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Naturalismo, Verismo e Verga + Decadentismo (Deledda, Pascoli, Svevo, Pirandello), Appunti di Italiano

Caratteri generali delle correnti letterarie, la poetica degli autori e le opere principali analizzate con l’antologia.

Tipologia: Appunti

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Scarica Naturalismo, Verismo e Verga + Decadentismo (Deledda, Pascoli, Svevo, Pirandello) e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! NATURALISMO E DECADENTISMO NATURALISMO, VERGA E IL VERISMO - DECADENTISMO: PASCOLI, SVEVO, PIRANDELLO, DELEDDA. letteratura italiana, aprile 2022 NATURALISMO E ZOLA Il Naturalismo > Il Naturalismo è un movimento culturale-letterario, che nasce negli anni 70 del Novecento e che ha i suoi fondamenti nel Positivismo. Applica la ricerca scientifica al testo letterario, che si deve assumere il compito di un’analisi scientifica della realtà, sulla base del principio deterministico. L’idea che un ambiente come quello siciliano possa esser analizzato è di Verga stesso. > Il Positivismo è l’espressione ideologica della nuova organizzazione industriale della società borghese e del conseguente sviluppo della ricerca scientifica e delle applicazioni tecniche. Questo è regolato dalla convinzione che il reale sia dominato da forze regolate da ferree leggi meccaniche spiegabili scientificamente. > Taine: principio deterministico dell’influenza della “razza”, dell' “ambiente" e del “momento storico”. La diffusione del modello naturalista > L’immagine di Zola che si diffuse in Italia fu quella del romanziere scienziato e dello scrittore “sociale”. Furono, in primo luogo, gli ambienti culturali milanesi di sinistra a diffondere e ad esaltare la sua opera sin dai primi anni Settanta: il centro di tale diffusione fu Milano. Tuttavia la sinistra milanese rimase prigioniera delle proprie aspirazioni confuse e velleitarie, incapace di costruire una teoria artistica organica. Le formulazioni teoriche rimasero quanto mai generiche e approssimative. La poetica di Capuana e Verga > Una teoria coerente e un nuovo linguaggio furono invece elaborati da due intellettuali conservatori: Capuana e Verga. > Luigi Capuana, come critico letterario del “Corriere della Sera”, ebbe una funzione fondamentale nel diffondere in Italia la conoscenza di Zola. Nei suoi articoli, tuttavia, si coglie chiaramente un modo di intendere la letteratura ben diverso da quello del Naturalismo francese. Capuana infatti respinge la subordinazione della letteratura a scopi ad essa esterni: vi è un’eclissi totale dell’autore, tanto che l’opera deve sembrare essersi fatta da sé. 1 > Nella prospettiva di Capuana, il Naturalismo, perde la sua volontà di fare scienza e il suo impegno politico diretto; la scientificità si deve manifestare solo nella forma artistica. Ciò si riassume nel principio dell’impersonalità dell’opera d’arte. GIOVANNI VERGA La vita > Nacque a Catania nel 1840 da una famiglia di agiati proprietari terrieri con ascendenze nobiliari. Compì i primi anni di studio presso maestri privati, tra cui Antonino Abate, da cui assorbì il fervente patriottismo e il gusto letterario romantico. I suoi studi superiori non furono regolari: iscrittosi alla Facoltà di Legge a Catania, non terminò i corsi, preferendo dedicarsi al lavoro letterario e al giornalismo politico. I testi su cui si forma in questi anni, più che i classici italiani e latini, sono quelli degli scrittori francesi moderni di vasta popolarità (Dumas, Sue, Feuillet). Nel 1865 si recò a Firenze, per poi farvi ritorno nel 1869, con l’intento di liberarsi dai limiti della sua cultura provinciale e venire a contatto con la vera società letteraria italiana. Qui conobbe Luigi Capuana. > Nel 1872 si trasferì a Milano, dove entrò a contatto con gli ambienti della Scapigliatura e pubblicò tre romanzi legati al clima romantico (Eva, Eros, Tigre reale). Nel 1878 si verificò la svolta verista con la pubblicazione di Rosso Malpelo; seguirono le novelle di Vita dei campi, il ciclo dei Vinti. Nel 1893 lasciò Milano e tornò a vivere definitivamente a Catania. Dopo il 1903 si chiuse in un silenzio pressoché totale e le sue posizioni politiche si fecero sempre più chiuse e