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Omero, la poesia epica (e Omero minore), Appunti di Letteratura Greca

Riassunti dettagliati su Omero, Iliade e Odissea, i caratteri generali dell’epica e Omero minore.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 17/04/2023

Giusepperendina
Giusepperendina 🇮🇹

4.7

(24)

26 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Omero, la poesia epica (e Omero minore) e più Appunti in PDF di Letteratura Greca solo su Docsity! La poesia epica: Il più antico genere letterario, l’epos greco nasce sotto forma di racconto spontaneo, tramandato per via orale e messo per iscritto in epoca più tarda. Il poema epico è una narrazione in versi delle imprese avventurose ed eroiche di un popolo e dei suoi eroi, una narrazione ambientata in un passato leggendario, mitologico o storico. Attraverso questo genere, nascono le leggende relative alle origini di un popolo, la sua storia e i suoi valori. I primi testi della letteratura greca sono l’Iliade e l’Odissea, due poemi epici fissati per iscritto nell’VIII secolo a.C. Dalla lettura dei poemi ci rendiamo conto che questi sono il risultato di una gestazione poetica che affonda le sue radici prima dell’VIII secolo, forse - addirittura - nel mondo miceneo. Lo stesso verso nel quale sono composti, l’esametro, è molto elaborato e soggetto a precise leggi di versificazione che ne denunciano una lunga storia precedente. Pertanto, se ne è dedotto che fino al momento in cui poemi epici furono fissati per iscritto, la loro composizione e la loro trasmissione furono orali, affidate alla voce di un aedo, che recitava davanti a un pubblico le imprese degli eroi. OMERO Secondo la tradizione, Iliade e Odissea sono stati scritti da un autore di nome Omero, ma come aveva già intuito Vico nella prima metà del settecento, lui non fu l’autore dei due poemi: simboleggia, piuttosto, l’attività letteraria di un’intera cultura, anzi, possiamo persino dubitare del fatto che Omero sia realmente esistito, data la natura dei poemi. Quindi il nome “Omero” è da considerare come una designazione convenzionale usata per riferirsi ai due poemi. Intorno alla figura di Omero, però, iniziarono a fiorire numerose notizie biografiche intorno al VI secolo a.C.: lo storiografo Erodoto, vissuto nel V secolo, riteneva che Omero dovesse essere datato circa 400 anni prima di lui, quindi nel IX secolo… Quella di Erodoto è una testimonianza preziosa in quanto ci conferma come già nel V secolo Omero fosse considerato un poeta molto antico. Per quanto concerne il luogo di nascita, le ipotesi più accreditate furono Chio e Smirne: la sua nascita era contesa tra le tante città e questo dipendeva dal fatto che tutti i greci volevano appropriarsi di una figura così importante, che era simbolo di unità culturale. Di Omero si diceva anche che fosse cieco, in omaggio alla tradizione secondo la quale il poeta è per definizione un veggente, e il veggente è cieco perché vede con l’occhio interiore. I POEMI Per quanto concerne la struttura dei due poemi, questi sono divisi in 24 libri ciascuno… Questa divisione risale ai grammatici alessandrini e si basa su una corrispondenza tra i singoli libri e le 24 lettere dell’alfabeto greco (convenzionalmente si utilizzano le maiuscole per Iliade e le minuscole per l’Odissea) ILIADE L’Iliade è il poema di Ilio, nome alternativo per la città di Troia nel nord dell’Anatolia. Questo non racconta dei 10 anni della guerra di Troia, ma solo di una cinquantina di giorni dell’ultimo anno. La prima parola del poema è “l’ira” di Achille, considerata da molti l’argomento del poema… Certamente è narrativamente il motore della vicenda. La guerra scaturisce dall’offesa fatta da Paride, figlio di Priamo (re di Troia) a Menelao (re di Sparta). Paride rapisce Elena, moglie di Menelao e il fratello di Menelao, Agamennone, raccoglie un esercito e lo conduce in guerra contro Troia insieme a tutti gli altri principi greci. TRAMA ILIADE: durante il decimo e ultimo anno di