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Novecento - Detti Gozzini, Sintesi del corso di Storia Contemporanea

Riassunto dei capitoli 1, 2, 3, 4, 5

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 18/03/2022

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andehm_ 🇮🇹

4.5

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3 documenti

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Scarica Novecento - Detti Gozzini e più Sintesi del corso in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! I. La grande guerra La guerra del 1914-1918 fu uno spartiacque tra due epoche storiche. Gli Stati coinvolti erano anche extra- europei, come Stati Uniti e Giappone; il conflitto assunse quindi una portata mondiale. Eserciti così grandi non si erano mai visti ed il loro potenziale distruttivo fu accresciuto con l’impiego di apparati industriali e tecnologie belliche sviluppatesi a ritmo sostenuto nell’epoca precedente. Su scala mondiale la prima guerra mondiale ebbe alcuni effetti, primo tra tutti la dissoluzione di quattro imperi: quello russo a causa di una rivoluzione; quello asburgico che diede vite a numerose realtà nazionali; quello tedesco soppiantato da una repubblica democratica; quello ottomano che diede inizio ad una lunga crisi. Gli Stati Uniti soppiantarono poi la Gran Bretagna come superpotenza mondiale e i numerosi contrasti politici e sociali diedero ufficialmente fine a l’”ancien régime”. La portata degli eventi non erano ben chiari ai contemporanei che furono sorpresi anche dai rapidi sviluppi e dagli esiti che la guerra dava. Il fatto che scatenò la guerra fu l’omicidio di Francesco Ferdinando d’Austria che il 28 giugno 1914 si trovava in visita ufficiale a Sarajevo. Il colpo fu messo in atto da un gruppo irredentista slavo. L’Austria incolpò la Serbia, considerata a Vienna un terreno molto pericoloso. Ottenuto l’appoggio della Germania, l’Austria inviò il 23 luglio un ultimatum a Belgrado richiedendo numerose misure per far cessare l’attività antiaustriaca: si esigeva una risposta entro 48 ore, la Serbia accettando avrebbe rinunciato alla sua sovranità e si sarebbe istituita una commissione di investigazione con rappresentanti austriaci. Determinata a chiudere definitivamente la partita, il 28 luglio l’Austria dichiarò guerra. Entrarono in gioco delle alleanze che spaccarono l’Europa. La Russia proteggeva la Serbia e mosse le sue truppe. Altrettanto fulminea fu la risposta della Germania che chiese alla Russia di smobilitare e alla Francia di restare neutrale; ricevette risposte negative da entrambe le parti e dichiarò guerra. Il 4 agosto invase il Belgio che si era dichiarato neutrale. A fianco di Francia e Belgio intervenne la Gran Bretagna. L’Italia si dichiarò neutrale ed il 23 agosto il Giappone attaccò la Germania per frenare le sue posizioni in Oriente. Dall’attentato di Sarajevo all’inizio della guerra passò più di un mese in cui tutte le potenze europee si intrecciarono in una serie di alleanze, scambi di informazioni e avvertimenti. Il trattato di pace del 1919 individuò nell’aggressione tedesca la causa della guerra, ma analisi successive individuarono nell’aggressività austriaca la vera responsabilità. Russia e Francia stettero al gioco e accettarono il rischio di un conflitto, ma la sola potenza che intraprese la via del dialogo fu la Gran Bretagna che, inascoltata, si scontrò con gli altri paesi. La storiografia si è concentrata sulla condotta dei singoli stati. I ceti politici agivano infatti secondo il “dilemma della sicurezza”: accrescere la propria significa diminuire quella altrui. Così quindi l’Austria avvertì il pericolo nella corsa agli armamenti della Serbia e la sua azione ebbe una conseguenza sulla Russia. Queste tensioni erano il risultato della trama di rapporti internazionali e si erano acuite per due motivi: l’esaurirsi della corsa alle colonie e il crescente bipolarismo tra Triplice Alleanza (Austria, Germania, Italia) e Triplice Intesa (Francia, Russia, Inghilterra). La guerra non fu lo sbocco di una situazione predeterminata ed è impossibile decifrarne la causa, dal momento che queste sono diverse e numerose: rivalità imperialiste, corsa agli armamenti, tensioni internazionali, crescita dei movimenti nazionalisti e i problemi sociali in ogni paese. Tuttavia gli eventi del luglio 1914 condizionarono molto le decisioni di quei giorni, ma i regnanti europei erano abituati a guerre di breve durata e territorialmente circoscritte. Le aspettative basate sulle esperienze passate furono deluse. Il caso più noto di disposizione strategico-militare offensiva era il “piano Schlieffen” che prevedeva una veloce campagna contro la Francia con l’attraversamento del Belgio. Questo piano influì molto sulla