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neuropsichiatria completo, Dispense di Neuropsichiatria infantile

Il documento "NEUROPSICHIATRIA COMPLETO" tratta vari argomenti relativi alla neuropsichiatria, includendo la terminologia medica fondamentale, lo sviluppo neurologico, le malformazioni del sistema nervoso, le crisi epilettiche e le sindromi ad esse associate, oltre ai disturbi del movimento.

Tipologia: Dispense

2023/2024

In vendita dal 29/06/2024

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Scarica neuropsichiatria completo e più Dispense in PDF di Neuropsichiatria infantile solo su Docsity! TERMINI DA CONOSCERE PER ESPRIMERSI BENE: ANAMNESI: L'anamnesi è una raccolta di informazioni sullo stato di salute passato e attuale di un paziente, compresi i suoi sintomi, la sua storia medica, i farmaci e gli interventi precedenti, le abitudini di vita e la storia familiare. L'anamnesi è una parte importante dell'esame medico, poiché fornisce al medico informazioni essenziali per effettuare una diagnosi accurata e prescrivere un trattamento appropriato. EPIDEMIOLOGIA: Questa disciplina si concentra sull'analisi di come le malattie si diffondono, come si sviluppano e come possono essere prevenute o controllate. EZIOLOGIA: "Eziologia" è un termine utilizzato in medicina per descrivere la causa o le cause di una malattia o di un disturbo. PROTUSIONE E PROTUSIONE: "Protusione" e "protrusione" sono due termini che spesso vengono usati in medicina per descrivere la sporgenza di una parte anatomica rispetto alla sua posizione normale. Il termine "protusione" si riferisce ad una sporgenza di una parte anatomica in modo simile ad una gobba o una deformità; Il termine "protrusione", invece, si riferisce ad una sporgenza più lieve e graduale, in cui una parte anatomica si sposta al di fuori della sua posizione normale, ma senza causare una deformità visibile. NEUROPSICHIATRIA PRIMO BLOCCO DI SLIDE: SVILUPPO NEUROLOGICO: ORIGINE DEL SISTEMA NERVOSO CENTRALE Lo sviluppo neurologico, quindi la proliferazione neuronale e la capacità di creare e modificare le connessioni neuronali, è un processo complesso che inizia con la formazione del sistema nervoso durante lo sviluppo embrionale e prosegue attraverso l'infanzia, l'adolescenza e l'età adulta. Ci sono molteplici fattori che influenzano lo sviluppo del cervello sia di natura intrinseca che di natura estrinseca, rispettivamente il genotipo e l’ambiente. Grazie al contributo della ricerca neurobiologica sappiamo che l’individuo quando interagisce con l’ambiente modifica la sua struttura neurale. In particolare, Greenough e Black hanno dimostrato che la stimolazione sensoriale positiva, come l'esposizione a nuove esperienze, la sfida cognitiva e l'esercizio fisico, può promuovere la formazione di nuove sinapsi e migliorare la plasticità cerebrale. In uno studio del 1992, Greenough e colleghi hanno dimostrato che i topi che vivevano in un ambiente arricchito con giocattoli, tunnel, gabbie a più livelli e altri stimoli sensoriali avevano un aumento significativo del numero di sinapsi nell'ippocampo, una regione cerebrale importante per la memoria. Due tipi di esperienze, legati al rapporto con l’ambiente, ci forniscono l’importanza che questo ricopre nello sviluppo: l’experience expectant si riferisce alle esperienze che il cervello si aspetta di avere durante lo sviluppo. Ad esempio, il cervello umano si aspetta di avere esperienze di linguaggio ed è organizzato per elaborare la lingua. In assenza di queste esperienze, il cervello può non sviluppare in modo appropriato e possono verificarsi problemi di sviluppo; l'experience dependent, invece, si riferisce alle esperienze che sono specifiche di un individuo e che possono variare in base all'ambiente in cui vive. Queste esperienze modellano la connessione tra i neuroni nel cervello e la plasticità cerebrale, e possono influenzare l'organizzazione del cervello in modo unico. Ad esempio, se un individuo impara a suonare uno strumento musicale, il cervello si modella in modo da elaborare la musica in modo più efficace, con un aumento delle connessioni tra le regioni cerebrali coinvolte nell'elaborazione musicale. Sappiamo, quindi, che vi sono fattori ambientali che influenzano i fattori biologici, come l’esperienza e la pratica realizzate in un ambiente adatto; e fattori biologici che influenzano il rapporto con l’ambiente e quindi l’esperienza stessa. Quest’ultimo avviene attraverso 3 correlazioni genotipo- ambiente: una correlazione passiva che riguarda la trasmissione dei fattori genetici e l’influenza dei genitori sull’ambiente di sviluppo, una correlazione reattiva/evocativa legate alle caratteristiche fisiche e caratteriali del bambino (dotazione genetica) che suscitano alcune reazioni piuttosto che altre nelle persone intorno, una correlazione attiva/associativa con la quale l’individuo seleziona l’ambiente in base al suo temperamento o alle sue predisposizioni. Ancora, sui processi con cui il cervello elabora le informazioni non possiamo non descrivere il processo di bottom-up e top-down. Il processo bottom-up implica l'elaborazione delle informazioni sensoriali in entrata, come i suoni, le immagini e le sensazioni fisiche. Queste informazioni vengono elaborati dalle regioni sensoriali primarie del cervello, come la corteccia visiva, uditiva e somatosensoriale. Il processo top-down, invece, implica l'elaborazione delle informazioni a partire dalle conoscenze e dalle aspettative pregresse. In questo processo, le regioni cerebrali superiori, come la corteccia prefrontale, modellano l'elaborazione delle informazioni sensoriali in base alle conoscenze pregresse e alle aspettative dell'individuo. Abbiamo già detto che lo sviluppo neurale avviene in fase embrionale, esattamente durante l’embriogenesi, con l’induzione neuronale, cioè un processo attraverso il quale le cellule non neurali vengono indotte a cellule neurali, guidate da una comunicazione reciproca. Questo processo comincia con la formazione del tubo neurale per poi proseguire con la neurogenesi. Nello specifico: Formazione del tubo neurale: Il tubo neurale è una struttura cilindrica che si forma durante la terza settimana di sviluppo embrionale e dà origine al sistema nervoso centrale. Questa fase è determinata da una serie di segnali molecolari che regolano la chiusura e la fusione delle pieghe neurali, in particolare, le cellule della notocorda (un'importante struttura di sostegno dorsale dell'embrione) e dell'endoderma rilasciano segnali molecolari che inducono l'ectoderma a diventare tessuto neurale; a questo punto le cellule dell’ectoderma si accavallano per formare il solco neurale, questo poi si ripiega su sé stesso fino a formare il tubo neurale. La sua organizzazione è complessa e coinvolge la differenziazione di varie regioni cerebrali, tra cui il prosencefalo che è la parte anteriore del tubo, si divide in telencefalo che dà origine alla corteccia cerebrale, alle strutture sottocorticali come il sistema Meynert e al sistema limbico, e diencefalo che dà origine al talamo, all’ipotalamo, alla ghiandola pineale e alla ghiandola pituitaria. Poi vi è il mesencefalo che è la regione intermedia del tubo neurale e regola i movimenti oculari e il movimento volontario. E il rombencefalo che è la regione più posteriore e si differenzia in metencefalo che dà origine al ponte e al cervelletto e mielencefalo che dà origine al midollo allungato. A questo punto inizia la neurogenesi con alcune fasi specifiche: Proliferazione neurale: Dopo la formazione del tubo neurale, le cellule neurali cominciano a proliferare, cioè a dividersi e a generare nuove cellule neurali. Questo processo è essenziale per generare il numero corretto di cellule neurali necessarie per la formazione del cervello e del midollo spinale. Tuttavia, in alcuni casi, la proliferazione neurale può essere deficitaria, causando una riduzione del numero di cellule neurali generate durante lo sviluppo del sistema nervoso. Questo può causare una serie di problemi di sviluppo e malattie neurologiche, tra cui: le macrocefalie, le emimegacefalie e le microcefalie. Migrazione: Le cellule neurali che si sono generate durante la fase di proliferazione cominciano a migrare verso le loro posizioni finali nel cervello. Questa fase è guidata dalla presenza di segnali chimici che indicano alle cellule neurali dove andare e come differenziarsi. Anche in questa fase, in alcuni casi, la migrazione può essere deficitaria, causando una serie di problemi di sviluppo e malattie neurologiche, tra cui: le lissencefalie e le pachigirie. sono le funzioni cerebrali che guidano l'attenzione e l'azione verso un obiettivo specifico. I controller, invece, sono le funzioni cerebrali che regolano l'attività dei driver, garantendo che l'azione sia coerente con l'obiettivo. Ad esempio, quando si impara a suonare uno strumento musicale, le funzioni cerebrali responsabili