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Orlando Furioso. Commento e parafrasi, Appunti di Letteratura Italiana

Commento e parafrasi di alcuni canti dell’orlando furioso. Appunti di lezione.

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 29/11/2023

val3ri4-flo
val3ri4-flo 🇮🇹

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Orlando Furioso. Commento e parafrasi e più Appunti in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Letteratura italiana—spiegazione e parafrasi -ORLANDO FURIOSO- -canto I -canto VII -cantoXII -canto XIX (19-42) -canto XXIII (96-126) -canto XXXIV (48-92) -canto XXXV (1-30) -opera- Trama fantastica, inventata e divertente • Caratterizzata da una forza narrativa immensa, che cattura il lettore• Messaggio dell’autore molto profondo, il contesto che ci presenta non è paragonabile al nostro, ma • ciò che trasmette lo rende attuale Trasmesso mediante la lettura ad alta voce, secondo un fattore mnemonico, unica forma di • conoscenza. Si passerà poi dal rotolo, disagevole da leggere, al libro, semplice archivio Lettura basata su un’interpretazione attoriale • Ambiente della corte rinascimentale• Corti raffinate attente alla fioritura dei fenomeni artistici, non per interesse culturale, ma per • esaltazione del proprio potere (fenomeno del mecenatismo) Corte degli Estensi, signoria molto fiorente tra il 1400 e metà del 1500• L’opera dovrebbe elogiare la casata, ma a causa del difficile rapporto tr Ariosto ed Ippolito d’Este, • l’opera diventerà mezzo di riflessione sul potere, sfociando in una parodia Il mondo antico si innerva nel mondo cristiano (manifestazione dell’antico mondo ebraico + • mentalità occidentale) 3 edizioni—1532 ultima edizione, celebra il casato d’Este, prendendo Virgilio come esempio• -CANTO I- Argomento e dedica (1-4). Antefatti (5-9). Fuga di Angelica, che incontra Rinaldo e Ferraù; i due di scontrano, poi inseguono Angelica (10-22). Separatisi, Ferraù ritorna a cercare il proprio elmo perduto nel fiume: di qui emerge il fantasma di Argalia (23-31). Rinaldo insegue Baiardo (31-32). Angelica fugge, poi, non vista, ascolta il lamento amoroso di Sacripante; quindi gli si rivela e lo rassicura a proposito della propria virtù (33-58). Sacripante è abbattuto da Bradamante nelle vesti di un cavaliere incognito (59-70). Arriva Baiardo, poi Rinaldo, e Angelica si spaventa (71-81) Vengono già presentati gli intrecci narrativi (agramante v Carlo magno, l’amore di orlando per • angelica, la storia di Ruggiero e bradamante) 1 Le donne, i cavalier, l’arte, gli amori, Le cortesie, l’audaci imprese io canto, Che furo al tempo che passaro i Mori D’Africa il mare, e in Francia nocquer tanto, Seguendo l’ire e i giovenil furori D’Agramante lor re, che si diè vante Di vendicar la morte di Troiano Sopra re Carlo imperator romano. 1 Delle donne, dei cavalieri, delle battaglie, degli amori, degli atti di cortesia, delle audaci imprese io canto, che ci furono nel tempo in cui gli Arabi attraversarono il mare d’Africa, e arrecarono tanto danno in Francia, seguendo le ire e i furori giovanili del loro re Agramante, il quale si vantò di poter vendicare la morte di Traiano contro il re Carlo, imperatore romano. Ariosto nel proemio riprende come modello “l’arma virumque…” dell’eneide, attraverso un’impostazione satirica, non • solo si prende gioco del lettore, ma priva la casata della forma celebrativa Sostiene di voler narrare un racconto non veritiero . Canta le imprese, che si verificarono quando i Saraceni (mori) • attraversarono l’Africa, irrompendo in Francia, per ordine del loro sovrano