crisi, dando al potere politico tedesco una valutazione del rischio e accelerando le sue decisioni. Nonostante alcune vittorie iniziali, il piano fallì a causa della risposta franco-inglese. Si capì subito che non si sarebbe trattato di una campagna-lampo di annientamento. Alla fine del 1914 la guerra diventò di posizione. Le battaglie seguenti riproposero le stesse dinamiche. Nel 1915 la situazione era a favore della Triplice sul fronte balcanico ed occidentale, dove la Russia era stata costretta a indietreggiare. Nel 1916 cinque mesi di assalto non permisero ai tedeschi di entrare a Verdun, furono poi gli inglesi ed i francesi ad uscirne vittoriosi dal campo della Somme. Intanto nel 1915-1917 l’Italia cambiò schieramento e riuscì a tenere testa all’Austria sul fiume Isonzo. Nel 1917 a Caporetto venne arginato uno sfondamento delle linee italiane dopo il fallimento di due campagne franco-inglesi. Nel 1918 l’ultima offensiva tedesca venne fermata. Queste battaglie presentavano alcuni tratti in comune dovuti all’equilibrio militare fra le parti che annullò ogni tentativo di vittoria sul campo. Quella del 1914-1918 fu una terribile guerra di logoramento. Un’altra atrocità della guerra fu il genocidio che il popolo armeno dovette subire. La Turchia usò l’Armenia come capro espiatorio a tutte le sue disfatte belliche, furono quindi considerati disfattisti. Dal 1915 le popolazioni di Cilicia ed Armenia vennero sottoposte a massacri e a deportazioni. La peculiarità di questa guerra sta nel fatto che fosse una “guerra di massa”. I soldati erano inizialmente 6 milioni e arrivarono ad essere intorno ai 65 milioni. L’altra novità risiede invece nel mix di qualità e quantità impiegate nei combattimenti da cui era già possibile osservarne la “tragica modernità”. Nel 1915 la Germania iniziò ad usare una nuova arma: il gas asfissiante. Assieme ad esso vi fu un massiccio impiego di polvere da sparo senza fumo e mitragliatrici portatili, ma anche di aerei da caccia che comunque non svolsero un ruolo cruciale. Vi fu un uso abbondante del telefono e del telegrafo, ma ben più importante fu l’uso della ferrovia per trasportare armamenti e approvvigionamenti. Le sorti della guerra furono giocate soprattutto sulle capacità delle singole potenze a reggere uno sforzo umano, sociale ed economico. Per questo motivo la società si trasformò completamente con lo scopo di produrre sempre più velocemente armi, mandare uomini al fronte e alimentare gli eserciti. La vittoria sarebbe quindi andata a chi avesse retto più a lungo. Da questo punto di vista fu fondamentale la forza marittima inglese che impedì alla Germania di rifornirsi di generi alimentari dall’estero. La flotta tedesca non era infatti abile e potente come quella della Gran Bretagna. Il crollo orientale dovuto al collasso della Russia portò gli eventi a favore degli Imperi centrali, ma entrò in gioco la potenza statunitense che riportò la vittorio all’Intesa. La Germania e l’Austria erano ormai alla fame e con l’ultima controffensiva subita oltre la Marna, il 4 ottobre si risolsero a chiedere un armistizio. La vera svolta delle operazioni si ebbe con la battaglia di Amiens in cui vi fu un’azione coordinata di truppe di terra, artiglieria ed aviazione, ma soprattutto vi fu per la prima volta l’impiego massiccio di carri armati. L’apparato produttivo dei paesi belligeranti ebbe una fortissima sollecitazione che produsse una crescita delle industrie agli armamenti. Nei paesi meno progrediti come Francia ed Italia, questa spinto portò a compimento il processo di industrializzazione. Si ebbe quindi un intervento profondo dello Stato nell’economia con un controllo capillare della produzione. Vennero istituiti prima in Germania ed Inghilterra, poi in Francia ed Italia dei Comitati governativi per la mobilitazione industriale. I generi alimentari vennero razionati perché il blocco dei commerci con l’estero annullò i rifornimenti. Nei paesi ancora con un’economia agricola come la Francia e l’Italia questo fu causato dalla chiamata alle armi dei contadini. Per far fronte ai costi della guerra esistevano tre modi: imporre tasse, stampare carta moneta o indebitarsi. Un aumento delle tasse indirette non diede i risultati sperati dal momento che si abbassò la consumazione dei beni e del tenore di vita. Neppure i prestiti nazionali garantirono un gettito adeguato, per questo motivo l’Intesa finanziò la guerra con un sistema di prestiti internazionali che portò i paesi più poveri ad indebitarsi con i più forti e in generale tutti quanti con gli Stati Uniti. Ne uscirono anche profondamente cambiati gli Stati nazionali. Questi allargarono così tanto le loro prerogative che abbandonarono nel passato il modello elitario, liberale e liberista