della percezione uditiva, della memoria e del movimento vengono coinvolte. L'esperienza e l'uso regolare di queste funzioni cerebrali possono rafforzare le connessioni neuronali che le sostengono, migliorando l'abilità nel suonare lo strumento. Allo stesso tempo, l'attività dei driver e dei controller può essere regolata per perseguire l'obiettivo di migliorare le proprie abilità musicali. A questo punto possiamo affermare con certezza che il sistema educativo in cui il soggetto è inserito deve favorire a pieno lo sviluppo delle capacità di controllo, cioè deve fornire gli stimoli adatti ad inibire i comportamenti volti al solo soddisfacimento degli impulsi (drive) a favore di una piena strutturazione dei controller a livello della corteccia prefrontale- che è deputata al controllo delle funzioni esecutive e conclude tardivamente il proprio percorso maturativo attorno ai 20 anni di vita. Le FUNZIONI ESECUTIVE sono un insieme di processi cognitivi che permettono di pianificare, organizzare, regolare e monitorare il proprio comportamento per raggiungere un obiettivo. Queste funzioni sono multidimensionali e includono diverse componenti, tra cui la dimensione cognitiva, socioaffettiva e il controllo delle azioni. La dimensione cognitiva si riferisce alla capacità di processare e manipolare informazioni, come la memoria di lavoro, l'attenzione selettiva e la flessibilità cognitiva. La dimensione socioaffettiva si riferisce alla capacità di regolare le emozioni, le motivazioni e le relazioni sociali. Infine, il controllo delle azioni si riferisce alla capacità di inibire risposte automatiche, di pianificare azioni complesse e di monitorare l'esecuzione del comportamento. Sono fondamentali per l'adattamento dell'uomo all'ambiente, perché permettono di gestire efficacemente le sfide e le opportunità che si presentano nella vita quotidiana. Nelle slide è presente un immagine perfettamente esplicativa di come le funzioni esecutive siano più o meno sviluppate in un cervello che sia non ancora maturo fino ad uno più maturo, a partire da un cervello di 5 anni dove la corteccia prefrontale dorso-laterale -quindi quella deputata alla funzioni esecutive- è evidenziata in rosso-giallo (in una scala dove rosso-giallo è uguale a parti di cervello non ancora mature) fino ad un cervello di 20 anni con una corteccia prefrontale dorso-laterale evidenziata in blu/viola (indicatore di parti di cervello più mature). È importante sottolineare che vi sono regioni diverse della corteccia prefrontale ognuna deputata a specifiche funzioni esecutive, e sono: 1. La corteccia prefrontale dorsolaterale: Questa regione è coinvolta nella pianificazione e nell'organizzazione delle attività, nella memoria di lavoro e nella flessibilità cognitiva. Inoltre, è coinvolta nella regolazione delle emozioni e nella gestione dello stress. 2. La corteccia prefrontale ventrolaterale: Questa regione è coinvolta nella regolazione delle emozioni, nella presa di decisioni e nella valutazione delle ricompense e dei rischi. Inoltre, è coinvolta nella comprensione delle relazioni sociali e nella regolazione del comportamento sociale. 3. La corteccia orbitofrontale: Questa regione è coinvolta nella valutazione delle conseguenze delle azioni, nella regolazione delle emozioni e nella comprensione delle relazioni sociali. Inoltre, è coinvolta nella regolazione dell'impulso e nel controllo degli appetiti. 4. La corteccia cingolata anteriore: Questa regione è coinvolta nella regolazione delle attenzioni, nella valutazione delle informazioni e nella flessibilità cognitiva. 5. La corteccia prefrontale mediale: Questa regione è coinvolta nella comprensione del sé e degli altri, nella memoria autobiografica e nella flessibilità cognitiva. In conclusione, le regioni prefrontali controllano diversi processi cognitivi attraverso: il processo di top-down per quanto riguarda l’elaborazione delle informazioni sensoriali in base alle aspettative e alle conoscenze pregresse; l’attenzione selettiva per selezionare l’informazione rilevante e inibire quella irrilevante; l’attenzione divisa per poter eseguire più compiti contemporaneamente; la progettazione e la lungimiranza per operare in modo adeguato in base allo scopo da raggiungere; la pianificazione per selezionare la strategia migliore allo scopo; la flessibilità per adattare il proprio comportamento in base al contesto e l’astrazione per ragionare su elementi che compongono la realtà ma che non esistono (come immaginare cosa farebbe una cerva alla vista di un cacciatore); la memoria di lavoro per manipolare l’informazione. ATTENZIONE L'attenzione è un processo mentale fondamentale che consente di selezionare e concentrarsi su determinati stimoli e informazioni provenienti dall'ambiente, ignorando gli altri. È essenziale per regolare le attività dei processi mentali superiori, come la memoria, l'apprendimento, la percezione e il pensiero. Inoltre, l'attenzione svolge un ruolo importante nell'organizzazione delle informazioni, nella pianificazione delle azioni e nell'adattamento al cambiamento. Il livello attenzionale di base viene chiamato arousal, mentre per elaborare le informazioni in maniera flessibile in base alla propria fisiologia vi è: l’attenzione selettiva, quindi concentrarsi su una particolare fonte di informazione a discapito di altre, e l’attenzione divisa, cioè la capacità di prestare attenzione a più compiti contemporaneamente in maniera simultanea. MEMORIA Per quanto riguarda la memoria facciamo anzitutto distinzione in memoria a lungo termine (MLT) e memoria a breve termine (MBT). La MBT ha una durata di immagazzinamento di circa un minuto e necessita di un ulteriore processo di consolidamento affinché passi alla MLT. Gli studiosi Baddley e Hitch hanno introdotto il concetto di working memory (WM), cioè quel sistema, che trova la sua localizzazione nelle aree prefrontali e nella corteccia parietale ,per cui le informazioni non vengono solo conservate ma anche elaborate, manipolate e utilizzate per compiti cognitivi complessi come la comprensione del linguaggio, la risoluzione dei problemi o la pianificazione. Il viaggio che l’informazione percorre parte dalla MBT attraversa la WM e viene codificata nella MLT. Vi sono poi altre accezioni per definire la memoria, per esempio: la memoria dichiarativa, che riguarda il ricordo consapevole di fatti ed eventi; la memoria implicita, che non è consapevole e comprende processi di memorizzazione come il priming o il condizionamento classico. Un altro studioso che ha contribuito a definire la memoria è Tulving che distingue una memoria semantica, con contenuti astratti indipendenti da fattori di contesto, e una memoria episodica che riguarda la conservazione di informazioni con una precisa connotazione spazio-temporale, l’elaborazione di quest’ultima ha sede nell’ippocampo. La codifica dei contenuti di memoria, in generale, avviene sia in aree del sistema limbico sia nelle aree delle strutture prefrontali. EMOZIONE Le emozioni sembrano apparentemente un processo semplice che l’organismo attua in risposta a situazioni specifiche; in realtà tutti i sentimenti e le modificazioni fisiologiche in risposta a questi stimoli, che poi influiscono sul comportamento, sono regolate da 5 componenti: la componente cognitiva, che permette di valutare ed elaborare il significato emotivo dello stimolo; la componente neurofisiologica, evidenzia il circuito neuro-anatomico delle emozioni che vede interconnesse la via sottocorticale del sistema limbico (amigdala, ippocampo, nuclei di talamo) e una via corticale (la corteccia orbitofrontale); la componente motivazionale, cioè i bisogni e gli scopi legati all’emozione; la componente motoria; la componente soggettiva, quindi il vissuto cosciente e il monitoraggio consapevole dell’esperienza emotiva. LE FUNZIONI STRUMENTALI Per quanto riguarda il linguaggio le sue diverse componenti sono: la proprietà espressiva, come mezzo per segnalare stati d’animo o intenzioni; la proprietà evocativa, come mezzo per influenzare il ricevente (ad es. il pianto del neonato); la proprietà rappresentativa, come mezzo di comunicazione; il pensiero astratto, fondamentale per la comprensione di concetti astratti come il tempo, lo spazio, la matematica, la moralità e la logica; la proprietà intraindividuale, si riferisce all'idea che ogni individuo possiede e controlla il proprio uso del linguaggio come mezzo per comunicare con gli altri. Ciò significa che ognuno ha il diritto di scegliere come esprimere se stesso. PRASSIA GESTUALE Con il termine “prassia gestuale” si intende lo sviluppo della coordinazione e quello della gestualità nell’ambito dell’apprendimento motorio. Il termine aprassia indica il suo opposto, quindi l’incapacità di eseguire un movimento volontario, o anomalie motorie che riguardano la programmazione, l’organizzazione, la sequenzialità e l’armonia del movimento stesso. Gli studi di