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Nascita e storia del jazz, Dispense di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea

Nascita del jazz e degli stili musicali che si sviluppano a partire da questo (be-bop, swing, free jazz ecc).

Tipologia: Dispense

2018/2019

In vendita dal 22/07/2019

Giovanna-99
Giovanna-99 🇮🇹

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Scarica Nascita e storia del jazz e più Dispense in PDF di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea solo su Docsity! Il blues al principio Per parlare delle origini del blues bisogna partire dal XVII secolo: in quell’epoca infatti, molti africani furono prelevati dalla loro terra di origine e portati in America come schiavi. Queste persone, benché rese prigioniere, non dimenticarono mai i loro canti, le loro danze, il loro modo di fare musica: una musica collettiva ed improvvisata, resa unica dalle percussioni. Di questi ritmi diede testimonianza Didimus, scrittore americano che, trovandosi a Congo Square presso New Orleans nel 1850, non poté fare altro che rimanere affascinato da “un suono mosso, continuo, basso, sordo che domina le risate, i richiami, le grida di mille voci”. Prima di tutto vanno certamente ricordati i canti di lavoro; questi si svilupparono durante l’epoca dello schiavismo, tra XVII e XIX secolo e non avevano forma fissa. Venivano intonati durante le ore di duro lavoro per sopportare le fatiche, per ricordare la propria patria e per mantenere il ritmo richiesto sul lavoro dagli schiavisti. Erano caratterizzati dal “botta e risposta”: uno di loro pronunciava una frase e tutti gli altri rispondevano in coro; oltre al semplice canto, venivano aggiunte grida, lamenti e l’uso di strumenti “arrangiati”. Vincendo le diffidenze degli schiavisti, fu la chiesa che per prima cercò di integrare gli schiavi negri tramite predicazioni che si alternavano a canti. Proprio da ciò nacquero gli spirituals, canti religiosi che si basavano sugli inni protestanti e che invocavano Dio per alleviare le sofferenze del lavoro giornaliero. Sebbene visti come una forma di devozione, erano anche l’unico modo per i negri per sentirsi liberi benché prigionieri. Per quanto riguarda i testi degli spirituals, questi erano strettamente collegati alle vite dei loro autori, solitamente schiavi, per creare il ritmo e accompagnare il canto venivano usati coperchi di pentole e lattine. Mentre i canti di lavoro raccontavano dei lavori quotidiani a cui erano dedite queste persone, gli spirituals erano vicini al messaggio cristiano e caratterizzati dai suoi contenuti etici, anche perché nel messaggio evangelico trovavano un doppio senso che metteva in stretta relazione la liberazione degli antichi ebrei dall’Egitto con la loro liberazione dagli schiavisti e dalla vita nelle piantagioni. Questo Dio salvatore degli Ebrei, rappresentava quindi per loro una speranza di riscatto e una promessa di futura libertà. Dalle tematiche degli spirituals nacquero i gospel. Gospel significa letteralmente “Parola di Dio”: il contenuto è quindi religioso come negli spirituals, e resta invariata l’aspirazione alla libertà. I temi prevalenti sono quelli della salvezza divina e della conversione e, benché i testi siano più personali ed autoriali, resta la stessa la forma di alternanza tra solista e coro, con l’aggiunta di molti più strumenti, ormai accettati dai Pastori, tra cui l’organo. Ciò che caratterizza i gospel rispetto agli spirituals, sono quindi delle sonorità originali che evidenziano ancor di più il messaggio del canto. Insieme agli strumenti, inizialmente vietati dalla chiesa, pian piano venne accettata anche la danza: il ring shout tra queste era la più comune forma cerimoniale africana, con profonde basi culturali; comincerà ad essere praticata di nuovo apertamente, mescolandola a musica e canto. Dopo le guerre di Secessione, Lincoln diede la libertà agli schiavi negri, i quali si resero conto che la loro libertà non sarebbe mai stata né totale né degna delle loro aspettative. È proprio in questi stessi anni, con una consapevolezza diversa e con il trasferimento