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Movimenti sociali e azioni di protesta, Sintesi del corso di Teorie della Democrazia

Riassunto Movimenti sociali e azioni di protesta di Katia Pilati

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 26/05/2020

rebecca_vampo
rebecca_vampo 🇮🇹

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Scarica Movimenti sociali e azioni di protesta e più Sintesi del corso in PDF di Teorie della Democrazia solo su Docsity! Le azioni collettive di protesta sono le unità di base di fenomeni quali movimenti sociali, ribellioni, cicli di protesta, rivoluzioni. Le azioni collettive di protesta sono azioni svolte:  Da uno o più gruppi organizzati che condividono un obiettivo comune e operano in vista di un cambiamento o di resistenza ad un cambiamento.  Emergono grazie alla presenza di un leader, forma organizzativa o imprenditori della protesta. A volte possono emergere anche negli spazi online  Intraprese pubblicamente, con mezzi non convenzionali e da gruppi dotati di poche risorse per poter accedere alla sfera politica in maniera istituzionale.  Natura intenzionale delle azioni, al contrario dei movimenti sociali.  Le azioni sono orientate verso l’élite politiche  Implicano un conflitto, tra i challengers, gruppi che sfidano il potere e gli attori a cui queste proteste sono indirizzate per il controllo di alcune risorse. Il cambiamento e il tipo di conflitto possono essere di natura politica o culturale, per modificare le modalità dominanti di interpretazione della realtà e la dimensione simbolica. Le azioni collettive di protesta sono maggiormente osservabili nei movimenti sociali che emergono con l’emergere della società moderna. Tilly mostra come nei secoli le rivendicazioni sono cambiate:  Competitive claims XV-XVI: rivendicazioni di tipo competitivo per controllo e gestione risorse.  Reactive claims XVII-XIX: rivendicazioni di tipo reattivo per rivendicare i diritti offesi di specifici gruppi sociali. Qui emergeranno i primi sindacati.  Pro-active claims XIX-XX: rivendicazioni di tipo proattivo, i gruppi chiedono nuovi diritti e risorse di cui non hanno mai goduto. Dimostrazioni pubbliche, assemblee e scioperi divengono le azioni collettive di protesta più diffuse. A partire dagli anni ’50 con il movimento per i diritti civili negli Usa e dagli anni ’60 in Europa con movimento studentesco e operaio, i movimenti iniziano ad essere studiati come fenomeni specifici. Tra i primi studiosi:  McCarthy e Zald: RMT teoria della mobilitazione delle risorse,  POS struttura delle opportunità politiche  Tilly: li definisce come azioni organizzate, durevoli nel tempo orientate verso le autorità da parte di gruppi deprivati o esclusi  Melucci e Pizzorno: evidenziano il ruolo dell’identità collettiva, Melucci, evidenzia le dinamiche interne del movimento  Diani: identifica tre elementi che caratterizzano i movimenti sociali o Conflitto: in quanto i movimenti sociali sono dinamiche conflittuali (politiche o culturali) caratterizzate dalla presenza di azioni non istituzionalizzate, le proteste. Sono portatori di un modello alternativo di società che si contrappone a quello della realtà sociale dominante. Nei casi di istituzionalizzazione di un movimento, gli attori sono più inclini alla negoziazione piuttosto che al conflitto. o Identità collettiva: permette ai gruppi e agli individui di agire in maniera unitaria e durevole nel tempo aldilà degli specifici interessi dei singoli, identificando un avversario, un “noi” contro “loro”. L’identità collettiva è dinamica, dipende dal tipo di relazione che si forma, se vi sono interazioni sociali regolari, la condivisione di esperienze e condizioni possono favorire una base valoriale comune. Nelle coalizioni, l’identità collettiva è limitata o assente. o La rete: le reti permettono agli attori di agire in maniera organizzata e coordinata tra loro, e si costruisce con i vari tipi di interazioni tra gli attori di un movimento sociale. I legami possono essere di natura materiale (ufficio), simbolico-culturale con condivisione di obiettivi e frames. Il coordinamento delle azioni collettive di protesta è possibile soprattutto grazie alla SMO organizzazioni di movimento sociale, che facilitano la mobilitazione delle risorse, permettono l’accesso a spazi, offrono risorse quali leadership, migliorano il passaggio delle informazioni e sono luoghi in cui si formano facilmente identità collettive. Le reti a volte sono composte anche da gruppi poco strutturati, in cui le relazioni sono informali, slegate da vincoli, con assenza di coordinamento da parte della SMO e sono movimento femminista e recentemente Occupy Wall Street e gli Indignados. Altri fenomeni con azioni collettive di protesta ma differenti dai movimenti sociali sono:  Le rivoluzioni sono le manifestazioni più imponenti del cambiamento sociale, segnano profonde rotture nel processo storico e coinvolgono numerose azioni collettive di protesta (scioperi, manifestazioni, assemblee), movimenti sociali, colpi di Stato e guerre civili. L’obiettivo è sempre quello di migliorare la società e creare nuove istituzioni politiche, con cambiamenti in vari ambiti (economici, politici, culturali, della vita quotidiana). Le rivoluzioni a volte coincidono con le lotte di classe. I tempi dei cambiamenti sono molto rapidi in quanto le trasformazioni avvengono in un lasso temporale breve. Le rivoluzioni anche se diverse dai movimenti sociali vengono studiate con le medesime teorie.  Riots (rivolte): per definire fenomeni di protesta, con comportamenti differenti dalle azioni collettive in quanto sono spontanea, senza organizzazioni, basso coordinamento e reti sociali deboli o assenti. o Evento iniziale (casus belli) che da avvio alle proteste o Forte connotazione emotiva e simbolica, in quanto vengono enfatizzate la marginalità delle vittime e dei gruppi a cui appartengono divenendo protagonisti delle proteste. Questo porta anche ad influenzare la risposta, spesso con atti violenti, tra manifestanti e forze dell’ordine o Diffusione di sentimenti di rabbia e reazione ad uno stato di crisi che genere stimolo- risposta Etichettare le azioni politiche di protesta in termini di riots può avere delle conseguenze, in primis vengono etichettate da un giudizio politico negativo da media, autorità e élite politiche in quanto sono attori irrazionali e non dotati di richiesta ragionevoli e ponderate, portando le autorità ad usare interventi repressivi non conformi, ma giustificati come repressione della protesta. Secondo Waddington la mancata attenzione al contesto in cui avvengono le rivolte, patologizzare la protesta come comportamento criminale e il comportamento delle autorità sono elementi comuni al concetto di folla e agli approcci della teoria della deprivazione relativa, in gran parte superati con le teorie attuali. I CLASSICI: ALCUNE LINEE DI INTERPRETAZIONE MARX: La forma di protesta analizzata da Marx è la rivoluzione, connessa alle cause e alle dinamiche orientate allo smantellamento del sistema capitalista. Vi è quinti la contrapposizione tra proletari e capitalisti, i proletari che inizialmente sono in uno stato di alienazione e costituiscono una massa incoerente spinti ad agire contro macchinari e fabbriche, con le fasi successive iniziano a formare sindacati per contrapporsi alla borghesia, chiedendo aumento di salari e migliori condizioni lavorative, creano reti nazionali e internazionali per collegarsi tra loro permettendo a proteste locali di diventare