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ORIGINI E PRIMI DOCUMENTI DELL'ITALIANO, Sintesi del corso di Scienze Della Comunicazione

Appunti per l'esame di Storia della lingua italiana

Tipologia: Sintesi del corso

2015/2016

In vendita dal 17/01/2016

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Scarica ORIGINI E PRIMI DOCUMENTI DELL'ITALIANO e più Sintesi del corso in PDF di Scienze Della Comunicazione solo su Docsity! ORIGINI E PRIMI DOCUMENTI DELL’ITALIANO (Marazzini) Dal latino all’italiano. Il concetto di “latino volgare” viene di solito usato per indicare i diversi livelli linguistici che esistevano nel latino (sermo plebeius,sermo militaris,sermo rusticus); queste distinzioni servono ad indicare che già in epoca classica i plebei,i militari e i rustici parlavano un latino diverso da quello classico. Quindi il concetto di “latino volgare” finisce per mescolare due elementi: una componente sociolinguistica e una componente diacronica. Il sermo militaris fu quello con maggiore “successo”,poiché i soldati imponevano la propria lingua ai territori conquistati,ed è anche per questa ragione che il latino si è sviluppato fino ad occupare l’intera Europa. A partire dal IV secolo entrarono nel latino dei Germanismi: • GUERRA WERRA che prese il posto di BELLUM (il quale non ha lasciato nessuna traccia tolte alcune parole di origine colta,come BELLIGERANTE e BELLICOSO,avutesi con il naturale sviluppo della lingua). Il latino classico di età imperiale era quello parlato dal ceto colto e dagli aristocratici,ed era lo stesso utilizzato nello scritto; col passare del tempo però gli aristocratici si avvicinarono sempre di più alla lingua parlata dal popolo,dando vita al latino volgare da cui sono poi scaturite le lingue romanze. Altri strumenti per la conoscenza del latino volgare,e per lo studio della sua evoluzione nelle lingue romanze,ce lo danno anche alcune testimonianze scritte: • Opere di grammatici latini: la più famosa è l’Appendix Probi ,cioè un elenco di volgarismi riprovati con a fianco la forma corretta. (ad esempio si può notare la sincope che da CALIDA latino ha portato a CALDA italiano). • Iscrizioni : possono essere iscrizioni ufficiali,commemorative,indicazioni stradali (rilevate in particolar modo a Pompei ed Ercolano). Interessanti sono anche le Defixiorum tabellae , cioè delle formule magiche destinate a gettare il malocchio ai nemici. • Lettere. • Letteratura tecnica: le opere riguardanti quelle materie di studio ritenute “inferiori” (ad esempio architettura,ingegneria,agricoltura) non sono scritte con le norme del latino classico ma con quelle del latino volgare. • Opere letterarie: le commedie di Plauto e Terenzio furono scritte in latino volgare,a differenza delle tragedie di Seneca che,proprio per il loro carattere “serio” furono scritte in latino classico. Alcune lettere di Cicerone (soprattutto quelle destinate ai familiari) non vennero scritte dall’autore secondo le norme del latino classico,ma seguirono il latino “parlato”,così come il Satyricon di Petronio,deliberatamente scritto in latino volgare poiché con l’intento di rappresentare la società romana. IL DUECENTO. Dai provenzali ai poeti siciliani. Quando in Italia,all’inizio del XIII secolo stava nascendo la scuola poetica “siciliana” grazie all’aiuto di Federico II di Svevia,al di la delle Alpi erano già diffuse altre due letterature romanze,che stavano riscuotendo un enorme successo: la letteratura francese in lingua d’oil e la letteratura provenzale in lingua d’oc (quest’ultima era considerata la lingua della poesia d’amore per eccellenza). La poesia d’oc si era sviluppata nelle corti dei feudatari di Provenza,Aquitania e Delfinato e molto velocemente aveva raggiunto l’Italia settentrionale,soprattutto nelle famiglie nobili quali i Monferrato,gli Estensi e i Malaspina. I poeti siciliani imitarono