di molti negri nell’ostile ambiente cittadino, che iniziò a farsi strada il blues. Il termine deriva dall’espressione: “to feel blues”, sentirsi malinconico, proprio perché il genere manifestava i dispiaceri di questa gente che continuava ad essere respinta ai margini della società: si cantava sempre di ciò che non si aveva, e un tono malinconico accomunava tutte le composizioni. Sarà proprio il blues che tra 1910 e 1915, mescolandosi ad altri stili, darà forma al jazz. Differenza tra blues rurale e tradizionale con quello classico. Pur essendo caratterizzato da toni malinconici, il blues non espresse solo il dolore di persone oppresse, povere, rifiutate, ma divenne per questa stessa gente liberatorio: fu infatti un genere utilizzato per sublimare il dolore e per raggiungere una catarsi spirituale (assumendo in ciò lo stesso scopo che ebbe la tragedia classica nell’antica Grecia). Solo negli anni 20 del XX secolo il blues arrivò nel mercato discografico, ma furono ritrovate tracce più antiche che risalivano al XIX secolo, soprattutto negli stati più poveri e con più contadini negri. Questi indizi diedero prova del fatto che il primo blues nacque in un ambiente umile, povero, rurale, nonostante in seguito riuscì a raggiungere New York, Los Angeles, divenendo musica di intrattenimento per i più ricchi e influenzando moltissimi generi musicali “urbani”. Il termine blues viene da “to feel blue”, essere triste, cosa che spesso fece erroneamente rientrare in questo genere molte composizioni dai toni malinconici: in realtà per parlare di blues, la composizione doveva avere struttura specifica, che si basasse su una ripetizione di dodici battute. Anticamente il blues, se cantato, anche nei testi seguiva una precisa forma strofica, caratterizzata da un’iniziale esposta, ripetuta e poi seguita da una frase in rima (Handy, St Louis Blues). La particolarità maggiore del blues restava però la melodia, grazie alla flessibilità delle cosiddette “blue notes” e dei suoni che potevano cambiare in modi del tutto imprevedibili. Secondo alcuni studiosi, l’unicità di questa melodia era dovuta alla sua mescolanza di suoni africani ed occidentali. Quando il blues iniziò ad affermarsi, fu quindi caratterizzato da struttura definita ma modificabile grazie alla flessibilità dei suoni utilizzati dal singolo autore, il quale era di solito un uomo che accompagnava la sua voce al suono della chitarra. Questo tipo di blues venne definito “rurale” o “tradizionale”, poiché considerato più vicino ai precedenti africani. Il blues definito “classico” si affermò invece tra gli anni 20 e 30 del XX secolo e seguì in modo rigido la forma a dodici battute, la quale divenne ripetitiva e quindi meglio assimilabile. Venne visto come una forma più “acculturata” di blues, dal quale il jazz prese maggiormente spunto e venne diffuso da cantanti donne, le quali non utilizzarono più una chitarra come accompagnamento alla loro voce, bensì una band. Anche le tematiche dei testi cambiarono: non più senso di solitudine e desiderio di libertà dall’oppressore, bensì amore tragico e sessualmente esplicito. Da forma d’arte popolare, con il blues classico il genere divenne intrattenimento di massa, che si spostò dalle strade malfamate ai teatri e che non ebbe più un pubblico di comuni passanti ma di clienti paganti che desideravano specificatamente ascoltare quella particolare musica. Personaggi/artisti chiave che hanno fatto la storia del blues del primo ‘900. 1- Tra gli artisti chiave che hanno fatto la storia del blues del primo ‘900, bisogna innanzi tutto citare un esponente del cosiddetto “country blues”: Blind Lemon Jefferson. Egli nacque nel Texas verso la fine del XIX secolo e tra 1926 e 1929 registrò molte tracce che ottennero successo e che ancora oggi sono ascoltate dagli estimatori del genere. Tra queste ricordiamo ad esempio “Long Lonesome Blues” o “Matchbox Blues”. Si sa poco della sua vita: viaggiò molto fino alla sua morte, avvenuta nel 1929. Fu molto amato per la particolarità della sua voce e aprì la strada a molti altri artisti di blues tradizionale come Charley Patton. C. Patton