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L'ombra e le idee: un'esplorazione metafisica, Guide, Progetti e Ricerche di Letteratura Italiana

L'ombra come traccia di luce e tenebre, e come partecipante alla realtà. Esplorato il concetto di ombra come soggetto primario, si discute sulla relazione tra ombre ideali e la loro ascesa, oltre a considerare la differenza tra ombre fisiche e ideali. Il testo conclude esplorando trenta concetti d'idee.

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2018/2019

Caricato il 25/09/2021

mastermao25
mastermao25 🇮🇹

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Scarica L'ombra e le idee: un'esplorazione metafisica e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Giordano Bruno L'Ombra de le Idee Coinvolgenti l’arte di Cercare, Trovare, Giudicare, Ordinare e Applicare: Esposte per una scrittura interna, e non volgari operazioni con la memoria. A ENRICO TERZO, SERENISSIMO RE dei Francesi e dei Polacchi, eccetera. DICHIARAZIONE. Ombra profonda siamo; non tormentateci, o inetti. Non voi richiede un’opera così seria, ma i dotti. PARIGI Presso Egidio Gorbino, all'insegna della Speranza, dalla regione del ginnasio Cameracense. 1582 CON PRIVILEGIO DEL RE. con le penne adatte, o quando insegna a cacciare e uccellare. Se voi vi sentite abili scavatori, e per nulla inadatti a volare, a pescare, cacciare e uccellare, e perciò quindi non ci sono lamenti, sarò d'accordo con voi, se concordate che siete entrati nel labirinto senza filo. FILOTEO GIORDANO BRUNO NOLANO Preliminare dialogo apologetico in difesa delle ombre delle idee per la sua invenzione della memoria. INTERLOCUTORI. ERMES. FILOTIMO. LOGIFERO. ERMES.- Continua liberamente; infatti sai bene che il sole è lo stesso e l’arte è la stessa. Lo stesso sole innalza all’onore le gesta dell'uno, conduce al biasimo le azioni del l’altro. Per la sua presenza si rattristano i barbagianni notturni, il rospo, il basilisco, il gufo, esseri solitari, notturni e sacri a Plutone, invece smaniano il gallo, la fenice, il cigno, l’oca, l'aquila, la lince, l'ariete e il leone. AI suo stesso sorgere quelli che operano nelle tenebre si raccolgono nelle tane, ma l’uomo e gli animali diurni escono per la loro opera . Invita questi al lavoro, spinge quelli nell’ozio. AI sole si volgono il lupino e l’elitropia, ma da esso si ritirano le erbe e i fiori della notte. Innalza i vapori rarefatti sotto forma di nuvola, invece rovescia a terra i vapori condensati in acqua. Ad alcuni distribuisce una luce perenne e continua, ad altri vicissitudinale. L’'intelletto che non erra insegna che esso sta fermo, ma il senso fallace induce a credere che si muove. Questo sorge per questa parte esposta della terra ruotante, nello stesso tempo tramonta per quella posta agli antipodi. Il medesimo apparentemente gira intorno ai circoli che dicono artici attraverso le differenze di quello destro e sinistro, ma a molti altri sembra percorrere un arco che passa al di sopra e al di sotto. Questo appare più grande alla terra che occupa il punto più alto del suo giro, ma appare più piccolo a quella regione che occupa il punto più basso (proprio perché è più distante da esso). In alcune parti dei semicerchi viene a mancare lentamente, ma in altre velocemente. Questo risulta più boreale per la terra che si protende verso l’Austro, ma più australe per la terra che volge verso Borea. Per coloro che hanno l'orizzonte retto riceve una latitudine in misure uguali da una parte e dall'altra; ma disuguali per coloro che lo hanno obliquo. Il medesimo distribuisce le tenebre, perennemente commisurate alla luce, agli abitanti della regione posta tra i due paralleli medi di questa mole; agli altri invece in un determinato tempo. Nel caso che la divina terra, che ci alimenta con la sua crosta, gli mostri la nostra fronte, otterrà per noi i suoi raggi obliqui; retti invece per coloro di cui gli avrà sottoposto la sommità della testa. Alcuni pianeti (che molti pensano siano animati e Dèi secondari sotto l'egida di un solo capo), avvicinàti appunto al sole, ricevono sempre la luce dall’auge o dall’apogeo (così lo chiamano); invece, gli altri; perché l'hanno di fronte, la ricevono piuttosto a medie (come le chiamano) latitudini e intervalli. Quando la luna (che moltissimi tra i filosofi pensano sia un'altra terra) nel suo emisfero rivolto al sole riceve la libera luce di tutto quel medesimo, allora la terra, triste per l’interposizione di quel globo, mostra all’emisfero opposto della luna la faccia ombrata in direzione del sole. Perciò il sole, che resta e permane sempre uno e identico si presenta diverso di volta in volta a alcuni e a altri, dato che sono disposti chi in un modo chi in un altro. Non diversamente potremmo credere che questa arte solare sarà di volta in volta diversa per gli uni e per gli altri. FILOTIMO, - Per quale motivo, o Ermes, parli fra te? Qual è mai il libello che hai tra le mani? ERMES. - E” il libro “Le ombre delle idee”, raccolte per una scrittura interna; sono incerto se debba essere pubblicato oppure continuare a rimanere nelle stesse tenebre in cui un tempo è stato nascosto. FILOTIMO. - Perché mai? ERMES. - Perché (come dicono) il suo autore si porta nel segno in cui volgono insieme i Sagittari armati non di un sol genere. FILOTIMO. - Se in verità tutti dovessero temere e evitare ciò, nessuno mai avrebbe tentato opere degne e niente di buono e di egregio si sarebbe mai realizzato. La provvidenza degli Dèi (lo dissero i Sacerdoti egiziani) non smette di mandare agli uomini alcuni Mercuri in certi tempi stabiliti, benché sappiano in anticipo che questi non saranno accolti per niente o saranno male accolti. Né l'intelletto, come anche questo sole sensibile, cessa d'illuminare continuamente per il motivo che né sempre né tutti ce ne accorgiamo. LOGIFERO. - Io sarei facilmente d'accordo con quegli stessi che pensassero che le cose di tal genere non devono essere affatto divulgate: sento che Filotimo ha dubbi a questo proposito; però se avesse ascoltato con le sue orecchie quelle cose che abbiamo sentito noi, certamente le getterebbe sul fuoco per bruciarle, anziché farle pubblicare. Infatti queste fin qui hanno recato al loro maestro una messe non propizia; ora ignoro cosa mai si possa sperare per il futuro; infatti, tranne pochissimi che già da sé possono capire queste cose, per niente potranno dare un giudizio obiettivo sul le cose stesse. FILOTIMO. - Senti cosa dice costui? ERMES.