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Fonetica e evoluzione delle parole latine in italiano: errori del latino parlato, Sintesi del corso di Storia della lingua italiana

Linguistica comparataFilologia latinaLinguistica Romanza

Come le parole latine hanno evoluto nell'italiano, con un focus sui suoni e le trasformazioni fonetiche. Vengono presentate regole per la trascrizione fonetica e l'accentuazione delle parole, oltre a esempi di dittonghi, consonanti conservate e sonorizzate, e il fenomeno della metafonesi. Le parole sono presentate in coppia: come si presentavano nella norma del latino scritto e come si pronunciavano o venivano scritte secondo lo schema 'A, non B'.

Cosa imparerai

  • Che è il fenomeno della metafonesi e come si verifica in italiano?
  • Come le parole latine si sono evolute nell'italiano?
  • Come si trascrive la pronuncia di parole latine in italiano?
  • Quali sono le consonanti latine che si sono conservate o sonorizzate in italiano?
  • Che significa 'A, non B' nella trascrizione di parole latine?

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

Caricato il 08/01/2022

giorgia.brea
giorgia.brea 🇮🇹

4.5

(2)

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Scarica Fonetica e evoluzione delle parole latine in italiano: errori del latino parlato e più Sintesi del corso in PDF di Storia della lingua italiana solo su Docsity! Nuovi lineamenti di grammatica storica dell’italiano - PATOTA (pp. 11 - 114; 185 - 227) Le basi latine sono in MAIUSCOLETTO; Le parole italiane derivate dalle basi latine sono in minuscolo corsivo; il simbolo “<” significa proviene da; mentre il simbolo “>” significa passa a; nelle basi latine, le lettere tra parentesi () rappresentano i suoni che scompaiono nel passaggio all'italiano. Una lettera tra due trattini indica un suono in posizione intervocalica 3 -g- Una lettera seguita da un trattino > f- > indica un suolo in posizione iniziale; Una lettera preceduta da un trattino + -n > indica un suono in posizione finale; Trascrizione fonetica > sono trascritti dentro parentesi quadre [] quando viene preso in considerazione l’aspetto fisico dei foni è la parola pala = [‘pala]. Il Trascrizione fonematica 3 quando i suoni sono stati presi in considerazione come fonemi, ovvero come unità di suono capaci di individuare significati diversi e sono trascritti entro le sbarrette oblique + la parola pala = /’pala/. Apice > accento posto prima della sillaba accentata. Tonico > aperta. Con cappellino + (cc) Con trattino > (ct) I I I I momo momo CAPITOLO 1 - L'ITALIANO DERIVA DAL LATINO? Non si può dire che l’italiano, così come altre lingue neolatine, derivino dal latino, perché le lingue non hanno un inizio e una fine in senso tradizionale, ma l’italiano continua il latino. Ci sono molte varietà del latino e ci sono dei fattori diversi che le hanno prodotte tra cui il tempo - lo spazio - il livello stilistico - la condizione socioculturale degli utenti - la modalità di trasmissione scritta o parlata della lingua. Ora li analizziamo uno per volta. IL FATTORE TEMPO O VARIABILE DIACRONICA: Diacronica: (dal greco “dià” > attraverso e “chronos” > tempo). È importante sapere che con il tempo le lingue cambiano, infatti, anche l’italiano o l'inglese di oggi non è lo stesso di cinque o dieci anni fa. Infatti ad esempio in una scodella risalente al V secolo a.C. c’è una breve iscrizione che recita: (queste due frasi hanno lo stesso significato, la lingua infatti è la stessa ma differenziato in latino arcaico e classico proprio perché sono distanziate sull’asse verticale deltempo): “esom kom meois sokiois Trivoia deom duonai, nei pari med” > “appartengo, assieme ai miei compagni, a Trivia, la buona tra le divinità. Non impadronirti di me”. > latino arcaico; “sum cum meis sociis Triviae dearum bonae: ne parias me” + cinque secolo dopo durante l’età classica di Cicerone e Virgilio + latino classico. IL FATTORE SPAZIO O VARIABILE DIATOPICA: Diatopia: (dal greco “dià” + “topos” + spazio). L'italiano parlato nelle varie regioni è diverso. Le differenze non investono solo l'intonazione, la pronuncia e il lessico, ma anche la grammatica e la sintassi. Ad esempio anche l’uso del passato remoto e del passato prossimo. Il latino ebbe una diffusione intercontinentale fra il Il e il III secolo d.C. che andava dalle coste atlantiche dell'Europa fino al Reno e oltre il Danubio, dalle coste meridionali dell’Inghilterra fino a quelle settentrionali dell’Africa. Ci sono un paio di esempi: ® Accantoallatino classico in cui si adoperava PULCHER > il latino parlato aveva due diversi aggettivi per indicare la qualità “bello”: “FORMOSUS” e “BELLUS”. In alcune aree si privilegiò la forma “bellus” come dimostrano l'italiano, il francese e il provenzale; mentre altri stati come la Spagna, il Portogallo e la Romania preferì la forma “formosus”. * Illatino parlato, per indicare l’azione di mangiare usava due verbi latini: COMEDERE (mangiare insieme usato ora in Spagna e in Portogallo) e MANDUCARE (masticare dimenando le mascelle usato ora in Francia e Italiano antico). Il fattore geografico si fonde con il fattore etnico nel determinare altre diversità, riconducibili al “sostrato” linguistico