guerra, mentre gli achei sono accampati sulla spiaggia di fronte a Troia (Ilio) che resiste all'assedio, tra il valoroso Achille, capo dei mirmidoni, e Agamennone, il comandante della spedizione, scoppia un'aspra contesa: Agamennone pretende che gli venga data Briseide, schiava di Achille, in sostituzione della sua schiava Criseide che è costretto a restituire al padre Crise, sacerdote di Apollo, per far cessare una terribile pestilenza scatenata dal dio nel campo acheo. Achille, sconvolto dall'ira, si ritira nella sua tenda rifiutandosi di continuare a combattere. Si lamenta poi dell'affronto subito con la madre, la dea marina Teti, che prega Zeus di vendicare il figlio favorendo i troiani. Achei e troiani tornano a combattere: tra gli eroi greci si distinguono per il valore delle imprese Menelao, Aiace, Diomede e Odisseo (Ulisse) e tra i troiani Paride ed Ettore, primogenito di Priamo, re di Troia, il più valoroso difensore di Ilio. Guidati da Ettore, i troiani sconfiggono ripetutamente i loro avversari respingendoli fino alle navi. Dopo che sono giunti ad appiccare il fuoco ad alcune di queste, Patroclo, il più caro amico di Achille, lo supplica perché gli permetta di scendere in battaglia indossando le sue armi, sicuro di seminare il terrore tra i nemici facendosi credere Achille. Nella terrificante armatura dell'amico, Patroclo fa strage di troiani e, dimenticando ogni prudenza nell'esaltazione della lotta, affronta Ettore, che lo uccide e lo spoglia delle armi. Disperato per la morte dell'amico e deciso a vendicarlo, Achille torna in battaglia con indosso nuove armi fabbricate per lui dal dio Efesto e semina morte fra i nemici, i quali cercano rifugio dentro le mura della città. Ettore, solo, fronteggia con coraggio Achille in un terribile duello, ma soccombe di fronte alla forza del guerriero acheo e al volere del Fato. Ucciso Ettore, Achille fa scempio del suo cadavere trascinandolo per tre volte, legato al suo carro, intorno alle mure di Troia, sotto gli occhi di Ecuba e Priamo. Questi, distrutto dal dolore, si reca nella tenda di Achille con ricchi doni per riscattare il cadavere del figlio e dargli una degna sepoltura. Achille, commosso dalle parole accorate di Priamo che gli ricorda il vecchio padre Peleo, accetta la richiesta e si intrattiene con lui in un banchetto ospitale. Le solenni onoranze funebri in onore di Ettore chiudono il poema. L’ODISSEA La struttura narrativa è più complessa: buona parte del poema è costruita dai racconti fatti ai Feaci da Odisseo, che risulta quindi il narratore nell’ambito della narrazione… Questo racconto nel racconto si inserisce verso la metà del poema e sfrutta la tecnica narrativa del flashback per raccontare eventi precedenti al momento attuale. L’Odissea fa parte di quel gruppo di racconti che gli antichi chiamavano νόστοι, i ritorni degli eroi da Troia in patria. Quello di Odisseo è il più lungo, che dura 10 anni, come 10 anni era la durata della guerra di Troia. TRAMA ODISSEA: come l’Iliade, anche l’Odissea si apre con un proemio costituito dall’invocazione della musa ispiratrice e dalla protasi, in cui si sintetizza il contenuto dell’intera vicenda. Viene descritto Ulisse: è intelligente, astuto, pronto a sfruttare ogni situazione ed insaziabilmente curioso. TELEMACHIA (libri I-IV) Sono trascorsi dieci anni dalla fine della guerra di Troia, per la quale Ulisse era partito da Itaca quando il figlio era ancora un bambino. Ora Telemaco ha circa vent’anni e vive con la madre Penelope e con i Proci, ovvero 119 nobili di Itaca che pretendono in sposa la presunta vedova, per ottenere la corona. La donna, sperando nel ritorno del marito, promette a costoro che sceglierà un nuovo re solo se riuscirà a concludere un sudario per il suocero Laerte, prima che giunga Ulisse. Per evitare le nozze tuttavia, Penelope disfa durante la notte la tela tessuta di giorno. Nel frattempo un concilio degli dei si riunsice per decidere il destino di Odisseo trattenuto ormai da otto anni dalla ninfa Calipso