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Neuro-mania:Il cervello non spiega chi siamo - Sintesi per capitoli, Sintesi del corso di Psicologia Clinica

Sintesi del libro per capitoli, ottima per ripasso.

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016
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Scarica Neuro-mania:Il cervello non spiega chi siamo - Sintesi per capitoli e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia Clinica solo su Docsity! NEURO-MANIA - Il cervello non spiega chi siamo Paolo Lagrenzi e Carlo Umiltà PREMESSA Verso la metà dell’Ottocento la psicologia subentrò ai saperi più tradizionali. Concetti come “anima” e “ragione” sono da un lato fatti propri e da un altro lato tolti dai campo dell’indagine scientifica per diventare un oggetto di credo personale. Si crearono nuove discipline premettendo il prefisso “neuro” a saperi nobili e antichi. Ci sono nuovi ambiti di ricerca, caratterizzati dal cortocircuito tra i saperi antichi, come economia, etica, politica e teologia, e sulle scoperte del funzionamento del cervello. La definizione dei rapporti tra mente e corpo, tra psiche e cervello, possono coinvolgere scelte di politica sociale e di benessere. Passano sullo sfondo i processi mentali, come benessere o malessere. Ci si orienta verso scelte differenti influenzate dalle nuove tecnologie. CAP. 1 - ALLE ORIGINI DELLA RELAZIONE MENTE-CERVELLO Nel 1861 un neurologo francese, Paul Broca, descrisse un paziente che, in seguito ad una lesione cerebrale, riusciva a dire solo “tan”. Dopo la morte del paziente, l’esame autoptico rivelò una lesione in porzione limitata del lobo frontale di sinistra. Da allora si sa che, negli esseri umani con preferenza per la mano destra, le funzioni linguistiche dipendono dall’emisfero cerebrale sinistro (nei mancini e negli ambidestri le aree del linguaggio nel cervello sono più complesse) e che quella porzione del lobo frontale di sinistra (area di Broca) è deputata alla produzione della parola. L’osservazione di Broca fu considerata la prima dimostrazione di due principi sui quali si sarebbero basate, le neuroimmagini: la corteccia cerebrale è scomponibile in tante porzioni (aree) che svolgono funzioni diverse e queste funzioni sono indipendenti le une dalle altre, sono isolabili (caso del paziente che diceva solo “tan” la funzione era la produzione della parole e veniva isolata, in negativo, dalal lesione). L’idea di aree cerebrali che svolgono funzioni mentali indipendenti e specifiche l’aveva avuta Franz Joseph Gall prima dell’800, che commise l’errore di proporre funzioni mentali improbabili e di aver pensato che lo sviluppo delle aree cerebrali fosse rivelato dalla conformazione esterna del cranio, i “bernoccoli”. Pensava che un maggiore sviluppo di un’area portasse a una maggiore efficienza della funzione mentale che da quella dipendeva. Quindi più era grosso il bernoccolo migliore era la funzione a cui corrispondeva. Ma gli antropologia a differenza di Gall (che studia i positivi dei bernoccoli), studiano i negativi, cioè le impronte lasciate sulla parete interna del cranio dalle arterie celebrali per conoscere le capacità intellettive dell’homo sapiens. Per la seconda metà dell’800, chi indagava le basi nervose delle funzioni mentali esaminava pazienti con lesioni cerebrali di estensione limitata (lesioni focalizzate o focali). Tutte le funzioni mentali dipendono dall’attività di strutture celebrali indipendenti fra loro e precisamente localizzate. La lesione cerebrale danneggia un numero di funzioni limitato. Un’analisi accurata dei disturbi presentati dal paziente permette di risalire alla funzione svolta normalmente dalla struttura cerebrale danneggiata. In generale, l’esame dei pazienti con lesioni cerebrali focali consente, di individuare le basi nervose di qualsiasi funzione mentale. A causa dei risultati insoddisfacenti e incoerenti, agli inizi del ‘900 l’approccio modulare allo studio delle basi nervose delle funzioni mentali fu abbandonato e fu sostituito da un approccio olistico. Sotto l’influenza della