la poesia dei provenzali,ma sostituirono la lingua d’oc con il volgare italiano,scelta che fu decisiva per lo sviluppo linguistico della penisola. Il corpus della poesia di quest’epoca è stata trasmessa grazie ai codici medievali scritti da copisti toscani: c’è da dire però che nel Medioevo l’atto del “copiare” non fosse inteso come oggi,dunque i copisti toscani si sentirono in un certo senso obbligati a modificare le scritture ed agirono soprattutto su un livello linguistico eliminando i tratti siciliani che secondo loro stridevano. Documenti centro-settentrionali. Con la morte di Federico II di Svevia venne meno la poesia siciliana,la cui eredità passò in Toscana e a Bologna,con i poeti siculo-toscani e gli stilnovisti.Prima di loro però,una parentesi bisogna aprirla per la poesia religiosa: è del 1223-1224 il “Cantico di frate sole”,di San Francesco,scritto in un volgare in cui si riconoscono elementi umbri. La tradizione delle “laudi” religiose si protrasse dal Duecento fino al Quattrocento: queste poesie non venivano considerate dei veri e propri documenti letterali,ma venivano cantate dalle confraternite. Le laudi presentavano dunque degli elementi linguistici centrali che vennero esportati al nord della penisola in conseguenza alla diffusione dei “laudari”: questo comportò l’ingresso di molti settentrionalismi,pur rimanendo la base di tipo centrale. I siculo-toscani e gli stilnovisti. La poesia siculo-toscana si sviluppò nell’area occidentale della regione,più precisamente tra Pisa e Lucca e solo in seguito (1260-1280) a Firenze. Lo stile dei poeti riflette ovviamente quello dei poeti siciliani (alcuni sicilianismi,come il condizionale in –IA,il futuro in –AIO,le /i/ e le /u/ toniche al posto di /e/ ed /o/, passeranno a Dante,Petrarca e quindi all’intera lirica italiana). Dante da il merito a Guinizelli per la svolta stilnovistica della poesia: in effetti c’è in Guinizelli una sorta di continuità con la tradizione poetica anteriore,poiché sono presenti molti gallicismi (la poesia d’amore era stata fondamentale per lingua d’oc). Dante teorico del volgare. Dante esprime le sue idee sul volgare nel “Convivio” e nel “De vulgari eloquentia”. Nel “Convivio” il volgare viene celebrato come “sole nuovo” in grado di sostituire il latino,che non è più compreso dal pubblico; nel “De vulgari eloquentia” invece il volgare risulta superiore al latino in nome della sua naturalezza,ma la letterarietà del latino diventa uno stimolo per la regolarizzazione del volgare. Quest’ultima opera è un vero e proprio trattato sul volgare,rimasto perlopiù sconosciuto fino al Cinquecento,quando fu riscoperto e stampato in traduzione italiana dal Trissino (uno dei protagonisti del dibattito sulla “questione della lingua”). : quest’opera suscitò molte polemiche,soprattutto da parte della cultura fiorentina che non tollerava la mal considerazione dell’autore sul volgare toscano,a cui preferì il bolognese e il siciliano illustre; Manzoni,nell’Ottocento tentò sminuirla poiché la ritenne un’opera che non aveva come oggetto lo studio della lingua (né in generale,né nello specifico) ma si occupava esclusivamente di poesia. Dante partiva dal presupposto che una lingua,per farsi “letteraria” deve acquistare stabilità e deve distinguersi dal parlato popolare: per arrivare dunque a stabilire i caratteri del volgare letterario procede in maniera ordinata,concentrando la sua attenzione prima sull’Europa,e poi su spazi sempre più piccoli; nei paesi del Nord,Nord-Est si parlano lingue in cui “si” si dice “io”,nei paesi del Centro-Sud si parla la lingua d’oil,la lingua d’oc e il volgare del “si” (italiano) mentre in Grecia e nelle zone orientali è diffuso il greco. L’area italiana,in particolare,risulta divisa in molte aree linguistiche dunque è necessario un esame delle singole parlate per definire quella “illustre”: man mano che