nazionali e internazionali, arrivando a passare da una classe in sé a una classe per sé, grazie alle relazioni sociali che si instaurano sul luogo di lavoro, in quanto i meccanismi di relazione sociale sono alla base delle azioni collettivi di protesta, in più con interessi riconosciuti e alla quale alcuni borghesi aderiscono. Alla fine, la rivoluzione contro la borghesia fa acquisire il controllo dei mezzi di produzione e il conflitto di classe si dissipa. L’analisi di Marx è un’analisi strutturale, la rivoluzione è inevitabile in quanto il capitalismo contiene e genere contraddizioni strutturali, la prima è che i capitalisti vogliono mantenere alto il profitto aumentando lo sfruttamento del lavoro e mantenendo salari minimi, i proletari mirano ad aumentare i salari, ciò porta alla rivoluzione proletaria. I meccanismi che generano la rivoluzione è la frustrazione degli operai attraverso l’alienazione (mancanza di creatività, di controllo delle proprie azioni e rinuncia all’autonomia del proprio lavoro) quando in realtà gli  Decremental deprivation: le aspirazioni sono costanti ma c’è una caduta degli standard di vita degli individui, la frustrazione è dovuta a questo e può accadere per crisi fiscali o economiche.  Progressive deprivation: le aspirazioni continuano ad aumentare ma le condizioni di vita rimangono costanti. Queste tre condizioni provocano rabbia negli individui. L’evidenza empirica non conferma la teoria di Gurr in quanto gli USA negli anni ’50 hanno avuto un’espansione economica, quindi, non ci sarebbero dovuti essere molti eventi di protesta che in realtà sono stati numerosi soprattutto riguardanti i diritti civili. Le critiche alle due teorie: Le teorie del collasso sociale vengono abbandonati in quanto la frustrazione non basta a generare azioni collettive, manca un’analisi dei fattori che politicizzano lo scontento e portano all’azione collettiva, in quanto l’analisi di Gurr porta ad un’analisi individualista, quando in realtà le azioni collettive hanno ampie solidarietà condivise. Non derivano poi da miseria o deprivazione economiche, ma sono azioni intenzionali e politiche. Inoltre, i cambiamenti nel breve periodo deprimono i conflitti sociali in quanto non danno la possibilità di organizzarsi. Differenza tra: COMPORTAMENTI COLLETTIVI AZIONI COLLETTIVE DI PROTESTA  Aggregati sociali di individui (folle) non presentano condivisione identitaria  Agiscono in maniera spontanea  Tempo breve con interazione bassa  Limitato nei gruppi informali  Questo non vale per i comportamenti collettivi  Gruppi sociali con forti sentimenti identitari, agendo unitariamente  Agiscono in maniera unitaria e organizzata  Tempi lunghi e interazioni continue  Vi è una membership  Hanno un nemico a cui contrapporsi, con obiettivi sociali e politici LA TEORIA DELLA MOBILITAZIONE DELLE RISORSE (RMT) Prima teoria sulle azioni collettive di protesta, che mette al centro dei propri studi i movimenti sociali, come fenomeni a sé negli anni ’50-’60 negli Usa con l’aumento delle proteste per i diritti civili. Nella teoria del collasso sociale, i movimenti sociali erano associati ad azioni spontanee e irrazionali, con la RMT e con la teoria della scelta razionale RAT, i movimenti sociali assumono razionalità e gli attori agiscono in base ai loro interessi, in maniera strategica e con minori costi e maggiori benefici, si hanno opinioni e credenze che rappresentano le preferenze dei gruppi sociali orientate al cambiamento della struttura sociale e alla distribuzione delle risorse in una società. Il punto principale di questa prospettiva è la distribuzione delle risorse. Questa prospettiva nasce grazie a Mancur Olson e Tilly con i loro studi che anticipano la teoria, per quanto riguarda Olson sostiene che tutti i membri di un gruppo perseguono un obiettivo comune e tutti godono dei benefici, ma non tutti sono disposti a pagare i costi per ottenerlo, si parla infatti del problema del free-rider, ovvero che l’individuo sa che anche se non partecipa all’azione collettiva può comunque beneficare degli sforzi e dei risultati ottenuti grazie a chi ha partecipato e ha sostenuto i costi, per superare ciò bisognerebbe incentivare gli individui con avanzamento di carriera o utilizzare meccanismi di coercizione tipo sanzioni, ma ciò implica la presenza di organizzazioni capaci di monitorare, amministrare e distribuire tali misure. Per Tilly è importante che gli attori siano una collettività, con caratteristiche proprie, organizzati, le azioni collettive derivano da processi politici, dalle condizioni del contesto esterno e dalle relazioni tra attori politico-istituzionali e challengers. La capacità di mobilitare le risorse da parte di un gruppo è definita dalla quantità di risorse che questa può controllare e da come possono essere assemblate per l’azione collettiva, questo spetta ai challengers che devono aumentare le risorse a loro disposizione. Gli individui possono partecipare ad azioni collettive indipendentemente dalle loro condizioni socioeconomiche e dal loro livello di frustrazione. Questa teoria viene chiamata teoria della solidarietà, in quanto le azioni collettive si sviluppano per difendere interessi collettivi e l’effetto dei cambiamenti è connesso al potenziale delle risorse che i challengers possono mobilitare e alle capacità da parte delle autorità di utilizzare le varie forme di controllo sociale. McCarthy e Zald sostengono invece che il livello di frustrazione è sempre sufficiente per fornire la base potenziale alle azioni collettive ma oltre questo gli attori sociali devono avere le risorse per potersi impegnare in tali azioni. Ritengono infatti che la base dei movimenti sociali non dipenda solo da coloro che beneficiano delle azioni dei movimenti, ma bisogna porre attenzione anche ai settori esterni ai movimenti sociali e su chi appoggia le loro cause che apportano importanti risorse, questo diviene anche una professione, una professione occuparsi di tali attività ed esserne membri facendo carriera e divenendo leader. La RMT per McCarthy e Zald si occupa del processo di mobilitazione delle risorse che riguarda il trasferimento di risorse individuali ad attori e organizzazioni del movimento sociale, gran parte delle risorse deriva da membri non affiliati e da legami che i movimenti devono costruire con altri gruppi, in quanto lo sviluppo del movimento sociale dipende molto dal supporto esterno, i leader divengono quindi imprenditori orientati alla mobilitazione delle risorse e l’organizzazione diviene il punto principale dell’analisi. . McCarthy e Zald hanno l’obiettivo di comprendere sanzioni e incentivi che possono permettere facilmente il passaggio da chi condivide gli obiettivi a parteciparne realmente nonostante il problema del free-rider. Per quanto riguarda l’organizzazione, privilegiano la SMO organizzazione di movimenti sociali, ritenendo che popolazioni con alta organizzazione interna (sindacati, partiti, comunità religiose, associazioni culturali) hanno più possibilità di produrre forme organizzate che possono essere parte attiva in dinamiche di azioni collettive e movimenti sociali. Le SMO identificano i propri obiettivi con le preferenze dei movimenti sociali con lo scopo di implementarli, l’insieme di SMO attive in un certo movimento che condividono interessi e obiettivi sono definiti SMI industria di movimento sociale e ve ne possono essere anche diverse in una società (es. movimento contro la globalizzazione considerato SMI). Tutte le organizzazioni che