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musica e musica e musica, Tesi di laurea di Teoria e Analisi della Musica

matematica matematica matematica

Tipologia: Tesi di laurea

2022/2023

Caricato il 29/01/2023

minaal-tomasella
minaal-tomasella 🇮🇹

4

(1)

13 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica musica e musica e musica e più Tesi di laurea in PDF di Teoria e Analisi della Musica solo su Docsity! Le fantasmagoriche dispense di Matematica e Statistica del Prof. Vincenzo Dimonte 24 novembre 2021 1 Introduzione, ovvero “Io di matematica non ci ho mai capito niente” Diversi studenti trovano la matematica un ostacolo insormontabile. Di fronte a tutti questi simboli astrusi, le x, le disequazioni, le parabole, il delta maggiore di zero, seno e coseno, rinunciano a capire e si arrangiano come possono in cerca del 18. Ma molte volte gli ostacoli ci sono solo perché la matematica viene vissuta male, e con un buon metodo di studio spariscono come neve al sole. Lo scopo di questa (un po’ lunga) introduzione è di darvi dei consigli per raggiungere buoni risultati in questo corso senza troppo fatica. Perché è cos̀ı difficile capire la matematica? Beh, prima di tutto, cerchiamo di capire cos’è la matematica. Secondo Wikipedia, è lo studio delle quantità, dello spazio, delle strutture e dei cambiamenti. Io preferisco vederla come una capacità sovrumana: ci permette di risolvere milioni di problemi in pochi secon- di, e anche (in maniera limitata) di prevedere il futuro. Facciamo un esempio terra terra, da prima elementare: • Se vedo 2 film, e poi ne vedo 3, in tutto avrò visto *contando: 3, 4...* 5 film; • Se vado ad un picnic e mangio due panini, e poi ne mangio tre, in tutto avrò mangiato *contando: 3, 4...* 5 panini; • Se compro 2 candele profumate, e poi ne compro 3, in tutto avrò comprato *contando: 3, 4...* 5 candele. Tre situazioni completamente diverse, tre problemi diversi, però sembra che il modo di risolverli sia lo stesso. Per questo gli uomini hanno iniziato ad astrar- re il problema: 2 è un concetto astratto, che si può realizzare in “due film”, “due panini”, “due candele”, “due eclissi” e cos̀ı via. Stessa cosa per i concetti astrat- ti “3”, “5” e “addizione”. In questo modo, facendo 2+3=5 stiamo risolvendo contemporaneamente miliardi di problemi diversi, anzi, infiniti! Ecco, l’approc- cio matematico consiste nel fare questo per qualunque problema, anche salendo 1 nei livelli d’astrazione, quindi astraendo concetti astratti simili, o astraendo le astrazioni di concetti astratti... È vero che a volte si esagera, perdendo di vista il problema originario, ma anche la matematica speculativa ha portato i suoi frutti, anche dopo migliaia d’anni... Questo è quindi il primo punto: La matematica è molto astratta E questo è un problema. Il cervello umano, per natura, rifugge dall’astrazione, ci siamo evoluti risolvendo problemi pratici. Mi spiego meglio: Davanti a un problema, abbiamo due modi per risolverlo. Il primo (chia- miamolo induttivo) è: provare, metterci le mani. Lo facciamo fin da piccoli, per esempio con il cubo con le forme a incastro. Prendiamo una formina e proviamo a infilarla in un buco. Va? Bene. Non va? Proviamo un altro foro. Essenziale per questo approccio è l’imitazione, vedere come fanno gli altri e fare la stessa cosa (per esempio un genitore). Hanno fatto recentemente uno studio, confron- tando piccoli di scimpanzé e bambini di età prescolare. Davanti a un problema, le loro capacità di risolverlo erano molto simili. Ma se un adulto mostrava la soluzione del problema, i bambini umani erano molto più veloci ad apprendere. Questo per dire che la capacità di imitazione è stata essenziale per lo sviluppo dell’umanità e della sua cultura. L’altro modo per risolvere un problema (chiamamolo deduttivo) è invece capirlo a fondo, e trovare la soluzione a colpo sicuro. Per esempio, a un certo punto da bambini ci accorgiamo che la forma a triangolo entra solo nel buco a triangolo, e non abbiamo bisogno bisogno di provarle tutte. Non solo: se a quel punto ci portano un altro cubo con forme diverse, sappiamo risolverlo senza tentativi, perch’e ormai abbiamo capito il problema nella sua forma astratta. Il metodo deduttivo è quindi più potente, ma necessita più tempo e fatica rispetto al metodo induttivo. Ma a volte non abbiamo la possibilità di usare il metodo induttivo, perché non abbiamo tentativi a disposizione: se dobbiamo decidere in quale banca mettere i nostri soldi, non possiamo provarne una, e se poi non ci piace provarne un’altra. Quando ci accorgiamo di stare perdendo soldi, è già troppo tardi. Quindi, anche se il metodo deduttivo è più faticoso e innaturale, vale la pena provarci. E pur non essendo naturale, ci possono riuscire tutti, basta allenarsi. L’astrazione è come i muscoli: più la alleni, più diventerà forte. Come ci si allena in matematica? Con gli esercizi. È normale (anzi salutare) che sfugga la ragione degli esercizi come il seguente: Esercizio Calcolare la derivata della seguente funzione: f(x) = (x2 + 3x+ 2)ex · sin(x)√ 3x+2 4x3+3 · ln(x+ cos(x)) Nella vita non servirà mai fare una cosa del genere! Ma la stessa cosa va- le, per esempio, nelle flessioni dei calciatori: si è mai visto un calciatore fare flessioni durante la partita? Oppure nelle scale dei musicisti: esistono brani da 2 • Di fronte agli esercizi, è normale a un primo impatto non capire come farli. È proprio quello il punto! La tentazione a questo punto è di vedere altri esercizi simili e imitarli. SBAGLIATO! Esercizi anche simili possono avere soluzioni completamente diverse, e soprattutto a fare cos̀ı si impara a fare gli esercizi, non la matematica (che, come visto sopra, è più importante). Invece bisogna riguardarsi le dispense, e capire cosa serve sapere delle dispense per risolvere gli esercizi. Solo a questo punto vale la pena andare avanti e indietro fra teoria ed esercizi, fino a quando non si è capito tutto. • Sempre a proposito degli esercizi: se alla fine dell’esercizio non avete idea se la vostra soluzione sia giusta o no, vuol dire che non avete capito bene la base della teoria, ed è meglio ripassarla. Per evitarvi la tentazione di imitare le soluzioni degli esercizi invece di risolverli, non vi darò mai le soluzioni degli esercizi. Per esperienza, più soluzioni metto online, meno studenti passano l’esame (sembra paradossale ma è cos̀ı). • Durante l’esame avrete la possibilità di portare con voi un cheat sheet, un foglio A4 (avanti e retro) con su scritto tutto quello che volete. Durante il corso, iniziate subito a pensare a cosa vorreste metterci dentro. • Lavoro di gruppo! Capisco che sia ingiusto nei confronti delle persone introverse, ma i gruppi di studio in matematica funzionano veramente. Ognuno capisce cose diverse, e mettendo tutto insieme si velocizza al- quanto lo studio. Ogni anno vedo studenti che aprono gruppi Facebook o Telegram privati in cui discutono delle lezioni, ed è una buona cosa. Un’altra strategia è di aprire un Google Doc condiviso, e durante la lezione prendere appunti tutti insieme sullo stesso documento. Se uno si è perso, evidenzia ciò che non ha capito e altri possono aiutarlo immediatamente. • Questo forse è il consiglio più importante. In alcuni casi potreste trovarvi nella situazione di non riuscire a prepararvi per tutti gli esami del semestre. Dato che ce ne sono sia di semplici che di difficili, la tentazione è quella di fare prima gli esami più semplici, e lasciare a dopo quelli difficili. NON SEGUITE QUESTA TENTAZIONE! Si tratta di fuori corso garantito. Prima di tutto, per regolamento non si può chiedere la tesi se prima non si sono passati tutti gli esami del primo anno, quindi lasciare indietro quelli porta a ritardi maggiori rispetto a lasciare indietro quelli del secondo e terzo anno. Poi con il tempo i programmi cambiano, se uno fa un esame dopo due anni può trovarsi argomenti che non ha fatto, e se l’esame era già difficile diventa difficile il doppio. Infine, mentre gli esami facili si possono “infilare” qua e là, se uno rimane solo con gli esami difficili ha di fronte mesi di lavoro. Bene, è il momento di iniziare a lavorare... 5 2 Elementi di logica e insiemistica Il corso di laurea “Scienze e Tecnologie Multimediali” è un corso sia di Infor- matica che di Scienze della Comunicazione. In tutto il mondo, in tutti i corsi di laurea in Informatica e Scienze della Comunicazione, c’è un solo argomento in comune per entrambi: la logica. Cerchiamo di capire perché. Consideriamo la verità o la falsità delle seguenti frasi: • “Ci sono numeri pari e dispari” è vera o falsa? Se si intende che ci sono sia numeri pari che numeri dispari è vera, se si intende che ci sono numeri che sono sia pari che dispari è chiaramente falsa. • “Se sa fare le addizioni, è bravo” è vera o falsa? Se si parla di un bambino di quattro anni, è vera, se si parla di uno studente universitario... • “Sei un lampo” è vera o falsa? Se si intende come figura metaforica può anche essere vera, altrimenti, a meno che uno non stia parlando con l’antropomorfizzazione di un processo elettrico all’interno di una nube... Insomma il linguaggio “naturale” è pieno di ambiguità. Alla fine dell’Ot- tocento, tali ambiguità sono diventate sempre più evidenti, e molti studiosi di diversi campi hanno tentato di risolverle. I linguisti, per esempio, erano in cer- ca del linguaggio “perfetto”, razionale e incontrovertibile. I matematici, invece, dato che erano in cerca di verità oggettive, avevano bisogno di un linguaggio che riflettesse questa oggettività (Wittgenstein diceva che la matematica non ci dice niente del mondo attuale, perché parla di cose che sono vere per tutti i mondi possibili). Più avanti nel tempo, gli informatici avevano bisogno di scri- vere dei programmi che fossero affidabili, che dessero sempre lo stesso risultato dallo stesso input, e dunque dovevano scrivere in un linguaggio che fosse privo di incertezze. La logica è proprio tale linguaggio. Con il tempo si è scoperto che un linguaggio cos̀ı perfetto non può essere utilizzato nella vita di tutti i giorni, perché questa richiede ambiguità: la forza di una poesia sta nell’evocare con poche parole diversi significati; un flirt fatto bene è un flirt ambiguo, cos̀ı se non funziona ci si può ritirare senza perdere la faccia; i discorsi dei politici sono quasi sempre privi di ragionamento, servono solo a colpire la “pancia” e a suscitare emozioni forti. Però nella matematica e nell’informatica sono rimaste, e comunque anche nell’analisi di un testo non ci si può esimere dal considerare il suo contenuto logico (anche se a volte non è sufficiente a comprenderne il significato). In poche parole: • La logica è il linguaggio alla base della matematica • La logica è il linguaggio alla base dell’informatica • La logica è il linguaggio alla base del... linguaggio. C’è un altro vantaggio nell’usare un linguaggio formale per la matematica: compatta molto le frasi, quindi rendendolo più leggibile. Per esempio, vediamo 6 la formula di del Ferro, scritta in matematichese: considera l’equazione ax + bx3 = c. Poni p = b a q = c a . Allora x = 3 √ q 2 + √ q2 4 + p3 27 − 3 √ q 2 − √ q2 4 + p3 27 Scritta in italiano diventa: Dil cavaliero Bolognetti lui l’hebbe da messer Sipion dal Ferro vecchio bolognese. Il Capitolo di cose e cubo eguale a numero. Quando le cose e li cubi si agugliano al numero ridurai la equazione a 1 cubo: partendo per la quantità delli cubi, poi cuba la terza parte delle cose, poi quadra la metà dil numero, e questo suma con il detto cubato, et la radice quadra di deta summa più la metà del numero fa un binomio, et la radice cuba di tal binomio men la radice cuba dil suo residuo val la cosa (dalle note di Pompeo Bolognetti, prima metà del Cinquecento, che descrivono la Formula di del Ferro, ca 1510). Ovviamente il problema di tale compattezza è che ogni frase va letta con mas- sima attenzione e concentrazione. Basta cambiare un solo simbolo per cambiare completamente il significato di una frase. 2.1 Logica proposizionale Come abbiamo visto, nel cosiddetto linguaggio naturale, il più delle volte è difficile capire cosa è vero e cosa è falso: 1. “La Terra ha un raggio equatoriale fra i 6378 e i 6379 km” è vera; 2. “10 è il numero più grande” è falsa; 3. “La musica anni Ottanta è molto bella” è soggettivo, dipende da chi lo pensa; 4. “Domani piove” la sua verità non è definita; 5. “Ogni numero pari è somma di due numeri primi” son si sa se sia vera o falsa, (e chissà se lo sapremo mai) ma sicuramente è o vera o falsa; 6. “Questa frase è falsa” ??? Occorre dunque fissare una regola: Definizione 2.1. Chiamiamo proposizioni le affermazioni che assumono uno e un solo valore di verità, vero o falso che sia. Ovviamente è una regola molto ambigua, giusto per avere un punto di par- tenza. Quindi la (1), la (2) e la (5) sono proposizioni, le altre no. (Prima di chiederci se una frase sia vera o falsa, dunque, c’è un passaggio preceden- te: dobbiamo chiederci se sia una proposizione oppure no. Per le frasi non proposizionali potrebbe non avere senso chiederselo.) 