dell’Ottocento. A far sorgere uno Stato centralizzato, burocratico ed interventista fu anche l’ampiezza della mobilitazione di massa a cui fu sottoposta la società del tempo. L’intervento statale fu infatti caratterizzato da repressione e contemporanea ricerca di consensi. In risposta alla guerra vennero istituiti uffici per tenere alto il morale delle truppe, pubblicati giornali di I paesi vincitori si riunirono a Versailles nel 1919 per ridisegnare l’aspetto dell’Europa. I rappresentanti erano Wilson per gli Stati Uniti, Lloyd George per la Gran Bretagna, Clemenceau per la Francia ed Orlando per l’Italia. I paesi vinti furono invece esclusi ed i trattati gli furono imposti senza possibilità di discussione. I princìpi esposti però incontrarono il dissenso della Francia che aveva intenzione di annientare economicamente la Germania per soppiantarla nell’egemonia d’Europa. L’Inghilterra assecondava le sue proposte anche non condividendole perché bisognosa dell’appoggio francese in campo coloniale. Il ruolo italiano fu invece di secondo piano e d’inferiorità. Il risultato fu una pace punitiva per i vinti. La decisione più importante fu imposta alla Germania che dovette cedere l’Alsazia e la Lorena alla Francia e parte del suo territorio a Danimarca e Polonia. A questa fu dato uno sbocco sul mare con un corridoio fino a Danzica. Inghilterra e Francia invece si spartirono le colonie tedesche, eliminarono la flotta e ridussero l’esercito. La Germania dovette inoltre pagare una cifra di “risarcimento” dei danni di guerra verso le potenze vincitrici. Dal collasso dell’Impero asburgico, all’Italia tocco Trieste, l’Istria, il Trentino ed il Sud Tirolo. Furono riconosciute indipendente l’Ungheria, la Cecoslovacchia e l’Austria tedesca. La Galizia ritornò alla Polonia. Serbia, Bosnia, Croazia, Montenegro e Slovenia andarono a formare il Regno di Jugoslavia. La Bulgaria fu ridimensionata a favore della Grecia, della Romania e della Jugoslavia. Alla Turchia rimasero solo Istanbul e la penisola anatolica; lo stretto del Bosforo e quello dei Dardanelli furono internazionalizzati. Smirne e le isole egee andarono alla Grecia, il Dodecaneso e Rodi all’Italia, Cipro all’Inghilterra. Francia e Inghilterra presero anche territori del disgregato Impero ottomano riconoscendo come mandati francesi il Libano e la Siria, come mandati inglese la Palestina e Iraq. Per i territori del centro Europa e della penisola balcanica non era in effetti possibile tracciare dei confini precisi a casa della grande presenza di minoranza più o meno consistenti. Il nuovo assetto europeo venne fuori da un compromesso della politica di Wilson con politica imperialista di Gran Bretagna e Francia. Il presidente americano fece anche inserire a Versailles l’atto costitutivo della Società delle Nazioni che avrebbe dovuto fare da arbitro nelle dispute internazionali. Questo ruolo non lo ricoprì mai sicché rimase asservita nelle mani di Francia e Inghilterra. Il Senato americano non ratificò neanche l’atto e così la Nazione stessa non ne entrò mai, tornando quindi al suo isolazionismo. I nuovi assetti non fecero altro che alimentare nuovi antagonisti. La pace imposta alla Germania era di fatto umiliante e scatenò numerosi rancori e voglia di rivincita. La Nazione, non trovando altro modo per far fronte alle spese, stampò carta moneta alimentando una grossa inflazione. Parallelamente, in Turchia, un movimento nazionalista simile a quelli dei Giovani Turchi e guidato da Mustafa Kemal, spodestò il sultano, scacciò i greci dall’Anatolia e nel 1923 dichiarò una repubblica laica. Tra il 1918 ed il 1920 la Russia fu scossa da una guerra civile scatenata dalle opposizioni di destra e dai socialrivoluzionari appoggiati dalle forze dell’Intesa. Contemporaneamente ci fu una carestia che i bolscevichi cercarono di risolvere con la requisizione forzata di alimenti. In diverse zone del paese alcuni generali zaristi fondarono delle dittature militari, truppe dell’Intesa sbarcarono sul territorio russo per aiutare i bianchi dimostrando ancora una volta l’isolamento della repubblica sovietica. L’estate del 1918 ai “rossi” rimaneva soltanto il territorio intorno a Mosca. I socialrivoluzionari scatenavano un’ondata di terrorismo che fu contrastata dall’Armata Rossa, ovvero un esercito bolscevico guidato da Trockij, il numero due del partito e ministro della Guerra. I sovieti furono esautorati dall’instaurarsi di una dittatura partitica che nel 1918 prese il nome di “Partito Comunista”. Venne anche fondata la Čeka, ovvero una polizia politica usata come strumento di terrore di cui rimase vittima anche Nicola II con la sua famiglia. Nel 1919 l’Armata Rossa riuscì a riconquistare maggior parte dei suoi territori e all’inizio del 1920 la guerra