sull’isola di Ogigia. Non appena Poseidone, che odia Ulisse, si allontana per partecipare ad un banchetto, gli dei decidono di concedere a Ulisse il ritorno a Itaca. Ermes si recherà allora presso Calipso per convincerla a lasciare andare l'eroe , mentre la dea Atena, assunte le sembianze del re Mentes, si reca da Telemaco, per indurlo a partire alla ricerca del padre. Intanto Femio, cantore della reggia di Ulisse, recita un poema, intolatato “Il ritorno da Troia”, che turba Penelope, rammemorandole il marito. Inizia così il racconto del viaggio di Telemaco che si reca, all’insaputa della madre, dapprima presso uno dei più venerabili eroe greci reduci da Troia, Nestore, e poi, accompagnato da Pisistrato, figlio di Nestore, da Menelao, a Sparta. Quest'ultimo gli rivela che in Egitto ha saputo dal dio del mare Proteo che Odisseo è appunto prigioniero della ninfa ad Ogigia. Telemaco scopre anche della morte di Agamennone, assassinato dalla moglie Clitemnestra e dall’amante Egisto. Intanto a Itaca, sotto la guida di Antinoo, i proci si stabiliscono definitivamente nel palazzo di Penelope e, venuti a conoscenza della spedizione del figlio Telemaco, organizzano un agguato per sbarazzarsi di un fastidioso erede. Penelope, non appena viene avvisata si rivolge ad Atena e ne invoca l’aiuto: questa le apparirà in sogno, rassicurandola sulle sorti del figlio. I VIAGGI DI ODISSEO (libri V-XII) Calipso, dopo aver ricevuto da Ermes l’ordine di lasciare partire Ulisse, promette all’eroe greco il dono dell’immortalità, che Odisseo rifiuta per la nostalgia che prova nei confronti della patria e della amata moglie. La ninfa così, seppur a malincuore, aiuta l’eroe nella costruzione di una zattera per aiutarlo ripartire. Dopo alcuni giorni di tranquilla navigazione, Ulisse è vittima di una violenta tempesta scatenata da Poseidone. Dopo due giorni e due notti, l’eroe, attraverso l’aiuto della dea Atena, riesce ad approdare sulla spiaggia dell’isola di Scheria, dove stremato, si addormenta. Atena appare in sogno a Nausicaa, figlia di Alcinoo, re dell’isola, consigliandole di recarsi al fiume per lavare il corredo nuziale. Nausicaa, il mattino seguente, si reca al fiume dove gioca a palla con le ancelle, fino a svegliare Ulisse, che le chiede informazioni sul luogo in cui si trova. Spaventate, le serve si danno alla fuga: solo Nausicaa ascolta l’eroe e gli offre il suo aiuto, esortandolo a chiedere l’ospitalità ai genitori. Il giorno seguente è organizzato un banchetto in suo onore e Demodoco, un cantore, racconta gli episodi riguardanti la caduta di Troia e dell’inganno del cavallo: Ulisse, nel sentire la storia della guerra, piange e Alcinoo lo invita a rivelare la sua identità. Odisseo rivela il suo nome e inizia a narrare il ritorno a partire dal termine della guerra. Incomincia qui il lungo flashback attraverso il quale si ripercorrono le vicende dell'eroe greco. Dopo la guerra, Ulisse sbarca nella terra dei Ciconi e saccheggia la città di Ismara, nella regione della Tracia. Costretto alla fuga (nella quale egli perde alcuni uomini), Ulisse approda all'isola dei Lotofagi, i "mangiatori di loto", un fiore che fa dimenticare il passato, e poi alla terra dei Ciclopi, dei mostruosi giganti pastori con un solo occhio. Qui l'eroe greco e i suoi compagni sono catturati da Polifemo, e Ulisse si salva ricorrendo alla sua proverbiale astuzia: dopo aver detto al mostro di chiamarsi "Nessuno", Odisseo fa ubriacare il ciclope e poi lo acceca con un palo rovente . Quando Polifemo urla che "Nessuno lo ha accecato", gli altri ciclopi credono semplicemente ch'egli abbia esagerato con il vino. Ulisse e i compagni, nascosti sotto alcune pecore, sfuggono poi al mostro che controlla i suoi animali tastandoli con le gigantesche mani. Ulisse si dirige poi da Eolo, dio dei venti, il quale dona loro un otre, racchiudente i venti contrari alla navigazione. Sfortunatamente, però, proprio nel momento in cui già appare all’orizzonte l’amata Itaca, i compagni, credendo che l’otre celi