psicologia della Gestalt, un nuovo movimento psicologico che non concepiva la mente come l’aggregato di più funzioni, la concezione prevalente divenne non più quella del cervello come un’organizzazione di moduli che svolgono indipendentemente funzioni specifiche, ma quella di un cervello equipotenziale. I deficit delle funzioni mentali causati dalle lesioni cerebrali dipendevano dalla quantità di tessuto cerebrale distrutto, non dal luogo della lesione. Il passaggio dalla concezione modulare alla concezione olistica è ben esemplificato dallo sviluppo del pensiero di Sigmund Freud, i cui contributi di neurologo riguardarono soprattutto i disturbi del linguaggio (afasie) e i disturbi della percezione (agnosie). Prima aderì all’approccio modulare, e scrisse un saggio: “Progetto di una psicologia”, che ha dato un contributo sull’abbandono dell’approccio modulare, in favore di un approccio olistico. Ma poi Freud affrontò il problema di come curare i pazienti e per risolvere il problema inventò la psicoanalisi. Ma l’approccio olistico non aveva dato grandi frutti, cosi venne ripreso l’approccio modulare che fu ripreso e migliorato tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60 del Novecento, grazie ai contributi teorici di Hans Lukas Teuber (1955) e Norman Geschwind (1965). 1 Nei successivi anni, l’esplorazione delle basi nervose delle funzioni mentali attraverso l’analisi dei disturbi dei pazienti con lesioni cerebrali focali (cioè la neuropsicologia) ha raggiunto la piena maturità scientifica e ha permesso di acquisire nuove conoscenze. Qualsiasi campo del sapere umano dipende dal funzionamento della mente, e nulla avrebbe impedito di applicare la neuropsicologia all’economia, all’estetica, alla pedagogia, alla teologia... Gli anni ’90 del Novecento sono stati dichiarati “il decennio del cervello” dal Congresso degli Stati Uniti d’America, con un aumento dei finanziamenti che interessavano le ricerche sui meccanismi cerebrali. E c’era il forte intento di aggiungere il prefisso “neuro” anche a ricerche che non si erano mai occupate di cervello. I primi anni del 2000 sono stati dichiarati “il decennio del comportamento”, anche senza la nascita di nuove discipline. A metà degli anni ’70 fu introdotta la tomografia assiale computerizzata (TAC), una tecnica di immagini strutturali che ha aperto la strada alle moderne tecniche di immagini funzionali. Alla fine degli anni ’70 dell’Ottocento, il fisiologo Angelo Mosso studiava le variazioni della pressione del sangue nelle arterie cerebrali che accompagnano le contrazioni del cuore. Nei neonati tali variazioni si manifestano come lievi pulsazioni della cosiddetta “fontanella”, l’apertura fra le ossa craniche non ancora completamente saldate. In due dei pazienti adulti di Mosso, pulsazioni simili potevano essere osservate attraverso aperture prodotte nelle ossa craniche frontali da lesioni traumatiche. Mosso osservò che le pulsazioni cerebrali diventavano più ampie quando un paziente, Bertino, udiva il suono delle campane di mezzogiorno. Un’altra osservazione fu che l’aumento di ampiezza delle pulsazioni cerebrali era indipendente da variazioni della frequenza cardiaca e della pressione rilevata a livello del braccio. Mosso ipotizzò che il suono delle campane rammentasse a Bertino che era il momento di recitare una preghiera. Bertino confermò. Quindi ricordarsi di dover recitare una preghiera provocava una variazione del flusso sanguigno in una porzione del cervello. Così Mosso diede inizio al processo che avrebbe portato alle neuroimmagini moderne (e aveva fondato la neuroteologia). Per confermare la relazione tra funzioni mentali e circolazione sanguigna cerebrale regionale, Mosso chiese a Bertino di eseguire a mente alcune semplici moltiplicazioni. L’aumento delle pulsazioni cerebrali si verificò al momento della presentazione dei numeri da moltiplicare e al momento della risposta (forse Mosso aveva fondato anche la neuroaritmetica). Si è pensato che con le neuroimmagini si potesse vedere direttamente quali porzioni del cervello sono attive e quali