appartengono a una SMI agiscono sulla base e in difesa dei propri interessi che con un costante lavoro di negoziazione trovano un terreno comune che forma la base delle rivendicazioni condivise dalla SMI e dalle azioni collettive congiunte. Gli obiettivi di un movimento sociale non coincidono con gli obiettivi di una singola organizzazione ma da varie SMO. L’insieme delle industrie di movimento sociale è definito SMS settore dei movimenti sociali. Il problema principale sta nella capacità delle SMO di mobilitare le risorse per poter agire in azioni collettive, vi sono però diverse ipotesi:  Se le risorse disponibili da parte della popolazione aumentano, crescono anche le risorse disponibili agli SMS, queste risorse sono soprattutto tempo e denaro  Maggiore è il livello educativo degli individui, maggiore è la probabilità che essi abbiano tempo disponibile per potersi dedicare ad attività di volontariato, incluse quelle svolte nelle SMO. Maggiori sono le infrastrutture presenti in un certo territorio e migliori i mezzi di trasporto, più facile sarà il lavoro delle SMO, possono quindi incrementare o diminuire l’uso delle risorse da parte di un movimento sociale.  Maggiore è l’ammontare delle risorse di coloro che sostengono un movimento, maggiore è la possibilità che si sviluppino nuove SMO E SMI, questa ipotesi è valida soprattutto quando cresce il reddito in una società. Critiche: McAdam  Difficoltà da parte della RMT di distinguere le organizzazioni di un movimento sociale dai gruppi d’interesse, non distingue i gruppi che possono facilmente accedere ai canali istituzionali e i gruppi che no come i challengers.  Le risorse derivano dalle élite, ma non tiene conto che i cambiamenti possono avere come obiettivo il cambiamento sociale e politico che mettono in discussione la posizione dell’élite.  La RMT minimizza le modalità attraverso le quali le élite possono contribuire allo smantellamento dei movimenti sociali  La risorsa, nella RMT perde il suo significato, in quanto ogni tipo di azione collettiva è preceduto dalla disponibilità di qualche tipo di risorsa  Ha marginalizzato il ruolo della frustrazione  La RMT è utile per analizzare fenomeni organizzati i cui obiettivi sono moderati, che non implicano un cambiamento dello stato dei poteri dominanti e i protagonisti sono soprattutto membri che hanno accesso ai canali politici istituzionali. Quindi non adatta a spiegare le dinamiche dei movimenti sociali IL RUOLO DELLE ORGANIZZAZIONI: Per Knoke, le organizzazioni che si impegnano in azioni collettive sono gruppi sociali caratterizzati da alcune specificità, hanno la presenza di confini stabiliti da alcuni criteri che determinano le possibilità degli individui di poterne far parte o di esserne esclusi, la membership è su base volontaria e alcune organizzazioni possono impiegare personale remunerato per lo svolgimento delle proprie attività. I membri contribuiscono al funzionamento dell’organizzazione sia attraverso finanziamenti in denaro, sia attraverso il tempo che dedicano allo svolgimento delle attività dell’organizzazione. Le organizzazioni offrono inoltre meccanismi che permettono il coinvolgimento dei membri nelle procedure decisionali dell’organizzazione. Rispetto a gruppi più informali, le organizzazioni implicano la presenza di decisioni rispetto all’affiliazione, alla gerarchia, regole, monitoraggio, incentivi e sanzioni. Le organizzazioni sono state studiate in relazione a varie dimensioni sociali: 1. Analizzate per la loro funzione di integrazione sociale, gli studi hanno esaminato le modalità attraverso le quali gli individui socializzano in quanto membri di organizzazioni e come i gruppi sociali sono integrati nella società. 2. Studiate per comprendere come gli individui riescano ad agire unitariamente e in maniera coordinata. 3. Esaminate in relazione alla partecipazione al processo di policy making. Le organizzazioni facilitano il coordinamento delle azioni collettive di protesta, abbassano i costi associati alla possibilità di svolgere azioni collettive, facilitano le attività di coordinamento grazie alla presenza di leader, agevolano le interazioni stabili e durevoli nel tempo, facilitano i flussi e lo scambio di informazioni. In aggiunta, le organizzazioni sono luoghi che favoriscono relazioni sociali che sostengono l’emergere di solidarietà condivise. Tilly discute questo meccanismo attraverso il concetto di catnet, una sintesi dei concetti di catness (presenza di un aggregato di individui che condivide specifici tratti categoriali esterni, come donne, giovani e immigrati) e di netness (presenza di relazioni sociali). Con il concetto di catnet Tilly riflette sulle relazioni che facilitano, in presenza di tratti categoriali condivisi, il passaggio da una categoria sociale a un gruppo sociale capace di agire intenzionalmente. Le azioni collettive dipendono dal livello di catnet, una sintesi di caratteristiche collegate a una certa categoria sociale e alla densità delle reti costruite dagli individui che condividono tali tratti sociali. Gli studi hanno infine mostrato la presenza di varie risorse individuali che gli individui acquisiscono grazie al loro coinvolgimento in organizzazioni sociali e che risultano utili per l’azione collettiva. In particolare, il coinvolgimento in organizzazioni permette agli individui di aumentare il proprio capitale sociale, di migliorare le proprie abilità comunicative, le proprie capacità organizzative e l’abilità di gestione e di coordinamento dei gruppi. Studi organizzativi e movimenti sociali: Durante gli anni Cinquanta, gli studi organizzativi si sono orientati ad analizzare le dinamiche più istituzionali dell’organizzazione, mentre i movimenti sociali sono stati esaminati in quanto comportamenti collettivi, non istituzionali e in antitesi alla presenza di organizzazioni capaci di coordinare la protesta. Le strutture organizzative sono esaminate in quanto luoghi che permettono di trasmettere agli individui valori, credenze e obiettivi comuni. È solamente durante gli anni Settanta, soprattutto grazie alla RMT, che gli studiosi di movimento sociale spostano l’attenzione sulle strutture e sui processi organizzativi, considerando i movimenti sociali non più come comportamenti nel tempo e nello spazio. Le variazioni della POS possono facilitare o deprimere l’azione collettiva, la facilita attraverso meccanismi: o Riduzione differenza di potere tra challengers e attori verso cui è rivolta l’azione, rendendo l’obiettivo per i challengers facilmente raggiungibile o Miglioramento capacità di negoziazione da parte dei challengers E può anche influenzare fasi che portano al declino dei movimenti. Le critiche al POS sono molte, la principale è che manca di chiarezza rispetto a quali siano le dimensioni da osservare per cogliere la variazione della struttura delle opportunità, in seguito a questa critica McAdam identificherà quattro dimensioni della struttura delle opportunità politiche comuni alla maggior parte degli studi che si sono occupati di analizzare il POS: apertura o chiusura del sistema politico istituzionale, presenza o assenza di alleanze tra élite e attori, allineamenti tra élite (stabilità o instabilità), la propensione da parte delle autorità politiche alla repressione.  La capacità organizzativa: Risorse associate alla capacità organizzativa dei challengers: 1. Possibilità di reclutare nuovi membri: le SMO permettono di convertire le persone che simpatizzano per una certa causa in membri attivamente coinvolti nelle attività delle organizzazioni stesse. 