- Sento; ma perché io senta di più, discutete tra voi. FILOTIMO.- Quindi discetterò con te, o Logifero, e per prima cosa direi questo: il tuo discorso non è di nessuna persuasione, tanto che il vigore del tuo ragionamento non valga anzi a confermare l'opinione contraria. Infatti quei pochi che avranno compreso questa tua invenzione (e tra questi siamo io e Ermes) la esalteranno con non piccole lodi; ma coloro che non capiranno minimamente il discorso, non potranno né lodarla né biasimarla. LOGIFERO. - Tu dici ciò che dovrebbe essere, non ciò che sarà, è stato. Molti non comprendendo, per il fatto stesso che non comprendono, per giunta anche con malanimo, dal quale sono spinti, raccolgono calunnie contro l’autore stesso e la sua arte. Non hai forse sentito con le tue orecchie il dottore Bobo, che disse che non esiste alcuna arte della memoria, ma che essa viene procurata solamente con l'abitudine e con la frequente ripetizione delle lezioni, che avviene rivedendo molte volte le cose già viste e riascoltando molte volte le cose già sentite con le orecchie? FILOTIMO. - Se questi avesse la coda, sarebbe artificialmente la stitichezza, affinché la fumosità, evaporando dallo stomaco con l'ebollizione del cibo, non provochi il sonno che oscura la mente e l'ingegno; l'astinenza dai cibi freddi e umidi, come dai pesci in generale, dal cervello e dalle midolla, non meno che dai porri scottanti e fumanti, dai ravanelli, dagli agli, dalle cipolle, che non siano stati consumati dal fuoco; l’uso di sostanze aromatiche; la pulizia del capo e dei piedi con la cottura dell’acqua in cui abbiano bollito la melissa, le foglie d’alloro, i finocchi, le camomille, le canne e simili; l'esercitazione pitagorica che si tenga nel crepuscolo notturno, proprio perché giova massimamente alla memoria, alla mente e all’ingegno. Queste sono le cose che possono sollevare la memoria, come pure quelle che Democrito, Archigene, Alessandro e il peripatetico Andronico affidarono alla testimonianza degli scritti, non codeste arti futili che si vantano di formare una memoria solida con non so quali immagini e figure. FILOTIMO. - Ha concluso il discorso altrui con un proprio raglio; il venerabile dottore ha sostenuto la parte del pappagallo e dell'asino. LOGIFERO. - Il maestro Arnofago, esperto di diritto e di leggi, e molto lodato, ha detto che ci sono moltissimi dotti che non hanno quella perizia, ma l'avrebbero se esistesse. FILOTIMO, - La ragione è una bambina che non mette ancora i denti; perciò non gli tiriamo un cazzotto. LOGIFERO. - Il dottissimo teologo e patriarca Psicoteo, maestro sottilissimo di lettere, dichiara di avere conosciuto l’arte di Tullio, Tommaso, Alberto, Alulide e di altri autori sconosciuti e di non avere potuto trarre da loro alcun frutto. FILOTIMO, - Giudizio di prima tonsura! LOGIFERO. - E infine, per sintetizzare tutto in una sola parola, vari uomini hanno varie opinioni; diversi dicono cose diverse; quante sono le teste, tanti sono i pareri. FILOTIMO, - E tante le voci. Perciò i corvi gracchiano, i cuculi 10 fanno cucù, i lupi ululano, i maiali grugniscono, le pecore belano, i buoi muggiscono, i cavalli nitriscono, gli asini ragliano. E’ turpe, disse Aristotele, essere sollecito a rispondere a chiunque faccia domande; i buoi muggiscano ai buoi, i cavalli nitriscano ai cavalli, gli asini raglino agli asini: a noi tocca nel colloquio fare un qualche esame dell'invenzione di costui. LOGIFERO. - Benissimo! Perciò Ermes si compiaccia di aprire il libro affinché esaminiamo i pensieri dell'autore. ERMES. - Lo farò con molto piacere. Ecco, leggo la prefazione dell’opera. “A nessuno (dice) penso che sfugga che sono state pubblicate da altri molte arti della memoria, delle quali tutte e ognuna singolarmente, servendosi proprio degli stessi canoni, si trovano quasi nella stessa difficoltà: per questo noi abbiamo provveduto a presentare piuttosto i frutti di questa invenzione, con i quali fosse trattata più seriamente, più facilmente e più agevolmente una questione tanto illustre, per raggiungere un’arte che si desidera tanto. Le scuole più antiche, ricercando una quotidiana esercitazione, troppo inopportunamente distoglievano gli ingegni più fecondi dalla prosecuzione di esse e dallo studio: infatti gl’ingegni sono meno costanti e (per dirla più francamente) più intolleranti quanto più sono sottili e pronti; alcuni di loro si preoccupano più di sfiorare tutte le cose che apprenderne fino in fondo una sola”, FILOTIMO, - Mi piace, appunto, di questo autore che non appartiene alla schiera di coloro che, raccogliendo insieme di qua e di là i pensieri degli altri, per ottenere l'immortalità a spese altrui, si mettono nel numero degli autori che lavorano per i posteri e, come la maggior parte di coloro, si presentano dottori di quelle discipline di cui non hanno certamente alcuna conoscenza e comprensione; e per giunta molte volte non possono evitare (dopo essersi adattata addosso alla meglio la pelle del leone con le invenzioni degli altri) di rientrare abbastanza spesso nella propria pelle e infine forzare la