. si vede costretta a chiamare in aiuto la flotta di Siracusa. Le ripercussioni della «esiziale perdita delle navi etrusche» nelle acque di Cuma ebbero un esito immediato proprio a Pompei: la sequenza delle offerte nel Tempio di Apollo si interrompe intorno a quest’epoca e l’insediamento viene rapidamente a rarefarsi. Finisce in questo modo, nella prima metà del V secolo a.C., la prima fase della storia di Pompei, destinata poco dopo a essere soppiantata, nelle sue funzioni, dalla greca Neapolis la quale, come forse era accaduto per la prima Pompei, integra progressivamente i nativi della Campania all’interno della nuova comunità. Pompei sannitica, V-IV secolo Poi, c’è un nuovo mondo nel V secolo con l’età sannitica. Declino della componente etrusca. Etruschi vs greci di Siracusa: battaglia più significativa di Cuma nel 474, scontro navale tra flotta etrusca vs siracusana guidata da Ierone I. Gli Etruschi vogliono espandersi nel sud, ma i greci non vogliono. I siracusani vincono e gli etruschi vanno incontro alla decadenza. Ierone I volle offrire degli elmi nel santuario di Zeus a Olimpia per commemorare la vittoria. Recano una iscrizione dedicatoria. Il cronista è il poeta Pindaro. Il secondo scacco è del 415 quando gli etruschi appoggiano gli ateniesi contro Siracusa. La potenza etrusca viene meno. Poi, fenomeno di spostamento di popolazioni dall’area montuosa interna appenninica: abitata dai Sanniti, Lucani, Osci. Popolazioni sostanzialmente guerriere che hanno ragione sulle città della costa: Posidonia diventa Paestum nel 410. A Pompei, dove si sostituiscono come classe dirigente e dominante, si assimilano alla popolazione locale e decidono di ricostruire il santuario di Atena. Tombe dipinte sannitiche: fine del V e inizio IV, dipinta con bellissime scene in cui la componente militare è messa bene in evidenza. Andriuolo, tomba sannitica: la classe aristocratica è quella dei cavalieri. Scena di triumphum, accolto dalla madre con coppa, personaggi incatenati dietro che non sono greci perché hanno barba e capelli lunghi. 10-03-22 Dopo la fase importante del VI, sembra conoscere un momento di declino e sempre nel V sulla fine del secolo, le popolazioni dell’area appenninica estendono il loro dominio fino alle coste. Alcune occupano le colonie greche della costa, solo Neapolis si mantiene indipendente. Posidonia diventa Paestum. A Pompei abbiamo a che fare coi Sanniti. Sulla popolazione locale si innesta la popolazione che arriva dall’entroterra. È una popolazione di guerrieri, di cui ci restano le tombe dipinte dell’aristocrazia terriera, rinvenute soprattutto a Paestum. Non sono state rinvenute tracce di tombe dipinte a Pompei, ma nei pressi di porta Ercolano sono state trovate tombe attribuibili all’epoca sannitica, al cui interno il corredo è vasellame di produzione locale e di importazione dalla Grecia. Tombe poverissime, prive di corredo, che hanno fatto pensare ai ceti inferiori. Le zone di necropoli sono frequentate per lungo tempo e le frequentazioni più antiche sono difficili da trovare. Uno degli obiettivi della soprintendenza è quello di indagare anche le aree funerarie attribuibili al periodo sannitico. Nel IV secolo, le notizie sono poche, però la spia di una classe aristocratica facoltosa si è riconosciuta a Pompei. Dopo la crisi del V si riallacciano i rapporti tra Pompei e le altre città magnogreche. Nel IV secolo abbiamo l’avvisaglia che riallaccia i rapporti con le altre città del golfo di Napoli. Lo sappiamo dai tipi di rivestimenti in terracotta, utilizzati per decorare il tempio dorico. Tempio del foro triangolare, IV Rifacimento dei rivestimenti che erano in terracotta di tetto e frontoni è di quest’epoca. Soggetti proposti: forti i legami con Italia meridionale, con il mondo Apulo e il mondo ellenistico. Anche se non si può escludere che le maestranze provenissero dal golfo di Napoli, e da Pitecussa in particolare. Forse, a questa fase è da attribuire anche una parte del fregio dorico (metope e triglifi). In epoca sannitica viene rifatto anche questo fregio, in pietra calcarea, non in terracotta. Rimane la decorazione figurata di questa metopa. Sono rappresentati 3 personaggi: Atena è quella a sinistra, con elmo, scudo, lancia e martello e chiodo in mano, Atena della metis, che sovrintende alle arti, poi Efesto e Issione. Particolari le antefisse, decorazioni del tetto: rappresentano due soggetti iconografici, la prima una figura femminile, la seconda una maschile. A sinistra dea Atena particolare: elmo non è quello tipico, ma elmo triangolare con la punta rovesciata in avanti, ambito orientale. Al di sopra della testa, la dea indossa un diadema. Ha una riga centrale e le ciocche si dispongono ai lati del viso e ricadono lungo il collo della dea. Porta dei monili: intorno al collo una collana, alle orecchie degli orecchini floreali. La testa è inserita all’interno di un motivo vegetale, costituito da tralci vegetali di acanto. Antefissa maschile, di Eracle: giovane uomo imberbe, caratterizzato dal fatto che indossa la pelle di un leone che viene assicurata tramite le zampe annodate sotto al collo. Anche questa testa spunta da un elemento vegetale, simile al precedente. Caratterizzate da una ricca policromia applicata, in parte caduta, in parte si può apprezzare. L’elmo della dea Atena era dipinto in un rosso vivace, quasi un rosso fiamma, i capelli erano di colore marrone rossiccio, mentre il volto era rosa. I tralci vegetali che incorniciano le figure erano dipinti in colore grigio-azzurro, non naturale, e ci sono delle piccole bacche che erano in rosso. Quindi c’era una accesa policromia. L’uno e l’altro tipo di antefissa, presentano schemi figurativi che trovano confronti stringenti con le produzioni greche dell’Italia meridionale ma anche con l’arte che si era sviluppata in Grecia nel IV, in particolar modo alla corte macedone. Si tratta di una invenzione caratteristica del IV secolo, di abbinare teste a elementi vegetali. Esempi significativi son raffigurazioni nella ceramica apula, in particolare a Taranto. Sul collo di questi vasi spesso ricorrono teste di divinità femminili che spuntano dai tralci vegetali. Motivi analoghi si trovano nel mondo ellenistico. Nel IV secolo c’è il fenomeno della koinè. Motivi nati in Grecia si diffondono nella penisola italica, quindi c’è un linguaggio condiviso. L’abbinamento Atena-Eracle è molto interessante, di cui troviamo confronti già in epoca arcaica, VI secolo. Acroterio del tempio dell’area sacra di S. Omobono, vicino al foro Boario. Tempio realizzato durante i Tarquini. Abbinamento testa di Atena e busto di Eracle. Diventa diffuso perché Atena protegge il semidio che alla fine delle sue fatiche può ambire a entrare nel novero degli dèi. Il lettore antico aveva chiaramente in mente degli aspetti: alcune persone di spicco possono aspirare alla tirannide, citando l’avallo divino a loro favore. Nel tempio di Atena hanno trovato anche scarichi di oggetti votivi in cui compaiono numerosi busti di statuette in terracotta. In molti santuari del mondo greco, tra gli oggetti offerti come ex voto, si donavano queste piccole sculture in terracotta, che sono suddivisibili in tipologie frequenti e ricorrenti: busto femminile, figura femminile completa, con alcuni attributi o altri. Le teste femminili con il copricapo alto rappresentano una specifica divinità greca, Demetra e Core e Persefone. A mezzo busto, come se uscissero dalla terra. Per tanto tempo si è pensato così. Svolta: siccome delle statuette di questo tipo si trovano anche in santuari non di culti ctoni, forse rappresentano qualcos’altro. Le offerenti stesse erano. Le donavano a una divinità particolare che presiedeva a dei riti o aspetti particolari della vita religiosa. Dagli scavi sono state recuperate anche delle figure femminili definite kourotrophoi, che allevano fanciulli. Alcune infatti sono figurine femminili che tengono in braccio bambini, come per allattarli. Altre terrecotte ancora rappresentano la dea Atena stante, con una mano appoggiata sulla colonnina, e con l’altra tiene vicino alla gamba uno scudo. È una dea non combattente, armata ma in situazione pacifica. Si tratta comunque di soggetti esclusivamente femminili. Si è pensato che i riti che si svolgevano presso il santuario riguardassero le fanciulle che erano legate alla divinità Atena, in qualche modo. O fanciulle giovani o giovani madri che allattano: mettono in evidenza la donna pre e post matrimonio. I greci per definire questa fase usavano nymphè. Atena come ha accompagnato Eracle nel novero degli dèi, così accompagna le fanciulle in una nuova dimensione, quella sessuale. Potevano essere chiamate in causa anche Demetra e Afrodite. Altre divinità femminili legate a questo culto: ninfe o Chariti, cioè le Grazie, che le educano alla vita matrimoniale. Forse venerazione anche di queste divinità accompagnatrici. Elemento caratteristico: altare tripartito, che si trova all’esterno come in tutti i templi romani e greci. Altare tripartito perché si vede chiaramente che sulla tavola centrale c’è una tripartizione. Altare che serve per più divinità diverse. In questa zona verrà costruita una grande palestra ma nel corso del tempo verrà costruito l’Odeion e il teatro. Diventa un quartiere con abbinamento di esercizi fisici e attività culturali. Eracle presiede anche alla formazione dei giovani, venerato nelle palestre. Cfr. tempio arcaico. In conclusione, lo stile è greco, anche se la città è sannitica ormai. 15-03-22 Il nuovo circuito murario, IV Come per l’età arcaica, anche per il periodo dal V al I a.C., le fonti antiche tacciono quasi completamente sulle vicende di Pompei. Indizio del fatto che più che trovarsi di fronte a una casualità delle testimonianze sopravvissute, la cittadina di Pompei doveva avere un ruolo di secondo piano, che non è lo stesso ruolo che ha oggi per la disciplina archeologica. In un periodo cronologico non meglio definibile tra fine IV e inizio III, la città si dota di un nuovo circuito murario e si dota anche di un nuovo impianto urbanistico. Lavori di un grande impegno finanziario, politico e coinvolgimento e recupero di manodopera per la costruzione delle mura, e ha come retroscena il fatto che ci siano delle vicende politico storico che costringono la popolazione al grande sforzo edilizio. La costruzione di un circuito murario poteva avvenire tramite versamento di somme di denaro alle maestranze cittadine, oppure al re. Già nel VI secolo Pompei aveva una cerchia di mura. Se nel IV secolo sente la necessità di ricostruire un nuovo circuito murario, vuol dire che qualcosa è cambiato nel sistema di difesa e assedio rispetto all’epoca arcaica. Del resto, si era visto che l’estesa fortificazione del VI costruita in pappamonte, si estendeva ad occupare l’intero altopiano entro cui si era sviluppato l’insediamento arcaico, che occupava una superficie molto più ridotta rispetto a quella racchiusa nel circuito delle mura. Perché i pompeiani decidono di costruire una cerchia di mura così ampia? Hanno voluto costruire le mura intorno al ciglio tattico: parte di altopiano più sporgente che rendeva più difendibile la città rispetto agli assalti di eventuali nemici. Questa preoccupazione la ritroveremo nella successiva ristrutturazione delle mura. Quella di IV si differenzia per l’uso di