civile si risolse; ma la repubblica sovietica dovette ancora sostenere un conflitto con la Polonia che aveva attaccato l’Ucraina. La sconfitta russa alle porte di Varsavia sancì definitivamente il ciclo bellico iniziato nel 1914. In tempi di guerra, il sistema economico instaurato venne chiamato “comunismo di guerra”. Questo fu il risultato dell’esigenza di sopravvivere da una situazione così difficile, ma anche dall’utopia bolscevica di voler creare le basi per uno stato comunista. La vita economica venne trasferita completamente nelle mani dello Stato che ne deteneva i mezzi di produzione e distribuzione. Il comunismo di guerra fu un completo fallimento soprattutto a causa dei suoi difetti: una burocrazia lenta ed inefficiente, scarsa qualità dei prodotti e rivolte popolari dei contadini che piantavano il minimo indispensabile. Il punto limite della crisi giunse nel 1921 quando i marinai di Kronstadt si ammutinarono chiedendo la fine del comunismo di guerra, libere elezioni e una maggiore libertà economica. I bolscevichi organizzarono allora una nuova politica economica che venne schiacciata nel sangue. La guerra lasciò l’Europa in preda ad un’acuta conflittualità sociale. Le tensioni sociali unite alla suggestione che i fatti russi avevano scatenato, fece parlare del 1919-1920 come il “biennio rosso”. Prima ancora dell’armistizio, in Germania si crearono dei consigli operai e dei lavoratori che chiedevano una rappresentanza diversa da quella parlamentare. Il Kaiser Guglielmo II fu costretto ad abdicare e l’incarico di cancelliere passò nelle mani di Friedrich Ebert, un socialista. La Germania si trasformò quindi in una repubblica con un’ambigua collaborazione di nuovi e vecchi poteri. Nel 1919, l’esempio bolscevico spinse alcuni settori dell’estrema sinistra ad insorgere a Berlino. La rivolta fu duramente repressa ed i leader comunisti Karl Liebknecht e Rosa Luxemburg vennero assassinati dai “corpi franchi”, una milizia assoldata al ministro Gustav Noske. Nelle elezioni dell’Assemblea costituente, la SPD conquistò la maggioranza e scelse di allearsi con i partiti di centro. S’instaurò così una repubblica parlamentare, ma rimasero la burocrazia ed il sistema economico-sociale pilastri del Reich. In Austria il passaggio alla repubblica avvenne in modo più pacifico in accordo con i partiti borghesi. L’influenza dei socialdemocratici andò via via sfumando. In Ungheria le cose andarono invece diversamente. Un malcontento inondò il governo nel 1919 a causa della fame, della disoccupazione e della perdita dei territori con i trattati di pace. Sotto la spinta degli operai organizzati in consigli, il partito comunista e quello socialdemocratico si unirono per dar vita ad un governo guidato da Béla Kun, il quale istituì una repubblica sovietica. Questa non durò a lungo a causa dell’aggressione da parte di Romania e Cecoslovacchia. Kun si dimise e Miklós Hurthy instaurò una dittatura controrivoluzionaria. La caduta per ultimo dell’Ungheria segnò la fine di ogni pretesa rivoluzionaria in Europa. I bolscevichi avevano fondato nel 1919 una nuova organizzazione internazionale, il Comintern. Nel suo secondo congresso si impose ai aderenti di distaccarsi dai socialisti riformisti. Questa politica accolse seguito in Germania ed in Francia. In Italia invece la scissione fu di poca importanza e la socialdemocrazia mantenne il controllo sui lavoratori. L’Italia era il paese dopo la Germania in cui si prevedeva una rivoluzione. Nel 1919-1920 gli scioperi operai ebbero un aumento e si ottennero anche alcune conquiste. Gli scioperi coinvolsero una vasta parte dei braccianti della Valle Padana, ma procurarono alle “leghe rosse” il controllo dei collocamenti. I lavoratori erano quindi assunti attraverso il sindacato che ne stabiliva quanti ne occorressero, monopolizzando il mercato del lavoro. Lo stacco più netto si ebbe però con la scesa in campo di alcune figure tradizionali del mondo rurale: i mezzadri ed gli ex fanti-contadini. Questo protagonismo delle masse si riflesse in una crescita dei sindacati. Alle elezioni del 1919, ottenne molto successo il Partito Popolare fondato da don Luigi Sturzo che inaugurò la presenza stabile dei cattolici nella vita italiana. I governi presieduti tra il 1919 ed il 1921 da Francesco Saverio Nitti e Giolitti vararono alcune riforme importanti, tra cui quella del sistema elettorale proporzionato che favorì l’ascesa di partiti organizzati su scala nazionale. Una violenza antipopolare ed antisocialista ad opera degli apparati statali si verificò nel dopoguerra. L’occupazione delle fabbriche fu originata dall’intransigenza degli imprenditori propensi ad instaurare uno “Stato forte” che ripristinasse l’ordine. A questa seguirono numerose manifestazioni