voce, quando lanciano qualcosa fuori dal loro fiacco Marte (poiché è facile aggiungere alle invenzioni altrui), o gettano fuori qualcosa 11 dalla deficienza di una stupida sensibilità. Quelle cose sono gli arieti delle incapacità oratorie, le catapulte degli errori, le bombarde delle sciocchezze, e i tuoni, i lampi, le folgori e le grandi tempeste delle ciucaggini. LOGIFERO. - Non pensi la stessa cosa circa i nostri raccoglitori di poesie e versificatori, i quali, servendosi delle invenzioni, semiversi e versi altrui, vogliono passare ai nostri occhi al posto dei loro poeti? FILOTIMO. - Lascia perdere i poeti. Infatti, come sappiamo che i re a seconda delle occasioni hanno le mani lunghe, così i poeti a tempo e luogo sogliono avere voci alte e lunghe. LOGIFERO. - Parlavo dei versificatori, non dei poeti! FILOTIMO, - Bene, perciò pochi o nessuno stimerà che la cosa si riferisca a lui. Ma questo che ci interessa? Basta che nell’'intenzione degli autori ci sia stata la cognizione di quest'arte. LOGIFERO. - Non dei poeti. FILOTIMO, - Ma andiamo avanti: leggi il seguito. HERMES. “Di qui (dice) avendo applicato l'animo a ossequiare alcuni miei amici, dopo altre arti della memoria di genere diverso, le quali abbiamo indirizzato privatamente a diversi destinatari e, secondo i vari indirizzi, abbiamo comunicato ad altri per la loro dignità e intelligenza, abbiamo composto quest'arte che è preferibile a tutte le altre per il valore dei princìpi che sono contenuti in essa e non è da posporre a nessuna in base ai risultati. In questa prometto certamente un sistema facile e una scienza per nulla faticosa al posto della prassi, ma un libro per nulla accessibile a tutti con i suoi pensieri, contro l'abitudine di coloro che hanno tramandato libri facili e brevi intorno a questa arte, ma l’arte stessa difficile e prolissa. Pochi eruditi la comprendano e, poi, con la loro comprensione venga in uso per tutti; e sia tale che tutti, sia i rozzi sia gli eruditi, possano facilmente saperla ed esercitarla; e tale che senza una dotta guida possano comprenderla soltanto quelli ben versati nella metafisica e nelle dottrine dei Platonici. Questa arte, infatti, offre il 12 che segue è più limitata a un determinato modo di acquistare la memoria attraverso l’artificio”, TRENTA INTENZIONI DELLE OMBRE. PRIMA INTENZIONE. Con l'assenso, quindi, dell'unico Dio e con il favore dei grandi Numi sotto la protezione dello stesso altissimo Principe, cosi incominciamo. Il più saggio degli Ebrei, presentando la perfezione dell’uomo e la conquista della cosa migliore che si possa ottenere in questo mondo, fa dire così alla sua amica: “MI SONO SEDUTA ALL'OMBRA DI COLUI CHE AVEVO DESIDERATO (Cantico dei cantici, 2,3). Infatti questa nostra natura non è così grande da potere abitare, secondo la sua capacità, il campo stesso della verità. Infatti è stato detto: “L'uomo vivente è vanità, soltanto vanità”. (Qoelet,1, 2). E ciò che è vero e buono è la prima e unica cosa. D'altronde come potrebbe accadere che ciò il cui essere non è propriamente vero e la cui essenza non è propriamente verità abbia in sé efficacia e atto di verità? Perciò a esso basta, ed è anche molto, che sieda all'ombra del bene e del vero. Non dico all'ombra del vero e del bene naturale e razionale (così infatti si direbbe male e falsamente), ma metafisico, ideale e sovrasostanziale; donde è reso partecipe di ciò che è bene e vero, secondo la sua facoltà, l'animo che, anche se non possiede tanto da essere l’immagine di quello, tuttavia è a immagine di quello; allora la trasparenza, che è l’anima stessa, delimitata dall’opacità, che è il corpo stesso, esperimenta nella mente dell’uomo qualcosa dell'immagine, finché approda a essa; ma nei sensi interni e nella ragione, nei quali ci volgiamo nella nostra vita animale, esperimenta l'ombra stessa. SECONDA INTENZIONE. Io vorrei che tu, proprio in considerazione di ciò, ti ricordassi anche di tenere distinta l'ombra dalla proprietà delle tenebre. Infatti l'ombra non è tenebre, ma o traccia delle tenebre nella luce o traccia della luce nelle tenebre o partecipe della luce e delle tenebre o un composto di luce e di tenebre o un miscuglio di luce e di tenebre o nessuna 15 delle due cose, separata dalla luce, dalle tenebre e da entrambe. E questo deriva o dal fatto che la verità non sia piena di luce o perché sia una luce falsa, oppure perché non sia né vera né falsa, ma traccia di ciò che è veramente o falsamente, eccetera. Perciò si tenga presente che l'ombra è traccia di luce, partecipe di luce, ma non piena luce. TERZA INTENZIONE. Inoltre, quando accade di cogliere una luce doppia, sia nell’ambito della sostanza, sia nell’ambito di quelle cose la cui consistenza è in relazione alla sostanza o nella sostanza (donde si assume come principio l'ombra secondo una duplice opposizione), bisogna che tu ricordi questo: la luce che è intorno alla sostanza, come ultima traccia di essa, parte dalla luce che è detta atto primo, e anche l'ombra che è intorno alla sostanza emana dall’ombra che, si dice, proviene dalla sostanza. Proprio essa è il primo soggetto che i nostri fisici chiamano anche materia prima: tutte le cose che partecipano a essa, non ricevendo una luce pura, si dice che sono e operano all'ombra della luce. QUARTA INTENZIONE. Conseguentemente non ti sfugga che, poiché l'ombra ha qualcosa dalla luce e qualcosa dalle tenebre, accade che qualcuno è sotto un'ombra duplice: evidentemente è l'ombra delle tenebre e (come dicono) della morte; e ciò si verifica quando le potenze superiori o s’infiacchiscono e si rilassano, o diventano sottoposte a quelle inferiori, finché l'animo rimane legato a una vita soltanto corporale e al senso. E poi è l'ombra della luce, cosa che si verifica quando le potenze inferiori sono sottoposte a quelle superiori rivolte a mete eterne e più eccellenti, come accade all’animo aggirantesi nei cieli, il quale con lo spirito soffoca gli eccitamenti della carne, Nel primo caso l'ombra si getta nelle tenebre, nel secondo l'ombra si getta nella luce. Invero nell'orizzonte della luce e delle tenebre nient'altro possiamo comprendere che l'ombra. Quest’ombra si trova nell'orizzonte del bene e del male, del vero e del falso; quest'ombra è proprio ciò che può essere reso buono e cattivo, falsato e conformato a verità, e che, tendendo in qua, si dice che sia sotto l'ombra di questo (cioè del male e del falso), ma che, tendendo in là, si dice che sia sotto l'ombra di quello (cioè del bene e del vero). 