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NICCOLÒ MACHIAVELLI: biografia, contesto storico e opere principali, Appunti di Letteratura Italiana

Appunti su Niccolò Machiavelli (Principe e Mandragola)

Tipologia: Appunti

2021/2022

In vendita dal 16/07/2023

GiuliaDelPrete
GiuliaDelPrete 🇮🇹

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Scarica NICCOLÒ MACHIAVELLI: biografia, contesto storico e opere principali e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Machiavelli (1469-1527) CONTESTO 1469-1527: la data di nascita di Machiavelli coincide al momento in cui Lorenzo il Magnifico diventa signore di Firenze, mentre la data di morte coincide con il sacco di Roma. La sua vita sta quindi tra due date che sono molto significative •1469: Lorenzo de’ Medici succede al padre Piero come signore di fatto di Firenze •1527: ha luogo il sacco di Roma, a opera dei lanzichenecchi •1492: muore Lorenzo il Magnifico, gli succede il figlio Piero, detto il fatuo. Finisce quella che viene dipinta come un’età dell’oro sia da Machiavelli alla fine delle Istorie fiorentine sia da Francesco Guicciardini nella Storia d’Italia (Lorenzo ha avuto un ruolo fondamentale nel tenere in equilibrio gli Stati regionali di cui si compone la penisola) •1494: Ludovico il Moro provoca la discesa in Italia di Carlo VIII di Francia, che rivendica i propri diritti ereditari sul regno di Napoli. Si apre il periodo delle cosiddette guerre di Italia, un lungo periodo in cui l’Italia diventa teatro dello scontro tra potenze straniere, in particolare Francia e Spagna La discesa di Carlo VIII secondo Guicciardini nella Storia d’Italia: «entrò in Asti il dì nono di settembre dell’anno mille quattrocento novantaquattro, conducendo seco in Italia i semi di innumerabili calamità, di orribilissimi accidenti, e variazione di quasi tutte le cose: perché dalla passata sua non solo ebbono principio mutazioni di stati, sovversioni di regni, desolazioni di paesi, eccidi di città, crudelissime uccisioni, ma eziandio nuovi abiti, nuovi costumi, nuovi e sanguinosi modi di guerreggiare (importante il ruolo delle armi da fuoco, dell’artiglieria), infermità insino a quel dì non conosciute; e si disordinorono di maniera gli instrumenti della quiete e concordia italiana che, non si essendo mai poi potuta riordinare, hanno avuto facoltà altre nazioni straniere e eserciti barbari di conculcarla miserabilmente e devastarla» •1494: l’atteggiamento di Piero de’ Medici nei confronti di Carlo VIII provoca la cacciata dei Medici da Firenze. Si instaura un sistema di governo popolare (istituzione di un Maggior Consiglio). La vita politica di Firenze è dominata dalla figura del domenicano Girolamo Savonarola •1498: Savonarola è condannato al rogo e si instaura un nuovo regime repubblicano, di impronta moderata •1502: viene eletto gonfaloniere a vita Pier Soderini (modello: sistema della Repubblica di Venezia, doge); Machiavelli fu di fatto il suo principale collaboratore, partecipando a missioni diplomatiche all’estero e in diverse corti italiane •1512: il successo della Lega Santa voluta da Giulio II contro la Francia, a cui Firenze è legata, provoca la fine del regime di Soderini. I Medici rientrano a Firenze; il ritorno dei Medici lo condannò alla perdita delle cariche, alla povertà e al confino La «lunga esperienza delle cose moderne»: questa esperienza delle cose moderne è importante per l’elaborazione del funzionamento della realtà e dei meccanismi che la governano. L’opera letteraria di Machiavelli comincia nel momento in cui egli deve fare i conti con la sua carriera politica. Egli ricopre incarichi importanti nel governo e nell’amministrazione di Firenze: è un grande funzionario, un personaggio molto eminente nel funzionamento della macchina della Repubblica di Firenze Nel 1498 Niccolò Machiavelli viene nominato segretario della seconda cancelleria della Repubblica di Firenze, poi anche dei cosiddetti Dieci di Balìa (o della Pace e della Guerra): si occupa di politica interna al territorio di Firenze, ha rapporti con gli ambasciatori, di organizzazione militare (ordinanza: creazione di un esercito di leva). Per lui gli affari militari sono un fattore fondamentale nell’edificazione di uno stato efficiente. Egli si rende conto della subalternità netta delle potenze che invadono e si spartiscono l’Italia e promuove quindi un esercito di leva, fatto di cittadini, non di mercenari (sono guerrieri “assunti” e non possono avere grandi ideali oltre i beni economici che traggono dal loro lavoro), che hanno maggior interesse a difendere i territori della repubblica: ottiene la possibilità di procedere all’arruolamento di uomini del contado e di creare un esercito non mercenario (milizie: idea per lui che uno stato possa reggersi sulle proprie gambe solo se ha solide istituzioni militari (truppe ausiliari)); la gestione della componente militare, non sganciata dalle istituzioni civili, è uno dei chiodi fissi di Macchiavelli Prima di questi incarichi abbiamo poche notizie: probabilmente riceve una discreta formazione umanistica, fondata sui classici latini, anche se non particolarmente spiccata. Il padre ricevette incarico per la stesura di indici dei libri di Tito Livio. Per quanto riguarda la sua esperienza diplomatica, Machiavelli entra a diretto contatto con la realtà politica del suo tempo e compie numerose missioni diplomatiche, in particolare in Francia, a più riprese (a partire dal 1500), presso il Valentino (Cesare Borgia, figlio di papa Alessandro VI [1502, due missioni]), a Roma (per il conclave che elegge Giulio II [1503] e poi a seguito del papa a Perugia [1506]), in Tirolo e nel Veneto presso l’imperatore Massimiliano (1508) Egli ha modo di osservare stati diversi e entrare in contatto con personaggi di rilievo, come il Valentino (ha avuto un progetto di edificazione di un nuovo stato, perciò preso a modello nel Principe), Giulio II (altra figura di straordinaria spregiudicatezza: papa guerriero, personaggio fatto per l’azione, acerrimo nemico dei Borgia, la sua elezione a papa segna la fine del dominio nell’Italia centro-settentrionale di Cesare Borgia) Machiavelli si autodefiniva in una lettera all’amico Francesco Guicciardini, “istorico, comico e tragico”. Eppure la sua vasta produzione nasce in primo luogo dall’osservazione della società compiuta durante i suoi incarichi come importante funzionario della repubblica fiorentina negli anni che, a inizio del Cinquecento, sconvolsero il sistema degli Stati italiani. La presenza diretta nel vivo degli eventi si affianca però a una continua e vivacissima rilettura degli storici antichi Caduta di Machiavelli •1512: Machiavelli viene destituito del proprio ruolo e condannato al confino entro il dominio di Firenze •1513: viene accusato di aver partecipato a una congiura, viene incarcerato e torturato, poi liberato grazie all’amnistia per l’elezione di Giovanni de’ Medici a papa, con il nome di Leone X (11 marzo) •Machiavelli si ritira nel podere dell’Albergaccio, a Sant’Andrea in Percùssina: è qui che inizia l’attività di Macchiavelli come scrittore Rimesso in libertà si dedica alla scrittura del Principe, la sua opera più famosa, e comincia un periodo dedicato esclusivamente agli studi e all’attività letteraria. Lettera a Francesco Vettori (10 dicembre 1513) Subito dopo la liberazione dal carcare inizia un carteggio con Francesco Vettori, ambasciatore fiorentino a Roma. Il carteggio tra Machiavelli e Vettori: «chi vedesse le nostre lettere, honorando compare, et vedesse le diversità di quelle, si maraviglierebbe assai, perché gli parrebbe hora che noi fussimo huomini gravi, tutti vòlti a cose grandi, et che ne' petti nostri non potesse cascare alcuno pensiere che non havesse in sé honestà et grandezza. Però dipoi, voltando carta, gli parrebbe quelli noi medesimi essere leggieri, inconstanti, lascivi, vòlti a cose vane. Questo modo di procedere, se a qualcuno pare sia vituperoso, a me pare laudabile, perché noi imitiamo la natura, che è varia; et chi imita quella non può essere ripreso» . In questa lettera si vede la duplice natura di Macchiavelli, come se in lui fossero concentrate due persone diverse: una più seria, una più dedita ai giochi, tipico nel suo modo di porsi: riflessione politica molto seria / sguardo disincantato, (amaramente) divertito, che si vede in opere come la Mandragola, il Belfagor, in cui su ritrova un gusto per il comico Il carteggio non è fatto per essere concepito letterariamente, non era destinato alla pubblicazione, contiene la gravità tanto quanto la giocosità, la concretezza: esso restituisce con immediatezza momenti ed episodi decisivi della vita dell’autore. Alterna il linguaggio basso e comico della vita quotidiana a quello colto della riflessione storica, e ha un grande valore letterario La lettera del 10 dicembre 1513 è una risposta a una precedente