procede con l’analisi procede anche con l’eliminazione. La prosa. Il livello della prosa duecentesca,messo a confronto con quello della poesia,appare molto modesto. In questo secolo il primato linguistico sulla prosa lo detiene il latino: inizialmente si utilizza un latino dai tratti contribuì alla promozione del volgare al di fuori di Firenze e fece aumentare ancora di più il primato dei Toscani sulla nuova lingua. La letteratura religiosa e la sua influenza. Nel Quattrocento troviamo i laudari (componimenti in dialetto che dall’Umbria erano arrivati fino all’Italia settentrionale); le sacre rappresentazioni venivano messe in scena per un pubblico popolare,quindi rappresentavano un’altra occasione in cui gli incolti dialettofoni entravano in contatto con una lingua più “nobile” e toscanizzata (la sacra rappresentazione era un genere coltivato in Toscana e al Nord). Anche la predicazione si rivolgeva al popolo,dunque andava fatta in volgare: i predicatori si muovevano di città in città e questa faceva si che acquisissero elementi diversi dalle varie parlate,fino ad esprimersi in un volgare in grado di essere compreso in qualsiasi regione. La lingua di “koinè” e le cancellerie. A differenza della poesia volgare,che fin dall’inizio aveva avuto una certa uniformità,la prosa fino al Quattrocento aveva avuto come solo esempio le novelle di Boccaccio,le quali la rendevano in ogni caso molto limitata: occorreva dunque che la prosa espandesse i propri orizzonti in altri campi extraletterali oltre a quello novellistico. Erano presenti in Italia una varietà di “scriptae”, cioè un numero di tradizioni letterali diverse di regione in regione che nel Quattrocento mostrano una tendenza al conguaglio (cioè all’eliminazione di tratti vistosamente locali) fino ad evolvere in una forma di “koinè”. Una forte spinta in questa direzione fu data alle cancellerie principesche,le quali promossero l’uso del volgare influenzate dai gusti linguistici delle corti di cui facevano parte. Fortuna del toscano letterario. Il volgare toscano acquistò un prestigio crescente già dal Trecento,grazie alle opere di Dante,Petrarca e Boccaccio,presenti ormai in tutte le biblioteche di famiglie signorili. A Milano,Filippo Maria Visconti leggeva Petrarca e Boccaccio e fece compilare un commento sull’Inferno dantesco; la tipografia milanese poi aveva iniziato le stampe delle opere dei grandi trecentisti toscani,indirizzando positivamente il mercato verso la diffusione della letteratura volgare. IL CINQUECENTO. Italiano e latino. Nel Cinquecento il volgare raggiunse piena maturità,togliendo progressivamente spazio al latino (che verrà sostituito solo nel Settecento). Nel Rinascimento il latino non era ancora in posizione marginale,infatti la maggior parte dei libri pubblicati erano scritti in questa lingua,ma gli intellettuali,superata la crisi del volgare,iniziano ad avere una maggior fiducia nel volgare. Fondamentale da questo punto di vista è la pubblicazione delle “Prose delle volgar lingua” di Pietro Bembo: questo comportò il tramonto della lingua di koinè,sostituita da un idioma normativamente accettato. Attraverso questa regolamentazione normativa e attraverso il conseguente livellamento,l’italiano raggiunse lo status di lingua di cultura di altissima dignità,con un prestigio considerevole anche all’estero. Il volgare inizia quindi ad essere sostituito anche in campi extraletterali e piano piano soppianta il latino anche in campo giuridico. La “questione della lingua”. Il dibattito teorico sulla lingua ebbe come esito quello della stabilizzazione normativa dell’italiano. Al centro di questo dibattito vanno collocate le “Prose della volgar lingua”,pubblicate a Venezia nel 1525: divisa in tre libri,in essa sono presenti una serie di norme e regole esposte in forma di dialogo,collocato idealmente nel 1502. Prendono parte a questo dialogo