Agramante, il quale vuole vendicare la morte del padre, causata da orlando e volendo sconfiggere anche Carlo magno —l’evento viene elevato a mito —evento mai accaduto, frutto di una scaramuccia di confine, che conduce alla “notte di Roncisvalle” (presente nelle chanson de geste) Non solo la storia è falsa, ma lo stesso elogio non è veritiero, in quanto non vi sono cambiamenti nella natura umana, • nè vi è stato un tempo in cui l’uomo sia stato degno di elogio —ripresa di Machiavelli, sull’ideologia pessimistica della natura malvagia ed immutabile dell’uomo —ripresa di Dante e di Guido del Duca, nobile di Ravenna, di quest’ultimo smentisce la distinzione tra il tempo remoto e quello contemporaneo, caratterizzato dalla corruzione morale (laudatio tempori acti, cioè lodare il passato) 6 Per far al re Marsilio e al re Agramante Battersi ancor del folle ardir la guancia, D’aver condotto, l’un, d’Africa quante Genti erano atte a portar spada e lancia; L’altro, d’aver spinta la Spagna inante A destruzion del bel regno di Francia. E così Orlando arrivò quivi a punto: Ma tosto si pentì d’esservi giunto; 6 perché il re Marsilio ed il re Agramante si pentissero ancora una volte delle loro folli azioni; Agramante per avere condotto dall’Africa tante persone quanto erano in grado di portare spada e lancia, Marsilio per avere condotto la Spagna nella distruzione del bel regno di Francia. E così Orlando arrivò sul posto al momento giusto, ma subito si pentì di esservi giunto. 7 7 Che vi fu tolta la sua donna poi: Gli anche fu tolta la donna che amava: Ecco il giudicio uman come spesso erra! ecco come il giudizio umano spesso sbaglia! Quella che dagli esperii ai liti eoi La donna che dalle coste Orientali a quelle Occidentali Avea difesa con sì lunga guerra, aveva difeso con una tanto lunga guerra, Or tolta gli è fra tanti amici suoi ora gli viene tolta tra tanti suoi amici, Senza spada adoprar, ne la sua terra. senza che sia adoperata spada alcuna, sulla sua terra. Il savio imperator, ch’estinguer volse Il saggio imperatore, con la volontà di estinguere Un grave incendio, fu che gli la tolse. un grave incendio (pericolosa contesa d’amore), fu a togliergliela. “Re Carlo era attendato…Francia”(5-6)—Carlo • Magno si sta preparando a contrastare il re Marsilio (re dei Saraceni di Spagna, in marcia verso la Francia) e il re Agramante (re dei Mori d’Africa, anche loro diretti in Francia) “e così Orlando…giunto”—Orlando avrebbe • dovuto prendere parte allo scontro, affianco al suo signore, secondo la caratteristica cortese del paladino dedito al dovere, ma non lo fa, perché gli viene sottratta Angelica (no audaci imprese) 8 Nata pochi dì inanzi era una gara Tra il conte Orlando e il suo cugin Rinaldo; Che ambi avean per la bellezza rara D’amoroso disio l‘animo caldo. Carlo, che non Avea tal lite cara, Che gli rende a l’aiuto lor men saldo, Questa donzella, che la causa n’era, Tolse, e diè in mano al duca di Bavera. 8 Pochi giorni prima era infatti iniziato un conflitto tra il conte Orlando e suo cugino Rinaldo, poiché entrambi, per la rara bellezza di Angelica, avevano l’animo infiammato dal desiderio amoroso. Carlo non vedeva di buon occhio tale lite, che poteva mettere in dubbio il loro aiuto, questa fanciulla (Angelica), che ne era la causa, prese e consegno nelle mani del duca Namo di Baviera; 9 In premio promettendola a quel d’essi Ch’in quel conflitto, in quella gran giornata, Degli infideli più copia uccidessi, E di sua man prestassi opra più grata. Contrari ai voti poi furo i successi; Ch’in fuga andò la gente battezzata, E con molti altri fu ‘l duca prigione, E restò abbandonato il padiglione. 