7 La tavola di verità è la seguente: P Q P ⇒ Q V V V V F F F V V F F V Potete notare che ci sono due esempi “strani”: se P è falsa, allora P ⇒ Q è sempre vera. Questo sembra andare un po’ contro la nostra esperienza. Ma d’altronde vi chiedo: la frase “Se febbraio ha trenta giorni allora l’ultimo giorno piove” è vera o falsa? Ci troviamo in difficoltà. Provo a spiegare meglio, con un esempio, perché se P è falsa, allora P ⇒ Q è sempre vera. Supponiamo di essere in un centro commerciale, e che una delle regole del centro sia “Se un cane entra nell’edificio, deve essere munito di guinzaglio”. Supponiamo inoltre che nessun cane sia entrato nell’edificio. La regola è stata rispettata? Ovviamente s̀ı! Quindi quella proposizione è vera, pur essendo “Un cane entra nell’edificio” falsa. Quindi anche frasi come “oggi è gioved̀ı implica che 7 sia un numero primo” o “se mia nonna avesse le ruote, sarebbe una carriola” sono vere. Alla base di questa difficoltà c’è una discrepanza fra il significato matematico di “se. . . allora” e il suo significato nel linguaggio della vita di tutti i giorni. La parola “implicazione” forse ci porta fuori strada: ci fa pensare a un nesso causale fra le due proposizioni. Se leggiamo “P implica Q” ci viene in mente che P provochi in qualche maniera Q. Ma in realtà in logica non è cos̀ı: “P ⇒ Q” dice semplicemente che ogni volta che P è vera, anche Q è vera, quindi P e Q potrebbero anche essere completamente indipendenti, e P ⇒ Q essere vera solo “per caso”. Per esempio, “se l’ornitorinco è un mammifero allora l’orata è un pesce” è vera, anche se non cè alcuna connessione fra le due proposizioni atomiche4. È un po’ la differenza che vedremo in statistica fra correlazione e causalità. Questa discrepanza si capisce meglio con una conoscenza profonda della lingua che usiamo. Per esempio, consideriamo questi due esempi: • Se piove prendo l’ombrello. Prendo l’ombrello. Quindi? • Se sono austriaco, allora sono europeo. Sono europeo. Quindi? Entrambi gli esempi sono formati da due proposizioni con la stessa struttura logica: P ⇒ Q, Q, eppure nel primo caso ci “viene” da dire che P è vera, mentre nel secondo caso no. Che succede? I linguisti con il tempo hanno capito che quando mettiamo nella stessa frase due idee, le stiamo “unendo” vicendevolmente (specialmente Paul Grice è stato fondamentale in questo), e che quando “uniamo” due idee diverse stiamo implicando fortemente che c’è un motivo dietro questo (infatti è una delle implicature conversazionali). Quindi se noi diciamo che se piove prendiamo l’ombrello e poi prendiamo l’ombrello, 4In matematica, invece, si può dimostrare che se P ⇒ Q è vera, allora, usando come ipotesi P , esiste una dimostrazione di Q, ma questo va al di là degli scopi di questo corso 10 quale altra motivazione avremmo avuto per pronunciare la prima frase, se non per implicare che sta piovendo? Altrimenti è una frase senza senso. Questo non accade nel secondo esempio, quando il significato delle parole è cos̀ı forte che l’implicatura non funziona. Riprendendo “L’ornitorinco è un mammifero e l’orata è un pesce.” È una frase che “stona”. Perché? Perché mettendo insieme le due cose stiamo in qualche modo implicando che ci sia un nesso, ma il nesso non c’è. Un altro esempio tipico è l’intolleranza, che parte da queste due proposizioni vere “Se uno è come me, merita rispetto”, detta in un altro modo “Se uno non merita rispetto, allora non è come me”, e “Quello non è come me”. L’errore logi- co sta nel dedurre da questo “Quello non merita rispetto”, quando questa è una deduzione totalmente senza senso (vedi l’ombrello di prima). È un’implicazione, ma il nostro cervello la trasforma in equivalenza. Una delle maggiori difficoltà della logica sta appunto nel disfarci di tutte queste implicazioni nascoste, e vedere le frasi “nude”, puro contenuto. Usando solo questi quattro connettivi, si possono costruire infinite proposi- zioni, semplicemente usandoli più volte. Per esempio: (¬(P ⇒ Q)) ∨ R. Una possibile visualizzazione di una proposizione complicata è la visualizzazione ad albero: (¬(P ⇒ Q)) ∨R ¬(P ⇒ Q) P ⇒ Q P Q R Si può leggere in due direzioni. Dall’alto al basso per decostruire una pro- posizione: (¬(P ⇒ Q)) ∨ R è una disgiunzione di ¬(P ⇒ Q) e R, il primo dei due è la negazione di P ⇒ Q, che è l’implicazione fra P e Q. Viceversa, dall’alto in basso si costruisce la proposizione: prendiamo P e Q; implichiamo il secondo dal primo; neghiamo, disgiungiamo con R e abbiamo la nostra proposizione. Facciamo un po’ di esempi: Esercizio 2.6. Consideriamo le seguenti formule atomiche: • P = La spesa è di più di 50 euro • Q = La spesa è di più di 5 prodotti • R = C’è uno sconto del 10%. 11 Scrivere in italiano la proposizione (P ∧Q)⇒ R. Proviamo a smantellare la proposizione. Prima di tutto, vediamo che è “Se P ∧ Q, allora R”. Ancora: “Se P e Q, allora R”. Semplicemente sostituendo le formule atomiche, si ha: “Se la spesa è di più di 50 euro e la spesa è di più di 5 prodotti, allora c’è uno sconto del 10%.”. Già questa è una soluzione. Ma è un po’ ridondante, possiamo renderla succinta con “Se la spesa è di più di 50 euro e di 5 prodotti, allora c’è uno sconto del 10%.”. Se pensiamo di essere dei pubblicitari, allora possiamo darle uno spin diverso: “Se fai una spesa con almeno 5 prodotti di più di 50 euro, allora avrai uno sconto del 10%”. Ma cos̀ı il messaggio non passa, ci vuole più entusiasmo! “Se nel carrello hai almeno 5 prodotti e la cassa dice più di 50 euro, preparati a una sorpresa: il 10% te lo paghiamo noi!”. Tutte queste sono possibili soluzioni. È anche un buon esempio che la logica non esaurisce il significato di una frase, e che la stessa struttura logica può portare risultati completamente diversi. Esercizio 2.7. Consideriamo le seguenti formule atomiche: • P = Io guardo il telegiornale • Q = Io leggo il giornale • R = Io apprendo le notizie online Scrivere in italiano la proposizione (P ∨Q) ∨R. Smantellando di nuovo, abbiamo “P ∨Q o R”, e quindi “P o Q, o R” (met- tiamo una virgola per distinguere da “P o Q∨R”, una proposizione equivalente ma diversa). Una soluzione molto vicina alla struttura logica è “Io guardo il telegiornale o leggo il giornale, oppure apprendo le notizie online.”. Un’altra soluzione è “Guardo il telegiornale, leggo il giornale o apprendo le notizie onli- ne.”, anche se a prima vista non sembra. Per le regole della grammatica italiana, quando abbiamo una lista di frasi separate da una virgola e alla fine da una di- sgiunzione, sono tutte disgiunzioni, quindi quella virgola vale come “o”. Non spaventatevi, non serve sapere le minuzie della grammatica, sicuramente il senso vi era ovvio! Ma a volte è difficile accorgersene. Esercizio 2.8 (Bonus). Consideriamo le seguenti formule atomiche: • P = Arrivo puntuale a lezione • Q = Prendo il posto in prima fila Scrivere in italiano la proposizione ¬(P ⇒ Q). Proponiamo tre soluzioni, tutte con un carattere leggermente diverso: • Non è vero che se arrivo puntuale a lezione allora prendo il posto in prima fila. • Non è detto che se arrivo puntuale a lezione, allora io prenda il posto in prima fila. 12 P sono vere. Se P e P ⇒ Q sono vere, allora anche Q è vera. Se Q e Q ⇒ R sono vere, allora anche R è vera. CVD. Non fa parte di questo corso lo studio delle dimostrazioni. Per fortuna per la logica proposizionale c’è un metodo più semplice di fare questo, che non ha a che fare col ragionamento e che può fare anche una persona senza cervello, ovvero un computer, e si chiama “metodo delle tavole di verità”. Abbiamo visto che qualunque proposizione possiamo rappresentarla con un diagramma ad albero. Ecco, usando questo più le tavole di verità possiamo trovare il valore di verità di qualsiasi proposizione. Per esempio: Esercizio 2.13. Supponiamo che P sia vera e che Q sia falsa. La proposizione P ∨ ((¬(P ⇒ Q))⇒ Q) è vera o falsa? Questo il diagramma ad albero: P ∨ ((¬(P ⇒ Q))⇒ Q) P (¬(P ⇒ Q))⇒ Q ¬(P ⇒ Q) P ⇒ Q P Q Q Partiamo dal basso: • dato che P è vera e Q è falsa, allora P ⇒ Q è falsa; • dato che P ⇒ Q è falsa, allora ¬(P ⇒ Q) è vera; • dato che ¬(P ⇒ Q) è vera e Q è falsa, allora (¬(P ⇒ Q))⇒ Q è falsa; • dato che P è vera e (¬(P ⇒ Q))⇒ Q è falsa, allora P∨((¬(P ⇒ Q))⇒ Q) è vera. Quindi, seguendo questo esempio, se noi sappiamo che P e ¬Q sono vere, sappiamo anche che P ∨ ((¬(P ⇒ Q)) ⇒ Q) è vera. Ma se volessimo invece vedere cosa succede quando P e Q sono entrambe vere? O entrambe false? o P è falsa e Q è vera? Dobbiamo trovare un modo di fare tutti questi casi contem- poraneamente. Vedete le tavole di verità precedenti? Le ha inventate Ludwig Wittgenstein, nel 1922. Ma non sono limitate ai connettivi, si possono estendere a qualsiasi proposizione, semplicemente ripetendole. Vediamo un esempio: 15 Esercizio 2.14. Calcolare la tavola di verità di P ∨ ((¬(P ⇒ Q))⇒ Q) Ritorniamo a vedere il diagramma ad albero: P ∨ ((¬(P ⇒ Q))⇒ Q) P (¬(P ⇒ Q))⇒ Q ¬(P ⇒ Q) P ⇒ Q P Q Q Poi iniziamo a scrivere la tavola di verità, considerando tutti i casi vero/falso per P e Q: P Q V V V F F V F F Si tratta ora di risalire la struttura passo passo. La prima formula non atomica che troviamo è P ⇒ Q. Scriviamo la tavola di verità di questa: P Q P ⇒ Q V V V V F F F V V F F V Poi abbiamo ¬(P ⇒ Q). Sappiamo che ¬ trasforma il vero in falso e viceversa, quindi scriviamo la quarta colonna come opposto della terza: P Q P ⇒ Q ¬(P ⇒ Q) V V V F V F F V F V V F F F V F Ora tocca a (¬(P ⇒ Q)) ⇒ Q. L’implicazione è falsa solo quando l’ante- cedente è vero e il conseguente è falso, per il resto è vera, quindi mettiamo F quando nella quarta colonna c’è V e nella seconda F, e per il resto mettiamo V. 16 P Q P ⇒ Q ¬(P ⇒ Q) (¬(P ⇒ Q))⇒ Q V V V F V V F F V F F V V F V F F V F V Infine P ∨ ((¬(P ⇒ Q))⇒ Q). È una disgiunzione, quindi vera quando una delle due è vera e falsa altrimenti. Dobbiamo quindi confrontare la quinta e la prima colonna: se c’è V in una delle due, allora scriviamo V, altrimenti F. P Q P ⇒ Q ¬(P ⇒ Q) (¬(P ⇒ Q))⇒ Q P ∨ ((¬(P ⇒ Q))⇒ Q) V V V F V V V F F V F V F V V F V V F F V F V V Il risultato è che la proposizione è sempre vera, qualunque siano i valori di verità o falsità di P e Q! Tali proposizioni si chiamano tautologie. In un certo senso, possiamo considerare i connettivi come operazioni: vero e falso = falso, vero o vero = vero, . . . . È quello che succede dentro i transistor: se “vero” significa far passare la corrente, e “falso” significa bloccarla, ci sono dei meccanismi fisici chiamati porte logiche, come AND o XOR, che funziona- no esattamente come le tavole di verità. I microprocessori hanno centinaia di milioni di transistor, e quindi di porte logiche. Il meccanismo delle tavole di verità viene usato anche per cercare bug nei programmi importanti (per esempio nei bancomat, per ulteriori informazioni cercare termini come 3-SAT). Ricapitolando, esiste un modo algoritmico per capire se una proposizione sia vera o falsa. Nel 1929 Kurt Gödel ha dimostrato che corrisponde al ragiona- mento: se una proposizione è vera grazie alle tavole di verità, allora esiste una dimostrazione che lo dimostra (si chiama Teorema di Completezza di Gödel). Quindi la matematica è finita qua? Facciamo partire il computer, e lui ci dice tutto ciò che è vero o falso? Not so fast. La logica proposizionale è una logica abbastanza grezza, non è adatta ad esprimere tutti i concetti, in matematica si usa una logica più fine, la logica del prim’ordine. 2.2 Logica del prim’ordine Prendiamo come esempio la frase: Ogni numero primo è dispari o è 2. È una frase vera. Il primo istinto è quello di dividerla in due, con una disgiunzione, ma se proviamo a farlo ci troviamo con un significato completamente diverso: “Ogni numero primo è dispari o ogni numero primo è 2” è una frase chiaramente falsa, perché non è vero che ogni numero primo è dispari (anche il 2 è primo, ma non dispari) e non è vero che ogni numero primo è 2 (anche 3 è un numero primo). Quindi dal punto di vista della logica proposizionale questa frase è una formula atomica. Ma possiamo vedere che c’è della struttura al suo interno: si tratta di capire come formalizzarla. La logica del prim’ordine è un estensione della logica proposizionale, quindi tutte le proposizioni della logica proposizionale sono anche proposizioni della 17 si può assolutamente fare, è lasciare la variabile nella frase in italiano: nessuno dice, nel mondo reale, “Esiste un x che tonifica”! Esercizio 2.17. Consideriamo le seguenti proposizioni dipendenti: • P (x) = x è un libro noioso • Q(x) = x è un libro leggero Scrivere in italiano la proposizione ¬∀x(P (x) ∨Q(x)). Decostruiamo la proposizione: ¬∀x(P (x) ∨Q(x)) ∀x(P (x) ∨Q(x)) P (x) ∨Q(x) P (x) Q(x) Quindi, P (x) ∨ Q(x) è “x è un libro noioso o x è un libro leggero”, che possiamo scrivere in maniera compatta come “x è un libro noioso o leggero”. ∀x(P (x) ∨ Q(x)) è “Ogni libro è noioso o leggero”. Infine ¬∀x(P (x) ∨ Q(x)) è “Non è vero che ogni libro è noioso o leggero”. Per dare un altro tono, possiamo scrivere “Non tutti i libri sono noiosi o leggeri”. Nota: non è necessario decostruire una proposizione, e non ve lo chiederò mai all’esame. Ma può essere uno strumento utile per togliersi ogni dubbio. Esercizio 2.18 (bonus). Consideriamo le seguenti proposizioni dipendenti e formule atomiche: • P (x) = x è un libro che non mi piace • Q = vado in libreria • R = compro un libro Scrivere in italiano la proposizione ∀x (P (x) ∨ (Q⇒ R)). Decostruiamo la proposizione: 20 ∀x (P (x) ∨ (Q⇒ R)) P (x) ∨ (Q⇒ R) P (x) Q⇒ R Q R Quindi, Q ⇒ R è “se vado in libreria, compro un libro”. P (x) ∨ (Q ⇒ R) è “x è un libro che non mi piace oppure se vado in libreria, compro un libro”. Infine ∀x P (x)∨ (Q⇒ R) è “Ogni libro non mi piace oppure se vado in libreria, compro un libro”. Ora possiamo provare l’esercizio inverso, ovvero dall’italiano “tradurre” in logica del prim’ordine. Esercizio 2.19. Consideriamo le seguenti proposizioni dipendenti: • P (x) = x è un politico importante • Q(x) = x è un politico corrotto Formalizzare in logica del prim’ordine la frase “Ci sono politici importanti ma non corrotti”. Quel “ci sono” è chiaramente sinonimo di “esiste”, quindi possiamo scrivere “esiste x tale che x è un politico importante ma non corrotto”, ovvero “∃xx è un politico importante ma non corrotto”. Attenzione al “ma”: è una congiunzione, avversativa ma pur sempre una congiunzione, quindi in logica proposizionale e del prim’ordine è equivalente a “e”. Quindi “x è un politico importante ma non corrotto” è “P (x) ∧ x è non corrotto”. Ma “x è non corrotto” è “Non è vero che x è corrotto”, ovvero ¬Q(x), quindi mettendo tutto insieme, arriviamo a ∃x (P (x) ∧ ¬Q(x)). Esercizio 2.20. Consideriamo le seguenti proposizioni dipendenti e formule atomiche: • P = È un mondo perfetto • Q(x) = x è una persona fragile Formalizzare in logica del prim’ordine la frase “Non è un mondo perfetto e ognuno è fragile”. “Non è un mondo perfetto” è chiaramente ¬P . “Ognuno è fragile” si può scrivere anche come “Ogni persona è fragile”, quindi ∀xQ(x). La nostra frase è la congiunzione delle due, quindi ¬P ∧ (∀xQ(x)). 