un tesoro, lo aprono, liberando così i venti sfavorevoli che rispingono le navi di Ulisse in alto mare. Ulisse si reca nuovamente da Eolo per scusarsi e per implorare invano un’altra occasione. L'eroe approda poi nella terra dei Lestrigoni, giganti cannibali che fanno strage dell'equipaggio di Ulisse, che fugge con l'unica nave superstite verso l'isola di Eea. Qui la seducente maga Circe, invaghita del protagonista, trasforma il resto della truppa in maiali: Odisseo spezzerà l'incantesimo solo grazie ad un'erba magica donatagli da Ermes. Dopo un soggiorno di quasi un anno presso la maga, quest'ultima lo invia nel paese dei Cimmeri, da cui Ulisse potrà scendere nell'Ade. Qui egli incontra molti eroi greci, tra cui Agamennone, Achille ed Eracle e soprattutto l'indovino Tiresia, che gli predice la lotta contro i Proci, lo invita a prestare attenzione alle vacche del dio Iperione e gli annuncia una misteriosa morte lontano dalla patria. Ulisse torna da Circe e, seguendo i suoi consigli, riparte per mare : incrociando le Sirene, egli tappa le orecchie dei compagni con della cera e si lega all'albero della nave, per ascoltare il canto delle creature mitologiche senza cedervi e senza , quindi , naufragare. Ulisse supera poi i mostri Scilla e Gli dèi: Quelli presentati sono i 12 dei dell’Olimpo: Zeus, Era, Poseidone, Atena, Afrodite, Apollo, Artemide, Demetra, Ares, Efesto, Hermes, Dioniso -> questi prendono parte attiva allo scontro, schierandosi con i greci o con i Troiani. A questi si aggiunge Ade, il signore del mondo dei morti. Compaiono anche molte divinità dotate di un ruolo minore come Amfitrite, dea marina, Hebe, dea della giovinezza ed Iride, messaggera degli dèi. Abbiamo inoltre frequenti personificazioni come Thanatos, la morte, Hypnos, il sogno, Eris, la contesa. Gli uomini rivolgono agli dei sacrifici e preghiere per ottenere in cambio quello che desiderano: il rapporto con la divinità è infatti scandito da preghiere ricorrenti, che sono tra le forme dell’epica in cui si concentra maggiormente il pathos della sofferenza e del desiderio. Gli dèi, tuttavia, non sono onnipotenti perché anch’essi sono soggetti al fato… es: Zeus che tenta invano di sottrarre il figlio Sarpèdone alla morte inflittagli da Patroclo. La società degli dei è una società umana: gli dei omerici formano una società chiusa in se stessa e soprattutto simile a quella degli uomini, rispetto ai quali hanno solo il privilegio dell’immortalità e di una potenza non confrontabile con quella umana. Questo è il cosiddetto ANTROPOMORFISMO: rappresentazione delle divinità con tratti fisici e comportamentali totalmente umani… Una concezione che, a volte, porta a una rappresentazione fin troppo umano-realistica degli dèi… es: fine Iliade 1 -> avviene una lite durante un concilio olimpico, che si conclude con il “riso irrefrenabile” degli dèi a vedere Efesto zoppo che si muove goffamente tra loro. Quella degli dei, poi, è una religione razionalizzata: in Omero la religione olimpica è già in gran parte razionalizzata -> i poemi conservano solo poche scorie di quella che era sentita come la fase barbarica precedente. Nei poemi, infatti, restano solo degli accenni alla lotta condotta dalle divinità olimpiche per conquistare il potere (lotta conclusa con la vittoria di Zeus sul padre Crono e sui Titani). Nell’epos, dunque, rimangono solamente sporadiche tracce di un sistema religioso più antico e sono banditi quasi per intero i riferimenti a pratiche magiche… Qualche residuo di riti magici lo troviamo nell’Odissea con Circe (X) e con l’invocazione dei morti (XI). LA NATURA E LA VITA QUOTIDIANA - LE SIMILITUDINI: nei poemi omerici l’ambiente naturale viene solo • accennato fugacemente e la descrizione naturalistica, quando è presente, non è mai fine a se stessa. La sede in cui si manifesta la natura sono le similitudini, nelle quali il dettaglio descrittivo serve a creare un più efficace richiamo alla situazione narrata, alle emozioni e ai sentimenti… La furia guerriera di un