neuroanatomia hanno identificato nella corteccia temporo-parietale sinistra l’intenzione al movimento, nella corteccia motoria l’esecuzione dei movimenti con coinvolgimento del corpo calloso per gli atti motori controlaterali. La fluidità e la destrezza dei movimenti è invece possibile grazie al coinvolgimento della corteccia frontale premotoria di sinistra. ABILITÁ VISUO-SPAZIALI Le abilità visuo-spaziali permettono di percepire e interagire con l’ambiente esterno, perché consentono attraverso operazioni mentali complesse fondate sia su coordinate spaziali che su semplici rappresentazioni mentali di analizzare le relazioni spaziali. Le persone con lesioni posteriori parieto-occipitali o frontali riportano deficit delle abilità visuo-spaziali e talvolta deficit di programmazione dei movimenti. ABILITÁ DI CALCOLO Le abilità di calcolo sono classificate come capacità multifattoriale perché comprendono diverse funzioni come le capacità verbali, spaziali, di memoria e le abilità di esecuzione. Il coinvolgimento di queste diverse funzioni cognitive permette di parlare di organizzazione modulare del sistema di calcolo a livello cerebrale. Esistono alcune possibilità in cui si verifica la perdita della capacità di calcolo, spesso derivanti da una patologia cerebrale, queste sono note come acalculia o discalculia acquisita. SECONDO BLOCCO DI SLIDE: LE MALFORMAZIONI DEL SISTEMA NERVOSO Durante lo sviluppo embrionale e fetale del cervello possono verificarsi delle anomalie, dovute a fattori genetici ma anche ambientali, che sono responsabili della maggior parte dei casi di aborto spontaneo. Queste anomalie sono delle vere e proprie malformazioni del sistema nervoso ed in base alla zona colpita si dividono in: anomalie nella chiusura del tubo neurale (3^/4^ settimana di gestazione), disturbi nella induzione ventrale (si realizzano precocemente), disturbi dello sviluppo corticale (dal terzo mese di gestazione in poi), malformazioni del cervelletto, malattie neurocutanee. Ognuna di queste anomalie è responsabile di specifiche malformazioni. Le anomalie nella chiusura del tubo neurale sono responsabili di: Anencefalia che consiste nell’assenza completa o parziale dell’encefalo, interessa 1 gravidanza su 1000 con un’incidenza in diminuzione grazie alla diagnosi prenatale, le sue cause non sono ben note ma è stata messa in relazione con il difetto di acido folico, il diabete insulino-dipendente ed alcuni farmaci antiepilettici. Solo il 14% dei bambini sopravvive dopo la nascita. Cefalocele che possono essere sia encefaliche che meningee, si parla rispettivamente di encefalocele e Nella cultura babilonese, l'epilessia era associata ai demoni e si credeva che solo i sacerdoti più potenti potessero curarla. In Cina, l'epilessia era considerata una malattia dello spirito e si credeva che fosse causata da uno squilibrio di energia vitale all'interno del corpo. Nell'antico Egitto, l'epilessia era associata a una particolare divinità e si credeva che solo i sacerdoti potessero curarla tramite rituali e incantesimi. Nel corso dei secoli, le opinioni sull'epilessia sono cambiate e la scienza ha iniziato a comprendere meglio questa condizione; grazie ai contributi delle neuroscienze oggi possiamo identificare l'epilessia come una malattia cerebrale. Vi sono delle condizioni specifiche che definiscono l’epilessia, come: la presenza di almeno 2 crisi non provocate (o riflesse) separate da minimo 24 ore; oppure, due crisi non provocate che si verificano entro i successivi 10 anni con una probabilità che si ripetano superiore al 60% (che è il tasso di recidiva generale per questa condizione), quindi in altre parole, c'è un'alta probabilità che la persona soffra di ulteriori crisi epilettiche in futuro; una diagnosi di sindrome epilettica. La sua scomparsa, o risoluzione, può dirsi sicura nelle persone che non hanno una crisi per almeno 10 anni, 5 dei quali senza terapia, oppure per quelle persone che hanno sofferto di crisi epilettiche legate all’età (età dipendente) e hanno raggiunto l’età in cui questa forma di epilessia si risolve, senza aver avuto ulteriori crisi. Diagnosticare l’epilessia comporta una serie di sintomi e segni che insieme definiscono il disturbo clinico, che risulta distinto e riconoscibile. Spesso si ricorre a trattamento farmacologico, a valutazioni genetiche, neurofisiologiche e neuropsicologiche. In sostanza la diagnosi funziona così: si inizia con l’anamnesi, quindi il medico farà una serie di domande sui sintomi, la storia medica e la storia familiare della persona per identificare eventuali fattori di rischio per l'epilessia; poi si esegue un esame fisico, con il quale il medico esaminerà la persona per identificare eventuali segni di epilessia o altre condizioni mediche che potrebbero causare sintomi simili; si eseguono i test neurologici con i quali il medico verificherà la funzione del cervello, tra cui la valutazione della forza muscolare, della coordinazione e della sensibilità; si esegue il TEST EEG (elettroencefalogramma) grazie al quale verrà registrata l'attività elettrica del cervello. Questo test aiuta a identificare eventuali anomalie nell'attività cerebrale che potrebbero essere associate all'epilessia, per capire meglio come funziona ci soffermiamo sulle sue modalità di diagnostica. La registrazione dell’attività elettrica avviene per mezzo dell’EEG standard durante la quale una serie di elettrodi di superficie vengono posti sullo scalpo, in maniera standardizzata e legati tra di loro da montaggi variabili. Durante l’EEG standard vengono effettuate delle prove d’attivazione che comprendono l’introduzione di uno stimolo specifico per attivare l’attività cerebrale e osservare la risposta; queste prove d’attivazione possono includere la stimolazione luminosa, la stimolazione sonora o la somministrazione di un farmaco specifico. Viene anche effettuata la diagnostica e la classificazione degli episodi critici attraverso i video EEG con i quali si possono osservare i sintomi della persona durante l’epilessia e registrare l’attività cerebrale allo stesso tempo. Ad esempio, se una persona ha un'epilessia che causa convulsioni, i video EEG possono aiutare a identificare la fonte precisa dell'episodio e a classificare la forma di epilessia. Questo tipo di informazione è importante per determinare il trattamento più appropriato per la persona. Proseguendo con gli esami diagnostici potrebbe essere necessario un esame di imaging cerebrale, come una risonanza magnetica o una tomografia computerizzata, per visualizzare l'interno del cervello e identificare eventuali anomalie o danni cerebrali. Infine, si fa un confronto con i criteri diagnostici, quindi i risultati di tutti i test e le informazioni raccolte durante l'anamnesi verranno confrontati con i criteri diagnostici per l'epilessia per determinare se la persona soddisfa i criteri per la diagnosi di epilessia. Possiamo comunque asserire che a causa delle diagnosi variabili, delle variazioni della metodologia e dei criteri di inclusione i dati epidemiologici sull’epilessia sono piuttosto imprecisi; sappiamo che può comparire in qualsiasi momento della vita, con un picco d’incidenza nell’infanzia e nella terza età. Prima di elencare tutte le tipologie di crisi epilettiche, ognuna con le loro specifiche caratteristiche, diciamo che la maggior parte delle crisi si genera nelle strutture corticali e ippocampali, ma in alcuni casi sono coinvolte anche le strutture sottocorticali; sappiamo comunque che la crisi epilettica è il risultante di una scarica eccessiva in una popolazione di neuroni ipereccitabili che si propaga attraverso circuiti sia normali che patologici. Se dovessimo spiegare il meccanismo della scarica epilettica potremmo iniziare col dire che, normalmente, le cellule nervose comunicano tra loro tramite impulsi elettrici, questi impulsi sono regolati dall’apertura e dalla chiusura di canali ionici specifici presenti nella membrana cellulare; nelle persone con epilessia, c’è un’anomalia nell’apertura e nella chiusura di questi canali ionici, che porta a una scarica anormale di attività elettrica dovuta a un accumulo anormale di ioni all’interno della cellula nervosa, che fa propagare in modo incontrollato nel cervello una serie di segnali elettrici, che portano la crisi epilettica. Nello specifico, il flusso di ioni è controllato dalla membrana cellulare che come una barriera circonda la cellula nervosa, ed in alcuni casi sui fattori della membrana influiscono le anomalie dei canali ionici che causano un accumulo anormale di ioni. Altri fattori che implicati nella comparsa delle crisi epilettiche sono i fattori sinaptici come il GABA e il glutammato, il primo è un neurotrasmettitore inibitorio che aiuta a ridurre l’attività elettrica nei neuroni e mantiene l’equilibrio, il secondo è un neurotrasmettitore eccitatorio che aumenta l’attività elettrica nei neuroni. Nelle persone con epilessia vi è un’anomalia