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Nuove tendenze nelle teorie del cinema - Daniele Dottorini, Sintesi del corso di Teoria Del Cinema

Sintesi del saggio "Nuove tendenze nelle teorie del cinema" di Daniele Dottorini.

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 30/04/2018

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simona-verde 🇮🇹

4.5

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8 documenti

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Scarica Nuove tendenze nelle teorie del cinema - Daniele Dottorini e più Sintesi del corso in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! Nuove tendenze nelle teorie del cinema di Daniele Dottorini Crisi della teoria? Il 21esimo secolo si è aperto sotto il segno di una profonda trasformazione. Nel 1999 esce il primo volume di un’opera ambiziosa di Gian Piero Brunetta: la Storia del cinema mondiale, il cui obiettivo è di voler riattraversare la storia del cinema in una prospettiva mondiale e la consapevolezza di voler porre le base per una nuova storiografia cinematografica. Brunetta specifica che parla di storia e non teoria, dichiarando nell’introduzione che parallelamente allo scemare dell’interesse nei confronti della teoria, accresce quello per la storia, la filologia e la memoria. Questa è una presa di posizione netta che trova la sua spiegazione all’interno del dibattito che ruota attorno alla convinzione che il discorso teorico sul cinema e l’immagine audiovisiva debba svilupparsi come studio di campo, filologico ed empirico. Post theory, uno dei saggi più rappresentativi del dibattito della fine dello scorso secolo, evidenzia l’impossibilità di un’unica e onnicomprensiva teoria all’interno della quale troverebbero spiegazione tutti i film. Gli orientamenti teorici sono necessariamente molteplici, come molteplici sono gli approcci ad un oggetto la cui definizione diventa sempre più complicata. Ipotizzare la necessità di ricostruire un nuovo discorso teorico secondo una prospettiva aperta o riconoscere la crisi di una teoria forte e complessiva non significa affermare la fine di questo tipo di riflessione. Al contrario, infatti, il 21sec si è aperto rivelando una situazione molto articolata e complessa: 1) La settima arte ha superato l’atteggiamento di sospetto e scarsa considerazione teorica. 2) Il panorama degli studi teorici si è arricchito di contributi e strumenti provenienti da campi esterni e molteplici, poiché i nuovi studiosi sono propensi a considerare il cinema uno strumento prezioso per le loro analisi. 3) Emerge un nuovo paradigma teorico: non applicare al cinema metodi sperimentati ma questioni aperte alla cui soluzione erano tutti convocati. L’approccio metodico lascia il posto a quello multidisciplinare, e il desiderio di analisi ad una volontà di interpretazione. In merito all’ultimo punto, Casetti definisce questo nuovo panorama “teorie di campo”: teorie al plurale, approcci molteplici che non hanno la pretesa di risolvere il problema in modo esaustivo. Alla base della profonda e sentita crisi del discorso teorico sta in realtà la convinzione che ad essere in crisi è il cinema stesso, o meglio il ruolo/funzione che ha svolto lungo tutto il secolo precedente. Le questioni teoriche quindi si interrogano su determinati aspetti: cosa sia il cinema nella società contemporanea, quale ruolo investe nella formazione della soggettività, dell’identità individuale e collettiva e in che modo il cinema entri in rapporto con il pensiero. Questi interrogativi evidenziano l’apertura radicale del discorso teorico sul cinema e il suo mutamento. E’ all’interno di queste pieghe che bisogna addentrarsi, per individuare linee di tendenza, sviluppo o elementi di novità. Ripensare i concetti: Cultural Studies Il discorso teorico, nel campo degli studi culturali si sviluppa in varie direzioni, accomunate tutte dalla volontà di ripensare strategie e metodologie d’indagine, sia nella consapevolezza della molteplicità di flussi di senso che caratterizzano la vita e la circolazione di un film, sia nella volontà di mostrare il cinema come forma complessa di riflessione sul proprio mondo e sul proprio tempo. La forza dei Cultural Studies risiede in un approccio metodologico che tende a far saltare la separazione rigida tra pensiero umanistico e società contemporanea, motivo per il quale questi studi lavorano sull’interazione tra forme e