destò l’interesse della Paramount: il genere era infatti ormai commerciale e benché nato come “introspettivo” si prestava bene ad essere spettacolizzato; il suo successo più importane fu “Pony blues” Fu con Robert Johnson che il blues raggiunse il suo apice; anche chi non fu appassionato del genere infatti, conobbe questo artista a causa di un mito diffusosi su di lui: l’artista avrebbe venduto l’anima al diavolo per essere il migliore chitarrista di tutti i tempi. Johnson stesso agevolò questo mito con alcuni dei suoi brani (si pensi a “Me and the Devil BIues") ma si dedicò anche ad altre tematiche, come l’infedeltà amorosa e la vita di strada. In effetti egli conosceva bene questo tipo di vita, in quanto fin da bambino vagabondò tra campi migranti con la madre e la sorella. A livello musicale la sua grandezza è indiscussa: egli conobbe e utilizzò tecniche (turnaround, abbellimenti) poco usate dai suoi contemporanei che resero i suoi brani riconoscibili e dotati di organizzazione strutturale: basti pensare a “Sweet Home Chicago". Altro elemento di grande attrazione fu la sua voce dai toni variabili, utilizzata anche per sedurre le donne. Morì nel 1938 a soli ventisette anni, si dice, avvelenato da un marito geloso. Tra le prime dive del blues classico, bisogna ricordare innanzi tutto Gertrude "Ma" Rainey, la quale registrò molto intorno agli anni venti, anche insieme ad altri artisti dell’epoca. Tramite le sue canzoni si può notare il cambiamento avvenuto dal blues tradizionale a quello classico: non più una chitarra in valigia, unico strumento necessario in tournée, ma luci da spettacolo, costumi, accessori necessari per il genere ormai divenuto di intrattenimento, di massa. Nei suoi spettacoli giocava un ruolo importante l’umorismo, e non bisogna tralasciare la sua grandiosa vocalità, evidente in brani come “Yonder come the Blues". La sua carriera durò solo cinque anni: finì già negli anni trenta a causa della sopraggiunta crisi del genere blues. significati, quali: fare rumore, fracasso (dagli ambienti più arretrati e tradizionali questa musica veniva considerata infatti solo “rumore”). profilo generale dei padri fondatori del jazz Tra i padri fondatori del jazz bisogna innanzitutto ricordare Jelly Roll Morton; egli fu un pianista creolo di grande fama in quanto riuscì a fondere stile ragtime e stile blues, dando luogo ad una musica che ben rappresentava le origini del jazz. Il primo brano jazz pubblicato fu il suo “Jerry Roll Blues”. Quando venne scoperto da un importante editore fu inserito in un sestetto e proprio in questo ambito pose le basi per la futura musica d’insieme. In seguito diede vita ad una band, Red Hot Peppers, per registrare in studio e divenne ancor più famoso con brani come “Black Bottom Stomp”, “Dead Man Blues” ecc. La band usava come stile caratterizzante un ragtime orchestrato, pieno però di elementi “ornamentali” (come le varietà tonali). Morton ebbe anche il merito di innovare il ragtime: inventò infatti un tipo di sincope che poteva essere sempre applicata nei bani di questo genere e un ritmo che riprendeva il blues, la quadriglia, la marcia. Quello di cui risultava “carente” la sua band era l’improvvisazione, poiché la sua era musica creata appositamente per essere registrata negli studi: Morton non cercava un suono imprevedibile ed improvvisato ma uno meccanico, studiato. La prima band nera registrata su disco fu invece la Creole Jazz Band di Joe “King” Oliver: egli perfezionò l’improvvisazione collettiva delle bande marziali di New Orleans e creò una novità nel genere non tanto con la sua band (che fondamentalmente restava una brass band), ma con i suoi assoli. Il suo gruppo includeva il cornettista e trombettista Louis Armstrong, il quale nel 1925 fondò la band Hot Five a Chicago, e produsse canzoni che rimasero celebri per i suoi assoli di tromba: Gut Bucket Blues, Cornet Chop Suey, Heebie Jeebies, Wild Man Blues (suo capolavoro). Pian piano il suo gruppo mantenne solo una funzione di accompagnamento, in quanto i suoi assoli di tromba divennero molto amati dal pubblico: erano pieni di passione e