nella trasmissione di entrambi i fattori sinaptici. LA CLASSIFICAZIONE DELLE CRISI La classificazione delle crisi epilettiche dell'International League Against Epilepsy (ILAE) distingue tra due tipi principali di crisi epilettiche: crisi generalizzate e crisi parziali (o focali). Le crisi generalizzate, si originano in un punto e coinvolgono rapidamente entrambi i lati del cervello, sono caratterizzate da una perdita di coscienza e da convulsioni che coinvolgono tutto il corpo. Di queste crisi ne distinguiamo alcune tipologie: assenze tipiche, assenze atipiche, crisi miocloniche, crisi toniche, crisi atoniche e crisi tonico-cloniche. Le crisi parziali (o focali), interessano solo una parte del cervello e possono essere distintamente localizzate o più estese, sono caratterizzate da una perdita parziale o completa della coscienza e da sintomi che variano a seconda della parte del cervello colpita. Di queste crisi ne distinguiamo tre tipologie: crisi semplici, complesse e con generalizzazione secondaria. Prima di spiegare ad una ad una le tipologie di crisi, diamo la definizione ILAE dello stato di coscienza: definendo la COSCIENZA come lo stato mentale con aspetti sia soggettivi che oggettivi comprendente un senso di sé come entità unica, consapevolezza, reattività e memoria; la CONSAPEVOLEZZA come conoscenza di sé e dell’ambiente; la RESPONSIVITÁ come la capacità di reagire appropriatamente con movimenti o parole in seguito ad uno stimolo. È molto importante ricordare che la consapevolezza NON è un classificatore per le crisi generalizzate (che abbiamo detto si manifestano con turbe di consapevolezza o perdita di coscienza). Consapevolezza e responsività possono tuttavia essere (almeno in parte) preservate durante alcune crisi generalizzate (es. assenze o crisi miocloniche). A questo punto, iniziamo con il descrivere le tipologie di crisi. TRA LE CRISI GENERALIZZATE DISTINGUIAMO: Le assenze tipiche sono comunemente conosciute come "piccolo male" e sono tipiche nei bambini con epilessia generalizzata idiopatica. Durante un'assenza tipica, la persona interrompe temporaneamente ciò che sta facendo ed è abolita la responsività, diventa immobile e perde la coscienza per un breve periodo di tempo, solitamente tra i 30 e i 40 secondi. L’EEG risulta normale, e la prognosi è positiva. NEI BAMBINI si manifesta solitamente tra i 3 e i 10 anni, con un picco tra 4-6 anni, con amnesia totale e in seguito il soggetto riprende l’attività precedente. NEGLI ADOLESCENTI si manifestano assenze tipiche meno numerose e rare crisi tonico-cloniche. Le assenze atipiche durano più a lungo e possono essere accompagnate da sintomi di debolezza, movimenti incontrollati e confusione, vi è un’ipertonia evidente. L’EEG presenta anomalie e la prognosi è negativa. Le crisi miocloniche sono caratterizzate da contrazioni muscolari brevi e improvvisi, possono essere singole o multiple e possono interessare uno o più gruppi muscolari, quando sono molto intense possono provocare una caduta. L’insorgenza avviene a livello sottocorticale e sono tipiche nei soggetti con epilessie generalizzate idiopatiche, sia quella benigna dell’infanzia che quella giovanile. Le crisi toniche sono caratterizzate da una contrazione muscolare prolungata e incontrollabile. Queste crisi possono causare la persona a cadere o a svenire e possono essere associate a perdita di coscienza. Possono essere associate a altri tipi di crisi, come le crisi tonico-cloniche. Le crisi atoniche sono caratterizzate da una diminuzione od una abolizione del tono posturale, provocando una caduta o limitandosi a volte ad una semplice flessione del capo in avanti. Le crisi tonico-cloniche sono comunemente conosciute come grande male e sono caratterizzate da una perdita di coscienza, da un'immobilità seguita da una contrazione muscolare incontrollata e da una successiva fase di rilassamento muscolare. Queste crisi possono essere accompagnate da respiro affannoso, sudorazione eccessiva e incontinenza. Presentano tre fasi: •Fase tonica(contrazione dell’insieme della muscolatura scheletrica) con abolizione della coscienza. •Fase clonica con un rilasciamento intermittente della contrattura muscolare tonica che provoca delle contrazioni muscolari. •Fase post-critica. TRA LE CRISI PARZIALI (O FOCALI) DISTINGUIAMO: Le crisi parziali semplici sono caratterizzate da sintomi limitati a una parte del corpo, come formicolio, debolezza o movimenti incontrollati di una parte del corpo. La persona può mantenere la coscienza durante la crisi. Le crisi parziali complesse sono caratterizzate da una perdita completa o parziale della coscienza e da sintomi che possono includere allucinazioni, comportamenti automatici o movimenti incontrollati. Le crisi con generalizzazione secondaria iniziano come crisi parziali, ma successivamente si estendono a entrambi i lati del cervello e causano una perdita di coscienza e convulsioni che coinvolgono tutto il corpo. SINDROMI: Le sindromi rappresentano delle manifestazioni epilettiche non chiaramente classificabili come crisi di tipo generalizzato o focale dato che si caratterizzano dal punto di vista elettro-clinico per elementi che possono definire sia l’una che l’altra tipologia di evento. Le contrazioni muscolari sono in genere simmetriche e fino a 5 secondi di durata. Si distinguono spasmi in flessione, in estensione ed in flesso- estensione. L’epilessia mioclonica benigna dell’infanzia è molto rara, ed è stata descritta dagli studiosi Dravet e Bureau a cavallo tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli anni 80. È la forma più precoce di epilessia generalizzata idiopatica, le sue mioclonie vengono scatenate da contatto e rumore, può durare per 4-6 anni e circa il 30% dei pazienti riporta deficit neuropsicologici. L’epilessia mioclonica giovanile (SINDROME DI JANZ) si manifesta tra i 14-18 anni, le mioclonie sono presenti al mattino al risveglio e i soggetti sono sensibili alla deprivazione di sonno, solo nel 10% dei casi vi è farmacoresistenza. L’epilessia con mioclonie palpebrali ed assenze (SINDROME JEAVONS) ha la particolarità di colpire solo il sesso femminile con un esordio tra i 4-8 anni e si manifesta con mioclonie (spasmi) rapide delle palpebre, associate a brevi mioclonie in retroversione del collo e a breve rottura del contatto sviluppo. L’evoluzione va verso un’epilessia farmacoresistente e un deficit intellettivo. IL TRATTAMENTO INZIA DOPO LA SECONDA CRISI, IL TRATTAMENTO INIZIALE AVVIENE IN MONOTERAPIA E SI SCEGLIE IN BASE AL TIPO DI CRISI E ALLA SINDROME ELLETROCLINICA, IN BASE ALL’ETÁ E AL PESO, ALLA TOLLERANZA E ALLA COESISTENZA DI UN’ALTRA TERAPIA O MALATTIA. QUARTO BLOCCO SLIDE: (PRIMA PARTE) DISTURBI DEL MOVIMENTO: Per introdurre il tema del movimento facciamo subito una piccola premessa dicendo che per definirlo vi sono numerose definizioni, alcune di carattere scientifico altre se vogliamo di carattere filosofico. Viene definito come un ponte relazionale tra l’io e il mondo, è il paradigma del corpo nei confronti dello spirito, ma è anche espressione dei bisogni cognitivi. Noi sappiamo che il sistema motorio, che include cervello, midollo spinale e muscoli, è responsabile di controllare e coordinare i movimenti del corpo, in poche parole il movimento ha origine grazie all’interazione tra il sistema nervoso e il sistema muscolare. Il movimento coinvolge diversi aspetti funzionali ad esso, che sono: il tono muscolare, la postura, la coordinazione e la prassia. Il tono muscolare è l’attività primitiva e permanente del muscolo, potremmo definirlo come lo sfondo di ogni attività in quanto è importante per mantenere la postura, bilanciare il corpo e consentire i movimenti controllati e fluidi. Viene attivato dalle cellule nervose che innervano il muscolo, quindi si tratta di un riflesso segmentario spinale. La postura è la posizione del corpo nello spazio e la relazione tra le diverse parti del corpo. Corrisponde agli atteggiamenti individuali, soggettivi che sono dipendenti dalla personalità, lo stato d’animo, il sesso, l’età. Quando è presente una patologia che modifica il tono, di conseguenza, viene modificata anche la postura. La coordinazione si riferisce alla capacità di eseguire i movimenti fluidi e precisi, sincronizzando correttamente le diverse parti del corpo. Affinché la coordinazione sia adeguatamente espressa vengono coinvolti diversi sistemi come il cervelletto, il sistema sensitivo, l’apparato vestibolare e visivo e la corteccia (lobo parietale, lobo temporale, lobo frontale, corpo calloso). La prassia è la capacità di pianificare, organizzare ed eseguire movimenti volontari e complessi per raggiungere un obiettivo specifico. In neuropsichiatria, il movimento viene spesso esaminato in relazione a disturbi e condizioni che possono compromettere la normale funzione motoria. Alcuni di questi disturbi includono i disturbi della coordinazione, i disturbi del tono muscolare