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Montale, Appunti di Lingue e letterature classiche

Vita e opere di Montale con analisi

Tipologia: Appunti

2015/2016
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Caricato il 28/05/2016

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Scarica Montale e più Appunti in PDF di Lingue e letterature classiche solo su Docsity! Eugenio Montale 1. La vita 1.1 Gli esordi • Eugenio Montale nasce a Genova nel 1896. Suo padre ha una piccola azienda commerciale e Montale frequenta la scuola tecnica, diplomandosi in ragioniera. • Partecipò alla prima guerra mondiale col grado di sottotenente e, al suo ritorno a casa, s’innamora di Anna degli Uberti, che nella sua poesia canterà con il senhal di Arletta, ed entra nel mondo dell’editoria. • Nel 1925 Montale pubblica la sua prima raccolta di poesie, intitolata Ossi di seppia, in cui emerge il suo pessimismo. 1.2 A Firenze • Dopo aver iniziato una collaborazione con la rivista “Solaria”, che termina presto perché Montale si dichiara antifascista, si trasferisce a Firenze, dove incontra Irma Brandeis (che nelle sue poesie chiama Clizia), una giovane studiosa americana di origine ebraiche, con la quale condivide gli stessi ideali e valori (Clizia, nella sua poesia, rappresenta la civiltà che in questo periodo si è persa). • Irma rimane con Montale fino alla promulgazione delle leggi razziali, quindi ritorna in America, per non tornare mai più. Montale, come scrive nelle sue poesie, spera che un giorno Clizia, la civiltà, possa ritornare e rinascano i valori perduti. • Nel 1939 Montale pubblica le Occasioni, nelle quali afferma che ogni poesia nasce da un’occasione, da un determinato avvenimento. Questa è una differenza rispetto a Leopardi, il quale non cerca occasioni per scrivere poesie, ma queste nascono da un processo mentale. 1.3 Gli anni del dopoguerra • Nel 1956 pubblica La bufera e altro, nel quale parla della guerra in modo indiretto, dove riprende il correlativo oggettivo di Eliot. • Nel 1971 scrive la Satura, che rappresenta una svolta nella sua poetica. Egli, infatti, era convinto che dopo la guerra la società sarebbe mutata, ma in realtà ciò non avviene perché, con il boom economico, la società è diventata consumistica e il suo pessimismo diventa più radicale, perché giunge alla conclusione che non si può far più nulla per migliorarla. • Nel 1975 Montale riceve il premio Nobel per la letteratura e muore nel 1981. 2. Ossi di seppia 2.1 Le edizioni, la struttura e il contesto culturale • La prima raccolta di Montale, Ossi di seppia, viene pubblicata la prima volta nel 1925 e una seconda volta tre anni dopo, con l’aggiunta di nuovi testi e diviso in quattro sezioni. • Nell’opera si evidenzia che il suo pessimismo nasce per la situazione sociale ed economica del tempo e anche dalla filosofia di Schopenhauer che, con il concetto di “non volontà”, afferma che la realtà è una parvenza ingannevole che gli uomini prendono per vera. Questa visione rafforza il pessimismo di Montale, che perde fiducia nell’umanità. • Montale precede la poetica crepuscolare, nel rifiuto dell’aulicità e nell’adozione di oggetti umili, infatti la sua lirica non è elevata, è quasi una prosa, come si può vedere nella poesia I limoni e Non chiederci la parola, nella quale dice di non chiedere nulla al poeta, perché questi non può dare più niente. • Inoltre in quest’opera Montale subisce l’influenza di D’Annunzio, riprendendo alcuni termini, anche se rigettando il suo abbandono sensuale e l’intonazione aulica, e di pascoli, per la scelta di trattare oggetti poveri e umili. Inoltre, mentre la natura descritta da D’Annunzio è meravigliosa, quella descritta da Montale è arida. 