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Produzione Dati di Fatto nella Ricerca Scientifica: Esperimento Boyle e Analisi Secondaria, Appunti di Storia della scuola e istituzioni educative

Il ruolo della produzione di dati di fatto nella ricerca scientifica, attraverso l'esempio dell'esperimento di robert boyle e della tecnologia della testimonianza virtuale. Viene inoltre discusso l'importanza dell'analisi secondaria dei dati già raccolti e organizzati sistematicamente per rispondere a nuove domande di ricerca.

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 23/01/2019

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Scarica Produzione Dati di Fatto nella Ricerca Scientifica: Esperimento Boyle e Analisi Secondaria e più Appunti in PDF di Storia della scuola e istituzioni educative solo su Docsity! Le fonti statistiche Fonti in rete barbara.saracino@unina.it Le fonti statistiche La pubblicità e la cumulatività della conoscenza scientifica Le fonti statistiche An Experiment on a Bird in the Air Pump, Joseph Wright of Derby, 1768 - National Gallery, Londra L’analisi secondaria mette in evidenza due caratteristiche della conoscenza scientifica: la pubblicità e la cumulatività (Biolcati-Rinaldi e Vezzoni 2012). Una caratteristica fondamentale della ricerca è quella di essere fondata su procedure codificate nella comunità scientifica, trasparenti e pubbliche (Merton 1973). Nello stesso modo i dati a cui tali procedure si applicano devono essere accessibili e raccolti secondo modalità controllabili. Queste due caratteristiche permettono alla comunità scientifica di valutare la validità e l’affidabilità dei risultati raggiunti. Il carattere pubblico delle procedure rappresenta quindi un requisito a cui la ricerca deve attenersi se vuole configurarsi come scientifica. I dati raccolti per un determinato scopo possono e devono essere utilizzati per replicare e controllare i risultati dei ricercatori che li hanno prodotti. Le fonti statistiche La nascita della scienza moderna La scienza e l’attività scientifica, almeno in forme in qualche modo riconducibili a quelle attuali, hanno alle loro spalle una storia di circa 400 anni. Gli storici della scienza concordano nell’individuare i loro inizi a cavallo tra il XVI e il XVII secolo, all’epoca della cosiddetta rivoluzione scientifica. Nell’Europa di questo periodo si realizzano rilevanti trasformazioni sia di natura concettuale e di atteggiamento nei confronti del vecchio ordine intellettuale, sia di natura istituzionale ed organizzativa. Le fonti statistiche Ancarani (1996) usa una distinzione in tre fasi per descrivere soprattutto i mutamenti istituzionali (le condizioni dell’attività scientifica, l’organizzazione ed il controllo del lavoro) della scienza moderna dalla sua nascita al secondo dopoguerra: LA SCIENZA AMATORIALE LA SCIENZA ACCADEMICA LA SCIENZA PROFESSIONALIZZATA Le fonti statistiche Durante il XVII e il XVIII l’attività scientifica non è chiaramente definita da sistemi regolari di addestramento e di controllo, i ricercatori sono individualmente respon abili della loro attività di ricerca, ma attorno ad essi si crea un ambiente di uomini di cultura capaci di valutare i loro risultati, di partecipare alle loro discussioni, e interessati al loro lavoro. Questo ambiente intellettuale dà per primo riconoscimento sociale alla scienza come componente essenziale della nuova cultura che si veniva affermando; permette la nascita delle prime società scientifiche e la formazione di un sistema istituzionalizzato di pubblicazioni legate alle riviste che queste organizzazioni pubblicano. Oltre alle Accademie, uno dei primi gruppi che rappresentò una comunità scientifica fu la Royal Society for improving Natural Knowledge. Fondata ufficialmente nel 1660, essa nacque da riunioni informali di un gruppo di gentiluomini che si interessavano dei nuovi metodi scientifici introdotti da Galileo. La scienza amatoriale Le fonti statistiche Disegno di una pulce vista al microscopio, Robert Hooke, Micrographia, 1665. Le fonti statistiche Pompa pneumatica al Museo Galileo - Firenze La pompa pneumatica di Boyle Le fonti statistiche Boyle affermava che il