eroe viene paragonata all’impeto di un leone o di un’aquila, mentre il rivale sconfitto cade a terra come un albero che si schianta al suolo dopo essere stato tagliato. Anche la vita quotidiana, esclusa dalla tematica guerresca, trova spazio nelle similitudini: il fiume Scamandro si alza dal letto nel tentativo di sommergere Achille e l’onda in piena è paragonata a quella del contadino che irriga i suoi campi. Persino il mondo degli affetti familiari e dell’infanzia viene recuperato allo stesso modo: Atena che allontana i dardi da Menelao come una madre allontana una mosca dal figlio addormentato. LINGUA: è mista, perché si mescolano al suo interno due dialetti, quello ionico e quello eolico. Si tratta, quindi, di una • lingua che gli studiosi hanno definito “artificiale” e che, nella forma in cui si presentano i poemi, non è mai stata parlata. Nell’epos, infatti, la stessa cosa può essere detta in più modi ma soprattutto in dialetti diversi (dativi plurali οις e οισι) e questo la rende una lingua letteraria nel vero senso della parola, cioè non destinata alla comunicazione quotidiana. È assente il dialetto dorico, come assenti sono elementi di storia e di cultura riguardante i dori: secondo i filoni più diffusi della tradizione, l’invasione dorica risalirebbe al 1104 a.C., cioè a ottant’anni dopo la guerra di Troia… I dori, quindi, non avrebbero preso parte alla spedizione perché ancora non erano arrivati in Grecia (e per questo sarebbero stati i grandi assenti dalla scena storico narrativa dell’epos). I dori, però, non sono entrati neanche dopo nei poemi, in seguito agli “interventi chirurgici” operati sul testo omerico nei secoli successivi alla composizione… C’è una motivazione? Da cosa dipende questa esclusione? Il problema non è risolto, però abbiamo due ipotesi: secondo una prima ipotesi, forse dipende dal fatto che la fissazione dei contenuti dell’epica avvenne in epoca molto antica… Tuttavia è strano perché il medioevo ellenico, che è posteriore all’invasione dorica, è largamente presente. Secondo una seconda ipotesi, forse dipende da una corretta forma di arcaizzazione che ha impedito l’intrusione di elementi culturali e linguistici stranieri. Nel testo omerico, poi, sono presenti molti atticismi: secondo alcuni questi dimostrano il passaggio del testo omerico attraverso Atene, almeno a partire dal VI secolo a.C., quando il tiranno della città, Pisistrato, fece curare una redazione scritta dei poemi. Secondo altri, invece, si tratterebbe perlopiù di semplici fatti grafici: al posto delle forme attiche ‘έως- τέως, sono quasi sempre restaurabili le forme ioniche ήος-τήος. STILE: l’epos racconta in modo continuato e piano, prediligendo la paratassi del periodo e della struttura narrativa; • l’ordine delle parole è semplice e prevedibile, una semplicità che dipende dal fatto che il destinatario, ovvero l’ascoltatore della narrazione, doveva poter cogliere la narrazione con tutti i suoi particolari. FORMULARITÀ: caratteristica dell’epos sono le formule, nessi verbali che si ripetono nella stessa sede del verso • oppure interi versi ripetuti. Lo stile formulare è un modo di esprimersi caratterizzato da formule, cioè da ripetizioni di epiteti, di espressioni fisse e di topoi, adottato in origine dagli aedi, i cantori professionisti della Grecia antica. METRICA: esametro dattilico. • _____________________________________________________________________________________________________________ LA PATERNALITÀ DEI POEMI Nel mondo antico la figura di Omero come autore dei due poemi era un problema storico e critico. Il problema poteva essere affrontato: Avendo come presupposto la paternalità dell’opera: Aristotele assegnava Iliade e Odissea ad Omero; Xenone ed Ellanico • (i separatori) attribuivano le opere a due autori diversi. Ponendosi come obiettivo la spiegazione delle incongruenze del testo: Cicerone, G. Flavio, Pausania… La questione si • concentrava sull’opera piuttosto che sull’autore… Iliade e Odissea -> poemi disorganici, perché? Nel