lettera di Francesco Vettori, datata 23 novembre 1513, in cui egli, ambasciatore della Repubblica fiorentina presso la Santa Sede, raccontava la propria vita a Roma, presso la corte di papa Leone X, povera di occupazioni: divisa tra ozio, cavalcate, banchetti, avventure amorose e attività pratiche. Machiavelli racconta la propria giornata tipo nella tenuta dell’Albergaccio, ricalcando sotto diversi aspetti l’epistola dell’amico, ma mettendo in luce anche l’umiltà della sua vita al confronto. Machiavelli risponde raffrontando ironicamente gli affari di Stato, gli svaghi e i piaceri cortigiani dell’amico ambasciatore ai propri impicci mattutini di confinato, agli incontri con litigiosi boscaioli, al pasto frugale, al gioco delle carte in taverna con compagni plebei. A un certo punto il racconto ironico dei momenti quotidiani lascia il posto alla descrizione seria, in tono elevato e solenne, della propria attività intellettuale. Le inquietudini e i tormenti e l’amarezza della sconfitta svaniscono nel colloquio serale con gli antichi autori. Inoltre, annuncia di star attendendo alla stesura del Principe. La lettera a Vettori fornisce almeno due informazioni fondamentali sulla sua opera principale: innanzitutto il trattatello aveva il fine di presentare le competenze e 1. Ha visto solo ciò che M. ha scritto fino a quel momento 2. Ha visto una sorta di sommario dell’opera, già scritta 3. Ha visto solo una parte di un’opera già compiuta Problema di interpretazione dell’opera • Il Principe è un’opera unitaria • o composta in diversi momenti • o composta e poi riscritta? Da qui c’è chi ritiene che il Principe sia stato composto di getto, oppure che abbia conosciuto un’elaborazione lunga e tormentata Non è chiaro se Machiavelli alluda al trattato come lo conosciamo ora, o a una sua forma breve (fino solo al capitolo 11) e successivamente espansa (in questo caso la conclusione della stesura è stata spostata persino al 1518). Il Principe fu pubblicato però postumo solo nel 1532, anche se una qualche circolazione manoscritta c’era stata sicuramente già prima Il dedicatario del Principe→ nella lettera a Vettori è abbastanza chiaro che il dedicatario è individuato in Giuliano de’ Medici, fratello di Leone X, anche se l’incertezza sull’invio dell’opera secondo alcuni potrebbe riguardare anche la scelta del dedicatario. Il Principe poi è dedicato invece a Lorenzo de’ Medici il Giovane, nipote del Magnifico e figlio di Piero il Fatuo. Quando si produce questo cambio di dedicatario? • Il cambiamento forse è dovuto alla morte di Giuliano (marzo 1516) • O forse questo spostamento potrebbe essere dovuto al fatto che in Lorenzo si poteva vedere il nuovo «principe» di Firenze (anche prima che venisse nominato capitano delle milizie fiorentine [1515]) • Secondo diversi studiosi la dedica a Lorenzo deve precedere la sua creazione a duca di Urbino (1516), perché non vi è traccia di questo titolo nella dedica stessa I figli di Lorenzo Piero ‘il Fatuo’ (1472- 1503): ‘signore’ di Firenze dal 1492 al 1494; padre di Lorenzo il Giovane, duca di Urbino (dal 1516) e dedicatario del Principe di Machiavelli. Giovanni (1475-1521): diventa cardinale nel 1489, papa (Leone X) nel 1513. Giuliano (1479-1516): duca di Nemours (dal 1515), personaggio delle Prose di Bembo e del Cortegiano di Castiglione, primo dedicatario del Principe. Domenico Ghirlandaio, Firenze, S. Trinita, Cappella Sassetti. Dubbi e aspirazioni di Machiavelli. Io ho ragionato con Filippo di questo mio opuscolo, se gli era ben darlo o non lo dare; et, sendo ben darlo, se gli era bene che io lo portassi, o che io ve lo mandassi. El non lo dare mi faceva dubitare che da Giuliano e’ non fussi, non ch’altro, letto, et che questo Ardinghelli si facessi honore di questa ultima mia faticha. El darlo mi faceva la necessità che mi caccia, perché io mi logoro, et lungo tempo non posso star così che io non diventi per povertà contennendo, appresso al desiderio harei che questi signori Medici mi cominciassino adoperare, se dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso: Machiavelli si pone poi il problema di cosa fare della sua opera, e anche qui è lacerato dal dubbio: è opportuno presentarla o no a Giuliano de' Medici? Machiavelli esamina le ragioni che militano contro l'ipotesi di offrire a Giuliano il suo libro (teme che questi non lo legga neppure, quindi lo trascuri, o peggio, che il suo rivale Pietro Ardinghelli