luoghi tradizionalmente non presi in esame dagli studi umanistici, basandosi sui molteplici punti di vista e possibilità di analisi, nonché sulla valorizzazione dei prodotti della cultura popolare. Gli studi più interessanti e innovativi li ritroviamo in ambito anglosassone. I lavori di Janet Harbord sono esemplari in questo senso: in Film cultures, la studiosa inglese esplora le numerose modalità attraverso cui un film non solo viene fruito, ma si trasforma , in relazione al flusso di visioni e fruizione in cui si inserisce (festival, sala, dvd, televisione, tecnologia digitale). La sala non è il luogo deputato al rito della visione cinematografica come un tempo, ma la molteplicità delle visioni possibili porta a una trasformazione del significato stesso dell’immagine cinematografica, del suo ruolo all’interno delle culture in cui viene fruita. Il film, fugge dalla sala, moltiplicando le sue possibili vite, così grazie a questa rottura del patto spettatoriale classico, l’opera appare caratterizzata da un supplemento potenziale di senso. In un testo del 2007, “The evolution of film. In “Rethinking film studies”, Harbord si chiede che se queste differenti modalità di fruizione modificano il senso e la possibilità di fare senso del film stesso. In questa ottica, la dimensione fluttuante dell’opera filmica che è legata al flusso in cui è inserita mostra l’insufficienza dei tradizionali metodi di poter tener conto di questa dinamicità, da qui la necessità di individuare un nuovo quadro teorico e concettuale nell’ambito degli studi sul cinema in cui al centro è posto non solo il film ma anche le pratiche e i contesti culturali a partire dai quali, di volta in volta, lo spettatore vive e rivive il film. All’interno di questo filone va sottolineato lo sviluppo dell’interesse per le poetiche culturali, occorre citare anche l’opera di Andrew e Ungar “Popular front Paris and the poetics of culture” che afferma che gli studi culturali non devono limitarsi ad analizzare il film come riflesso di una determinata cultura/fase storica, bensì devono essere studiati e analizzati come parti di un processo complesso e mai definito. In questa prospettiva, il cinema diventa una delle forme di elaborazione di una poetica culturale, creazione di una visione aperta di un momento storico. Filosofia e cinema: l’area anglosassone Una delle tendenze dell’ultimo secolo è determinata dal rapporto tra filosofia e cinema. La difficoltà nel definire questo tipo di rapporto sta nel determinare cosa siano i due oggetti in gioco. La legittimazione del rapporto ha avuto originale dalla sovrapposizione della filosofia sul cinema, chiamata a riflettere sul cinema per esplicitarne i meccanismi profondi produttori di senso. Una prima direzione in questo dibattito teorico ipotizza il cinema come luogo in cui il discorso filosofico trova la sua ulteriore applicazione. I concetti filosofici nascono altrove ma diventano strumenti per leggere ed analizzare il cinema dal punto di vista filosofico. Dunque il cinema diviene un luogo dove mettere in gioco problemi che hanno altrove la loro origine (Julio Cabrera, Umberto Curi). Una seconda direzione ipotizza il cinema come un luogo a partire dal quale pensare o ripensare i concetti filosofici e produrre pensiero. Quest’impostazione ha il suo punto di partenza nella proposta filosofica di Gilles Deleuze. Nei suoi due saggi dedicati al cinema: controllato dai apparati entro cui si muove. Alla luce di tutto questo, il cinema e le sue immagini non sono il campo applicativo dei concetti filosofici ma un luogo dove si concretizza la possibilità attuale del discorso filosofico. Lungo questa linea si muove baviou, filosofo e scritto teatrale francese. Per B. parlare di cinema vuol dir parlare di filosofia. La pratica del discorso filosofico nell’analisi delle sue condizioni reali. La condizione della filosofia è una verità in divenire che scorre attraverso quattro generi di verità extrafilosofiche: scienza, arte, politica, amore. La filosofia si pone strategicamente etra le 4 senza risolversi in una di esse. Non sono branchie del sapere filosofico ma procedure id verità autonome dalla filosofia, modalità attraverso cui la verità viene ricercata e problematizzata. Il discorso filosofico deve entrare inc notato con tali procedure (le sue condizioni reali) ripensarle,e problematizzarle, attingere ad esse. E’ in questa idea di libertà di