21 Esercizio 2.21 (bonus). Consideriamo la seguente proposizione dipendente: • P (x) = x è una malattia debellabile Formalizzare in logica del prim’ordine la frase “Non tutte le malattie non sono debellabili”. Attenzione ai due “non”! Non è un errore di battitura. “Non tutte le malattie non sono debellabili” si può anche scrivere come “Non è vero che tutte le malattie non sono debellabili”, quindi ¬(Tutte le malattie non sono debellabili). “Tutte le malattie non sono debellabili” si può anche scrivere come “ogni malattia non è debellabile”, quindi ∀x(x non è debellabile). “x non è debellabile” è “Non è vero che x è debellabile”, quindi ¬P (x). Mettendo insieme, abbiamo ¬(∀x(¬P (x))). Ora che abbiamo un po’ di familiarità con le proposizioni anche in logica del prim’ordine, possiamo approcciare un altro tipo di esercizio. Esercizio 2.22. Alcune di queste sono proposizioni formulate secondo i principi del linguaggio matematico, altre sono simboli messi a caso. Distinguete i due. • R(x)∧ ⇒ (P ∧ ∧P (x)) • P ⇒ (∀xQ(x)) Il primo, in effetti, sono simboli a caso. Per diversi motivi: ci sono sia P che P (x), quindi non è chiaro se P sia una formula atomica o una proposizione dipendente (tra l’altro, visto che x non è quantificata, sicuramente non è una proposizione). Poi ci sono due ∧ attaccati, che non ha senso: a sinistra e a destra di un ∧ ci devono sempre essere proposizioni. Infine, anche R(x)∧ ⇒: basta pensarlo ad alta voce “se R(x) e, allora”. E cosa? Il secondo è giusto. ∀xQ(x) è una proposizione corretta, e ⇒ ha a sinistra una proposizione corretta, P , e a destra un’altra, ∀xQ(x). Ripensiamo al penultimo esercizio: Non tutte le malattie non sono debella- bili. È una frase un po’ criptica, bisogna pensarci un po’ per capire che vuol dire semplicemente “Esistono malattie debellabili”. Questo problema emerge spesso quando ci troviamo di fronte a delle negazioni di proposizioni molto comples- se, ma c’è un modo algoritmico per ridurre la negazione di una proposizione complessa a una proposizione le cui negazioni sono “semplici”. Vediamo come. Ogni proposizione complessa contiene proposizioni, che a loro volta o sono atomiche o contengono altre proposizioni, e cos̀ı via, a matrioska. Se stiamo negando una proposizione complessa, l’idea è di far “entrare” il simbolo del- la negazione, passo passo, fino a quando non compare solo vicino a formule atomiche. La chiave per fare questo è il seguente teorema: Theorem 2.23. Siano P e Q due proposizioni o proposizioni dipendenti. Al- lora: • ¬(P ∧Q) è equivalente a (¬P ) ∨ (¬Q); • ¬(P ∨Q) è equivalente a (¬P )∧ (¬Q) (questa e quella precedente sono le leggi di De Morgan); 22 esempi: voi potete trovare cento, mille, un milione di esempi per cui P (x) è vera, e non servirebbe a niente. Bisogna ragionare in astratto. • Se vogliamo dimostrare che una proposizione del tipo ∃x P (x) è falsa, di nuovo gli esempi non bastano: P (x) deve essere falsa per ogni x, e anche se trovate un miliardo di esempi per cui P (x) è falsa, non serve a niente. Bisogna ragionare in astratto. • Se vogliamo dimostrare che una proposizione del tipo ∀x P (x) è falsa, invece è semplice: ci basta trovare un esempio per cui P (x) è falsa. Ne basta veramente uno solo, quel tanto che basta per dire che è possibile che P (x) non sia vera. E le tavole di verità? Nella logica del prim’ordine non esistono, perché in questo caso i mattoni fondamentali delle proposizioni non hanno un valore di verità univoco. Per testare la verità, per esempio, di ∀xP (x), dovremmo testare la verità di P (x) per tutti i possibili x, e se questi x sono infiniti un computer non riuscirà mai a testarli tutti. Quindi dobbiamo affidarci alle dimostrazioni, e quindi ai matematici... Con la logica finiamo qui. Volendo, potremmo espanderla ancora in diverse direzioni: c’è la logica modale, in cui si possono esprimere i concetti di “è pos- sibile”, o “è necessario”, utile in linguistica e nelle materie umanistiche; c’è la logica temporale, in cui si possono esprimere i concetti di prima o dopo, o “per sempre”, utile nell’informatica; oppure c’è la logica fuzzy, dove esistono infinite vie di mezzo fra vero e falso, utile in meccanica quantistica; o ancora la logica paraconsistente, dove una frase può essere sia vera che falsa, con applicazioni all’intelligenza artificiale. Ma per quello che dobbiamo fare noi in questo corso ci basta quello che abbiamo fatto. Rimane un solo punto da chiarire, quello dei quantificatori: come definire il loro raggio d’azione? Un’ultima osservazione. La parola logica viene usata spesso in maniera molto informale. Per esempio (esempi tratti a caso dal web): • È logico che i paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo avranno obiettivi diversi. • È logico che Olivia volesse disperatamente un bambino se... avesse saputo di non poterne avere altri. Questo uso della parola logica è un po’ truffaldino: abbiamo visto che la logica è stata fondata per essere razionalmente incontrovertibile, però nella vita vera c’è ben poco che è cos̀ı certo, quindi usare questa parola serve a dare alla frase un’autorevolezza che magari non ha. Non è l’unico modo per distorcere il ragionamento. Esistono diverse “falla- cie logiche”: sono artifici retorici che servono a dare una parvenza di logica e ragionamento a una conversazione, quando in realtà non ne danno alcuna. Com- mentatori, politici, giornalisti, gente comune le usano in continuazione, tanto che di fronte a un quelunque dibattito sono più le persone che le usano che quelle che non le usano. Ecco alcuni esempi, presi dall’attualità: 25 • Pendio sdrucciolevole: Affermare che se permettiamo A, alla fine succederà Z, quindi non possiamo permettere che A accada. Esempio: Iniziano a imporci la mascherina, e poi ci imporranno cosa dire e cosa fare... È una dittatura sanitaria!!! Esempio: Non ci permettono più di fare niente, neanche usare le cannucce di plastica, di questo passo torniamo all’età della pietra!!! • Ad hominem: Attaccare la vita e i tratti personali dell’interlocutore per sminuire le sue argomentazioni. Esempio: Perché dovremmo ascoltare una ragazzina di 16 anni? Anche svedese, poi? E chissà chi c’è dietro!!! • Incredulità personale: Farsi l’idea che una cosa sia falsa perché non se ne comprende il funzionamento. Esempio: Cioè, ti inietti del morbillo in vena, e pensi che questo ti difenda dal morbillo??!? Ti hanno fatto il lavaggio del cervello?? Esempio: E certo, adesso fa più caldo perché tutti usiamo le automobili? E allora perché il mio garage è cos̀ı freddo????!? • Carovana: Ricorrere alla popolarità di una tesi per darne credito. Esempio: Se tutti dicono che il 5G provoca il coronavirus, qualcosa di vero ci sarà, no??? Esempio: Se tutti dicono che Greta è manovrata da qualcuno, una ragione ci sarà, no????? • Appello all’autorità: Siccome un personaggio autorevole ha detto qualco- sa, questa deve essere vera. Esempio: Come fai a dire che il vaccino funziona? L’esimio scienziato Dr. Brillo, a cui stavano dando il Nobel, ha detto il contrario! Esempio: Ben 500 scienziati hanno scritto una lettera che dice che il riscaldamento globale non esiste!!!!!! • Bianco o nero: Presentare due alternative come uniche possibilità. Esempio: Invece di pensare alla scuola, il governo dovrebbe pensare al coronavirus! oppure: Invece di pensare al coronavirus, il governo dovrebbe pensare alla scuola! Esempio: Piuttosto che scioperare, è meglio che i giovani ascoltino gli scienziati!!! • Fallacia aneddotica: Usare esperienza personale o esempi isolati invece di argomentazioni robuste. Esempio: A mio cugino dopo il vaccino è venuta l’orchite. Vedi che fa male?? Esempio: Come si fa a dire che c’è il riscaldamento globale? È maggio e ho ancora il cappotto!!!! 26 • Terreno di mezzo: Dire che un punto di mezzo fra due estremi deve essere la verità: Esempio: C’è chi dice che il riscaldamento globale c’è, e c’è chi dice che non c’è. La verità starà nel mezzo, no??? Altri esempi si possono trovare su https://yourlogicalfallacyis.com/it. Insomma, quando ci troviamo davanti a una persona che ha idee diverse dalla propria, se vogliamo “vincere”, possiamo usare questi trucchetti. Oppure possiamo parlare, argomentare, e cercare di espandere le proprie conoscenze. 2.3 Insiemi Ritornando al punto precedente: come fare a definire il raggio d’azione dei quantificatori? La risposta è: con gli insiemi. La risposta a qualsiasi cosa in matematica è: con gli insiemi. Un gruppo di matematici, nel tentativo di dare basi solide e rigorose alla matematica, è riuscito a ricondurre tutta la matematica agli insiemi: numeri, funzioni, triangoli, matrici, tutto definito come insieme. In particolare Ernst Zermelo nel 1908 ne ha dato una versione quasi definitiva. Noi non andremo cos̀ı nel dettaglio, ma questo ci mostra quanto il concetto di “insieme” sia cos̀ı centrale nella matematica di oggi. Pur essendo cos̀ı centrale, noi non lo definiremo in questo corso. Una defi- nizione rigorosa di insieme prenderebbe una pagina intera di queste dispense, e la spiegazione della definizione almeno 8 ore di lezione. Quando, in realtà, tutti quanti abbiamo un’idea abbastanza precisa di cosa sia un insieme. Quindi ci accontentiamo di definire un insieme semplicemente come una collezione di oggetti, anche se la definizione è un po’ vaga. Definizione 2.25. Sia A un insieme. Scriviamo x ∈ A per indicare che x è un elemento di A, x /∈ A per indicare che x non è un elemento di A. Questa notazione è stata introdotta da Giuseppe Peano (anche se poi Ber- trand Russell gliel’ha rubata), e vuol dire proprio “è”, quindi è un raro caso di notazione matematica in italiano. Facciamo un esempio per capirne il signifi- cato: se A è l’insieme degli animali, dire che x ∈ A significa dire che “x è un animale”. Un insieme speciale è l’insieme vuoto, ovvero l’insieme che non ha elementi. Si scrive ∅. In logica, il vuoto è definito come l’unico insieme tale che ¬∃x x ∈ ∅, o equivalentemente ∀xx /∈ ∅. Altri insiemi che incontreremo spesso sono gli insiemi di numeri. Chiamiamo N l’insieme dei numeri naturali (ovvero 0, 1, 2, . . . ) e Z l’insieme dei numeri interi (ovvero i numeri naturali e i loro negativi). Daremo per scontato che sappiamo cosa sono i numeri senza definirli, e più avanti analizzeremo meglio questi insiemi di numeri e altri. Ci sono tre modi per descrivere un insieme: • Rappresentazione estensiva, ovvero scrivere tutti i suoi elementi. Per esempio {0, 1, 2}, {Gioia, Disgusto, Paura, Rabbia, Tristezza}. . . Per il 27 Theorem 2.29. L’insieme vuoto è sottoinsieme di qualsiasi insieme. Sia A un insieme qualunque, e dimostriamo che ∅ ⊆ A. Dobbiamo dimostrare che per qualunque x, la proposizione x ∈ ∅ ⇒ x ∈ A è vera. Ma x ∈ ∅ non è mai vera, dunque l’implicazione è sempre vera. Theorem 2.30. Ogni insieme è sottoinsieme di se stesso. Sia A un insieme qualunque, e dimostriamo che A ⊆ A. Dobbiamo dimostra- re che per qualunque x, la proposizione x ∈ A⇒ x ∈ A è vera. Ma l’antecedente e il conseguente dell’implicazione sono sempre o entrambi veri, o entrambi falsi, quindi secondo la tabella di verità la proposizione è sempre vera. Anche il simbolo ⊆ è stato inventato da Peano, ed è in italiano: è la C di “Contenuto”. Può capitare il seguente qui pro quo: definisco l’insieme A in un certo modo (p.es. N), definisco l’insieme B in un altro modo (p.es. {n ∈ Z : n ≥ 0}), ma alla fine i due insiemi sono uguali! Come fare a dimostrarlo? Beh, due insiemi sono uguali se e soltanto se hanno gli stessi elementi, ovviamente. Quindi un modo di dimostrarlo può essere quello di dimostrare sia A ⊆ B che B ⊆ A: se tutti gli elementi di A sono in B e tutti gli elementi di B sono in A, allora entrambi avranno gli stessi elementi. A volte questo è l’unico modo per dimostrare che due insiemi sono uguali. Come fare invece per dimostrare che due insiemi sono diversi? Basta trovare un elemento che stia in uno e non nell’altro. Se scriviamo tutto in logica del prim’ordine questo è ancora più chiaro. Infatti A = B è ∀x ((x ∈ A⇒ x ∈ B) ∧ (x ∈ B ⇒ x ∈ A)) quindi la sua negazione è ¬(∀x ((x ∈ A⇒ x ∈ B) ∧ (x ∈ B ⇒ x ∈ A))) ∃x¬((x ∈ A⇒ x ∈ B) ∧ (x ∈ B ⇒ x ∈ A)) ∃x¬(x ∈ A⇒ x ∈ B) ∨ ¬((x ∈ B ⇒ x ∈ A) ∃x (x /∈ A ∧ x ∈ B) ∨ (x /∈ B ∧ x ∈ A) Esercizio 2.31. Vero o falso? 0 = {n ∈ Z : n− 1 ∈ N} Si vede subito che quello a sinistra è un numero, 0, mentre a destra c’è un insieme, quindi sicuramente è falso. In generale, di fronte a qualunque espres- sione matematica dobbiamo essere sempre attenti agli oggetti che abbiamo di fronte: due numeri (o espressioni numeriche) possono essere uguali fra di loro, due insiemi possono essere uguali fra di loro, ma un numero non può essere uguale a un insieme, sono semplicemente oggetti diversi. cos̀ı come un insieme non può essere uguale a una capra. Cerchiamo di capire lo stesso che cos’è l’insieme a destra. Ci stanno tutti i numeri il cui numero precedente è un numero naturale. Facciamo qualche test. -1 ci sta? No, perché −2 /∈ N. 0 ci sta? No, perché 0 − 1 = −1 /∈ N. 1 ci 30 sta? S̀ı, perché 1 − 1 = 0 ∈ N. 2 ci sta? S̀ı, perché 2 − 1 = 1 ∈ N. A questo punto è chiaro che se prendiamo numeri ancora superiori, staranno tutti nel nostro insieme, quindi {n ∈ Z : n− 1 ∈ N} non è altro che l’insieme dei numeri maggiori o uguali a 1. Esercizio 2.32. N = {n ∈ N : n > −1} Per vedere se è vero, possiamo provare a dimostrare sia N ⊆ {n ∈ N : n > −1} che N ⊇ {n ∈ N : n > −1}. La seconda è ovvia, quindi l’unico punto problematico puó essere la prima. Ma tutti i numeri naturali sono maggiori di -1, quindi è vero che n ∈ N⇒ n > −1, e questo dimostra anche la prima parte. Passiamo ora alle operazioni fra insiemi. Definizione 2.33. Dati due insiemi A e B, l’unione dei due insiemi, A∪B, è l’insieme degli oggetti che stanno in uno o nell’altro, ovvero {x : (x ∈ A)∨ (x ∈ B)} Visto con i diagrammi di Venn, A ∪B è quello rosso: A B A ∪B Anche questo simbolo è stato inventato da Peano, dove ∪ sta per la U di Unione. Definizione 2.34. Dati due insiemi A e B, l’intersezione dei due insiemi, A∩B, è l’insieme degli oggetti che stanno in entrambi, ovvero {x : (x ∈ A)∧(x ∈ B)} Visto con i diagrammi di Venn, A ∩B è quello rosso: A B A ∩B 31 Questo è un altro simbolo di Peano, ma in questo caso non vuol dire niente, è solo “l’opposto” dell’unione. Esiste un’altra operazione, che non useremo mai perché ha una notazione ambigua, ma che introduciamo per completezza. Definizione 2.35. Fissiamo un insieme V , e sia A un sottoinsieme di V . Allora il complementare di A in V è l’insieme degli elementi che stanno in V ma non in A, ovvero {x ∈ V : ¬(x ∈ A)}, e si scrive come Ac. Notiamo che se non fissassimo V , ci ritroveremo ad avere contraddizioni simili a quella del paradosso di Russell. Coi diagrammi di Venn: V A Ac È interessante notare la stretta relazione fra la logica del prim’ordine e l’in- siemistica. Se prendiamo un insieme di riferimento, chiamiamolo V , e una pro- posizione dipendente, chiamiamola P (x), allora possiamo considerare l’insieme {x ∈ V : P (x)}. Quindi ad ogni proposizione dipendente (con una variabile) corrisponde un insieme! Non solo, ma ad ogni connettivo corrisponde un’ope- razione: per esempio, se A = {x ∈ V : P (x)} e B = {x ∈ V : Q(x)}, allora A ∩B = {x ∈ V : P (x) ∧Q(x)}. Quindi ci sono queste corrispondenze: P (x) {x ∈ V : P (x)} ∧ ∩ ∨ ∪ ¬ c ⇒ ⊆ Questa corrispondenza in informatica la si usa costantemente. Un tipico esempio sono i trucchi di Google: se uno usa AND, si ritroverà l’intersezione delle due ricerche, e se uno usa OR, l’unione. Quindi per esempio se metto su Google “Indiana Jones” OR “Voldemort”, mi ritroverò l’unione dei risultati di “Indiana Jones” e “Voldemort”, mentre con “Indiana Jones” AND “Voldemort” ci saranno solo risultati con entrambi. Aggiungiamo un’altra operazione, che si potrebbe anche definire usando le altre: la sottrazione. Definizione 2.36. Dati due insiemi A e B, A\B (si dice A meno B) è l’insieme degli elementi che stanno in A ma che non stanno in B, quindi {x ∈ A : x /∈ B}. In diagrammi di Venn: 32 A B A ∩B Non solo A \ B non è contenuto in A ∩ B, ma sono addirittura disgiunti! Per trovare un esempio, dobbiamo trovare degli A e B che facciano esattamente quel diagramma. Per esempio: A B 1 2 3 Quindi A = {1, 2} e B = {2, 3}. Allora A \ B = {1}, A ∩ B = {2}, e non è vero che {1} ⊆ {2}. Un errore molto comune fra gli studenti è confondersi fra i due modi per risolvere il problema. Per esempio, molti studenti invece di dimostrare che A \ B ⊆ A ∩ B può non essere vera, provano a dimostrare che è sempre falsa. Questo è molto più difficile, e a volte proprio non funziona, perché c’è sempre il caso in cui una proposizione può essere sia vera che falsa. In questo caso, per esempio, se poniamo A = {1} e B = {1, 2}, allora A \ B = ∅, A ∩ B = {1}, e quindi, dato che ∅ ⊆ {1}, abbiamo che A \ B ⊆ A ∩ B è vera. Questa proposizione, dunque, è in una “zona grigia”, a volte è vera e a volte è falsa, però quello che ci interessa è che non è sempre vera. Tentare di dimostrare che è sempre falsa, invece, porta al fallimento. Altre volte gli studenti, invece di dimostrare che A\B ⊆ A∩B è sempre vera, fanno degli esempi per cui è vera. Come abbiamo visto, questo è assolutamente inutile. Esercizio 2.40. Stabilire se la seguente affermazione è sempre vera, qualunque siano A, C e D. Nel caso in cui non sia sempre vera, indicare concretamente degli insiemi A, C e D per cui l’affermazione non vale. A \ (C ∪D) ⊆ A ∪ C. 35 Vediamo i diagrammi di Venn. Per essere sicuri di raffigurare le cose nella maggior generalità, dobbiamo fare in modo che tutti gli insiemi si intersechino fra loro: C D A Quindi C ∪D è il seguente: C D A e A \ (C ∪D) è il seguente: 36 C D A D’altra parte, A ∪ C è il seguente: C D A Quindi sembra veramente che il primo sia un sottoinsieme del secondo. Per toglierci ogni dubbio (magari abbiamo sbagliato il disegno) dobbiamo fare una piccola dimostrazione. Come sono fatti gli elementi del primo insieme? Se x è un elemento del primo insieme, allora x ∈ A ma x /∈ (C ∪ D), ovvero x ∈ A e ¬(x ∈ C ∨ x ∈ D), ovvero (ricordiamoci le formule della negazione) x ∈ A, x /∈ C e x /∈ D. D’altra parte, x ∈ A∪C solo se x ∈ A o x ∈ C. Il ragionamento finale è: se x ∈ A\ (C ∪D), allora x ∈ A, x /∈ C e x /∈ D, e in particolare x ∈ A, ma quindi “x ∈ A o x ∈ C” è vera, quindi x ∈ A ∪C. Abbiamo dimostrato che per qualunque x, se x ∈ A\(C∪D) allora x ∈ A∪C, quindi A\(C∪D) ⊆ A∪C. Strano a dirsi, ma ci sono anche applicazioni musicali dell’insiemistica: Iannis Xenakis inventò quella che si chiama “teoria degli insiemi musicale”. L’idea è quella di costruire un brano isolando due o più insiemi di note, e poi costruire i 37 sopra: “Dati due insiemi A e B, il prodotto cartesiano di A e B, scritto A × B, è l’insieme delle coppie il cui primo elemento è un elemento di A e il secondo elemento è un elemento di B”, stiamo dicendo che A e B sono variabili, e per ogni A e per ogni B insiemi vale che il prodotto cartesiano è eccetera. Quindi, per esempio, le seguenti frasi sono vere: • il prodotto cartesiano di {b, k, n, o, s, u} e {x ∈ N : x > 0}, scritto {b, k, n, o, s, u}× {x ∈ N : x > 0}, è l’insieme delle coppie il cui primo elemento è un elemento di {b, k, n, o, s, u} e il secondo elemento è un elemento di {x ∈ N : x > 0} • il prodotto cartesiano di {x ∈ Z : ∃y ∈ N y = x} e {0, 4, 5, 6, 7, 8, 9}, scritto {x ∈ Z : ∃y ∈ N y = x} × {0, 4, 5, 6, 7, 8, 9}, è l’insieme delle coppie il cui primo elemento è un elemento di {x ∈ Z : ∃y ∈ N y = x} e il secondo elemento è un elemento di {0, 4, 5, 6, 7, 8, 9} • il prodotto cartesiano di {k, l, r, z} e Z, scritto {k, l, r, z} × Z, è l’insieme delle coppie il cui primo elemento è un elemento di {k, l, r, z} e il secondo elemento è un elemento di Z Un altro esempio: “Sia F (x) una proposizione dipendente da x: ∀xF (x) indica che per ogni x vale F (x)” (qui è sottointeso: sia x una variabile...) • “∀x x è alto” indica che per ogni x vale “x è alto” • “∀y y è basso” indica che per ogni y vale “y è basso” • “∀G G è un modello greimasiano della semiotica generativa” indica che per ogni G vale “G è un modello greimasiano della semiotica generativa” Un esempio particolare è quando A = B, e quindi A × A è l’insieme delle coppie di elementi di A. Esercizio 2.45. Siano A = {−2, 0, 1} e B = {−3, 0}. Dire se le seguenti proposizioni sono vere o false: • (0,−3) ∈ A×B • (0,−3) ∈ B ×A e calcolare esplicitamente A×A e P(B)× P(B). Una coppia sta in A × B se il primo elemento della coppia sta in A e il secondo sta in B. Nel primo caso, 0 ∈ A e −3 ∈ B, quindi è vero. Nel secondo caso, attenzione: adesso stiamo parlando di B × A, e l’ordine è importante. Dobbiamo vedere se il primo elemento della coppia sta in B e il secondo sta in A. In effetti, 0 ∈ B, ma −3 /∈ A, quindi la proposizione è falsa. Dobbiamo ora calcolare A× A, ovvero l’insieme di coppie di elementi di A. È un procedimento tedioso, e c’è il rischio di dimenticarne qualcuna. Dobbiamo quindi stare attenti a scrivere le cose in un certo ordine, per essere sicuri di considerare tutte le possibili coppie. Per esempio, possiamo partire da -2, e vedere tutte le coppie che iniziano con -2, poi quelle che iniziano con 0, e infine quelle che iniziano con 1. Quando cerchiamo le coppie che iniziano con -2, 40 mettiamo come secondo elemento prima -2, poi 0 e poi 1, in ordine, in modo da esaurire tutte le possibilità, e facciamo la stessa cosa le altre due. Quindi: {(−2,−2), (−2, 0), (−2, 1), (0,−2), (0, 0), (0, 1), (1,−2), (1, 0), (1, 1)} Vediamo infine P(B) × P(B). Notiamo subito che gli elementi di questo insieme sono particolari: sono coppie di elementi di P(B), e dunque sono coppie di insiemi (attenzione alle parentesi, dunque!). Prima di tutto calcoliamo P(B), che è {∅, {−3}, {0}, {−3, 0}}, e poi cerchiamo tutte le coppie, in ordine, come prima: {(∅, ∅), (∅, {−3}), (∅, {0}), (∅, {−3, 0}), ({−3}, ∅), ({−3}, {−3}), ({−3}, {0}), ({−3}, {−3, 0}), ({0}, ∅), ({0}, {−3}), ({0}, {0}), ({0}, {−3, 0}), ({−3, 0}, ∅), ({−3, 0}, {−3}), ({−3, 0}, {0}), ({−3, 0}, {−3, 0})} 2.4 Funzioni Gli insiemi sono entità abbastanza “statiche”. Descrivono collezioni di cose. Ma la matematica si occupa di descrivere anche situazioni più “dinamiche”. Per questo motivo sono state introdotte le funzioni, uno degli oggetti più importanti in assoluto in tutte le scienze, e oggetto di studio della maggior parte dei rami della matematica. Inizialmente, le funzioni erano un’idealizzazione di come variava una quantità dipendente da un’altra quantità (per esempio, la posizione di un oggetto in base al tempo), ma poi ci si è accorti che si potevano descrivere funzioni che non si riferivano solo alle quantità, ma a qualsiasi oggetto. Vediamo un esempio di come ogni giorno siamo circondati da decine di funzioni: • Sofia apre l’agenda (o meglio, un bullet journal), e vede che per ogni ora ha scritto qualcosa da fare. È una funzione, che a ogni ora associa un’azione. • Sofia si pesa, d’altronde ogni persona ha il proprio peso. Quello che sta facendo è prendere la funzione che associa ad ogni persona il suo peso, e calcolarla su di sé. • Sofia, camminando fra la gente, nota i diversi colori delle magliette delle persone che incontra per strada. Un’altra funzione, quella che associa ad ogni persona il colore della sua maglietta. • Ora Sofia sale sull’autobus, e cerca un posto. Anche qui, c’è la funzione che associa ad ogni persona il suo posto nell’autobus. • E che dire dell’appello a scuola? Una funzione che associa ad ogni persona il suo nome. • . . . 41 Quindi una funzione è un’associazione fra oggetti: si parte da una certa collezione di oggetti (un insieme!) e la funzione ad ognuno di questi associa qualcosa (un numero, un’azione, un colore,. . . ). Però non tutte le associazioni fra oggetti sono funzioni. Per essere funzione, l’associazione deve sottostare a delle regole ferree: • sono ben fissati la partenza e l’arrivo della funzione, ovvero: la funzione associa quali oggetti a quali altri? (Negli esempi sopra: la funzione va dall’insieme delle ore del giorno all’insieme delle azioni; . . . ) • tutti gli oggetti di partenza devono essere considerati (Negli esempi sopra: ogni ora ha un’azione, ogni persona un nome, un peso un colore, . . . ) • la funzione associa un unico oggetto ad ogni oggetto di partenza (Negli esempi sopra: Sofia non compie due azioni allo stesso tempo, una persona non ha due pesi nello stesso momento, . . . ) Per capire queste regole, vediamo la madre di tutte le funzioni, quella che ha fatto scaturire tutto: la funzione che a ogni istante associa la posizione di un oggetto o una persona in quell’istante. Può succedere che in uno degli istanti l’oggetto non abbia una posizione? No, nella realtà non può sparire. E quindi per ogni istante la funzione deve associare qualcosa. Può succedere che in uno degli istanti l’oggetto abbia due posizioni? No, mica si può sdoppiare. E quindi per ogni istante la funzione deve associare una sola posizione. La prima regola serve a evitare ambiguità e a essere sicuri che le altre due regole siano soddisfatte (riprendiamo dopo questo discorso). Per dire che f associa x a y, scriviamo f(x) = y. Quindi, per esempio, nel caso del bullet journal potremmo avere f(7 : 00) = Sveglia, f(8 : 00) = Scuola e cos̀ı via. Se la f è ovvia dal contesto, a volte si scrive x 7→ y, oppure anche f : x 7→ y. Si dice anche che y è immagine di x tramite f . Possiamo dare ora una definizione formale di funzione: Definizione 2.46. Siano X e Y insiemi, e sia f un’associazione che associa elementi di X a elementi di Y . Allora f è una funzione se • ∀x ∈ X ∃y ∈ Y f(x) = y; • ∀x ∈ X ∀y ∈ Y (f(x) = y ⇒ (∀z ∈ Y (f(x) = z ⇒ y = z))). In tal caso scriviamo f : X → Y . L’ultima proposizione è in effetti un po’ complicata, vuol dire solo che se f(x) = y e f(x) = z allora y = z, ovvero che a x è associato un unico elemento. Esiste un altro modo in matematica per indicare il concetto “esiste un unico”, ed è usare il simbolo ∃!. Quindi la definizione di funzione si può scrivere come: ∀x ∈ X ∃!y ∈ Y f(x) = y. Esercizio 2.47. Considera la seguente associazione da {d, l, t, u} a {c, d, i, j, l, p, q, r, w}, che associa d 7→ r, l 7→ p, t 7→ d, d 7→ l e u 7→ w. È una funzione? 42 x r y m j i h o s z In quest’ultimo esempio il codominio può rimanere uguale. Questo perché c’è un’asimmetria nella definizione di funzione: mentre richiediamo che tutti gli elementi del dominio vengano coinvolti, ci possono essere elementi del codominio che non vengono coinvolti. Quindi in realtà il codominio ci dice poco di come sia fatta la funzione, potrebbero esserci tanti elementi “riempitivi” che non intervengono nella definizione della funzione. Tornando all’esempio di Sofia: • La funzione “bullet journal” ha come codominio l’insieme delle azioni, ma possono esserci azioni che non vengono fatte (p.es. allenarsi con il trapezio) • La funzione “peso” ha come codominio i numeri naturali, ma nessuno pesa 2500kg • La funzione “colore della maglietta” ha come codominio l’insieme dei colori, ma magari ci sono colori che non vengono indossati (p.es. eliotropo) • La funzione “posti sull’autobus” ha come codominio i posti sull’autobus, ma magari ci sono posti vuoti • . . . Se vogliamo conoscere invece nel dettaglio quali sono gli elementi del codo- minio che vengono coinvolti, dobbiamo analizzare l’insieme immagine: Definizione 2.51. L’ insieme immagine di una funzione è l’insieme dei valori assunti da una funzione. Ovvero, se f : X → Y , allora Im(f) = {y ∈ Y : ∃x ∈ X f(x) = y}. Possiamo scrivere anche f [dom(f)]. Quindi: • La funzione “bullet journal” ha come insieme immagine l’insieme delle azioni compiute nel giorno 45 • La funzione “peso” ha come insieme immagine i pesi possibili delle persone • La funzione “colore della maglietta” ha come insieme immagine l’insieme dei colori delle magliette • La funzione “posti sull’autobus” ha come insieme immagine i posti occu- pati sull’autobus • . . . Volendo, possiamo calcolare l’insieme immagine di una funzione non su tutto il dominio, ma solo su un suo sottoinsieme. Definizione 2.52. Sia f : X → Y , e sia A ⊆ X. Allora f [A] è l’insieme immagine di f su A, ovvero {y ∈ Y : ∃x ∈ Af(x) = y}. È facile quindi capire cosa c’è in f [A]: se un oggetto sta in A, allora la sua immagine starà in f [A]. Riprendendo l’esempio della funzione “posti sull’autobus”. Se X è l’insieme delle persone sull’autobus e f la funzione che a ogni persona associa il suo posto sull’autobus, l’immagine di f è l’insieme dei posti occupati. Se A ⊆ X è l’insieme delle persone minorenni sull’autobus, f [A] è l’insieme dei posti occupati da minorenni. Esempio grafico: X = dom(f) Y Im(f) A f [A] Esercizio 2.53. Calcolare l’insieme immagine di f : {c, n, o, p, q, x} → {1, 2, 3, 5, 6, 8, 9}, definito come f(c) = 5, f(n) = 9, f(o) = 3, f(p) = 1, f(q) = f(x) = 8. Questo è il diagramma a frecce: 46 o n c p q x 5 3 1 2 8 9 6 L’insieme immagine è l’insieme degli elementi di {1, 2, 3, 5, 6, 8, 9} che sono associati ad elementi di {c, n, o, p, q, x} tramite f . Visivamente, sono quelli a cui arriva almeno una freccia. Praticamente, l’insieme immagine è {f(c), f(n), f(p), f(q), f(x)}. Quindi, l’insieme immagine di f è {1, 3, 5, 8, 9} (tutti tranne 2 e 6). o n c p q x 5 3 1 2 8 9 6 Il ragionamento dell’esercizio precedente ci porta alla terza rappresentazione degli insiemi. Se f : X → Y è una funzione e A ⊆ X, allora: • Rappresentazione per rimpiazzamento: {f(x) : x ∈ A} è f [A]. Il nome rende bene l’idea: è come se prendessimo l’insieme A, e rimpiazzas- simo ogni elemento x ∈ A con f(x), proprio come nell’esercizio, in cui abbiamo preso {c, n, o, p, q, x} e rimpiazzato gli elementi con le loro immagini. Per esem- 47 Iniettività e suriettività sono completamente indipendenti fra di loro: una funzione può essere iniettiva ma non suriettiva, suriettiva ma non iniettiva, né iniettiva né suriettiva, o anche sia iniettiva che suriettiva. Queste ultime sono le funzioni più speciali di tutte: Definizione 2.57. Una funzione si dice biiettiva se è iniettiva e suriettiva. Visivamente, in un diagramma a frecce, una funzione è iniettiva se ogni elemento dell’insieme d’arrivo è raggiunto esattamente da una freccia. 