lo spacci per opera propria, appropriandosi dell' «honore») e a favore della presentazione (la necessità economica che lo sta “logorando” e che, se dovesse continuare a lungo, rischia di farlo diventare “per povertà contennendo”; la speranza che i Medici, apprezzando la sua opera, incomincino a impegnarlo di nuovo in qualche incarico, anche solo per “voltare un sasso”) L’esperienza messa al servizio dei Medici. perché, se poi io non me gli guadagnassi, io mi dorrei di me; et per questa cosa, quando la fussi letta, si vedrebbe che quindici anni, che io sono stato a studio all’arte dello stato, non gli ho né dormiti né giuocati; et doverrebbe ciascheduno haver caro servirsi d’uno che alle spese d’altri fussi pieno di experienzia. Et della fede mia non si doverrebbe dubitare, perché, havendo sempre observato la fede, io non debbo imparare hora a romperla; et chi è stato fedele et buono 43 anni, che io ho, non debbe potere mutare natura; et della fede e bontà mia ne è testimonio la povertà mia Con uno scarto brusco, Machiavelli passa all’orgogliosa rivendicazione del proprio valore, della natura preziosa dell’esperienza politica accumulata, della sua fedeltà di cui è prova indiscutibile la condizione economica in cui versa Ma perché il Principe? • Ragioni personali: Machiavelli vuole mettere al servizio dei Medici i quindici anni trascorsi «a studio all’arte dello stato», perché vuole tornare protagonista sulla scena politica del suo tempo. Questa componente personale non va sopravvalutata, c’è sotto la composizione del principe un progetto politico, che risponde a una concezione unitaria rivelata dall’ultimo capitolo, dal carattere un po’ posticcio (capitolo fondamentale per comprendere le ragioni politiche sotto il trattato) • Ragioni storiche: la ripresa del potere a Firenze da parte dei Medici, l’elezione di un Medici al pontificato, i progetti di creazione di un principato affidato a Giuliano de’ Medici facevano pensare alla possibile creazione di un’entità statale in Italia che per dimensioni e potenza fosse in grado di opporsi alle nazioni straniere. Con il progetto di un principato mediceo sembravano ricrearsi condizioni molto simili a quelle di inizio Cinquecento, quando il papa era Alessandro VI e suo figlio (Cesare Borgia, il Valentino) stava creando un principato nuovo in Italia centrosettentrionale IL TITOLO: De principatibus / Il Principe • Nella tradizione manoscritta e in una lettera di Niccolò Guicciardini del 1517 si usa la forma latina • Il titolo in volgare compare a partire dalla stampa del 1532, ma è già attestato precedentemente • La doppia titolazione (in latino principatibus e in volgare principe) è conforme alla doppia natura dell’opera, dedicata ai principati nella prima metà circa, al principe nella seconda. All’inizio quindi pone attenzione sull’istituzione, disputando cosa sia il principato (e infatti i primi capitoli sono dedicati al tema dell’istituzione del principato, come è fatto e le sue tipologie). La seconda parte è concentrata sulla figura del principe Si tratta di un piccolo trattato che mira a spiegare quali siano i diversi tipi di Stato retti da un Principe ed espone, secondo le sue idee, in che modo il principe dovrebbe agire per rendere più forte il suo principato Macchiavelli, pur ispirandosi ai trattati medievali, rivoluzionò le caratteristiche del regnante, caratteristiche che non sono più le virtù morali ma tutte quelle virtù ed azioni che abbiano come fine il mantenimento e il rafforzamento dello Stato STRUTTURA È un’opera unitaria di 26 capitoli, ognuno dei quali con un titolo in lingua latina, suddivisi in 4 sezioni tematiche di disuguale ampiezza implicitamente presenti nell’opera • Capp. I-XI: descrivono vari tipi di principati, divisi in: Cap. II: principati ereditari Capp. III-V: principati misti, che inglobano nuove annessioni in uno Stato preesistente Capp. VI-IX: principati nuovi (suddivisi in base alle modalità di acquisizione: per esempio i delitti (8), con una focalizzazione (nei capitoli 6-7) sugli strumenti opposti della virtù e della fortuna, o degli eserciti propri o altrui (mercenari o di potenti alleati)). In particolare nel celebre capitolo 7 è presente il famoso ritratto di Cesare Borgia, che salito al potere attraverso strumenti inaffidabili come fortuna e armi altrui, lo consolida procurandosi eserciti propri e ricorrendo alla propria virtù, non morale, ma esclusivamente politica