2.2 Il titolo e il motivo dell’aridità • Gli ossi di seppia sono i residui calcarei di molluschi che il mare deposita sulla riva. Alludono, quindi, ad una condizione di vita impoverita e arida. • Inoltre gli ossi sottolineano una condizione della poesia che non può più attingere al sublime, ma ripiega sulle realtà misere della vita. • Il tema centrale dell’opera, infatti, è l’arsura e l’aridità. Il paesaggio descritto nei versi di Montale è quello ligure, un paesaggio arido e disseccato dall’aria salmastra e da un sole implacabile, che non è più simbolo di pienezza vitale, come nella poesia di D’Annunzio, ma rappresenta una forza crudele che prosciuga e inaridisce ogni forma di vita. • Questa condizione di vita arida e povera si riflette su un altro oggetto utilizzato spesso da Montale nei suoi versi, il muro, che ha in cima dei cocci aguzzi di bottiglia, impossibile da valicare, per giungere alla verità. • Un altro dei temi ricorrenti in questa raccolta è quello dell’eterno ritorno del tempo su se stesso, nel ripetersi monotono delle azioni e dei gesti. L’uomo si illude di muoversi, di andare in qualche direzione, ma in realtà il suo è un immoto andare. Questo è un punto in comune con Leopardi, il quale si chiedeva a che servisse il ciclo continuo della vita, se essa è destinata al dolore e all’infelicità. 2.3 La crisi dell’identità, la memoria e l’indifferenza • L’individuo che vive questa condizione di disagio e di aridità interiore subisce una sorta di frantumazione dell’anima. Montale affronta dunque uno dei grandi temi della letteratura del ‘900, quello della perdita dell’identità. • Questa frantumazione fa si che il soggetto si senta in totale disarmonia con il mondo esterno. L’unica età in cui era possibile quest’armonia cosmica è quella dell’infanzia, che si perde col passaggio all’età adulta. • Anche la memoria non aiuta l’uomo, per l’impossibilità del ricordo. • L’unica salvezza per il male di vivere del poeta si trova nell’indifferenza: come alternativa il poeta può proporre un atteggiamento di stoico distacco, una saggezza che nasce dalla consapevolezza della reale condizione del cosmo. 2.4 Il “varco” 1 • Il poeta cerca un varco che gli consenta di uscire dalla prigionia esistenziale, ma questo varco non si apre: al massimo egli può nutrire la speranza che qualcun altro riesca a superare il varco che lui non è riuscito ad attraversare. • È significativa la poesia che chiude la raccolta, Riviere (benché cronologicamente è una delle sue prime poesie, ma la colloca alla fine per indicare un punto d’arrivo): Montale auspica che un giorno la sua anima, non più divisa, possa rifiorire al sole. 2.5 La poetica • A differenza di Ungaretti (che diede il via alla nascita dell’ermetismo), Montale non ha più fiducia nella parola poetica come formula magica capace di arrivare all’essenza profonda della realtà (come scrive nell’incipit del suo Non chiederci la parola). La poesia non è in grado neanche di dare messaggi positivi o certezze, ma solo definizioni in negativo di un modo di porsi di fronte alla realtà. • Da ciò deriva il rifiuto di Montale verso la poesia lirica, la musicalità del verso e il linguaggio analogico degli ermetisti (che cercava, cioè, delle corrispondenze tra realtà lontane fra loro). La sua è la poesia degli oggetti. Egli infatti utilizza il correlativo oggettivo di Eliot: gli oggetti rappresentano dei concetti. Inoltre Montale utilizza parole auliche con parole di uso gergale, per far emergere la differenza fra loro. • Il male di vivere, la definizione dello stato d’animo del poeta, è presentato, nella poesia Spesso il male di vivere ho incontrato, non in forma concettuale, ma come un incontro realmente accaduto lungo il cammino della vita. • Come scrive nella poesia I limoni, Montale non ama la poesia aulica, ma preferisce rappresentare una realtà povera e impoetica. 2.6 I limoni • Può essere considerato, assieme alla poesia Non chiederci la parola, il manifesto poetico di Montale. • Nell’incipit Montale si rivolge direttamente al lettore in forma discorsiva e confidenziale (Ascoltami) e afferma di rifiutare i versi aulici e sublimi dei poeti laureati, che vanno incontro ai giusti del pubblico, per descrivere la realtà comune, fatte di oggetti quotidiani e semplici. • Nell’atmosfera di una natura tranquilla, segnata dal sussurro dei rami e dall’odore dei limoni, il soggetto vive un momento privilegiato dell’esistenza, in cui si verifica un’“epifania”: le cose sembrano abbandonarsi a loro stesse e sono sul punto di rivelare il segreto che racchiudono. I limoni, dunque, rappresentano il varco che conduce