sapere filosofico naturale propriamente detto dovesse essere generato attraverso l’esperimento e che i fondamenti della conoscenza scientifica dovessero essere costituiti dai dati di fatto (matters of fact) prodotti sperimentalmente. La produzione sperimentale dei dati di fatto comportava un’opera enormemente laboriosa, consisteva nell’avere un’esperienza, rendersene certi e assicurare gli altri che le basi della credenza erano adeguate, dipendeva dalla produzione e protezione di una forma speciale di organizzazione sociale. “La produzione dei dati di fatto, nel programma sperimentale di Boyle, faceva uso di tre tecnologie: una tecnologia materiale espressa nella costruzione e messa in opera della pompa pneumatica; una tecnologia letteraria per mezzo della quale i fenomeni prodotti dalla pompa venivano fatti conoscere a chi non era testimone diretto; e una tecnologia sociale che incorporava le convenzioni che i filosofi sperimentali dovevano utilizzare nei reciproci rapporti e nel considerare le asserzioni che pretendevano valore conoscitivo” (Shapin e Schaffer 1985/1994, 31). Le fonti statistiche Nella concezione di Boyle, la capacità di generare fatti non dipendeva soltanto dall’esecuzione degli esperimenti, ma anche dalla conferma, da parte della comunità rilevante, che l’esperimento si fosse svolto in quel dato modo. L’esecuzione degli esperimenti e i relativi risultati dovevano essere attestati da testimoni. Boyle insisteva sulla necessità che la testimonianza fosse un atto collettivo: un’esperienza attestata da una sola persona – anche se relativa a un’esecuzione sperimentale rigidamente controllata – non era adeguata per dar luogo a un dato di fatto. Nella filosofia naturale, proprio come nel diritto penale, l’attendibilità delle testimonianze dipendeva dalla pluralità di esse: “Infatti, sebbene una singola testimonianza non sia sufficiente a dimostrare che l’accusato è colpevole di omicidio, quella di due testimoni, anche se di non maggiore attendibilità […], basterà solitamente a provarne la colpevolezza” (Boyle 1675, cit. in Shapin e Schaffer 1985/1994, 69). Tra la fine degli anni cinquanta e i primi anni sessanta del seicento, allorché Boyle si occupava di come condurre gli esperimenti e di come raccontarli, la comunità sperimentale inglese si era appena costituita. Perché la filosofia sperimentale si affermasse come attività legittima, bisognava che si realizzassero parecchie circostanze. Anzitutto occorrevano — reclute, bisognava arruolare degli sperimentalisti neofiti. In secondo luogo bisognava definire e rendere pubblico il ruolo sociale del filosofo sperimentale nonché le pratiche linguistiche appropriate per una comunità sperimentale. Visto che i filosofi sperimentali non si potevano costringere a dare il proprio assenso in ogni circostanza, c’era da attendersi che vi fossero dispute e disaccordi. L'oggetto delle controversie, secondo Boyle, non erano i fatti ma la loro interpretazione. Il tenore morale delle controversie filosofiche doveva essere civile e magnanimo. La posta in gioco era la creazione e conservazione di uno spazio tranquillo in cui i filosofi sperimentali potessero sanare le loro divisioni, mettersi d’accordo collettivamente sui fondamenti della conoscenza e ottenere così credibilità. Le fonti statistiche Le convenzioni poste da Boyle circa la giusta maniera di discutere servivano a garantire una certa solidarietà sociale per produrre assenso sui dati di fatto e escludere le accuse che avrebbero potuto minare l’integrità morale degli sperimentalisti. Il programma di Boyle per la filosofia sperimentale era una soluzione al problema dell’ordine. Durante il periodo di assestamento della Restaurazione tutti gli intellettuali inglesi erano sensibili verso il problema pratico della discordia. L’esperienza della guerra e della repubblica aveva dimostrato che una conoscenza soggetta a dispute produceva lotte civili. Per Boyle e i suoi colleghi (i membri della Royal Society sostanzialmente appoggiavano le proposte di Boyle) l’ordine si poteva ottenere attraverso la creazione e il mantenimento di uno spazio sociale sicuro per le pratiche sperimentali: dentro la comunità