e i movimenti involontari patologici. Tra i DISTURBI DELLA COORDINAZIONE citiamo l’ATASSIA che può essere acuta -dovuta a intossicazioni, malattie infettive- cronica non progressiva -dovuta a malformazioni cerebrali, paralisi cerebrale- e cronica progressiva -come l’atassia di Freidreich, l’atrofia olivopontocerebellare, paraplegia spastica ereditaria, la sindrome di Rett, le sindromi metaboliche. Nello specifico la parola atassia deriva dalla parola greca taxis che significa ordine, l’alfa privativa indica “senza ordine”, dunque un disordine del grado, del ritmo, della velocità, dell’ampiezza e della direzione dei movimenti volontari (NON È UN DISTURBO INVOLONTARIO DEL MOVIMENTO). Si tratta di un’INTERRUZIONE DEL COORDINAMENTO, dovuta alla disfunzione del cervelletto o delle strutture sinaptiche connesse. Per riconoscere l’atassia si ricorre ad un esame clinico che comprende un controllo della postura e viene evidenziato un mancato controllo del tronco, l’andatura riporta anomalie della deambulazione, viene effettuata una valutazione dei movimenti involontari e volontari con risultato una scarsa coordinazione dei movimenti, viene controllata la coordinazione motoria con risultato difficoltà ad eseguire movimenti rapidi alternati, e viene esaminato il linguaggio. I segni clinici oltre all’andatura irregolare che riporta discordanza dei movimenti e deviazioni da un lato all’altro, è presente anche il segno di Romberg che sarebbe la tendenza a cadere in posizione eretta, e il segno dito-naso che consiste nel far toccare il naso ad occhi chiusi con l’indice di una mano e poi con l’altra. Vengono inoltre eseguite altre manovre semeiologiche come la prova tallone-ginocchio, il fenomeno del rimbalzo cioè l’incapacità di inibire un movimento, l’adiadococinesia quindi incapacità a praticare movimenti rapidi, simmetrici con ambedue gli arti, la dismetria presenta errori di movimenti nel valutare la distanza (troppo lunga o troppo corta). L’atassia della marcia può dipendere da un’alterazione cerebellare (con una marcia a base allargata, con braccia a bilanciere, progressione incerta, a zigzag, con lateropulsioni e possibili cadute), può essere cordonale posteriore ( con una marcia con lancio in avanti dell’arto inferiore, la quale peggiora nettamente ad occhi chiusi per la necessità del controllo visivo), può essere labirintica (con un’atassia più statica che dinamica con equilibrio statico instabile, a base allargata e lateropulsioni frequenti) e può essere cerebrale (con una marcia a passi piccoli). Le atassie, inoltre, possono essere da sindrome cerebellare sensitiva indicativa di compromissione dei nervi periferici spinali, con un disturbo della deambulazione e del movimento degli arti da perdita di stimoli propriocettivi, o da sindrome cerebellare mediana indicativa di diverse malattie metaboliche o sistemiche con un’andatura atassica e nistagmo, o da sindrome cerebellare laterale indicativa di lesioni cerebellari focali con atassia degli arti, dismetria, disartria e ipotonia. Tra i DISTURBI DEL TONO MUSCOLARE elenchiamo l’IPOTONIA, caratterizzata dalla riduzione del tono muscolare, cioè una diminuzione della tensione o resistenza dei muscoli allo stiramento passivo, i muscoli appaiono flaccidi e molli al tatto e le persone con ipotonia possono avere difficoltà a muoversi, mantenere la postura e svolgere attività che richiedono forza muscolare. Può osservarsi a riposo, durante i movimenti volontari o involontari e deriva da lesioni a carico di muscoli, nervi, midollo spinale, cervelletto, encefalo o un disturbo psichico. L'ipotonia può essere classificata in base alla sua origine in ipotonia centrale e ipotonia periferica. L'ipotonia centrale si verifica quando la causa della riduzione del tono muscolare è una disfunzione a livello del sistema nervoso centrale, che include il cervello e il midollo spinale. Questo tipo di ipotonia può essere associato a vari disturbi e condizioni, tra cui paralisi cerebrale, sindrome di Down, malattie metaboliche, infezioni del sistema nervoso centrale o lesioni cerebrali. L'ipotonia centrale può influenzare sia i neonati che gli adulti, a seconda della causa sottostante. L'ipotonia periferica si verifica quando la causa della riduzione del tono muscolare è una disfunzione a livello del sistema nervoso periferico, che include i nervi e i muscoli. Le cause dell'ipotonia periferica possono includere disturbi neuromuscolari come la distrofia muscolare, la miastenia grave o la neuropatia periferica. In questi casi, il problema sottostante riguarda spesso la trasmissione del segnale tra i nervi e i muscoli o la funzione dei muscoli stessi. L'ipotonia nella prima infanzia può avere molte cause, e stabilire una diagnosi differenziale è importante per determinare il trattamento appropriato e fornire le migliori possibilità di risultati positivi. Per esempio, alcune diagnosi di ipotonia nella prima infanzia includono l’ipotonia centrale, la lesione midollare spinale neonatale, le malattie motoneurone, le malattie a trasmissione neuromuscolare, le distrofie muscolari, le miopatie metaboliche. Vi è anche l’IPERTONIA, che al contrario è l’aumento del tono muscolare, cioè una maggiore resistenza dei muscoli allo stiramento passivo. In altre parole, i muscoli si contraggono eccessivamente e restano rigidi, anche quando non sono sollecitati attivamente. L'ipertonia può limitare il movimento, influenzare la postura e la coordinazione e causare dolore o disagio. L'ipertonia può essere classificata in base alle sue caratteristiche in due tipi principali: ipertonia rigida (o plastica) e ipertonia spastica. L'ipertonia rigida o plastica si riferisce a un aumento del tono muscolare che è costante e uniforme in tutto l'arco di movimento. La resistenza allo stiramento passivo dei muscoli è simile sia quando il movimento è lento che quando è veloce. Questo tipo di ipertonia è tipico delle malattie extrapiramidali, come la malattia di Parkinson. In queste condizioni, l'ipertonia rigida è causata da un malfunzionamento dei circuiti neuronali che coinvolgono i gangli della base e il talamo, responsabili della regolazione del movimento e del tono muscolare. L'ipertonia spastica è un tipo di ipertonia caratterizzato da un aumento del tono muscolare che varia in base alla velocità del movimento passivo. Nell'ipertonia spastica, la resistenza allo stiramento passivo dei muscoli aumenta con l'aumentare della velocità del movimento e diminuisce con il rallentamento del movimento. Questa forma di ipertonia è tipica delle lesioni del sistema nervoso centrale che coinvolgono il tratto corticospinale, come la sclerosi multipla, la paralisi cerebrale, un ictus o un trauma cranico. La spasticità è un sintomo comune dell'ipertonia spastica e si manifesta con contrazioni muscolari involontarie e persistenti. Queste contrazioni possono causare dolore, limitare la mobilità e influenzare la postura e la coordinazione. La spasticità può anche portare a deformità articolari e contratture muscolari se non trattata adeguatamente. I MOVIMENTI INVOLONTARI PATOLOGICI sono contrazioni muscolari incontrollate che si verificano a causa di una malattia o di una condizione anomala, infatti rappresentano la conseguenza di lesioni che possono interessare diverse strutture e attraversano percorsi patogenici estremamente diversi , se colpiscono l’encefalo portano paralisi cerebrali infantili o malattie metaboliche, il midollo spinale portano per esempio la spina bifida, il nervo portano neuropatie ereditarie, il muscolo portano la distrofia muscolare, sindromi miotoniche ecc... Possono essere classificati come intrinseci al muscolo o estrinseci al muscolo. I movimenti intrinseci al muscolo sono quelli causati da una disfunzione del muscolo stesso, in relazione a questi movimenti abbiamo descritto la fibrillazione, la fascicolazione e le miochimie. La fibrillazione è una contrazione spontanea ed indipendente di una sola fibra muscolare, visibile ad occhio nudo solo a livello della lingua. Questo tipo di movimento è causato da una denervazione del muscolo (come un’aritmia cardiaca durante la quale le fibre muscolari cardiache si contraggono in modo incontrollato e disordinato). La fascicolazione è una contrazione spontanea rapida ed a intervalli irregolari, senza spostamento, di una sola unità motoria. Questo tipo di movimento è visibile e avvertibile come "carne che balla". Può dipendere da una malattia degenerativa o tumorale che lesiona il motoneurone a livello di midollo spinale, radici dei nervi o nervi periferici, oppure può essere di natura benigna, ad esempio causata da stress, esposizione a freddo o privazione di sonno. Le miochimie possono essere contrazioni continue ed ondulatorie dei muscoli delle mani oppure fascicolate, localizzate, ripetitive, lente. I movimenti estrinseci al muscolo sono movimenti anormali che si verificano senza il controllo volontario del soggetto, possono