di nazionalismo che erano cresciute anche nell’ambiente bellico a causa della “vittoria mutilata”. Nel 1919 un corpo di militari volontari comandati da Gabriele D’Annunzio occupò la città di Fiume, non si ebbe nessun risultato, ma l’occupazione durò ben oltre un anno. In questo periodo venne fuori una nuova forza politiche fondata nel 1919 dall’ex socialista Benito Mussolini: il fascismo. Gli iniziali “Fasci di combattimento” riunivano piccoli gruppi di futuristi, ex sindacalisti rivoluzionari ed arditi. Il loro primo programma prevedeva alcuni punti della tradizione democratica e socialista, come la richiesta di un’assemblea costituente e la partecipazione dei lavoratori alla gestione dell’impresa. Dopo l’estate del 1920, il fascismo si organizzò in squadre d’azione con cui scatenò una guerra sociale: vennero annientate le organizzazioni socialiste e cattoliche. La reazione “squadrista” incontrò solo debole resistenze, ma godette dell’appoggio dello Stato e in generale dei ceti medi, dei liberali e dei cattolici più conservatori. Nel 1921-1922 la debolezza dei governi fece sì che lo Stato si avvicinasse sempre più al fascismo. Nel 1921 il movimento fascista fondò il Partito Nazionale Fascista. Nel 1922, Mussolini decise di far convergere su Roma tutte le sue “camicie nere”. Il re Vittorio Emanuele III assecondò la “marcia su Roma” e incaricò lo stesso Mussolini di creare un governo. Le tre alternative aperte dopo la guerra in Europa furono tre: rivoluzione, reazione e stabilizzazione. La prima avvenne in Russia. L’Italia invece fu scossa da esiti reazionari, insieme con l’Ungheria in cui una dittatura di Miklós Horthy si fondava sull’alleanza di Militari, clero e proprietari terrieri; lo stesso accadeva in Polonia con una dittatura populista di Jósef Piłsudski. Le situazioni erano instabili sia in Jugoslavia, scossa da tensioni interetniche, sia in Grecia dove la sconfitta turca aveva fatto instaurare un regime militare. La stessa cosa successe in Bulgaria. L’unica eccezione in quest’area fu la Cecoslovacchia dove Tomás Masaryk poté contare su una maggioranza borghese ed un’industrializzazione avanzata. La Repubblica portoghese nata nel 1910 aveva avuto una brutta conseguenza al suo intervento bellico; si susseguirono una serie di colpi di stato, l’ultimo dei quali instaurò una dittatura nel 1926. La stessa sorte toccò alla Spagna con il golpe del generale Miguel Primo de Rivera. Nonostante la sua neutralità, il paese aveva risentito della forte pressione degli indipendentisti catalani e baschi che svilupparono a Barcellona un movimento anarchico. Gli unici stati in cui si attuò un processo di stabilizzazione furono la Francia e la Gran Bretagna, che ebbero però profondi cambiamenti nei territori coloniali. Il presidente Lloyd George aveva accettato nel suo governo di guerra i rappresentanti dei dominions dell’impero britannico. Come sancito nella carta delle Società delle Nazioni, si prevedevano tre tipi di mandato: un periodo transitorio di tutela finalizzato al raggiungimento dell’indipendenza, un’amministrazione coloniale supervisionata dalla Società stessa ed un’incorporazione della colonia nella madrepatria. I giovani delle élite delle colonie venivano però mandati a studiare e formarsi in Europa dove vennero a contatto con forme organizzative e moti d’emancipazione dei ceti popolari; una volta tornati in patria riferivano ed attuavano ciò che avevano imparato ed osservato. Dovuta anche all’indebolimento della guerra, l’Inghilterra proclamò indipendente il Nepal e in seguito l’Afghanistan. Nei paesi arabi ed islamici si formarono delle correnti anticoloniali di stampo nazionalista. Le due realtà però non coincidevano: l’islam andava ben oltre i confini dell’impero ottomano, i paesi arabi si identificavano invece in una lingua comune. Quest’idea fu la base del “panarabismo”, un’ideologia laica che rivendicava l’unita della “nazione araba”. La Società panislamica fu invece guidata dai Fratelli Musulmani nell’Egitto del 1928 in cui si propose di portare la Shari’a nella vita civile al fine di obbligare i governanti alla giustizia sociale. La Francia e l’Inghilterra credevano che le colonia non avessero società pronte ad una democrazia indipendente. La Francia proseguì sempre su questa scia dichiarando la sua sovranità sulle colonie; la Gran Bretagna invece attuò una politica più dinamica ed aperta. Nel 1931 con una legge si definirono l’Inghilterra e le colonie “comunità autonoma all’interno dell’impero britannico, uguali per condizioni, senza essere subordinate l’una all’altra”. Ogni paese del Commonwealth aveva quindi diritto a creare una costituzione propria. Nel 1932 la conferenza di Ottawa fissò l’obiettivo di raggiungere l’autosufficienza economica