scientifica, il dissidio era amministrabile, fecondo e addirittura necessario. Hobbes diede l’assalto all’inviolabilità di questo spazio rifiutando il vuoto; per lui non c’era uno spazio in cui il dissenso fosse innocuo o ammissibile, l’eliminazione del vuoto contribuiva a evitare la guerra civile. L’analisi secondaria mette in evidenza due caratteristiche della conoscenza scientifica: la pubblicità e la cumulatività (Biolcati-Rinaldi e Vezzoni 2012). Una caratteristica fondamentale della ricerca è quella di essere fondata su procedure codificate nella comunità scientifica, trasparenti e pubbliche (Merton 1973). Nello stesso modo i dati a cui tali procedure si applicano devono essere accessibili e raccolti secondo modalità controllabili. Queste due caratteristiche permettono alla comunità scientifica di valutare la validità e l’affidabilità dei risultati raggiunti. Il carattere pubblico delle procedure rappresenta quindi un requisito a cui la ricerca deve attenersi se vuole configurarsi come scientifica. I dati raccolti per un determinato scopo possono e devono essere utilizzati per replicare e controllare i risultati dei ricercatori che li hanno prodotti. Le fonti statistiche Una definizione di analisi secondaria Con ANALISI SECONDARIA si intende l’analisi di dati precedentemente raccolti, disponibili e organizzati in modo sistematico rispetto a una unità di analisi individuale o aggregata, provenienti da una o più fonti statistiche con lo scopo di rispondere a una domanda di ricerca definita indipendentemente dalle finalità per cui i dati sono stati originariamente raccolti. L’ANALISI DI DATI GIÀ RACCOLTI E DISPONIBILI Nell’analisi secondaria il ricercatore non si deve occupare della raccolta dei dati, in quanto questi sono già stati raccolti in precedenza. ORGANIZZATI IN MODO SISTEMATICO Le informazioni che vengono usate nell’analisi secondaria devono già essere organizzate in modo sistematico e potenzialmente pronte per essere analizzate. RISPETTO A UNA SPECIFICA UNITÀ DI ANALISI INDIVIDUALE O AGGREGATA L’analisi secondaria non è definita in funzione di uno specifico livello di aggregazione dei dati o di una specifica unità d’analisi. L’unità d’analisi rispetto a cui le informazioni usate sono organizzate può essere quindi individuale o aggregata. PROVENIENTI DA UNA O PIÙ FONTI STATISTICHE Il caso più semplice è quello in cui un ricercatore ottenga i dati provenienti da una ricerca precedente e li analizzi. Tuttavia è possibile fare analisi secondaria anche combinando informazioni provenienti da diversi dataset. CON LO SCOPO DI RISPONDERE A UNA DOMANDA DI RICERCA DEFINITA INDIPENDENTEMENTE DALLE FINALITÀ PER CUI I DATI SONO STATI ORIGINARIAMENTE RACCOLTI La domanda di ricerca è a discrezione del ricercatore che svolge l’analisi secondaria e la sua formulazione prescinde dagli interessi conoscitivi che hanno guidato la raccolta dei dati originaria. Se assumiamo che l’analisi secondaria non sia una semplice tecnica ma un vero e proprio modo di fare ricerca, allora ogniqualvolta la si metta in pratica è necessario definire una strategia di ricerca specifica che segua i livelli individuati da Ricolfi (1997) per caratterizzare la ricerca empirica: 1. Il disegno della ricerca 2. La costruzione della base empirica 3. L’organizzazione dei dati 4. L’analisi dei dati 5. L’esposizione dei risultati È chiaro che ciò che distingue una «ricerca primaria» da una «ricerca secondaria» si situa ai primi tre livelli. Un’adeguata attenzione ai 5 livelli della ricerca empirica è necessaria per assicurare all’analisi secondaria la dignità e la considerazione che merita nell’ambito della ricerca sociale. Visto che i dati preesistano alla ricerca, spesso si pensa alla ricerca basata sui dati secondari come a un ripiego: la si valuta come poco rilevante ritenendola non sufficientemente innovativa. Così, quando si progetta una ricerca, gli stessi ricercatori che la propongono temono che limitarsi all’analisi secondaria sia «troppo poco» per ricevere finanziamenti. Per chi la pensasse così è il caso di citare quello che afferma Glass (1976, 4): «Nella comunità scientifica è necessario un maggiore sforzo per riuscire a estrarre