blocchi in calcare del Sarno. Insiste sul tracciato delle mura più antiche di VI. Cambiamento delle strategie di attacco e di difesa in questo periodo storico. Se in epoca arcaica soprattutto nel mondo greco le tecniche di assedio di una città avvenivano con l’isolarla dal suo territorio, privandola degli approvvigionamenti, l’unica possibilità degli assediati era uscire dalle mura e affrontare i nemici in campo aperto. Per difendersi gli assediati non avevano bisogno di fortificazioni particolarmente possenti in epoca arcaica, non erano molto larghe, perché non si prevedevano le armi a lunga gittata contro le mura. Nel IV c’è un grande sviluppo delle strategie belliche, suffragate da ricerche scientifiche, che portarono alla pubblicazione di opere di poliorcetica: studio assedi e conquista di città. Potendo colpire da lontano le mura delle città, bisogna ripensare gli obsoleti sistemi di difesa, creando mura più profonde e articolate. Le fortificazioni allora acquistano sempre più importanza non solo perché devono difendere dalle macchine belliche di assedio, ma anche perché sulle mura stesse devono essere collocate baliste e catapulte per colpire da lontano gli assedianti. Si ha una prima cortina esterna verso l’agro, realizzata in blocchi di calcare del Sarno, a cui in alcuni tratti si sostituiscono blocchi di pappamonte o altri tipi di tufi, e poi un muro verso l’interno della città, e tra le due cortine murarie, un ampio riempimento di terra e pietrame. Quando un’arma da getto colpisce le mura, il paramento Alla decorazione del tempio di Apollo, vengono attribuite alcune lastre in terracotta con raffigurazioni di vario tipo. Non sono state trovate in situ, ma in condizione di reimpiego in una casa privata in un settore di Pompei chiamato insula occidentalis, quartiere occidentale. Alcune lastre che decoravano il frontone del tempio in legno rappresentavano il mito di Apollo e Marsia. In questa in particolare, una figura maschile seduta su un trono, interpretata come raffigurazione del dio Apollo, davanti a cui si inginocchia un giovane col berretto frigio, il servo di Marsia, Olimpo. Sullo sfondo una terza figura: altro satiro a cui Apollo comanda di recuperare Marsia per punirlo. Le lastre erano decorate a colori vivaci, di cui si vedono tracce ancora, tipo sovra dipinture in azzurro. Maestranze orientali o imbevute della cultura di Pergamo. Altre lastre: figure femminili con strumenti musicali, interpretate come le Muse. Un’altra lastra ancora rappresenta vista di prospetto una vittoria alata, una Nike, a fianco, Artemide con cane. Altra lastra: giovani putti alati che popolano dei tralci vegetali arricchiti da foglie e fiori. Anche qui si vedono tracce di policromia. Altre lastre con motivi vegetali, girali di acanto. Ma queste terrecotte sono di dimensioni troppo piccole per essere attribuite al nuovo tempio di Apollo. L’accostamento al tempio era stato fatto per il tema. E poi, le lastre non sono state trovate nel tempio, ma reimpiegate in una abitazione privata. Sembra strano. Rimane un problema aperto. Forse facevano parte di un piccolo sacello di Apollo che non faceva parte del tempio. Il portico che recinge il santuario è a due piani, a sinistra: uno inferiore a ordine ionico, e un secondo con capitelli indefiniti. La soluzione architettonica di un portico a due livelli è di epoca macedone dal IV secolo in poi, che trova soprattutto nel santuario di Pergamo questa soluzione. Pur essendo Pompei un centro piccolo, essendo inserita in un circolo commerciale e culturale, si fa costruire un portico alla moda. Stanno emergendo gli homines novi, e quindi investono nell’edilizia pubblica e privata, vogliono far vedere la loro cultura sostanzialmente greca. 17-03-22 La costruzione del portico va letta nell’ottica dell’influenza ellenistica. A partire dal V secolo in Grecia e Oriente gli architetti elaborano soluzioni architettoniche per rendere più esteticamente belle le piazze ecc. le circondano di colonne doriche. Assimilato nel II dalle città centro italiche. Le forme del dorico sono molto semplificate e si prestava molto bene per la produzione in massa: facile da lavorare ed economico. Dal III-II secolo, ionico e dorico vanno incontro alla commistione degli ordini: interscambiabili ordine dorico e ionico. La peristasi esterna presenta colonne scanalate, ed erano coronate da capitelli corinzi. Capitello corinzio si affianca a quelli ionico e dorico in una fase molto avanzata. Se le forme del capitello ionico e dorico sono realizzate nel VI-V, il corinzio è testimoniato per la prima volta nel 400, nella decorazione della cella interna (tempio di Apollo a Basse, Arcadia). Non si può parlare in maniera corretta di un ordine corinzio, perché gli elementi compositivi saranno sempre di ordine ionico e dorico, ma il capitello corinzio sostituisce quello ionico. Dal 400 in poi, l’architettura tardo classica preferisce il capitello corinzio. Elementi vincenti: presenta la medesima decorazione su tutto il suo sviluppo: permette di collocarlo in qualsiasi punto, anche nei punti angolari; capitello molto ricco dal punto di vista ornamentale, perché adotta elementi vegetali tipo foglie e steli che lo impreziosiscono e creano giochi di luce e ombra particolarmente apprezzati dagli architetti antichi. Capitello corinzio canonico. Si struttura secondo due componenti: elemento cilindrico di forma tronco conico rovesciata, che è la superficie da cui si stagliano gli elementi ornamentali (kalathos o canestro). Gli elementi ornamentali si dividono in parti con denominazioni specifiche: dove poggia sulla colonna: due fasce di foglie (corone), e tra le foglie della prima fascia si sviluppa un’altra fascia di foglie che arrivano fino alla metà del kalathos. Tra le cime delle foglie della seconda corona, si sviluppano i caulicoli; da uno stesso caulicolo si sviluppano due nastri: uno si conclude con una voluta verso l’esterno (voluta), un altro nastro più corto si arrotola in corrispondenza della parte alta del kalathos (elice). Il kalathos è chiuso in alto da una tavoletta rettangolare (abaco), con la funzione di ampliare la superficie di appoggio dell’architrave. Capitello del tempio di Apollo: è stato tutto scalpellato e quindi le sagome delle foglie si vedono poco, ma dal disegno si capisce meglio. Era in tufo, una pietra povera, ma per renderlo più ricco era stato rivestito di uno stucco bianco, che a distanza dava l’idea di essere di fronte a un tempio in marmo come quelli orientali. Capitello dalla Basilica di Pompei: presenta le foglie molto diverse dal tipo che abbiamo visto prima, foglie molto arricciate. Non ha i caulicoli, ma solo volute ed elici. Tipologia definita corinzio-italico: prende ispirazione dal modello greco ma lo modifica in base al gusto locale. O ideato ad Alessandria e da lì diffuso, oppure tipo di capitello che nasce e si sviluppa in Sicilia e poi si diffonde in Magna Grecia, da qui corinzio-italico. Tra il II e il I secolo, è il più diffuso in Italia meridionale. Porticato esterno: colonne ioniche, capitelli ionici, trabeazione dorica con campi metope e triglifi. In un ordine ionico puro, ci sarebbe stato un fregio continuo. I capitelli ionici (a 4 facce) sono di una tipologia particolare, con varianti italiche: a sinistra ionico canonico, faccia anteriore e posteriore uguale, con volute, sui fianchi sono raccordati da elementi orizzontali (pulvini). Avendo due facce diverse, quando lo pongo nella posizione angolare, si vede un pulvino e non piaceva. Inventano diverse soluzioni: ad esempio, capitello ionico con 4 facce e volute, molto usato nell’architettura tardo repubblicana della penisola italica. Nel portico vengono usati quelli a 4 facce. È un portico su due ordini, anche se ne vediamo solo uno, l’altro livello aveva capitelli corinzi probabilmente. Perché non ci sono tracce delle colonne del secondo ordine? Nel 62 d.C. Pompei è colpita da un terribile sisma che danneggia gran parte degli edifici pubblici e case. Gli abitanti decidono di ricostruire le parti danneggiate. È probabile che il secondo ordine sia caduto e si apprestassero a ricostruirlo. Indagini archeologiche del 2017 nella piazza dei portici hanno permesso di conoscere meglio gli interventi di II secolo. Nella superficie tra podio e altare, sono realizzate una serie di cisterne e pozzi che servivano a raccogliere l’acqua che cadeva dalle falde del tempio. L’acqua si otteneva scavando pozzi, prima dell’acquedotto, e con l’acqua piovana. Canalizzazioni semplici raccolgono l’acqua e la scaricano all’interno di pozzi e cisterne. L’acqua serviva per la pulizia dell’area religiosa, per le pratiche religiose ecc. L’intera piazza del santuario doveva essere popolata da statue poste su alte basi. Ne sono sopravvissute solo 6, di cui 2 in bronzo e le altre in pietra. Di particolare interesse è una base in tufo che conserva un’iscrizione in lingua osca, dei sanniti. Menziona un personaggio storico conosciuto, Lucius Mummius: fu censore e poi console nel 142 a.C., colui che conquistò nel 146 la città di Corinto. A seguito di questa impresa, si impadronisce di un enorme bottino di guerra, di cui facevano parte numerose opere d’arte. Dona in alcuni santuari alcune di queste statue. Forma di munificenza e autopromozione. Strano che sia in lingua osca: alcuni studiosi invece pensano che ricordi che la munificenza è stata resa possibile da un personaggio notabile della città, popolazione sannitica. Cosa stava sopra la base? Ipotesi contrastanti: statua in marmo dotata di un proprio basamento in marmo che si appoggiava al piano superiore della base, dove non ci sono gli incavi che ci sono per le statue di bronzo. Oppure un oggetto votivo tipo tripode in oro o metallo prezioso. I pezzi più prestigiosi sono due sculture in bronzo: bellissima statua di Diana e di Apollo. Sono state rinvenute nel 1817, inizialmente negli scavi si stava procedendo allo sgombero di macerie e lapilli e in quella occasione viene rinvenuto il frammento della statua di Artemide, mentre Apollo non è menzionato. Qualche info in più la si ha qualche tempo dopo, in quanto, praticando uno scavo alle spalle del tempio, nel foro romano, sono rinvenute delle parti della statua. Il resto della scultura, gambe e braccia, sono rinvenute lungo il circuito murario. Dal punto di vista stilistico e tematico andavano insieme, anche l’altezza è la stessa, poco più piccole del vero. 22-03-22 Come mai una nel santuario e l’altra dispersa? Avanzate diverse spiegazioni: 1. la scultura di Apollo fosse stata già smembrata prima dell’eruzione del 79 (terremoto del 62, dopo la città è in fase di ricostruzione pubblica e privata); 2. oppure una seconda ipotesi dice che è l’effetto della frequentazione che Pompei conobbe dopo l’eruzione del 79 (ci sono editti di imperatori che concedono agli abitanti del territorio di tornare sul luogo della città sepolta per recuperare tutto quello che potevano: la statua sarebbe stata recuperata e i pezzi dispersi). Entrambe le ipotesi hanno dei punti deboli. 