prelatino. Sostrato > prima che i romani estendessero il loro dominio a tutta l’Italia e a una parte dell’Europa, il latino era uno degli idiomi parlati da una delle tante popolazioni che abitavano l’Italia. Nel giro di qualche secolo da lingua di una piccola comunità divenne la lingua di un popolo di conquistatori, padroni di gran parte dell'Europa e di vaste zone dell’Africa e in Asia. Non furono i Romani a imporre il latino, ma furono i popoli sconfitti ad abbandonare la loro lingua originale. Intervenne il prestigio > quando due lingue entrano in concorrenza, quella che gode di maggior prestigio finisce col prevalere + così dopo essere stati conquistati da Roma, molti dei popoli vinti sentirono la loro lingua di livello inferiore rispetto al latino, che alla fine scelsero. Le lingue preesistenti al latino, non scomparvero del tutto, ma ciascuna lasciò qualche traccia nella pronuncia, nella morfologia, nel lessico + per questo motivo tali lingue vennero dette “di sostrato” + esse testimoniano, nel latino assunto dalle popolazioni vinte, l’esistenza di uno strato linguistico soggiacente. Il passaggio -CT- > -it- proviene dal sostrato celtico. IL FATTORE STILE O VARIABILE DIAFASICA: Diafasia: (dià + fasìa > parola o linguaggio), la variabile legato al livello stilistico di una produzione linguistica. Come l’italiano, anche il latino utilizza un cambio di intonazione e di livello stilistico a seconda della situazione in cui ci si trova. Cicerone, quando scriveva il testo delle sue orazioni o in opere filosofiche utilizzava un latino di alto livello, ricercato e raffinato; mentre quando scriveva lettere ad amici usava un latino meno sorvegliato sul piano grammaticale, composto anche da parole familiari e colloquiali. IL FATTORE SOCIOCULTURALE O VARIABILE DIASTRATICA: Diastratica: (dià + derivato di strato). Non tutti, all’interno della stessa comunità di parlanti si esprimono allo stesso modo. Chi ha avuto la possibilità di studiare avrà un vocabolario più ricco. In Roma antica e nei territori dell'impero, il latino dei dotti era diverso dal latino degli umili. Infatti, il primo era una lingua colta, varia nelle parole e raffinata, mentre il secondo era una lingua popolare, con qualche errore grammaticale e sintattica. LA MODALITA’ DI TRASMISSIONE O VARIABILE DIAMESICA: Diamesica: (dià + mesos -> mezzo). La variabile legata alla modalità di trasmissione di una lingua, che può essere scritta o parlata. La lingua scritta è più sorvegliata e organizzata della lingua parlata. LE FONTI DEL LATINO PARLATO. Le fonti ci permettono di ricostruire la fisionomia della lingua. Queste fonti sono: = Le iscrizioni murarie graffite o dipinte; — glossari; CAPITOLO 2 - FONI E FONEMI DELL’ITALIANO. I FONEMI DELL’ITALIANO. Foni + suoni articolati di una qualsiasi lingua. Alcuni foni hanno la capacità di individuare parole diverse, ad esempio se alla parola “petto” si sostituisce il fono “p” con altri foni (1 - r - s) si hanno altre parole con altri significati; questo può avvenire anche con la sostituzione del secondo fono e così via .... Fonemi + sono foni, che alternandosi negli stessi contesti fonetici, distinguono parole con diversi significati. Il fonema è la più piccola unità di suono dotata di valore distintivo (capace, cioè, di individuare significati diversi alternandosi con altre unità di suono). | fonemi che formano parole si trascrivono entro sbarrette oblique // e l'accento viene indicato con un apice prima della sillaba accentata > per esempio la trascrizione fonematica della parola “pila” > / pila/; mentre la trascrizione fonematica della parola “barone” > /ba'rone/. Se invece i vari fonemi sono presi in considerazione solo per il loro aspetto fisico, cioè senza produrre significati allora si trascrivono tra parentesi quadre []. Grafemi o lettere > i segni grafici adoperati per trascrivere i fonemi > alfabeto di una lingua 3 alfabeto fonetico usato per trascrivere i fonemi di quasi tutte le lingue del mondo, l’alfabeto riconosciuto dall’API (Association Phonétique Internationale). L’ALFABETO FONETICO. Ecco i segni dell'alfabeto fonetico riconosciuto dall’API: Vocali er a pale e letto e sera IEEE ' vino 9° cotta j iena o gola w buono uu beca Consonanti po pena de ozono d becco d3 gelo, giada mo pradre fo sata to tana vo vano dare 80 scarpa n° nodo 2 sveglia po gromo $ scemo,scalle ko casa,che,guota = ro rosa Y 1 lato KO gliaglo FONEMI SORDI E FONEMI SONORI. Le corde vocali sono come le corde di uno strumento e possono assumere tre posizioni diverse: 1. Possono restare inerti > producono un fonema sordo; 2. Possono chiudersi, impedendo il passaggio dell’aria + producono un fonema sonoro; 3. Possono entrare in vibrazione, aprendosi e chiudendosi rapidamente. In italiano le vocali sono tutte sonore; mentre le consonanti alcune sono sorde e altre sonore. Ad esempio la [p] non ha vibrazione ed è un fonema sordo; la [b] ha la vibrazione ed è un fonema sonoro. Le consonanti sonore sono: [b] - [d] - [g] - [2] - [v] -[d3] - [dz] - [Im] -[n] - [in] - Ir - M -[A]. Sono sonore le semiconsonanti (cioè la i e la u non accentate, seguite da un’altra vocale: 55). FONEMI ORALI E FONEMI NASALI. Dalla laringe l’aria sale