alla verità delle cose. In questi momenti sembra perfino di poter scorgere la presenza del divino nella natura. • Questa, tuttavia, non è altro che un’illusione ingannevole, anche se momentaneamente confortante, perché la rivelazione attesa non si compie. L’avversativa “ma”, infatti, segna il chiudersi di ogni speranza e corrisponde ad un mutamento del paesaggio: alla campagna si sostituisce la città, dove scompare la natura. • La scoperta dei limoni, che s’intravedono nel cortile, fa rinascere le illusioni. Non è più l’epifania sperata, ma resta almeno la consolazione di un momento di gioia. La poesia, dunque, si chiude con una prospettiva di speranza. 2.7 Non chiederci la parola • Montale si rivolge ad un ipotetico interlocutore e usa per se stesso la prima persona plurale, coinvolgendo anche gli altri poeti. Montale si descrive non come un poeta decadente, ma come influenzato dai crepuscolari. • Nella prima quartina Montale afferma che la poesia non è in grado di portare ordine nel caos interiore dell’uomo. La parola poetica dovrebbe dare senso alla vita, ma il poeta afferma che essa non è in grado di svolgere questo compito. • La quartina centrale rappresenta una polemica nei confronti dell’uomo sicuro di se, il conformista, appagato e integrato nella società, che non si pone domande e non si preoccupa della sua ombra, simbolo degli aspetti negativi della sua esistenza. La vampa del sole si collega al motivo dell’aridità, perché la luce mette in evidenza il lato in ombra della vita e la imprigiona nel muro. • Nella quartina conclusiva Montale afferma che la parola poetica non è più, come ritenevano i simbolisti e Ungaretti, la formula magica che ci introduce nell’essenza della realtà, ma viene ridotta ad una “storta sillaba”. • I due versi finali esprimono la condizione di un’esistenza priva di certezze; la poesia non è in grado di proporre messaggi positivi, ma può solo definire una condizione in negativo. Da questa sfiducia nella poesia si può notare la distanza di Montale da D’Annunzio, che proclamava che “il verso è tutto”. 2.8 Spesso il male di vivere ho incontrato • Anche questa poesia può essere considerata come una sorta di manifesto poetico, ma dal punto di vista stilistico, perché in essa Montale, per esprimere il suo pensiero, ricorre al correlativo oggettivo (ad un oggetto correla un significato astratto) di Eliot in ogni verso. • Il male di vivere, che è un concetto astratto, viene espresso correlandolo a degli oggetti poveri, come la foglia accartocciata, il cavallo stramazzato e il rivo strozzato. • Ai tre oggetti che rappresentano il male di vivere si contrappongono i tre oggetti che rappresentano l’indifferenza, l’unica via di fuga da questo male, e sono la statua, la nuvola e il falco. • Un altro elemento che rende significativa questa poesia è il fatto che, in essa, Montale ha centrato il malessere della società. La società del periodo imperialista, infatti, era caratterizzata dal benessere economico, che l’ha trasformata in una società massificata, egoista e materialistica, caratterizzata dalla divisione fra alta borghesia e bassi ceti. • Il positivismo filosofico (riflesso nel naturalismo letterario, che analizzava la società non per metterne in luce i difetti, ma affinché il progresso ne trovasse i rimedi) aveva generato negli uomini un certo ottimismo e fiducia nel progresso che avrebbe portato benessere a tutti gli uomini, indistintamente. • Tuttavia lo scoppio della grande guerra segnò lo sconvolgimento della società e dal positivismo si cadde nel decadentismo e crepuscolarismo. • Quando Montale parla del male di vivere, in ciò descrive non solo la sua condizione personale, ma anche quella di tutti quelli che vivono una condizione di disagio nella società e la sua poesia chiarisce la condizione esistenziale dell’uomo a partire dal ‘900 fino ai giorni nostri. • Il modo in cui Montale reagisce è attraverso l’indifferenza, mentre altri scrittori si mettono in disparte, o si attestano su posizioni polemiche, o aiutandosi con la fede (come Ungaretti) o apprezzando le piccole cose della vita (come Saba). 2
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