VI secolo Pisistrato, tiranno ateniese, avrebbe fatto riunire insieme in un unico corpus i canti epici di Omero tramandati fino ad allora in ordine sparso. Lo scopo era creare un’edizione nazionale adatta alle recitazione dei poemi in occasione della festa ateniese delle Panatenee. I due orientamenti antichi dimostrano una certa difficoltà a considerare i poemi sia come l’opera di unico autore, sia e soprattutto come un’opera unitaria in sé per sé, tant’è che in epoca moderna queste perplessità scatenarono la cosiddetta questione omerica. LA QUESTIONE OMERICA La questione omerica è il dibattito in cui gli studiosi sono confrontati e si confrontano per estrarre dai versi epici il maggior numero di dati affidabili riguardo alla loro origine. Ci sono varie posizioni: -Abate d’Aubignac: sostiene la tesi secondo la quale Omero non era mai esistito e che i poemi erano il risultato di una redazione, ovvero l’accorpamento di canti epici in origine separati. -Giambattista Vico: affermò che la composizione e la trasmissione dei poemi erano state orali e che Omero non era una persona, bensì il simbolo della facoltà storico-narrativa di un popolo. -Friedrich August Wolf: la vera svolta… scrive i “Prolegomena ad Homerum” -> egli aveva studiato il manoscritto Veneto Marciano A dell’Iliade… Cosa sostiene? I poemi non potevano essere stati scritti dalla stessa persona, o comunque da una sola persona, ma dovevano essere una serie di canti trasmessi oralmente e infine raccolti nella redazione pisistratea… -La critica analitica: la posizione maturatasi con Wolf portò tutta la critica omerica successiva a tentare di individuare, in modo analitico, i vari autori dei poemi. Interessante è la posizione di G. Hermann, che introdusse la cosiddetta “teoria dell’allargamento” (o teoria del nucleo) secondo la quale sarebbe esistita una Iliade primitiva, che trattava del tema dichiarato all’inizio del canto primo, lira di Achille, che nel tempo è stata integrata e ampliata con inserzioni successive, fino a diventare l’Iliade nella forma nota noi e agli antichi. La critica analitica, poi, ha analizzato soprattutto le incongruenze in campo narrativo-compositivo (i cosiddetti scandali analitici), considerate prova del sovrapporsi di più personalità poetiche… Caso clamoroso ed esemplare è quello di Pylomènes, guerriero che muore e resuscita. -La critica unitaria: i critici unitari vedono nell’opera un autore unico e precisamente Omero… Loro ribatterono che contraddizioni, incongruenze e oscillazioni nello stile possono trovarsi anche in opere moderne. Schadewaldt pubblicò gli studi Iliadici -> con questi cui voleva mostrare che l’architettura dell’Iliade era talmente complessa e armonica che non poteva non essere opera di una mente creatrice, geniale, che avrebbe perseguito un disegno poetico unitario. -La teoria oralistica di Parry: Milman Parry studia i cantori di gesta slavi meridionali, che ancora agli inizi del novecento recitavano senza servirsi di testi scritti… Sulla base di ciò, lo studioso inaugurò un nuovo approccio all’epica greca (simile a quella che si trova a studiare sul campo): il poema epico concepito e pubblicato (recitato) in assenza di scrittura. Nasce l’oral composition di Parry -> studia le tecniche mnemoniche di questo tipo di performance poetica e dimostra che l’unità minima grammaticale e narrativa del poema non è la singola parola, bensì la formula, ovvero un verso o una cellula metrica di verso che si ripresenta costantemente in corrispondenza di situazioni narrative ricorrenti e che può combinarsi con altre formule per formare intere sezioni. ILIADE E ODISSEA: ENCICLOPEDIA TRIBALE il termine “enciclopedia tribale“ è stato coniato da Eric Havelock e con questo voleva intendere che i poemi sono il deposito dei valori di una o più culture, sono testi depositari del sapere e delle tradizioni di una civiltà intera… Sono poemi ecumenici, universali, destinati a tutta la collettività: non c’è membro della comunità che non possa e non