3. La terza ipotesi sembra la più convincente: la dispersione sia da imputare agli scavatori di epoca borbonica, ma la paura di ritorsioni fa sì che i tombaroli lasciassero i pezzi in giro. Le due statue sia per il tema che per lo stile e le dimensioni, fanno parte di un ciclo unitario, di cui facevano parte anche altre statue probabilmente. Datazione. Le ipotesi sono diverse e contrastanti: II a.C., in occasione della ristrutturazione del santuario. Oppure della prima metà del I d.C., anteriore al terremoto del 62. Come mai datazioni così discordanti? Queste sculture in bronzo sono state ottenute tramite la collazione di diverse parti del corpo, viso e testa, ricavate da calchi di opere d’arte greca di differenti periodi storici. Nelle officine romane era in uso fare statue con elementi tratti da sculture di epoche differenti. Con matrici in terracotta, presi da stampi in gesso, usati sulle statue prese come modelli di riferimento. Cfr. tempio arcaico, di epoca sillana, di età augustea. EDILIZIA PRIVATA Il II a.C. è il secolo d’oro di Pompei, quando la città si trasforma notevolmente sotto l’impulso di una situazione politica economica propizia per la città. Non solo alcuni monumenti pubblici, ma anche l’edilizia privata, che nel II a.C. conosce una forte espansione che porterà diversi cittadini pompeiani a dotarsi di abitazioni che riprendono soluzioni di architettura domestica ellenistica, coniugate però con le caratteristiche delle abitazioni etrusco italico. Edilizia privata arcaica, VI-IV Tutte le forme di info che abbiamo sulle abitazioni di prima del II a.C., derivano da limitati scavi in alcune case pompeiane. Possiamo conoscere molto bene le decorazioni pittoriche, i pavimenti musivi di II a.C., e quelli di epoca augustea e imperiale avanzata. Ristrutturazioni dovute a cambiamento di gusto e magari anche di proprietà. In alcuni casi basta mettere un pavimento nuovo su uno più antico. Conoscenza molto ridotta per le case di VI o IV, mentre conosciamo meglio quelle dal II a.C. in poi. Corrispondono alle case occupate da coloni di provenienza romana urbana o laziale, perché nel I a.C., Silla deduce i suoi veterani, che costituiranno la nuova aristocrazia, che importano le mode romane urbane. Proprio le evidenze di VI sono quelle più evanescenti. Abbiamo tracce da scavi condotti su un limitato areale all’interno di case costruite nel VI. Es. Casa del centauro, insula VI. Nella slide: pianta di una casa, linea in puntinato (resti di una casa più antica, abitazione di epoca arcaica, si sono trovati solo i muri, non è stato possibile ricostruire la planimetria per esteso) e linea marcata (epoca sannitica). I muri permettono di conoscere come fossero stati fatti: con la tecnica in pisé, cioè muro fatto di argilla pressata, in uso ancora oggi nell’Africa settentrionale. Costruire delle fondazioni, con materiale lapideo, perché la pietra impediva all’umidità del suolo di risalire e danneggiare muri di argilla. Costruire delle paratie, strutture in legno, che costituiscono la cassa entro la quale si versa l’argilla, che in questa fase deve essere fortemente imbibita di acqua. Per tenere insieme le pareti di legno fa passare dei travicelli, che tengono unite le casseforme di legno. Con uno strumento si deve pestare la miscela per far sì che l’acqua esca dagli interstizi tra un’asse e l’altra. Una volta che il muro si è asciugato, si stende uno strato di intonaco, anche dipinto. Vantaggi: muratura economica, maestranze non particolarmente specializzate, non ho bisogno di filiera di produzione complessa come quella del mattone cotto. Inoltre, è un buon isolante. In un altro sondaggio, eseguito nella Casa di Pomponius, sono emerse strutture murarie del periodo arcaico, conservate in modo più intellegibile, che hanno permesso di ipotizzare la pianta di una casa arcaica a Pompei. In grigio ambienti di una domus più recente, in arancione i muri di una casa di epoca arcaica, di cui sono stati riconosciuti sicuramente due ambienti, uno piccolo di forma quadrata e uno a pianta rettangolare. Questi due ambienti si aprivano verso nord su un cortile scoperto. Questa sequenza di vani richiama la disposizione degli ambienti riconosciuti in alcune case di Naxos in Sicilia attribuibili a VI-V secolo, che vengono definite con il termine di case a pastàs: case con poi a semplici linee puntinate. Bordo esterno dell’ambiente: motivo decorativo della soglia a rombi. Sulla soglia si metteva un motivo ornamentale di pregio, per destare l’ammirazione. Al centro della stanza poteva esserci un riquadro con soggetto abbastanza raffinato, chiamato èmblema. Il resto della pavimento della stanza è semplice. I letti triclinari erano collocati lungo le pareti, e i seduti volgevano lo sguardo verso il centro. Si tratta di pavimenti relativamente semplici. Soprattutto sul finire del I e poi in età imperiale, prendono piede pavimenti più ricchi, pavimenti a mosaico. La malta di cocciopesto diventa la base, e sopra ci mettono le tessere del mosaico. Esempio dalla casa del Centauro, nel tablino: resti di un pavimento a mosaico. Il gusto dell’abitare si fa più raffinato, con pavimenti sempre più ricchi, sotto l’influsso delle mode orientali. Tecniche murarie, III Per il III secolo, nelle case di Pompei abbiamo tecniche edilizie differenti, a seconda che si tratti delle pareti esterne della casa, o strutture portanti, o tramezzi, pareti murarie che dividono l’interno della casa. A seconda del carico che i muri devono sopportare si adotterà una certa tecnica. Per le facciate: tecnica muraria in opera quadrata, filari allo stesso livello. Muri di un certo prestigio: opera a telaio / opus africanum. Opera muraria particolare: abbiamo dei blocchi di forma rettangolare che vengono collocati uno sopra l’altro, intervallati da blocchi disposti orizzontalmente, che costituiscono l’intelaiatura. Gli spazi vuoti, chiamati spazi di risulta, sono riempiti da blocchetti di pietra più piccola, a formare file regolari. È molto utilizzata soprattutto nel nord africa, nell’area che era stata di influenza cartaginese. Ebbe fortuna su un lungo periodo di tempo. Soprattutto nelle aree come il nord Africa dove mancava il legno, si ricorreva a questo espediente: sostituzione con elementi lapidei di elementi lignei. Particolare nella slide. Stesso concetto dell’opera a graticcio, definita anche come opera a telaio. Opera a graticcio: molto simile, ma sostituisce come elementi verticali delle assi o travi di legno. Nella slide, opera a graticcio al secondo piano. Struttura muraria molto leggera e andava bene per realizzare i tramezzi o divisori interni sottili. Nella slide, esempio di Ercolano: l’intelaiatura di legno è riempita da pietre legate da malta e argilla. Poi si dipingevano, quindi non ci si accorgeva. Erano sempre studiate in base alla funzione che i muri dovevano svolgere. I muri a graticcio erano usati per i secondi piani, perché se a contatto diretto con il terreno, ne assorbivano l’umidità. E poi pesano di meno sulle strutture sottostanti. E poi in caso di vibrazioni telluriche o del passaggio di carri, erano elastiche. E poi, un muro sottile avrebbe isolato i ladri al primo piano. I divisori poggiavano sul pavimento, non a diretto contatto con la terra. Lo spessore dell’opera a graticcio da 20 a 40-50 cm. Col passare del tempo entrano in uso altre tecniche edilizie, tra cui quelle che prevedono l’utilizzo di materiale tenuto insieme da malta: opus caementicium. È diverso dall’opera cementizia moderna. Muratura in pietrizio legata con malta. Il nucleo interno del muro è contenuto in paramenti esterni: fatti ad opus incertum (frammenti di pietre sommariamente sbozzate, con punta che andava verso l’interno del paramento), opus reticulatum (i blocchetti lapidei sono sbozzati a forma di quadrato, ma anziché collocarli in file regolari li dispongo in obliquo, era considerato più resistente, i lati aderiscono perfettamente tra di loro e non hanno bisogno di appigli), opus latericium (mattoni). Esempio nel pavimento del tempio di Giove a Pompei, su cui è stato steso uno strato di stucco bianco, che dava l’impressione di marmo. Atrio Atrio testudinato (senza impluvium?) / atrio tuscanico: ha le sue origini nel VI-V secolo a.C., ricorda un’origine italica. L’apertura centrale, oltre a facilitare la caduta dell’acqua, serviva da pozzo di luce, perché al primo piano non c’erano finestre che davano sulla strada. Le falde dell’atrio tuscanicum non appoggiano su colonne ma su travi orizzontali che sporgono dalle pareti interne dell’atrium. Non aveva la concezione di mettere colonne all’interno di case, concezione sobria dei latini. Altre case modificano, costruendo un atrio tetrastilo: le coperture poggiano su 4 colonne, funzione anche ornamentale, per rendere più solenne l’atrio, prendendo ispirazione da case greche e macedoni. Una colonna di marmo o pietra orientale era impensabile in Italia: spesso i fusti erano realizzati in mattoni di forma circolare, legati da malta, rivestiti di stucco scanalato, ma dipinto di colori vivaci. Quando in epoca repubblicana, qualcuno prende i marmi colorati per le colonne delle case scatena un putiferio: segno di tracotanza, al di fuori del modo di vivere comune, era riservato ai templi e alle dimore regali orientali. L’atrio era in origine la sede del focolare, poi spostato nella cucina. Caratterizzato dalla presenza del cartibulum: tavolo per l’esposizione del servizio da tavolo, vicino alle immagini degli antenati. Tra impluvium e tablinum era collocato il cartibulum. Il tablinum accoglieva il lectus genialis/adversus, letto nuziale posto di fronte all’ingresso, dove erano conservate le tabulae, l’archivio familiare. Dietro al tablinum si apriva un giardino. Possiamo immaginare la vita all’interno del tablinum guardando pitture macedoni. In basso, una credenza su cui sono appoggiati piatti e brocca, servizio buono da mensa. Esibizione della ricchezza e dal rango nobiliare. La casa romana (riassunto sulla slide): tipologia architettonica di difficile definizione. Ambienti principali sulla slide. 