2. Insieme di incentivi simbolici trasmessi attraverso le organizzazioni, quali forme di solidarietà che facilitano il superamento del problema del free-rider che minaccia la capacità di agire collettivamente. 3. Possibilità di costruire reti e collaborazioni tra organizzazioni e individui, questo facilita il passaggio di informazioni e le comunicazioni all’interno dei contesti organizzativi ma anche tra i contesti organizzativi. 4. Possibilità di fornire leader capaci di coordinare l’azione.  La liberazione cognitiva: Questa dimensione si esprime nella percezione, da parte dei challengers, che le strutture sociali esistenti abbiano perso legittimità e che la loro partecipazione possa fare una differenza nel risultato finale associato alle azioni collettive. La liberazione cognitiva implica tre passaggi: o Gli individui percepiscono la progressiva perdita di legittimità dell’ordine sociale o Superano la concezione dell’impossibilità e dell’inefficacia dell’azione, avanzando rivendicazioni per i propri diritti o Accrescono il senso di efficacia politica collegato al cambiamento e si impegnano in azioni collettive di protesta Il processo di liberazione cognitiva è maggiore in condizioni di forte integrazione sociale, hanno la possibilità di condividere interessi, valori e condizioni di vita e facilita l’individuazione di obiettivi comuni.  Sidney Tarrow: Le difficoltà collegate allo sviluppo dei movimenti sociali concernono soprattutto le modalità attraverso le quali popolazioni inizialmente disperse e frammentate si coordinano tra loro per impegnarsi in azioni collettive condivise e durevoli nel tempo. Qui la POS è definita come un insieme di segnali coerenti indirizzati agli attori politici e sociali che incoraggiano o scoraggiano i challengers a usare le proprie risorse interne al fine di formare movimenti sociali. L’aprirsi della POS aumenta le possibilità da parte dei challengers di impegnarsi in azioni collettive di protesta. Se le opportunità migliorano, aumenta l’accesso alla partecipazione. Tarrow individua quattro dimensioni della POS: 1. Apertura delle opportunità istituzionali, possibilità di partecipare ai processi decisionali degli organi politici e di poter accedere alla sfera politica attraverso attività politiche convenzionali 2. Specifici processi o eventi che alterano o destabilizzano le élite coinvolgendo l’establishment politico e sociale, i cambiamenti che riguardano gli allineamenti politici creano nuove opportunità partecipative. 3. Struttura delle alleanze politiche, la presenza di alleati influenti può essere determinante per lo sviluppo e la diffusione di un movimento. 4. Opportunità che emergono in seguito alla presenza di divisioni tra le élite, costituiscono degli incentivi soprattutto per i gruppi sociali dotati di poche risorse. In tali circostanze, questi percepiscono maggiori possibilità di successo e sono più portati a intraprendere forme di azione collettiva. Un’ultima dimensione identificata da Tarrow è quella della capacità di repressione da parte del governo. L’analisi sul ruolo della POS nelle ricerche di Tarrow trova un’importante applicazione empirica nello studio del ciclo di proteste in Italia. Questo riguarda gli eventi di protesta che si svolgono all’incirca dalla metà degli anni ‘60 fino alla metà degli anni ‘70 e che coinvolgono principalmente il movimento studentesco, il movimento operaio, quello femminista e quello che si sviluppa intorno alla Chiesa cattolica. I cicli di protesta hanno un andamento parabolico e le seguenti fasi: 1. La fase iniziale è caratterizzata dall’apertura delle opportunità politiche che favorisce lo sviluppo delle azioni collettive di protesta. 2. In un secondo tempo le proteste tendono a diffondersi e coinvolgere vari gruppi sociali. 3. Nella fase di espansione, l’andamento delle proteste mostra un picco in termini di numerosità di eventi. 4. La fase finale è caratterizzata sia da un periodo di riforme sia dalla presenza di misure repressive da parte dello Stato. In questa fase, Tarrow identifica alcuni processi collegati al cambiamento nelle caratteristiche dei gruppi e delle azioni collettive che tendono verso due modalità alternative, l’istituzionalizzazione e la radicalizzazione. Il ciclo di proteste in Italia, si sviluppa quando nel 1963, per la prima volta nella storia della Prima repubblica, si forma un governo di centro-sinistra grazie all’apertura della DC al Partito socialista italiano (PSI), l’entrata del PSI nel governo è considerata un elemento fondamentale per l’apertura delle opportunità politiche. In aggiunta, vi è la contrapposizione tra la classe operaia e la classe media, forme di conflittualità tra cui quelle che riguardano il ruolo della figura femminile nella famiglia e nella società. Anche la Chiesa, in quel periodo, attraversa alcune divisioni interne. In tali circostanze, si diffondono un clima e una cultura della protesta che facilitano la costruzione di nuove alleanze, anche se variabili, tra i principali protagonisti del ciclo delle proteste, il movimento studentesco, il movimento operaio, il movimento femminista. Tra il 1966 e il 1973 le azioni di protesta più convenzionali sono lo sciopero, i cortei e gli incontri pubblici. Il primo settore che si mobilita è la popolazione studentesca in particolare, gli studenti universitari. Le proteste degli studenti universitari iniziano con l’occupazione delle sedi universitarie a Pisa nel 1965 (seguite da Trento e Torino). Nella prima fase, azioni come le assemblee studentesche contribuiscono ad offrire uno spazio comune e creano quel sentimento di “effervescenza collettiva” tipico delle prime fasi di un movimento in questa fase le rivendicazioni riguardano questioni interne all’università. La seconda fase, tra la fine del 1967 e il 1968, è caratterizzata da azioni di massa quali dimostrazioni pubbliche e cortei, le azioni di questa nuova fase sono tese a ricercare riconoscimento da parte del pubblico esterno agli attori del movimento stesso. L’ultima fase, che contraddistingue gli anni successivi al sessantotto, è segnata dall’incontro con il movimento operaio. Le proteste sono il picchettaggio, il blocco dell’accesso ai luoghi di lavoro, soprattutto le fabbriche, in tale fase, le richieste del movimento studentesco riguardano temi legati al mondo del lavoro, son marcate dal discorso di classe e si contrappongono allo sfruttamento e all’oppressione del sistema capitalista. Questa fase è caratterizzata anche da azioni violente da parte di alcuni gruppi che emergono in reazione all’adozione di misure di repressione da parte delle forze dell’ordine. La partecipazione riguarda sia gli operai qualificati, i protagonisti nella fase iniziale delle proteste, che gli operai comuni. La fase di diffusione della protesta del movimento operaio in Italia è conosciuta come autunno caldo. Le conclusioni dello studio di Tarrow evidenziano la piena maturità della democrazia italiana in quel periodo, grazie alla presenza di un esteso repertorio di azioni di partecipazione democratica, un’ampia agenda politica e una nuova cultura politica, favorite dal ciclo delle proteste. Gli anni successivi al 1971 sono associati alla fase di declino dei movimenti sociali, ma caratterizzati dal passaggio di alcune riforme estremamente importanti per la società italiana che sono anche il frutto del ciclo delle proteste: liberalizzazione dell’accesso alle università, legge sull’aborto e sul divorzio, Statuto dei lavoratori. Oltre a tali risposte istituzionali, gli anni del declino della protesta si traducono nell’osservazione empirica di tre processi: 1. Progressiva istituzionalizzazione di una parte dei gruppi sociali e del repertorio delle azioni ovvero la prevalenza, all’interno di dinamiche di azioni collettive più ampie, di gruppi organizzati, formali e stabili e di azioni che tendono a essere gestite e controllate direttamente da tali gruppi. Gli obiettivi tendono ad essere moderati e rivolti alla sopravvivenza dell’organizzazione piuttosto che al cambiamento sociale e politico. 