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Oltre il lavoro domestico, Sintesi del corso di Mercato E Politiche Del Lavoro

Questo libro tratta del lavoro riproduttivo intenso come lavoro di produzione di merce lavoro fondamentale per la vita stessa del capitale. Il capitalismo, infatti, dipende necessariamente dal lavoro di riproduzione che le donne svolgono giornalmente, mansione che non viene retribuita e precaria perché priva delle giuste tutele welfaristiche.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Senshoku.Kiiro
Senshoku.Kiiro 🇮🇹

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Scarica Oltre il lavoro domestico e più Sintesi del corso in PDF di Mercato E Politiche Del Lavoro solo su Docsity! OLTRE IL LAVORO DOMESTICO IL LAVORO DELLE DONNE TRA PRODUZIONE E RIPRODUZIONE PREFAZIONE ALLA NUOVA EDIZIONE Una parte significativa del femminismo utilizzò una metodologia di analisi marxista di origine operaista, esaminando la struttura della giornata lavorativa e le forme di autonomia all’interno della vita complessiva delle donne. Il corrispettivo delle lotte di fabbrica per la salute, per gli aumenti uguali per tutti, si era configurato nella richiesta di servizi sociali e in una ridefinizione del welfare legata al riconoscimento di problemi concreti e immediati, costitutivi del lavoro di riproduzione della forza lavoro, sempre più interrelato a quello della produzione di merci. Se la cura era stata considerata da sempre separata, estranea al mondo della produzione, si incominciò a pensare che non fosse possibile definire un confine netto tra i due settori. Particolarmente al giorno d’oggi, in cui la produzione capitalista ha invaso la vita, ci si accorge che una connessione diretta esiste e in essa il capitale gerarchizza e organizza le attività umane al fine della propria riproduzione. Alla fine degli anni Settanta assistevamo a importanti processi di ristrutturazione industriale con lo scorporo di interi settori manifatturieri e il decentramento di quote consistenti di giovani e donne verso un lavoro frammentato e diffuso, non garantito: a domicilio, nero, a termine. In questo contesto, la spesa pubblica, nodo centrale di questo sviluppo e destinata a scomparire sempre di più in favore di politiche economiche neoliberiste, diventava oggetto di scontro. La lotta sulla spesa pubblica era stata un nostro cavallo di battaglia, un modo per valorizzare il tempo sociale contro il lavoro domestico, di riproduzione, che era stato centrale nel dibattito femminista. C’era tuttavia la consapevolezza che, dopo l’onda lunga delle lotte, i diritti conquistati (aborto, nuovo diritto di famiglia, parità nel lavoro), pur segnalando una ricezione formale sul piano istituzionale del livello dello scontro imposto dalle donne, rimanevano parziali e inadeguati. Tra il ’76 e il ’78 il movimento femminista in gran parte d’Italia aveva focalizzato l’ospedale come fulcro di lotta e ricomposizione tra donne lavoratrici (molte le 1 infermiere) e utenti attraverso l’individuazione di obiettivi comuni: salari, orario di lavoro e diritti delle donne. In quegli anni, la centralità dello scontro sul tema della spesa pubblica si era espressa inoltre con la richiesta pressante di scuole per l’infanzia, pubbliche e a tempo pieno, e con l’occupazione di spazi da adibire ad asili nido, allora praticamente inesistenti. Il centro dell’assistenza all’infanzia in Italia continuava a essere la famiglia, in particolare la figura della casalinga. Ci interessava dunque indagare il lavoro delle donne nella sua globalità, non solo nella sfera della riproduzione, ma anche in quelle forme atipiche diffuse nascoste dietro il numero ufficiale di oltre 10 milioni di casalinghe. Inoltre, pensavamo fosse importante occuparci anche della fabbrica. Forza lavoro poco sindacalizzata ma in grado di condizionare gli assetti della ristrutturazione capitalistica in corso. Un continuum inestricabile tra attività produttiva e vita riproposto oggi nelle modalità del telelavoro. Siamo di fronte all’inizio di ciò che sarà definito una forma di “femminilizzazione” del lavoro, ossia all’utilizzo di modelli “irregolari” già sperimentati: precarietà, flessibilità, contratti a termine, bassi salari; smart working apparentemente gestibile in modo libero, in realtà impostato su autosfruttamento e rigido controllo; licenziabilità e nessuna tutela. Deregulation totale nel “capitalismo predatorio” del XXI secolo. Le donne sono entrate massicciamente nel mercato del lavoro salariato ma non per questo hanno smesso di vivere nella “società dei padri”, e non solo per il gap salariale che ancora contraddistingue il loro lavoro e che è stato denunciato dagli stessi organismi internazionali ufficiali. Non si tratta di quante donne manterranno in piedi un sistema terremotato da crisi profonde e continue. I lavori di assistenza domestica e di cura, sempre più mercificati, sono stati trasferiti in gran parte alle donne immigrate. Principi che erano stati le bandiere del movimento femminista come l’autodeterminazione vengono piegati ai fini espliciti dell’epoca neoliberista e diventano “non hai limiti, sii imprenditrice di te stessa” giustificando pratiche che non solo rendono difficile, se non impossibile, una contrattazione collettiva nel mondo del lavoro, ma fanno emergere anche nuove gerarchie di genere. 2 forma sia storicamente mutata al mutarsi degli stadi e delle fasi del modo capitalistico di produzione (in particolare nella fase che stiamo vivendo di produzione decentrata e di comando centralizzato sul lavoro), come si sia espressa una soggettività antagonista al capitale da parte delle donne stesse, più chiaramente manifesta in questa ultima fase. Si tratta cioè di vedere come questo lavoro entri nella contraddizione fondamentale tra capitale e lavoro. Per Marx, essendo il lavoro salariato la base del modo capitalistico di produzione, il lavoro che conta è solo il lavoro salariato. Quindi dato che non esiste un salario diretto alle casalinghe in quanto tali chiamiamo quella cosa che le donne fanno ogni giorno per tutta la loro vita fatica legata alla riproduzione. Questa fatica ha 3 caratteristiche: ❖ sembra che non si scambia con un salario ❖ sembra non valorizzare niente ❖ sembra una fatica da cui non si estrae plus valore Analizziamo la prima caratteristica ovvero che questa fatica sembra non scambiarsi con un salario. In realtà le modifiche alla struttura del salario hanno trasformato il rapporto tra salario e lavoro al