31-03-22 Pompei nel II secolo a.C. Nel II secolo a.C., Roma con i suoi alleati italici si trova proiettata in una dimensione sociale, economica e politica del tutto nuova, che determina un incremento tumultuoso nei forti cambiamenti che erano difficili da governare per Roma stessa e alleati. Quando conquista ampie porzioni del Mediterraneo antico, si trova a dover gestire un’area molto differenziata. Anche i regni di Ale che erano monarchie. Situazione diversificata che rende questo periodo di passaggio molto problematico ma anche molto ricco. Si viene a costituire una vera e propria rete commerciale, economica, e politica molto stretta tra penisola italica e il Mediterraneo, che favorisce uno scambio e uno spostamento di popoli (truppe che dall’Italia vengono mandate in Oriente, i commercianti italici, schiavi che arrivano dall’Oriente). Tutto questo fa sì che avvenga una sorta di osmosi tra occidente e oriente, in cui alcune caratteristiche del modo di vivere sono traghettate da est verso ovest. Scontri tra culture: la cultura dei vinti era a un livello molto più alto di quella romana. La grande capacità romana è stata quella di cogliere il meglio di queste culture e adattarlo alla mentalità romana e italica. Questo si riflette anche nel modo di concepire la città: la pianta urbana di Pompei del VI la conosciamo pochissimo. Roma, tra IV e II, è una città in cui non c’era stato un vero e proprio programma urbanistico progettato all’inizio, è cresciuta per giustapposizione. Gli architetti dell’ellenismo, che lavorano a stretto contatto con monarchie e aristocratici, pianificano una città in modo che sia il più funzionale possibile, utilizzando Ippodromo di Mileto: incontro di assi ortogonali, che dividevano la città in quartieri, intervallati da ampi spazi pubblici. In epoca ellenistica c’è quindi una vera e propria pianificazione urbanistica. La situazione nella penisola italica è molto diversa: per molte città, sviluppo urbano parziale e deforme; altre aree in cui erano arrivati echi di queste pianificazioni ellenistiche, come a Siracusa. Nel II secolo allora, anche nelle città italiche si cominciano a pianificare alcune parti della città, secondo formule ispirate a modelli ellenistici. Devono bonificare zone, dotare di piazze chiuse da portici ecc. Si riflette anche sulle case del II secolo a Pompei. Tutta questa trasformazione urbanistica si giustifica con l’enorme disponibilità economica che le classi dirigenti e i commercianti hanno, in quanto controllano i commerci tra ovest ed est. Le nuove trasformazioni servono a rispondere alle esigenze di una comunità che diventa sempre più complessa. Trasformazione della piazza di Pompei A Pompei, nella seconda metà del II, abbiamo una trasformazione radicale dell’antica piazza, su cui prospettava il tempio di Apollo. Fino a quel momento era collegato a una area aperta, non strutturata in maniera logica e coerente. Poi l’edificio religioso viene chiuso da una piazza porticata, e poi anche altre innovazioni. Compaiono: sul lato settentrionale della piazza viene costruito un tempio, che in età sillana diventerà un vero e proprio Capitolium: acconto al culto di Giove, si sviluppa il culto anche di Giunone e Minerva, perché in questo periodo Pompei ha una deduzione di coloni romani. Aspetti molto interessanti, che ci fanno capire che se Roma non agisce in maniera drastica su Pompei, però connota in senso fortemente romano alcune aree, specialmente quelle sacre. Nell’angolo sudoccidentale si dà inizio alla costruzione della basilica, luogo deputato all’amministrazione della città. Sul lato meridionale della piazza si dà inizio alla costruzione di portici che nel progetto originale dovevano chiudere tutta la piazza. Ma perché in questo momento la città sente l’esigenza di costruire questi portici? Per nascondere agli occhi di chi è in piazza una situazione non omogenea nel resto della città. E ovviamente per cominciare a adattarla alle città dell’Oriente e per sfoggiare ricchezza. Alla fine del II-inizio I, cominciano anche ad introdursi dei sistemi di decorazioni parietali diversi dal IV-III. Primo stile pompeiano. Si diffonde anche l’atrio tetrastilo. Quale modello influenzerà Pompei direttamente? I palazzi reali orientali. Noi siamo ben informati sulla reggia di Filippo II di Macedonia a Verghina, metà IV secolo. Prima non sappiamo come fossero le sedi del potere, perché le città erano soprattutto oligarchiche o democratiche. In epoca arcaica, coi tiranni, non conosciamo quasi nulla. In epoca ellenistica viene concepita la reggia reale, che viene realizzata in una zona limitrofa alla città, un poco distanziata, su un’altura che domina la città, ma che va a costituire una sorta di città alternativa, del potere. Ricostruzione verosimile del palazzo di Filippo, sulla slide: in alto, l’ingresso, al centro un pronao, ingresso monumentalizzato che ha l’aspetto di un tempietto; ai lati, un portico su due livelli, un ordine dorico inferiore e un ordine ionico superiore. La ricostruzione è verosimile perché gli scavi hanno recuperato elementi architettonici che sono compatibili con un portico a due piani + ingresso monumentale, dall’altro abbiamo la conferma dalle facciate delle tombe dipinte macedoni, che presentano un pronao all’ingresso, come la stessa tomba di Filippo II. Pr1-2-3 ingresso: successione di 3 ambienti suddivisi da colonne che permettevano di accedere all’interno della reggia. Ai lati dell’ingresso, ambienti X e U in facciata presentano due livelli sovrapposti di colonne. Se ne affiancavano due uguali, V e T: erano funzionali ad accogliere i visitatori o chi chiedeva di essere ammesso. Il corridoio di ingresso suddiviso in 3 ambienti successivi servivano a regolare l’afflusso di quanti venivano ammessi all’interno della reggia. Poi si entrava nel grande cortile a cielo aperto, chiuso su tutti i lati da un grande portico di ordine dorico: la grandezza di questo cortile interno non era mai stata applicata nei palazzi aristocratici del periodo precedente, come se si volesse dare l’idea di una grande piazza pubblica o sacra. Nelle prime 3 stanze d’ingresso la luce è soffusa, poi si arriva alla luce accecante del cortile. Come se fosse un viaggio iniziatico. La luce era molto studiata. All’interno del cortile, il re in trono sotto baldacchino riceveva le persone che chiedevano udienza. Il monarca ha bisogno di trasmettere ai sudditi di essere a livello diverso da loro. Intorno al cortile: stanza da banchetto, stanze private, un edificio di culto, sale di rappresentanza o gli archivi. Qui non ci sono biblioteche, ma in altre regge sì. In azzurro, alcuni ambienti che costituiscono una suite di tre vani: sale da banchetto, con bordo perimetrale (fascia decorativa del pavimento che indicava dove dovevano essere messi i letti triclinari). E F G: l’ambiente F non è caratterizzato da quella fascia, perché una grande anticamera che permetteva l’accesso di nuclei diversificati negli ambienti E e G. In questa anticamera venivano esposti i servizi preziosi da tavola, come nelle case romane. 05-04-22 Ambiente rotondo: tholos. Edificio a pianta circolare dotato sull’esterno di un giro di colonne cui possono corrispondere delle colonne addossate a parete. Abbiamo solo il giro di colonne interne qui, perché è dentro un palazzo. Nel palazzo di Verghina c’era un edificio adibito al culto, in cui si venerava Eracle, considerato il capostipite della dinastia macedone. Forte presenza di ambienti deputati al banchetto, che possono essere delle grosse stanze uguali, oppure una variante più aulica con anticamera d’ingresso e due percorsi separati. Gli ambienti G ed E, uno riservato a uomini, l’altro alle donne. Da ricordare: gli ambienti destinati ai banchetti, il grande cortile centrale porticato con colonne, sono elementi che verranno ripresi anche in ambiente italico e le troveremo in alcune residenze prestigiose di Pompei. Sono prestiti dall’architettura ellenistica, poi riadattati localmente. Il palazzo di Verghina è ai margini di un dosso, per cui sul lato settentrionale fu necessario costruire commissiona delle pitture in cui si vedono attività quotidiane del foro di Pompei. Nella slide in alto, delle persone che osservano pentole, esposte da un mercante nel foro. Di fianco, due personaggi discutono su una stoffa. Ma era anche il luogo per radunarsi e mangiare qualcosa cotto su una graticola. C’era chi riparava oggetti o vendeva altri tipi di mercanzie. Ci sono anche due vignette interessanti: a sinistra, un personaggio sullo sfondo vestito di bianco, davanti un bancone di legno, sopra delle pagnotte che il personaggio distribuisce; è una elargizione gratuita da parte di un personaggio eminente ai cittadini di Pompei. A destra, su basamenti alti erano esposte statue equestri oppure stanti che rappresentavano personaggi eminenti. Foro: funzione commerciale, religiosa, ma anche promozione sociale. Chi si rendeva benemerito poteva essere onorato con statue esposte nella principale piazza pubblica. La basilica È decentrata perché si tratta di un edificio che entra molto tardi nell’architettura del mondo romano. Il termine basilica (βασιλικὴ αὐλή) richiama le grandi sale colonnate che segnalano nel mondo orientale le grandi sale di rappresentanza. uno degli elementi caratterizzanti della basilica è la presenza di un ordine gigante di colonne. Ha delle funzioni legate all’amministrazione della giustizia, al luogo di ritrovo che ospitava le attività forensi quando c’era maltempo, e ospitava le immagini divine. Dal punto di vista tipologico, nasce tardi nell’architettura romana, intorno al II secolo a.C. Le basiliche di Roma le conosciamo solo dall’età imperiale, perché sono state tutte ricostruite. Pompei ci offre uno spaccato di come potevano essere le basiliche romane repubblicane. È un edificio che lascia ancora delle domande irrisolte. Sulla slide, foto dell’interno della basilica: colonne, sullo sfondo una specie di tempietto che è il tribunal (dove il magistrato amministrava la giustizia: ambiente molto sopraelevato rispetto al calpestio, raggiungibile con scalette di legno. Conferiva aura sacrale + protezione); vediamo anche il muro di uno dei perimetrali. Manca tutto lo sviluppo in altezza: era molto alta, ma non rimane nulla. Sono state avanzate diverse proposte, una recente, ad opera di Corrado Vaccarella: ha proposto una lettura del monumento basata sul riesame delle info e degli studi già editi, integrati con il supporto di dati raccolti tramite analisi dei reperti e ausilio della computer grafica. La basilica pompeiana si trova nella regio VIII, all’interno di quel nucleo più antico della città. Sebbene distrutta in gran parte degli alzati, di essa si possono riconoscere le caratteristiche planimetriche. Aveva una pianta rettangolare allungata, con i lati lunghi disposti in senso est-ovest, e sviluppati per una lunghezza di 68,8m, mentre i lati brevi erano larghi 26m, coprendo una superficie di 1788 m2 (era un edificio gigantesco in sintesi). Si trova in una posizione decentrata rispetto alla piazza del Foro. Sul foro affaccia tramite il lato breve orientale. La basilica aveva inoltre altri due ingressi, uno sul lato nord e uno sul lato sud. Il lato nord dava sulla via di porta Marina. Si distingue inoltre per un ingresso monumentale dal lato del foro che si presentava con una facciata a 5 pilastri (nella pianta, sul lato sinistro), che danno su una sorta di anticamera ipètra (senza soffitto), che si chiama chalcidicum. Da questa anticamera, si accedeva all’aula coperta vera e propria, tramite un ingresso reso solenne da 4 colonne. Le colonne più esterne erano collegate a dei setti murari, per cui c’erano solo 3 ingressi. Queste colonne, di cui si conservano le basi e parte dei fusti, erano coronate da capitelli ionici a 4 facce. Le colonne ioniche avevano un diametro di circa 1,1 m. l’aula interna invece era divisa in 3 navate da 28 possenti colonne costruite in laterizio, stuccato esternamente. Il diametro alla base era 1,35m, cioè più grosse di tutte quelle che abbiamo visto fino ad ora. Lungo le pareti lunghe erano addossate delle semicolonne che scandivano la parete, e che dovevano reggere un secondo ordine di colonne, segnando uno sviluppo molto elevato in altezza anche dei perimetrali esterni. Le semicolonne erano concluse da capitelli ionici, mentre l’ordine superiore era concluso da capitelli corinzi. La parete libera tra una semicolonna e l’altra era rivestita di stucco che formava una sorta di opera muraria pseudoisodoma (lo stucco imita le bugne irregolari). È il cosiddetto I stile pompeiano, che imita cioè una tessitura marmorea, ottenuta però con lo stucco, che poteva essere colorato a imitare marmi e pietre colorate. Su lato breve di fondo c’era il tribunal affiancato da due ambienti laterali. Questo schema è canonico della basilica. Il problema di fondo della basilica pompeiana è che conosciamo bene la sua articolazione in pianta, ma rimane ipotetico il suo sviluppo in altezza (da dove arrivasse la luce etc.). 