2. Frammentazione di azioni e gruppi sociali attivi in quel periodo, riguarda il progressivo isolamento dei gruppi e la diffusione di azioni collettive di protesta non sempre collegate l’una con l’altra. I processi di frammentazione e decentralizzazione coinvolgono, oltre al movimento femminista, anche i movimenti giovanili attivi in quegli anni, come il movimento del ’77. 3. Radicalizzazione dell’azione collettiva e l’uso di atti di violenza politica da parte di alcuni attori, gli attori protagonisti delle azioni violente mostrano profili tendenzialmente molto diversi da quelli degli studenti universitari protagonisti della fase iniziale del ciclo delle proteste. I membri delle organizzazioni clandestine occupano basse posizioni socioeconomiche, sono spesso collegati a gruppi sociali marginali. Anche se tra i gruppi della sinistra extra-parlamentare sorti dopo il 1969 erano diffusi la retorica e l’uso simbolico della violenza, questa non era necessariamente connessa alla pratica della violenza. Infine, l’evidenza empirica mostra che dal 1969 al 1973, il 95% degli atti di violenza è collegato a formazioni di estrema destra. In particolare, gruppi organizzati clandestinamente come le Brigate Rosse, nate nel 1970 dal ricongiungimento tra gruppi militanti di operai e di studenti. Nella logica delle BR le azioni violente sono percepire come azioni necessarie per combattere la classe dirigente del sistema capitalista. L’emergere della violenza politica sottolineando che è frutto di un processo di radicalizzazione collegato a condizioni specifiche del contesto politico, coerentemente mobilitazione del consenso e alla mobilitazione collettiva in azioni. Gli studi hanno messo in evidenza alcune dimensioni variabili nei frames osservati. Possono mutare rispetto ai problemi e ai temi a cui si indirizzano; possono variare rispetto al grado di esclusività e rigidità o, al contrario, di elasticità; possono cambiare in termini di risonanza, in altre parole, di comprensione da parte degli attori a cui i frames si indirizzano. In aggiunta ai processi di framing, la sociologia culturale ha posto l’attenzione degli studiosi di movimenti sociali su altre dimensioni, tra cui la performance. Per Tilly, le performances conflittuali, le contentious performances, sono le modalità attraverso le quali i movimenti rivendicano pubblicamente alcune questioni. Per spiegare tali dinamiche, Tilly sostiene che un movimento sociale implica sempre un grado di WUNC (Whorthiness, Unity, Numbers, Commitment), maggiore è la capacità di un movimento di mostrare WUNC, maggiori sono le possibilità per un movimento di perseguire con successo i propri obiettivi. La prospettiva che analizza i movimenti sociali in termini di performance emerge soprattutto all’interno della prospettiva drammaturgica cui obiettivo è studiare e comprendere la creazione stessa dei frames. Per identificare i significati associati all’azione collettiva, quest’approccio parte dai processi associati alla costruzione sociale e alla comunicazione dei significati, considerando gli attori che partecipano a un movimento sociale come interpreti di un ruolo all’interno di una performance. In parte, i movimenti sociali utilizzano le performances come uno strumento strategico e tattico che genera significati e gli attori dei movimenti sociali sono capaci di codificare i significati attraverso la performance, e di leggere e valutare le performances degli altri attori attraverso l’uso della conoscenza culturale, conoscenza che è acquisita, sociale e contestuale, dinamica, e conflittuale, e deriva da un precedente repertorio di significati per proiettare messaggi al pubblico con l’obiettivo di convincerlo. I movimenti sociali e le azioni attraverso le quali si esprimono, azioni di massa come le manifestazioni, i cortei, ma anche le canzoni utilizzate dagli attivisti, hanno una chiara dimensione legata alla performance e indirizzano i significati a questa associati a un pubblico di potenziali sostenitori. Nel processo di comunicazione con il pubblico, gli attivisti dei movimenti sociali producono discorsi conflittuali e in opposizione a quello dominante, sono quindi momenti centrali per la ricostruzione della cultura e sono agenti-chiave per le trasformazioni culturali. Utilizzano l’espressione artistica per comunicare con la società più ampia e ri-politicizzare la cultura popolare. Poiché i movimenti sociali hanno un impatto sulla cultura popolare, sugli usi e sui costumi, essi ricostituiscono anche identità collettive. La formazione di nuove identità è un catalizzatore centrale per i cambiamenti sociali che possono riguardare e mettere in discussione i valori e le modalità di azione dominanti. Un terzo aspetto sul quale si sono indirizzate le analisi culturali dei movimenti sociali attiene alle emozioni. Fino agli anni ‘70 del secolo scorso le emozioni fornivano la chiave risolutiva per capire i movimenti sociali come comportamenti devianti, con emozioni negative, frustrazione e aggressività. A partire dal nuovo millennio le emozioni sono diventate nuovamente centrali per l’analisi politica e per comprendere le dinamiche di partecipazione ai movimenti sociali in quanto sono una componente essenziale dell’azione umana, individuale e collettiva. Le emozioni possono essere affettive (odio, amore, fiducia, rispetto…), ma anche reattive, come risposta a specifici eventi e informazioni . Le emozioni sono costruzioni sociali e culturali e alcune richiedono un processo di costruzione sociale più complesso rispetto ad altre, ad esempio è necessario un lungo processo di costruzione sociale prima di provare paura di fronte ad alcune scelte politiche che possono avere conseguenze sui cambiamenti climatici. Le emozioni più rilevanti per l’analisi delle azioni collettive di protesta tendono a essere precedute da un intenso lavoro di costruzione cognitiva e sociale. Esse sono il frutto di precise visioni del mondo, collegate a percezioni soggettive, a obblighi morali, a diritti e informazioni che gli individui percepiscono in maniera diversa in quanto culturalmente e storicamente variabili. Le emozioni sono importanti nella fase di crescita e di sviluppo dei movimenti sociali . I meccanismi che permettono il passaggio dalla fase in cui gli attori esperiscono uno shock alla fase di reclutamento in un movimento sociale e all’impegno in azioni collettive, implicano il processo di politicizzazione di alcune emozioni. Se i sentimenti di paura e terrore sono politicizzati, attraverso il riconoscimento di un “nemico” contro cui indirizzare le frustrazioni, essi possono anche portare gli individui ad agire e reagire in tali situazioni. Gli studiosi mostrano che gran parte del lavoro di politicizzazione delle emozioni è collegato alla presenza di imprenditori politici nei movimenti sociali. Questi sono infatti capaci di trasformare e indirizzare i sentimenti di rabbia in sentimenti di