punto da rendere questa fatica almeno parzialmente connessa con il salario stesso. Il salario si distingue in: ❖ salario diretto → dato sotto forma di denaro nella mani di chi ha venduto, la propria forza lavoro e dopo che ha prodotto una certa quantità di valore ❖ salario indiretto → dato sotto forma di merci-servizio ❖ salario differito → dato sotto forma di denaro o merci-servizio, ma differito nel tempo e proporzionato agli anni di lavoro. Tutte queste forme di salario possono venire erogate o nella forma del salario monetario o in merci. Vi è un’altra distinzione: 5 ❖ salario monetario → busta paga. Corrisponde ad un paniere di beni acquisibili col salario diretto. ❖ salario reale → corrisponde a forme di erogazione indiretta attraverso servizi. Questa erogazione indiretta è data da beni che hanno solo probabilità di essere usufruiti; ad esempio gli ospedali, potrei non ammalarmi mai e non utilizzare mai questa quota di salario. È una parte di salario questa che si configura come non spesa. Poi c'è una quota di salario reale erogato in maniera differita nel tempo, generalmente alla cessazione del rapporto lavorativo sotto forma di denaro o merce servizio ed è costituita dalla pensione di anzianità dalla cassa integrazione guadagni. Tutte e tre queste sezioni salariali hanno una certa dimostrabile connessione con la fatica allegata alla riproduzione. La quota di salario data direttamente paga parzialmente la forza lavoro per la propria riproduzione, per l'acquisto di mezzi di sussistenza. Parzialmente perché la paga è estremamente insufficiente. Paga infatti un paniere di beni salario astratto e non fornisce in sé condizioni materiali adeguate per la riproduzione e il mantenimento della forza lavoro su base giornaliera e generazionale. Però una parte di questa quota di salario, gli assegni familiari, non ha nessuna relazione con il lavoro salariato (con il tempo di lavoro erogato e con il valore prodotto): a parità di lavoro viene dato il salario in più a famiglia. Quindi, nel salario diretto esiste una quota di salario che viene erogata solo in quanto si riconosce che c'è, formalizzata, una fatica allegata alla riproduzione. Per quanto riguarda il salario indiretto, anche questo paga in maniera sempre più allargata e sempre più sottratta ai vincoli del salario diretto, grosse quote di popolazione non direttamente coinvolte nel rapporto capitalistico della vendita della propria forza lavoro. Ad esempio la scuola di ogni ordine e grado. Per il salario differito oltre alla pensione alle casalinghe, la stessa pensione di reversibilità risulta essere sottratta ad ogni connessione diretta con il lavoro salariato e riconosce invece direttamente il lavoro della riproduzione. 6 In questa fase del modo capitalistico di produzione di merci, la fatica allegata alla riproduzione è riconosciuta come esistente autonomamente rispetto al lavoro salariato, e per questo essa stessa pagata autonomamente attraverso il salario, qui corrisponde un lavoro socialmente riconosciuto. Un'altra annotazione da fare è che la quantità di salario erogato direttamente al lavoro riproduttivo non corrisponde a prezzi di mercato e non copre ovviamente tutte le fasi del lavoro legate alla rivoluzione. Analizziamo la seconda caratteristica di questa fatica che sembra non valorizzare niente: sembra che da essa non si estragga plusvalore. Abbiamo già detto che le donne producono al direttamente una merce, la forza lavoro. La differenza tra salario e valore immesso cioè il prodotto, appare direttamente all'interno del ciclo produttivo di merci, dove il capitale si appropria gratuitamente di questo lavoro erogato altrove. Quando si parla di valorizzazione della merce forza lavoro data dalla fatica legata alla riproduzione, si parla ovviamente di produzione di valore di cui il capitale si appropria gratuitamente attraverso l'acquisto della forza-lavoro stessa. Il portare sul mercato una forza-lavoro sana, psicologicamente stabile, vaccinata, acculturata e partecipativa, garantita dalla stabilità dei pasti e degli affetti, è il compito precipuo che il capitale ha affidato al lavoro riproduttivo. Cioè di garantire una forza lavoro disponibile a vendersi. Un'altra forma in cui la fatica legata alla riproduzione entra direttamente nel processo di valorizzazione è quando la si determina come lavoro indirettamente produttivo, che riduce i costi improduttivi ma necessari della produzione. All'aumento di valore corrisponde la diminuzione del plusvalore, mentre alla diminuzione del valore corrisponde l'aumento del plusvalore. Quali sono i mezzi che il capitale ha a disposizione per tenere bassa la soglia del valore della forza lavoro, fermo restando la durata della giornata lavorativa? La riorganizzazione del lavoro e l'introduzione delle macchine consentono aumenti di produttività tali da abbassare relativamente questa soglia. Ma c'è un fattore 7 ❖ Questa fase è caratterizzata da una fabbrica diffusa, ovvero dispersione del processo produttivo nel territorio e sulla razionalizzazione in un comando centralizzato. Si assiste allo sfascio della famiglia fondata sul ciclo di lavoro in fabbrica. Il ciclo di lavoro riproduttivo non riesce più ad essere controllato dal salario, necessita di un controllo esterno, come il ciclo di lavoro produttivo sempre meno viene comandato dagli orari e dai salari di fabbrica. La giornata lavorativa domestica si spezza nella sua unità totalizzante in vari segmenti che intersecano sia con la giornata lavorativa del ciclo di produzione sia con nuove sezioni di lavoro che corrispondono ad una trasformazione sociale del comando sulla riproduzione. Il tempo di lavoro legato alla riproduzione comincia ad avere scadenze sociali, esterne. E’ dentro questa rete a maglie sempre più strette che la famiglia nucleare non resiste più: scoppia per il doppio lavoro, per il frazionamento della giornata riproduttiva. Dentro questo processo si verifica un fatto fondamentale e cioè la autonomizzazione dei soggetti importanti del lavoro riproduttivo: le donne. Per quanto riguarda queste fasi del ciclo di lavoro del processo riproduttivo, abbiamo visto che aderiscono alle esigenze capitalistiche di riproduzione fino a quando l'impatto delle lotte non costringe il capitale a modificare sia il lavoro legato alla produzione sia il lavoro legato alla riproduzione La struttura formale stessa entro cui si svolge questo lavoro, la famiglia, cambia; cambia il tempo di lavoro e la qualità del lavoro stesso. Per quanto