debba essere raggiunto dalla comunicazione dell’epica. I poemi, poi, sono caratterizzati dalla tipicità: si tende a descrivere gli aspetti psicologici che tutti possono osservare e che rivestono l’interesse collettivo (vengono trascurati i risvolti più intimi e privati). I POEMI COME TESTIMONIANZA DI ORALITÀ (aedi e rapsodi) I poemi omerici sono stati composti, pubblicati e trasmessi in un modo inusuale per noi: Composti oralmente, senza l’ausilio della scrittura. • Pubblicati attraverso una recitazione orale davanti a un pubblico di ascoltatori (pubblicazione “aurale”). • Trasmessi prima oralmente, poi per iscritto. • Dobbiamo però fare 2 precisazioni: Per oralità, almeno nella fase compositiva iniziale, si intende oralità integrale, primaria -> no scrittura. 1. Quando parliamo di “poemi“, non intendiamo i testi che abbiamo di fronte, ma tutti i loro studi anteriori, che erano 2. integralmente orali. I poemi, dunque, non solo un documento di oralità, bensì una testimonianza di oralità, perché li abbiamo di fronte a noi come un testo scritto… Come possiamo affermare che sono una testimonianza di oralità? Una serie di indizi… Il metro: l’esametro, con la sua regolarità ritmica, è segno di una lunga elaborazione orale • La formularità: forte indizio di composizione orale, non solo nel senso più banale di fornire un aiuto alla memoria del • cantore, ma aiuto all’orientamento dell’ascoltatore. Storia della scrittura in Grecia: assegnare fin dall’inizio la composizione dell’epica alla tecnica scrittoria bisognerebbe • succurre che la materia epica abbia preso forma solo dopo l’introduzione della scrittura alfabetica, cioè verso la metà o fine dell’VIII secolo a.C. e per di più in un periodo piuttosto breve: già nel VII secolo, però, archilocheo in Esiodo, che fanno uso della scrittura, mostrano di avere i poemi omerici nel loro patrimonio poetico. Quindi una così tardiva nascita dell’epica è improbabile (anche perché l’esametro è frutto di una lunga elaborazione -> non può essere così breve -> esametro e scrittura più antichi dell’epos). Tutto ciò e a favore dell’oralità dei poemi. La rielaborazione scritta Alcune spie linguistiche rivelano il graduale passaggio dalla fase orale a un’elaborazione per iscritto: -In alcune sezioni, come l’aristìa di Enea, troviamo violazioni della formularità: sicuramente sezioni rielaborate in età scrittoria. -Interventi elaborati non nella fase orale ma con l’aiuto della scrittura: innovazioni dal punto di vista linguistico come tratti linguistici più recenti all’interno di sezioni sicuramente antiche. -Elementi storici e sociali all’interno dei poemi che mostrano la stratificazione di realtà appartenenti a epoche diverse e quindi corrispondenti a fasi compositive diverse -> ma comunque a epoche senza scrittura o comunque in cui la scrittura non era usata a fini letterari: età micenea (riconduciamo lo scudo di Aiace che copre tutta la persona), il medioevo ellenico (l’uso di cremare i cadaveri). L’AEDO 1) Chi è? Cosa fa? È un cantore e a lui è affidato il compito di comporre e trasmettere le gesta degli eroi e degli dei. 2) Dove opera l’aedo omerico? Nell’ambiente di corte nobiliare. 3) Destinatario? Aristocrazia di palazzo -> pubblico ristretto, destinatario privilegiato. 4) Svolge un ruolo anche politico? Sì, presso la corte l’aedo svolge anche il ruolo di “ministro”, o quasi, come dimostra l’anonimo aedo di Agamennone, lasciato in patria con funzioni quasi di sovrintendente e sorvegliante della regina. 5) La sua dote divina: la sua attività è una dote di origine divina, una capacità che un dio o le muse possono instillare nel cantore. L’aedo, dunque, è un prescelto e un ispirato, possessore di un’arte che proviene dagli dei. Pertanto l’aedo è: αυτοδιδακτος, autodidatta, in quanto la sua σοφία e la sua capacità creativa gli derivano dalla sfera divina. • θείος, divino, in quanto esercita una funzione di tramite tra il mondo divino e quello umano. •
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