nella faringe e di qui esce all’esterno attraverso la bocca, se il velo palatino (o palato molle = parte posteriore del palato) non si solleva impedendo all’aria di entrare anche nelle fosse nasali, attraverso la bocca e il naso. Se l’aria esce solo attraverso la bocca 3 fonemi orali; se invece esce anche attraverso il naso 3 fonemi nasali che sono tre: [m] - [n] - [jn]. L’unica differenza che passa tra una [b] e una [m] e una [d] e una [n] > riguarda l'opposizione oralità - nasalità: prova di quando siamo raffreddato, l’aria non passa dal naso e allora anche volendo dire [‘mamma] pronunciamo [‘babba]. VOCALI. Se l’aria non trova ostacoli nel suo percorso verso l'esterno, si producono le vocali. Ci sono le vocali: * Toniche è cioè accentate dell’italiano e sono sette. Possiamo rappresentarle nel cosiddetto triangolo vocalico + un triangolo col vertice rovesciato rivolto verso il basso e il lato opposto aperto: Anteriori o Posteriori alata x ° Centrale wai il suono delle varie vocali cambia a seconda della posizione che la lingua assume all’interno della cavità orale nel pronunciarle. Al vertice in basso si trova la “a” 3 massimo grado di apertura della bocca. Sul lato sinistro collocheremo nell’ordine la “e” aperta [£] e la chiusa [e] e la “i” > dalla “a” alla “i” la bocca si restringe progressivamente e sono dette 3 palatali o anteriori. Sul lato destro collocheremo nell’ordine la “0” aperta [o un po’ aperta] e la la “u” 3 anche qui la bocca si restringe progressivamente e la lingua arretra in corrispondenza del velo palatino > velari o posteriori. Per distinguere le vocali aperte da quelle chiuse usiamo i due diversi accenti: GRAVE per le vocali aperte (pòllo - bèllo) e ACUTO per le vocali chiuse (ponte - bévo). “e” “o” chiusa [o] e * Atone > cioè non accentate sono solo cinque: [a] - [e] - [i] - [o] - [u]. Semiconsonanti: e “iod” (trascrizione fonetica [j]) > in pratica è una “i” non accentata e seguita da un’altra vocale come per esempio la “i” di “ieri” + durata breve. e “vau” (trascrisione fonetica [w]) > in pratica è una “u” non accentata e seguita da un’altra vocale come per esempio la “u” di “uomo” > durata breve. o I Semivocali: anche se [i] - [u] non accentate non sono seguite, ma precedute da una vocale, la loro durata è più breve + ad esempio la “i” di “colui”. DITTONGHI. Le semiconsonanti e le semivocali non possono mai essere pronunciate da sole, ma necessitano di una vocale d'appoggio che le segua o la preceda > DITTONGO > insieme di due vocali che formano un'unica sillaba. Il dittongo può essere: — ASCENDENTE > quando è formato, nell’ordine, da una semiconsonante + vocale. Esempi: piatto - piede - chiodo - piuma - guerra - buono - guida. Ascendente perché il suono sale da un elemento atono ad un elemento tonico. — DISCENDENTE > perché il suono scende da un elemento tonico ad un elemento atono. Quando è formato da una vocale + semivocale. Esempi: mai - farei - noi - colui - Palau - pneumatico. TRITTONGHI + gruppi vocalici più complessi formati da una semiconsonante, una vocale e la semivocale [i]. Esempi: miei, cambiai > ([j] + vocale + semivocale); suoi, guai + ([w] + vocale + semivocale). Oppure da due semiconsonanti e da una vocale: aiuola > ([j] + [w] + vocale); inquiete > ([w] + [j] + vocale). IATO > quando due vocali si pronunciano separatamente e appartengono a due sillabe diverse. | casi più importanti sono i seguenti: a) Quando le due vocali vicine non sono né “i” né “u”: paese - leone - Boezio - reale ...; «n « ay» _ gn _ b) Quando una delle due vocali è una “i” o una “u” accentata e l’altra è “a” - “e” - “o”: armonia - zie - mormorio - cocaina - teina - moine - tua - sue - suo - paura. CONSONANTI. Per identificare le consonanti dell’italiano bisogna tenere conto di tre fattori fondamentali: 1. Il modo in cui vengono articolate + le consonanti si producono quando l’aria che esce dai polmoni incontra un ostacolo. La loro articolazione può avvenire in tre modi: —. Se il canale espiratorio si chiude completamente, per un istante, si producono consonanti OCCLUSIVE (momentanee o esplosive) + sono le consonanti: [p] - [b] - {t] - [d] - [K] - [g] - Im] - [n]- [in]. — Seilcanale espiratorio si restringe si producono consonanti COSTRITTIVE (fricative o spiranti o continue) + sono le consonanti: [f] - [v] - [s] - [2] - [S]- [mM - 1 - [A]. — Risultano dalla fusione di un’occlusiva e di una costrittiva, si producono le consonanti AFFRICATE > sono le colsonanti: [ts] - [dz] - [tf] - [d3]. 