riguarda il tempo di lavoro abbiamo visto che nella prima fase è tendente a zero e permette un trattamento altissimo nella produzione di merci; nella seconda fase, invece, si ha un allungamento del tempo di lavoro legato alla riproduzione, che può permettere però a certe condizioni (assenza di figli), un lavoro con orario regolamentato esterno alla famiglia (salariato); nella terza fase la tendenza è di caricare di nuove mansioni il lavoro riproduttivo, togliendoli alcune connotazioni di fatica fisica: il lavoro esterno ci può essere di regola tendenzialmente part-time, ma semplicemente si somma con il lavoro salariato; nella quarta fase le due caratteristiche del lavoro legato alla produzione sono: inserimento coatto di mansioni dall'esterno e frazionamento che li interseca con il lavoro legato alla riproduzione; questo comporta un tempo di lavoro 10 comandato infinito, con segmenti diversi che si saldano tra produzione e riproduzione. L'ultima caratteristica è quella di verificare quanto di speciale ci sia in questo rapporto di lavoro dentro il modo capitalistico di produzione. Infatti esso presenta caratteristiche tutte particolari. Intanto chi fa lavoro legato alla riproduzione lavora sì per il capitalista (fornendogli la merce forza lavoro), ma da questi non riceve un salario commisurato in qualche maniera al lavoro svolto: casomai questo salario viene erogato in forma differita o indiretta per alcune sezioni di questo lavoro. Le condizioni in cui si svolge il lavoro legato alla riproduzione non sono direttamente assimilabili alle condizioni del ciclo produttivo. Ad esempio, l'introduzione delle macchine ha parzialmente diminuito la fatica fisica connessa a certe fasi del ciclo, anche se non ha diminuito il tempo di lavoro. il passaggio dal bucato a mano ala lavatrice non ha cambiato sostanzialmente il processo lavorativo rendendolo più specializzato come è avvenuto per la produzione di merci: ha, caso mai, diminuito la possibilità soggettive di socializzazione (lavatoi). Altra annotazione da fare è che comunque è stata introdotta scarsissima automazione rispetto a quello che la scienza del capitale può attualmente offrire. Il lavoro della riproduzione è sottoposto al capitale in maniera diversa dal lavoro produttivo di merci, ma la tendenza comunque è di proiettare all'esterno il lavoro domestico, che significa sottometterlo più direttamente alle istituzioni preposte alla riproduzione, sia iniettando nuovi elementi di lavoro in relazione alle istituzioni che comandano la riproduzione attraverso il salario differito o indiretto, sia controllando attraverso queste il lavoro domestico residuo. Sembra un ciclo di lavoro privato, in cui non compare mai un padrone collettivo, ma solo piccoli padroncini anch'essi separati tra loro. In primo luogo diciamo che il padrone collettivo che comanda questo tipo di lavoro è lo Stato, da quando è lo Stato che legifera in maniera di famiglia. Ma è vero che in alcune fasi del processo produttivo di merci, viene delegato allo Stato il controllo sul lavoro domestico a chi ne usufruisce più direttamente: il maschio-marito-padre. Questo implica delle grosse contraddizioni perché il lavoro spesso si coniuga con 11 motivazioni affettive che inquinano le possibilità di rifiuto e di lotta da parte delle donne. Sembra che ad esso non corrisponda mai un comando sociale in termini di tempo di lavoro, di sanzioni per il lavoro non svolto, ma che si realizzi invece in esso una pacifica adesione ideologica → auto comando sul lavoro. Diciamo allora che questo apparente autocomando sul lavoro si limita ad ambiti e stranamente ristretti e se riguarda esclusivamente la possibilità di decidere tra il vestire il bambino di rosso o di blu, è irrilevante. Sembra che la qualità del lavoro erogato non abbia nessuna relazione con processi di professionalizzazione o qualificazione: questo potrebbe essere vero se il lavoro domestico fosse effettivamente statico e immutabile. Il riferimento più evidente sta nel legame tra scolarizzazione di massa e modificazioni del lavoro. Se il capitale aveva bisogno di un operaio più duttile, più adattabile all'uso di nuove macchine, più allenato, è indubbio che avesse anche bisogno di donne per il lavoro riproduttivo in primo luogo sicuramente alfabetizzate poi abili nel capire la tortuosità del comando burocratico, allenate a destreggiarsi tra conti, moduli, fatture eccetera. Per non parlare della conoscenza dei primi rudimenti della meccanica per l'uso domestico delle macchine, la necessità di conoscenze chimiche per l'uso dei prodotti di pulizia; uso delle medicine correnti, pratiche di pronto soccorso e prime diagnosi. Si può dire allora che il lavoro legato alla riproduzione si relaziona con la centralità del comando produttivo in un rapporto che e sì speciale nel senso che non è uguale al rapporto che intercorre tra capitale e lavoro per la produzione, ma che si colloca in un processo che tende ad unificarli entrambi sotto un unico comando complessivo per sconfiggere le spinte eversive e centrifughe verso la liberazione. Parlando di servizi, sembra necessario aprire una breve analisi su cosa sono i servizi oggi, relativamente al lavoro produttivo, tentando di verificare una connessione tra la struttura del lavoro domestico e la struttura sociale del lavoro. Una prima cosa da dire è che la lotta delle donne, l’endemico rifiuto di prestarsi ad ogni tipo di lavoro per la riproduzione ha contribuito notevolmente a spingere un'alta domanda sociale di servizi per la riproduzione della forza-lavoro. 