50 I termini iniettiva, suriettiva, biiettiva, cos̀ı come la notazione (e persino il simbolo di insieme vuoto) sono stati introdotti da Bourbaki, un gruppo di matematici che si firmava come uno solo e aveva l’obiettivo di rifondare la ma- tematica in maniera più formale. Vengono dal francese: in-iettiva nel senso di gettata dentro (in), perché le funzioni iniettive proiettano una copia del domi- nio dentro il codominio; sur-iettiva nel senso di gettata sopra (sur), perché le funzioni suriettive “coprono” il codominio. Vediamo un po’ di esempi pratici, fra quelli che abbiamo già visto più qualcun’altro: • la funzione Bullet Journal: È iniettiva? Non è detto, perché la stessa azione potrebbe essere fatta più volte durante la giornata (p.es. studio alle 16:00 e studio alle 18:00). È suriettiva? Abbiamo già visto di no, ci possono essere azioni non fatte; • la funzione Peso: È iniettiva? No, possono esserci più persone con lo stesso peso, e come già visto non è suriettiva; • la funzione Targa, che associa ad ogni autoveicolo la sua targa. È iniettiva? S̀ı, non ci possono essere due autoveicoli con la stessa targa. Ma non è suriettiva, perché ci sono targhe che non hanno ancora un autoveicolo, o il cui autoveicolo è stato distrutto; • prendiamo la funzione che ad ogni persona associa l’iniziale del suo nome. È iniettiva? No, due persone potrebbero avere la stessa iniziale. È suriet- tiva? Probabilmente s̀ı, per ogni lettera c’è una persona con un nome che comincia con quella lettera (p.es. Xenia); • infine supponiamo che un autobus sia pieno, e consideriamo la funzione Posto. È iniettiva? S̀ı, in ogni posto ci si siede una sola persona. È suriettiva? S̀ı, l’autobus è pieno. Quindi è anche biiettiva. Quindi in una funzione biiettiva c’è perfetta simmetria fra dominio e codo- minio: 51 • ogni elemento del dominio è associato ad un elemento del codominio, e ogni elemento del codominio è associato ad un elemento del dominio (suriettività); • gli elementi del dominio sono associati ad un solo elemento del codominio, e gli elementi del codominio sono associati ad un solo elemento del dominio (iniettività). Supponiamo dunque di avere una funzione biiettiva f : X → Y , e proviamo a “invertire l’ordine delle frecce”, ovvero a chiamare il dominio, codominio e viceversa, e se f(x) = y facciamo associare y a x. Per il fatto che f era biiettiva, quindi, questa associazione è una funzione con dominio Y e codominio X. La chiamiamo funzione inversa di f , e scriviamo f−1. Se invertiamo le frecce di una funzione che non è iniettiva, non troviamo una funzione: Infatti dal primo punto partono due frecce, e quindi non è una funzione. Stessa cosa se la funzione non è suriettiva: 52 j h d b k m x 4 3 2 1 0 6 7 8 9 In effetti, a 1 arrivano tre frecce, e a 2 nessuna, quindi questo conferma quello che avevamo dimostrato. Come con le proposizioni, gli insiemi e i numeri, si possono fare operazioni anche fra funzioni. La più comune e usata è la composizione. Si tratta di mettere due funzioni una dopo l’altra. Vediamo prima gli esempi pratici: • L’agenda è una funzione che a ogni ora fa corrispondere un’azione; ma esiste anche una funzione che a ogni azione associa le calorie perse/subite dall’azione. La funzione composta delle due è la funzione che a ogni ora associa il numero di calorie perse/subite in quell’ora. • esiste una funzione che a ogni persona associa il suo peso in kg; esiste una funzione che a ogni peso in kg associa il peso in libbre. La funzione composta è la funzione che a ogni persona associa il suo peso in libbre. • partiamo dalla funzione che associa a ogni persona il colore della sua ma- glietta; esiste una funzione che a ogni colore associa lo spettrogramma dei fotoni emessi dalla maglietta. La funzione composta sarà... • funzione che a ogni persona associa il suo nome; funzione che a ogni nome associa le iniziali; funzione composta associa a ogni persona... • . . . Definizione 2.60. Siano X,Y, Z insiemi, siano f : X → Y e g : Y → Z due funzioni (notare che il dominio della seconda è il codominio della prima). La 55 funzione composta di f e g, scritta g ◦f , è la funzione di dominio X, codominio Z, che associa ad ogni x ∈ X g(f(x)). Soffermiamoci su g(f(x)). Cosa vuol dire esattamente? Abbiamo che x ∈ X, e quindi f(x) ∈ Y , ovvero f(x) è un elemento di Y . Ma Y è il dominio di g, quindi deve esistere g(f(x)), l’elemento immagine di f(y) tramite g. Vediamo cosa succede nel diagramma a frecce: x y f(x) f(y) g(f(y)) g(f(x)) Esercizio 2.61. Siano A = {m, z}, B = {a,m, u}, C = {0, 1, 2, 7, 8, 9}. Considera le funzioni cos̀ı definite: • f : B → C, f(a) = 9, f(m) = 8, f(u) = 0; • g : A→ B, g(m) = a, g(z) = a. Quale funzione composta ha senso, f ◦ g, g ◦ f? Calcolare il valore della funzione composta sensata su ogni elemento del suo dominio e determinare se le funzioni f , g e la loro composta sono iniettive, suriettive o biiettive. Il dominio della seconda funzione deve essere uguale al codominio della pri- ma, quindi bisogna prima applicare g e poi f , perciò l’unica funzione composta che ha senso è f ◦ g. Calcoliamola punto per punto: • g(m) = a, e f ◦ g(m) = f(g(m)) = f(a) = 9; • g(z) = a, e f ◦ g(z) = f(g(z)) = f(a) = 9. Quindi f ◦ g : A→ C, e f ◦ g(m) = f ◦ g(z) = 9, La funzione f è iniettiva, perché a 9, 8 e 0 è associato solo un elemento, ma non è suriettiva, perché per esempio a 1 non è associato alcun elemento. La funzione g non è iniettiva, perché ad a sono associati sia m che z, e non è suriettiva, perché per esempio a m non è associato niente. La funzione f ◦ g non è suriettiva, perché per esempio a 0 non è associato niente, e non è iniettiva, perché a 9 sono associati sia m che z. Esercizio 2.62. Siano f : N → N e g : N → Z, tali che per ogni n ∈ N, f(n) = 3n+ 2, e per ogni m ∈ N, g(m) = −m. Calcolare g ◦ f . 56 Presto fatto. Intanto g ◦ f : N → Z. Poi, se n ∈ N, allora f(n) = 3n + 2, e g ◦ f(n) = g(f(n)) = g(3n+ 2) = −(3n+ 2) = −3n− 2. I più acuti avranno notato che non c’è bisogno che il codominio della pri- ma funzione sia proprio uguale alla seconda, è possibile calcolare la funzione composta anche in condizioni più generali. In realtà basta che l’immagine della prima funzione sia contenuta nel dominio della seconda. Ora che sappiamo comporre le funzioni, possiamo definire meglio cos’è una funzione invertibile: Definizione 2.63. Una funzione f : X → Y si dice invertibile se esiste una funzione g : Y → X tale che per ogni x ∈ X vale g ◦ f(x) = x, e per ogni y ∈ Y vale f ◦ g(y) = y. Quindi le funzioni invertibili sono quelle che permettono sempre di “recupe- rare” l’elemento di partenza dall’elemento di arrivo in maniera univoca, proprio come le funzioni biiettive. Theorem 2.64. Per ogni funzione f , f è biiettiva se e soltanto se f è inverti- bile. Quindi non solo le funzioni biiettive sono invertibili, ma sono le uniche a essere tali. Domanda: esistono funzioni biiettive fra due insiemi qualunque? 2.5 Cardinalità e infiniti Se andiamo a rivedere tutti gli esempi ed esercizi che abbiamo incontrato fino ad adesso, notiamo che ogni volta che c’è una funzione biiettiva fra due insiemi finiti, questi insiemi hanno lo stesso numero di elementi. È una regola mate- matica? Cerchiamo di scoprirlo. Questo è un buon esempio di come funziona il pensiero matematico: tanti passaggi semplici, che capirebbe anche un bambino delle elementari, ma messi uno dopo l’altro e con il livello di astrattezza giusto dimostrano cose non banali, che hanno anche un’utilità pratica. Definizione 2.65. Sia A un insieme finito. La cardinalità di A, scritta |A|, è il numero di elementi di A. Questa è una banalità: Theorem 2.66. Se A e B sono due insiemi finiti, e A ⊆ B, allora |A| ≤ |B|. Vogliamo capire se c’è una connessione fra le cardinalità di A e B e le proprietà delle funzioni da A a B. Le domande che ci interessano sono: • Supponiamo di conoscere la cardinalità di A e B. Esistono funzioni iniettive fra A e B? Suriettive? Biiettive? • Supponiamo che fra A e B esistano funzioni di un certo tipo (iniettive, suriettive o biiettive). Cosa possiamo dire della cardinalità di A e B? 57 Per vedere questo, ordinate l’insieme A. Poi assegnate a f(primo elemento di A) il numero 1, a f(secondo elemento di A) il numero 2, e avanti cos̀ı. Quello che stiamo facendo è contare gli elementi di Im(f), e dato che non succede mai che assegnamo due numeri allo stesso elemento (f è iniettiva), il numero di elementi sarà lo stesso di A. 3 2 1 Ma quindi, dato che Im(f) ⊆ B, se f è iniettiva abbiamo che |A| = |Im(f)| ≤ |B|. Quindi se |A| > |B|, non esistono funzioni iniettive da A a B. Inoltre, se |A| = |B|, allora Im(f) = B e f è anche suriettiva (ovvero se |A| = |B| non esistono funzioni iniettive non suriettive da A a B). Sia f : A→ B suriettiva, cosa sappiamo di |A| e |B|? Ordiniamo di nuovo l’insieme A. Ora facciamo questo: assegniamo a f(primo elemento di A) e al primo elemento di A il numero 1; se a f(secondo elemento di A) è già stato assegnato qualche numero non facciamo niente, altrimenti assegniamo a lui e al secondo elemento di A il numero 2. E avanti cos̀ı. Visto che f è suriettiva, abbiamo assegnato un numero a tutti gli elementi di B. Nel caso in cui non abbiamo dovuto “saltare” alcun numero quel numero sarà uguale a |A|, altrimenti sarà minore. Ovvero, |A| ≥ |B|. Quindi se |A| < |B| non esistono funzioni suriettive da A a B. Inoltre, se |A| = |B|, allora f è anche iniettiva (ovvero se |A| = |B| non esistono funzioni suriettive non iniettive da A a B). 2 3 1 3 1 2 Infine, se f : A → B è biiettiva, in particolare è iniettiva, e dunque |A| = 60 |Im(f)|, ma è anche suriettiva, ovvero Im(f) = B, e dunque |A| = |B|. Abbiamo dunque dimostrato: Theorem 2.69. Siano A e B due insiemi finiti. Allora • Esiste una funzione iniettiva da A a B se e soltanto se |A| ≤ |B|; • Esiste una funzione suriettiva da A a B se e soltanto se |A| ≥ |B|; • Esiste una funzione biiettiva da A a B se e soltanto se |A| = |B|; Attenzione! Come già rimarcato, dire che esiste una funzione iniettiva, per esempio, non vuol dire che tutte le funzioni siano iniettive. Quindi se |A| < |B|, sappiamo che ci sono sia funzioni iniettive che funzioni non iniettive. E funzioni suriettive? No, perché in questo caso |A| ≥ |B| è falso, e dunque lo è anche “esiste una funzione suriettiva da A a B”. Quindi: Theorem 2.70. Siano A e B due insiemi finiti. Allora • se |A| < |B|, allora esistono funzioni né iniettive né suriettive da A a B, e funzioni iniettive, ma non possono esistere funzioni suriettive o biiettive; • se |A| > |B|, allora esistono funzioni né iniettive né suriettive da A a B, e funzioni suriettive, ma non possono esistere funzioni iniettive o biiettive; • se |A| = |B|, allora esistono funzioni né iniettive né suriettive da A a B, e funzioni biiettive, ma non possono esistere funzioni iniettive non suriettive o suriettive non iniettive. Ma se pensiamo alle funzioni invertibili, questo teorema pone un grosso osta- colo in un campo molto pratico dell’informatica. Quando abbiamo file molto grossi e dobbiamo trasportarli, sorge la necessità di comprimerli. Quello che vorremmo fare, dunque, è prendere tutti i file di una certa grandezza (per esem- pio fino a 1 GB), e poterli ridurre a una grandezza più piccola (per esempio 100 MB). Fare questo vorrebbe dire definire una funzione dall’insieme dei file di 1 GB (chiamiamolo A) all’insieme dei file di 100 MB (chiamiamolo B). Ma questa funzione la vorremmo invertibile: dato il file compresso, vorremmo po- terlo decomprimere in maniera univoca. Questo vuol dire che la nostra funzione deve essere biiettiva, ovvero non devono esistere due file che vengono compressi in un unico file. Però A contiene molti più elementi di B (più di dieci volte tanto), quindi |A| > |B| e non può esistere una funzione biiettiva fra A e B. Matematicamente, dunque, comprimere un file è impossibile. Come funziona nella realtà? Anche se non esistono funzioni invertibili, il trucco sta nel trovare funzioni quasi iniettive, dette funzioni di hash. Queste non sono iniettive (e non possono esserlo), ma nella maggior parte dei casi concreti lo sono. Per esempio, se dobbiamo comprimere un immagine e c’è un grande rettangolo bianco, invece di dire che tutti i pixel del rettangolo, uno ad uno, sono bianchi, diciamo che tutti i pixel da l̀ı a là sono bianchi, risparmiando spazio. Ovviamente se ci troviamo con un’immagine caotica che 61 ha colori completamente diversi pixel per pixel, questa non verrà compressa, ma tali immagini sono rare, per non dire impossibili, in natura. La ricerca sulle funzioni di hash è tutt’ora in corso, e gli informatici ne creano sempre di migliori (anche se sappiamo che non esisterà mai la migliore di tutte). Esercizio 2.71. Esiste una funzione iniettiva da {k, q, t, w} a {2, 3, 9}? In caso positivo, fornire un esempio. Il primo insieme ha cardinalità 4, il secondo 3, quindi |{k, q, t, w}| > |{2, 3, 9}|, quindi siamo nel secondo caso del teorema qua sopra, e non esistono funzioni iniettive da {k, q, t, w} a {2, 3, 9}. Esercizio 2.72. Esiste una funzione suriettiva da {c, d, j, l,m} a {0, 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9}? In caso positivo, fornire un esempio. Il primo insieme ha cardinalità 5, il secondo 9, quindi |{c, d, j, l,m}| > |{0, 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9}|, quindi siamo nel primo caso del teorema qua sopra, e non esistono funzioni suriettive da {c, d, j, l,m} a {0, 1, 2, 3, 5, 6, 7, 8, 9}. Esercizio 2.73. Esiste una funzione biiettiva fra {g, i, n, s} e {1, 4, 6, 7}? In caso positivo, fornire un esempio. Il primo insieme ha cardinalità 4, il secondo 4, quindi |{g, i, n, s}| = |{1, 4, 6, 7}|, quindi siamo nel terzo caso del teorema qua sopra, ed esistono funzioni biiet- tive da {g, i, n, s} a {1, 4, 6, 7}. Come trovarne una? Usiamo il metodo della dimostrazione del teorema: ordiniamo entrambi gli insiemi (l’ordine che c’è già va bene) e associamo primo a primo, secondo a secondo, eccetera. Quin- di f : {g, i, n, s} → {1, 4, 6, 7}, definita come f(g) = 1, f(i) = 4, f(n) = 6 e f(s) = 7 è una funzione biiettiva. E cosa succede invece se gli insiemi sono infiniti? Ci troviamo subito in difficoltà a definire cosa voglia dire “essere più grande”. Negli insiemi finiti, quello che facciamo è contare gli elementi, e quando ci fermiamo abbiamo il numero di elementi. Ma in un insieme infinito non ci fermeremo mai! La soluzione più ragionevole consiste nel ribaltare quello che abbiamo già scoperto: negli insiemi finiti, due insiemi sono grandi uguali se e soltanto se esiste una biiezione fra di loro. Ma allora possiamo dire che due insiemi qualunque sono grandi uguali se e soltanto se esiste una biiezione fra di loro. Non è una definizione arbitraria, entra nel profondo del concetto di “conta- re”. Quando “contiamo” gli elementi di un insieme, quello che stiamo facendo è definire una biiezione fra l’insieme e un sottoinsieme dei numeri naturali. Quin- di, per esempio, se abbiamo un cestino con 5 pere e un cestino con 5 mele e vogliamo sapere se ci sono tante mele quante pere, quello che facciamo è defi- nire una biiezione fra le pere e {1, 2, 3, 4, 5}, definire una biiezione fra le mele e {1, 2, 3, 4, 5}, e poi comporre le biiezione. In realtà, avremmo potuto costruire direttamente una biiezione fra pere e mele, cos̀ı avremmo potuto subito sapere che i due insiemi erano uguali. Questo funziona per insiemi molto grandi: se vediamo una parata militare, non abbiamo bisogno di contare quanti piedi ci sono per sapere che ci sono tanti piedi destri quanti piedi sinistri! 