2. Il luogo in cui vengono articolate: — LABIALI + [p] - [b] - [m] > se il blocco del canale respiratorio avviene a livello delle labbra; — DENTALI > [t] - [d] - [n] > se il blocco avviene a livello dei denti anteriori dove appoggia la lingua nel momento dell’articolazione. È (in sillaba libera) > è [je] È (in sillaba implicata) > è [e] è (in sillaba libera) > wò [wo] © (in sillaba implicata) > ò [9] Per esempio, dalle basi latine PEDE(M) e BONU(M) in cui la E (con cappellino) e la O (con cappellino) toniche erano in sillaba aperta > in italiano hanno creato dei dittonghi [je] - [wo]; invece dalle basi latine PERDO e CORPUS in cui la E (con cappellino) e la O (con cappellino) toniche erano in sillaba implicata + in italiano non hanno creato nessun dittongo > fenomeno del dittongamento toscano. Il vocalismo tonico dell’italiano presenta due trasformazioni in più rispetto al vocalismo del latino volgare, che riguardano la E (con cappellino) e la O (con cappellino) toniche: Vocalismo tonico italiano VAGA TI ssilbba insilaba -— insiliba insiliba five > implica | libera implica Il vocalismo tonico sardo invece non conosce vocali aperte né accoglie il passaggio | (con cappellino) > [e] e U (con cappellino) > [0]. Anche le vocali atone subirono delle trasformazioni, ma furono in parte divide. Il vocalismo atono del latino volgare non conosce vocali aperte: E (con cappellino) e O (con cappellino) atone hanno dato “é” e “0’” come le rispettive lunghe e come I (con cappellino) e U (con cappellino). Il vocalismo atono dell'italiano coincide con quello del latino volgare nel seguente schema: Qualche esempio: per a: lat. acnELLU(M) > ital. agnello per È: lat. sépELIRE > ital. seppellire per È: lat. PENSARE > ital. pesare per T: lat. vinpemia(m) > ital. venderzizia per T: lat. PRIvaTU(M) > ital. privato . - però:lat. rorceLLU(M) > ital. porcello EE da 090 0 È per d: lat. MONSTRARE > ital. mostrare | Î 7 | ‘ perÙ:lat. gianpùLa(m) > ital. ghiandola ° * % per:lat. MOGIRE> ital. muggire Vocalismo atono del latino volgare e dell'italiano ° L'ACCENTO. Le parole latine avevano un accento di tipo musicale + innalzamento della voce. La posizione dell’accento, all’interno di una parola, era determinata dalla durata o quantità della penultima sillaba. La legge della penultima valeva solo per le parole che avevano almeno tre sillabe. Essa funzionava così: se la penultima sillaba era lunga > l'accento si posava su questa; se invece era breve > l’accento si posava sulla sillaba precedente. È inoltre importante sapere che: Vocale breve in sillaba libera Sillaba breve > VENIS (E con cappellino) Vocale lunga in sillaba libera Sillaba lunga > RESONARE (A con trattino) Vocale breve in sillaba implicata Sillaba lunga 3 APERTUS (E con cappellino) Vocale lunga in sillaba implicata Sillaba lunga > DIRECTUS (E con trattino) Questo modo di realizzare l'accento venne meno quando le vocali persero al quantità. Allora l'accento da musicale divenne intensivo > è il tipo di accento che si ha nelle parole italiane e che consiste in una forza articolatoria che si concentra sulla sillaba accentata: canc(e)llo - fid(u)cia - c(a)libro - sp(e)cchio + nella pronuncia di queste parole, la massima forza articolatoria si concentra sulla sillaba di cui fa parte la vocale accentata, indicata tra parentesi. Il mantenimento della posizione originaria dell’accento non si è avuto in alcuni verbi composti, nei quali si è verificato il fenomeno della RICOMPOSIZIONE. Nel passaggio dal latino classico al volgare e da qui all’italiano, alcuni verbi furono ricomposti: tutte le volte che il verbo di base era riconoscibile, i parlanti lo ripristinarono nella forma e nell’accentazione originaria: così, 0 InCONTINET si riconobbe TENET e in italiano si è avuto “contiene” (partendo dalla base CONTINET avremmo dovuto avete co’ntene); Dl InDISPLICET > si riconobbe PLACET e si è avuto “dispiace” (partendo dalla base displicet avremmo dovuto avere dispiece); l In RENOVAT > si riconobbe NOVAT e si è avuto “rinnova” (partendo dalla base renovat avremmo dovuto avere rinnova). FENOMENI DEL VOCALISMO. Monottongamento di AU, AE, OE + questi tre erano i dittonghi latini, una tendenza tipica era quella di monottongare questi dittonghi e di pronunciarli come un’unica vocale che avrebbe dovuto essere lunga e quindi caratterizzata da un timbro chiuso. * Ildittongo AU + produsse una O (con trattino) con timbro chiuso soltanto in poche parole, come ad esempio “CAUDA” da cui si ebbe CODA > in italiano “coda”; e “FAUCE(M)” da cui si ebbe FOCE(M) > in italiano “foce”. In generale il dittongo AU + divenne [o]. ® Ildittongo AE > produsse una E (con trattino) con timbro aperto. AE monottongatosi in una E (con trattino) aperta, in italiano ha dato il dittongo [je] in sillaba libera e una [£] in sillaba implicata: LAE-TU(M) > lièto QUAE-RO > chièdo MAES-TU(M) > mèsto PRAES-TO > prèsto. * Ildittongo OE > si monottongò in una E (con trattino) che in italiano ha dato regolarmente [e]: da POENA(M) si è avuto “pena”. Dittongamento toscano > il dittongamento di E e O (con cappellino) toniche in sillaba libera è detto toscano perché tipico del fiorentino e degli altri dialetti di Toscana. In sillaba aperta (terminante per vocale), la “e” aperta [e] derivata da E (con cappellino) latina si dittonga in [j €], e la “o” aperta [o] derivata da O (con cappellino) latina si dittonga in [wo]: è il fenomeno per cui da PE-DE(M) > abbiamo “piède”. La regola del “dittongo mobile” > il dittongamento si ha solo nelle forme rizotoniche (accentate sulla radice, in greco “rhiza”) in cui E e O (con cappellino) sono toniche, non sulle forme rizoatone (non accentate sulla radice) in cui E e O (con cappellino) sono atone. La regola del dittongo mobile non ha interessato solo le forme di uno stesso verbo, ma anche di parole diverse che fossero CORRADICALI + cioè provenissero dalla stessa radice nominale o verbale. [pp. 58 - 62]. Anafonesi + è