quella conoscenza che giace inutilizzata nelle ricerche già completate. Questa impresa merita di avere la priorità rispetto alla semplice aggiunta di un nuovo studio alla pila di quelli che già abbiamo». Le fonti statistiche Disegno della ricerca • Oggetto della ricerca • Unità d’analisi • Ambito spazio-temporale • Popolazione • Tecnica di campionamento • Interrogativi di ricerca • Indicatori dell’oggetto di ricerca • (Altre proprietà utili al controllo degli interrogativi di ricerca) • [Tecnica di raccolta delle informazioni] Le fonti statistiche Le fonti statistiche In sociologia il concetto di fonte implica una pluralità di significati; in generale, si può dire che esso coincide con qualunque tipo di documento o di procedimento che consenta di acquisire notizie, informazioni o dati che si riferiscono a fenomeni, avvenimenti, gruppi sociali, collocati in un certo contesto e relativi a un certo momento temporale. Schematicamente, le informazioni che il ricercatore sociale utilizza possono provenire da fonte orale o da fonte scritta. Per fonte orale intendiamo le notizie emerse nel corso di colloqui, interviste, incontri. Per fonte scritta, invece, assumiamo tutti i documenti scritti, sia di carattere narrativo (per es. documenti di archivio, biografie, lettere personali, storie di piccoli gruppi, etc.), sia di natura statistica, vale a dire documentazioni, pubblicazioni con informazioni quantitative inerenti gruppi di popolazione e caratteri economici, sociali, politici. Dal punto di vista metodologico, le fonti orali derivano in genere la loro origine dall'applicazione, direttamente da parte del ricercatore, di tecniche e metodi ricerca di tipo qualitativo. Le fonti scritte, invece, si caratterizzano dall'essere il prodotto di ricerche di tipo qualitativo e quantitativo condotte in un certo periodo da altri, singoli ricercatori o istituzioni che siano. Nel caso delle fonti statistiche si parla di analisi secondaria, vale a dire di analisi condotte utilizzando informazioni statistiche già esistenti. a) Istituzionali Sono quelle fonti cui la legge ha relegato funzioni di raccolta, elaborazione e gestione di informazione statistica. Esse producono sia dati istituzionali che statistici in senso proprio e le principali italiane sono l’ISTAT, gli altri enti del SISTAN e gli organi dell’amministrazione centrale e territoriale dello Stato (Ministeri, Dipartimenti, Aziende autonome, Regioni, Province autonome, Province, Prefetture e Comuni). b) Pubbliche o di erogatori di servizio pubblico Tali fonti producono ciò che il mondo anglosassone conosce sotto il nome di process-produced data, cioè quei dati che sono creati al fine del buon funzionamento dell’ente preposto alla loro raccolta. Il ruolo informativo di questo tipo di dati sta crescendo costantemente, perché in alcuni casi essi costituiscono l’unica risorsa per la comprensione di determinati fenomeni di rilevante interesse sociologico. Alcune fonti italiane di questo tipo sono: Aci, Coni, Inail, Inps, Unioncamere… c) Private Questa categoria di fonti è costituita da società e strutture private. A parte le società a partecipazione statale, Ferrovie dello stato e Poste Italiane, fanno parte di questa categoria: associazioni, consorzi, organizzazioni sindacali di lavoratori dipendenti e dei datori di lavoro, uffici e studi di aziende private. Lo scopo della rilevazione Una seconda classificazione delle fonti è basata invece sullo scopo della rilevazione. Lo storico polacco Wiltod Kula (1972) considera fonti tutti quei documenti che sono prodotti dai singoli o dalle organizzazioni e che si possono dividere in fonti di origine statistica e fonti di tipo istituzionale. Le prime sono costituite da quel materiale che già in principio è stato raccolto con l’intento di conoscere alcuni aspetti della vita sociale. Le seconde comprendono quei documenti predisposti dalle amministrazioni pubbliche e private per scopi inerenti alla propria attività. In pratica sono fonti sia quelle amministrative degli organi dello stato che quelle conoscitive, preposte alla rilevazione di un determinato fenomeno sociale. Esse possono essere classificate in tre categorie: a) Rilevazioni