molto particolari perchè lo stile che egli utilizzava con lo strumento, imitava nel suono la voce umana. Armstrong quindi introdusse una dose di individualismo nel jazz che non era del tutto propria del genere. Jelly Roll Morton aveva usato gli assolo nelle sue musiche, ma si era sempre focalizzato sul suono d’insieme piuttosto che su un’unica “voce”. Fu Armstrong che spostò l’attenzione sul virtuosismo tecnico: i suoi assolo infatti, si fecero sempre più lunghi e fu proprio con questo artista che la voce divenne il più versatile degli strumenti. Egli ebbe come merito quello di rendere il jazz una musica accettabile al ceto medio bianco ma fu un’icona, un intrattenitore più che un vero e proprio compositore. Dopo Armstrong, tra i trombettisti più famosi e portatori di innovazioni, bisogna ricordare Henry “Red” Allen. Altro grande punto cardine del jazz fu Clarence Williams: egli fu un pianista, scrisse Royal Garden Blues per la Original Dixieland Jazz Band e molti altri successi. Altro grande pianista fu Earl Hines, il quale aveva uno stile virtuosistico al pari di Armstrong. Nel 1928 compose dei brani al piano solista che includevano: A Monday Date, Caution Blues, Blues in Thirds e soprattutto la totalmente improvvisata Fifty-seven Varieties. La sua band divenne una delle più conosciute “big bands” di swing grazie a brani come: Deep Forest, Madhouse ecc. primo jazz di New York A partire dagli anni 20 il jazz si riversò da Chicago ad altre città, in particolar modo a New York: qui da un lato il genere diventò famoso tramite lo stride piano (ciò fu importante per la formazione di artisti come Johnson o Weller), dall’altro si praticò invece il jazz orchestrale (Henderson ed Ellington). In questo periodo nel quartiere di Harlem si esibivano orchestre nere che intrattenevano un pubblico bianco in cerca di divertimento: il jazz suonato qui era diverso da quello praticato a Chicago perché più simile al ragtime e al blues, con armonie complesse e capacità del “direttore” di far emergere la totalità degli strumenti piuttosto che un unico solista. Ellington fu tra quelli che riuscirono a dare un sound preciso alla propria orchestra, che risultò impregnata di suoni che avevano come obiettivo quello di esaltare la cultura nera. In generale a New York, nei cabarets e nelle classiche sale, non si ascoltava vero e proprio jazz ma un sound più simile a quello del ragtime; solo nei quartieri neri si trovava vero e proprio jazz, portato avanti con lo stile dello stride piano da artisti come Weller (che si esibiva appunto nel quartiere di Harlem). Più famoso in città era però Henderson, conosciuto per essere sulle sue e un po’ snob (oltre che non assiduamente dedito al suo mestiere), ma al quale si deve la prima vera messa a punto del jazz orchestrale. In questi stessi anni sulla scena newyorkese non si può dimenticare Bessie Smith, la quale incise dischi tra il genere blues e quello jazz che venivano comprati esclusivamente da altri neri (race records: dischi per la razza). Durante gli anni 20 attori, cantanti e ballerini neri erano di moda a New York, nonostante qualcuno come Whiteman considerasse la loro musica troppo selvaggia e da regolarizzare: egli compose “Rhapsody in blue” che ebbe enorme successo e che lo rese per molti “re del jazz”. Egli in realtà non diede un grande contributo alla musica jazz praticata nei quartieri neri: quelli che lui definì come “rozzi tentativi”, rimasero infatti nella storia più delle sue musiche. Quello di Whiteman non era vero e proprio jazz, ma all’epoca le cose andavano meglio per i bianchi, i quali si esibivano nei migliori locali e incidevano di continuo nuovi dischi. Nei locali di Harlem invece continuava ad andare di moda vedere esibirsi attori e musicisti neri sul palco: il pubblico bianco amava infatti entrare in questa atmosfera un po’ “esotica e giunglesca”, resa tale anche dall’utilizzo di una voce rauca e di trombe e tromboni per imitare i suoni di una foresta. Presto però anche questa moda passò… nel 1929 infatti a causa del crollo della Borsa cambiò la vita economica di tutti i cittadini americani, ma