manifestarsi in varie forme e sono spesso associati a disturbi neurologici o a lesioni del sistema nervoso centrale. Tra i principali movimenti estrinseci troviamo la corea, che spesso è considerata una categoria più ampia di fenomenologia che comprende anche l’atetosi e il ballismo. La corea è definita come un movimento eccessivo, spontaneo, “simile ad una danza” con un tempo irregolare, non ripetitivo , imprevedibile, di carattere brusco. I movimenti coreici sono contrazioni muscolari brusche, rapide, aritmiche e asimmetriche che compaiono involontariamente ma sono inserite in movimenti volontari. Per riconoscerla basta far sporgere la lingua, estendere le braccia e far stare in specifici inerenti agli apprendimenti scolari come i disturbi della funzione verbale che incidono sulle capacità di articolare parole o costrutti sintattici o i disturbi della funzione non verbale che incidono sulle attività gestuali e sulle attività logicomatematiche. Di fondamentale importanza, all’interno di questo quadro diagnostico, sono le SCALE DI VALUTAZIONE, in particolare: La Scala di Ashworth misura il tono muscolare, si tratta di una scala numerica che va da 0 a 4, in cui 0 indica l'assenza di spasticità e 4 indica una spasticità severa. La Gross Motor Function Measure (GMFM) o misura di performance motoria è una scala di valutazione utilizzata per misurare la funzione motoria nei bambini con disabilità motorie. La scala valuta la capacità del bambino di eseguire attività motorie come rotolare, sedersi, camminare e correre. Vengono elencati 5 livelli di capacità di movimento, dove il 1 livello indica le minori limitazioni di motricità e il 5 livello le più severe, i primi 3 livelli inglobano dal 2 al 4 anno di vita, mentre gli ultimi 2 vanno dal 4 al 12 anno di vita. L’Indice di Barthel misura l’autonomia motoria, quindi valuta la capacità della persona di eseguire attività come mangiare, vestirsi, lavarsi e utilizzare il bagno. L'indice di Barthel utilizza una scala a 10 punti per valutare l'autonomia nella vita quotidiana, in cui 0 indica la dipendenza completa e 10 indica l'autonomia completa. Considerando i vari disturbi può essere effettuata una rieducazione motoria per sviluppare le potenzialità motorie e funzionali, come la locomozione, le attività manuali e la motricità bucco-facciale; vengono inoltre corrette le posture anormali con delle manovre di decontrazione per intervenire sugli automatismi antigravitari (come gli automatismi di mantenimento che permettono il raddrizzamento il mantenimento della testa rinforzato con una stimolazione visiva) e gli automatismi di locomozione. Per quanto riguarda invece la motricità bucco-facciale, quindi ciò che riguarda la deglutizione e l’alimentazione, i disturbi motori possono estendersi a questo tipo di motricità provocando delle difficoltà funzionali in tal senso, consideriamo per esempio la protrusione della lingua, l’apertura insufficiente della bocca, il serramento delle labbra e de denti e incapacità di suzione per quanto riguarda l’alimentazione, e l’asincronizzazione di alcuni muscoli decretati alla deglutizione che provocano affogamento. Inoltre, una serie di contrazioni del corpo come quelle che coinvolgono i muscoli del collo e delle spalle portano la testa in estensione o flessa, quindi questa postura rende la deglutizione difficile a causa dell’affogamento. Anche in questo caso è necessario intervenire con un’educazione terapeutica dei disturbi dell’alimentazione, con il controllo delle contrazioni del collo e degli arti ponendolo in posizione flessa, l’angolo della testa è di 30°/40° con il tronco, questa posizione va mantenuta sulle ginocchia dell’adulto o su una sedia adeguata. Inoltre, di fondamentale importanza è la somministrazione degli alimenti che va effettuata dal basso per evitare l’estensione del collo. In alcuni casi, l'alimentazione può essere condizionata da sintomatologie del tempo oro-buccale e faringeo. In particolare, i problemi di motricità e di sensibilità che coinvolgono la bocca e la gola possono causare difficoltà nella masticazione e nella deglutizione degli alimenti. Le misurazioni staturo-ponderali regolari possono fornire informazioni sullo stato nutrizionale di una persona, ma in caso di problemi di alimentazione dovuti a sintomatologie oro-buccali e faringee, è necessario adottare approcci specifici per affrontare il problema. Per esempio, le persone con difficoltà a masticare e deglutire possono avere bisogno di cibi morbidi o di texture diverse per facilitare la deglutizione, mentre le persone con problemi di sensibilità della bocca possono avere difficoltà ad accettare alcuni sapori o consistenze. I disturbi dell'alimentazione possono portare a una serie di complicazioni che interessano vari sistemi del corpo. Tra le complicazioni più comuni si riscontrano il ritardo staturo-ponderale (una condizione in cui il bambino ha un peso e/o una statura inferiore rispetto alla media per la sua età), i problemi respiratori come bronchiti a ripetizione, fibrosi polmonare interstiziale e polmoniti ricorrenti, nonché problemi uditivi e di articolazione. Inoltre, i disturbi dell'alimentazione possono influire sulla qualità del sonno e sulla capacità di relazionarsi con gli altri, manifestandosi in comportamenti anomali durante i pasti e posture particolari. Nei bambini con paralisi cerebrale infantile, l'alimentazione rappresenta un'altra problematica, e può portare al rischio di soffocamento. Le cause dell'affogamento possono essere diverse, tra cui la posizione iperestesa della nuca, l'assenza di chiusura labiale o la co-contrazione con protrusione linguale, la stanchezza o il disturbo della vigilanza, una presa alimentare troppo rapida o l'introduzione improvvisa di un cucchiaio da parte di terzi. Inoltre, la consistenza e il gusto degli alimenti possono influire sulla capacità del bambino di gestire l'alimentazione e sul controllo motorio. Il reflusso può anche portare a complicazioni respiratorie come infezioni polmonari associate. La tenuta del cucchiaio e del bicchiere durante i pasti è un aspetto importante per favorire una corretta alimentazione nei bambini. Per presentare il cucchiaio, è importante evitare di vuotarlo al contatto delle gengive e dei denti, e favorire lo stringimento delle labbra al contatto dell'alimento con il dorso del cucchiaio sulla parte mediana della lingua. La protrusione della lingua può essere controllata con l'aiuto del cucchiaio, esercitando una pressione moderata sulla parte mediana, evitando di introdurre il dorso del cucchiaio con l'alimento e incitando al leccamento. Per quanto riguarda il bicchiere, è importante presentarlo dal basso senza versare il liquido direttamente nella bocca e senza introdurre il bordo del bicchiere tra le gengive o i denti. È importante aiutare il bambino a prendere contatto con le labbra sul bordo del bicchiere per favorire l'aspirazione del liquido. I bambini che sono in grado di eseguire movimenti di suzione possono essere educati ad aspirare e bere dal bicchiere. Inoltre, per sviluppare la masticazione e il piacere di masticare, è possibile stimolare i movimenti laterali della lingua con le dita o con un pezzo di pane duro. Queste stimolazioni possono essere eseguite al di fuori dei pasti per alcuni minuti al giorno, fino a quando il bambino non è in grado di masticare normalmente. QUINTO BLOCCO SLIDE DISABILITÁ INTELLETTIVA (ASPETTI NEUROBIOLOGICI DEL RITARDO MENTALE): Per introdurre il quadro sulla disabilità intellettiva va precisato che questo termine -che è l’equivalente di “disturbi dello sviluppo intellettivo”- è stato inserito nel DSM-5 (2013) a sostituzione dell’espressione “ritardo mentale”, ed è un disturbo collocato nel raggruppamento denominato “Disturbi del neurosviluppo”, proprio per il fatto che compaiono nel periodo dello sviluppo. Si fa riferimento ad una significativa limitazione sia nel funzionamento intellettivo, facendo quindi riferimento alla capacità mentale generale come l’apprendimento, il ragionamento, il problem solving (questo può essere misurato con il famoso test QI, dove un punteggio <70 indica una limitazione nel funzionamento intellettuale) sia nel comportamento adattivo, nello specifico le abilità concettuali (come il linguaggio, l’alfabetizzazione, tempo ecc...), le abilità sociali (responsabilità sociale, autostima, ingenuità, problem solving ecc...), le abilità pratiche come le attività di vita quotidiana (assistenza sanitaria, viaggi, trasporti, uso del denaro, uso del telefono), che la persona apprende durante lo sviluppo e gli permettono di funzionare nel quotidiano, sono colpite da limitazioni. Sul comportamento adattivo c’è da dire che questo viene definito attraverso le performances tipiche e non attraverso le abilità, perché il comportamento adattivo di un soggetto è inadeguato a tal punto da non manifestare l’abilità al momento dovuto; vi sono 5 livelli che