16 QUINTA INTENZIONE. In proposito noi consideriamo sopratutto quelle ombre che sono obiettivi degli appetiti e della facoltà cognitiva, concepiti sotto l'aspetto del vero e del bene, che lentamente allontanandosi da quell’unità sovrasostanziale avanzano, attraverso una moltitudine crescente fino all’infinita moltitudine (per dirla alla maniera dei Pitagorici); queste ombre di quanto si separano dall'unità, di tanto si allontanano anche dalla verità stessa. Infatti, l’allontanamento avviene proprio dal sovraessenziale alle essenze, dalle essenze alle cose stesse che sono, da quelle alle tracce, alle immagini, ai simulacri e alle ombre: sia verso la materia, perché siano prodotte nel suo seno, sia verso il senso e la ragione, perché siano riconosciute attraverso la facoltà sensibile e razionale. SESTA INTENZIONE. L'ombra si fonda sulla materia o natura, sulle cose naturali stesse, sul senso interno e esterno, come sul moto e sull’alterazione. Ma nell’intelletto, dato che la memoria consegue all’intelletto, è come in uno stato. Perciò quel saggio presenta la vergine soprannaturale e soprasensuale come una conoscenza raggiunta, che siede all'ombra di quel primo vero e bene desiderabile. La quale positura o stato, poiché non perdura molto nella vita naturale (infatti presto e all'istante le sensazioni ci assalgono e ci turbano, e proprio le nostre guide, i fantasmi, ci seducono circuendoci), quella positura è indicata dal tempo perfetto o dall’imperfetto, anziché dal tempo presente. Infatti, dice: mi sono seduta all'ombra o sedevo. SETTIMA INTENZIONE. Ma poiché in tutte le cose c'è una connessione ordinata, in modo che i corpi inferiori succedono a quelli mediani e questi ai superiori, allora i corpi composti si uniscono ai semplici e quelli semplici ai più semplici, quelli materiali si accostano agli spirituali e quelli spirituali a loro volta a quelli immateriali, sicché uno solo è il corpo dell'Ente universale, uno solo l'ordine, uno solo il governo, uno solo il principio e una sola la fine, uno solo il primo e uno solo l’ultimo. E poiché è data (come non ignorarono i più autorevoli tra i Platonici) una migrazione continua dalla 17 supera la somiglianza già presente nel soggetto sensitivo. Da qui potrai prevedere di quale somiglianza tu debba in pratica tenere conto, affinché le cose cercate dagli adepti non trovino impedimento al loro realizzarsi. UNDICESIMA INTENZIONE. Considera che questo mondo corporeo non avrebbe potuto essere bello, se le sue parti risultassero del tutto simili. Perciò la bellezza delle parti si manifesta nella connessione di vari elementi e la bellezza del tutto consiste nella varietà stessa. Segue da ciò che la visione umbratile di una cosa è la più imperfetta delle visioni, poiché, mentre l'immagine mostra le cose con varietà, l'ombra presenta quasi senza varietà ciò che è all’interno dei contorni di una figura esterna, contorni per altro massimamente falsati. Questo direi per ciò che riguarda l'ombra come ombra: non certo quale l’assumiamo nel proposito. DODICESIMA INTENZIONE. Il vero Caos di Anassagora è una varietà senza ordine. Proprio così come nella varietà stessa delle cose distinguiamo un ordine meraviglioso, che, instaurando una connessione degli elementi sommi con gli infimi e degli infimi con i sommi, fa concorrere tutte le parti insieme a costituire il bellissimo aspetto di un solo grande essere animato (qual è il mondo), poiché tanta diversità richiede tanto ordine e un così grande ordine tanta diversità. Non ci può essere, infatti, nessun ordine dove non risulti alcuna diversità. Perciò non è lecito intendere il primo principio né ordinato né in un ordine. TREDICESIMA INTENZIONE. Certamente, se una concordia pressoché indissolubile connette le estremità finali dei primi elementi agli inizi dei secondi e unisce il calcagno di quelli che precedono alle teste di quelli che seguono immediatamente, tu sarai capace di abbracciare con la mente quell’aurea catena che si forma sempre tesa dal cielo alla terra; così pure, come puoi avere fatto una discesa dal cielo, facilmente potrai ritornare al cielo per una salita ordinata. Possiamo sperimentare un grande sollievo della memoria con questa connessione artificiale, la quale vale anche a presentare ordinate le cose che a loro volta di per sé non mantengono affatto la successione della memoria. 