07-04-22 La storia degli scavi L’edificio fu messo in luce nei 10 anni di occupazione francese del regno di Napoli (1806-15), sollevando immediatamente tutta una serie di perplessità a mano a mano che emergevano i resti murari e delle strane anomalie per gli scavatori dell’epoca. Le campagne di scavo furono condotte sotto l’egida di Giuseppe Bonaparte e poi Gioacchino Murat: si concentrarono nel foro, portando alla scoperta anche del tempio di Giove, del macellum (edificio a fianco del tempio di Giove, grande mercato alimentare). Nel 1884 furono condotti dei modesti saggi di esplorazione all’interno della basilica nei punti non toccati dagli scavi di inizio secolo, e poi fu indagata nel 1902, con scavi che si estesero in maniera ampia in corrispondenza della navata mediana della basilica, mettendo in luce una problematica: di fronte ai resti della basilica così grande si pensò che fosse priva di copertura, una piazza porticata a cielo aperto, ingenerando una querelle tra gli studiosi (Mau diceva che era coperto). Nel 1928-9 si pone mano al restauro dell’edificio e in particolare del tribunal: questi interventi non sono corretti filologicamente al 100%, dubbi sussistono sulla parte alta del colonnato e dove dovesse chiudersi il tribunal. Il problema della copertura rimane in sospeso. Negli anni 1938- 9 furono effettuati scavi in un angolo della basilica, nel rettangolo rosso della slide: trovarono un grande pozzo e un serbatoio dell’acqua, al cui interno sono rinvenuti antefisse in terracotta, tegole, cioè elementi del tetto che fanno ipotizzare una copertura. La datazione Quando si data la basilica di Pompei? È tra i più antichi del foro pompeiano, decenni finali del II secolo a.C., possediamo degli indicatori cronologici significativi: un graffito che si data con precisione al 78 a.C., è una iscrizione in latino “Calius Tumidius Dipilus hic fuit ante diem quintium nonas octobreis Marco Lepido Quinto Catulo consulibus (78 a.C.)”. A questa iscrizione se ne accompagnano altre in lingua osca. Un altro indicatore cronologico per una datazione alta emerge da alcuni elementi in terracotta che sono sicuramente riferibili alla copertura dell’edificio: tegole che erano un bollo in lingua osca che cita un Numerius Opidius, magistrato della Pompei sannitica. Tutte le iscrizioni osche risalgono a prima della deduzione di Silla. La collochiamo tra gli edifici basilicali più antichi del mondo romano che conosciamo oggi. Secondo alcuni studiosi questo edificio non è una basilica come erano quelle del foro romano, a causa della cronologia, perché era una tipologia architettonica che si era appena diffusa a Roma e pare strano che fosse stata già recepita in campagna. La questione della copertura Problema dibattuto della copertura: assodato che era coperta, ma come? Altro elemento problematico: copre una superficie enorme, una delle superfici basilicali più grandi in Italia. Solo in alcuni centri come Alba Fucens abbiamo 1240 m2 che si avvicina a quella di Pompei. Negli anni 70 del 900 cominciano ad apparire i primi studi scientifici che si occupano della ricostruzione della copertura.  Studioso tedesco Ohr si cimenta in ipotesi ricostruttiva grafica degli alzati del monumento. Ricostruzione a sezione. Colonne interne: ordine gigantesco coronato da grandi capitelli corinzi, mentre i perimetrali non sono pieni fino alla falda del tetto, ma in corrispondenza del secondo livello si lascia uno spazio vuoto per illuminare l’interno della basilica. Immagina che il tetto fosse a un’unica grande capriata che andava dal centro dell’aula fino ai muri perimetrali, poggiando sulle colonne dell’ordine monumentale da un lato e dall’altro sui perimetrali esterni, sopra i capitelli corinzi. I due ordini applicati alla parete avevano un’altezza complessiva uguale a quello dell’ordine monumentale interno. La sua ricostruzione definisce un insieme non armonico però: le colonne dei perimetrali sono in parte applicate alla parete, in parte libere, dove c’è lo spazio vuoto per la luce. Un’altra criticità sollevata è il fatto che lo studioso non si sia preoccupato di come dovesse apparire la facciata verso il foro.  Recentemente uno studioso italiano, Vaccarella, ha proposto un’altra ipotesi. Problema relativo alla copertura a capriata unica: un tetto a doppie falde con capriata avrebbe le falde lunghissime, e sarebbe pesantissimo (1 tegola = 25-30kg), e se piove molto forte l’acqua scende in maniera violenta perché non è spezzata. Quindi lo studioso italiano Vaccarella ipotizza una soluzione diversa. Sempre a sezione. La falda unica viene spezzata in due, e ipotizza che al di sopra dell’ordine gigantesco centrale si elevassero dei muri che a distanze regolari erano aperti con finestre e permettevano alla luce di piovere all’interno della navata centrale. Anche sezione est-ovest. La ricostruzione ha notevoli vantaggi: soluzione armonica e poi ricorda delle soluzioni architettoniche che troveremo anche nel mondo paleocristiano (discussione se le basiliche paleocristiane derivino da quelle romane). A sostegno ulteriore, lo studioso ha ripreso in considerazione anche le tegole e gli elementi di copertura rinvenuti svuotando il pozzo negli anni 1928-9: tegole di dimensioni diverse, una molto più grande e una più piccola, che andavano in punti diversi. I tegoloni maggiori coprono la parte centrale, quelli minori ai lati. Le tegole grandi erano 1,35x0,9 m. I bordi del tetto avevano le antefisse: decorazioni di tipo vegetale con cespo centrale di acanto da cui si sviluppano delle palmette. Queste terrecotte erano dipinte con colori vivaci. L’interno della basilica Lungo i lati lunghi della basilica, lo spazio delimitato dalle semicolonne ioniche presentava una decorazione ottenuta tramite stucco poi dipinto. È immaginata come la riproduzione di una parete costituita da blocchi lapidei delle identiche dimensioni in altezza: vuole imitare in pittura e con lo stucco una parete di blocchi in muratura, ma è una finzione. Definito primo stile (impropriamente) pittorico pompeiano: non si tratta di una vera e propria pittura perché l’elemento base è lo stucco, ma è così in tutto il primo stile. Il I stile pompeiano È un’invenzione pompeiana / italica il primo stile? No, è una ripresa di un sistema di decorazione pittorica greco ellenistica. Come si strutturava una parete in primo stile? Sulla base di collazione, possiamo immaginare la decorazione della basilica. Consiste in alcune fasce ricorrenti e la struttura della parete è immaginata secondo una ripartizione in fasce orizzontali. Partendo dal basso:  prima fascia a contatto col pavimento piuttosto alta (plinto/zoccolo: campitura monocroma, di colore scuro);  sopra, una seconda fascia di grandi riquadri rettangolari (fascia a ortòstati), parte maggiormente visibile perché a livello degli occhi;  poi, costruzione in blocchi lapidei regolari (opera isodoma). Nel caso della basilica vediamo l’opera isodoma, la vediamo bianca perché la pittura è caduta. 26-04-22 La realizzazione degli stucchi in epoca romana seguiva sempre una sorta di percorso sofisticato e complesso, caratterizzato nella stragrande maggioranza dei casi da un lavoro che veniva eseguito direttamente sulla parete, a differenza di quelle che saranno le produzioni di stucchi nei secoli successivi, dove c’è l’utilizzo di stampi. È stato proposto che la lavorazione sulla parete partisse dall’alto verso il basso: per far ciò, usavano ponteggi o impalcature che gli permettessero di procedere. Parete in opera cementizia, incerta ecc. poi veniva steso un abbondante strato di stucco che aveva la funzione di un arriccio (base per affresco). Su questo arriccio veniva realizzata la sinopia (disegno a pennello). Sezione di un muro preparato per ricevere decorazione pittorica: il supporto murario viene rinzaffato, cioè calce e sabbia che riempiono i buchi o irregolarità. Poi si stende il cosiddetto arriccio (strato abbastanza spesso su cui poi verrà steso l’intonachino, ulteriore rivestimento in calce e sabbia molto fine, su cui viene stesa la pellicola pittorica). Per la pittura: strati preparatori diversi della parete: si tratta di pellicole sempre più raffinate da interno a esterno, poi pittura. Per gli stucchi avevamo uno spesso strato di arriccio e poi la vera e propria sinopia. Strato di malta in corrispondenza delle zone in aggetto: i blocchi dell’opera isodoma sono in leggero aggetto. loto). Altri mosaici: credenza da cucina in cui in alto c’è un gatto che ha artigliato un volatile, in basso ostriche, pesci, volatili più piccoli. Animali del mondo egiziano, lo sappiamo dal particolare del fiore di loto. Il proprietario di casa si può permettere dei cibi e prodotti che vengono da terre lontane. Da un lato la ricchezza viene esibita, dall’altra la ricchezza materiale è esibita nel mosaico delle colombe con perle bianche, che arrivavano dall’India o golfo persico. Il mosaico col gatto è molto più elevato dal punto di vista stilistico, rispetto a quello delle oche. A seconda dell’ambiente di maggiore o minore rappresentatività si fanno realizzare rivestimenti più o meno elevati. 28-04-22 Colpisce la varietà di beni e prodotti e di conoscenze, cioè il richiamo al mondo egizio, che serve per esibire lo status sociale e la ricchezza del proprietario e soprattutto la sua padronanza culturale, di cibi, prodotti e paesaggi, di aree diverse del Mediterraneo. Altro mosaico con scena marina: in primo piano pesci ritratti con particolari specie ittiche, rappresentazioni reali, anche polpo e gamberi, varietà marine che potevano essere servite sulle tavole romane. Motivi attinti dalla tradizione ellenistica. Stanno ad indicare le facoltà economiche del proprietario da un lato, dall’altro le conoscenze del proprietario in fatto di generi alimentari che venivano da aree molto lontane. Da questi mosaici possiamo trarre una riflessione importante: il cibo è per il proprietario della casa uno dei temi basilari della rappresentazione sociale. Esibire cibi esotici e raffinati per esibire il proprio potere economico, che va di pari passo con l’esibizione della ricchezza. Anche vasellame di argento con incisioni complesse, tipo omeriche, ma anche caducità della vita con scheletrini (cfr. Cena Trimalchionis). Questi mosaici erano per lo più concentrati nel settore di rappresentanza. Da una parte gli schiavi più semplici che facevano parte della famiglia ma svolgevano ruoli terrificanti ed erano confinati in zone specifiche, tipo la cucina. Dall’altra gli schiavi più vicini al padrone di casa e ai componenti della famiglia, quelli colti come i pedagoghi o che servivano al banchetto del padrone. Poi c’erano i parenti e gli amici. E poi le persone del mondo esterno che interagivano con il padrone di casa: clientes, invitati di banchetti o feste. Ognuna di queste azioni si svolgeva in un ambito ben specifico. Nelle stanze dedicate al banchetto frequentemente ricorrono i temi dionisiaci e dall’altro ci sono scene erotiche confinate nei cubicola. Anche raffigurazioni più complesse, mitologiche o storiche, che trovano posto negli ambienti di rappresentanza. La varietà di ricchezza culturale di alcuni di