12 Esiste un'organizzazione del lavoro nei confronti dei figli totalmente estranea all'ambito familiare: a partire dalla prima infanzia, quando è l'ente locale, attraverso la sua struttura sanitaria, che fa pervenire i fogli d'obbligo di vaccinazioni a orari, in date e lo li fissi e inderogabili. Questo è l'inizio di una lunga catena: l'uso del nido è previsto e possibile solo se siamo muniti dei certificati di vaccinazione. Questa annotazione è dedicata a chiarire come in realtà molte delle operazioni che vengono svolte si configurino come controllo sul lavoro svolto dalle addette alla riproduzione. Enorme quantità di lavoro comandato dall'esterno Non è più sufficiente quindi dire che il lavoro legato alla riproduzione è lavoro domestico, perché non è più solo cucinare, lavare, stirare, pulire è necessario invece dire che il capitale è ormai riuscito a succhiare fuori e a comandare altro lavoro, che è sicuramente il più importante. È riuscito infatti a comandare direttamente l'intera giornata dell'operaio, compresa quella parte in cui egli non si vende come forza lavoro, ma in cui per dirla come Marx, egli riproduce se stesso e la sua razza. Cioè quella parte in cui il lavoro è fatto dalle donne. Questo però produce politicamente delle cose: la più importante è l'uscita dalla fase sotterraneo-separata delle lotte delle donne, dalla fase cioè delle lotte individuali contro il singolo padroncino che si esprimevano poi collettivamente attraverso un surplus di manifestazione per i diritti civili (dal voto, alla parità salariale, fino all'aborto) per arrivare alle più recenti forme di presenza liberatoria sulle piazze, senza però riuscire a trovare sbocchi politici concreti di liberazione reale. La fine comunque di questa fase è segnata ed aperta dalle lotte che si sono espresse e si stanno esprimendo attorno ai servizi sociali, come tentativo di una propria azione concreta di spazio e di tempo, di rifiuto di erogare ancora lavoro, di volontà di determinazione di un soggetto politico su cui far ricadere interamente il costo reale del lavoro legato alla riproduzione. Socializzazione non vuol dire che il lavoro di produzione e riproduzione della forza lavoro sia stato delegato alla società: sono sempre donne che lo fanno, anche se con un ciclo di lavoro modificato rispetto ai cicli precedenti. 15 Tutta la tematica relativa alla riproduzione ha assunto dimensioni politicamente rilevanti proprio quando le donne sono riuscite, da un lato a praticare, a livello di massa, forme di rifiuto individuale, liberando sulla piazza ampi strati di soggetti costretti ad autovalorizzarsi cioè a riprodurre se stessi nei termini e dati dalla massa dei loro bisogni accumulati, dall'altro ad organizzarsi per far pagare direttamente al padrone del loro lavoro, lo stato del capitale, i termini della loro liberazione, non solo con quantità adeguate ad un effettivo processo di liberazione dal lavoro legato alla riproduzione, ma anche con la qualità che ha sempre connotato questo lavoro. 16 CAP 3 RIPRODUZIONE: UNA NUOVA SFIDA DEL COMANDO CAPITALISTICO Vi è un progressivo e tendenziale smantellamento della “fabbrica” storica come sede fisica dell’estorsione capitalistica di plusvalore, le nuove linee di sviluppo verso cui sembra orientarsi il capitalismo mondiale (aumento degli investimenti in capitale fisso, cioè sempre maggior peso della tecnologia e i livelli sempre più sofisticati, quindi il conseguente mutamento della composizione organica di capitale in questo periodo storico) ci pongono ineluttabilmente di fronte all’esigenza di nuovi modelli interpretativi di quella che è l’evoluzione storica del rapporto di produzione marxianamento inteso. Questa ricerca tende a rilevare i limiti dell’analisi marxista, in particolare come non sia più possibile ritenere valido l’assunto marxiano della produzione di capitale a mezzo di merci come momento unico e fondamentale della riproduzione di capitale. Oggi più che mai l’organizzazione del lavoro o meglio l’imposizione di classe del comando sul lavoro non si connota più come imposizione limitata al lavoro salariato, ma tende a coinvolgere tutte le sezioni di classe, siano esse salariate o meno. All’interno di tale tendenza, quindi, qualsiasi attività finalizzata al mantenimento di un rapporto di produzione è immediatamente soggetto a leggi capitalistiche. A differenza del ciclo produttivo della merce, i soggetti facenti funzione del ciclo di produzione e riproduzione di forza-lavoro sono esclusivamente le donne, cui tale attività è stata storicamente destinata in base ad una precisa divisione nell’ambito dell’organizzazione capitalistica del lavoro. IL CICLO DEL CAPITALE E LA VARIABILE FORZA-LAVORO: ALCUNE CONSIDERAZIONI CRITICHE L’analisi marxiana si basa su due grandezze: - il tempo di lavoro necessario - pluslavoro dal cui rapporto si determina il saggio di plusvalore e il saggio di accumulazione capitale 17 incremento della natalità nel tentativo di pianificazione dello sviluppo imperialista del fascismo a cavallo del biennio 1928-30, oppure la natalità promossa nel periodo della ricostruzione in favore dello sviluppo industriale italiano. Il costo di tale funzione entro gli attuali rapporti di produzione deve essere inteso rapportandosi ancora una volta a essa come produzione di forza lavoro e non come semplice maternità. Tale costo di produzione e riproduzione della forza-lavoro, che non costituisce all’interno dei rapporti di produzione capitalistici un dato economico, non viene di conseguenza retribuito come tale e permette allo stato di conservare enormi margini di risparmio. Problema: quantificazione politica ed economica attuale della produzione di forza-lavoro nella valorizzazione di capitale. LA RIPRODUZIONE DI FORZA-LAVORO Il momento riproduttivo del ciclo è essenzialmente mantenimento e conservazione della “merce”. La forza-lavoro per mantenere la sua caratteristica fondamentale, che risiede nella capacità di vendersi sul mercato in cambio del salario, necessita di tutta una serie di servizi assistenziali che nell’attuale struttura della produzione capitalistica sono patrimonio della sezione femminile del proletariato e che si possono inglobare entro la categoria del lavoro domestico. La riproduzione di forza-lavoro nel suo connotarsi come aggregato di servizi di vario tipo (fornitura di cibo, pulizia, assistenza, mediazione tra istituzioni e struttura familiare) è stata al pari del ciclo produttivo di merce, soggetta a un processo di ristrutturazione atto a renderla più consona alle nuove esigenze capitalistiche. La categoria del lavoro domestico non sembra più rispecchiare l’unica realtà del lavoro legato alla riproduzione; via via che si realizza l’integrazione fra la struttura e le unità partecipative territoriali, ad esempio, il ruolo della donna all’interno della famiglia registra un importante salto di qualità. Certamente il lavoro domestico come realtà esiste tutt’ora, però a esso si è affiancato un nuovo carico di lavoro che obbliga la donna a essere il tramite di collegamento e controllo fra l’istituzione statale più o meno decentrata e la struttura familiare. Come si diceva sopra, la quantità minimale dei servizi assistenziali forniti dallo Stato si è oggi diversificata a tal punto da esigere una persona preposta al coordinamento di tali servizi al fine di un loro utilizzo 20 reale. Oltre ai compiti tradizionali della casalinga, la figura femminile è costretta a