no mentre il soggetto esaminato pensa a qualcosa. In realtà per arrivare a quella rappresentazione di una zona attiva del cervello, sono necessari molti passaggi, ciascuno dei quali si basa su assunzioni non sempre solidissime. Usare il flusso sanguigno cerebrale per ottenere informazioni sulle funzioni della mente può sembrare un’operazione rischiosa e certamente lo è. Per menzionare uno solo dei molti problemi ancora insoluti: le variazioni di flusso sanguigno hanno una latenza di almeno 5 secondi, cioè richiedono 5 secondi per iniziare. Il pensiero umano anche se non è istantaneo, ha una latenza di poche decine di millesimi di secondo. Seguiamo i passaggi che conducono dal flusso sanguigno alla mente. Il punto di partenza è che tutte le funzioni della mente e tutti i contenuti mentali sono accompagnati dall’attivazione di aree cerebrali specifiche. Quando una determinata funzione mentale è in atto, le aree cerebrali in essa coinvolte sono attive. Determinate aree presiedono alle funzioni specifiche di un dato compito. Si attivano anche altre aree generiche, che presiedono ad operazioni comuni a molti compiti: aree visive, motorie, acustiche, ecc… Questo avviene perché l’elaborazione visiva o acustica delle informazioni in ingresso e l’esecuzione di risposte attraverso i muscoli della fonazione o del braccio sono comuni a moltissimi compiti. L’attivazione simultanea di aree specifiche e aree generiche rappresenta un problema per le ricerche di neuroimmagine. Lo scopo di tutte le ricerche di neuroimmagine è di individuare le aree che si attivano selettivamente durante lo svolgimento di un compito che richiede l’intervento di funzioni mentali note. Le aree cerebrali sono composte di numerosissime cellule nervose, i neuroni, che hanno bisogno di tanto più ossigeno e glucosio quanto più sono attive. L’ossigeno è portato dal sangue, che contiene tanta acqua, perciò se si riesce a misurare la quantità di sangue che in un dato momento irrora le varie aree cerebrali è possibile stabilire il livello di attivazione raggiunto da quelle stesse aree. Si può iniettare nel circolo sanguigno 2 L’invarianza va trovata, non nelle caratteristiche del suono verbale, ma nel programma motorio necessario per pronunciarlo. E’ chiara la somiglianza tra neuroni specchio e meccanismi impliciti nella teoria motoria della percezione della parola. Uno stimolo esterno fa risuonare un meccanismo motorio interno in grado di riprodurlo. Quindi gli aspetti motori della cognizione sono molto più importanti per il pensiero umano. CAP. 2 - MENTE, CORPO E SPIEGAZIONI DEL COMPORTAMENTO Nei quotidiano troviamo spiegazioni sul comportamento umano corredate da disegni, foto e sezioni del cervello. Queste illustrazioni mostrano una parte della nostra materia grigia che si attiva quando si pensa a qualcosa o si pianifica un’azione. Ci viene detto che quel modo di agire dipende dal funzionamento di determinati neuroni e si parla di diverse discipline come: neuroeconomia, neuroestetica, neuroetica, neuropolitica e neuromarketing…. Negli anni ’50 del secolo scorso la fisica dominava il panorama scientifico. Fu allora che le altre scienze, cercarono di individuare il livello più elementare possibile. In contemporanea, ad imitazione dei fisici, si cercava di ingabbiare i saperi all’interno di modelli matematici. Si trattava di introdurre analisi formali a partire da descrizioni stilizzate di ogni fenomeno e vengono inventati modelli matematici non solo per rappresentare lo svolgersi di eventi naturali, ma anche comportamenti umani. Nel caso dell’azione degli individui, in compagnia o da soli, abbiamo un livello “basso” di descrizione di quello che succede, un livello che potremmo definire “materiale”. Questo livello non lo usiamo abitualmente. Nella vita quotidiana. Ma questo materiale può sembrare il più semplice, dato che corrisponde al funzionamento del nostro organismo, del nostro corpo. In questa prospettiva l’uomo, inteso come corpo, fa parte a pieno titolo della natura. Viene così legittimata la speranza che se si riuscisse ad analizzare