soprattutto dei neri: furono loro i primi a perdere il lavoro, i primi a restare senza soldi e a non poter più vivere di musica. I locali che avevano ospitato i loro spettacoli, che tanto avevano divertito il pubblico bianco, chiusero… e per qualche anno il jazz scomparve dalla scena, ad accezione dei locali per ricchi che continuarono ad essere frequentati da chi poteva permetterselo. La maggior parte dei neri dovette cambiare lavoro, potendo ascoltare solo la musica passata in radio (musica consolatoria, un po’ malinconica). Nonostante ciò il jazz riuscì comunque a sopravvivere, grazie anche a quei pochi locali ancora alla portata di tutti come il Savoy, chiamato da tutti “The Track”, la pista, che dagli anni 30 sarà uno dei maggiori luoghi di diffusione dell’oggi conosciuto boogie-woogie. periodo swing Nel 1929 si generò una forte crisi economica che diede inizio alla cosiddetta “grande depressione”; fu con questo tragico evento, segnalato dal crollo della Borsa di New York, che si conclusero gli anni ’20, i quali erano stati soprannominati “ruggenti” per il grande fermento culturale che li aveva caratterizzati. Il jazz però non morì, e verso la metà degli anni ’30 in America, il miglioramento della situazione economica si accompagnò a un desiderio di festa e di evasione che generò l’evoluzione di alcuni tratti stilistici del jazz. Il genere infatti si evolse nello swing e si diffuse tramite band di bianchi come quelle di Tommy Dorsey, Harry James etc, diventando un fenomeno di enorme portata e caratterizzando in particolar modo l’ambiente delle sale da ballo. Dello swing si può dire innanzitutto che coinvolse soprattutto un pubblico di giovani; a livello stilistico invece fu un genere caratterizzato da una tensione ritmica a sua volta costituita da anticipi e ritardi. Nonostante fossero molti i musicisti neri che praticavano questo stile, a causa dei soliti pregiudizi razziali essi rimasero in secondo piano rispetto a musicisti bianchi come Benny Goodman (considerato “re dello swing”), il quale ebbe però grandi meriti, come quello di integrare bianchi e neri in un’unica orchestra riducendo il numero di musicisti a tre-quattro. Lo swing praticato dai bianchi fu però diverso da quello suonato dai neri: i motivi delle band bianche erano banali e ripetitivi, gli assoli e l’improvvisazione ridotti al minimo. All’interno della cultura nera invece, lo swing era connotato da un particolare senso di appartenenza “di razza” che aveva caratterizzato anche il primo blues e che si esprimeva anche con assoli; darà vita ad altri generi e stili più impegnativi. In generale, se lo swing venne di solito praticato dalle big bands, iniziò a diffondersi la tendenza di porre sul palco un trio o un quartetto di musicisti; questo “esperimento” risaliva a Goodman e prevedeva una maggiore capacità solistica e di improvvisazione da parte dei musicisti che si esibivano. Così accanto alle grandi band, vi erano anche piccoli gruppi (da tre a sei musicisti). Per molti studiosi in realtà, lo swing praticato dai bianchi (in grandi o in piccole formazioni), fu piuttosto musica leggera, mentre lo swing dei neri, lasciato ai margini, fu vero e proprio jazz; ciò che è certo è che alcune band anticiparono la modernità: stava per iniziare infatti l’era del sassofono, che porrà in antagonismo leader come Coleman Hawkins e Lester Young. Altre importanti personalità del periodo furono: Ellington, Art Tatum (pianista), Hampton, Weller, tutti personaggi che diedero un enorme contributo all’intera storia del jazz. Bisogna inoltre ricordare alcune vocalist nere che diedero inizio al moderno canto jazz, in particolar modo Ella Fitzgerald con l’orchestra di Webb, e Billie Holiday. Il canto jazz da loro inaugurato fece si che la voce, così come gli strumenti, avesse una particolare libertà nel timbro, nel ritmo, nella melodia, e che si instaurassero dialoghi tra voce e strumenti per creare una maggiore espressività sul palco. Questo momento fu importante per il canto jazz, in quanto da qui in poi (tranne casi rari) non si potte più individuare uno stile vocalistico preciso: i cantanti