dal resto del mondo. L’istituzione del Commonwealth segno l’indipendenza di tipo pacifico di molti paesi rispetto al destino di molte altre colonie in cui il cammino fu molto più doloroso. III. Economia e società tra le due guerre Nel Sud del paese il Ku Klux Klan raccolse quasi 5 milioni di aderenti; si trattava di un gruppo razzista xenofobo che praticava violenza nei confronti degli avversari e dei nemici della patria. Nelle grandi città l’ondata “moralista” ebbe effetti del tutto contrari. Aumentarono infatti i traffici illegali di alcool, associazioni che gestivano il gioco d’azzardo e la prostituzione. Nel 1932 fu anche arrestato il più pericoloso dei gangster Al Capone per evasione fiscale. Gli anni immediatamente dopo la guerra furono detti “i ruggenti anni venti”. Tra il 1922 ed il 1929 la produzione industriale aumentò vertiginosamente e la disoccupazione era ai minimi storici. La fabbrica era ormai un insieme di mansioni svolte in un tempo cronometrato per prodotti di serie. I salari aumentarono ed i lavoratori ebbero un maggiore potere d’acquisto. La prosperità si concentrava soltanto sui centri medio-grandi, per questo motivo molti agricoltori e persone senza fortuna lasciarono le campagna in cerca di una vita migliore. La rappresentanza politica fu per il decennio successivo di stampo repubblicano. Agivano secondo un indirizzo liberale all’interno del paese e protezionista verso l’esterno, anche se non mancavano le occasioni di violenta penetrazione nell’America centrale. Alla fine del decennio la recessione si allargò rapidamente ed i disoccupati raggiunsero quote record. Il presidente di allora, Hoover, rifiutò di intervenire concedendo sussidi assistenziali. Nel 1932 alcune manifestazioni di ex-combattenti furono represse nel sangue, ma la situazione cambiò con la vincita delle elezioni da parte di Franklin Delano Roosevelt. Roosevelt propose il “New deal”, cioè un “nuovo patto” in cui dichiarava che occorresse abbandonare il liberismo dei repubblicani e impegnare lo Stato in una lotta contro la crisi e la disoccupazione. I provvedimenti più urgenti erano per la svalutazione del dollaro e la differenziazione delle banche di deposito e banche di investimento. Per quanto riguarda l’agricoltura, si prevedeva l’inserimento dello Stato per regolarne la produzione ed evitare gli eccessi. Fu inoltre creata la “Tennessee Valley Authority” cioè un ente pubblico incaricato di regolare le acque del fiume Tennessee che vennero impiegate per la produzione di energia elettrica. L’opera diede lavoro alle regioni del Sud, per questo motivo Roosevelt decise di inserire nel bilancio pubblico grandi quote destinate ad opere pubbliche. Nel 1933 emanò la legge “Nation Industrial Recovery Act” che prevedeva un’agenzia governativa preposta alla politica industriale, questa fu definita incostituzionale nel 1935 perché danneggiava la libertà dei singoli stati. Da questa sconfitta del New Deal si capisce il suo carattere “capitalistico democratico”, un capitalismo cioè regolato dall’intervento statale. Vicino alla scadenza del suo mandato, Roosevelt decise di mettere in atto i suoi ultimi tre punti del programma. Il primo fu la costituzione del Works Progress Amministration, un ente rivolte alle opere pubbliche; il secondo fu il Wagner Act in cui si ridava potere e libertà ai sindacati precedentemente tolti con l’abolizione del Nation Industrial Recovery Act; il terzo punto fu il Social Security Act in cui si costituivano fondi in favore di anziani, disoccupati e invalidi. Nelle successive elezioni Roosevelt stravinse, era riuscito a portare l’economia ai livelli prebellici. La disoccupazione era però ancora alta, ma solo la seconda guerra mondiale seppe rimettere a posto gli equilibri. Nel periodo tra le due guerre la Gran Bretagna ottenne la stabilità con un sistema politico fondato sull’alternanza dei partiti al governo. Inoltre, nel 1918 vennero svolte le prime elezioni in cui le donne con più di 30 anni votarono. Il rapporto tra partito laburista e Trade Unions portò all’affermazione del moderatismo operaio, anche se il partito comunista fondato nel 1920 non ebbe mai un potere forte. La capacità inclusive del sistema politico non lo era per l’Irlanda. La guerra non aveva fatto imporre l’autogoverno del 1914 e le rivolte del 1916 furono duramente represse. Così nel 1919, il partito nazionalista “Sinn Fein”, letteralmente “noi soli”, proclamò l’indipendenza. Nel 1921 lo Stato libero d’Irlando venne riconosciuto da Londra come un “dominion” con un governo e poteri autonomi, fino al 1949 quando ottenne indipendenza assoluta. Nel 1924 si instaurò in Inghilterra il primo governo laburista guidato da Ramsay MacDonald, ma privo di una maggioranza parlamentare crollò