20 Proprio questo si manifesta nel carme seguente: in esso, comprendendosi che l’Ariete avanza contro il Toro e questo, mosso a un diverso genere di azione, avanza contro i Gemelli e, poi, questi, mossi da una diversa e conseguente azione, si portano nel Cancro e, similmente, si verifica a turno negli altri segni zodiacali, accadrà che dalla vista di uno ci guadagneremo l’incontro dell'altro che segue immediatamente. Il capo del gregge, levatosi in ira su due piedi, con impetuosa fronte ferisce il re dell'armento. Donde vìndice, fuori di senno, spintosi il TORO assale con sfrenato colpo i fratelli GEMELLI. Subito le onde accolgono i fratelli giovani parenti. Il CANCRO si dirige ai rugiadosi prati. Repente in moto obliquo il Cancro, alunno delle onde, s’accosta al fiero volto del villoso LEONE. Perciò irritato s'alza il Leone sulle spalle crinite, onde vagante è apparsa alla rapace fiera la VERGINE. L'assale: ella fugge e folle con fugace passo s'imbatte nell'uomo che BILANCIA con un piatto persiano. Questi arde d'amore, e mentre incalza in cupidi abbracci, lo ferisce l’adunco pungiglione del duro VERME. Mentre, temendo la morte, ricorre alle mediche arti, avverte che dietro s'accosta un SAGITTARIO. Questi, offeso per la vergine che crede violentata, con il dardo, con cui assale costui, ecco ferisce il CAPRO. Appena di malanimo avverte confitto il ferro, fugge precipitoso alle rapide ACQUE. Così il capro infelice, trascinato dal gorgo delle acque, è dato come insolita esca agli immersi PESCI. QUATTORDICESIMA INTENZIONE. Invero l'ascesa che avviene per elementi connessi e concatenati, a proposito delle ombre ideali, non è tramite una catena continua di anelli simili, come s'intende dalle cose dette ultimamente e da quelle che saranno enunciate in seguito. Né l'anello di questa catena deve essere l'ombra sotto cui s'intende che dorme il Leviatan: non dico dunque l'ombra che allontana dalla luce, ma che conduce alla luce, la quale, per quanto non sia verità, tuttavia deriva dalla verità e porta alla verità; e perciò non devi credere che in essa ci sia l'errore, ma il nascondiglio del vero. QUINDICESIMA INTENZIONE. 21 Perciò cerca assolutamente di non incappare, confondendo il significato delle ombre per un’occulta omonimia, in questo genere di stoltezza, cioè di pensare, ragionare e giudicare senza discernimento intorno alle ombre; infatti quell’ombra, che le altre ombre proteggono (per la quale si dice: “Le ombre proteggono la sua ombra”), si oppone a quella che si eleva al di sopra dell'altezza dei corpi al confine delle intelligenze, per la quale si dice: “La sua ombra coprì i monti”. Da essa sono tratte e emanano quelle cose che producono in noi intelligenza e memoria, e in essa infine terminano quelle che salgono verso la luce. Questa ombra, o una simile a questa, l'hanno figurata coloro che sono detti Cabalisti, poiché il velo, che era allegoricamente o figurativamente sul volto di Mosè (Esodo, 34, 33-35), ma figuratamente sul volto della legge, non mirava a ingannare, ma a spingere avanti ordinatamente gli occhi degli uomini, nei quali si provoca una lesione nel caso che all'improvviso passino dalle tenebre alla luce. E infatti la natura non sopporta un progresso immediato da uno degli estremi all’altro, ma con la mediazione delle ombre e con la luce adombrata gradualmente. Parecchi hanno perso la naturale capacità della vista, avanzando repentinamente dalle tenebre alla luce: fino a tal punto essi sono lontano dal raggiungere l’obiettivo ricercato. Perciò l'ombra prepara la vista alla luce, l'ombra tempera la luce, per mezzo dell'ombra la divinità tempera e propina le apparenze che anticipano le cose all'occhio, avvolto da caligine, dell'anima che è affamata e assetata. Perciò riconosci quelle ombre che non estinguono, ma conservano e custodiscono la luce in noi, e per le quali siamo avviati e condotti all'intelligenza e alla memoria. SEDICESIMA INTENZIONE. A suo modo, il Teologo ha detto: “Se non crederete, non comprenderete”, e a loro modo i filosofi confermano che bisogna conquistare le scienze sulla base di quelle ipotesi e di quei presupposti nei quali si dice di confidare (questa fede presso i Pitagorici era intorno alle cose non dimostrate, presso i Peripatetici intorno a quelle non dimostrabili, presso i Platonici intorno a entrambe); e da quelle cose che si fondano sulla virtù, sull'origine e su una 22 dell’accidente, a meno che tu non ti getti in braccio a Scilla dicendo che l'ombra non è accidente. Inoltre, che diciamo delle ombre ideali? Potresti ben intendere che esse non sono né sostanze né accidenti, ma una certa nozione di sostanza e di accidente. Se a qualcuno piacerà dire che esse sono accidenti dell'animo e della ragione, mostrerà, dicendolo, inesperienza; infatti non sono atteggiamenti né disposizioni né facoltà innate o aggiunte, ma da esse e per esse sono prodotte e esistono alcune disposizioni, atteggiamenti e facoltà. Infatti, se si esaminano rettamente, la sostanza e l’accidente non dividono tutto quanto si dice che sia per l'universo, come solitamente supponiamo. Questa considerazione vale non poco per farsi una conoscenza razionale delle ombre. VENTITREESIMA INTENZIONE. L'ombra non è soggetta al tempo, ma al tempo di questa, non al luogo, ma al luogo di questa, non al moto, ma al moto di questa. Similmente bisogna intendere riguardo agli opposti. Perciò è astratta da ogni verità, ma non è senza essa e non rende incapaci di raggiungerla (nel caso sia un'ombra ideale): infatti fa concepire i contrari e i diversi, pur essendo una sola cosa. Infatti niente è il contrario dell'ombra, e precisamente né la tenebra né la luce, Perciò l’uomo si rifugiò all'ombra dell'albero della scienza per la conoscenza della tenebra e della luce, del vero e del falso, del bene e del male, quando Dio gli chiese: “Adamo, dove sei?” (Genesi, 3, 9). VENTIQUATTRESIMA INTENZIONE. Non bisogna neanche tralasciare di considerare che un solo corpo opaco, opposto a due o più sorgenti di luce, proietta due o più ombre. Perciò capisci in che modo e in virtù di che l'ombra segue il corpo e in che modo e in virtù di che segua insieme la luce; e considera come una luce molteplice produca un'ombra molteplice da un solo corpo e come innumerevoli luci producano innumerevoli ombre, anche se non appaiono in modo sensibile. Perciò l'ombra segue la luce in un modo, sebbene sembra che la fugga in un altro modo. VENTICINQUESIMA INTENZIONE Né ti sfugga che l'ombra, affinché