infatti preferirono avere uno stile così personale da sovrastare le correnti jazz generali. Un fenomeno parallelo e comunque swing fu rappresentato invece dai gruppi vocali di tre o quattro elementi, che innovarono e modernizzarono il genere gospel con armonizzazioni veloci e ritmi sincopati; ricordiamo tra i trii più famosi le Boswell Sisters, le Peters Sisters i Mills Brothers e gli Ink Spots. Il Jazz in Francia, Duke Ellingotn, revivalismo e crooners. A partire dagli anni 30 del ‘900, il jazz si diffonde in Europa; è interessante ricordare che cosa diventa in questo periodo il genere in Francia: la nazione infatti utilizzerà il jazz per creare una personalissima identità locale. Questo avverrà innanzitutto con il chitarrista Django Reinhardt e con il violinista Stéphane Grappelli. A Parigi, città di larghe vedute e cosmopolita, il jazz non perde le sue origini afroamericane e molte artiste di colore si esibiscono ogni sera rendendo il genere sempre più conosciuto. È proprio a Parigi d’altronde, che nasce la prima associazione con lo scopo di promuovere il genere jazz: l’HCF (Hot Club de France) e la Francia è anche la prima nazione che inaugura i festival, che si diffonderanno soprattutto a partire dagli anni 70. Intorno al 1940 Duke Ellington diventa famoso insieme alla sua orchestra grazie al suo stile particolare, che ripropone il genere swing in modo molto personale. Sarà “Black, Brown And Beige” a renderlo conosciuto a tutti: questo brano infatti, porta avanti con orgoglio l’identità nera e parla dell’uomo di colore moderno che negli USA ha ormai gli stessi diritti di tutti gli altri cittadini bianchi. A livello di contenuto, i suoi brani sono “colti” ma allo stesso tempo restano vicini alle profonde radici del jazz popolare, mentre a livello formale egli coordina l’orchestra basandosi sulle singole personalità dei suoi interpreti (egli stesso dirà che il suo strumento è l’orchestra). Per molto tempo sarà lui stesso a finanziare la sua orchestra grazie ai diritti musicali sui brani in circolazione. La cosa più particolare del suo modo di fare musica è che pur fondendo nei suoi brani influenze europee, caraibiche, africane, egli riesce comunque a mantenere uno stile ”classico” e personale. Prima della guerra, negli USA ha inizio il fenomeno del revivalismo. Questo consiste in un genere (ancora praticato) che ricerca un jazz primitivo, genuino, delle origini. Per gran parte della critica il revivalismo è un genere troppo nostalgico, che non concentrandosi troppo sull’esecuzione non ha nessun grande merito. A prescindere da questo, possiamo ricordare qualcosa del periodo in cui il genere si diffonde: dominano infatti la scena principale da un lato i vecchi esponenti dell’hot jazz di New Orleans e Chicago, e dall’altro orchestrine amatoriali diffuse nel territorio. Tra i primi si distinguono soprattutto, anticipando il boom revivalistico dell’immediato dopoguerra, Armstrong con gli All Stars, e Bechet, con il bianco Mezz Mezzrow. A partire dal primo dopoguerra, inizia a calare l’interesse per le grandi band: le sale infatti costano molto e tante hanno chiuso dopo la crisi economica e inoltre c’è un sempre maggiore interesse per le band formate da teen agers. Si diffonde nuovamente in questo periodo la canzone melodica tramite la moda dei crooners, interpreti che cantano in chiave confidenziale (Frank Sinatra, mentre oggi artisti come Tony Bennett). il jazz classico prima del be-bop Esiste una fase mediana del jazz, durante il periodo bellico, che si situa fra la continuità dello swing e la rivoluzione del bebop, tra classic e modern, e attraverso la quale si studiano altre possibilità nella musica jazz. Questa fase è fatta da importanti personalità artistiche; tra queste, il chitarrista Charlie Christian, il quale anticipa già alcune caratteristiche del be-bop tramite assoli a note singole che lo renderanno noto anche a musicisti che non suonano il suo stesso strumento. Altri artisti da collocare in questa fase sono i pianisti Erroll Garner e Oscar Peterson o le formazioni con i
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