in dettaglio il funzionamento di tutte le parti del corpo umano, avremmo una corrispondenza biunivoca tra quanto scoperto dagli psicologi sperimentali e quanto emerge dall’esame di meccanismi biologici elementari. Si potrebbe frantumare la complessità della vita quotidiana dietro le sue molteplici apparenze. Essa sarebbe riconducibile a una realtà sottostante, di natura biologica. la psicologia funzionerebbe come la fisica. In questa prospettiva la psicologia e le discipline sociali sarebbero “scienze provvisorie”. Un’altra questione è quella del lessico nella vita quotidiana , dove non ci si sbarazzerà di quella psicologia ingenua fatta delle descrizioni dei pensieri, dei desideri e dei bisogni. Un unico linguaggio, quello della fisica-chimica e della biologia, sarebbe la chiave per svelare i meccanismi di tutti i fenomeni conosciuti nell’universo, dal moto dei corpi celesti alle particelle elementari, dal naturale al sociale. Quest’utopia in pratica però non funziona. L’uomo non ha prodotto sè stesso, è stato costruito, nel corso di un lavoro silenzioso e nascosto durato milioni di anni, dall’evoluzione naturale. E’ difficile quindi ricostruire a posteriori la sua storia naturale, andando a ritroso. E, in questi anni sono stati fatto passi in avanti grazie alle tecniche della biologia. Si è fatta spazio, nell’immaginario collettivo, l’idea di uomo come macchina, cioè della centralità del corpo, perché i corpi sono costruiti nei modi più diversi e possono amare e amarsi. Che cosa sono i processi mentali, come funzionano e dove sono collocati? Se si vuole studiare un qualsiasi processo mentale, si deve saper dire che cosa si esamina, come funziona l’oggetto di studio e occorre cercare di localizzare i correlati neurofisiologici dell’attività mentale studiata. Quindi bisogna cercare di rispondere a tre domande: che cosa, come e dove. La classica utopia della riduzione della mente al funzionamento del cervello si è riaffacciata. E è più di una semplice moda, è un reale progresso. Nel 700 Julien Offray de La Mettrie consiste nel concepire l’uomo e gli animali come delle macchine naturali. L’ambizione “macchinista” e “materialista” appare plausibile perché per il buonsenso ci sono due possibilità. Cartesio dice che la mente umana è fatta di una sostanza diversa da quella del cervello. Si può anche supporre che in corrispondenza di ogni attività mentale c’è qualcosa che cambia dentro al cervello o dentro il resto del corpo. uomo come macchina materiale. Se si accetta l’ipotesi di La Mettrie c’è il problema della localizzazione delle attività mentali, mentre con l’ipotesi di Cartesio questo problema non si pone. Oggi gli psicologi credono all’ipotesi di La Mettrie. Gli psicologi continuano ad esplorare il comportamento animale a livello fenomenico e sperimentale. Si accontentano di studiare a 5 livello “superiore” quello in cui manifestano, in modo diretto o indiretto, emozioni, ricordi, azioni, scelte, decisioni o indecisioni. Ma il “come se” è stato teorizzato dagli economisti. Esaminano il comportamento supponendo che le azioni umane manifestano ciò che si chiama “preferenze rivelate”. Cono preferenze che esprimono i nostri gusti e che corrispondono in teoria a qualcosa che succede nella testa. Gli psicologi che studiano il comportamento aggregato (comportamento di più persone), criticavano la piega che prendevano gli eventi. Un esempio è Francesca Emiliani, una psicologa sociale, che attribuisce al contagio con le “scienze dure” una descrizione caricaturale del comportamento umano, che porta poi ai riduzionismi “neuro”. Deena Skolnick Weisberg e altri scienziati come Frank Keil, sono gli autori di una ricerca ingegnosa. Lo scopo è accertare se un’eventuale predilezione per le spiegazioni “neuro” affondi le radici nei modi di rappresentarsi il mondo da parte del grande pubblico. Gli studiosi di Yale si sono chiesti se spiegazioni del comportamento umano, alcune errate e altre corrette, sarebbero parse più credibili qualora fossero state integrate con alcune informazioni di tipo “neuro”. Per controllare