circolazione fra i saperi che si colloca il rapporto filosofia/cinema. Si tratta di analizzare ogni volta le modalità in cui l’idea circolare, si manifesta nell’immagine cinematografica. La specificità del cinema è nella sua impurità: il movimento dell’immagine cinematografica è un passaggio continuo, che non può essere fermato. L’idea non si incarna nell’immagine ma nel movimento. L’idea nel cinema si dinamizza. Mette in movimento tutte le arti precedenti e in questo senso mostra al sua forza di arte contemporanea: generare l’idea dell’impurità di ogni idea, nel tempo di un passare, in questo senso il cinema rivela la dinamica stessa della filosofia, caratterizzata dalla continua circolazione attraverso le forme e i saperi. Anche in questo caso, dunque, le domande non riguardano il problema del cinema come forma d’arte o altri problemi della teoria del cinema (riflessione anglosassone), né si interessano alle forme attuali del cinema, al ruolo che assume nell’età contemporanea. Il cinema viene indagato per essere stato la forma estetica più originale e rappresentativa del secolo precedente. Proprio intorno a questa domanda si muove F. Casetti. Analizza l’immagine cinematografica dal punto di vista della sua forza “negoziale”. L’ipotesi della negoziazione parte dalla constatazione che di fronte alla numerosa gamma di stimoli ed esperienza possibili che costituiscono al modernità, il cinema abbia elaborato uno sguardo lavorando a fondo su queste spinte. Le ha intercettate e ne ha regolato le direzioni e l’intensità. In questo senso ha attivato una circolari di funzioni, è stato ausilio e guida per la nostra comprensione del mondo. Questa doppia valenza ha fatto si che sia stato sia un luogo di pensiero, sia una diciplina in grado di dirci come e dove guardare, includeendo un desiderio e l’idea di libertà, dunque una libera disciplina. Numerose le riviste nate a cavallo del 21esimo secolo caratterizzato dal progetto teorico teso all’individuazione di nuovi spazi di siscussione. “L’art du cinema” all’inglese “film-philpsphy” all’italiana “agalma”. Fata morgana in italia ha un approccio interdisciplinare individuando temi attuali. In questa linea, il cinema non è oggetto d’analisi quanto più strumento interpretativo del reale, nella consapevolezza che è lungo questa linea che esso può ritrovare la sua centralità come sguardo sul mondo. Dissoluzione del cinema L’idea che il cinema sia soggetto a una trasformazione strutturale spinge la riflessione verso nuovi ambiti e domande teoriche. Ad esempio è evidente che il cinema ha subito l’ibridazione con le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione che hanno contribuito alla modifica dello statuto di immagine cinematografica. Il problema si concretizza attorno all’ultimo interrogativo nello sfondo dell’odierno dibattito: se bisogna abbandonare il cinema per le analisi culturali e sociali, individuando nuovi ed altri elementi di indagine oppure se sia legittimo considerare il cinema un luogo di interrogazione necessario per la comprensione del reale. Questo problema lo pone anche Casetti nella conclusione de L’occhio del Novecento. L’autore afferma che, il cinema non ritrova più le misure con cui ha sempre lavorato. Non può operare le stesse mediazioni di prima, affidate ai nuovi media (televisione ha più potere a livello geopolitico, internet per quanto riguarda le relazioni con il mondo, telefonino per quanto riguarda la tecnologia). La presenza massiccia dell’immagine digitale nelle produzioni cinematografiche, la perdita dei rituali collettivi di fronte alla frammentazione di fruizione, il delinearsi di un paesaggio in cui i media possono connettersi e interagire tra loro trasformano il cinema radicalmente. Nello scenario dei media, dunque, appare ciò che Casetti definisce un “cinema due”. Parte considerevole della ricerca odierna si focalizza su questo aspetto del dibattito. Una prima direzione di indagine è rappresentato dall’analisi di autori come Adorno e Horkheimer da parte di Beller che individua nella settima arte una modalità di costruzione e diffusione dell’immagine che si pone come modello del sistema della produzione della merce nel sistema postcapitalistico contemporaneo. Il cinema dispositivo fa viaggiare immagini e corpi immateriali innescando il desiderio di generazioni in modo analogo al sistema capitalistico che produce merci slegate sempre più dal loro valore