62 esistono funzioni biiettive, e quindi |N| 6= |R|. La dimostrazione è sorprenden- temente elegante e semplice, e ne fa uno dei teoremi più belli della storia della matematica. Dimostriamo in maniera pratica che non esistono funzioni suriettive da N a {x ∈ R : 0 ≤ x < 1}. Chiaramente se non esistono funzioni suriettive in un insieme cos̀ı piccolo, non ce ne saranno neanche nell’insieme più grande. Sia dunque f : N → {x ∈ R : 0 ≤ x < 1} una funzione qualunque. Dobbiamo dimostrare che esiste un elemento di {x ∈ R : 0 ≤ x < 1} che non è immagine di alcun elemento di N, che non è “raggiunto da alcuna freccia”. Scriviamo f(0), f(1), f(2), eccetera riga per riga, mettendo le cifre in colonna. Per esempio: 0 7→ 0 , 4 9 3 0 1 2 ... 1 7→ 0 , 2 3 4 7 1 7 ... 2 7→ 0 , 8 3 0 4 8 7 ... 3 7→ 0 , 6 4 6 1 9 8 ... 4 7→ 0 , 8 9 0 9 4 8 ... 5 7→ 0 , 4 3 8 2 6 9 ... ... 7→ ... ... ... ... ... ... ... ... ... Evidenziamo i numeri che stanno sulla diagonale (quindi la prima cifra dopo la virgola di f(0), la seconda cifra dopo la virgola di f(1), e avanti). 0 7→ 0 , 4 9 3 0 1 2 ... 1 7→ 0 , 2 3 4 7 1 7 ... 2 7→ 0 , 8 3 0 4 8 7 ... 3 7→ 0 , 6 4 6 1 9 8 ... 4 7→ 0 , 8 9 0 9 4 8 ... 5 7→ 0 , 4 3 8 2 6 9 ... ... 7→ ... ... ... ... ... ... ... ... ... Ora scriviamo un numero che ha tutte le cifre diverse da quelle evidenziate, in ordine. Nel nostro esempio: 0 7→ 0 , 4 9 3 0 1 2 ... 1 7→ 0 , 2 3 4 7 1 7 ... 2 7→ 0 , 8 3 0 4 8 7 ... 3 7→ 0 , 6 4 6 1 9 8 ... 4 7→ 0 , 8 9 0 9 4 8 ... 5 7→ 0 , 4 3 8 2 6 9 ... ... 7→ ... ... ... ... ... ... ... ... ... 0 , 5 4 1 2 5 0 ... Il numero che viene fuori è un numero con infinite cifre dopo la virgola, diverso da tutti quelli precedenti! Non è uguale a f(0), perché la loro prima cifra dopo la virgola è diversa, non è uguale a f(1), perché la loro seconda cifra è diversa, e cos̀ı via. Quindi quel numero non è immagine di alcun elemento di N, come volevasi dimostrare. Il Teorema di Cantor più generale è questo: Theorem 2.80. Per ogni A insieme, non esiste una funzione suriettiva da A a P(A). 65 Esercizio 2.81. Esiste una funzione suriettiva da R a Z? In caso positivo, fornire un esempio. Per il Teorema di Cantor, sappiamo che l’infinito di R è più grande di quel- lo di N, che a sua volta è uguale a quello di Z, quindi esiste una suriezione dall’insieme più grande a quello più piccolo. Una possibile funzione è questa: associamo ad ogni numero reale, la sua approssimazione per difetto. È una fun- zione, perché ogni numero reale ha una e una sola approssimazione per difetto, ed è suriettiva, perché ogni numero intero è, per esempio, approssimazione di se stesso. Ovviamente la funzione non può essere iniettiva. 2.6 Relazioni Abbiamo visto che non tutte le associazioni sono funzioni. Eppure ci sono delle associazioni che comunque sono utili nella vita. Per esempio: x è associato ad y se x è padre di y. Non è una funzione, perché ci sono persone senza figli e persone con più figli. Allo stesso modo tutti i gradi di parentela sono associazioni: x è associato a y se x è cugino di y, o nonno di y. In matematica queste associazioni si chiamano relazioni. Le funzioni sono un tipo speciale di relazione, ma ci sono tanti diversi tipi di relazione. Il mondo delle relazioni è sconfinato, e ne vedremo solo alcuni esempi di base. Se R è una relazione fra gli insiemi X e Y , e x è in relazione con y, scriviamo xRy (notare che non possiamo scrivere R(x) = y, perché potrebbero esserci più elementi in relazione con x). In questo corso ci occuperemo solo di relazioni interne ad un insieme, quindi nel caso speciale X = Y . Descriveremo ora una gamma di proprietà che una relazione può soddisfare. In base alle proprietà che soddisfa, una relazione può avere un nome speciale, lo vedremo in seguito. Riflessività Sia R una relazione su X, e sia x un elemento di X. L’elemento x è in relazione con se stesso? Ovvero xRx? Per esempio, prendiamo la relazione: x è in relazione con y se y conosce il numero di telefono di x. Tutti conoscono il proprio numero di telefono (si spera), quindi ogni elemento è in relazione con se stesso. Oppure la relazione ≤: ogni numero è minore o uguale a se stesso. Dal lato completamente opposto, consideriamo <: nessun numero è strettamente minore di se stesso. Definizione 2.82. Sia R una relazione su X. • R si dice riflessiva se ogni elemento di X è in relazione con se stesso, ovvero ∀a ∈ X aRa. • R si dice irriflessiva se nessun elemento di X è in relazione con se stesso, ovvero ∀a ∈ X ¬(aRa). Quindi “y conosce il numero di telefono di x” e ≤ sono relazioni riflessive, mentre < è irriflessiva. 66 Attenzione! Rimane il caso in cui alcuni elementi sono in relazione con se stessi, ed altri no. In quel caso la relazione non è né riflessiva né irriflessiva. Simmetria Sia R una relazione su X, e prendiamo due elementi x e y tali che xRy. Vale anche il viceversa, ovvero yRx? Per esempio, prendiamo la relazione: x è parente di y. Se x è parente di y, allora chiaramente anche y è parente di x. Oppure: n è in relazione con m se n ·m è pari. Dato che il prodotto è commutativo, se n ·m è pari allora anche m ·n è pari. Dal lato completamente opposto, pensiamo alla relazione x è padre di y. Chiaramente se x è padre di y, non avverrà mai che anche y è padre di x. Oppure pensiamo di nuovo a ≤: prendiamo due numeri n e m. Se n ≤ m e m ≤ n allora n = m. A metà, c’è il caso x ama y: non sempre l’amore è corrisposto, ahimé, ma a volte s̀ı. Definizione 2.83. Sia R una relazione su X. • R si dice simmetrica se tutte le relazioni sono reciproche, ovvero ∀a, b ∈ X (aRb⇒ bRa). • R si dice anti-simmetrica se nessuna relazione è reciproca a parte gli ele- menti in relazione con se stessi, ovvero ∀a, b ∈ X (aRb∧a 6= b⇒ ¬(bRa)), che si può anche scrivere come ∀a, b ∈ X (aRb ∧ bRa⇒ a = b). Attenzione! Rimane il caso in cui per alcune coppie la relazione è reciproca, per altre no. In quel caso la relazione non è né simmetrica né anti-simmetrica. Quindi le relazioni “x è parente di y” e “n · m è pari” sono simmetriche, le relazioni “x è padre di y” e ≤ sono anti-simmetriche, e l’amore non è né simmetrico né anti-simmetrico. Notiamo che una relazione anti-simmetrica è dunque una relazione “a senso unico”, invoca un certa direzione. Attenzione due! Notiamo che nella definizione c’è ⇒, che ha una tavola di verità poco intuitiva. Quindi, affinché una relazione R su X sia simmetri- ca, dobbiamo avere che per ogni coppia a, b di elementi in X la proposizione aRb ⇒ bRa deve essere vera. Cosa succede se nessun elemento è in relazione con un altro? L’antecedente dell’implicazione è falso, e dunque la proposizione è vera! Transitività Infine, sia R una relazione su X, e prendiamo tre elementi x, y, z in X. Supponiamo che x sia in relazione con y e y in relazione con z. È vero che x è in relazione con z? Per esempio, vediamo la relazione: x è compagno di classe di y. Se x è compagno di classe di y, e y è compagno di classe di z, allora è chiaro che anche x è compagno di classe di z (sono tutti nella stessa classe). Oppure: nRm se m è divisibile per n. Se prendiamo tre numeri n,m, p, con p divisibile per m e m divisibile per n, allora anche p è divisibile per n. 67 • abbiamo aRc. Abbiamo anche cRa? S̀ı. • abbiamo bRc. Abbiamo anche cRb? S̀ı. Gli altri due casi sono simmetrici. Quindi s̀ı, R è simmetrica. È antisimmetrica? No, perché abbiamo sia aRc che cRa. È transitiva? No, perché abbiamo aRc e cRb, ma non aRb. Vediamo ora vari tipi di relazioni: Definizione 2.86. Una relazione irriflessiva e simmetrica si chiama grafo. I grafi sono diventati uno strumento essenziale in informatica e in matemati- ca, ed esiste un’intero ramo della matematica chiamato “Teoria dei grafi”. Uno dei corsi della laurea magistrale CMTI è dedicato interamente a quello. Come dice il nome, i grafi sono molto facili da rappresentare in maniera visuale. Basta disegnare un punto per ogni elemento dell’insieme su cui il grafo è definito, e unire con una linea gli elementi che sono in relazione fra di loro. Essendo il grafo simmetrico, ha senso (un elemento è unito all’altro se e soltanto se vale anche il viceversa). Gli elementi dell’insieme su cui il grafo è definito si chiamano nodi o vertici, le linee che li uniscono si chiamano archi o lati o spigoli. a b c d e Il primo esempio lampante sono le amicizie su Facebook: essere amici è una relazione reciproca, e nessuno è amico di se stesso. Facebook deve usare diversi algoritmi per analizzare la struttura del grafo, e quindi, per esempio, suggerire nuovi amici. Un altro esempio sono le connessioni fra città: è possibile andare da una città all’altra in autobus? In treno? In aereo? Le agenzie di viaggi e i siti online che promuovono viaggi devono stare attenti alla struttura di quei grafi per trovare un buon percorso. Ma anche tutto il settore delle telecomunicazioni è un grafo, dove i nodi sono le varie centraline, i ripetitori, i server o gli apparecchi finali. Questa raffigurazione è cruciale, per esempio, per prevedere come si propagherà un virus (informatico) e difendersi da esso. Di fronte a un grafo ci sono diversi problemi pratici: esiste un percorso fra due nodi? Se s̀ı, qual è il percorso migliore? Qual è il percorso più corto che passa attraverso tutti i nodi? È possibile passare attraverso tutti i nodi senza passare due volte sullo stesso nodo? Ci sono cicli nel grafo? Tutti questi problemi compaiono quotidianamente in qualunque settore abbia bisogno di grafi, e sono 70 state investite ingenti risorse per trovare algoritmi sempre più veloci per risolvere questi problemi. Definizione 2.87. Una relazione irriflessiva si chiama grafo diretto. Quindi, attenzione: il grafo diretto non è un grafo! (Pessima notazione, ma non l’ho decisa io). La visualizzazione è simile a quella del grafo, solo che in questo caso, non essendo la relazione simmetrica, disegnamo una freccia per indicare la direzione della relazione. Se due elementi sono in relazione fra di loro in entrambi i versi, disegnamo due frecce, oppure una doppia freccia. a b c d e C’è un grafo diretto che ci circonda e che influenza qualunque cosa facciamo: Internet. Internet è un insieme di pagine web che si linkano fra di loro, e se diciamo che una pagina è in relazione con un’altra se e soltanto se la linka, allora abbiamo un grafo diretto. Google vede proprio Internet cos̀ı, come una serie di punti uniti da frecce, e gli algoritmi di Google si occupano di mappare questo grafo e di assegnare un punteggio alle pagine a cui arrivano più frecce. È interessante notare che mentre l’amicizia su Facebook è un grafo, il following su Twitter è un grafo diretto. Nella costruzione di un social network, decidere se le relazioni fra utenti sono simmetriche oppure no ha una forte influenza su come si svilupperà. Un altro esempio: basta guardare la mappa di una città, è un grafo diretto, i cui nodi sono gli incroci. Alcune strade sono a senso unico e altre sono bidirezionali. Ma attenzione! Avete presente di come le proposizioni si potessero smantel- lare in alberi, e cos̀ı anche le operazioni fra insiemi? Anche quello è un grafo diretto! Vedere le proposizioni cos̀ı non è solo utile per noi, ma anche per i computer, ed è la base per fare in modo che i computer capiscano cosa dicono gli umani. Ovviamente tutti i problemi algoritmici dei grafi valgono anche per i grafi diretti, con la difficoltà in più della direzione. Partendo dai grafi, si possono creare oggetti più complessi. Per esempio i grafi pesati: sono grafi a cui viene assegnato un numero per ogni arco. Qui le strade sono il tipico esempio, dove il numero è la lunghezza della strada. È quello che fa Google Maps quando cerchiamo le indicazioni: costruisce il grafo diretto delle strade, e a ogni tratto di strada assegna un tempo di percorrenza. Trovare il miglior percorso passando attraverso certe tappe, lasciando libero l’ordine delle tappe, è un problema molto complesso, che si chiama problema del commesso viaggiatore. 