dopo pochi mesi. Il potere ritornò allora nei seggi dei conservatori. Il presidente Stanley Baldwin con il primo ministro Churchill attuarono una politica economica con lo scopo di ridare alla sterlina la sua supremazia economica. Questa mossa fu pagata a caro prezzo dalle industrie più arretrare, nello specifico quella mineraria. Nonostante la rigida linea economica e le riforme protezioniste, il paese non riuscì a riprendersi. Alle elezioni del 1929 MacDonald fu riconfermato, ma la crisi trasformò la disoccupazione in un’emergenza. Nel 1931 i conti inglesi andarono in negativo per erogare i sussidi di disoccupazione che lo Stato aveva introdotto. Di fronte a questa situazione, MacDonald venne espulso dal partito perché contrario alle sue ideologie, formò un governo di unità nazionale. Furono adottati tagli sulla spesa pubblica e prelievi straordinari sugli stipendi di impiego pubblico. La sterlina venne svalutata ed il calo degli interessi favorì una ripresa degli investimenti. La “British Union of Fascist” fondata nel 1932 non ottenne mai il potere, neanche l’avvento di Hitler poté sbalzare gli equilibri pacifisti dell’opinione pubblica. La Francia uscì vincitrice dalla guerra, ma la sua condizione economica era simile a quella tedesca. Per la sua ricostruzione, Parigi dipendeva dal risarcimento tedesco e dai prestiti degli alleati. Il governo di centrodestra sorto nel 1919 avviò una politica deflattiva per stabilizzare l’economia. Questo spinse gli investitori a disfarsi dei capitali francesi e il franco si disprezzò. I partiti di sinistra furono vincitori delle elezioni nel 1924, ma nel 1925 il governo cadde e fu richiamato Poincaré che formò il governo nazionale senza socialisti. Con la svalutazione del franco del 1928, le esportazioni ne trassero beneficio e il bilancio statale tornò a crescere. I dissensi tra radicali e socialisti portarono ad un decennio di governi deboli e senza maggioranza, inoltre l’avanzata di Hitler portava ad un nuovo impulso dei partiti di destra. Nel 1926 nacquero dei gruppi paramilitari di origine fascista che si mobilitarono contro la repubblica. Questa minaccia spinse le forza di sinistra ad attuare una politica antifascista con a capo Maurice Thorez. Nel 1934 il partito radicale, socialista e comunista si unirono e formarono un Fronte popolare con un programma di riforme per aumentare il potere d’acquisto dei salari dei lavoratori, nazionalizzare l’industria bellica, rilanciare opere pubbliche e sciogliere le formazioni paramilitari. Il periodo di riforme però durò poco, nel 1937 il Senato si dimise e la Francia cadde in una pesante crisi, inizio delle pagine più nere della sua storia. L’Assemblea costituente tedesca affidò il governo ai socialdemocratici e ai partiti di centro. Il trattato di pace aveva ridotto del 15% le terre coltivabili e dell’80% la produzione di ferro. Le risposte furono molto agguerrite: alcuni partiti non riconobbero la repubblica, i comunisti volevano imporre un modello sovietico e altri ancora rifiutavano il trattato. La Costituzione di Weimar del 1919 diede alla Germania una forma di regime federale composto da 17 Stati regionali, detti Länder. Il parlamento era bicamerale formato da un Reichstag eletto a suffragio universale maschile e femminile, ed un Reichsrat composto dai rappresentanti dei Länder. Il presidente della repubblica aveva ampi poteri che gli consentivano di emettere ordinanze valide come leggi. La repubblica però fin dall’inizio ebbe una carenza di legittimazione, a questa cercarono di ovviare i partiti di centro e i socialdemocratici con compromessi con i poteri forti. La prima difficoltà fu il mantenimento della legalità. nel 1920 infatti i gruppi paramilitari tentarono senza successo un colpo militare. Le violenze erano innanzitutto di estrema destra ed interessarono gli anni 1919- 1922. L’ultimo tentativo, sempre senza successo, fu da parte del partito comunsita. La condizioni di perenne guerra civile peggiorò anche a causa della politica estera. Nel 1923 la Francia ed il Belgio occuparono la regione della Ruhr a causa del mancato pagamento dei risarcimenti di guerra. Lo stesso anno, la Germania fu colpita dalla più grande inflazione dell’occidente. Nel 1925 le truppe si ritirarono dalla Ruhr grazie anche all’intervento degli Stati Uniti, interessati a non perdere i rapporti con il loro principale debitore. Gli effetti positivi della ripresa economica favorirono anche i rapporti franco-tedesci. Nel 1925 si firmò il patto di Locarno in cui si stabilì che i confini di Francia, Germania e Belgio fossero intangibili. La Renania venne smilitarizzata. La ritrovava stabilità economica e diplomatica favorì un periodo di cultura tedesca. La Repubblica di Weimar non riuscì però a stabilizzare