fugga la luce, simula una quantità di corpo; e soltanto in una precisa e unica 25 distanza, luogo e disposizione, secondo la lunghezza e larghezza uguale al corpo, l'ombra è prodotta dalla luce opposta in modo che nulla sembra fuggire la stessa luce più che insinuare una quantità di corpo attraverso l'ombra. Infatti il sole in alcuni luoghi non rende mai l'ombra uguale al corpo, invece in altri più raramente e per un po’ di tempo. VENTISEIESIMA INTENZIONE. Nel caso che la grandezza di un corpo opaco superi la grandezza di un corpo lucido, produce un cono d'ombra sul corpo, ma proietta la base a un'infinita o indeterminata distanza. Ma nel caso che la grandezza della luce superi la grandezza di un corpo opaco, allora produce una base di ombra sul corpo, ma determinerà un cono nella sua proiezione al di fuori del corpo stesso a tale e tanta distanza per quanta misura proporzionale la grandezza del corpo lucido risulta ottenere al di sopra della grandezza del corpo opaco. Di qui, l'ombra che il corpo lucido della luna producesse dalla terra nella parte opposta (posto che il sole sia lontano dall'emisfero inferiore) avrebbe per cono un preciso margine della terra, ma la base di essa al di fuori della terra, quasi crescendo all'infinito, non sarebbe determinabile. Invece l'ombra che il corpo del sole produce dalla terra ha determinati limiti della terra per base, ma il cono non tocca la sfera di Mercurio stesso. Similmente ormai giudicherai delle idee e delle loro ombre. VENTISETTESIMA INTENZIONE. Di conseguenza, nota come dalla luce e dalla tenebra (infatti chiamo tenebra la densità del corpo) nasce l'ombra, di cui la luce è padre e la tenebra è madre: e essa non ha luogo se non in presenza di questa e di quello, e segue la luce in modo da fuggirla, come se si vergognasse di presentare al padre l'aspetto stesso della madre, per dimostrare almeno con il pudore la sua regale progenie, come i nobili per nascita che, non potendo mostrare la nobiltà con il proprio comportamento, la dimostrano abbastanza con il pudore stesso del proprio comportamento. Da qui, crescendo la luce, si attenua l'ombra, che si dilata se la luce si contrae; se questa medesima circonda tutto il corpo, l'ombra fugge. VENTOTTESIMA INTENZIONE. 26 Come dallo gnomone posto perpendicolarmente sopra un piano tra Arcton [l'’Orsa Maggiore] e l'occhio, dall’ombra immaginabile traiamo una linea meridiana e infallibilmente molte altre differenze di tempi, che nel notturno cerchio delle stelle polari portano alle differenze delle parti del circolo, che sono manifestate attraverso i numeri dalla linea tesa verso la circonferenza di quello; così anche le ombre ideali attraverso i corpi fisici potranno manifestarti le proprietà e le differenze delle cose per innumerevoli idee. VENTINOVESIMA INTENZIONE. E come il sole emana sei differenze fondamentali di ombre; una, quando, sorgendo, proietta l'ombra del corpo verso occidente; una seconda, quando, tramontando, la estende verso oriente; una terza a mezzogiorno e nella latitudine australe la estende verso Borea; una quarta, nella latitudine settentrionale verso Austro; una quinta, se non ammette alcuna latitudine: dalla “zona” del cielo (così la chiamano) stendendo i raggi perpendicolari, produce l'ombra della terra verso il suo nadìr; di poi, dall’antipodo stesso dell'altro emisfero espanderà verso l’auge un'ombra che dovrà attenuarsi proprio avanzando; così per noi che ci troviamo nell'orizzonte della natura e nella sua equilibrata e retta sfera, sotto l’equinoziale del senso o sotto l’equidiale dell'intelletto, si formano sotto le idee eterne sei differenze di ombre, dalle quali possiamo ricevere ogni tipo di conversione verso la luce. TRENTESIMA INTENZIONE Ma come comprendi che tutte le differenze delle ombre si possono infine ricondurre a sei fondamentali, nondimeno devi sapere che tutte infine dovrebbero essere ridotte a una sola fecondissima e a una generalissima fonte delle altre. Nel nostro proposito - ripeto una sola può essere l'ombra di tutte le idee, che accresce, giudica e presenta tutte le altre con l’addizione, la sottrazione e l'alterazione generalmente dette, come nell'arte materialmente per mezzo del sostantivo soggetto, formalmente poi per mezzo dell'aggettivo, che accolgono in se stessi gli elementi che alterano, traspongono e universalmente diversificano. Una certa analogia, infatti, ammettono la metafisica, la logica e la fisica, cioè le cose prenaturali, naturali e razionali, come verità, immagine e 27 idee dal luogo e dal tempo, si conformerà agli enti divini nelle sue opere sia che esse riguardino l'intelletto sia le volontà. Ciò faceva forse colui che disse: “Consistendo in carne, viviamo non secondo la carne” (Paolo, Lettera ai Romani, Ottavo, 12). QUARTO CONCETTO. Se ciò è possibile e vero, è lecito apprendere che l'anima intellettiva non è veramente insita, fissa e insistente nel corpo, ma in verità come assistente e governante del corpo, tanto che può vantare una specie perfetta, separatamente dal corpo. Alla quale opinione (senza controversia) aderisce massimamente quel Teologo che, intitolandola con un nome più preciso, la chiamò “uomo interiore”. Che, se in base all'affermazione di questo tu ricercassi operazioni possibili alla stessa anima senza corpo, ecco che essa si unisce alle idee, non determinate da luogo certo e da tempo, ogniqualvolta l’uomo libero nella mente o nell'animo abbandona la materia e il tempo. QUINTO CONCETTO. L'anima ha una sostanza che si comporta verso gli intelletti superiori, come il corpo diafano verso le luci (come anche i più importanti Platonici hanno compreso), poiché, secondo la sua diafanezza e trasparenza, accoglie una certa luminosità come innata. Questa è sempre in atto, quando è spogliata del corpo, come