9 promettendola in premio a chi dei due, nell’imminente conflitto, in quella battaglia campale, avesse ucciso il maggior numero di infedeli, e con la sua mano avesse quindi reso maggior servizio. Gli eventi fecero però venire meno le promesse; perché i cristiani dovettero ritirarsi, insieme a molti altri, il duca Namo fu fatto prigioniero e la sua tenda rimase vuota (Angelica rimase incustodita). Angelica viene sottratta ad Orlando da Carlo Magno, • poiché il paladino si contendeva la donna con il cugino Rinaldo —Orlando e Rinaldo figure di paladini degradanti e privi di cortesia, solo spinti dalla passione Per fermare la contesa, Carlo affida Angelica a Namo di • Baviera, promettendo la in dono a chi avrebbe sconfitto più nemici (8-9) —oggettificazione della donna: donna deificata, Angelica è un premio. Ariosto denuncia e critica la considerazione della donna come oggetto. Per questo Ariosto mette in luce gli aspetti negativi degli uomini, ridicolizzandoli, permettendo ad Angelica di scappare più volte Entrambi provavano un “amoroso disio” (passione • amorosa), termine di citazione dantesca, per Angelica “Contrari…successi”—verso sentezioso• — i cristiani vengono sconfitti (mai accaduto); — il duca di Baviera viene catturato —Angelica rimasta sola, fugge a cavallo 10 Dove, poi che rimase la donzella Ch’esser dovea del vincitor mercede, Inanzi al caso era salita in sella, E quando bisognò le spalle diede, Presaga che quel giorno esser rubella Dovea Fortuna alla cristiana fede: Entrò in un bosco, e ne la stretta via Rinontrò un cavallier ch’a piè venìa 10 Rimasta sola nella tenda, la donzella, che avrebbe dovuto essere la ricompensa del vincitore, visto l’andamento degli eventi, salì in sella ad un cavallo e ad momento opportuno scappò, avuto presagio che, quel giorno, avversa alla fede cristiana sarebbe stata la fortuna. Entrò in un bosco e per lo stretto sentiero incontrò un cavaliere che avanzava a piedi. 11 Indosso la corazza, l’elmo in testa, La spada al fianco, e in braccio avea lo scudo; E più leggier correa per la foresta, Ch’a pallio rosso il villan mezzo ignudo. Timida pastorella mai sì presta Non volse piede inanzi a serpe crudo, Come Angelica tosto il freno torse, Che del guerrier, ch’a piè venia, s’accorse 11 Con addosso la corazza, in testa l’elmo, al fianco la spada ed al braccio lo scudo, correva per la foresta più rapidamente di un contadino poco vestito in una gara di corsa. Una timida pastorella mai così rapidamente sottrasse il piede dal morso di un serpente letale, quanto rapidamente Angelica tirò le redini per cambiare direzione non appena si accorse del guerriero che sopraggiungeva a piedi. Angelica fugge sempre, anche dalla trama. Si affida • alla fortuna (cap 25 di Machiavelli, la fortuna che governa il mondo), nella speranza che questa sconfigga i cristiani Angelica con le sue continue fughe, diviene filo • conduttore della narrazione. Pur non essendo onnipresente, permette ad Ariosto di legare i filoni narrativi Nello svolgimento della vicenda, diventerà sempre • più chiaro, che il movimento non è circolare, ma è dettato da imprevisti casuali, che deviano il corso degli eventi (movimento caotico che riprende la teoria del movimento degli atomi della fisica epicurea) —domina il caso, no provvidenza nè guerre giuste La fuga di Angelica segna la fine dell’Orlando • innamorato “Entrò in un bosco”—inizia la vera e propria • narrazione bosco, rappresentazione allegorica dell’inferno• Terrestre, mezzo con cui viene descritta la condizione umana sulla terra (anche