d’uso e avvolte in un’aura immateriale, investite quindi di un valore simbolico che determina il successo al pubblico dei consumatori. In quests prospettiva, il sistema capitalistico è un sistema cinematico, nel senso che si afferma secondo le stesse modalità con cui si è sviluppato il cinema e la relativa formazione dell’immaginario collettivo del 20 esimo secolo. In Beller, dunque la trasformazione del cinema in molteplicità di immagini digitali prodotte dai nuovi media si manifesta parallelamente alla trasformazione del sistema economico politico mondiale. (Era post-moderna). All’interno di questa direzione, alcuni autori sottolineano la cesura violenta tra la forma cinematografica novecentesca e le immagini digitali odierne che mettono in crisi la centralità del cinema nel panorama dei media contemporanei. Al tempo stesso però, l’analisi delle forme di produzione c. risultano necessarie per comprendere gli sviluppi dei media, dunque los studio del cinema resta, per questi autori centrale perché a partire da quest’ultimo si sono sviluppati i media. Diversa è la posizione di studiosi che affermano che la rete e le nuove tecnologie con i propri linguaggi hanno soppiantato il cinema come modello di una cultura dei media. Henry Jenkins, individua nella convergenza, l’aspetto più rivoluzionario dei nuovi media. Il temine indica il flusso dei contenuti su più piattaforme, in maniera connessa e stratificata e dunque la cooperazione tra più settori dell’industria dei media e il migrare del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze di intrattenimento, sottolineando l’apporto creativo/inventivo che i nuovi media richiedono al consumatore, non più passivo ma soggetto attivo che ibrida i linguaggi. Sulla linea di questa cesura radicale, si muove anche Pietro Montani, ma in una prospettiva diversa da Jenkins. In uno studio recente egli si interroga sul ruolo e la funzione che le nuove tecnologie dei media hanno sull’orizzonte della nostra esperienza. In un’orizzonte biopolitico, la nostra sensibilità è sottoposta ad un processo di radicale trasformazione. Le nuove tecnologie mediali, pongono il problema di un’esperienza non più libera e diretta, bensì mediata dai sistemi tecnologici. Anziché costruire strumenti di ampliamento degli orizzonti, rappresentano dei limiti neutralizzando lo spazio della sensibilità, contro quest’ipotesi bioestetica, le arti, tra cui il cinema, possono essere degli strumenti che offrono un’esperienza del mondo più aperta. In tutti questi approcci si fa strada l’idea che il film, non debba essere il centro nevralgico dell’analisi (così come l’autore, il genere, la scuola…) in quanto il film è uno tra i momento possibili della circuitazione delle immagini nella società contemporanea. E’ l’immagine, nel suo aspetto visuale e non visibile, ad attirare l’attenzione degli studiosi. I Visual Studies, lavorano attorno all’idea che il campo del visuale sia quello in cui le culture contemporanee organizzano i propri orizzonti di senso. All’interno dei Visual Studies, le immagini sono studiate come modelli culturali che possono anche modificarsi, infatti ile stesse immagini in tempi diversi possono assumere significati diversi. Questi studi sono caratterizzati da approcci differenti ma dal carattere comune che è fortemente interdisciplinare. L’esperienza umana è più visuale che visualizzata di quanto lo sciamai stata in passato, in questo mondo l’immagine cinematografica perde la propria autonomia per diventare una delle possibile forme che può assumere l’immagine nel mondo contemporaneo, ma diventa al contempo uno dei nodi centrali per rintracciare gli strumenti interpretativi del mondo trasformato in immagine. Lo scenario si apre sempre di più fino ad ipotizzare la stessa dissoluzione del cinema come luogo centrale verso cui si tenta di far convergere questi sforzi analitci. Da qui ha fondamento l’ipotesi con cui si è aperto il saggio, secondo la quale il discorso teorico ha esaurito il proprio impulso creativo e lo studio del cinema deve concentrarsi quindi sull’enorme patrimonio, ripensandolo radicalmente. Com’è emerso dalla vitalità di questi approcci, il cinema continua ad essere un problema centrale per stimolare la produzione di concetti tesi ad indagare il senso che l’immagine in movimento assume nella vita e nell’esperienza di milioni di individui.
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