passare intere ore facendo la coda agli uffici della mutua, pagando le bollette e ritirando le ricevute. Questa nuova qualità del lavoro domestico ne presuppone una razionalizzazione e una organizzazione di lungo periodo tali da comportarne un vero e proprio processo di pianificazione. E’ a questo fenomeno che intendiamo riferirci parlando di allungamento e intensificazione del tempo di lavoro legato alla riproduzione come risposta capitalistica alla domanda sociale di servizi espressa dalla classe. La riproduzione che a livello di classe si è tentato di far pagare allo Stato in quanto principalmente imputata dell’organizzazione di tali rapporti, è stata così dallo Stato fatta pagare ad una sezione di classe. Le mutate condizioni di svolgimento del lavoro domestico si risolvono immediatamente in una imposizione flessibile sul soggetto del ciclo di riproduzione. Tale flessibilità presenta tratti analoghi alla flessibilità imposta alla forza-lavoro del ciclo produttivo di capitale. La ristrutturazione femminile, si presenta come ristrutturazione del lavoro legato alla riproduzione e come imposizione, al medesimo soggetto, di un secondo lavoro direttamente connesso alle esigenze della ristrutturazione nel ciclo di produzione della merce. La figura della donna, che come unica attività riproduce forza-lavoro, è infatti tendenziale diminuzione di fronte a una crisi di capitale e a un tasso di inflazione manovrati in modo da erodere sempre maggiormente il reddito familiare. Non esistendo alcun tipo di riconoscimento statale al lavoro legato alla riproduzione, la donna per integrare il reddito dell’azienda famiglia deve necessariamente ricorrere a un altro tipo di attività, che, proprio in conseguenza della rigidità del ruolo femminile rispetto alla riproduzione, si configura generalmente come part-time. Assistiamo al comando sulla riproduzione che si funzionalizza totalmente al comando sulla produzione in unico ciclo di imposizione di rapporti produttivi. Emerge come per la riorganizzazione capitalistica, produzione e circolazione siano interrelate ai fini della riproduzione di un rapporto sociale di imposizione e di comando sul lavoro. Tutto ciò potrebbe essere superato tramite la creazione di infrastrutture sociali di servizio preposte a tali funzioni. 21 La collettivizzazione e la socializzazione dei compiti tradizionali del lavoro domestico come realtà massificata costituirebbero in tal modo il riconoscimento iniziale della produttività del lavoro legato alla riproduzione. La riduzione della giornata lavorativa non può esserci senza che venga ridotto il tempo di lavoro legato alla riproduzione come momento totalmente integrante al processo di riproduzione di capitale. Ci interessa verificare quali sono i modi e gli strumenti reali di riduzione del tempo di lavoro legato alla riproduzione. - collettivizzazione e socializzazione del lavoro domestico come primo passo verso la sua eliminazione Quali sono gli obiettivi e contenuti di una lotta che si propone di distruggere il ciclo di lavoro non pagato che riproduce la forza-lavoro? Il problema riguarda lo Stato, intendendo con esso il “produttore di rapporti di produzione” situato al vertice della gerarchia di imposizione di comando sul lavoro. La produzione e riproduzione gratuite di forza-lavoro costituiscono un ciclo di lavoro comandato direttamente dallo stato e controllato dalla mancata creazione di strutture preposte a svolgerlo (welfare). Vi è una necessità vitale del lavoro legato alla riproduzione in rapporto alla totale mancanza di servizi alternativamente in grado di provvedere a queste esigenze. La totale mancanza di servizi a un prezzo che sia politico e la mancanza di mense di quartiere a prezzo politico in grado di fornire ai proletari cibo che permetta loro di riprodursi si traduce immediatamente in obbligo per le donne di svolgere compiti connessi a tale servizio (fare la spesa, cucinare). Questo esempio riesce a identificare con chiarezza il legame che si manifesta sempre più strettamente fra comando sulla riproduzione e mancanza di servizi. Allo scopo di dilatare il discorso sui servizi come strumento di lotta contro la riproduzione gratuita di forza lavoro faremo qualche accenno alla teoria della crisi fiscale dello stato e alla sua centralità politica in questa fase. 22 contesto produttivo per addentrarsi negli spazi tradizionalmente legati alla sfera della riproduzione. Autocomando → una costrizione autoimposta, che è in realtà prodotta da circostanze, vincoli, normative che impongono di agire in un certo modo. Si parla di autocomando apparente. Nel corso degli anni è diventato sempre più sottile il confine tra il tempo del lavoro e il tempo della vita e se Chistè segnalava come la rigidità dei tempi della fabbrica permettesse un maggior controllo per le donne sulla riproduzione, oggi questo non accade più, ma anzi ci troviamo davanti alla massiccia entrata delle regole del lavoro in tutti gli spazi delle nostre giornate. Si tratta dunque di vivere in equilibrio sulla corda del ricatto e ciò che ormai risulta evidente e come questa non sia una condizione esclusiva di alcune particolari categorie professionali, ma anche quelli più tradizionalmente ricondotti al lavoro dipendente classico. WELFARE. AL SERVIZIO DI COSA? UNO STRUMENTO DI CHI? Una delle rivendicazioni che riteniamo centrali per la trasformazione radicale delle condizioni di vita e dei rapporti sociali esistenti è quella del reddito di autodeterminazione che include non solo l'erogazione diretta di denaro, ma anche una forma indiretta attraverso l'accesso ai servizi. Reddito di autodeterminazione → è stato individuato come risposta ai principi di autonomia, prevenzione della violenza, redistribuzione della ricchezza, risarcimento del lavoro di cura e universalità. è una forma di introito minimo garantito, che differisce da quello che oggi esiste in vari Paesi europei o che in Italia è oggetto del disegno di legge “ddl povertà”. Il reddito di autodeterminazione è una misura a tutela dell’indipendenza e dell’autodeterminazione delle donne. In Italia, infatti, in un mercato del lavoro sempre più contratto e precario, le donne continuano non solo a essere pagate meno per lavori produttivi (hanno in media salari più bassi dei colleghi uomini a parità di mansioni), ma a essere caricare per i lavori riproduttivi e di cura che spesso ricadono in gran parte o completamente su di loro (e che non sono retribuiti). La maternità è oggi un fattore di esclusione e di controllo sociale. In questo contesto diventa fondamentale pensare a un diritto universale alla maternità che vada a 25 colpire il paradigma capitalista per cui l’individuo ha diritto alla retribuzione solo se produce beni o servizi; la violenza perpetrata dagli uomini sulle donne si accompagna spesso a situazioni di assoggettamento economico, pertanto la stessa può essere efficacemente contrastata con misure preventive che consentano alle donne di allontanarsi dal nucleo familiare senza che questo rappresenti l’inizio di una vita di stenti. Il reddito di autodeterminazione deve rispettare le seguenti caratteristiche: 1) essere erogato alle persone piuttosto che alle famiglie in base al criterio di individualità. Esso infatti deve essere pagato a livello individuale e non filtrato attraverso i membri della famiglia. 