se abitasse la regione della luce. Ma quando permane nel corpo, come un cristallo la cui diafanezza è limitata dall’opacità, ha visioni sensibili vaghe che si avvicinano e si allontanano attraverso una convergenza e divergenza secondo le differenze dei tempi e dei luoghi. SESTO CONCETTO. Le forme delle cose sono nelle idee, sono in un certo modo in se stesse, sono in cielo, sono nel cerchio del cielo, sono nelle cause prossime seminali, sono nelle cause prossime efficienti, sono individualmente nell’effetto, sono nella luce, sono nel senso esterno e sono in quello interno, secondo il loro modo. SETTIMO CONCETTO. Perciò la materia non è riempita dalla ricezione delle forme (come essa indica attraverso un’eterna ricerca di nuove forme), poiché né accoglie quelle vere né veramente 30 riceve quel che sembra ricevere. Infatti le cose che sono veramente non sono di per sé sensibili e individuali, come pensa chi le chiama anzitutto, principalmente e massimamente sostanze. Infatti le cose che sono veramente permangono sempre; quelle che, invece, sono soggette alla generazione e alla corruzione, si dice che non sono veramente. Il che non solo si accorda con un corretto filosofare, ma anche con il fatto che alcuni dei Teologi, come sentiamo, chiamano vanità l’uomo esteriore, soggetto com'è alla condizione naturale. E altri invero sostengono che sono affette da un universale carattere di vanità tutte le cose che accadono sotto il sole, cioè che abitano la regione della materia. Perciò alle idee, alle idee l’anima chieda la fissione delle concezioni, se ben ragiona. OTTAVO CONCETTO. Plotino, quando tratta della proprietà della moltitudine delle idee, chiama idea il primo uomo, anima il secondo, ma il terzo quasi ormai non più uomo. Il secondo dipende dal primo, il terzo dal secondo, mentre per mezzo di un ordinamento, una contrazione e una composizione si dispone all'esistenza fisica. Perciò, secondo il concetto metafisico, il terzo salga al secondo, il secondo al primo. NONO CONCETTO. L'identico, il permanente e l'eterno coincidono. Infatti, l’identico, poiché identico, permane ed è eterno. L’eterno, in quanto eterno, permane ed è identico. Il permanente, in quanto permanente, è identico e eterno, Perciò bisogna che tu ti appoggi proprio all’identico o a ciò che ha una condizione d'identità, perché tu l'abbia in modo permanente e perseverante, Se capirai ciò, avrai un principio con cui tu possa operare una fissione delle specie nell'anima. DECIMO CONCETTO. Questo pensiero è ben degno di ricevere l’attenzione della mente. L’intelletto primo, Amfitrite (VEDI NOTA) della luce, così effonde la sua luce dall'interno all’esterno e l’attira dalle estremità che qualsivoglia cosa possa da esso, secondo la capacità, trarre tutte le cose e qualsivoglia cosa, secondo la facoltà, possa volgere a esso per la via della luce stessa. Ciò è forse quel che un tale intese dicendo: “Attinge dalla fine sino alla fine” e un altro dicendo: “Non c'è chi si separi dal calore di esso”. Qui io intendo la luce 31 come intelligibilità delle cose che sono da esso e tendono a esso, e ciò che accompagna l’intelligibilità. Queste cose, quando sgorgano quale da una e quale da un’altra, diverse da diverse, si moltiplicano all'infinito, tanto che le può determinare solo chi conta il numero delle stelle; quando invece rifluiscono, si uniscono fin proprio a quell’unità che è fonte di tutte le unità. Nota dei curatori: “Amfitrite” ha il significato di “fonte”. UNDICESIMO CONCETTO. L'Intelletto primo con la sua fecondità a suo modo propaga idee non nuove, né in modo nuovo. La natura produce nuove cose nel numero, ma tuttavia senza novità (nel suo modo), se opera sempre allo stesso modo. La ragione forma specie nuove e in modo nuovo all'infinito: componendo, dividendo, astraendo, contraendo, aggiungendo, sottraendo, mettendo e togliendo ordine. DODICESIMO CONCETTO. Le forme degli animali deformi divengono belle in cielo, le forme dei metalli che non risplendono in se stesse risplendono nei loro pianeti. Infatti né l’uomo né gli animali né i metalli là esistono come sono qui. Ciò che qui corre di qua e di là, lì si trova in atto, in un livello superiore. Infatti le virtù, che si moltiplicano andando verso la materia, si uniscono e si coimplicano andando verso l’atto primo. Donde è chiaro ciò che dicono i Platonici, cioè che una qualsivoglia idea anche delle cose che non vivono è vita e, per così dire, intelligenza; egualmente anche nella mente prima una sola è l’idea di tutte le cose. Pertanto illuminando, vivificando e unendo, c'è motivo per cui, conformandoti agli agenti superiori, tu giunga alla conoscenza e al ricordo delle specie. TREDICESIMO CONCETTO. La luce, la vita, l'intelligenza e l’unità prima contengono tutte le specie, le perfezioni, le verità, i numeri e gradini delle cose, mentre quelle cose che nella natura sono differenti, contrarie e diverse, risultano in essa identiche, concordanti e una sola cosa. Perciò tenta se puoi con le tue forze d’identificare, conciliare e unire le specie recepite; così non affaticherai l'ingegno, non turberai la mente e non confonderai la memoria. 