conservatrici. Morì nel gennaio del 1922. Le prime opere I romanzi preveristi > Durante il periodo fiorentino esce il romanzo Una peccatrice (1866). Pochi anni più tardi, nel 1871, lo scrittore pubblica Storia di una capinera, romanzo sentimentale che narra di un amore impossibile e di una monacazione forzata, e che gli assicura un notevole e duraturo successo. > Dopo il trasferimento a Milano, pubblica nel 1873 Eva, nel 1875 Eros e Tigre reale (analizzano le travolgenti passioni mondane). Anche i romanzi milanesi riscuotono un buon successo e sono acclamati dalla critica come esempi di “realismo”. Tuttavia essi si iscrivono in un clima ancora tardoromantico e risentono dell’influenza della Scapigliatura; inoltre si concentrano su passioni estreme e sono scritti in un linguaggio spesso enfatico ed emotivo. 2 Emblematico è il suo conflitto con il nonno che, in opposizione a lui, rappresenta invece lo spirito tradizionalista. La famiglia è perciò destinata a disgregarsi. > Alla fine Alessi, il figlio più giovane, riuscirà a ricomporre una parte del nucleo familiare, ma ciò non implica un ritorno perfettamente circolare alla situazione iniziale. Il romanzo si chiude con la partenza di ‘Ntoni dal villaggio: il giovane si distacca completamente dai valori tradizionali, allontanandosi verso la realtà del progresso, delle grandi città e della storia. L’impianto corale e la costruzione bipolare > Il romanzo ha un impianto corale, poiché risulta fittamente popolato di personaggi, senza che spicchi un vero e proprio protagonista. Questo coro si divide in due: da una parte si collocano i Malavoglia e dall’altra la comunità del paese. > La struttura narrativa del romanzo risulta caratterizzata perciò da una costruzione bipolare, nella quale si alternano costantemente due punti di vista opposti. Questo gioco di punti di vista ha una funzione importantissima. Infatti l’ottica del paese ha il compito di “straniare” sistematicamente i valori ideali proposti dai Malavoglia; questi valori, visti con gli occhi della collettività, appaiono “strani”. Lo straniamento operato sui valori ideali dal punto di vista dei compaesani, serve a Verga per affermare che quei valori sono impraticabili in un mondo dominato dalla “lotta per la vita”. > D’altro lato, tuttavia, attraverso il punto di vista dei Malavoglia lo scrittore analizza i meccanismi spietati che dominano l’ambiente del villaggio, facendo emergere la disumanità della logica dell’interesse e della forza e rappresentandola in una luce critica. Il Mastro-don Gesualdo (1889) L’intreccio > Il protagonista è Gesualdo Motta, un ex muratore ormai arricchito. Quando il racconto ha inizio, la sua ascesa sociale dovrebbe essere coronata dal matrimonio con Bianca Trao, discendente da una famiglia nobile, ma in rovina. Tuttavia Gesualdo rimane escluso da questa società, che lo disprezza per le sue origini. > Nace una bambina, Isabella, che però è frutto di una relazione di Bianca con un cugino, avvenuta prima del matrimonio. Anche la bambina, crescendo, inizia a disprezzare il padre. Lei stessa crea un altro dolore al padre, innamorandosi di un cugino povero e fuggendo con lui. Per porre rimedio a questo scando, Gesualdo si accorda con il duca de Leyra, che accetta di sposare Isabella in cambio di un’ingente dote. 5 > Tutti questi dispiaceri minano la salute di Gesualdo, che si ammala di cancro. Viene allora accolto a Palermo dal genero e dalla figlia, ma qui viene messo da parte. Trascorre così i suoi ultimi giorni di vita in solitudine, angosciato al vedere come vengono sperperate le ricchezze che aveva accumulato a prezzo di eroiche fatiche. L’impianto narrativo > Verga rimane fedele al principio dell’impersonalità. Tuttavia a cambiare è il contesto sociale del romanzo: non si tratta più di un ambiente popolare, ma di un ambiente borghese e aristocratico. Di conseguenza anche il livello culturale del narratore si innalza e ciò fa sì che torni a coincidere di fatto con quello dell’autore reale. Ciò non significa che Verga ripristini il narratore onnisciente; infatti quest’ultimo non fornisce informazioni sugli antefatti o sui personaggi. > A differenza dei Malavoglia, Mastro-don Gesualdo, non ha un impianto corale. Al suo centro vi è la figura