quattro personaggi,portavoce di quattro mentalità diverse: Giuliano de’Medici (il quale rappresenta la continuità col pensiero umanistico volgare),Federico Fregoso (che espone molte delle tesi storiche presenti nell’opera),Ercole Strozzi (dichiarato avversario del volgare) e Carlo Bembo (fratello dell’autore è portavoce di quest’ultimo). Prima di tutto viene svolta un’ampia analisi storico- linguistica (Bembo non accetta la tesi pseudo-bruniana secondo la quale l’italiano fosse già esistito in epoca romana ma accetta l’idea secondo la quale il volgare sia nato da una contaminazione del latino ad opera degli invasori barbari). Secondo Bembo la lingua non si acquisisce dal popolo ma dalla frequentazione di modelli scritti (i trecentisti). Avversari di Bembo sono il Calmeta e Ludovico Castelvetro: essi sono fautori della teoria cortigiana,secondo la quale la lingua bisognava essere appresa dai testi di Dante e Petrarca,ma raffinata nella corte romana. Quest’ultima fu considerata molto importante poiché essendo divenuta una città cosmopolita accoglieva numerose sfumature di volgare accumunate da una base toscana. (In pratica la teoria cortigiana voleva che la lingua da prendere in considerazione fosse quella della corte romana). Bembo non accettò questa teoria basandosi proprio sul suo presupposto: una lingua cortigiana non fa riferimento all’omogeneità. Nel 1529 Trissino mette alle stampe il “De vulgari eloquentia” di Dante,opera fino ad allora sconosciuta: facendosi forza sulle pagine di Dante,Trissino non accetta la fiorentinità della lingua letteraria. Una reazione a questo pensiero fu la pubblicazione del “Discorso o dialogo intorno alla nostra lingua” attribuito a Machiavelli: in questo testo Dante si rivolge a Machiavelli facendo ammenda di ciò che ha scritto nel “De vulgari”. Nel 1570 uscì l’”Ercolano” di Varchi. In quest’opera c’è una sostanziale revisione delle tesi bembiane: se Bembo aveva affermato l’austera autorità dei grandi scrittori ed il loro primato sulla lingua,Varchi sancisce il principio dell’autorità popolare,da affiancare a quella degli scrittori. La stabilizzazione della norma linguistica. Nel Cinquecento si ebbero le prime grammatiche e i primi vocabolari; la prima grammatica fu pubblicata da Francesco Fortunio nel 1516 ed intitolata “Regole grammaticali della volgar lingua”,in cui però di grammatica ce n’è ben poca: le parti del discorso di cui si da conto sono ridotte a quattro e solo delle note sparse sono dedicate all’aggettivo,al participio,alla congiunzione,alla preposizione e all’interiezione. Con l’adozione delle teorie di Bembo,gli scriventi italiani superano le loro incertezze; l’effetto più grande della grammatica di Bembo si ebbe nell’”Orlando furioso” di Ludovico Ariosto il quale corresse la terza edizione seguendo le regole del grammatico: tra le correzioni introdotte possiamo notare la sostituzione dell’articolo maschile EL con IL,le desinenze della prima persona plurale del presente indicativo regolarizzate in –IAMO,la prima persona singolare dell’imperfetto in –A alla maniera dei trecentisti. Al di fuori della letteratura,nel Cinquecento assistiamo all’utilizzo dell’italiano anche in settori pratici,specialmente nel genere della lettera,utilizzato largamente dai semicolti. Il ruolo delle accademie. Le Accademie in Italia sono state fondamentali per la formazione degli intellettuali,soprattutto se consideriamo il fatto che la maggior parte di questi ha preso parte alla “questione della lingua”. Nel 1540 viene fondata a Padova l’Accademia degli Infiammati,frequentata dal Varchi e da Sperone Speroni (autore del dialogo “Delle lingue” in cui Pietro Bembo difende le sue idee contro un cortegiano,che difende la teoria cortigiana e Lazzaro Bonamico sostenitore del latino. Ad un certo punto dell’opera viene introdotto un altro personaggio,Pietro Pomponazzi,che