una trasformazione che riguarda due vocali in posizione tonica [e] > proveniente da E (con trattino) e da | (con cappellino) latine e [o] > proveniente da O (con trattino) e da U (con cappellino) latine. Il termine anafonesi si spiega proprio col fatto che il passaggio è > i; e o’> u costituisce un innalzamento articolatorio. L’anafonesi si verifica in due casi: 1)) PRIMO CASO DI ANAFONESI + la [e] tonica proveniente da E (con trattino) e da | (con cappellino) latine di chiude in “i” quando è seguita da “I” palatale [y al contrario] o da “n” palatale [jn], a loro volta proveniente dai nessi latini LJ - NJ. Dalla base latina GRAMINEA(M) si è avuta la forma GRAMINIA con chiusura in “i” della E in iato (-NEA > -NIA) > questa chiusura ha determinato la formazione di un nesso NJ: occorre ricordare che una “i” che precede un’altra vocale è uno iod [j]. La presenza del nesso -NJ- ha poi determinato un contesto anafonetico. | (con cappellino) tonica, ha dato è: “gramégna” e in tutta Italia la parola si è fermata a questo stadio evolutivo. A Firenze e in parte della Toscana, invece, si è avuto un ulteriore passaggio dell’anafonesi: “€” tonica seguita da “n” palatale proveniente dal nesso latino -NJ-, si è chiusa in “i”, dando luogo a “gramigna”. Altri esempi: CILIU(M) > Céglio > Per anafonesi ciglio CONSILIU(M) > Conséglio > Per anafonesi consiglio TILIA(M) > Téglio con uscita Tiglio maschile > *POSTCENIU(M) > Puségno > Pusigno (spuntino dopo cena) Up» L’anafonesi non si produce se la “n” palatale [jn] non proviene da un nesso - NJ-, ma da un nesso -GN- originario + quindi ad esempio: dalla base latina LIGNU(M) in cui la “n” palatale continua il nesso -GN- e non il nesso -NJ- > si è avuto légno senza anafonesi. 1)) SECONDO CASO DI ANAFONESI > la [e] tonica proveniente da E (con trattino) e da | (con cappellino) latine e [o] tonica proveniente da O (con trattino) e da U (con cappellino) si chiudono in [i] e in [u] se sono seguite da una nasale velare 3 cioè da una “n” seguita da velare sorda [k] o sonora [g]. Ad esempio: dalla base latina TINCA(M)) si è avuto, in una prima fase, la forma “ténca”; a Firenze e nelle zone circostante la del gruppo -énk- si è ulteriormente chiusa in “i” per anafonesi, mentre il resto d’Italia i vari dialetti si sono fermati alla forma “ténca”. L’anafonesi non si produce nella sequenza - o’nk- > cioè nel caso in cui la o’ e la nasale velare siano seguite da una velare sorda > così dalla base latina *TRUNCU(M) dovremmo aspettarci prima “tro’nco” e poi per anafonesi “trunco” > invece l'evoluzione si è fermata a “tronco” anche nell’area in cui è attiva l’anafonesi. Con la sequenza -o’'nk- l’anafonesi si ha solo con la parola “giunco”: IUNCU(M) > gio’nco > giunco. “ Up» UL» Chiusura delle vocali toniche in iato 3 la “e” aperta [£ è e la “e” chiusa [e]; la “0” aperta e chiusa toniche > se precedono un'altra vocale diversa da “i” con cui formano uno iato, tendono a chiudersi progressivamente fino al grado estremo: aperta diventa > “i” aperta diventa 3 “u”. è e” è 0” Qualche esempio: VAL PIU’ LA PRATICA DELLA GRAMMATICA + DECAMERON DI BOCCACCIO (PAGINE 74-75). FENOMENI DEL CONSONATISMO. Consonanti conservate > varie consonanti del latino si mantengono inalterate quando passano in italiano, sia in posizione iniziale che all’interno della parola. Queste lettere sono: D,M,N,L,R,F. qualche esempio sia in posizione iniziale che interna: Per D Dare > Dare Cauda > Coda Per M* (seguite da iod) Manu(m) > Manum Timore(m) > Timore Per N*(seguite da iod) Nive(m) > Neve Pane(m) > Pane Per L* (seguite da iod) Lentu(m) > Lento Mulu(m) > Mulo PerR Rota(m) > Ruota Caru(m) > Caro Per F Fictu(m) > Fitto Bufalu(m) > Bufalo Assimilazione consonantica può essere di due tipi: * Regressiva è fenomeno per cui, in un nesso di due consonanti difficile da pronunciare, la seconda consonante assimila (rende uguale) a sé la rima, trasformando la sequenza di due consonanti diverse in un’unica consonante doppia. Alcuni esempi: -CS- Fixare > Fissare Saxu(m) > Sasso -CT- Dictu(m) > Detto Pactu(m) > Patto DV- Advenire > Avvenire Advisare > Avvisare -MN- Damnum > Danno Somnun > Sonno -PS- Scripsi > Scrissi Ipsu(m) > Esso -PT- Aptu(m) > Atto Scriptu(m) > Scritto * Progressiva + la prima consonante che assimila a sé la seconda: è il fenomeno per cui nei dialetti centromeridionali, il nesso latino -ND- viene realizzato come -nn- e il nesso latino -MB- viene realizzato come -mm-: mundu(m) > romanesco: monno plumbu(m) > romanesco: piommo. Caduta di consonanti finali 3 nelle parole latina, tre consonanti ricorrevano con frequenza in posizione finale: la -M, la -T e la -S > nel latino parlato sia la -M che la -T finale caddero. La -S finale, invece, o non è caduta o non è caduta immediatamente, producendo varie trasformazioni, in particolare: — Nei monosillabi + cioè nelle parole si una sola sillaba, -s finale: in alcuni casi si è palatalizzata > cioè si è trasformata nella vocale palatale “i”. Esempio: NOS > noi; VOS >voi. In altri casi si è assimilata alla consonante iniziale della parola successiva (3 raddoppiamento fonosintattico). — Nei polisillabi > cioè nelle parole di più sillabe, -s finale, prima di cadere, ha palatalizzato la