questi proprietari è la cartina di tornasole della crescita economica della famiglia, ma anche la spia dell’introduzione nella penisola italica di cibi che fino ad allora erano sconosciuti. Le campagne in Oriente furono occasione di conoscere altri mondi e cibi: ciliegie (dopo Lucullo vs Mitridate re del Ponto), pavoni (consumati o allevati per essere esibiti, riprodotto sugli affreschi, cfr. Oplontis). Il signore della domus del Fauno come il dinasta ellenistico esprime in tal modo il suo ruolo all’interno della città. Si tratta di un mondo sviluppato dopo i primi secoli di espansionismo romano, che porta anche a una trasformazione forte nel gusto del cibo e della decorazione. Gli avanzi di cibo o le parti non commestibili venivano gettati sul pavimento per essere poi spazzati via dalla servitù: diventa fonte di ispirazione per artisti, che rappresentano i mosaici asàrotos oikos. Nella casa del Fauno ci sono tanti pavimenti con emblemata, si concentrano attorno all’atrio tuscanico. Ingresso: il pavimento presenta decorazione particolare. C’erano degli itinerari preconsolidati che venivano utilizzati da una specifica classe di persone che entravano nell’abitazione. Nell’ingresso c’era un pavimento costituito da una serie di lastrine triangolari di pietre di colore differente che venivano accostate a formare il disegno geometrico. Lo stesso tipo di disegno geometrico lo troviamo anche nel fondo della vasca dell’impluvium, al centro della quale abbiamo dei rombi. Il pavimento del tablino ha un motivo a cubi prospettici, tappeto centrale circondato da tessere di mosaico. Questi pavimenti in pietra di ingresso, impluvium e tablinum erano chiamati scutulatum dai romani, ce lo dice Plinio. Plinio dice che questo tipo di pavimento in commessi di marmo fu realizzato per la prima volta a Roma nel tempio di Giove Capitolino subito dopo la seconda metà del II secolo a.C.: è un tipo di decorazione pavimentale che ebbe enorme fortuna fino ad Augusto, sia per decorare pavimenti sia pareti (cfr. casa dei Grifi a Roma). Anche nel tempio di Apollo a Pompei nella ristrutturazione di II. Chi entrava nella casa del Fauno dall’ingresso, non poteva non accorgersi che questi pavimenti erano realizzati nello stesso materiale e con gli stessi schemi decorativi degli edifici pubblici di culto, tipo il tempio di Apollo a Pompei. Il pavimento del tablinum risultava leggermente sopraelevato rispetto al piano di calpestio: nella mentalità antica il rialzare il pavimento di una stanza indica che quella stanza è più importante. Questi rialzati connotano anche alcune porzioni delle celle di edifici templari. Chi percorre questi ambienti è proiettato in un mondo pubblico. Ma nel passaggio tra ingresso e atrio toscanico c’è una soglia a tessere di mosaico: motivo figurativo molto complesso in cui l’elemento principale è un grande fregio vegetale, ghirlanda di frutti, all’interno della quale emergono delle maschere teatrali tragiche ed elementi circolari, che sono i tamburelli usati nelle processioni dionisiache: ci dice che entriamo in una dimora in cui sono condivisi i piaceri della vita che si svolgono sotto il segno del dio Dioniso. A partire da questa soglia e proseguendo lungo i lati dell’atrio, incontro una serie di stanzette in alcune delle quali sono conservati i mosaici. Rappresentano temi legati alla sfera privata. A destra del tablinum: emblema racchiuso da doppia cornice con fregio vegetale e maschere, e poi motivo ad onde correnti, al centro: corona di edera (pianta sempreverde, complementare della vite), è un putto, in mano una coppa di vetro traslucida all’interno della quale si vede il vino. Rimanda tutto al mondo di Dioniso, anche la tigre: i romani la conoscono per i contatti con l’India, animale già messo in relazione con Ale Magno. Dioniso è la divinità che conquista l’oriente: la tigre diventa il simbolo dell’assoggettamento dell’Oriente da parte di qualcuno. Questi mosaici così colti riflettono ancora l’importanza dei percorsi e delle scene rappresentate. In uno dei cubicola, scena erotica di satiro e menade, ancora una volta personaggi del corteo dionisiaco. 03-05-22 I mosaici: produzione e mercato Esisteva una bottega di mosaicisti di alto livello che operavano in loco a Pompei, oppure è possibile che i mosaici provenissero già completamente finiti da altre zone del Mediterraneo antico, in particolare gli emblemata? La maggior parte degli studiosi ritiene che i quadretti più raffinati provenissero da lontano: esistevano nel Mediterraneo antico dei centri di produzione di questi prodotti di lusso che venivano poi inviati a destinazione in base alla richiesta di una ricca committenza. Gli emblemata non erano realizzati sul pavimento, ma l’artigiano lavorava su un banco. Ci si è anche chiesti se questi quadretti della pars dominica della casa del Fauno non fossero stati acquistati presso una bottega di antiquariato. Qual è il luogo dove i quadretti sono stati prodotti? Non ha un grossa rilevanza perché in questo periodo storico ma anche prima conosciamo l’attività di artisti itineranti, che si spostavano da un centro del Mediterraneo antico all’altro. Un esempio di questi artisti itineranti lo abbiamo anche nel caso di Pompei: villa di Cicerone, extraurbana, fuori dal circolo murario. Rappresentazioni di scene tratte dal mondo teatrale: recano in un punto della tessitura musiva un’iscrizione che li attribuisce a Dioscuride, detto di Samo. Se si guarda lo stile, si possono ipotizzare vari centri di produzione, famosi in questo periodo: l’isola di Delo, ma mosaici della stessa qualità si trovano anche in Sicilia, e soprattutto le scene nilotiche rimanderebbero al mondo dei Tolomei, anche Malta. Un elemento di valutazione in più di connessione con l’Egitto del proprietario della casa del Fauno è la statuetta del fauno danzante: tutte le repliche che si conoscono provengono dall’Egitto. Altro aspetto interessante è che l’atmosfera dionisiaca non è concentrata nelle zone più appartate ma viene ostentata già nell’atrio tuscanico e sottolineata ulteriormente dalla statuetta che decorava l’impluvium. Sembra cogliersi un senso quasi cosmico e corale dell’energia vitale della natura, che viene declinata nella rappresentazione di animali domestici e belve, nella scena del paesaggio nilotico, in un mondo in cui compaiono esseri demoniaci e semiferini che circondano idealmente l’uomo. Ma l’uomo normale non compare mai, si viene proiettati in una dimensione altra, differente. Il mosaico di Alessandro vs Dario: info tecniche La casa del Fauno è famosa però soprattutto per il mosaico di Alessandro. Fu messo in luce il 24 ottobre 1831 nell’ambiente 37: si poneva tra i due grandi cortili a peristilio della casa. È un tema che era molto diffuso nelle dimore aristocratiche della città di Pella in Macedonia, perché faceva parte di un ciclo di rappresentazioni esaltanti la monarchia macedone. Nel caso della dimora pompeiana il soggetto decorava un ambiente chiamato esedra, destinato al soggiorno e ricevimento degli ospiti. Questa esedra era già monumentalizzata in facciata tramite la presenza sul suo fronte di due colonne che si trovavano sul prospetto principale e una soglia che rappresentava ancora una volta una scena nilotica. Questa esedra presentava decorazione pittorica a stucco nel primo stile pompeiano, e nella porzione bassa della parete era dipinto una sorta di podio al quale era appeso una sorta di drappo, a simulare una pedana molto alta. La decorazione di primo stile pompeiano era interrotta più o meno a metà parete da un fregio in stucco, in cui erano rappresentati i centauri alle nozze di Piritoo. Il pavimento misurava †5,12mx2,71m†. Tutto intorno c’era una cornice di profilatura che portava l’emblema centrale a raggiungere 5,82mx3,13m. La scena figurata è circondata su tutti i lati da una fascia di tessere a mosaico a fondo bianco: in corrispondenza della soglia è 30cm, sui restanti lati 1m. Inoltre, il pavimento musivo complessivo della stanza è costituito da trame diverse: le tessere utilizzate sono differenti per dimensioni: tessere da 1cm2 sono usate nella zona pavimentale concepita come un’area di compensazione tra la scena figurata e il resto dell’ambiente. Cioè la zona bianca ha delle tessere da 1cm2. Il fatto che la fascia bianca non sia sempre uguale indica che la scena figurata non fosse stata inizialmente concepita per questo ambiente. Le medesime tessere di 1cm di lato sono state utilizzate per realizzare il motivo a dentelli (rettangoli stretti e allungati) che corre tutto intorno alla scena figurata. Diversamente, le tessere utilizzate per la rappresentazione della scena di battaglia, così come le tessere utilizzate per le 4 borchie floreali che corrispondono agli angoli della cornice a dentelli presentano tessere di dimensioni molto piccole ciascuna delle quali misura in media 3 mm. Questa dimensione minuscola delle tessere e il loro accostamento avevano lo scopo di imitare nel mosaico una superficie pittorica, e nella veduta a distanza del soggetto centrale si stemperavano e perdevano i movimenti dati dall’accostamento delle tessere: da lontano sembrava una superficie uniforme. La tecnica di composizione con le tessere millimetriche viene detto opus vermiculatum, che si differenzia dal semplice tessellato per l’accurata disposizione degli elementi lapidei. Nell’opus vermiculatum le tessere sono collocate secondo percorsi ondulati o circolari, sensibili alla forma figurata. Furono utilizzate 4 milioni di tessere. La differenza nelle dimensioni delle tessere è stata spiegata con il fatto che il mosaico non era stato realizzato in un unico momento storico, ma erano state praticate delle integrazioni rese necessarie a seguito di danni causati dall’azione di distacco della scena figurata dalla sua sede originaria e durante il trasporto alla città di Pompei. Che ci fu un intervento di stacco si è notato osservando che al centro ci sono tessere che seguono un andamento più rettilineo, come se fosse stato tagliato in due parti e poi riassemblato a Pompei. Che ci siano stati interventi e manomissioni era già emerso osservando come l’occhio di Ale fosse inesatto nel disegno anatomico (dalle proporzioni eccessive), in netto contrasto con l’attenzione assegnata ad ogni singolo dettaglio nelle teste. Anche le tessere dell’occhio sono difformi per dimensione dal resto delle tessere, segno che è stata operata una integrazione nel volto di Ale. È un fenomeno circoscritto solo alla casa del Fauno? No: mosaico di Pella, caccia al leone di Ale + Efestione. Gli occhi sono dei bulbi vuoti. Anche in altri pavimenti di Pella, usati fino al 168, anno della conquista romana. Ha fatto pensare che i bulbi erano fatti con pietre semipreziose e che furono tolti nel passaggio tra macedoni a romani. Si ritiene che ci fosse il lapislazzulo. Una simile ipotesi potrebbe essere anche nel caso dell’occhio del nostro Ale. Anche questo mosaico della casa del Fauno potrebbe provenire dalla Macedonia. Il mosaico con scena di battaglia è stato tolto da una dimora di Macedonia per essere portato a Pompei, strappo collocabile tra 120-110 a.C., quando la casa del Fauno raggiunge la massima espansione e si costruisce l’esedra. Oltre alla scena figurata, dall’Oriente provengono anche le 4 borchie floreali che decorano gli angoli della cornice