durante la vicenda della perdita della ragione e del viaggio paradisiaco, vi è un ricongiungimento con la dimensione materialistica) Idea frutto della fusione: —dell’elemento cristiano dantesco della “selva oscura” —dell’elemento laico, ripreso dal de rerum natura di Lucrezio, in cui si ipotizza l’esistenza di una dimensione infernale e paradisiaca, oltre alla definizione di “stultus” come “folle”. Correlazione tra Ariosto e Lucrezio solo sul piano terminologico “Rincontrò un cavallier ch’a piè venìa”—incontra • nuovamente Rinaldo “Indosso la corazza…scuso”—costruzione canonica • di un possente guerriero, caratterizzato da una leggerezza morale e fisica (presentazione di impostazione teatrale) “Timida pastorella”—variante stilnovista della • figura femminile. Angelica non viene paragonata alla donna “angelicata” ed elevata spiritualmente, ma alla “pastorella”, presente nei componimenti campestri e protagonista di rapporti sessuali privi di coinvolgimento emotivo, finalizzato solo al piacere. Paradosso analogo alla figura del valente • guerriero, descritto ad inizio ottava, con le vesti “umili” e “leggere” 16 E perché era cortese, e n'avea forse non men dei dui cugini il petto caldo, l'aiuto che potea, tutto le porse, pur come avesse l'elmo, ardito e baldo: trasse la spada, e minacciando corse dove poco di lui temea Rinaldo. Più volte s'eran già non pur vetuti, m'al paragon de l'arme conosciuti. 16 Essendo di indole gentile e forse avendo anche l’animo infiammato non meno dei due cugini, porse a lei tutto l’aiuto che era in grado di dare, come se avesse riavuto l’elmo, temerario e spavaldo: sguainò la spada e corse minaccioso verso Rinaldo, che in realtà non era per niente intimorito da lui. Più volte si era già non solo visti ma anche scontrati con le armi. 17 Cominciar quivi una crudel battaglia, come a piè si trovar, coi brandi ignudi: non che le piastre e la minuta maglia, ma ai colpi lor non reggerian gl'incudi. Or, mentre l'un con l'altro si travaglia, bisogna al palafren che 'l passo studi; che quanto può menar de le calcagna, colei lo caccia al bosco e alla campagna. 17 Cominciò lì una battaglia crudele, a piedi, come si trovavano entrambi, con le spade sguainate, Non solo le piastre della corazza e la maglia di ferro ma neanche gli scudi reggevano ai loro colpi. Ora, mentre l’uno si occupa affannosamente dell’altro, il destriero di Angelica è costretto ad affrettare il passo, perché con quanta forza riesce a spronarlo, la donna lo spinge a correre per il bosco e l’aperta campagna. “E perché era cortese…”—Ferraù sfida Rinaldo non per • cortesia “Petto caldo”—amore per Angelica • “Forse-non men…”—enjambement, frammentazione • che rende la velocità dell’azione e mette in discussione la nobiltà delle azioni di Ferraù. Rovesciamento ironico della realtà, che distrugge l’immagine eroica di Ferraù “Come avesse l’elmo”—Ferraù sfida Rinaldo senza • riflettere, non ha l’elmo per proteggersi I 2 paladini iniziano un duello violento • lottano quasi fino alla morte —lotta impulsiva che non finisce in tragedia —Ariosto mostra la facilita con cui gli uomini iniziano la guerra —riflessione sull’inutilità della guerra, che avviene per basse ragioni. La guerra di religione, nasconde la lotta per una donna “Or, mentre l’un…campagna”—angelica fugge • durante il duello. Nuovamente Ariosto permette alla fanciulla di sottrarsi alle angherie dei paladini, conferendo ai personaggi femminili saggezza e audacia —posizione moderna ell’autore, che va contro al principio rinascimentale dell’infirmitas sexus, che vedeva la donna infetta da inferiorità