71 Visivamente, basta aggiungere un numero sull’arco: a b 8 c 9 3 d 7 e 7 3 8 Infine, il grafo colorato. È un grafo a cui vengono assegnati dei colori ai nodi. Tipicamente si vuole assegnare dei colori in modo che se due nodi sono collegati da uno stesso arco hanno dei colori diversi. Questo viene usato in tutti i casi in cui si vogliono evitare sovrapposizioni, come nello scheduling degli esami (bisogna evitare che uno studente abbia due esami diversi lo stesso giorno), oppure nella cartografia (bisogna evitare che due aree confinanti abbiano lo stesso colore). È stato dimostrato, per esempio, che bastano quattro colori per colorare un grafo che rappresenta aree geografiche confinanti, e questo ha un’applicazione nell’uso di frequenze del cellulare: il GSM, dove ancora si usa, divide in aree il mondo, e ogni area confinante deve avere una frequenza diversa. Quindi bastano quattro frequenze! Esercizio 2.88. Un’associazione studentesca vuole organizzare diverse feste di Halloween, ma vorrebbe anche che non vi partecipino persone che si odiano a vicenda, per evitare scenate. Voi siete incaricati di smistare nelle varie feste un gruppo di sette persone (che per la privacy indicheremo con le loro maschere). Vi viene in mente di disegnare un grafo che raffiguri le persone che non si sopportano, per poi tentare di colorarne i nodi con meno colori possibili. • Il Vampiro non sopporta la zucca, Frankenstein (bisognerebbe dire il mostro di Frankenstein, ma vabbé), il gatto nero e il pirata • La zucca non tollera Frankenstein, il fantasma e il politico • Frankenstein odia il politico • Il fantasma detesta il politico • Il gatto nero disprezza il politico • Il pirata preferirebbe non stare nella stessa stanza del politico. Qual è il numero minimo di colori che riuscite a ottenere? Intanto assegnamo a ogni maschera una lettera, per disegnare meglio il grafo (ogni lettera sarà un nodo). Vampiro = V, Zucca = Z, Frankenstein = F, Gatto nero = G, Pirata = P, Fantasma = M e politico = X. Disegnamo un arco fra due maschere quando queste due dovrebbero andare in feste separate. Il primo punto ci dà queste informazioni: 72 Vediamo un altro tipo di relazioni. Pensiamo a relazioni del tipo: x sta nella stessa classe di y, x ha la stessa età di y, x viene fatto lo stesso giorno di y... Sono relazioni che dividono l’insieme di partenza in classi omogenee, in classi di elementi che hanno qualcosa in comune. È chiaro che sono relazioni riflessive, perché ogni cosa ha banalmente tutto in comune con se stessa. È chiaro che sono relazioni simmetriche, perché se x ha qualcosa in comune con y, allora anche y ha qualcosa in comune con x. Ed è chiaro che sono relazioni transitive, perché se x ha qualcosa in comune con y, che ha la stessa cosa in comune con z, allora anche x ha la stessa cosa in comune con z. Queste relazioni si chiamano relazioni di equivalenza. Definizione 2.89. Una relazione si dice di equivalenza se è riflessiva, simme- trica e transitiva. Esercizio 2.90. Sia R la relazione su {a, b, c, d, e, f, g}, dove a, b, c, d, e, f sono in relazione con tutti gli altri elementi. È una relazione di equivalenza? Per essere una relazione di equivalenza, deve essere simmetrica. Ma aRg e g non è in relazione con a, quindi R non è simmetrica, quindi non è una relazione di equivalenza. Esercizio 2.91. Sia R la relazione su N, definita come nRm se n ha la stessa cifra delle unità di m. È una relazione di equivalenza? Quindi, per esempio, 3 è in relazione con 13, 23, 153, 1953, ... 0 è in relazione con 10, 100, 540, ... È riflessiva: ogni numero ha la stessa cifra delle unità di se stesso, banale. È simmetrica: se n ha la stessa cifra delle unità di m, allora vale anche il viceversa. È transitiva: se n ha la stessa cifra delle unità di m, e m ha la stessa cifra delle unità di p, allora anche n ha la stessa cifra delle unità di p. Quindi è una relazione di equivalenza. Infine l’ultimo tipo di relazione che ci serve: l’ordine. Abbiamo visto che le relazioni anti-simmetriche implicano una sorta di “direzione”: se a è in relazione con b, allora non può accadere il viceversa. Questo succede per relazioni come “x è più vecchio di y”, o ≤, oppure “x ha sconfitto y”. Però vediamo l’ultimo esempio: potrebbe succedere che fra tre squadre, la prima batte la seconda, la seconda batte la terza e la terza batte la prima. Si crea un ciclo in cui nessuno è veramente vincitore. La causa di questo è il fatto che tale relazione non è transitiva. Se aggiungiamo la transitività, come nei primi due esempi, allora abbiamo una nozione d’ordine: Definizione 2.92. Una relazione riflessiva, anti-simmetrica e transitiva si chiama ordine. Anche la varietà di ordini è sterminata, ed esiste un intero ramo della matematica chiamato teoria degli ordini. Noi vedremo solo qualche esempio. Esercizio 2.93. Sia R la relazione su {a, b, c, d}, definita come bRa, cRb, cRc, dRc, dRd. È un ordine? 75 Per essere un ordine deve essere una relazione riflessiva, e dato che manca aRa non è riflessiva, e quindi non è un ordine. Bisogna fare attenzione: quando nel linguaggio comune parliamo di “ordi- ne”, stiamo dando per scontato che ci sia una sorta di “classifica”, con qualcuno primo, qualcuno secondo, eccetera. Presi due oggetti, sappiamo chi viene pri- ma e chi dopo. Per esempio, l’ordine alfabetico. In matematica l’ordine è un concetto più ampio. Vediamo un esempio: Vogliamo comprare un nuovo smartphone, perché l’ultimo ci è caduto men- tre facevamo bungee jumping. Andiamo sul sito BestSmartphone, e leggiamo le recensioni, cercando quello che fa più per noi. Le caratteristiche che ci interes- sano sono tre: durata della batteria, qualità della fotocamera e, ovviamente, il prezzo. • Il Wreck Trap 7+ ha preso 5 nella batteria, 4 nella fotocamera e 7 nel prezzo • Il GL Q26 ha preso 6 nella batteria, 6 nella fotocamera e 8 nel prezzo • Il Wuahei I8 Lite ha preso 8 nella batteria, 6 nella fotocamera e 9 nel prezzo • Il Masmung Superplus ha preso 7 nella batteria, 9 nella fotocamera e 8 nel prezzo Qual è il migliore? È chiaro che il primo è il peggiore di tutti, e il secondo è migliore del primo e peggiore degli altri due, ma il terzo ha batteria e prezzo migliori, mentre il quarto ha la fotocamera migliore. Sono inconfrontabili, non è possibile dire cosa è meglio. Questo è un buon momento per introdurre una possibile raffigurazione visiva di un ordine. L’idea è questa: se a è in relazione con b, allora mettiamo a sotto b e le uniamo con un segmento. Non serve mettere una freccia, la direzione è implicita nel modo in cui disponiamo gli elementi (attenzione, in tutti gli altri diagrammi che avevamo visto la posizione era ininfluente, in questo caso è essenziale). Dato che un ordine è transitivo, disegneremo solo alcuni segmenti, dando per scontato che se due elementi sono uniti da uno o più segmenti, e il primo elemento è sotto il secondo, allora il primo elemento è in relazione con il secondo. Quindi nel caso degli smartphone il diagramma è questo: W G I M Attenzione! Questo diagramma è diverso da quello di un grafo: in un grafo, disegnamo tutti gli archi, in questo, ne disegnamo solo alcuni, e gli altri sono scontati dal fatto che stiamo raffigurando un ordine. Per esempio, nel grafo qui sopra, abbiamo le seguenti informazioni: 76 • W è in relazione con G, G è in relazione con I e G è in relazione con M ; • dato che la relazione è un ordine, è riflessiva, e quindi W è in relazione con W , G è in relazione con G, I è in relazione con I e M è in relazione con M ; • dato che la relazione è un ordine, è transitiva, e quindi W è in relazione con I e W è in relazione con M . Un altro esempio di ordine con elementi inconfrontabili: sia X un qualunque insieme, e consideriamo la relazione ⊆ su P(X) (quindi A è in relazione con B se A ⊆ B). È facile vedere che la relazione ⊆ è un ordine: • per ogni A ⊆ X, A ⊆ A, quindi è riflessiva • per ogni A,B ⊆ X, se A ⊆ B e B ⊆ A allora A = B, quindi è anti- simmetrica • per ogni A,B,C ⊆ X, se A ⊆ B ⊆ C allora A ⊆ C, quindi è transitiva. Se pensiamo dunque alla relazione ⊆ su P({1, 2}), vediamo per esempio che ∅ è in relazione con {1}, ∅ è in relazione con {2}, ma {1} e {2} sono inconfrontabili, ovvero nessuno dei due è in relazione con l’altro. Il diagramma di quest’ordine è fatto cos̀ı: Gli ordini in cui tutti gli elementi si possono confrontare sono speciali: Definizione 2.94. Una relazione d’ordine R su X si dice totale o lineare se ∀x, y ∈ X xRy ∨ yRx. Ovvero, una relazione d’ordine è totale se, presi due elementi qualunque, o il primo è in relazione con il secondo o viceversa. In questo caso il diagramma d’ordine diventa una linea dritta. Esercizio 2.95. Sia R ordine su {a, b, c, d, e, f} definito come aRc, bRe, cRd, dRf , fRb. È un ordine totale? Notiamo che l’esercizio dice esplicitamente che R è un ordine, dunque diamo già per scontato che sia riflessivo, anti-simmetrico e transitivo. Da ciò possiamo dedurre che le relazioni indicate dall’esercizio (aRc, bRe...) non sono tutte, ma ce ne sono di nascoste, come aRa (per riflessività) o aRd (per transitività). Dobbiamo dunque interpretare il testo dell’esercizio come: sia R l’unico ordine per cui valgono le sequenti relazioni... Per dimostrare che un ordine è totale, la cosa migliore è sempre disegnare un diagramma: se viene fuori una linea, allora l’ordine è totale, altrimenti si potrà 77 sono sbarre verticali con n punti. E se l’ordine è infinito? Allora anche in caso di totalità possono non esserci massimi o minimi, basta pensare a ≤ su Z, che non ha né massimi (non esiste un numero più grande di tutti gli altri) né minimi (non esiste un numero più piccolo di tutti gli altri). Theorem 2.98. Massimo e minimo, se esistono, sono unici. Piccola dimostrazione: sia R un ordine su X, e supponiamo che M,N ∈ X siano massimi di R. Dato che M è massimo, tutti gli elementi di X sono in relazione con lui, in particolare N , quindi NRM . Ma anche N è massimo, quindi tutti gli elementi di X sono in relazione con lui, e quindi anche M , perciò MRN . Ma R è un ordine, quindi soddisfa la proprietà anti-simmetrica, e visto che abbiamo NRM e MRN deve valere M = N . Per il minimo c’è una dimostrazione quasi identica. Esercizio 2.99. Sia R un ordine su {a, b, c, d} definito come aRd, dRb e dRc. Trovare massimo e minimo, se esistono. Quando si tratta di ordini finiti, è molto facile trovare massimo e minimo dal diagramma. Quindi disegnamo il diagramma: a d c b Vediamo subito che il punto più basso è un minimo: è in relazione con d, e per transitività è anche in relazione con b e c, quindi è in relazione con tutti. Dunque a è il minimo di R. Invece non c’è alcun massimo: d sicuramente non è un massimo, perché è in relazione con c; b e c sono degli elementi particolari: non sono in relazione con niente, ovvero non cè niente al di sopra di loro. Ma questo non vuol dire che siano massimi: affinché siano massimo tutti gli elementi devono essere sotto di loro, che è diverso5. In questo caso, c non è un massimo, perché non vale bRc, e b non è un massimo, perché non vale cRb. Esercizio 2.100. Sia R l’ordine su N definito come nRm se 1 n ≤ 1 m o n = 0. Trovare massimo e minimo, se esistono. Intanto cerchiamo di capire come è fatto l’ordine, con degli esempi. Per definizione, abbiamo che per qualunque m ∈ N, 0Rm, quindi 0 è chiaramente il minimo di questo ordine, per definizione. Poi abbiamo che 2R1, 3R2, 4R3, eccetera. Sembra dunque che quest’ordine sia una catena discendente infinita, con 1 in cima. Proviamo a dimostrare dunque che 1 è il massimo dell’ordine. 5Gli elementi che non sono in relazione con niente si chiamano massimali, e al contrario del massimo possono non essere unici. Ogni massimo è massimale, ma non è detto che un elemento massimale sia massimo 80 Sia n ∈ N un numero qualunque, dobbiamo dimostrare che nR1, ovvero che o n = 0 o 1 n ≤ 1. Ma in effetti questo è vero, o n = 0 oppure, se n > 0, abbiamo che 1 n ≤ 1. Quindi 1 è il massimo dell’ordine. Notiamo che massimo e minimo fanno parte dell’insieme su cui la funzione è definita. Può capitare invece che esiste s̀ı un elemento maggiore di tutti gli altri, ma che questo sta “fuori” l’insieme che stiamo considerando. Per esempio, consideriamo la relazione ≤ sull’insieme X = { 1n : n ∈ N \ {0}}. Vediamo che non ha minimo: all’aumentare di n, 1 n è sempre più piccolo ma non è mai 0. Però se considero X come sottoinsieme di R, allora 0 è “quasi” un minimo di X, ci sta proprio sotto. È un caso un po’ particolare e dalla definizione un po’ contorta, ma che capiterà spesso nel resto del corso. Definizione 2.101. Sia R un ordine su X, e sia Y ⊆ X. • Se esiste un elemento l ∈ X tale che ∀x ∈ Y lRx, allora l è un minorante per Y . • Se l’insieme dei minoranti ha un massimo, questo si chiama estremo inferiore di Y . • Se esiste un elemento l ∈ X tale che ∀x ∈ Y xRl, allora l è un maggiorante per Y . • Se l’insieme dei maggioranti ha un minimo, questo si chiama estremo superiore di Y . In termini non proprio formali (anzi, decisamente approssimativi) se il “mas- simo” sta all’interno dell’insieme, è un massimo ed un estremo superiore, se sta fuori è solo un estremo superiore, e vale lo stesso per minimo ed estremo inferiore. Vediamo un po’ di esempi. Consideriamo per esempio l’ordine ≤ su Q, e consideriamo il sottoinsieme {x ∈ Q : −2 < x < 2}. Esistono minoranti per {x ∈ Q : −2 < x < 2}? Allora, l ∈ Q è un minorante per {x ∈ Q : −2 < x < 2} se e soltanto se ∀x ∈ {x ∈ Q : −2 < x < 2}, l ≤ x, ovvero l è minore o uguale di tutti i numeri razionali fra -2 e 2, ovvero è minore o uguale a - 2. L’insieme dei minoranti è dunque l’insieme dei numeri razionali minori o uguali a -2 e ha un massimo: proprio -2. Quindi -2 è l’estremo inferiore di {x ∈ Q : −2 < x < 2}. Allo stesso modo si dimostra che 2 è l’estremo superiore di {x ∈ Q : −2 < x < 2}. Un altro esempio: consideriamo l’ordine alfabetico R su {0, 1} × N. Quindi (0, 0)R(0, 1)R(0, 2)R(0, 3)..., (1, 0)R(1, 1)R(1, 2)R(1, 3)..., e tutte le coppie che iniziano con 0 sono in relazione con quelle che iniziano per 1. Quali sono gli estremi superiori e inferiori di {0} × N, ovvero tutte le coppie che iniziano con 0? Intanto, un elemento è un minorante per {0} × N se sta sotto tutti gli elementi di {0} × N, ma (0, 0) è l’unico che sta sotto tutti, quindi l’insieme dei minoranti è {(0, 0)}, e l’estremo inferiore è (0, 0), che dunque è anche il minimo dell’insieme. Dall’altra parte, invece, abbiamo che tutte le coppie che iniziano per 1 sono maggioranti di {0} × N, e il minimo dell’insieme dei maggioranti è 81 (1, 0), quindi (1, 0) è l’estremo superiore di {0}×N (e non è un massimo, perché non appartiene a {0} × N). Bene, abbiamo squadernato tutti i concetti di base che serviranno per le prossime lezioni: abbiamo la logica, che serve per dare rigore ai ragionamenti e capire con precisione le definizioni; gli insiemi e le sequenze, che sono i mattoni di base della matematica; le funzioni, oggetto centrale della ricerca matematica perché raffigurano il cambiamento; gli ordini con le loro proprietà, specialmente massimi, minimi ed estremi. Ah no, manca ancora una cosa utile per fare matematica... 