a dentelli: abbiamo l’opus vermiculatum e in più sono di un livello qualitativo molto alto. Anche il motivo della cornice a dentelli con borchie floreali agli angoli si trovano in mosaici provenienti dal Mediterraneo orientale. Abbiamo due significative testimonianze archeologiche: dal santuario di Xantos in Asia minore. Mosaico di età ellenistica in cui si vede chiaramente che è stato esportato l’emblema centrale, compare una cornice a dentelli che circondava l’emblema centrale, mentre questa cornice a dentelli risulta asportata solo in corrispondenza dei 4 angoli. Altro esempio da Rodi, in cui da un mosaico ellenistico sono stati tolti gli elementi angolari di una cornice a dentelli, che invece è stata lasciata in ellenistica, che ha vasta diffusione nel mondo romano già dalla metà del II secolo a.C. I santuari del Lazio, tipo quello di Gabi e di Ercole vincitore a Tivoli, sono concepiti in questo modo: grande terrazza con al centro il tempio, circondato su tre lati da un portico. La disposizione su terrazze dei santuari permette di sfruttare le diverse altimetrie che servono anche per scenografia. Succede anche per il nostro santuario, che si trovava in un angolo del ciglio meridionale e dominava la zona in cui scorreva il fiume Sarno. Posizione enfatica del tempio di Venere al centro. Ai piedi del ciglio lavico ci sono tanti ambienti in batteria con stanze uguali, degli horrea: magazzini di derrate alimentari. La posizione è giustificata dalla vicinanza col fiume Sarno. Zona vocata al commercio e ai depositi alimentari: sottolinea che Venere viene investita della funzione di protezione delle merci e dei commerci. Assume così un’altra funzione: permette che la navigazione vada a buon fine, nella mentalità dei Pompeiani. La trasformazione riguarda anche le decorazioni minori delle case private: diffusione di nuove mode e soggetti particolari, che ci aiutano a comprendere l’ideologia che stava alla base del nuovo modo di vivere. Nuovi capitelli d’anta nella case del Fauno, ad esempio, colonne con capitelli in generale. Capitelli pompeiani: la particolarità è che non ci sono solo elementi vegetali, ma introduzione dei capitelli figurati, con divinità o uomo e donna a banchetto. Altri capitelli mostrano Dioniso, con corona di pampini, affiancato da eroti. Altri capitelli mostrano animali mitologici come sfinge e grifone. Anche questi fanno parte dell’esibizione della ricchezza dei personaggi. Molti di questi soggetti rimandano sempre al banchetto. Il padrone di casa si vorrebbe presentare come Dioniso stesso ai suoi ospiti, sempre per sottolineare il godimento delle bellezze della vita finché si è vivi. Le religioni salvifiche arrivano dopo, in questo momento storico non c’è una credenza nell’aldilà. Sono tutti richiami al carpe diem. Prime realizzazioni di edifici per spettacolo, costruiti in materiale non deperibile, con un certo anticipo rispetto alla città di Roma. L’anfiteatro per i giochi gladiatori, prima nel foro (a Roma il primo è il Colosseo), poi l’Odeion e il teatro (mentre il primo a Roma si ha solo con Pompeo). Perché? L’influenza greca è fortissima e poi a Roma c’era un’ostilità da parte del sanato nel far realizzare grandi monumenti per luoghi di riunione di grandi masse, che potevano diventare dei fortilizi durante le rivolte. Nella decorazione del teatrum tectum (Odeion) c’è tanta ispirazione greca: Telamone che sorregge in testa enormi carichi, molto in voga in teatri greci e magno greci. 10-05-22 La definizione dello spazio urbano all’indomani della deduzione coloniale avvenne attraverso la ristrutturazione del suo stesso limite fisico. Tratto delle mura di cinta: restauro alle mura pompeiane danneggiate dall’assedio di Silla. Iscrizione che informa che le mura merlate della città sono rifatte intorno all’anno 70 a.C. Come mai ci fu bisogno di risistemare le mura? Alcuni hanno messo in rapporto il restauro con le minacce di Spartaco, la rivolta schiavile, che era proprio in questa zona. Restauri interessarono anche le principali porte urbiche della città: porta Nocera, porta Marina, porta di Nola e forse porta Ercolano. Interventi che riguardano il piano stradale che viene ribassato per favorire ai carri un più comodo accesso alla città. Gli interventi di epoca sillana sono limitati all’essenziale e ispirati a criteri di economicità: giustificato con il periodo di grandi turbolenze e instabilità economica della regione. Che cosa accade alla zona portuale? Noi non lo sappiamo perché le indagini archeologiche hanno interessato di più la città. Nella stessa ridefinizione della centralità dell’area forense, va anche inserita la costruzione delle monumentali Terme del foro, dovuto all’intervento di personaggi di cui abbiamo ancora i nomi, sulla slide in rosso. Si conservano due iscrizioni che commemorano lo stesso fatto: i personaggi intervennero nella costruzione, realizzazione e verifica dei lavori di costruzione del grande complesso monumentale di terme. I magistrati intervengono nella costruzione di un edificio pubblico perché i magistrati eletti erano tenuti a versare una somma di denaro alle casse della città. Con questi soldi spesso potevano cofinanziare o la costruzione di monumenti oppure allestire dei ludii, giochi o spettacoli. Nel caso delle terme del foro i magistrati ci misero anche del loro. Ci troviamo di fronte a una delle prime installazioni termali complete che conosciamo nell’Italia antica. Le terme erano un importante luogo di ritrovo, dove si poteva anche trattare di affari, in un ambiente protetto e abbastanza riservato. Le terme si compongono di alcuni ambienti caratteristici, a seconda del percorso da far percorrere all’utente: o il passaggio da una stanza a temperatura ambiente fino ad una ad altissima temperatura, oppure si procedeva dalla più calda a quella a temperatura ambiente. Queste terme hanno uno schema di distribuzione degli ambienti che non è quello che si troverà nelle terme imperiali, perché queste sono tra le più antiche. L’influenza del mondo orientale e greco è molto forte: come nucleo centrale distributivo un grande cortile colonnato che serviva da palestra anche, numero 1. La prima stanza (3?) utilizzata è apodyterion (spogliatoio), dove le persone lasciavano i vestiti nelle nicchie. Poi le stanze 2-4-5: 2 è stanza a pianta circolare, il laconicum, una sorta di bagno turco, poi si passava alla 4, il tepidarium, con temperatura media, e poi al 5, il calidarium, in genere caratterizzata da un grande bacino con acqua fresca per ritemprarsi. Tepidarium e calidarium erano riscaldati tramite bracieri, mentre nelle terme imperiali il riscaldamento avveniva immettendo un flusso di aria calda al di sotto dei piani pavimentali, che dovevano essere sopraelevati allora. Della decorazione originaria delle terme del foro appartengono i telamoni in terracotta che decoravano le pareti dello spogliatoio, in senso esornativo. I telamoni sono ripresi dall’ellenismo, soprattutto nei teatri. Dopo il terremoto del 62 si procede alla decorazione della volta con il rivestimento in stucco. Un altro intervento importante riguarda l’area del foro triangolare: viene costruito il cosiddetto teatrum tectum (Odeion), cioè un piccolo edificio dotato di cavea, dalle dimensioni ridotte e completamente chiuso nella parte alta. Nel mondo antico i teatri non erano coperti in modo permanente, solo tendoni per proteggere dal sole. Destinato alle attività musicali. Un’iscrizione ci informa sui magistrati che presero a cuore la costruzione dell’edificio: Caius Quinctius Valgus, e Marcus Porcius. Questi due personaggi sono tra i più rappresentativi della nuova classe dirigente arrivata con l’avvento di Silla. Il primo personaggio, Valgus, rivestì importanti cariche in diversi municipi campani immediatamente dopo la guerra sociale, e doveva all’intervento di Silla la sua immensa ricchezza. Marcus Porcius anche ebbe proprietà da Silla, sottratte ai precedenti proprietari, e occupava già un ruolo di rilievo tra i commercianti della regione. Spettacoli musicali tipo archimimi, di cui lo stesso Silla era autore, e piacevano tantissimo ai soldati. Quando nel 70 i due personaggi rivestirono la carica di duumviri quinquennali (censimento della popolazione), dedicarono un altro edificio importante: costruirono l’anfiteatro, precisando che questo immenso edificio, che in un’iscrizione indicano ancora come Spectacula, fu pagato con soldi loro. Per motivi di economia, il grande edificio fu realizzato all’interno del perimetro delle mura ma sfruttando l’angolo sudorientale. Perché così decentrato? Potevano sfruttare l’aggere (terrapieno interno) delle mura per appoggiare una parte delle gradinate. Al centro arena, intorno muro del podio che serviva per impedire che gli animali potessero saltare sulle gradinate, poi dietro le gradinate cavea per gli spettatori. I sedili appoggiavano sulla terra, non c’era i sistema di volte che abbiamo nel Colosseo. Si presenta con una serie di arcature che reggono il muro. È molto semplice come anfiteatro, perché è anche uno dei più antichi. Ai livelli superiori delle gradinate si accedeva con delle scale a due rampe appoggiate alla cortina esterna. Il monumento non sorse in un terreno privo di costruzioni precedenti, ma in una zona che all’epoca era piuttosto urbanizzata. Testimonianza dell’occupazione si ha già da case databili a pieno III secolo, rinvenute nell’area occupata successivamente dall’arena dell’anfiteatro. I tempi e i modi di abitazione sono stati messi in relazione con la costruzione dell’anfiteatro. Caso di esproprio. Entriamo nel cuore dei passaggi di proprietà e confische dell’epoca sillana, i cui contorni sembrano però ancora sfuggirci. È comunque degno di nota che a partire dal 70 a.C. un centro tutto sommato piccolo della Campania possedesse un anfiteatro di cui Roma era sprovvista. Anche due edifici termali (terme del foro e terme stabiane) e un Odeion. Già nel I secolo a.C. presentava elementi di una vita pubblica attiva e diversificata. L’anfiteatro di Pompei è noto anche per la sua rappresentazione in pittura. Vi fu un avvenimento storico citato negli Annali di Tacito. Affresco da Pompei. Traduce in immagine un avvenimento storico di cui ci parla Tacito nel XIV libro. Nel 59 d.C., sotto Nerone, scontri tra Nocerini e Pompeiani durante uno spettacolo gladiatorio. Si aboliscono per 10 anni gli spettacoli gladiatori. Nell’affresco l’anfiteatro è riprodotto con realismo. All’interno i gladiatori, intorno il podio dipinto di rosso e giallo, finto rivestimento di marmi. Al di fuori la gente che si mena. L’anfiteatro di Pompei viene trovano nel 1813, durante l’occupazione francese, e in quell’occasione furono messi in luce dei tratti di muro del podio. Il podio era decorato con pitture che si sciolsero nel giro di pochi anni, ma ne furono realizzati degli acquerelli fortunatamente. N 267: personaggi e oggetti di differente tipo, in primo piano due gladiatori, entrambi con lancia, gonnellino, gladio, braccio con protezione; ai lati due erme e candelabri. N 268: al centro magistrato che traccia un cerchio nella sabbia dell’arena, due gladiatori ai suoi lati, uno suona una tromba, l’altro si sta vestendo con l’aiuto di due inservienti. Il magistrato è l’editor muneris oppure il lanista, cioè il proprietario della scuola dei gladiatori. Negli