e operativa Cap. X: valutazione delle forze militari Cap. XI: principati ecclesiastici, in cui il fondamento del potere è la sacralità (questa parte pare corrispondere alla sintesi dei contenuti presentata nella lettera al Vettori e nella dedica) • Capp. XII-XIV: discussione del problema delle milizie. Approfondimento sulle tipologie di eserciti e sulla preparazione militare del principe, in cui si rimarca la centralità della guerra, e del controllo della violenza, nell’esercizio del potere • Capp. XV-XXIII: le qualità e i comportamenti del principe: dedicata alle caratteristiche che permettono a un principe di conservare il potere, o che al contrario glielo fanno perdere Questi capitoli hanno contribuito a dare a Macchiavelli la figura dello scaltro e dello spregiudicato. L’idea di fondo che sta dietro il suo pensamento è “il fine giustifica i mezzi”: cioè ogni mezzo è lecito per giungere al fine che ci prefissiamo. Il principe ha come scopo quello di potenziare e migliorare sempre di più il suo principato e per raggiungere questo scopo non deve avere scrupoli, può essere crudele, può essere calcolatore con adulatori, amici e alleati, sempre bilanciando però cinismo e bontà, perché un principe cattivo non sarebbe stato accettato. Sarà quindi un principe saggio, razionale e benevolo, capace di essere furbo e forte Macchiavelli effettua una distinzione tra la crudeltà del regnante che può essere: IL PRINCIPE • bene usata, cioè quando vi è una vera necessità: la crudeltà deve sempre avere come scopo il bene dello stato e dei sudditi • male usata, cioè quando il regnante si trasforma in un tiranno, crudeltà che in questo caso fa si che i vantaggi siano esclusivamente del tiranno Cap. XV: sorta di secondo prologo: la «verità effettuale» Cap. XVI: liberalità e parsimonia Cap. XVII: crudeltà e pietà Cap. XVIII: lealtà e slealtà Cap. XIX: come rifuggire il disprezzo e l’odio Capp. XX-XIII: varie questioni pratiche •Cap. XXIV-XXVI Cap. XXIV: le ragioni della situazione italiana Cap. XXV: ruolo della fortuna e alla ridotta possibilità dell’uomo di resisterle o guidarla, si può prevalere solo quando i tempi si accordano alle nostre caratteristiche comportamentali (il cosiddetto riscontro) La fortuna è intesa come il “destino”, il corso degli eventi esterni contro cui un essere umano non può intervenire direttamente e che possono essere favorevoli o contrari ai nostri piani. Per riuscire ad affrontare i capricci della fortuna, l’uomo deve essere dotato di una virtù incrollabile, la base del suo essere e della sua persona, tutto ciò su cui fare affidamento Cap. XXVI: esortazione al principe-dedicatario, ovvero i Medici, a liberare l’Italia dagli stranieri→ exortatio ai Medici di porsi alla testa di una riscossa italiana nei confronti delle nazioni che hanno occupato l’Italia. Incoraggia in particolare Lorenzo, che esorta a mettersi a capo degli stati italiani e a guidare il paese verso una nuova era, scacciando gli invasori stranieri e restituendo il paese ai regnanti Machiavelli vuole proporre al nuovo principe i suggerimenti che ha maturato e che servono per creare una nuova unità statale, per mantenerla, evitando che ruini: lo stato è una costruzione, un edificio, ma la ruina incombe costantemente sulle cose del mondo, soprattutto sui fragili edifici dell’Italia del tempo. Macchiavelli pensa di poter dar vita a un principato nuovo che possa avere una solidità: un rimedio contro la fragilità dell’Italia del tempo STILE • Lo stile del Principe è perfettamente corrispondente all’impostazione concettuale del trattato • Obiettivo: efficacia → la paratassi prevale sull’ipotassi • Procedimento ‘dilemmatico’: il ragionamento si organizza per coppie oppositive. O…o (aut..aut) per cui di ogni questione indica sempre articolazioni alternative o soluzioni estreme o opposte. La propensione di Macchiavelli alla proposta di situazioni estreme e di soluzioni nettamente contrapposte, escludendo il ricorso a vie di mezzo, si traduce sul piano linguistico in un periodare fatto di dilemmi successivi e costruito su una serie di antitesi, nelle quali gli elementi concettuali sono contrapposti l’uno all’altro • prosa “tentacolare” (che abbraccia più concetti): a ogni periodo Macchiavelli aggiunge qualcosa in più, come se volesse chiarire qualcosa con sé stesso • «linguaggio della necessità»: ciò che viene proposto è imposto dalla logica stessa delle cose • Nessi causali che