indignazione orientata verso un obiettivo specifico e contro un nemico a cui si attribuisce la responsabilità di tale situazione. Le emozioni sono anche presenti durante la fase di espansione, di crescita e di diffusione delle attività dei movimenti sociali. Riguardano anche la fase di declino dei movimenti. La frustrazione collegata alla sconfitta che si può percepire se un movimento sociale non è riuscito a perseguire un qualche obiettivo può condurre gli individui ad allontanarsi dal movimento stesso contribuendo alla sua frammentazione. IDENTITA’ COLLETTIVA E NUOVI MOVIMENTI SOCIALI Teorie dei nuovi movimenti sociali (NMS) ovvero la contrapposizione con le forme storiche del conflitto di classe, in primis, il movimento operaio della fine degli anni ‘60. Gli studi sui NMS rimettono in discussione sia la dipendenza degli approcci precedenti da un’immagine di attore strettamente razionale, sia la posizione dello Stato, delle autorità e delle élite politiche come target principali dell’azione dei movimenti sociali. I protagonisti dei NMS non si riconoscono più con la classe proletaria, ma appartengono a una classe sociale media, sono giovani con elevati livelli educativi , la maggior parte dei quali impiegati nel settore dei servizi. L’enfasi e l’oggetto del contendere dei NMS non riguarda più temi materialisti tipici della società industriale, ma valori collegati alla qualità della vita, all’autorealizzazione e alle differenze culturali. I NMS sono movimenti orientati al riconoscimento di identità collettive che riguardano nuove modalità di intendere i rapporti uomo-donna, le relazioni dell’uomo con la natura e il territorio, che si esprimono in rivendicazioni collegate alla pace, contro l’energia nucleare, a favore delle autonomie locali od orientate alla richiesta di riconoscimento di identità di genere come nel movimento femminista. L’analisi di Melucci è orientata a comprendere le modalità attraverso le quali un movimento sociale riesce a costituirsi e a mantenere la sua struttura. In tal modo, Melucci sposta l’attenzione dai fattori necessari alla mobilitazione delle risorse per intraprendere azioni collettive alle reti che collegano gli attori protagonisti dei movimenti. Melucci adotta un approccio processuale all’analisi dell’identità collettiva. Con i NMS le motivazioni degli individui a partecipare ai NMS sono quindi collegate ai processi di costruzione dell’identità collettiva del movimento e di solidarietà interne al gruppo. La logica all’interno dei NMS è di tipo espressivo piuttosto che strategico e gli attivisti scelgono alcune tattiche anche per affermare “chi sono”, questo precede l’esistenza di interessi comuni per spiegare come gli attori collettivi diventano tali e come emergono gli interessi comuni. Poiché l’identità collettiva è un processo che implica la presenza di individui e di gruppi sociali che sono in interazione reciproca, l’analisi delle reti tra gli attori è centrale per quest’approccio. Le reti a cui si riferisce Melucci sono soprattutto le reti di interazioni che emergono all’interno di piccoli gruppi. I NMS sono costituiti da reti composte da legami tra piccoli gruppi informali, contraddistinti dall’assenza di una struttura stabile e i ruoli e le posizioni dei membri non sono definiti da criteri fissi e prestabiliti. Le pratiche sociali e le azioni dei NMS coinvolgono soprattutto le dimensioni della vita quotidiana e le risorse simboliche necessarie alla creazione di solidarietà interne al gruppo. I gruppi e le unità sono autonomi quindi i movimenti sociali hanno una struttura segmentata e frammentata e il reclutamento avviene attraverso solidarietà preesistenti e la presenza di legami precedenti tra i membri motiva la partecipazione grazie alla presenza di norme di obbligo e reciprocità. Le relazioni costruite all’interno dei gruppi informali tendono a durare meno rispetto a quelle generate da strutture più stabili quali le SMO. I piccoli gruppi tendono inoltre ad avere problemi collegati all’efficienza, sono caratterizzati dall’assenza di una leadership centrale rendendo quindi difficile la gestione dei processi decisionali. Di conseguenza, i piccoli gruppi informali e le reti tra tali gruppi sono sottoposti a un costante rischio di frammentazione e, soprattutto, non riescono a perseguire obiettivi a lungo termine come le SMO. L’oggetto principale delle pratiche sociali dei gruppi e degli attivisti dei NMS è la richiesta di riconoscimento di nuove forme di appartenenza, nel caso del movimento femminista di nuove identità femminili. Rispetto agli approcci precedenti, i conflitti non hanno una natura politica e i movimenti sociali non sono orientati esplicitamente ed esclusivamente alle autorità politiche. I NMS si contrappongono agli attori che impongono le categorie dominanti con l’intenzione di modificare l’imposizione di tali categorie. Il conflitto principale è di natura culturale ed è orientato a cambiamenti sociali più ampi e alla richiesta di riconoscimento sociale di nuove identità. È tuttavia importante evidenziare che le categorie dominanti tendono a coincidere con le categorie adottate dalle élite che, per la loro posizione di potere, hanno più probabilità di riuscire a imporre le proprie definizioni e interpretazioni della realtà. I conflitti si svolgono principalmente al di fuori della sfera formale del sistema politico ed è un conflitto simbolico, a tal proposito si parla di identity claims o identity politics intendendo con queste espressioni il conflitto collegato alla richiesta di riconoscimento di nuove identità collettive e la possibilità di essere rappresentati pubblicamente. IL CONFLITTO CAPITALE LAVORO: Lo studio del conflitto capitale-lavoro è stato per molto tempo associato all’analisi dell’azione collettiva di protesta più nota nel mondo del lavoro, lo sciopero. Tilly e Shorter, che analizzano le ondate di scioperi in Francia tra il 1830 e il 1968, mostrano che le rivendicazioni principali dei lavoratori sono di tipo economico e non politico. L’analisi dello sciopero come forma principale dei conflitti sul lavoro prevale anche in analisi più recenti, soprattutto in alcuni ambiti all’interno della sociologia economica, in particolare, nelle relazioni industriali. Gli studiosi tendono ad associare l’andamento degli scioperi con la presenza delle strutture sociali di mobilitazione di risorse più importanti nel mondo del lavoro, i sindacati, l’ipotesi generale sostiene che la presenza di sindacati capaci di organizzare e coordinare la protesta faciliti l’emergere degli scioperi. I sindacati sono organizzazioni economiche e politiche che rappresentano gli interessi dei lavoratori contro il capitale, sono coinvolti in numerose attività economiche e politiche, incluse la rivendicazione di diritti collegati al lavoro quali le richieste relative al salario e alle condizioni lavorative, la regolamentazione dei contratti lavorativi o la fornitura di servizi ai propri membri. Le azioni dei sindacati comprendono sia attività apertamente conflittuali, come lo sciopero, sia attività più convenzionali di negoziazione e contrattazione collettiva con le controparti imprenditoriale e governativa. Gli scioperi non sono quindi frutto di azioni spontanee da parte di lavoratori disorganizzati. Il sindacato gioca un ruolo cruciale anche durante i picchi di mobilitazione dei lavoratori osservati alla fine degli anni ‘60 in Italia, i primi lavoratori a mobiliarsi sono gli operai specializzati che presentano altissimi livelli di