angoli due vittorie alate che hanno una corona e un ramo di palma. Altri pannelli rappresentano lotte tra animali o venationes. In altri pannelli vittoria alata sul globo, alternate ad erme e candelabri. Le raffigurazioni dipinte richiamano sia le lotte sia temi iconografici di natura mitologica religiosa. Ai munera alludono sia le esplicite scene di combattimenti sia i gladiatori sia i cumoli d’armi. Alle venationes si riferiscono i soggetti con animali. La vittoria viene presentata in epoca imperiale come la virtus bellica celebrata nell’arena. Il legame tra gli spettacoli anfiteatrali e la dea Vittoria diventa importane soprattutto dopo Augusto. Queste pitture sono successive al terremoto probabilmente, tra 62 e 79. Tomba di Umbricio Scauro: scene di cacce e giochi gladiatori, forse aveva finanziato dei giochi. Lo spettacolo della violenza era anche un monito per i cittadini: tra i gladiatori combattevano coloro che si erano macchiati di misfatti, e poi prima c’erano le damnationes ad bestias. Quindi momento catartico + monito. È anche un esempio di arte plebea, in cui sono visibili elementi ricavati dall’arte colta, tipo la rappresentazione di edifici in un paesaggio, ma anche soluzione divergenti rispetto ai modelli aulici di derivazione. Prospettiva ribaltata, si allontanano dalla rappresentazione veristica ellenistica. A loro interessava la leggibilità della scena. Il II stile pompeiano (80-età augustea) Dall’epoca sillana in poi comincia anche a prendere piede un nuovo modo di dipingere le pareti. Fino adesso c’era il primo stile pompeiano. A partire dall’80 comincia a diffondersi il secondo stile pompeiano. Lo sviluppo di questo gusto segue limiti cronologici precisi: 80-età augustea. Abbiamo inoltre la fortuna di avere una guida autorevole antica, una fonte faziosa per certi versi: Vitruvio nel De architectura 7,5 ne indica le linee di sviluppo e le tendenze. La parete si trasforma in parete scenografica, con città e paesaggi, scene tragiche comiche satiriche, rappresentano i dipinti che costituivano i velari che venivano sollevati durante gli spettacoli teatrali, e un determinato tipo di pittura a seconda delle funzioni delle stanze. In più, megalografia: rappresentazioni di immagini quasi a dimensioni reali. Cambio fortissimo rispetto al primo stile. A Vitruvio non piace, perché si allontana troppo dai canoni di purezza greca. 12-05-22 Paesaggi, temi iconografici di vario tipo, megalografia, riferimenti al mondo mitologico, come Ulisse. Il passo di Vitruvio offre terreno al dibattito relativo all’origine di una parte di questo secondo stile. Nel parlare di pareti decorate del tipo scaenarum frontes, palcoscenici, dice che c’erano rappresentazioni tragiche, comiche e satiriche. Molti sostengono un’origine teatrale di questa moda pittorica. Altre ipotesi: architetture ellenistiche. Il dibattito sulle origini non è ancora concluso e ciascuna scuola di pensiero ha dalla sua degli elementi convincenti. Il secondo stile pompeiano si colloca agli inizi del I a.C. Nella decorazione parietale, gli elementi architettonici che avevano contraddistinto il I stile pompeiano vengono in parte mantenuti. finestre di un’abitazione privata che fino ad allora guardavano nello spazio sacro: si isola l’ambito sacrale da quello pubblico. I magistrati pagarono ben 3mila sesterzi ai proprietari. Di fianco alla scalinata viene eretta una colonna con sopra un orologio solare. Un’iscrizione ci dice che questo intervento è da ascrivere a due personaggi, sulla slide. Sembrerebbe un dono da poco quello della meridiana, ma deve essere visto alla luce della costruzione in campo Marzio di un grande orologio solare con gnomone obelisco dall’Egitto. Un altro personaggio offrì durante il suo primo duovirato dei giochi in onore del dio Apollo nel foro: una parata, una corrida con tori, tre coppie di spadaccini, pugilatori, pantomimi, e 10mila sesterzi donati al popolo. Il tempio di Apollo e i portici che lo circondavano subiscono un’ulteriore intervento di riqualificazione nei decenni centrali del I d.C.: la decorazione pittorica della cella viene rifatta, gli architravi e il frontone del tempio furono rivestiti da decorazioni in stucco. Allo stesso modo l’architettura dorica dei portici fu modificata: nel fregio le metope e i triglifi sparirono al di sotto di uno strato di stucco decorato con figure di grifoni; i capitelli dorici furono scalpellati e ricoperti da foglie ed altri elementi vegetali modellati in stucco. Si aggiornano alle mode di Roma. Cfr. tempio arcaico, di II, sillano. L’aspetto più interessante è la costruzione di nuovi edifici sul lato orientale del foro, tutti riservati al culto imperiale, alla venerazione del genius Augusti e poi degli dèi veri e propri quando muoiono. Prima c’erano delle abitazioni e botteghe che vengono espropriate e rasate per costruire i nuovi santuari. Sono 3: tempio centrale cosiddetto di Vespasiano (forse costruito dalla sacerdotessa Mamia), edificio di Eumachia (colei che ha finanziato la costruzione dell’edificio), edificio del culto imperiale dei cosiddetti Lari pubblici. Tempio di Vespasiano: cosiddetto perché nominato così dagli scopritori, ma in realtà augusteo. Altare circondato da tre muri e un porticato. Tre parti: un tempio costruito su un alto podio, raggiungibile da due scalette laterali, che aveva un fronte tetrastilo, di cui rimane solo la struttura in mattoni perché tutti i rivestimenti sono stati asportati dopo il terremoto del 62 e il tempio non è stato restaurato; altare di marmo decorato sui 4 lati con soggetti religiosi e che rinviano ad Augusto; muro di fondo. Chi entrava nel cortile si trovava di fronte all’ara: scena complessa: in primo piano una scena di sacrificio, con sacerdote che sta compiendo una libagione e poi un giovane toro accompagnato da due personaggi maschili, i victimarii, poi altri inservienti che aiutavano il sacerdote, i Camilli (fanciulli di nascita libera e nobile che aiutavano nelle cerimonie sacre), con patera e vassoio; sullo sfondo un suonatore di flauto e due littori; la scena si svolge davanti a un tempietto tetrastilo. Rappresenta la consacrazione dell’edificio templare alle spalle dell’altare. Su uno dei fianchi sono rappresentati una ghirlanda di fiori e frutti e poi salvietta asciugamano, cassetta aperta con incenso, lituus bastone ricurvo caratteristico dei sacerdoti. Sul fianco opposto ancora elementi che richiamano al rito: la patera, l’attingitoio e una brocca. Ai fianchi allora esaltazione della ritualità. La fronte dell’altare che guarda verso il tempio presenta al centro una grande corona di quercia affiancata da due piante di alloro, pianta sacra ad Apollo. La corona di quercia veniva data al soldato che aveva salvato un compagno, per traslato Augusto aveva salvato i Romani dalle guerre civili quindi diventa suo attributo. Il recinto murario che chiudeva l’area sacra era ornato da una serie di false edicole che si concludevano con frontoni alternativamente di forma triangolare e semicircolare: una soluzione tipica dell’architettura augustea. In Francia, a Nim, c’è il tempio di Diana, dove ritorna questo motivo delle nicchie. Edificio di Eumachia: due grandi iscrizioni, una decorava l’ingresso dal foro, mentre l’altra si trovava sull’ingresso da Via dell’Abbondanza. L’iscrizione dice che la committente è una donna, una sacerdotessa pubblica, la quale fa costruire questo edificio dedicandolo alla Concordia e alla Pietas augusta. Lo fa anche a nome del figlio, Marco Numistrio Frontone, de pecunia sua. Era un santuario particolare perché si componeva di un grande cortile centrale, di una serie di aule sul lato breve orientale, l’aula centrale ospitava le personificazioni divine Concordia e Pietas e dall’altra un ingresso monumentale che si apriva sul foro, il Chalcidicum. È un enorme portico che va ad occupare un grande spazio destinato alle attività pubbliche. Eumachia si deve essere ispirata ad una analoga costruzione (Porticus Liviae) che Livia nello stesso periodo fece costruire sull’Esquilino e lo dedicò al popolo come spazio pubblico di ritrovo, dicendo che lo facevano lei e il figlio Tiberio. Le analogie sono evidenti. Eumachia vuole imitare nella città di Pompei le grandi imprese che la moglie di Augusto stava facendo a Roma: sapeva quello che avveniva a Roma e aveva i mezzi per finanziarlo. Ma Eumachia cita anche il foro di Augusto a Roma nel proprio Chalcidicum. Il chalcidicum è la porzione di edificio che dava sul foro e si trovava tra i portici del foro e l’ingresso dell’edificio di Eumachia vero e proprio. La facciata è mossa: tratti rettilinei, poi absidati, poi di nuovo rettilinei. Fece esporre nelle nicchie delle statue di Enea e Romolo, di cui si sono conservate solo le iscrizioni sui piedistalli. Augusto nel suo foro nelle grandi absidi laterali aveva collocato statue di Enea e Romolo. Il confronto tra l’edificio di Eumachia e il foro di Augusto è anche sostanzialmente nella pianta. Ma soprattutto Eumachia fa collocare davanti alle colonne del portico forense 15 piedistalli rivestiti di marmo con le statue dei summi viri, cioè i grandi personaggi di Pompei, tra cui c’erano anche dei suoi parenti. Celebrazione della Concordia e Pietas ma anche celebrazione della propria famiglia, come aveva fatto anche Augusto nel suo foro. Sempre nel foro di Augusto lungo i portici erano collocati i summi viri della repubblica romana. I restauri riguardano anche il tempio di Giove che viene dotato di due podi su cui erano collocate statue equestri di imperatori e affiancato da due grandi archi monumentali, di cui sopravvive solo quello a destra. Quello a sinistra forse era dedicato a Nerone e fu distrutto prima del 79 per la damnatio memoriae. Anche questo esempio è una citazione di un complesso monumentale del foro romano: a fianco del tempio di Cesare divinizzato sono costruiti due grandi archi in onore di Augusto. Cfr. tempio di II secolo e sillano. Al centro del foro una statua di Augusto e una quadriga di Augusto. Forte legame tra le nuove aristocrazie delle città dell’impero e la domus imperiale: diventa proprio una imitatio Romae. DOMANDE ESAME Foro di Pompei nel I sec d.C. -capitelli dorici: di quando sono? -edificio di Eumachia Carta della casa del Fauno: che parte della casa è? Quali ambienti si vedono? Es. fauces, atrio tuscanicum Quando avvengono le scoperte di Ercolano e Pompei, come vengono trattate dalla politica? -momento di svolta nel trattamento delle pitture (come venivano staccate?) Mosaico della battaglia di Alessandro Magno Pompei in epoca sannitica Area centrale di Pompei nel II sec a.C. Pavimentazione del tempio di Apollo di Pompei nelle ristrutturazioni del II sec a.C.: pavimento a cubi prospettici (domanda fatta a partire da una foto del pavimento: che tipo di pavimento è?) Come si spiega il fatto che la statuetta del Fauno e altri soggetti dei mosaici della casa del Fauno si ispirino all’Egitto? Santuario in località sant’Abbondio Culto di Afrodite è diffuso a Pompei? (Domanda che ha preso spunto dal fatto che lo studente ha citato Afrodite) Tempio di Atena nel foro triangolare: come si spiega la decorazione di Atena accanto ad Eracle? Pompei tra fine II e inizio I sec a.C. Rilievo del cosiddetto tempio di Vespasiano I stile pompeiano
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