questa ipotesi hanno costruito descrizioni di un qualche meccanismo psicologico e le hanno arricchite con questo tipo di informazione. Poi hanno confrontato l’impressione che faceva l’arricchimento in termini di localizzazione cerebrale rispetto a spiegazioni identiche in assenza di tale arricchimento. Consideriamo, ad esempio, quel tipo di fenomeno psicologico che è stato chiamato “la maledizione della conoscenza”. Si tratta della tendenza a sovrastimare quanto una certa informazione sia diffusa presso gli altri se noi stessi la conosciamo. Siamo condannati a proiettare sugli altri le nostre conoscenze e questo finisce per renderci egocentrici. Le risposte delle persone circa le conoscenze altrui sono influenzate dalla loro personale conoscenza di quel fatto. Se sappiamo qualcosa si tende a dire che anche gli altri la sanno, con una percentuale eccessiva. Sono stati costruiti quattro tipi di spiegazioni: 1. SPIEGAZIONE CORRETTA SENZA INFORMAZIONI “NEURO”: le persone hanno difficoltà a cambiare punto di vista per prendere in considerazione quello che un altro potrebbe sapere. Le persone proiettano erroneamente le proprie conoscenze su quelle altrui. 2. SPIEGAZIONE SBAGLIATA SENZA INFORMAZIONI “NEURO”: le persone fanno più sbagli quando devono giudicare le conoscenze degli altri. Le persone sanno infatti valutare molto meglio quello che loro stesse conoscono. 3. SPIEGAZIONE CORRETTA CON INFORMAZIONI “NEURO”: è risaputo che i lobi frontali del cervello sono quelli coinvolti nella autoconoscenza. Le persone hanno difficoltà a cambiare punto di vista per prendere in considerazione quello che un altro potrebbe sapere. Le persone proiettano erroneamente le proprie conoscenze su quelle altrui. 4. SPIEGAZIONE SBAGLIATA CON INFORMAZIONI “NEURO”: è risaputo che i lobi frontali del cervello sono quelli coinvolti nella autoconoscenza. Le persone fanno più sbagli quando devono giudicare le conoscenze degli altri. Le persone sanno infatti valutare molto meglio quello che loro stesse conoscono. L’aggiunta dell’informazione “neuro” è stata sempre fatta specificando che era già noto come quella specifica area del cervello sia coinvolta in quel tipo di compito. Quindi l’aggiunta dell’informazione “neuro era uguale sia per la spiegazione corretta, sia per quella sbagliata. I partecipanti dovevano dare un punteggio alle spiegazioni usando una scala a sette posizioni (in cui 0 è il punto neutro). Non ci sono differenze tra uomini e donne, e neanche tra i 18 effetti psicologici usati. Dunque: • alle persone viene presentata la descrizione di un fenomeno psicologico accertato sperimentalmente e noto in letteratura; • poi, per spiegare tale fenomeno, ci si limita a una semplice riformulazione della sua descrizione; • infine si aggiunge la localizzazione cerebrale del fenomeno stesso. Ecco che si ottiene una spiegazione soddisfacente, nel senso che la semplice riformulazione del fenomeno iniziale diventa così convincente, almeno per i non addetti ai lavori. Gli studiosi di Yale si sono domandati che cosa sarebbe successo se il campione interrogato fosse stato composto da studenti frequentanti un corso introduttivo di neuroscienze: i risultati non sono cambiati. 6 Deena Weisberg si sono rivolti allora a 48 esperti, persone che avevano terminato la loro formazione in neuroscienza. Gli esperti hanno saputo distinguere le spiegazioni giuste da quelle sbagliate, indipendentemente dall’aggiunta dell’informazione “neuro”. Per non farsi ingannare bisogna quindi essere davvero esperti, mentre tutti gli altri l’aggiunta dell’informazione “neuro”, di per sé è corretta, e questo fa la differenza. La spiegazione sbagliata diventa credibile grazie all’arricchimento “neuro” che ha, un potere salvifico. Quindi l’informazione neuro è un valore aggiunto che rende credibile qualcosa di fasullo. Questo risultato fa molto riflettere: quando discutiamo su temi eticamente delicati, dare una giustificazione biologica può trasformare in convincente quello che di per sé non lo sarebbe. In conclusione, si è inclini ad accettare una sorta di supremazia “medico-biologica” nella rappresentazione dei fenomeni psicologici. Con il risultato dell’esperimento degli studiosi di Yale si può concludere che si è inclini ad accettare una sorta di supremazia “medico-biologica” nella rappresentazione dei fenomeni psicologici. L’esperimento condotto dagli studiosi di Yale è sottile nel mostrare la forza argomentativa delle localizzazioni cerebrali. E’ come se evocare una parte del corpo interessata ad una condizione psicologica prevalesse sulla descrizione di quella stessa condizione (questo trucco funziona solo per gli inesperti). L’11 novembre 2007 nel “New York Times” è uscito un articolo dal titolo “Questo è il tuo cervello sooto l’influenza della politica” è stato descritto l’esperimento di Marco Iacoboni , sono stati presi 20 volontari che hanno dichiarato di non sapere chi avrebbero votato per le successive elezioni presidenziali statunitensi. A questi volontari è stata mappata un’area celebrale mentre guardavano parole (come democratico, repubblicano…), foto di candidati, e estratti di video dei loro discorsi. Sono emerse molte critiche a questo articolo. In particolare Poldrack ha criticato il fatto che si potesse interferire su particolari stati mentali dell’attivazione di specifiche aree del cervello. Mentre Phelps afferma che è vero che uno stato ansioso coinvolge l’amigdala, ma che vale anche per odori intensi, immagini eccitanti…. Il nodo scientifico in gioco è la dimostrazione della forza della connessione “stato cerebrale- stato mentale”. Iacoboni sostiene che è corretto usare questo collegamento in termini probabilistici, punto su cui Poldrack concorda in linea di principio. E tuttavia Poldrack gli obietta che i dati sulle probabilità non sono a tutt’oggi decisivi e non indicano corrispondenze biunivoche. Le illustrazioni che accompagnano questa divulgazione, sono sempre sezion del cervello e stupiscono perché per millenni il cervello è stato un oggetto misterioso. Questi scenari mediatici ci rendono partecipi di una sorta postmoderna di Wunderkammer, le camere delle meraviglie, antenate dei nostri musei e di tante opere d’arte contemporanee. La loro diffusione si ebbe in Europa fino al 700, era favorito l’amore per le curiosità scientifiche. Le Wunderkammer erano ricche di naturalia, cioè esemplari forniti dalla natura (es. animali con due teste). Ci sono due aspetti da tenere però separati. Da un lato abbiamo la serietà scientifica di una tecnologia di per sé accompagnata da aspetti stupefacenti, grazie ai suoi aspetti innovativi e di rottura con la tradizione precedente, come nel caso della fMRI. Dall’altro lato, il fascino e lo stupore che ne permettono un uso disinvolto e fuorviante in chiave mariniana: “è del poeta il fin la meraviglia”. Il rapporto figura-sfondo è una delle leggi più generali della psicologia. Quando una parte del corpo assume importanza, e diventa figura, tutto il resto viene lasciato sullo sfondo. L’attività rilevata con lo scanner ci convince di aver visto qualcosa di cui non siamo consapevoli, che va al di là della nostra coscienza. E’ qui che trae origine e si radica l’effetto meraviglia che innesca la Wunderkammer mediatica. L’altro punto importante della questione è la possibilità di una spiegazione semplice, diretta, apparentemente scientifica, di fenomeni complessi. Una volta propagandata la scoperta di una connessione biunivoca tra uno stato mentale e un’attivazione del cervello sembra che il fenomeno sia stato svelato e il problema risolto. Le spiegazioni monocausali, dove un effetto è dovuto a una sola causa, sono infatti quelle più efficaci e credibili. Il confine tra la divulgazione a effetto e la ricerca seria non è però netto e chiaro. Questa vaghezza è la consapevolezza più pericolosa di una divulgazione scientifica azzardata. Su questa vaghezza si basa la nascita di nuove presunte discipline, dove l’antico si rinnova grazie al primo elemento “neuro”, generando campi di studio nuovi, o presunti tali. Si è diffusa l’idea che l’uomo si sia evoluto in 7
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