affiliazione al sindacato. Per alcuni autori, il sindacato è incapace di controllare lo sciopero soprattutto in quelle occasioni in cui si osserva una separazione tra la leadership del sindacato e la base dei lavoratori. Questo riguarda soprattutto la leadership del sindacato a livello nazionale che tende a essere più portata al processo di negoziazione per la vicinanza agli organi del potere istituzionale, a livello locale, il sindacato è più vicino alla base dei lavoratori e riesce più facilmente a ottenere il consenso della base operaia. Per alcuni studiosi, le proteste mostrano un carattere prevalentemente spontaneo specialmente nelle fasi iniziali degli scioperi, emergono grazie alla capacità dei lavoratori di costruire legami informali piuttosto che in seguito alle loro affiliazioni sindacali, solo in una seconda fase tali organizzazioni contribuirebbero a sostenere le proteste grazie a meccanismi istituzionali che appoggiano le rivendicazioni. Negli ultimi 30 anni i sistemi industriali si sono progressivamente orientati verso una direzione neoliberista. A partire dal 2000, la creazione di occupazioni poco protette ha favorito la segmentazione del mercato del lavoro e incoraggiato forme di precarizzazione collegate a lavori a breve termine, con protezioni sociali pure gli attori dotati di maggiori contatti personali avranno più possibilità di “far passare” le proprie definizioni, i propri frames, ma anche le proprie strategie e tattiche di azione, assumendo quindi ruoli di leadership all’interno delle comunità virtuali. Infine, i media digitali facilitano il consumo autonomo e frammentato delle notizie, l’accesso diretto ad atti e informazioni, lo sviluppo di una relazione diretta e immediata tra mittente e destinatario della comunicazione. La rete online costituisce quindi uno spazio alternativo attraverso il quale i movimenti sociali possono diventare essi stessi media e costruire le proprie contro- narrative ottenendo una visibilità altrimenti negata e acquisendo legittimità all’interno della scena politica. Una delle principali novità apportate dalla letteratura sulla relazione tra tecnologie di comunicazione e azione collettiva riguarda l’identificazione di nuove forme partecipative rispetto alle classiche azioni collettive di protesta. Secondo Bennett e Segerberg , l’utilizzo di internet ha facilitato l’emergere di un nuovo tipo di azione che gli autori chiamano “azione connettiva”. Il punto di partenza dei due autori è la diffusione di legami stabiliti nello spazio online che tendono a esser complementari o a sovrapporsi a quelli stabiliti nella quotidianità offline. Nel caso dell’azione connettiva, l’incentivo a contribuire al bene comune deriva dalla possibilità di veder riconosciute pubblicamente le proprie espressioni personali come parte di una collettività. La vera caratteristica dell’azione connettiva è quindi la co-produzione, la co- distribuzione e la condivisione di idee, immagini, programmi personalizzati che può avvenire su social network quali Facebook o Twitter o attraverso piattaforme come YouTube. Con l’azione connettiva gli individui hanno la possibilità di interessarsi e mobilitarsi su questioni politiche in modo flessibile e in base ai propri stili di vita, in altre parole, in modo personalizzato. Grazie all’uso dei media digitali, gli individui tendono a partecipare agli eventi di protesta seguendo più le preferenze individuali piuttosto che un’identificazione ideologica o di gruppo. In secondo luogo, la personalizzazione coinvolge anche le modalità attraverso le quali circolano le informazioni. Nella logica dell’azione connettiva sono quindi i singoli individui che decidono cosa e come comunicare. Tutto questo ha portato alcuni a sostenere che le SMO stiano perdendo la loro centralità nel lavoro di mobilitazione delle risorse. Con la partecipazione online sono gli stessi individui che hanno la possibilità di mobilitare le risorse collegate al capitale sociale necessario per il reclutamento, il supporto e il coinvolgimento degli individui nelle azioni di protesta. In tale prospettiva, Bennett e Segerberg sostengono che i processi comunicativi che avvengono online sono, essi stessi, importanti forme di organizzazione , senza la necessaria mediazione da parte di una SMO, o l’obbligo di partecipare fisicamente ai singoli eventi. Nonostante ciò gli studiosi hanno mostrato che alcuni attori o nodi nella rete risultano essere più centrali, influenti, visibili rispetto ad altri. L’assenza di mediazione da parte delle SMO non significa quindi che il ruolo giocato da tutti i partecipanti sia equivalente o ugualmente cruciale per spiegare le dinamiche di azione connettiva osservate. In modo analogo, il coinvolgimento diretto e allargato degli individui non significa assenza di leadership. Alcuni studiosi evidenziano inoltre che, a fronte di maggiore personalizzazione e disintermediazione che coinvolgono le dinamiche politiche online, le organizzazioni di movimento non perdono totalmente di importanza, come suggerito dalla teoria dell’azione connettiva. Piuttosto, esse si adattano al nuovo contesto, essenzialmente in due modi: 1. Le SMO passano dal ruolo di facilitatrici e coordinatrici dell’azione collettiva alla possibilità di funzionare come “connettori” tra i vari gruppi e individui che si mobilitano spontaneamente 2. Abbandonano modalità tipiche dell’azione collettiva, “ibridando” i propri repertori, per esempio, fornendo spazi per il confronto diretto con gli individui e i singoli attivisti, e rendendo meno stringenti i propri criteri di membership, in modo da poter accogliere una pluralità di input e di supporti. In seguito al ridimensionamento del ruolo delle organizzazioni formali che coordinano l’azione, in parte sostituita dalla rete online stessa, l’azione connettiva tende a essere definita un’azione spontanea rispetto alle classiche forme di azione collettiva di protesta. Le caratteristiche collegate alla personalizzazione dell’azione connettiva hanno portato alcuni autori a enfatizzare la mancanza di un’identità condivisa tra gli attori protagonisti di tali azioni. Ma poiché i media digitali annullano le distanze e facilitano l’incremento del capitale sociale associato alla costruzione di reti online, gli attori collegati digitalmente non necessitano di relazioni stabili, la base strutturale per lo sviluppo di identità collettive. Le reti online facilitano la costruzione di legami e di strutture reticolari in cui gli attori sono distanti e i legami tendenzialmente deboli, funzionali nell’agevolare affiliazioni veloci e poco coinvolgenti, anche se molto numerose. Il dibattito sul nesso tra media e identità è tuttora molto acceso tra gli studiosi. Le azioni collettive di protesta possono riguardare anche dinamiche organizzative o coalizioni ed emergere grazie alla condivisione di specifici interessi o in presenza di eventi contingenti collegati a singoli temi. Ne consegue che, date le caratteristiche delle reti virtuali, dei protagonisti e data la presenza di identità collettive siamo in presenza di dinamiche che si collocano in posizione intermedia tra i comportamenti collettivi e le coalizioni. IL MOVIMENTO POPULISTA: In Europa, il fenomeno è molto più recente ed emerge solamente alla fine del secolo scorso. Qui, il termine populismo è soprattutto utilizzato in riferimento alla cosiddetta famiglia dei partiti politici di destra, che si sono sviluppati in Europa occidentale a partire dagli anni ‘90, focalizzati su temi quali