di un protagonista, che spicca rispetto alle altre figure. A questa centralità dell’eroe si adeguano i procedimenti narrativi: per gran parte la narrazione è focalizzata sul protagonista. Il punto di osservazione dei fatti coincide con la sua visione e, ciò, avviene soprattutto grazie all’utilizzo dello strumento del discorso indiretto libero. L’interiorizzarsi del conflitto tra valori e interesse egoistico > A scomparire è anche la costruzione bipolare del romanzo. Il conflitto tra i due poli qui si interiorizza: pur dedicando tutta la sua vita e tutte le sue energie alla conquista della “roba”, Gesualdo conserva un bisogno di relazioni umane autentiche. Questi impulsi altruistici e i bisogni affettivi, tuttavia, finiscono sempre per essere soffocati dall’interesse economico. Di conseguenza a negare i valori è il personaggio stesso che potrebbe esserne il portatore. > Ciò fa capire che in Verga non vi è più alcuna tentazione idealistica. La logica dell’interesse egoistico e della forza diviene il modello unico di comportamento ed occupa tutto il quadro, respingendo fuori dei suoi confini i valori disinteressati. Verga è dunque approdato ad un Verismo rigoroso ed il suo pessimismo è divenuto assoluto, al punto da non consentirgli di rappresentare nessuna alternativa ideale ad una realtà dura e disumanizzata. IL DECADENTISMO Caratteri generali > Il Decadentismo è un movimento culturale-letterario che veniva accostato all’immagine dell’impero Romano e della sua rovina. Inteso in un’accezione più vasta, il Decadentismo appare come una somma di manifestazioni artistiche e letterarie tra loro 6 anche assai differenti, al cui interno tuttavia si possono individuare denominatori comuni, che autorizzano perciò ad utilizzare una forma unica che le comprende tutte. La visione del mondo decadente Il mistero e le “corrispondenze” > La base della visione del mondo decadente è un irrazionalismo misticheggiante. Viene radicalmente rifiutato la visione positivistica; infatti il decadente ritiene che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza del reale, poiché l’essenza di esso è al di là delle cose, per cui solo rinunciando ad un approccio razionale si può tentare di attingere all’ignoto, il mistero che è dietro la realtà visibile. > In questa visione tutti gli aspetti dell’essere sono legati tra loro da analogie e corrispondenze, che sfuggono alla ragione e possono essere colte solo in un abbandono di empatia irrazionale. La rete di corrispondenze coinvolge anche l’uomo, poiché esiste una sostanziale identità tra io e mondo: l’individualità scompare e si fonde con il Tutto. > La scoperta dell’inconscio è il dato fondamentale della cultura decadente, il suo nucleo più autentico. I decadenti, tuttavia, a differenza di Freud, tendono a distruggere ogni legame con il razionale, convinti che solo un abbandono totale alle profondità dell’inconscio possa garantire la scoperta di una realtà più vera. L’oscurità del linguaggio > Se la poesia è veicolo di una rivelazione del mistero e dell’assoluto, allora assume un valore puramente evocativo. Si determina di conseguenza una vera e propria rivoluzione del linguaggio poetico: la parola perde la propria funzione di strumento comunicativo immediato e recupera quella ancestrale di formula magica. Tuttavia, se rinuncia alla comunicazione, diviene inevitabilmente oscura, al limite dell’incomprensibilità. > Carattere elitario dell’arte, con frattura radicale tra artista e pubblico, tra intellettuale e società. Le tecniche espressive > Musicalità: nella visione decadente la musica è la suprema tra le arti, proprio perché è la più indefinita, perché è svincolata da ogni significato logico e referenziale. La parola non ha più il compito di comunicare, ma è un puro suono. > Metafora: quella decadente non è regolata da un semplice rapporto di somiglianza tra due oggetti, come avveniva nella tradizione, ma allude alla rete di segrete relazioni che uniscono le cose in un sistema di analogie universali. Essa crea così legami impensati tra realtà anche molto lontane tra loro. (Rapporto simbolico, non allegorico). 