legano tra loro affermazioni apodittiche (verità date per certe, indimostrabili) • Adozione di immagini attinte dall’esperienza quotidiana o che sono in grado di colpire la fantasia del lettore • Creazione di un lessico tecnico attraverso l’applicazione alla politica di una serie di parole prese da altri campi scontro tra fortuna e virtù (*capitolo 25) due forze antagoniste e insieme concorrenti nel campo dell’azione politica delineato da Macchiavelli virtù: coincide nel Principe con la capacità dinamica e operativa di sostenere il contrasto con la “fortuna” e con la forza dei tempi, di affrontare in maniera brillante le situazioni più complicate (efficacia dell’azione dell’uomo in quanto partecipe di una società). Macchiavelli, nonostante il suo pessimismo, aveva molta fiducia nei confronti dell’agire umano, riconoscendone tuttavia i propri limiti. saputo efficacemente operare degli inganni, hanno superato coloro i quali avevano fondato il proprio comportamento sulla lealtà (SI NOTI IL PROCEDIMENTO DICOTOMICO) Un principe deve sapersi servire delle leggi e della forza. Si deve usare di volta in volta ciò che serve per raggiungere un determinato fine: si tratta di scegliere ciò che appare più opportuno. Confronto con il De officiis di Cicerone (sui doveri, di Cicerone) «Nam cum sint duo genera decertandi, unum per disceptationem, alterum per vim, cumque illud proprium sit hominis, hoc beluarum, confugiendum est ad posterius, si uti non licet superiore» (De off. I 34). Infatti poiché due sono i modi di combattere, l’uno per mezzo della discussione, l’altro per mezzo della forza, e poiché il primo è proprio dell’uomo mentre il secondo è delle bestie, bisogna ricorrere a quest’ultimo se non si può fare uso del primo Cicerone ammette che a volte bisogna ricorrere alla forza come una soluzione estrema. Machiavelli dice invece che è inevitabili, ribaltando un po’ il modello La dimensione dell’astuzia rientra nella componente ferina della politica, rappresenta un agire bestiale perché comporta di infrangere la parola data Sendo dunque necessitato uno principe sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione: perché el lione non si difende da’ lacci, la golpe non si difende da’ lupi; bisogna adunque essere golpe a conoscere e’ lacci, e lione a sbigottire e’ lupi: coloro che stanno semplicemente in sul lione, non se ne intendono. Non può pertanto uno signore prudente, né debbe, osservare la fede quando tale osservanzia gli torni contro e che sono spente le cagioni che la feciono promettere. «Cum autem duobus modis, id est aut vi aut fraude, fiat iniuria, fraus quasi vulpeculae, vis leonis videtur: utrumque homine alienissimum, sed fraus odio digna maiore» (De off. I 41) ‘Poiché invero si commette ingiustizia in due modi, cioè o con la violenza o con la frode, la frode sembra propria di una piccola volpe astuta, la violenza del leone: entrambi i modi sono del tutto estranei alla natura dell’uomo, ma la frode è degna di maggior disprezzo’ Macchiavelli però sottolinea come la frode sia un elemento necessario. Lo fa ricavando l’esempio da personaggi del suo tempo LE NORME ENUNCIATE DA MACHIAVELLI • «Quanto sia laudabile … tamen …»; «si vede … quelli principi avere fatto gran cose, che della fede hanno tenuto poco conto, e che hanno saputo con l’astuzia aggirare e’ cervelli degli uomini» • «Dovete adunque sapere come sono dua generazioni di combattere: l’uno, con le legge; l’altro, con la forza …»; «bisogna a uno principe sapere usare l’una e l’altra natura» • «Sendo dunque necessitato uno principe sapere bene usare la bestia, debbe di quelle pigliare la golpe e il lione …» • «Non può pertanto uno signore prudente né debbe osservare la fede quando tale osservanzia gli torni contro …» • «A uno principe adunque non è necessario avere in fatto tutte le soprascritte qualità [pietà, fedeltà, umanità, integrità, religiosità], ma è bene necessario parere di averle» • «bisogna … non partirsi dal bene, potendo, ma sapere entrare nel male, necessitato …» • «Debbe adunque avere uno principe gran cura che non gli esca mai di bocca cosa che non sia piena delle soprascritte cinque qualità …» • «Facci dunque uno principe di vincere e mantenere lo stato: e’ mezzi sempre fieno iudicati onorevoli …» • Esperienza ed esempi: «si vede per esperienza ne’ nostri tempi»; «Di questo se ne potrebbe dare infiniti esempli moderni …»; «Io non voglio delli esempli freschi tacerne