32 proprio in quanto produce l'atto: e questa chiamiamo non propriamente idea, o forma della produzione delle cose; la seconda è quella dalla quale è formata la cosa stessa come da una parte: e a questa non si addice essere detta somiglianza di quella di cui è parte; la terza è quella che, come una qualità inerente, delimita e raffigura qualcosa: essa non può accogliere la proprietà dell'idea poiché non si separa da ciò di cui è forma. Ce n'è una quarta secondo la quale si forma qualcosa e che è imitata da qualcosa: e questa, secondo l’uso del parlare, suole avere il nome d’idea. E questa è chiamata in quattro modi: nelle cose artificiali stesse, prima della realizzazione delle cose artefatte; nelle intenzioni prime, prima delle seconde; nei principi della natura, prima delle cose naturali; nella mente divina, prima della natura e di tutte le universe cose. Nelle prime l’idea è detta tecnica, nelle seconde logica, nei terzi fisica, nella quarta metafisica. VENTITREESIMO CONCETTO. Alcune forme imitano come per natura, come l'immagine nello specchio imita la forma di una cosa riflessa; alcune per istituzione, come una figura impressa imita il sigillo; e ancora alcune imitano come di per sé, come una pittura che rappresenta qualcuno secondo l'intenzione del pittore; alcune in un modo intermedio fra l'imitazione per accidente e quella di per sé, come se fosse fatta una pittura per presentare quello che può presentare. Ma alcune imitano come capita, a caso: come quando accade che un'immagine dipinta imita qualcuno in modo preterintenzionale. Alcune poi imitano né per sé né per caso, le quali inoltre non si riferiscono né possono essere riferite a imitare nessuno, se è possibile che tali siano le forme. Nelle prime c'è una maggiore proprietà ideale, nelle seconde minore, nelle terze minima, nelle quarte non ce n'è assolutamente. VENTIQUATTRESIMO CONCETTO. Ciò che agisce secondo natura o a caso e non secondo una deliberazione della volontà, non presuppone le idee. Se tale fosse il primo efficiente, non ci sarebbero le idee e nessun agente opererebbe secondo una volontà. Del resto, valgano Democrito, Empedocle e Epicuro. Se ritieni impossibile che la ragione dell'agente venga separata da 35 chicchessia, allora ricercherai minuziosamente proprio ciò che è più inaccessibile a tutti così che, se non ti si renderanno tutte le cose possibili, moltissime almeno lo diventeranno. VENTICINQUESIMO CONCETTO. Uno dei nostri compatrioti disse: “La forma esemplare possiede la ragione del fine e da essa l'agente riceve la forma con cui compie ciò che sia fuori di lui”. Non è invece conveniente credere che Dio agisca per un fine diverso da sé e riceva da un'altra parte ciò con cui sia sufficiente ad agire: per questa ragione non ha idee fuori di sé. Invece noi, poiché abbiamo in noi soltanto le loro ombre, bisogna che le indaghiamo fuori e sopra di noi. VENTISEIESIMO CONCETTO. Attraverso l’immagine, che è nell’intelletto, si apprende qualcosa meglio che non attraverso l’immagine che è nel soggetto fisico, poiché essa è più immateriale. Similmente si conosce qualcosa attraverso l’immagine della cosa, che è nella mente divina, meglio di quanto si possa conoscere attraverso la sua stessa essenza. Due cose si richiedono per l'immagine che è mezzo di conoscenza: la rappresentazione della cosa conosciuta, la quale si unisce, secondo la vicinanza, al conoscibile, e l'essere spirituale e immateriale, come ha da essere nel conoscente. VENTISETTESIMO CONCETTO. Come le idee sono forme principali delle cose secondo le quali è formato tutto ciò che nasce e muore; e non solo hanno riferimento a ciò che si genera e si corrompe, ma anche a ciò che può essere generato e morire: così allora è vero che noi ci siamo formate in noi le ombre delle idee, dato che esse ammettono una tale facoltà e plasmabilità da essere adattabili a tutte le formazioni possibili. E” con una certa somiglianza che abbiamo formato quelle che consistono nella rivoluzione delle ruote. Se puoi tentare un’altra via, tentala. VENTOTTESIMO CONCETTO. Platone non stabilì le idee degli accidenti proprio perché comprendeva che esse sono le cause prossime delle cose; donde, se qualche cosa, eccetto l’idea, fosse la causa prossima della cosa, non voleva considerarla idea, e perciò 36 sostenne che non c'è idea comune in quelle cose che sono dette per ciò che è prima e dopo, ma che il primo fosse idea del secondo. Donde il filosofo Clemente affermava che le cose superiori negli enti sono idee delle cose inferiori. Sostengono che ci sono le idee degli accidenti i teologi, i quali intendono che Dio è causa immediata di ciascuna cosa, per quanto non escludano secondi Dei e cause. Perciò anche noi in proposito affermiamo che ci sono le idee di tutte le cose poiché risaliamo a esse medesime da ogni cosa concepibile. Di tutte le cose, infatti, formiamo ombre ideali. Né per questo distruggiamo la dottrina platonica, come è chiaro per chi capisce. VENTINOVESIMO CONCETTO. Platone non stabilì idee delle singole cose, ma solamente delle specie, sia perché le idee riguardano soltanto la produzione delle forme, non della materia, sia anche perché principalmente le forme sono intese per natura, non invece i generi e gli individui. I teologi pongono le idee delle singole cose, poiché asseriscono che Dio è causa totale e per quanto attiene alla materia e per quanto attiene alla forma. Anche noi in proposito ammettiamo le idee delle singole cose, poiché poniamo come principio la conoscenza razionale di ciò che è “ideato” secondo la somiglianza universale di ciò che è figurato e compreso, sia che essa sia ‘ante rem' sia in ‘re’, sia ‘res’ sia ‘post rem’, così pure e nella sensazione e nell’intelletto, e questo sia pratico sia speculativo. TRENTESIMO CONCETTO. Certuni collocano la nascita delle idee meno comuni nelle idee più comuni e infine uniscono i generi di tutte le idee proprio nell’ente primo che chiamano sommo intelligibile. Tu ricordati di collocare le ombre delle idee meno comuni in quelle più comuni e i soggetti esterni di esse meno comuni in quelli più comuni. INTORNO ALLA COMPLESSIONE CHE SI VERIFICA PER L'INCONTRO DELLA PRIMA RUOTA CON LA SECONDA. Occorrerà perciò che chi vuole conquistare da sé l’arte generale per l'attitudine dell'intelletto, della volontà e della memoria (per quanto noi al presente la limitiamo alle 37
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