la bipolarità della politica tedesca. Alle elezioni presidenziali del 1925 vinse Paul Hindenburg, con cui l’elettorato si spostò a destra. Tra il 1919 ed il 1928 i tedeschi andarono alle urne cinque volte e non era per niente scontato che la crisi portasse ad un regime nazista. Nel patto pacifico di Versailles si considerarono anche altre opzioni, ma la crisi del 1929 fu letale. La sistemazione post-bellica dell’Europa centro-orientale aveva lasciato molti problemi aperti per quanto riguardava i confini. I nuovi stati erano stati costruiti in funzione antitedesca, erano però minati da contrasti interni etnici. L’Austria non aveva particolari questioni etniche interne, ma era molto accentuato il contrasto tra città e campagna. Alle elezioni del 1919 il partito socialista ebbe la maggioranza, espressione del mondo rurale. Insieme con questo, ebbe anche potere il partito di destra nazionalista favorevole all’unione con la Germania. Nel 1921 i socialisti furono espulsi dal governo e si creò una situazione politica-sociale peggiore di quella tedesca. Per questo motivo si svilupparono milizie paramilitari che avviarono una serie di attentati che culminarono nel 1927 con l’incendio del palazzo di giustizia. Nel 1932 alle elezioni trionfa il partito nazista austriaco. Il governo del cristiano-sociale Engelbert Dollfuss varò una costituzione di tipo dittatoriale che assicurava pieni poteri al presidente e scioglieva i partiti socialista e nazista. L’Austria divenne il primo stato ad avere un governo clericofascista. Un’economia ed una società progredite permisero alla Cecoslovacchia di consolidare la sua democrazia, grazie anche a due suoi presidente Tomás Masaryk e Edvard Beneš. Le coalizioni di governo istituirono un potere forte che fu anche in grado di contenere le rivolte etniche interne dando autonomia alle singole province. I problemi rimasti furono accentuati dalla crisi economica degli anni trenta. Di fronte poi alle pretese espansionistiche della Germania, la Cecoslovacchia non trovò nessun alleato ed ebbe lo stesso destino dell’Austria. La Polonia era uscita dal Trattato di Versailles con confini sicuri ad ovest in seguito al ridimensionamento della Germania, ma aveva ancora confini da definire ad est. La cosiddetta “linea Curzon” assegnò la sovranità del paese a regioni abitate principalmente da polacchi, ma il generale Jósef Piłsudski rivendicò i territori anticamente appartenuti alla Polonia e dichiarò guerra all’Unione Sovietica. I conflitti interni minarono la politica interna e con lei cadde anche il generale, gli susseguì una dittatura. Nel 1919 l’Ungheria vide l’affermarsi di una dittatura da parte dell’ammiraglio Miklós Horthy, ma fu anche il primo stato ad introdurre legislazioni antisemite. Negli anni trenta si costituì il partito nazista delle Croci Frecciate per mano di Ferenc Szálasi che conquistò numerosi consensi e divenne nel 1939 la maggior forza di opposizione. Anche la Romania fu interessata da problemi di terra ed il susseguirsi di governi deboli. Nel 1930 fece ritorno in patria il re Carol II che impresse al paese una svolta a destra che portò alla violazione di norme costituzionali e legittimazione di movimenti antisemiti e fascisti. Nel 1937 furono introdotte legislazioni antisemite e nel 1938 il re sospese la costituzione, abolì i partiti ed affermò un governo di unità nazionale. Anche nei restanti paesi dei Balcani si affermarono regimi autoritari. In Jugoslavia il re Alessandro I sciolse il parlamento ed i partiti nella speranza di domare la rivolta indipendentista di croati e sloveni, di cui egli stesso ne rimase vittima dopo un attentato da parte del gruppo terrorista croato “ustaša”. Una situazione simile si ebbe anche in Bulgaria dove il leader contadino Aleksandr Stambolijski venne rovesciato ad ucciso da un colpo di stato sostenuto dal re Boris III, il quale limitò le libertà dei partiti e ridusse il parlamento ad un mero strumento consultivo. In Grecia invece l’asse Corona-militari funzionò in modo simile. Il re Giorgio II era stato costretto a fuggire e nel 1924 fu proclamata una repubblica. Una serie di rivolte militari portò però nel 1935 alla restaurazione della monarchia che fu sostituita dalla dittatura del generale Ioannis Metaxas. V. Il fascismo Il governo di coalizione formato da Mussolini contava solo di 34 fascisti, ma godeva dell’appoggio della Camera. Anche la Corona, i ceti alti e la borghesia però si rivedevano nei suoi ideali, cioè di riportare l’ordine nel paese. Nel dicembre 1922 venne creato il Gran consiglio del fascismo, un organo consultivo incaricato di creare una linea del governo. Nel 1923 si istituirono le milizie volontarie per la sicurezza
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