vocale precedente > cioè l’ha trasformata aumentandone il grado di palatalità. Esempio: CAPRAS la -S finale ha trasformato la “A” che la precedeva in una “E”. Palatalizzazione dell’occlusiva velare > nel latino tardo davanti alle vocali “e” e “i”, le velari [k] - [g] si sono palatalizzate in [tf] - [d3]. Nel passaggio dal latino in italiano, il processo di palatalizzazione davanti a “E” e a “Il” ha interessato la velare sorda [k] in posizione iniziale e interna e la velare sorda [g] in posizione iniziale. Labiovelare + la combinazione di una velare sorda o sonora [k] - [g] seguita da una “u” semiconsonantica [w] > le labbra si spostano avanti per questo il nesso si chiama labiovelare. Se la velare di cui si compone il nesso è sorda, allora si parla di labiovelare sorda + [kw] > nelle parole: (cuore, quale, questo, quota); se la velare di cui si compone il nesso è sonora, allora si parla di labiovelare sonora + [gw] > nelle parole: (guardare, guerra, guida). In una parola italiana, la labiovelare sorda può essere di due tipi: primaria > labiovelare che esisteva già nel latino, si è prodotta nel passaggio dal latino volgare all’italiano (quale, quando, quattro, acqua); secondaria è cuore, qui, qua, questo, quello + perché non esisteva nel latino classico, ma si è formata nel passaggio dal latino volgare all'italiano. Il trattamento della labiovelare primaria nel passaggio all’italiano: * seè seguita da una “A” > la labiovelare iniziale si conserva, in posizione intervocalica si conserva e rafforza la componente velare. * Seè seguita da una vocale diversa da “A”, la labiovelare perde la componente labiale [w] e si riduce alla velare semplice [k]. Il trattamento della labiovelare secondaria nel passaggio all'italiano: e Si mantiene intatta, quale che sia la vocale che la segue: [kw] secondaria presente nelle forme già citate (qui, questo, quello) pur essendo seguita da vocale diversa da “A” non si è ridotta a velare, ma si è conservata. Spirantizzazione della labiale sonora intervocalica > in posizione iniziale o dopo consonante la “B” latina si è conservata (BASIU(M) > bacio; CARBONE(M)) > carbone); seguita da “R” è diventata intensa (FABRU(M) > fabbro; FEBRE(M) > febbre); infine, in posizione intervocalica la “B” si è trasformata in una labiodentale sonora [v] passando dalla classe delle consonanti occlusive a quelle delle costrittive o spiranti. Sonorizzazione delle consonanti > per sonorizzazione intendiamo + il processo di indebolimento articolatorio per il quale una consonante sorda di trasforma nella sonora corrispondente: [p] > [b], Tk> [g], [t]> [d]. Esempi per ciascuna delle tipologie indicate: [ Parole in cui la labiale si è conservata sorda [ Tepidu(m) > tiepido Aprile(m) > aprile Capra(m) > capra Parole in cui la labiale si è sonorizzata e successivamente spirantizzata Recuperare > ricoverare Ripa(m) > riva Episcopu(m) > vescovo Parole in cui la velare si è conservata sorda Amicu(m) > amico Securu(m) > sicuro Focu(m) > fuoco Parole in cui la velare si è sonorizzata Lacu(m) > lago Macru(m) > magro Spica(m) > spiga Parole in cui la dentale si è conservata sorda Acutu(m) > acuto Maritu(m) > marito Sputu(m) > sputo Parole in cui la dentale si è sonorizzata Botellu(m) > budello Matre(m) > madre Quadernu(m) > quaderno «in Nessi di consonante + iod > lo iod [j] 3 è una “i o seguita da un’altra vocale: oltre che da una “i latina, esso può derivare dalla chiusura in iato di una “E” (cc). Nel passaggio dal latino all’italiano, lo [j] ha costantemente trasformato la consonante che lo precedeva. La trasformazione più ricorrente è stata il raddoppio della consonante stessa. Il fenomeno è molto antico. Il raddoppio della consonante precedente lo [j], è stato il cambiamento più frequente. Distinguiamo consonante per consonante: — Labiale (e labiodentale) + iod 3 trattamento dei nessi -PJ- e -BJ- e -VJ-. Lo “j” ha prodotto il raddoppiamento della labiale che la precedeva: SAPIA(T) > sappia; SEPIA(M) > seppia; ...il nesso VJ ha subito lo stesso trattamento del nesso BJ, dando origine a [bbj] > esempio: CAVEA(M) > cavja > gabbia. — Velare + iod > trattamento dei nessi -KJ- e -GJ-. Il processo di trasformazione ha conosciute tre fasi: i. Nella prima fase [j] ha intaccato la velare sorda e sonora, attirandole nella sua orbita articolatoria e trasformandole, in un’affricata palatale sorda e sonora. ii. Nella secondafarelo iod ha prodotto il raddoppiamento dell’affricata precedente; ili. Nella terza fase[j]siè dileguato davanti al suono palatale omorganico. — Dentale + iod + trattamento del nesso -TJ-. Questo nesso in Toscana ha avuto due esiti: a. In alcune parole si è trasformato nell’affricata dentale sorda [ts], doppia se il nesso TJera fra vocali (aretiu(m) > Arezzo), scempia se il nesso TJ era fra consonante e vocale (fortia > forza). b. Inaltre parole si è trasformato in una sibilante palatale sonora [3]. Trattamento del nesso -DJ- come il nesso -TJ- in Toscana ha avuto due esiti paralleli: a. In alcune parole si è trasformato nell’affricata alveolare sonora [dz], doppia se il nesso -DJ- era fra due vocali (mediu(m) > mezzo), scempia se il nesso -DJ- era fra consonante e vocale (prandiu(m) > pranzo). b. Inaltre parole