l’immigrazione, le tasse, la criminalità, il nazionalismo. Il populismo è un insieme di credenze, un complesso di idee, un tipo di discorso e un linguaggio che sostengono l’idea della sovranità popolare. La distinzione tra élite e popolo è soprattutto una distinzione tra due gruppi omogenei e antagonisti. Indipendentemente dalle differenze ideologiche, i populisti condividono il giudizio che la democrazia sia stata derubata al popolo sovrano da parte di élite corrotte mentre la politica dovrebbe essere espressione della volontà generale del popolo. Chi siano il popolo e l’élite dipende dal particolare contesto politico in cui operano i gruppi, i partiti, i movimenti o i leader populisti. Nei populismi di destra, il popolo è soprattutto contrapposto alla presenza di “altri” nella società, identificati negli immigrati, in coloro che sfruttano i servizi e il welfare state o in coloro che non condividono i valori del popolo, questa idea si basa su una nozione di cittadinanza che privilegia una visione esclusivista ed etno- nazionalista. La presenza di ideologie populiste in movimenti e partiti politici è variabile è un elemento essenziale o strumento strategico da usare sporadicamente. Il populismo è anche un modo di comunicare che è utilizzato da rappresentanti politici, leader di movimenti, giornalisti che richiamano e identificano il popolo e pretendono di parlare a suo nome , caratterizzato da uno stile aggressivo, caricaturale, informale. Come stile politico è associato a una strategia comunicativa impiegata per mobilitare il supporto della base su cui poggia il populismo e per raggiungere potenziali sostenitori, finalizzata a ottenere ed esercitare il potere politico. Secondo alcuni autori c’è una connessione logica tra il populismo e la presenza di leadership carismatiche , una rappresentanza diretta e non mediata tra i leader e le masse, e la diffidenza verso organizzazioni partitiche tradizionali. Un altro elemento affine alle forme organizzative populiste è l’uso di internet, uno dei mezzi più utilizzati per attuare la rappresentanza non mediata e la partecipazione diretta della base. Anche questa linea di ricerca è stata oggetto di alcune critiche, non tutte le forme populiste si caratterizzano per la presenza di tali elementi, es. movimento Occupy Wall Street è caratterizzato dall’assenza di una leadership dominante. La presenza di una leadership carismatica non è un elemento che caratterizza, per definizione, un movimento populista. Tuttavia, molti autori sottolineano che essa sia importante per lo sviluppo di forme populiste. Secondo Aslanidis, un movimento populista è una mobilitazione collettiva non istituzionale che esprime il malcontento attraverso una piattaforma politica pigliatutto, che tende a dividere la società tra una maggioranza – identificata con il “popolo puro” – e una minoranza – una élite corrotta - le cui rivendicazioni sono orientate alla richiesta di sovranità popolare. Jansen associa la mobilitazione populista a un progetto politico durevole e su larga scala che, valorizzando le persone ordinarie, mobilita settori sociali marginali in azioni di protesta visibili, e articola, allo stesso tempo, una retorica anti-elitista. Dalle definizioni riportate emergono alcune differenze tra i movimenti populisti e gli altri movimenti sociali, es. estensione della membership, essere restii a negoziare concessioni limitate da parte delle autorità statali, perché cercano di ottenere riforme più ampie del regime politico. Il populismo è un collective action frame che guida l’azione collettiva grazie alla costruzione sociale della dicotomia tra popolo ed élite e alla capacità di attribuire un significato con valenza positiva al popolo e negativa all’élite. Per i movimenti populisti il framing è, prima di tutto, orientato alla costruzione di una comunità che possa rappresentare una molteplicità di gruppi sociali e favorire l’unione di interessi altrimenti dispersi . Data la diversità dei gruppi sociali a cui il populismo si rivolge, il richiamo al popolo facilita l’allineamento dei frames sostenendo il processo di identificazione delle varie componenti a tale categoria, favorendo la costruzione di una base valoriale comune e la possibilità di condividere obiettivi. L’attribuzione di significato, positivo per il popolo e negativo per l’élite, facilita l’identificazione del popolo come la vittima e l’élite come responsabile e colpevole della situazione di disagio sofferta dal popolo, per l’ampiezza degli interessi e delle rivendicazioni collegate alla virtuosità del popolo, si può parlare di un master frame. Il processo che facilita la possibilità di identificare le vittime, di definire eventuali colpevoli a cui attribuire le responsabilità dei problemi che si intendono affrontare e di chiarire la natura dei problemi che i movimenti populisti intendono risolvere è conosciuto come processo di framing diagnostico, tale processo permette ai movimenti populisti di politicizzare la presenza di eventuali frustrazioni. Il processo di politicizzazione dei sentimenti di frustrazione avviene grazie alla capacità da parte dei movimenti populisti di identificare nel popolo la vittima defraudata della sovranità popolare e di riconoscere i colpevoli nell’élite, questo permette sia di ampliare il consenso che di mobilitare la base in azioni collettive di protesta. È soprattutto attraverso il framing motivazionale che i movimenti populisti rispondono all’esigenza di mobilitare il popolo in effettive azioni collettive di protesta. Il framing motivazionale offre infatti la giustificazione per l’azione collettiva grazie alla capacità di interpretare sentimenti di rabbia diffusi, le grievances. L’ANALISI DELLE PROTESTE IN CONTESTI NON DEMOCRATICI: Analizzare le azioni collettive di protesta in contesti non democratici implica considerare i limiti imposti dalla presenza di varie misure repressive che caratterizzano uno Stato autoritario. Nei paesi autoritari, la repressione è la dimensione che prevale nel determinare le opportunità per le azioni collettive di protesta e può definire altre dimensioni della POS, per esempio, la possibilità di costruire alleanze con altri attori. La repressione rappresenta l’insieme di ostacoli posti dallo Stato o dai suoi agenti che influenza le azioni individuali e collettive dei challengers, in seguito all’aumento dei costi associati allo svolgimento di azioni collettive di protesta. Una parte del dibattito ha analizzato la relazione tra contesti repressivi e livelli di protesta. Da una parte, alcuni studiosi hanno messo in evidenza come la repressione faciliti le proteste , evidenziando la presenza di partecipazione “reattiva” da parte di individui a cui è negata la possibilità di partecipare alla sfera politica attraverso i canali più convenzionali quali il voto. Dall’altra, gli autori hanno sostenuto che la repressione limita il coinvolgimento nelle proteste in seguito alla numerosità dei rischi associati alla partecipazione stessa. Gli studiosi hanno identificato quattro ipotesi: 1. Relazione lineare positiva > collegata al processo cosiddetto di backslash. Un aumento della repressione può favorire le azioni collettive di protesta. Questo avviene soprattutto in Stati repressivi i cui governi hanno capacità militare limitata. 2. Relazione lineare negativa > l’apertura delle opportunità politiche facilita lo sviluppo delle proteste. All’aumento della repressione le proteste tendono a diminuire
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