7 GRAZIA DELEDDA > Grazia Deledda nacque a Nuoro nel 1871. In seguito a una serie di sventure familiari, che favorirono il ripiegamento interiore della ragazza, fu indotta ad astrarsi da una realtà poco gratificante e a vivere un’adolescenza di sogni e fantasie sentimentali; da qui iniziò la pubblicazione delle prime novelle. Dopo la morte del padre, avvenuta nel 1892, iniziò una maturazione graduale e pubblicò numerosi racconti e romanzi, tra cui Fior di Sardegna. > Dopo il matrimonio si trasferì a Roma, dove restò per tutta la vita. La pubblicazione di alcuni grandi romanzi, tra cui Elias Portolu e L’edera, consolidò la fama della scrittrice. Quelli seguenti furono gli anni felici della vita familiare e del lavoro regolare della scrittura, che avrebbe prodotto altre grandi opere: Canne al vento, Marianna Sirca, La madre, Il segreto dell’uomo solitario. > Il 10 dicembre 1926 le fu assegnato il premio Nobel per la Letteratura, fu l’unica scrittrice italiana a riceverlo e, al momento, anche l’ultima. Negli ultimi anni pubblicò ancora una decina di volumi, tra cui Cosima (l’opera più direttamente autobiografica). In realtà tutta la sua narrativa risente di motivi autobiografici. > In quasi tutti i suoi migliori romanzi, i personaggi principali devono confrontarsi con una società che ne ostacola e frena il desiderio di evasione, di libertà e di affermazione. La passione e l'eros sono sempre soffocati da un sentimento religioso del peccato, che configura l’amore come “delitto”, qualora non rientri nei rigidi canoni stabiliti dalle norme sociali. GIOVANNI PASCOLI La vita > Giovanni Pascoli nacque il 31 dicembre 1855 a San Mauro di Romagna, da una famiglia della piccola borghesia rurale. > Il 10 agosto 1867 il padre venne ucciso a fucilate. Oltre a trattarsi di un evento traumatico, ciò causò grosse difficoltà economiche alla famiglia. > Nel 1862 era entrato nel collegio degli Scolopi ad Urbino, dove ricevette una rigorosa formazione classica. Nel 1871 dovette abbandonare il collegio, ma poté proseguire gli studi a Firenze, grazie a un suo professore. > Nel 1873 ottenne una borsa di studio presso l’Università di Bologna, dove frequentava la facoltà di Lettere. Durante questi anni subì il fascino dell’ideologia socialista (intesa come solidarietà tra le persone e i popoli) e venne arrestato nel 1879, in seguito a delle manifestazioni. > Si laureò nel 1882, per poi iniziare la carriera di insegnante liceale. > La chiusura gelosa nel “nido” familiare e l’attaccamento morboso alle sorelle rivelano la fragilità psicologica del poeta. A questo si univa il ricordo ossessivo dei lutti e dei dolori. Questo forte legame con il “nido” infantile gli rese impossibile il sogno di costruire 10 una vera famiglia, esercitando il ruolo di marito e padre. La vita amorosa ai suoi occhi aveva un fascino torbido, era qualcosa di misterioso, da contemplare con palpiti e tremori. Soltanto tenendo conto di questa situazione possiamo cogliere il carattere turbato, tormentato, morboso della poesia di Pascoli. > Nel 1895 ottenne la cattedra di Grammatica greca e latina all'Università di Messina. Venne trasferito a Messina, poi a Pisa e, nel 1905, subentrò al suo maestro Carducci nella cattedra di Letteratura italiana a Bologna. > Nel 1891 uscì Myricae (prima raccolta di componimenti) e nel 1903 i Canti di Castelvecchio. La poetica Il fanciullino > Il saggio Il fanciullino fu pubblicato sulla rivista “Il Marzocco”. L’idea centrale è che il poeta coincide col fanciullino che sopravvive al fondo di ogni uomo. Al pari di Adamo, anche il poeta-fanciullo dà il nome alle cose usando un linguaggio diverso da quello della comunicazione abituale, capace di scoprire la freschezza originaria e l’essenza più intima delle cose. > Dietro a questa metafora è facile scorgere una concezione della poesia come conoscenza prerazionale e immaginosa. L’atteggiamento irrazionale e intuitivo consente per Pascoli una conoscenza profonda della realtà, permette di cogliere direttamente l’essenza segreta delle cose. Il fanciullo scopre quella trama di corrispondenze misteriose tra le presenze del reale che le unisce come in una rete di simboli e che sfugge alla percezione abituale. > Il poeta appare dunque come un “veggente” capace di accostarsi all’ignoto e di esplorare il mistero. La poesia "pura" > Per Pascoli la poesia non deve avere