dichiara che la filosofia avrebbe dovuto essere trasportata dalle lingue classiche alla lingua volgare. La più famosa Accademia italiana che si occupò di lingua fu quella della Crusca,fondata nel 1582. Inizialmente gli intellettuali iscritti si dedicavano ad innocui passatempi,ma dall’anno dopo,con l’ingresso di Lionardo Salviati,prese piega l’interesse filologico. SI fece conoscere così per la polemica (condotta da Salviati stesso) alla “Gerusalemme liberata” di Tasso; prima di questo e prima ancora di entrare nell’Accademia,Salviati aveva portato a termine un lavoro di “pulizia” del Decameron attuando una censura moralistica che non aveva fatto altro che aumentare l’interesse filologico per l’opera. Nel 1595 uscì a Firenze “La Divina Commedia” ridotta a migliore lezione dall’Accademia della Crusca,il quale riuscì a nobilitare ancora di più l’opera del trecentista. La varietà della prosa. Per quanto riguarda la prosa italiana del Cinquecento,l’architettura è stato certamente il genere in cui si è maggior mente diffusa: vennero tradotti testi quattrocenteschi come il “De re aedificatoria” dell’Alberti (che prese il nome di “L’Architettura”),il “De architectura” di Vitruvio(la quale era già stata tradotta da Cesariano,ma si era mantenuta nelle forme della koinè settentrionaleggiante, quindi ritradotta da Barbaro con l’apporto delle “Prose”). Nel campo delle scienze naturali venne tradotta la “Storia naturale” di Plinio. Un altro esempio di prosa è rappresentato dal “Principe” di Machiavelli,che presenta un modello molto diverso da quello proposto da Bembo,in quanto l’autore scrive in un fiorentino ricco di latinismi. Per quanto riguarda il settore scientifico,di particolare importanza è l’uso del volgare da parte di Galileo: egli è stato il primo a divulgare libri pratico-scientifici in volgare,anche se questa scelta ha limitato il suo campo d’azione alla sola Italia. Un apporto notevole però è dato dalla commedia: essa rappresenta il genere ideale per dar vita al mistilinguismo o per ricercare effetti particolari del parlato; nella commedia vi è la compresenza di diversi codici e diversi personaggi che finirono poi per cristallizzarsi e ritrovarsi nella commedia dell’arte. A Venezia fu inoltre stampata una gran quantità di raccolte di lettere,che ebbero molto successo. Il linguaggio poetico. Per quanto riguarda la poesia,abbiamo visto come Ariosto prendesse spunto dalle Tre Corone e come il petrarchismo,coerente col modello di Bembo,andasse alla ricerca di un linguaggio lirico selezionato e di un repertorio di topoi; rilevante è anche la “battaglia” che vide fronteggiarsi l’opera di Tasso e l’Accademia della Crusca. Tasso aveva preso le distanze dai dialetti,ma non aveva riconosciuto il primato fiorentino: al Tasso epico vennero mosse accuse su questioni di lingua e di stile. Tasso,a confronto con l’Ariosto,risulta difficile da comprendere,il suo lessico è ricco di latinismi che spesso vanno a sostituire lemmi fiorentini. La Chiesa e il volgare. La lingua ufficiale della Chiesa restò il latino,ma il problema del volgare emerse nella catechesi e nella predicazione. Il rapporto tra Chiesa e volgare fu dibattuto anche nel Concilio di Trento,nel quale si discusse anche della legittimità delle traduzioni della Bibbia: il Concilio fu molto duro sotto questo punto,il papa Paolo IV aveva vietato il possesso delle Bibbie volgari senza il permesso del Santo Uffizio,anche perché c’era il problema della libera interpretazione della Scrittura. Dunque la Chiesa ha un rapporto di amore ed odio col volgare: da una parte lo condanna (soprattutto per quanto riguarda la traduzione dei testi) mentre dall’altra favorisce il suo sviluppo poiché è la lingua utilizzata nelle predicazioni. IL NOVECENTO. Il linguaggio letterario e scientifico nella prima metà del secolo.
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