2) essere pagato indipendentemente da qualsiasi entrata da altre fonti Il tema non è riconducibile solo a un maggiore o minore finanziamento pubblico, alla capacità dei servizi di rispondere o meno ai bisogni, ma richiede una puntuale comprensione del ruolo che si svolgono nel sistema complessivo. Uno dei meccanismi che viene evidenziato è l'attitudine del capitale a usare strumentalmente il riconoscimento di una determinata categoria lavorativa e la conseguente elargizione dei diversi diritti a scopo conciliante e strategicamente compiacente. Al centro di questo processo troviamo il welfare che fin dalla sua nascita è diventato terreno immediato di rivendicazione e lotta da parte della massa sempre più vasta di proletari o proletarizzareti. Il welfare si pone come meccanismo riparatore delle contraddizioni di classe e come limite al diffondersi delle istanze rivendicative di reddito slegato dai tradizionali modelli capitalistici di retribuzione proporzionata al lavoro svolto. Nel corso degli anni, in risposta all'intensificarsi dell'organizzazione delle lotte per la retribuzione del lavoro riproduttivo, si rese indispensabile un ampliamento del welfare, sia in termini di corresponsione di denaro che di erogazione di servizi, per rendere sostenibile lo stesso lavoro produttivo, così intimamente legato alla riproduzione sociale. Si mette in luce il rifiuto da parte delle donne di erogare determinati servizi a partire dalla rivendicazione del fatto che debba essere lo Stato a farsene carico o gli uomini a rendersi autosufficienti rispetto a un livello di riproduzione. 26 La condivisione del lavoro riproduttivo, però, non è sufficiente a rendere evidente il ruolo strutturale nel determinare l'esistenza stessa del lavoro produttivo e, di conseguenza, l'effettivo costo per lo Stato nel sopperire a quel contributo che storicamente era stato garantito dalle donne in modo gratuito. Le lotte per un sistema di welfare che rendesse realmente collettivo e pubblico il lavoro domestico (crescere e istruire i bambini, prendersi cura delle persone anziane), non avrebbero portato a un assunzione da parte dello Stato di tale responsabilità. Vi fu piuttosto l'ottenimento di un ampliamento dell'offerta di alcuni servizi, che però si strutturarono in modo da mantenere inalterati i rapporti di forza non soltanto di genere, ma anche di classe. Infatti, il welfare State italiano, di marcata impronta mediterranea, è un sistema su base familistica e patriarcale in cui viene incoraggiata una divisione dualistica e sessualizzata del lavoro così come della gestione della casa e della famiglia. Negli anni più recenti stiamo osservando una doppia tendenza che da un lato mostra la progressiva privatizzazione di molti di quei servizi che lotte dei decenni precedenti avevano rivendicato come dovuti dallo Stato, dall'altro lato si sta assistendo a una consistente manovra di integrazione di molti settori di servizi all'interno del sistema produttivo con l'implementazione del cosiddetto welfare aziendale. Risulta inevitabile rimodulare e rivoluzionare il loro funzionamento affinché possano rispondere alle reali esigenze di chi svolge lavori precari, non riconosciuti e non retribuiti. Una strada che i movimenti femministi contemporanei stanno percorrendo è quella della rivendicazione di un reddito di autodeterminazione, diretto e indiretto, che possa contribuire a liberare tempo dal lavoro, a dare una maggiore autonomia e indipendenza da contesti familiari spesso soffocanti e un maggiore potere contrattuale, collettivo e individuale, in un contesto che trae gran parte della sua forza dalla precarietà e dall'isolamento sociale. TRA AUTOMAZIONE E DIGITALIZZAZIONE Strettamente legato alle riflessioni sulla liberazione del tempo del lavoro è il passaggio sull'automazione del Lavoro. Ripercorrendo le fasi di sviluppo capitalistico e del relativo modificarsi del processo riproduttivo, pur scarsamente rispetto alle 27 Per capire meglio video su youtube: Oggi il tema del welfare è centrale nelle lotte e non c’è libertà per il corpo delle donne senza investimenti nelle strutture del benessere sociale. Il passaggio attraverso l’analisi materiale della violenza dei rapporti produttivi e riproduttivi è ineludibile e porta necessariamente agli obiettivi evidenziati dalle lotte transnazionali che ci sono adesso sul reddito di autodeterminazione e su un nuovo welfare contro la schiavitù di un lavoro anche ad oggi gratuito, miseramente reminerato, precario e instabile. Argomento centrale: il lavoro riproduttivo inteso come riproduttivo della forza lavoro sicuramente non si può mettere su un piano inferiore a quello salariato e quindi merita delle politiche pubbliche pensate e strutturate quanto quelle che si dedicano al lavoro salariato (riprendere il libro sui rider di Marraone). Questa riflessione è molto attuale, in quanto siamo caratterizzati da un welfare che si è distrutto e che si sta trasformando in una vendita di prodotti, invece che una messa al pubblico di servizi. Che cos’è il lavoro riproduttivo oggi? Il lavoro domestico non è sempre stato uguale, è stato comandato dalle trasformazioni della produzione all’interno dello sviluppo capitalistico. Il lavoro riproduttivo, non solo è cambiato e va analizzato proprio per il cambiamento che ha avuto, ma è sempre più comandato dal capitale → non vuol dire che è pubblico, ma che la struttura capitalistica l’ha sempre più privatizzato e quindi non socializzato. Oggi la sfera della dimensione sociale del lavoro riproduttivo è basata soprattutto sulla “razza” pensiamo alle badante, alla pulizia negli ospedali e nelle metro; e inserita in una serie di lavori senza