finalità pratiche, infatti il poeta scrive solo in quanto poeta. Tuttavia questa poesia “pura” può ottenere effetti di suprema utilità sociale e morale. Il sentimento poetico, essendo in grado di dar voce al “fanciullino”, induce alla bontà, all’amore e alla fratellanza. In questa poesia è per Pascoli implicito un messaggio sociale, un’utopia umanitaria che invita all’affratellamento di tutti gli uomini. > Questo rifiuto della “lotta tra classi” si trasferisce al livello dello stile. La poesia non sta solo negli argomenti elevati e sublimi, ma anche nelle piccole cose; tra oggetti aulici e umili non vi è più conflitto ed esclusione. Pascoli si propone così sia come cantore delle realtà umili e dimesse, sia come celebratore delle glorie nazionali ed evocatore dei miti e degli eroi classici. 11 ITALO SVEVO La vita La formazione e il lavoro impiegatizio > Italo Svevo è in realtà uno pseudonimo letterario, il vero nome dello scrittore è Aron Hector Schmitz. Per comprendere la scelta di questo nome dobbiamo tenere in considerazione il concetto di Mitteleuropa, in cui il centro della cultura era racchiuso nell’Impero Austro Ungarico. Così il nome “Italo” richiama l’Italia, mentre il cognome “Svevo” richiama la Svevia, regione tedesca; l’autore dopotutto viveva a Trieste, che si trovava a metà tra la cultura tedesca e quella italiana. > Aron Hector Schmitz nacque il 19 dicembre 1861 a Trieste, da un’agiata famiglia borghese di origini ebraiche. Nel 1873 venne mandato in collegio in Germania e nel 1878 tornò a trieste, dove si iscrisse all’istituto Superiore per il Commercio. Tuttavia la sua aspirazione era quella di diventare scrittore: iniziò a comporre testi drammatici e dal 1980 collaborò al giornale triestino “L’indipendente”. Politicamente era vicino alle posizioni irredentistiche e manifestava un certo interesse per il socialismo. > Nel 1880 il padre fallì e Svevo subì l’esperienza del declassamento, passando a una condizione di ristrettezza economica. Fu costretto a cercarsi un lavoro, ma il lavoro impiegatizio era per lui opprimente e, per questo motivo, cercava un’evasione nella letteratura. Nel 1892 pubblicò a sue spese il suo primo romanzo, Una vita. Il salto di classe sociale e l’abbandono della letteratura > Nel 1896 sposò una cugina molto più giovane di lui, Livia Veneziani. Il matrimonio segnò una svolta fondamentale nella sua vita, tanto da riuscire a superare, sul piano psicologico, molte fragilità e insicurezze personali. Anche la sua situazione economica migliorò, infatti lasciò l’impiego in banca e assunse un incarico prestigioso nella ditta del suocero. > Fu un salto di classe sociale: dalla modesta condizione di piccolo borghese, si trovò proiettato nel mondo dell’alta borghesia. Inoltre il nuovo lavoro gli permise di compiere numerosi viaggi in Francia e in Inghilterra, dove venne a contatto con un altro tipo di società. > Nel 1898 pubblicò Senilità, ma come il primo romanzo ebbe poco successo. Così Svevo decise di abbandonare l’attività letteraria, considerandola come qualcosa in grado di compromettere la sua nuova vita attiva e produttiva. Il permanere degli interessi culturali > In realtà Svevo non abbandonò del tutto i suoi interessi culturali e letterari e continuò a dedicarsi sia alla scrittura autobiografica, sia a quella narrativa e teatrale, pur senza pubblicare nulla. 12 a più facce, fortemente problematico: negativo perché campione di falsa coscienza borghese, positivo perché strumento di straniamento e conoscenza. LUIGI PIRANDELLO La vita Gli anni giovanili > Luigi Pirandello nacque il 28 giugno 1867 presso Agrigento da una famiglia di agiata condizione borghese. Dopo gli studi liceali si iscrisse all’Università di Palermo, poi a quella di Roma e infine a quella di Bonn, dove si laureò nel 1891. L’esperienza degli studi in Germania fu importante per lo scrittore, poiché lo mise in contatto con la cultura tedesca e in particolare con gli autori romantici. > Dal 1892 si stabilì a Roma e nel 1893 scrisse il suo primo romanzo, L’esclusa e nel 1894 diede alle stampe una prima raccolta di racconti, Amori senza amore. Dal 1897 iniziò come supplente l’insegnamento di Lingua italiana presso l’Istituto Superiore di Magistero di Roma e nel 1908 