uno. Alessandro sesto non fece mai altro, non pensò mai ad altro …»; [«uno principe e massime uno principe nuovo non può osservare tutte quelle cose per le quali gli uomini sono chiamati buoni …»]; «Alcuno principe de’ presenti tempi …» • Antropologia negativa: «E se li uomini fussino tutti buoni questo precetto non sarebbe buono, ma perché e’ sono tristi …»; «e sono tanto semplici gli uomini …»; «E li uomini in universali iudicano più alli occhi che alle mani …»; «el vulgo ne va preso con quello che pare e con lo evento della cosa: e nel mondo non è se non vulgo» radicale pessimismo antropologico: il male è nella natura umana e gli uomini sono tutti egoisti e malvagi, perciò per governarli efficacemente il principe deve essere, o imparare a essere, più spietato e malvagio di loro e per farlo doveva essere coraggioso ad imbrogliare, crudele e spregiudicato ma soltanto quando se ne aveva l’effettiva esigenza (spregiudicatezza, crudeltà e inganno come prezzo dell’azione). L’intelligenza politica è infatti insieme scaltrezza, spregiudicatezza e capacità di fronteggiare i capricci della sorte, sfruttando quella favorevole e predisponendo per tempo ripari efficaci contro quella avversa Il bene e il male e la loro opposizione non vengono messi in discussione da Macchiavelli, piuttosto egli vuole avvertire che, quando siamo necessitati a compiere il male per la sicurezza e il benessere dello Stato, è inutile fingere ipocritamente il contrario, appunto di male si tratta • Auctoritas: «Questa parte è suta insegnata alli principi copertamente da li antichi scrittori» Il Principe può essere considerato il testo che fonda la scienza politica moderna proprio per le sue posizioni di radicale audacia nella lettura disincantata della realtà dei meccanismi della politica e della psicologia umana Machiavelli si cimentò anche, con traduzioni e opere originali, nel genere teatrale della commedia, che all’inizio del Cinquecento aveva conosciuto una nuova fioritura grazie ai testi in volgare che riprendevano lo schema classico delle commedie di Plauto e Terenzio, adattandolo al mondo moderno e fondendo trame e personaggi desunti dai modelli classici con spunti che derivavano in particolare dalle novelle di Boccaccio. La commedia rinascimentale • Il teatro svolge una funzione molto importante nel sistema dei generi letterari del Rinascimento • La produzione di commedie nel primo Cinquecento è preceduta da «una lunga incubazione» (Giorgio Padoan) nel Quattrocento La nascita del teatro moderno: Ariosto • 5 marzo 1508: rappresentazione della Cassaria di Ludovico Ariosto, «prima commedia in volgare di saldo impianto classico ma di intreccio originale» (Padoan) • La commedia risente delle difficoltà di adattamento del modello plautino e dell’inaugurazione di un genere • Il testo presenta frequenti cenni alla contemporaneità, anche con elementi di critica e satira nei confronti della società del tempo. • 1509: Suppositi: commedia ambientata nella Ferrara contemporanea • 1510: vengono stampate Cassaria e Suppositi • 1519: rappresentazione a Roma dei Suppositi, con apparati di Raffaello • Successivamente Ariosto scrive altre commedie, in versi, Lena e Negromante, e volge in versi Cassaria e Suppositi Prima della Mandragola • Nell’incubazione del teatro cinquecentesco vanno considerati anche adattamenti e rifacimenti di novelle del Decameron • 6 febbraio 1513, rappresentazione a Urbino della Calandria del toscano Bernardo Dovizi detto il Bibbiena (segretario dei Medici, poco dopo nominato cardinale), con regia di Baldassarre Castiglione; poi nel 1514: rappresentazione a Roma (rilanciata da Leone X come capitale di vita teatrale) • Occasione: rinnovamento dell’alleanza tra dinastia urbinate e Medici; recita inserita in una festa molto fastosa • La commedia desume la trama da novelle del Decameron, immettendo questo modello nella struttura teatrale classicista con risultati superiori a quelli del primo Ariosto • Prologo: rivendicazione della modernità di una commedia scritta in prosa e in volgare La Mandragola è di datazione non del tutto certa, risale probabilmente al 1518 o 1519. Si tratta dell’opera di maggiore spicco del teatro comico cinquecentesco. L’opera si inserisce in un filone teatrale vivo a Firenze, ma superando qualunque esempio fiorentino coevo (e adottando la prosa). LA MANDRAGOLA Nel Prologo Macchiavelli manifesta il proprio rammarico per la lontananza