qualificano le competenze adattive della persona: Piuttosto debole, debole, adeguato, piuttosto elevato, elevato. Dagli anni ’70 ad oggi sono state descritte oltre 200 scale per la misurazione del comportamento adattivo, ma oggi solo 4 di esse sono ritenute idonee. La diagnosi di disabilità intellettiva deve basarsi sostanzialmente sul GIUDIZIO CLINICO, che avrà anche il compito di interpretare i punteggi dei test somministrati e le altre informazioni; in base alla presenza o meno di SPECIFICATORI viene evidenziato il livello di gravità del disturbo. Infatti, più che fare riferimento al punteggio del QI per stabilire il livello di gravità del disturbo, il DSM-5 ha fornito dei criteri specifici che, come abbiamo già detto, riguardano A. deficit nelle funzioni intellettive, B. deficit nel funzionamento adattivo e C. l’esordio dei deficit intellettivi e adattivi durante il periodo dello sviluppo. La PATOGENESI delle disabilità intellettive coinvolge diversi meccanismi cellulari e molecolari, tra cui l'alterazione delle spine dendritiche e la loro morfologia. Le spine dendritiche sono piccole protrusioni presenti sui dendriti dei neuroni, e rappresentano i principali siti di connessione sinaptica tra i neuroni. La morfologia e la funzione delle spine dendritiche sono cruciali, per esempio, per la plasticità cerebrale, ovvero la capacità del cervello di cambiare e adattarsi nel tempo in risposta all'esperienza e all'apprendimento. Quello che succede nello specifico alle spine dendritiche è che queste possono subire alterazioni nel loro numero, di conseguenza una riduzione o un aumento del numero di spine dendritiche può influenzare la comunicazione tra i neuroni, compromettendo l'apprendimento e la memoria. Oppure, possono avere una morfologia alterata essendo più lunghe, più corte, più larghe del normale. Esempi in cui le spine dendritiche risultano alterate nella loro morfologia, nel loro numero, nelle loro connessioni sono riscontrabili nelle sindromi come: la trisomia 21, la sindrome di Prader-Willi,la Sindrome d’Angelman, la sindrome dell’X Fragile, la sindrome di Rett e la sindrome di Williams. LA SINDROME DI DOWN (TRISOMIA 21) è una condizione genetica caratterizzata dalla presenza di un cromosoma 21 extra dovuto alla non disgiunzione durante la formazione degli ovuli e degli spermatozoi, per un totale di tre copie di ciascun cromosoma invece delle normali due. È la forma più comune di disabilità intellettiva di origine genetica e si verifica in circa 1 su 700-1000 nascite. I neuroni delle persone con sindrome di Down tendono ad avere un numero inferiore di spine dendritiche rispetto ai neuroni di individui sani, inoltre le spine risultano più corte, meno ramificate e la plasticità sinaptica risulta compromessa, limitando la capacità del cervello di adattarsi e apprendere. Le persone con sindrome di Down presentano una serie di caratteristiche fisiche e cognitive, che possono variare ampiamente tra gli individui. Alcune delle manifestazioni più comuni includono faccia piatta, occhi a mandorla inclinati verso l'alto, piccole orecchie, lingua sporgente e pliche singole sul palmo delle mani. Le disabilità intellettive variano da lievi a moderate e includono difficoltà di apprendimento, linguaggio e memoria. C’è un aumentato rischio di malattie cardiache congenite, disturbi gastrointestinali, problemi respiratori e problemi alla tiroide. È presente un ritardo nello sviluppo fisico e nello sviluppo motorio, compresi il camminare, il parlare e altre abilità motorie. È importante notare che, nonostante queste sfide, molte persone con sindrome di Down conducono una vita attiva e soddisfacente LA SINDROME DI PRADER-WILLI è una sindrome genetica , conosciuta dal 1600, legata ad una mutazione/delezione del cromosoma 15 (Chr15), è presente in tutte le razze e nei due generi con un’incidenza di 1 su 20.000. In alcuni casi, la PWS può essere causata da una disomia uniparentale, ovvero quando entrambe le copie del Chr15 sono ereditate dallo stesso genitore, invece di una copia dal padre e una dalla madre. Inoltre, la PWS è anche caratterizzata da un fenomeno noto come imprinting genomico, che riguarda l'espressione differenziale dei geni in base alla loro origine parentale. In particolare, i geni nella regione paterna del Chr15 sono normalmente attivi, mentre quelli nella regione materna sono silenziati. Nel caso di PWS, tuttavia, la regione paterna del Chr15 viene persa o inattivata, portando alla perdita dell'espressione dei geni paterni e all'attivazione dei geni materni. Tenendo in considerazione che la PWS è uno spettro, perciò l’intensità dei sintomi varia in maniera fobie, stereotipie, deficit di attenzione con iperattività, disturbi dell'umore e autismo, tra gli altri. Nonostante ciò, spesso riescono a raggiungere un discreto livello di autonomia personale e capacità di socializzazione. Nel corso del tempo, le loro capacità adattive globali tendono a migliorare, e il loro comportamento adattivo può superare le competenze cognitive. Il genotipo e il fenotipo neurocomportamentale nella sindrome dell'X fragile variano tra individui di sesso maschile e femminile. Nei maschi, l'87% presenta una mutazione completa con ritardo mentale, difficoltà linguistiche, stereotipie, iperattività e problemi emotivi. Tuttavia, il 13% può avere un'abilità cognitiva più elevata, disturbi dell'apprendimento e difficoltà emotive. Nelle femmine con sindrome dell'X fragile, circa il 50-59% ha ritardo mentale, anomalie del linguaggio, stereotipie, ansia, depressione e difficoltà sociali, mentre il 41-50% può avere una funzionalità normale o lievi disturbi dell'apprendimento. In alcuni casi, le femmine con premutazione possono presentare disturbi schizoidi o depressivi. Dal punto di vista elettrofisiologico, gli esami EEG possono mostrare punte bi o trifasiche nelle aree fronto-centrali e/o centro-temporali, che possono essere notevolmente attivate durante il sonno. Inoltre, i potenziali evocati somatosensitivi (PES) possono presentare un notevole aumento dell'ampiezza, indicando una possibile anomalia neurologica nella sindrome dell'X fragile. Il funzionamento del lobo frontale può essere compromesso, influenzando diverse funzioni cognitive e motorie. Il lobo frontale è responsabile di molte funzioni importanti, tra cui la vigilanza, l'attenzione selettiva e il ragionamento astratto, che coinvolge la programmazione e la sequenzialità dei movimenti. L'area prefrontale del lobo frontale gioca un ruolo chiave nella programmazione dell'attività mentale e nei meccanismi mnemonici, ovvero la memoria e il processo di recupero delle informazioni, questi processi possono essere compromessi, portando a difficoltà di apprendimento e problemi di memoria a breve termine. Inoltre, il lobo frontale è coinvolto nella motricità attraverso il controllo dello striato, una parte del cervello che regola i movimenti volontari, questo collegamento tra il lobo frontale e lo striato può essere alterato, causando difficoltà nella motricità fine e globale, come è stato osservato nei pazienti affetti da questa condizione. SINDROME DI RETT è una grave malattia dello sviluppo cerebrale che causa una deficienza intellettiva severa, colpendo quasi esclusivamente le bambine. Per molto tempo, è stata considerata come una forma di autismo a causa delle sue caratteristiche simili. Descritta per la prima volta dal medico Andreas Rett nel 1966, la sindrome si manifesta con una notevole regressione dello sviluppo dopo alcuni mesi di evoluzione apparentemente normale. La sindrome di Rett è una condizione rara, che interessa circa 1 su 10.000-15.000 nascite, rappresentando da 30 a 40 nuovi casi ogni anno, per un totale di circa 9.000 bambini affetti in tutto il mondo. Nonostante la sua rarità, costituisce il 2-3% dell'insieme dei casi di disabilità intellettiva profonda e rappresenta il 10% dei casi tra le donne. La forma classica della sindrome di Rett è caratterizzata da quattro stadi, ognuna con i suoi sintomi specifici. Durante lo stadio I, che va dai 6 mesi a 1,5 anni di età, si osserva un ritardo nello sviluppo psicomotorio e una decelerazione nella circonferenza cranica. Nello stadio 2, che si estende tra i 12-18 mesi e i 4 anni, i bambini iniziano a perdere le abilità comunicative e relazionali precedentemente acquisite, manifestano comportamenti di tipo autistico, disturbi della deambulazione, stereotipie delle mani, episodi di apnea o iperventilazione, disfunzioni orofaringee e dismotilità gastroesofagee. Lo stadio 3, conosciuto anche come periodo pseudostazionario, è caratterizzato dall'accentuazione della sintomatologia neurologica, comprese le crisi epilettiche. In questa fase, la risonanza magnetica rivela anomalie cerebrali, si accentua l'iposviluppo somatico e possono comparire problemi come la scoliosi. Infine, nello stadio 4, i pazienti sperimentano una grave disabilità e la perdita delle autonomie motorie. Questo