divenne docente di ruolo. Nel frattempo pubblicò articoli e saggi e scrisse la sua prima commedia, Il nibbio. Il dissesto economico > Nel 1903 un allagamento della miniera di zolfo del padre provocò il dissesto economico della famiglia. Così anche la vita di Pirandello fu segnata dall’esperienza del declassamento, che lo ispirò nella rappresentazione del grigio soffocante della vita piccolo borghese che ritroviamo nelle sue novelle. > In seguito alla notizia del declassamento economico, la moglie ebbe una crisi che la fece sprofondare irreversibilmente nella follia. Questo evento può aver influito sulla sua concezione dell’ambiente familiare come “trappola” che imprigiona e soffoca l’uomo. > Con la perdita delle rendite Pirandello fu costretto ad integrare il modesto stipendio con la produzione di novelle e romanzi. L’attività teatrale > Dal 1910 Pirandello ebbe il primo contatto con il mondo teatrale. In questi anni esplose anche la Prima guerra mondiale. > Dal 1920 il teatro di Pirandello cominciò a conoscere un grande successo di pubblico. Del 1921 sono i Sei personaggi in cerca d’autore. I suoi drammi, nel corso degli anni Trenta, furono conosciuti e rappresentati in tutto il mondo. Ultimi anni > Nel 1929 fu nominato Accademico d’Italia e nel 1934 gli venne assegnato il premio Nobel per la Letteratura. > Morì nel 1936. 15 La visione del mondo Il vitalismo > Alla base della visione del mondo pirandelliana vi è una concezione vitalistica: tutta la realtà è “vita”, “perpetuo movimento vitale”, inteso come “flusso continuo”. Anche gli umani sono parte indistinta dell’eterno fluire della vita, ma tendono a cristallizzarsi in forme individuali. In realtà la personalità che creano è un’illusione e scaturisce solo dal sentimento che si ha del mondo. Noi crediamo di essere “uno” per noi stessi e per gli altri, mentre siamo tanti individui diversi, a seconda della visione di chi ci guarda. > Ciascuna di queste forme è una costruzione fittizia, una “maschera” che noi stessi ci imponiamo e che ci impone il contesto sociale. Sotto questa maschera vi è un fluire indistinto e incoerente di stati in perenne trasformazione. La critica dell’identità individuale > Questa teoria della frantumazione dell’io in un fluire continuo di stati incoerenti riflette certamente i cambiamenti culturali dell’epoca: nella civiltà novecentesca, infatti, entra in crisi sia l’idea di una realtà oggettiva, organica, definita, ordinata, sia quella di un soggetto forte, unitario, coerente. > In questo periodo si affermano inoltre alcune tendenze spersonalizzanti che favoriscono la disgregazione dell’identità personale: l’instaurarsi del capitale monopolistico, l’espandersi della grande industria e dell’uso delle macchine, la creazione di sterminati apparati burocratici, il formarsi delle grandi metropoli moderne. > L’individuo qui non conta più, si indebolisce e perde la sua identità. La presa di coscienza di questa inconsistenza dell’io suscita nei personaggi pirandelliani smarrimento e dolore. Provoca in loro angoscia ed orrore, genera un senso di solitudine tremenda. La “trappola” della vita sociale > Pirandello ha un senso acutissimo della crudeltà che domina i rapporti sociali, al di sotto dei rituali esteriori e delle buone maniere. La società gli appare come un'enorme “pupazzata”. Nelle opere pirandelliane si può scorgere un rifiuto per tutto ciò e un bisogno disperato di autenticità, immediatezza e spontaneità vitale. > Trappola della famiglia e del lavoro. > Il radicale pessimismo di Pirandello non gli consente di percepire la possibilità che altre forme di società diverse e meno oppressive si possano realizzare in futuro, spingendolo così a condannare la società in quanto tale, in assoluto. 16 L’umorismo Divide l’arte umoristica in due momenti: > L’avvertimento del contrario; > Il sentimento del contrario. Tra questi due momenti c’è la riflessione, dopo cui non c’è più l’aspetto comico iniziale, ma solo quello umoristico. In una realtà multiforme e polivalente, tragico e comico vanno sempre assieme, il comico è come l’ombra che non può mai essere disgiunta dal corpo tragico. Il fu Mattia Pascal, Uno-nessuno-centomila. (pg 87-88) 17
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