amministrative b) Censimenti c) Indagini campionarie a) Rilevazioni amministrative Sono i dati prodotti dall’attività amministrativa (process-produced data) e consentono di acquisire informazioni regolarmente aggiornate su individui o enti. Le più famose di queste rilevazioni sono sicuramente le anagrafi, i registri della popolazione. Esse sono tenute dalle amministrazioni comunali ed hanno la funzione di registrare nominativamente gli abitanti residenti nel comune. Altri esempi di rilevazioni amministrative sono il registro delle imprese, il PRA (Pubblico Registro Automobilistico) e le liste elettorali. b) Censimenti Sono l’insieme delle operazioni di progettazione, raccolta, analisi e diffusione dei dati di carattere demografico, culturale, economico e sociale di tutti gli abitanti del Paese. Il censimento è un’indagine esaustiva a cadenza decennale con cui si vuole determinare non solo l’entità numerica ma anche la struttura della popolazione di un Paese. Il vantaggio del censimento è che può rendere con precisione e dettaglio la situazione al livello di aree molte piccole, quale ad esempio la singola sezione. D’altro canto esso ha dei costi molti elevati e sempre più la sua attuazione si scontra contro pressanti critiche. Una su tutte quella che considera l’intervallo temporale tra un censimento e l’altro (10 anni) ormai troppo lungo per seguire l’evoluzione dei fenomeni migratori che ormai hanno tempi sempre più rapidi e ritmi molto sostenuti. Il censimento della popolazione e delle abitazioni non è l’unico censimento italiano. Ad esso si affiancano alcuni censimenti in materia economica: il Censimento generale dell’Agricoltura, il Censimento generale dell’Industria e dei Servizi, il censimento generale delle istituzioni private ed imprese nonprofit. Fonti statistiche internazionali Fanno parte delle fonti internazionali due categorie distinte. Tra le cosiddette fonti nazionali estere, rientrano tutti gli enti (pubblici ed istituzionali, privati e scientifici) che producono informazioni statistiche in base a normative di legge, funzioni di natura amministrativa o finalità conoscitive. Si tratta di un gruppo di fonti molto vario che comprende: istituti nazionali di statistica (tipo l’ISTAT), servizi statistici regionali, ministeri, banche centrali, istituti di ricerca, fondazioni ed archivi dati. Sono invece fonti sovranazionali i servizi statistici delle organizzazioni sovranazionali. Fra queste va senza dubbio segnalato l’Eurostat (l’ufficio statistico della Commissione Europea) che svolge funzione di direzione generale della Commissione e di coordinamento dell’attività statistica comunitaria. In genere, non raccoglie le informazioni ma gestisce e rielabora i dati che gli sono inviati dagli istituti nazionali di statistica e da altre organizzazioni sovranazionali come il Fondo Monetario Internazionale (FMI) e la Banca mondiale. Altre fonti sopranazionali di dati sono l’organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e le Nazioni Unite (ONU). Fonti statistiche nazionali Le fonti statistiche nazionali sono prodotte dagli organi di amministrazione dello Stato esclusi quelli locali. Il maggior produttore di fonti nazionali è l’Istituto Nazionale di Statistica. L’ISTAT nasce con la legge n.1162 del 1926. Le produzioni dell’ISTAT sono: • Censimenti • Indagini multiscopo • Altre survey Gli ambiti di indagine delle multiscopo sono : • Aspetti della vita quotidiana (annuale) • Viaggi e vacanze (trimestrale) • Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari (quinquennale) • I cittadini e il tempo libero (quinquennale) • Sicurezza dei cittadini (quinquennale) • Famiglia, soggetti sociali e condizioni dell’infanzia (quinquennale) • L’Uso del tempo (quinquennale) Altre importanti survey dell’ISTAT, al contrario delle Multiscopo, sono riferite ad un argomento specifico: • Inchiesta sulle Forze di Lavoro • consumi delle famiglie. • percorsi di formazione-lavoro • inserimento professionale dei laureati • rilevazione delle cause di morte • attività degli istituti di cura • presidi residenziali socio-assistenziali Altre importanti iniziative, che non sono costituite da un’unica indagine