stadio è caratterizzato da una notevole difficoltà nel movimento e nella gestione delle attività quotidiane. Oltre alla forma classica, esistono varianti atipiche che si manifestano con sintomi e caratteristiche peculiari. Tra queste, possiamo trovare la variante di Zappella, in cui i pazienti conservano una certa capacità comunicativa, e la rara variante di Hanefeld, caratterizzata da un'insorgenza precoce dell'epilessia. Altre forme atipiche includono la variante congenita di Rolando, estremamente rara e presente sin dalla nascita, la forma frusta con sintomi più lievi e la variante a regressione tardiva di Hagberg, dove i sintomi iniziano a manifestarsi più tardi rispetto alla forma classica. La sindrome di Rett tipica è associata, nel 95-97% dei casi, a una mutazione nel gene MeCP2, che si trova sulla regione Xq28 del braccio lungo (q) del cromosoma X. È interessante notare che questa mutazione si verifica nel 99% dei casi "de novo", il che significa che non è ereditata dai genitori, ma si sviluppa spontaneamente nel corso dello sviluppo dell'individuo. Per quanto riguarda il profilo sociale tendono a guardare un viso umano piuttosto che oggetti. Questa preferenza, che si manifesta attraverso un forte contatto visivo, sembra essere più pronunciata nella sindrome di Rett rispetto ai disturbi dello spettro autistico (DSA). Tuttavia, possono sperimentare difficoltà nel riconoscere alcune espressioni emozionali, come gioia, paura e tristezza. Anche se le pazienti con sindrome di Rett generalmente non sviluppano abilità verbali funzionali, l'utilizzo della tecnologia dell'eye-tracking permette loro di comunicare e farsi comprendere. Questo strumento facilita l'accesso alla cosiddetta "Comunicazione Aumentativa e Alternativa" (AAC), che fornisce un mezzo di comunicazione non verbale per le persone con difficoltà di linguaggio. SESTO BLOCCO SLIDE IL DISTURBO DELLO SPETTRO DELL’AUTISMO E IL SUO DEFICIT COMUNICATIVO PREMESSA IMPORTANTE: È generalmente più corretto e rispettoso dire "persone con disturbo dello spettro dell'autismo". Questa formulazione mette l'accento sulla persona prima della sua condizione e riflette la filosofia del "person-first language", che promuove il rispetto e la dignità degli individui con disabilità o disturbi. Prima di descrivere il disturbo dello spettro autistico dal punto di vista neuroscientifico, diamo uno sguardo alla storia. All'inizio del XX secolo, il concetto di autismo era ancora agli albori. Fu Eugen Bleuler a introdurre il termine "autismo", derivato dalla parola greca "autos", che significa "sé", per descrivere il ripiegamento su sé stesso osservato nei pazienti con schizofrenia. Tuttavia, fu solo nel 1943 e nel 1944 che l'autismo infantile venne distinto dalla schizofrenia infantile, grazie alla descrizione clinica di bambini effettuata da Léo Kanner. Nel 1980, la classificazione internazionale dei disturbi mentali, ossia l'ICD e il DSM, introdusse la categoria dei Disturbi Pervasivi dello Sviluppo (DPS), che includeva l'autismo tipico, l'autismo atipico e la sindrome di Asperger. Nel 1986, Temple Grandin, una donna con autismo, pubblicò "La mia vita d'autistico", un'opera che inaugurò l'era della testimonianza sull'autismo, permettendo al mondo di vedere l'autismo dall'interno e di comprendere meglio le sfide e le esperienze delle persone autistiche. Infine, nel maggio 2013, il DSM-5 rivoluzionò ulteriormente il concetto di autismo, sostituendo i Disturbi Pervasivi dello Sviluppo con il Disturbo dello Spettro Autistico (DSA). Questa nuova classificazione riconosceva la vasta gamma di sintomi e difficoltà che le persone autistiche possono sperimentare, offrendo una visione più ampia e inclusiva dell'autismo nella società odierna. Il DSM-5, pubblicato nel 2013, è un manuale di riferimento fondamentale per la classificazione e la diagnosi dei disturbi mentali. All'interno del DSM-5, ci sono capitoli specifici dedicati alla neuropsichiatria infantile, in particolare ai disturbi neuroevolutivi. Questi disturbi includono la deficienza intellettiva, il disturbo della comunicazione, il disturbo dello spettro dell'autismo, il disturbo dell'attenzione e iperattività, i disturbi specifici dell'apprendimento e i disturbi motori. Inoltre, il manuale copre anche altri disturbi neuroevolutivi che non rientrano nelle categorie precedenti, ma che sono comunque rilevanti per la comprensione e il trattamento delle difficoltà neuropsichiatriche nei bambini. I disturbi del neurosviluppo rappresentano patologie multifattoriali, con una complessa interazione tra fattori genetici e ambientali. In alcuni casi, i soggetti affetti da un disturbo neuroevolutivo presentano anomalie cromosomiche o genetiche identificabili, e si parla allora di forme sindromiche. Per diagnosticare queste sindromi, è necessaria una valutazione clinica rigorosa, accompagnata da esami complementari specifici, come nel caso della Sindrome dell'X Fragile o della Sindrome di Angelman. Tuttavia, per la maggior parte dei soggetti affetti da disturbi neuroevolutivi, le anomalie genetiche non possono essere identificate. Nonostante ciò, i dati scientifici sottolineano l'importanza dell'ereditarietà in questi disturbi. Anche se i fattori genetici contribuiscono significativamente all'eziologia del disturbo, la trasmissione è di natura poligenica complessa, il che rende la comprensione e il trattamento di questi disturbi una sfida per i professionisti del settore. L'autismo è un disturbo neuroevolutivo che rientra nel più ampio gruppo dei Disturbi Generalizzati dello Sviluppo (DGS), come definito dall'ICD-10 nel 1992. I DGS sono caratterizzati da un insieme di deficit che coinvolgono tre dimensioni: l'interazione sociale, la comunicazione e i comportamenti ripetitivi e ristretti. Tra le 8 categorie diagnostiche varie dei DGS, vi è l'autismo tipico. Per essere diagnosticato con un DGS, lo sviluppo alterato del soggetto deve manifestarsi prima dei 3 anni. Nel 2013, il DSM-5 ha introdotto il concetto di Disturbo dello Spettro Autistico (DSA), che ha sostituito la classificazione dei DGS. Il DSA è presente nell'infanzia precoce e non può essere spiegato da un ritardo grave dello sviluppo o un deficit intellettivo. Al contrario dei DGS, il DSA si concentra su due dimensioni principali: il disturbo della comunicazione sociale e i comportamenti ripetitivi e ristretti, che possono includere anche anomalie sensoriali. I disturbi associati all'autismo includono una vasta gamma di problemi, che vanno dai deficit intellettivi, presenti nel 40-70% dei casi, ai disturbi psichiatrici come fobie, ansietà e depressione, riscontrati nel 50- 70% dei soggetti. Inoltre, tra i pazienti con autismo si riscontrano anche disturbi del comportamento, epilessia nel 30% dei casi, malattie genetiche, disturbi del sonno (40-86%), disturbi dell'alimentazione e altri disturbi somatici, nonché deficit sensoriali. Vi sono altre comorbidità neuroevolutive (presenza di due o più disturbi o malattie in un individuo contemporaneamente) tra il Disturbo dello Spettro Autistico (DSA) e altri disturbi sono comuni, come ad esempio, il 20-50% dei bambini con Disturbo da Deficit di Attenzione/Iperattività (ADHD) presenta caratteristiche di DSA, mentre il 30-44% dei bambini con DSA soddisfa i criteri per l'ADHD. Inoltre, c'è una sovrapposizione tra il DSA e il Disturbo dello Sviluppo della Coordinazione (DSC): il 30% dei bambini con DSA presenta criteri per il DSC e il 16% dei bambini con DSC presenta criteri per il DSA. L'associazione tra disturbi neuroevolutivi è considerata "la regola", e l'eterogeneità dei profili clinici e dell'impatto funzionale rende la diagnosi e il trattamento di questi disturbi una sfida per i professionisti del settore. In parole più semplici, è molto comune trovare più disturbi neuroevolutivi insieme nella stessa persona. Tuttavia, le differenze tra i sintomi e le difficoltà che ogni persona sperimenta rendono difficile per i medici e gli esperti diagnosticare e curare questi disturbi. l disturbo dello spettro dell'autismo presenta deficit nella comunicazione e interazione sociale, nonché comportamenti stereotipati e ripetitivi. La severità si divide in tre livelli: Livello 1: deficit di comunicazione sociale e difficoltà nel rispondere alle aperture sociali; comportamenti rigidi che interferiscono con il funzionamento quotidiano, problemi di organizzazione e pianificazione. Livello 2: deficits marcati nella comunicazione verbale e non verbale, difficoltà nelle interazioni sociali e caratteristiche simili, come difficoltà di comunicazione, rigidità mentale e interessi limitati. Gli scienziati hanno studiato il DNA per cercare di capire quali parti dei cromosomi potrebbero essere collegate all'autismo. Hanno trovato alcune variazioni genetiche chiamate CNVs che possono essere collegate a problemi di sviluppo o disabilità intellettive.
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