dall’impegno politico-amministrativo. La commedia è stata letta in chiave politica: il personaggio di Callimaco sarebbe Lorenzo duca di Urbino, che conquista Lucrezia (Firenze) grazie alla Chiesa (Timoteo) dopo averla sottratta a Nicia (Soderini). Tuttavia il nesso con la produzione politica di M. risiede soprattutto nella volontà di portare allo scoperto le leggi che governano i rapporti sociali La commedia ha toni profondamente amari, con personaggi cinici, egoisti e sciocchi che riflettono la prospettiva dell’autore sugli uomini e la sorte. Machiavelli non celebra il piacere dei sensi, e neppure esalta l’ingegno dei beffatori. Piuttosto si limita a costatare freddamente che il mondo si divide fra astuti ingannatori e ingenui ingannati. Ma la realtà in cui si situa la loro azione è ormai così degradata che il riso degli spettatori e dei lettori non è mai liberatorio: anche coloro che conducono l'azione e ordiscono la beffa sono prigionieri dello stesso orizzonte piccolo e meschino delle loro vittime. Si riflette, in questa prospettiva di degrada-zione, la situazione stessa della crisi politica italiana: e infatti il Prologo collega strettamente la commedia al «secol presente» che «per tutto traligna» dall'«antica virtù» • Callimaco (‘valoroso in battaglia’) Guadagni: giovane innamorato, inizialmente per fama • Nicia (da nike, ‘vittoria’) Calfucci: dottore in legge, marito anziano, è un tipico esempio di sciocco presuntuoso, che non riesce a rendersi conto di quello che accade sotto i suoi occhi: tutto ciò a cui aspira è avere un erede • Lucrezia: donna virtuosa e devota, si piega al piano del marito e poi alla condizione di amante • Ligurio (da ligurrire: ‘piluccare’): personaggio del parassita, che agisce però più per amore della beffa in sé che per guadagno personale • Timoteo (‘colui che onora Dio’): frate disponibile a infrangere le norme religiose per denaro • Sostrata (nome da Terenzio): madre di Lucrezia, aliena anch’essa da scrupoli morali pur di avere un nipote La commedia prende il titolo da una erba medicinale, la mandragola che avrebbe la virtù di combattere la sterilità delle donne. Nicia, dottore in legge ma persona semplice e meschina, cade nell'inganno tesogli da Callimaco, che è innamorato della moglie di lui, Lucrezia, bellissima ma savia e onesta. Callimaco si avvale dei consigli dal parassita Ligurio, freddo calcolatore e stratega della beffa. Poiché Nicia vuole avere un figlio, Ligurio lo convince che l'unico modo per avere figli sia far bere alla moglie una pozione di mandragola, avvertendolo però - sta qui l'astuzia - che la prima persona che giacerà con Lucrezia ne assorbirà il veleno e morirà entro otto giorni. Occorre dunque trovare qualcuno che si presti, a sua insaputa, a morire al posto del marito. Ovviamente questo qualcuno sarà Callimaco stesso, che così potrà per una notte godersi Lucrezia con il consenso del marito. Più difficile è convincere Lucrezia, che viene indotta ad accettare il gioco solo quando la madre, Sostrata, e il confessore, Timoteo, la forzano a tale passo. Alla fine Lucrezia, dopo la notte d'amore con Callimaco, deciderà di avere con lui una relazione duratura La commedia non ci parla di un vero guadagno: si muove per amore della beffa, dell’inganno. Tutti, tranne Lucrezia, hanno qualcosa di bieco e di sinistro, si è visto in lei qualcosa del principe machiavelliano nelle sue capacità di respingere le ipocrisie e le mezze misure e di adattarsi alle circostanze mutando con esse Lucrezia prende il nome dall’eroina romana violata dal figlio di Tarquinio il Superbo e che si dà la morte per la vergogna. La Lucrezia della Mandragola costituisce il rovesciamento del personaggio storico liviano. Anche alcuni particolari della trama della commedia di M. presuppongono il testo di Livio «preso atto che marito, madre e confessore ve l’hanno costretta, non potendo vivere onestamente in una società tanto corrotta, Lucrezia prende coscienza di sé e del mondo che la circonda e, impossibilitata a vivere il bene, almeno vive onorevolmente il male; ed acconsente ad avere Callimaco come amante perché è lei stessa ora, consapevolmente e di propria libera scelta, a volerlo. Conclusione dirompente, poiché, come in alcune novelle decameroniane, sancisce l’adulterio, a fronte delle conclusioni tradizionali che pretendevano nozze legittime e trionfo dell’ordine stabilito»
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