3 Numeri (intermezzo) Prima di lanciarci nell’analisi delle funzioni reali, diamo un’occhiata al concetto di numero, anche in luce di quello che abbiamo appena appreso sugli ordini. Gli insiemi di numeri si scrivono con delle lettere maiuscole in blackboard bold, o grassetto da lavagna, e sono N, Z, Q e R (c’è anche C, ma noi non lo useremo). L’uso di queste lettere è stato popolarizzato da Bourbaki. L’insieme N è l’insieme dei numeri naturali, ovvero i numeri 0, 1, 2, 3, .... Sono i numeri che hanno la storia più lunga (Leopold Kronecker diceva che sono stati dati all’umanità direttamente da Dio), di cui queste sono le tappe principali: • la prima rappresentazione scritta di numero naturale di cui abbiamo prove è l’osso di Ishango, un osso intagliato 20mila anni fa; • gli antichi egizi e i babilonesi hanno introdotto la rappresentazione deci- male; • lo 0 è stato trattato per la prima volta come numero naturale prima da- gli Olmechi e dai Maya nel I secolo a.C., e poi indipendentemente dal matematico indiano Brahmagupta nel 628; • la lettera N per indicare l’insieme dei numeri naturali è stata usata per la prima volta da Richard Dedekind nel 1888 (sta per Natürliche); • nel 1889 Giuseppe Peano, Bernhard Riemann e Bertrand Russell ne hanno dato una definizione rigorosa formale. L’insieme Z è l’insieme dei numeri interi, che comprende tutti i numeri na- turali, ovvero 0, 1, 2, ..., ma anche i loro opposti, ovvero -1, -2, -3, ... Queste le tappe principali del loro sviluppo: • già nel 200 a.C. i Cinesi scrivevano in nero i numeri positivi e in rosso i numeri negativi; • sempre Brahmagupta nel 628 ha inventato i numeri interi, insieme allo 0 (e non è un caso, lo 0 è proprio la chiave per capire i numeri interi); dall’India i numeri interi sono passati agli Arabi medievali, e infine sono arrivati in Europa; 82 da trattare come oggetti singoli, mentre nella matematica continua il singolo numero inizia ad avere meno rilevanza, e si parla piuttosto di quantità che variano in maniera liscia, compatta, senza sbalzi. Insomma, in matematica discreta si va da 1 a 2 “saltando”, mentre in matematica continua si passa attraverso tutti gli infiniti stadi fra 1 e 2, senza sorvolare su nessuno. Dentro la matematica discreta si studiano cose come i numeri primi, la divisibilità, i grafi, la combinatorica... mentre la matematica continua si occupa di limiti, derivate, integrali... Il termine “matematica discreta” è nato negli anni Ottanta in ambito universitario: fino a quel momento l’unica matematica di base che si studiava all’università era il calcolo infinitesimale (appunto matematica continua), questo perché per secoli le applicazioni più fruttuose della matematica venivano da l̀ı. Però con l’avvento dell’informatica anche la matematica dei numeri naturali ha iniziato ad avere applicazioni importanti, e dunque si è registrata la necessità di inserire anche questo tipo di matematica nella formazione di base, specialmente in ambito informatico. Ma se è la matematica discreta che è importante per l’informatica, perché noi a STM facciamo anche matematica continua? Fino a una ventina d’anni fa, in effetti, la matematica discreta poteva bastare per le applicazioni multimediali. Questo perché i pixel erano pochi, e dunque per gestirli si usavano tecniche di matematica discreta. Ma adesso i file di immagini, audio e video hanno una risoluzione elevatissima, perché vogliono essere più “reali” possibile. Ci sono cos̀ı tanti pixel, che ad una prima approssimazione si possono pensare continui, anziché discreti. Anzi, più sembrano continui, meglio è! Ed è per questo che ci servono tecniche della matematica continua per gestirli. Qualunque ordine permette di definire dei sottoinsiemi particolari dell’insie- me su cui l’ordine è definito: gli intervalli. Ovvero si fissano due elementi, e si prende l’insieme di tutti gli elementi che stanno fra uno e l’altro, oppure se ne fissa solo uno e si prende l’insieme degli elementi che stanno sopra, oppure sotto. Se l’ordine è totale, denso e completo, allora questi insiemi funzionano particolarmente bene. Definizione 3.1. Siano a, b ∈ R, con a < b. Allora: • [a, b] = {x ∈ R : a ≤ x ≤ b}; • ]a, b[= {x ∈ R : a < x < b} (alcuni usano anche (a, b)); • ]a, b] = {x ∈ R : a < x ≤ b}; • [a, b[= {x ∈ R : a ≤ x < b}; • [a,+∞[= {x ∈ R : a ≤ x}; • ]a,+∞[= {x ∈ R : a < x}; • ]−∞, b] = {x ∈ R : x ≤ b}; • ]−∞, b[= {x ∈ R : x < b}. 85 Notare che +∞ e −∞ non sono numeri reali. Non sono niente, in realtà, sono un simbolo comodo per poter scrivere insiemi del tipo {x ∈ R : a < x} come intervalli, anche se non lo sarebbero. Per questo scrivere [a,+∞], per esempio, non ha alcun senso. Come rappresentare visivamente questo tipo di insiemi? Ovviamente i dia- grammi di Venn sono inadeguati per l’occasione, visto che in essi gli elementi sono sparpagliati, e qui l’ordine è importante. John Wellis (lo stesso che ha introdotto gli infiniti numeri dopo la virgola) ha avuto un’idea geniale: mettere tutti i numeri reali su una linea sola, la famosa linea dei numeri. Grazie a questa idea si “capiscono” a colpo d’occhio i numeri reali e il loro ordine, e infatti da quel momento la ricerca sui numeri reali è esplosa. Quindi, per esempio: 0 2-4 [−4, 2] In realtà da questo disegno non si capisce se stiamo raffigurando [−4, 2] o ] − 4, 2[. Quindi usiamo la notazione di disegnare un pallino nero per indicare che gli estremi dell’intervallo fanno parte dell’insieme, e un pallino bianco per indicare che non vi fanno parte, quindi: 0 2-4 [−4, 2] 0 2-4 ]− 4, 2[ Alla fine, la gran parte degli insiemi di numeri reali che considereremo saranno unioni e intersezioni di intervalli. Esercizio 3.2. Descrivere l’insieme ]−∞, 5[∩(]0, 2[∪]1, 6[). Prima proviamo con le definizioni. Innanzitutto, ]0, 2[∪]1, 6[= {x ∈ R : 0 < x < 2} ∪ {x ∈ R : 1 < x < 6} = {x ∈ R : 0 < x < 2 ∨ 1 < x < 6}. Ma 0 < x < 2 ∨ 1 < x < 6 è la stessa cosa che dire 0 < x < 6. Ma quindi ] −∞, 5[∩(]0, 2[∪]1, 6[) = {x ∈ R : x < 5} ∩ {x ∈ R : 0 < x < 6} = {x ∈ R : x < 5 ∧ 0 < x < 6}. Ma x < 5 ∧ 0 < x < 6 è la stessa cosa che dire 0 < x < 5, quindi ]−∞, 5[∩(]0, 2[∪]1, 6[) =]0, 5[ 86 Ora vediamolo graficamente. L’idea sarebbe di tracciare gli intervalli sulla stessa linea dei numeri, e poi unire e intersecare come richiesto. A sovrapporre tutto viene un pasticcio, quindi li disegnamo leggermente separati, ma vanno pensati uno sopra l’altro. 0 1 2 5 6 ]−∞, 5[ ]0, 2[ ]1, 6[ Disegnamo in viola l’unione degli intervalli ]0, 2[ e ]1, 6[. Facciamo attenzione che gli estremi di entrambi gli intervalli non sono inclusi, ma 1 ci sta perché sta in ]0, 2[, e 2 ci sta perché sta in ]1, 6[: 0 1 2 5 6 ]−∞, 5[ ]0, 2[∪]1, 6[ Infine, nell’intersezione ci sono i numeri che stanno in entrambi: 0 1 2 5 6 ]−∞, 5[∩(]0, 2[∪]1, 6[) Quali sono massimi e minimi degli intervalli? Dipende se gli estremi sono considerati oppure no. Facciamo un po’ di esempi: • Prendiamo il caso dell’intervallo [a, b]. Allora è chiaro che a e b sono rispettivamente il minimo e il massimo di [a, b], perché b è maggiore o uguale di tutti gli elementi di [a, b], e a è minore o uguale di tutti gli elementi di [a, b]. • Come esempio di caso in cui gli estremi non sono considerati, prendiamo ]a, b[. Allora b non è massimo di ]a, b[, perché non appartiene all’intervallo. Però è un maggiorante, ovvero è maggiore di tutti gli elementi dell’inter- vallo. Non solo, ma è il minimo dei maggioranti: se c è maggiore di tutti gli elementi di ]a, b[, allora sicuramente b ≤ c. Quindi b è l’estremo superiore di ]a, b[. Parimenti, a ne è l’estremo inferiore. • Ultimo caso, quando uno degli estremi è infinito, per esempio [a,+∞[. Al- lora questo intervallo non ha né massimo né estremo superiore, addirittura non ha neanche maggioranti. 87 -4 -4 -3 -3 -2 -2 -1 -1 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 direste mai che è crescente? Eppure lo è! L’approccio che per adesso ha dato migliori risultati è quello di prendere “in prestito” dalla geometria analitica uno strumento fondamentale: il piano cartesiano. 4.1 Il piano cartesiano e il grafico di una funzione reale La geometria analitica è stata inventata contemporaneamente da Cartesio e da Pierre de Fermat nel Seicento (anche se i matematici greci Menecmo e Apollonio di Perga si erano avvicinati). L’idea è di definire nel piano o nello spazio un sistema di coordinate, in modo che si possa fare geometria solo coi “numeri”. È un modo alternativo rispetto a quello classico (quello dei teoremi di Pitagora, Euclide, Talete, per intenderci) e molto efficace. Il piano cartesiano dunque funziona cos̀ı: prima di tutto bisogna scegliere un sistema di coordinate. Ce ne sono diversi, ma il più comune consiste nel fissare due rette perpendicolari, e considerarle come linee dei numeri, ovvero decidere una direzione e ad ogni punto assegnare un numero reale, in modo che l’ordine dei punti sia lo stesso che l’ordine dei numeri reali7. Facciamo anche che gli 0 in entrambe le rette stiano nell’intersezione delle rette. 7In realtà non sappiamo se questo sia possibile, è una convinzione non dimostrabile. Si chiama Assioma di Cantor-Dedekind 90 -4 -4 -3 -3 -2 -2 -1 -1 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 E adesso viene il bello. Decidiamo un ordine fra le due rette perpendicolari che formano il sistema di coordinate: la prima si chiamerà asse delle ascisse, la seconda asse delle ordinate (nei disegni in seguito faremo che l’asse delle ascisse è orizzontale e l’asse delle ordinate è verticale). Prendiamo un qualunque punto nel piano. La geometria ci dice che per ogni retta e per ogni punto al di fuori di essa passa una e una sola perpendicolare alla retta passante per il punto, quindi consideriamo l’asse delle ascisse e la retta perpendicolare all’asse delle ascisse che passa per quel punto. Questa retta intersecherà l’asse delle ascisse in un punto, a cui è assegnato un numero reale: -4 -4 -3 -3 -2 -2 -1 -1 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 Si chiama proiezione sull’asse delle ascisse. Facciamo la stessa cosa per l’asse delle ordinate, cos̀ı abbiamo associato ad ogni punto del piano una coppia di numeri. Insomma, una funzione dall’insieme dei punti del piano a R× R. 91 -4 -4 -3 -3 -2 -2 -1 -1 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 Per il viceversa, prendiamo una coppia di numeri reali. Prendiamo il primo numero, individuiamo il punto relativo sull’asse delle ascissa, e poi disegnamo la perpendicolare. Stessa cosa per il secondo punto, individuato sull’asse delle ordinate. Le due rette si incontreranno in un punto, e quello sarà il punto associato alla coppia di numeri reali. Abbiamo quindi due funzioni: una che associa ad ogni punto del piano una coppia di numeri reali, e un’altra che associa ad ogni coppia di numeri reali un punto del piano. Notiamo che se componiamo queste due funzioni torniamo al punto di partenza: se prendiamo un punto e ne troviamo le coordinate, dalle coordinate ritroviamo il punto di partenza. Quindi queste funzioni sono una l’inversa dell’altra, e dunque sono invertibili, e dunque sono biiettive. Insom- ma, fra R × R e il piano c’è una funzione biiettiva (che in più associa numeri vicini a punti vicini), e quindi il piano (se dotato di coordinate) è perfetto per visualizzare R× R. Nota bene: a volte i due assi si chiamano “asse delle x” e “asse delle y”. In questo corso, quando possibile, le chiameremo solo asse delle ascisse e asse delle ordinate. Anche se è vero che per fare geometria analitica fa comodo indicare con due variabili la prima e la seconda coordinata, dato che noi useremo il piano cartesiano per analizzare delle funzioni, vedremo che per definire alcune funzioni avremo bisogno di una variabile, e questa variabile può essere qualunque: x, y, t, α... Per non fare confusione, assegneremo all’asse delle ascisse la stessa variabile che definisce la funzione, e quindi se definiamo la funzione con x sarà l’asse delle x, con y sarà l’asse delle y, con t sarà l’asse delle t, eccetera. Oltre a R×R, si possono anche visualizzarne i suoi sottoinsiemi. Per esempio, un qualunque sottoinsieme finito di R × R corrisponde a un insieme finito di punti. Il seguente è {(−1,−1), (−1,−2), (−2,−1), (2, 1)}: 92 -4 -4 -3 -3 -2 -2 -1 -1 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 • {(x, y) ∈ R× R : x+ y > 0}: -4 -4 -3 -3 -2 -2 -1 -1 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 • {(x, y) ∈ R× R : x2 + y2 < 4}: 95 -4 -4 -3 -3 -2 -2 -1 -1 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 • {(x, y) ∈ R× R : (x2 + y2)2 = 4(x2 − y2)}: L’ultimo disegno è stato fatto con Geogebra. È un’applicazione molto valida per il disegno su piano cartesiano, ed è gratis. Il consiglio è di usarla spesso durante il corso, per esempio per controllare le soluzioni agli esercizi, o per farsi degli esempi in proprio. Torniamo alle funzioni reali. Come sfruttare dunque il piano cartesiano per rappresentare una funzione reale? Definizione 4.2. Sia f una funzione reale. Il grafico di f è l’insieme {(x, y) ∈ R × R : y = f(x)} = {(x, f(x)) : x ∈ dom(f)} rappresentato nel piano cartesiano. 96 Quindi se pensiamo per esempio alla funzione che a ogni numero reale associa il suo quadrato, avremo che i punti con coordinate (0, 0), (1, 1), (2, 4), (3, 9), ma anche (1.5, 2.25), (−2.1, 4.41) o (5.97, 35.6409), sono tutti nel grafico della funzione. Se pensiamo alla funzione che a ogni numero reale associa 1, avremo che il grafico sarà fatto da tutti i punti dell’insieme {(x, y) ∈ R×R : y = 1} = {(x, 1) : x ∈ R}, ovvero, come abbiamo visto, -4 -4 -3 -3 -2 -2 -1 -1 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 Oppure se consideriamo la funzione che a ogni numero reale associa se stesso se è un numero naturale, e 0 altrimenti, avremo che staranno nel grafico tutti i punti con coordinate (0, 0), (1, 1), (2, 2)... ma anche (−1, 0), (1.5, 0), e in genere tutti i punti (x, 0) dove x non è un numero naturale. -4 -4 -3 -3 -2 -2 -1 -1 0 0 1 1 2 2 3 3 4 4 Notiamo che non tutte le linee che possiamo disegnare in un piano cartesiano 97
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