ma dalla fusione di più fonti su argomenti specifici vengono periodicamente realizzate dall’ISTAT per tenere il passo sui mutamenti economici e sociali che intervengono nella società nazionale. La validità, di cui impropriamente si parla a proposito dei dati, è invece un concetto che si riferisce, per pressoché unanime parere degli studiosi, agli indicatori. La validità, infatti, è ritenuta «una proprietà del rapporto tra un concetto generale e il suo indicatore» (Marradi 1984), ossia «la capacità degli indicatori di misurare veramente il concetto che intendevano misurare». Un esempio concreto può forse rendere meglio l'idea di che cosa si intenda per validità di un indicatore. Il grado di laicizzazione di un'area territoriale si può definire ricorrendo tradizionalmente a tre possibili indicatori: la percentuale di matrimoni civili sul totale dei matrimoni, la percentuale di divorzi sul totale dei matrimoni, la percentuale di aborti sul totale delle nascite. Questi tre indicatori, per quanto tutti significativi rispetto al concetto di laicizzazione, non sono tuttavia validi in ugual misura. Quello più valido è probabilmente il primo, poiché sicuramente la decisione di sposarsi civilmente dipende dal grado di secolarizzazione dell'ambiente circostante; gli altri due rappresentano certamente fenomeni sociali più importanti, ma in realtà sono indicatori anche di fenomeni diversi dalla secolarizzazione. Per AFFIDABILITÀ si intende la corrispondenza tra il dato e il corrispondente stato del soggetto sulla proprietà. In altre parole, «la attendibilità o affidabilità (reliability) è una proprietà del rapporto tra il concetto che ha suggerito la definizione operativa e gli esiti effettivi delle operazioni che tale definizione prevede» (Marradi 1984). Essa sarà tanto più elevata quanto più il dato registrerà senza distorsioni l'effettivo stato del soggetto/oggetto cui si riferisce. L'affidabilità è probabilmente la caratteristica più significativa delle informazioni statistiche. Lo studio di fenomeni che si basi su dati inattendibili, cioè non corrispondenti al reale stato degli oggetti analizzati, risulta ovviamente distorta. In particolare, tre sono le cause più ricorrenti e gravi di inaffidabilità: a)insufficiente precisione delle definizioni operative, cioè delle norme che i rilevatori devono seguire; b)impreparazione degli intervistatori; c)errori materiali nella rilevazione o nella codifica o nel processo di aggregazione dei dati o nella trasmissione dei dati. In ogni indagine che preveda la rilevazione di informazioni, devono essere previste delle regole: alcune sono di carattere generale; altre, invece, possono essere specifiche, per esempio, dell'unità, dell'oggetto che si vuole studiare. E' necessario, pertanto, che l'ente produttore di dati stabilisca «in che maniera questi stati differenti devono essere rilevati e registrati» predisponendo per i rilevatori delle definizioni operative, cioè delle norme da seguire nella rilevazione. L'ADEGUATEZZA di un dato è il suo grado di rispondenza ai bisogni conoscitivi del ricercatore. Tra gli aspetti rilevanti per l'adeguatezza si sottolineano: a)il livello di aggregazione dell'informazione; b)la sua tempestività. Nell'analisi ecologica è particolarmente importante, la possibilità di elaborare e analizzare dati a diversi livelli di aggregazione territoriale: regionale, provinciale, comunale. Per esempio, se l'ente che raccoglie è tenuto a trasmettere soltanto dati già aggregati, è ovvio che chi li legge non potrà più scendere a livelli inferiori di aggregazione. La tempestività è un aspetto particolarmente importante per l'utente di informazioni statistiche. Le fonti presentano in generale tempi lunghi nell'elaborazione e diffusione dei dati, con conseguenze gravi per il ricercatore, il quale si trova a dover utilizzare dati già invecchiati e quindi non più rispondenti alla situazione effettiva. Per analisi «ecologica» si intende l'analisi effettuata utilizzando dati aggregati per unità territoriali, in contrapposizione all'approccio che utilizza per l'analisi informazioni sugli individui mediante surveys.
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