tutele. Quindi oggi il lavoro riproduttivo non è il lavoro domestico (non solo), ma sono quelli che chiamiamo lavoro essenziali che sono entrati dentro il processo di modificazione del welfare quindi dell’aumento del comando sul lavoro riproduttivo con riduzioni di finanziamento del welfare e processi di privatizzazione e precarizzazione. Il lavoro riproduttivo è quello che permette anche in tempi di pandemia di non ammalarsi, sono quei rapporti sociali in cui si scoprono i lavori essenziali salariati o meno. Es. infermiera che permettendoti di non ammalarti riproduce la vita, crea la 30 condizioni per cui la vita possa riprodursi. Vita intesa non solo come corpo che cammina, ma nella sua interezza capacità, cultura. Questi lavori essenziali salariati o meno che vengono svolti soprattutto da donne, sono i meno pagati e i meno tutelati. Moltissime di queste sono lavoratrici domestiche o badanti, cioè quelle che fanno i famosi lavori essenziali. Nel lavoro riproduttivo ci sono anche quei lavori salariati che hanno a che fare con la terra, con gli animali, col trasporto delle merci, con l’igiene. Es. un ospedale pieno di donne delle pulizie. Questi lavori sono nella storia attribuiti soprattutto alle donne, in questo momento la maggioranza di chi le svolge sono donne, ma sarebbe inutile immaginare solo una condivisione cioè che anche gli uomini facessero questo tipo di lavoro, perché non cambierebbe il problema, ovvero il fatto che siano lavori messi a margine, poco salariati, precari e spesso gratuiti. Il lavoro riproduttivo è storicamente e culturalmente determinato al femminile, ma non basta che sia condiviso col genere maschile, deve essere socializzato cioè messo al centro di politiche pubbliche che lo valorizzano e lo rendano il perno di una politica economica. Questo perché questi lavori garantiscono la continuazione della vita sulla terra, ma proprio per questo vengono bersagliati continuamente dalla razionalità del capitalismo e neoliberismo. Altro video su fb che spiega il libro → il lavoro tra produzione e riproduzione libro che è stato scritto a partire dalle lotte del 1974 tra cui quelle dell’aborto. Problema: donne giovani legate alla necessità di un’analisi del lavoro riproduttivo come lavoro coatto, gratuito e che privava di un tempo personale e sociale. L’idea era quella di affrontare un welfare che non costituisse un carico di lavoro supplementare (all’epoca vi era un welfare statale che comandava il lavoro riproduttivo, non lo liberava) e che attraverso questo cambiamento del welfare si potesse arrivare relativa liberazione dal lavoro di riproduzione che pareva incollato sul percorso di vita sulle donne. Per questo motivo le autrici hanno fatto lotte per gli asili nido, per le scuole materne non cattoliche o religiose, per le scuole elementari a tempo pieno e hanno affrontato anche tutti i temi del lavoro salariato e delle lotte delle donne all’interno del lavoro salariato. 31 L’obiettivo era quello di affrontare l’intera dimensione del welfare perché esulasse dal controllo riproduttivo e ci consentisse spazi di libertà. Queste lotte poi sono state fermate dal periodo di repressione degli anni 80 che ha fermato tutti i movimenti dell’epoca e gran parte del movimento femminista. Pretendere un nuovo tipo di spesa alle istituzioni preposte al welfare (allo Stato), quindi una spesa indirizzata al benessere ci permetteva di universalizzare il percorso politico e di renderlo anche concreto, con proposte che non fossero meramente ideologiche. Anche oggi il tema centrale delle lotte è il welfare → non c’è libertà del corpo delle donne senza investimenti nelle strutture del benessere sociale. Il passaggio attraverso l’analisi materiale della violenza dei rapporti produttivi e riproduttivi è ineludibile. Questa analisi materiale porta necessariamente agli obiettivi che queste lotte poi hanno evidenziato, lotte sul reddito di autodeterminazione e sul welfare contro la schiavitù di un lavoro gratuito e/o miseramente remunerato, precario e instabile → durante la pandemia la maggioranza di persone che hanno perso il lavoro sono state badanti e assisitenti, la maggior parte donne, impegnate nel lavoro di riproduzione. Nel libro viene fatta un’analisi materialista del lavoro delle donne di come il capitale struttura i rapporti sociali, impone nuovi schemi di schiavitù (cioè il lavoro precario, non salariato, il lavoro salariato poco e male). analisi materialista → attenta ai lavori sociali di produzione, produttivi e riproduttivi Elemento di attualità, cosa dice questo libro ancora oggi: - la cura non è un elemento separato alla produzione, ma tra il lavoro riproduttivo e il lavoro produttivo non esiste soltanto una connessione, ma una inscindibilità, una continuità ed è attraverso entrambi che il capitale gerarchizza e organizza ed entrambi sono assolutamente immersi nel processo di valorizzazione. Questa continuità ad oggi è conosciuta e viene ripresa all’interno dei movimenti femministi. - è analizzata anche l’insufficienza di una definizione di lavoro domestico che invece rientra all’interno della definizione di lavoro riproduttivo, ma si riconosce anche quella tendenza a proiettarlo verso l’esterno, verso la socializzazione del lavoro riproduttivo. Nel capitalismo la sfera sociale della cura e della riproduzione è legata alla produzione. Lavoro riproduttivo che potremmo considerarlo come l’antecedente del lavoro non retribuito. 32 questo contesto tutte le tecniche di gestione del lavoro riproduttivo vengono utilizzate, vi è un trasferimento (dalla mamma che si organizza per accudire il bambino a) a tutte queste nuove forme di lavoro. Tutte queste tecniche utilizzate, vanno a costituire una risorsa aggiuntiva all’organizzazione complessiva dello sfruttamento. Lavoro riproduttivo oggi → Tutta la serie di azioni che si svolgono all’interno delle mura domestiche, la cura dei figli è solo la più evidente, proprio perché sottratte al campo della visibilità pubblica, sono consegnate ad un riconoscimento insufficiente o affidate ad una retorica anche istituzionale che continua a subordinarle alle logiche del lavoro e della produttività, permane sottovalutata la presenza dei corpi reali nel lavoro riproduttivo che comprende non solo l’assistenza agli individui fragili e deboli, ma anche la creazione di condizioni per la riproduzione quotidiana della vita, così il tempo di lavoro dilaga nella preparazione, nell’allestimento dello spazio adeguato, nella gestione delle relazioni