si è trasformato in una affricata palatale sonora [d3] intensa (modiu(m) > moggio). Dalla stessa base latina radiu(m) nell’italiano attuale si hanno sia “razzo” con [ddz] sia “raggio” con [dd3]. ® Sonorizzazione generalizzata delle consonanti sorde intervocaliche, che successivamente possono spirantizzarsi (trasformarsi da occlusive in costrittive) e poi anche cadere + dal latino “ÀMITA” (zia materna) > in milanese: “àmeda” (con semplice sonorizzazione della sorda intervocalica), ma il veneto “àmia” (in cui quella consonante sonora si è prima indebolita spirantizzandosi e poi è caduta). ® Passaggio dalle affricate palatali alle > affricate alveolari > cioè dai fonemi [tf] e [d3] > ai fonemi [ts] e [dz]. Ad esempio: l’affricata palatale iniziale del latino CIMICE(M) (accusativo di cimex), conservata nell’italiano “cimice”, è rappresentata da un'affricata dentale nel bolognese “zemza” (con passaggio da [tf] a [ts]) e da una sibilante del veneto “simze” (con passaggio da [ts] a [s]). Si parla di cronologia relativa (all’epoca della sonorizzazione delle consonanti intervocaliche: secondo punto, le consonanti intense non si erano ancora indebolite: non si era ancora prodotto il fenomeno al punto uno); e cronologia assoluta (non è facile da risalire. Cioè all’epoca storica in cui essi si sono manifestati). Però possiamo dire quale dei due è avvenuto prima: la sonorizzazione è anteriore allo scempiamento. | dialetti gallo-italici sono interessanti dai seguenti fenomeni: ® Caduta delle vocali finali e debolezza delle vocali atone, tranne “a”, che resiste bene ovunque. Le vocali finali si mantengono però nel ligure. * Presenzadi vocali tradizionalmente chiamate “miste” o “turbate” + cioè di vocali anteriori (come le vocali palatali italiane [e] o [i] pronunciate con arrotondamento e spinta in avanti delle labbra, come avviene per le vocali [o] e [u]). Sono le vocali presenti del francese “lune” > /lyn/ luna; “coeur” > /koer/ > fuori: la prima vocale mista continua una U(ct) latina, mentre la seconda rappresenta l’esito di un dittongamento di O (cc) latina, avvenuto molte volte in condizioni del tutto diverse dal dittongamento toscano. * Esiti di-CT- > difformi dal risultato toscano, in cui si ha l'assimilazione regressiva. In Piemonte e in Liguria il nesso -CT- passa a -it- come in francese: LACTEM > làit. In gran parte dei dialetti lombardi -CT- passa a [tf] come nello spagnolo: LACTEM > Nat {Ale IL VENEZIANO ANTICO. Ci sono 3 tratti caratteristici: O Conservazione delle vocali finali, tranne dopo liquida e nasale (frutarol > “fruttivendolo” e pan > “pane”) e discreta resistenza delle vocali atone. O Assenza delle vocali “miste”. O Presenza di dittonghi “ie” e “uo” in sillaba libera, come nel toscano. Questi dittonghi non si trovano nel veneziano più antico e si diffondono solo verso la metà del Trecento. Il veneziano dell’epoca di Dante presentava alcuni tratti che successivamente sono scomparsi. Li ricaviamo entrambi dalla imprecazione blasfema che Dante cita nel suo trattato “De vulgari eloquentia” per mostrare l'inadeguatezza del veneziano, come degli altri dialetti italiani, a incarnare l’ideale del volgare illustre. Nella frase: “Per le plaghe de Dio tu no verras” > “Per le piaghe di Dio, tu non ci verrai”. | due tratti sono: a) La conservazione del nesso “pl-” dovuta ad un’antica sopravvivenza dei nessi di consonante + | in tutta l’area italiana nordorientale; b) La conservazione di -s finale nel futuro “verràs” (oggi rimasta in veneziano solo nelle forme interrogative con pronome posposto come “vastu?”: “vai?”). Testo: il “Tristano veneto” > il brano rivela la sua origine settentrionale attraverso i fenomeno condivisi da tutti i dialetti nord-italiani, antichi e moderni: Scempiamento delle consonanti doppie intervocaliche; Sonorizzazione delle consonanti sorde intervocaliche e successivi sviluppi; Avanzamento delle affricate e successiva perdita dell’elemento occlusivo in “dise” e “diseva”. Dei tratti tipicamente veneti notiamo prima di tutto la conservazione delle vocali finali. Invece, dopo liquida e nasale: “novel” - “chavalier” - “murir” ... ma attenzione: all’interno di frase l’apocope vocalica dopo liquida e nasale sarebbe possibile anche in toscano. Due dittonghi, il primo anche toscano, si hanno in “cuor” e “muodo?”. Altri fenomeni sono condivisi da altri dialetti settentrionali: Trattamento del nesso -LJ-. Rispetto al toscano, i dialetti settentrionali procedono oltre, riducendo la consonante a iod (lombardo antico “foia”: “foglia”, genovese antico “bataia”: “battaglia”) in alcuni casi questa “iod” passa ad affricata palatale. È il risultato rappresentato da “megio”: “meglio” (latino MELIUS). Estensione dei temi in palatale. In “convegniva” e “tegnir” > la nasale palatale non è etimologica, le basi sono “convenibat” e “tenere”. In entrambi i casi si ha un’estensione del tema presente: si parte da “tegno” e “convegno” > che continuano regolarmente le basi latine “teneo” e “convenio”. Epentesi di “r” nel sufficco avverbiale -mentre. La presenza di questa vibrante non etimologica potrebbe essere dovuta all’attrazione della serie degli avverbi latini in -enter. Desinenza della terza persona del passato remoto in -à. È una desinenza molto diffusa în area settentrionale: mentre il toscano “amò” parte da una base “amaut” nel latino volgare parlato in molte regioni del nord Italia l'antico “amavit” si era ridotto ad “amat”. Singole forme notevoli. Da segnalare il pronome riflessivo “sì” che non continua il latino “SE(ct)”, ma è forma analogica rifatta su una forma molto diffusa in area settentrionale anche come pronome soggetto di prima persona. IL ROMANESCO ANTICO. Tre fenomeni importanti: 1. Mancanza di anafonesi: “lengua” - “fameglia” - “ponge” (punge). Il fenomeno non si ha negli estremi dialetti meridionali, in cui esistono le vocali medio-alte “e” ed “o”. 2. Conservazione delle “e” atona, specie protonica: “entorno” - “medecina”. Il fenomeno avviene anche all’interno di frase. 3. Conservazione di “ar” postonico e intertonico: “zuccaro” - “cavallaria”. Un fenomeno molto significativo per la classificazione dei dialetti centro-meridionali 3 la metafonesi > sconosciuta al toscano, ed è per questo che non se ne è trattato descrivendo la grammatica storica dell’italiano. La metafonesi > consiste nel passaggio di una “e” chiusa e di una “o” chiusa del latino volgare + in “i” e “u”. La condizione per cui questo passaggio possa avvenire è che nella sillaba finale della base latina ci fosse una “i” (ct) o una “u”(cc). Dei fenomeni consonantici dell’antico romanesco ne ricorderemo tre: * Epentesidi una dentale sorda nel gruppo costituito da una liquida o da una nasale dentale e da una sibilante. * Assimilazione progressiva nei nessi -ND-, -MB-, -LD-. ® Unalaterale preconsonantica si vocalizza. Testo pagina 197. IL NAPOLETANO ANTICO. Alcuni tratti caratteristici sono già stati citati ma li riprendiamo: e Metafonesi e dittongamento metafonetico; ® Sviluppo della vocale atona finale in vocale indistinta; * Epentesi della dentale nei gruppi di nasale o liquida + sibilante; ® Spirantizzazione della labiale sonora intervocalica, anche all’interno di frase e dopo “r”. ® Conservazione di iod latina (IAM > ìa). Allo stesso esito giunge anche la G davanti a vocale palatale (GENTE(M) > iente). * Esito del nesso -PY- in affricata palatale sorda di grado intenso [tt{]. La stessa evoluzione spiega il nome di LECCE < LUPIAE. In un paio di casi l’esito [tt f] è riuscito ad affermarsi anche in italiano: piccione < pipione(m). e Esito del nesso -CJ- in affricata dentale sorda di grado intenso [tts] 3 FACIO > fazzo. * Esito del nesso -PL- in occlusiva velare + iod > PLUS > chiù; PLANGIT > chiagne. * Raddoppiamento di m intervocalica: CAMISIA(M) > cammisa. * Traipronomi dimostrativi, presenza di un sistema tripartito che comprende la forma per indicare vicinanza a chi parla (quistu, chistu). Altri due fenomeni che non abbiamo ancora incontrato: * Morfologia verbale > esigenza di distinguere la seconda persona singolare e plurale che rischiavano di confondersi una volta che la vocale atona finale fosse diventata indistinta: cantasti < CANTA(VI)STI. ® Labiovelare secondaria. In “chillo” < (EC)CU(M) ILLU(M) è documentato un esito caratteristico di molti dialetti italiani. Il nesso [kw] non risalente al latino classico, ma formatosi in seguito a sviluppi fonetici tardi, viene intaccato così come labiovelare primaria, perdendo l’appendice labiale. Mentre in toscano si distingue tra “come” e “quello”, in napoletano si ha riduzione in entrambi i casi: “como”. IL SICILIANO ANTICO. La differenza fondamentale tra il siciliano e gli altri dialetti italiani riguarda il sistema vocalico. Mentre il toscano prevede sotto accento un sistema a 7 timbri, nel siciliano e nei dialetti centro- «in. meridionali, le vocali E (ct), | (cc) e | (ct) confluiscono nell’unico esito 3 “i”; mentre le vocali O (ct), U (cc) e U (ct) confluiscono nell’unico esito “u”. Nel vocalismo atono le vocali si riducono a tre: “a” - “i” - “u”. Nel siciliano non esistono le “e” “o” chiuse. Il siciliano presenta molti tratti comuni con gli altri dialetti meridionali, ma anche differenze notevoli. Abbiamo visto quella più importante > il diverso sistema vocalico. Ricordiamo anche l'assenza di metafonesi che ne è ovvia conseguenza (dal momento che non esistono le vocali medio-alte); la rarità del dittongamento (che esiste oggi nel siciliano centro-orientale); l’assenza di vocali indistinte; la mancanza di apocope sillabica negli infiniti. ele Testo: Il “lamento di parte siciliana” (pagina 203-204). LE KOINè EXTRA-TOSCANE. Per “koinè” > si intende una lingua sovraregionale che si affianca o si sostituisce ai singoli idiomi in uso in una certa area geografica. Il termine riprende il greco “koinè diàlektos” > lingua parlata comune + con cui si designò il tipo greco affermatosi dopo l'impero di Alessandro Magno in Grecia e nelle regioni d’influenza greca. Il concetto di koinè non si identifica in una singola lingua, ma con una serie di tendenze che si manifestano in modo simile in aree diverse, i cui confini non sono determinabili. Il volgare che si adoperava in queste situazioni presentava tre ingredienti: ® Il fondoregionale locale, con eliminazione o attenuazione dei tratti linguistici troppo marcati o esclusivi di una sola zona;
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