e nel tempo extra orario che serve per recuperare il tempo perso in queste operazioni. Intervista L’analisi delle trasformazioni del capitale aveva permesso di comprendere che il lavoro riproduttivo, che non ho mai inteso come immobile e circoscritto agli esigui spazi in cui è stato definito da chi parlava di «lavoro domestico», si è sempre articolato dentro le trasformazioni del capitale e per questo doveva in qualche maniera avere a che fare con il salario. Con la forma del salario, diretto e differito, integrandosi nella spesa pubblica. Non nel senso che questo lavoro dovesse essere salariato ma perché il capitale stesso, trasformandosi, lo trasformava in parte della sua produzione di valore e quindi lo spostava dalla parte affettiva domestica a quella sociale, come poi si è visto e si vede chiaramente oggi. Era quindi il lavoro riproduttivo in tutta l’esplosione delle sue forme ciò su cui bisognava insistere. Inoltre la questione dell’incommensurabilità della giornata lavorativa nel lavoro riproduttivo veniva riagganciata a quella della qualità della vita, proprio perché incommensurabile anch’essa, e sempre complicata dalla risposta delle istituzioni. Queste infatti, mentre erogavano «salario indiretto», aumentavano ulteriormente il «comando sociale» incarnato dalle istituzioni disciplinanti, quali scuole, ospedali, consultori, eccetera, fino a comandare un nuovo tipo di 35 lavoro legato alla riproduzione. Si trattava di prendere in conto una giornata lavorativa complessa, che era sempre meno possibile contabilizzare nei termini classici di tempo-valore-salario. Il welfare di allora pagava la produttività sociale dentro la struttura del salario dell’epoca. Noi volevamo la parte di quel «salario differito» che il capitale non ci riconosceva. Lo volevamo per poter smettere di lavorare ventiquattr’ore su ventiquattro. Oggi che la produttività sociale è diventata esponenziale, tutto quello che allora veniva collegato a un salario è collegato alla vita. Su questo si giustifica il passaggio da quel welfare di servizi a cui aspiravamo allora a questo sfruttamento senza limiti di oggi. E diventa chiaro che è un reddito di base incondizionato a dover pagare questa produttività sociale divenuta ormai esponenziale. Ma esso non ha senso senza servizi, senza una spesa pubblica qualificata, perché i servizi sono la base su cui si può strutturare la forma di vita di un’altra società. I servizi, la spesa sociale se vuoi, sono in questo senso la rivoluzione. Nella pandemia questo è stato evidentissimo con la chiusura delle scuole e la DAD. Si tratta oggi di riconoscere che il lavoro (e di conseguenza lo sfruttamento, gli interessi in conflitto e il comando politico sul lavoro) non può essere identificato solo quando siamo in presenza di rapporti di scambio tra forza-lavoro e salario, come se l’attività finalizzata alla conversione della busta paga in reintegro della forza-lavoro appartenesse al regno della natura (o di rapporti sociali precapitalistici, del tipo servo/padrone) e non a quello dei rapporti sociali di produzione tra soggetti sessuati nel capitalismo. La lotta per i servizi che fa da sfondo a Oltre il lavoro domestico non intende organizzare un servizio che non c’è ma piuttosto aprire un campo di conflitto per spingere le istituzioni a erogare servizi per «liberare il tempo dal lavoro». Ti chiederei di tornare su questo punto perché nelle condizioni di precarietà spintissima in cui viviamo, e ancora di più nella pandemia, sono molte diffuse esperienze di mutualismo e mutuo aiuto che benché validissime esperienze di solidarietà, mi pare ci parlino poco di cambiamento. Già negli anni Settanta era emersa questa soluzione: non abbiamo servizi allora facciamo da noi; c’erano gli asili autogestiti, i consultori autogestiti, eccetera che, per carità, erano una risposta utile a un bisogno pressante, ma legato al qui ed ora, senza progettualità. Noi facevano un discorso diverso. Consideravamo la qualità del 36 servizio una cosa importante e questo richiedeva un cambiamento di prospettiva. Parlavamo di scuole a tempo pieno (quando ancora non c’erano), chiedevamo lavanderie di quartiere, mense pubbliche. Non ci limitavamo a discorsi e volantini ma andavano a chieder conto alle istituzioni. Avevamo un intervento articolato: vogliamo la mensa in questo quartiere, l’asilo in quest’altro, eccetera. Era il tentativo di pensare uno sviluppo diverso e, nello stesso tempo, conquistare degli spazi di benessere e di socializzazione, per distruggere quello che allora si chiamava «piano del capitale» che seguiva invece una direzione totalmente diversa: riduzione della spesa pubblica, riduzione del welfare; tutto quello che abbiamo visto avverarsi nel proseguire degli anni. Quali linee di tendenza possiamo oggi individuare nel lavoro di riproduzione? Ho come l’impressione che la crescita esponenziale della produttività sociale sia compresa dai movimenti e anche dal capitale. Nel giro di pochi anni ci sarà un enorme aumento di lavoro nei cosiddetti servizi di riproduzione, superiore a tutti gli altri settori ad eccezione, probabilmente, di quelli relativi alle nuove tecnologie informatiche. Molti studi mostrano una proiezione impressionante di questo tipo. E mentre il settore delle nuove tecnologie avrà aumenti salariali progressivi, il lavoro nei servizi vedrà salari sempre più bassi, al massimo dello sfruttamento. Questa è la strada indicata dal capitale. Con una riduzione complessiva dei posti di lavoro attuali per i quali le competenze di oggi saranno considerate obsolete. Nella pandemia abbiamo cominciato a utilizzare quell’espressione straordinaria che è «lavori essenziali». Uno dei lavori più essenziali, anche in un ospedale, non sono i medici o gli infermieri ma le donne delle pulizie che se smettono di lavorare bloccano tutto. Non c’è un ospedale, una banca o una scuola che possa continuare a funzionare se queste entrano in sciopero. Questi lavori essenziali sono quelli meno pagati. Sto parlando di un concetto di lavoro riproduttivo in senso largo. Considero lavoro riproduttivo anche la raccolta di pomodori. È abbastanza irrilevante che nella raccolta di pomodori ci siano, e non è detto, più maschi che femmine, e che invece le donne delle pulizie siano, appunto, donne. Io continuo a pensare che bisogna parlare di lavoro riproduttivo e che, in questo momento in particolare, la soggettivazione delle donne dentro il lavoro riproduttivo 37
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