sessuale congenita (misoginia in Petrarca e Machiavelli) 18 Poi che s'affaticâr gran pezzo invano i duo guerrier per por l'un l'altro sotto, quando non meno era con l'arme in mano questo di quel, né quel di questo dotto; fu primiero il signor di Montalbano, ch'al cavallier di Spagna fece motto, sì come quel c'ha nel cor tanto fuoco, che tutto n'arde e non ritrova loco. 18 Dopo che si furono affaticati invano i due cavalieri nel tentativo ognuno di fare soccombere l’altro, in quanto, con la spada in mano, non meno istruito, capace, era l’uno dell’altro; fu per primo il signore di Montauban a rivolgersi al cavaliere spagnolo, così come colui ha in petto, nel cuore, tanto fuoco che lo fa ardere tutto senza trovare pace. 19 Disse al pagan: - Me sol creduto avrai, e pur avrai te meco ancora offeso: se questo avvien perché i fulgenti rai del nuovo sol t'abbino il petto acceso, di farmi qui tardar che guadagno hai? che quando ancor tu m'abbi morto o preso, non però tua la bella donna fia; che, mentre noi tardian, se ne va via. 19 Disse al pagano: “Avrai creduto me solo di ferire quando invece ferisci anche te stesso, se questo accade perché la sfavillante bellezza di Angelica ha acceso d’amore anche il tuo petto, che cosa guadagni facendomi perdere tempo qui? Che anche se tu mi catturi o mi uccidi non riuscirai a fare tua la bella donna, da momento che, mentre noi ci attardiamo, lei scappa via. “Pezzo invano”—fuggita Angelica, i 2 lottano senza • motivo. —nell’educazione del principe cristiano / institutio principi cristiani di Erasmo da Rotterdam, concezione della guerra come rovinosa, sono gli uomini ad alimentarla; la pace, invece, fa fiorire gli uomini “Fu primiero…Montalbano”—è Rinaldo il primo ad • accorgersi della fuga “Mentre…se ne va via”—frase emblematica che • esprime la dinamica della condizione umana, secondo cui gli uomini si concentrano su ciò che è effimero, senza tener conto del corso del tempo 20 Quanto fia meglio, amandola tu ancora, che tu le venga a traversar la strada, a ritenerla e farle far dimora, prima che più lontana se ne vada! Come l'avremo in potestate, allora di ch' esser de' si provi con la spada: non so altrimenti, dopo un lungo affanno, che possa riuscirci altro che danno. - 20 Quanto sarebbe meglio, poiché ancora la ami, che tu le vada invece ad incrociarne la strada a trattenerla e farla fermare, prima che ancora più lontano scappi! Appena ne avremo il possesso, allora a chi dei due avrà appartenere verrà poi deciso con la spada: non so altrimenti, dopo una lungo e faticoso combattimento, cosa riusciamo ad ottenere se non un danno.” 21 Al pagan la proposta non dispiacque: così fu differita la tenzone; e tal tregua tra lor subito nacque, sì l'odio e l'ira va in oblivione, che 'l pagano al partir da le fresche acque non lasciò a piedi il buon figliuol d'Amone: con preghi invita, et al fin toglie in groppa, e per l'orme d'Angelica galoppa. 21 Al pagano (Ferraù) la proposta piacque: così il duello fu rimandato e la tregua proposta fu subito fra loro attuata; tanto l’odio e l’ira vengono dimenticati, che il pagano nel partire dalle fresche acque del fiume non lasciò a piedi il buon figlio di Amone: lo preghiere lo invita ed alla fine lo fa montare a cavallo ed all’inseguimento di Angelica galoppa. Rinaldo propone di fermare il duello e di • raggiungere Angelica, così da poter riprendere lo scontro “Tal tregua…nacque”—Ferraù e Rinaldo si • mettono d’accordo, ironia sui meccanismi che mettono fine alla guerra “Fresche acque”—Petrarca • “Non lasciò a piedi”—Ferraù prende Rinaldo con • sè a cavallo Ripresa di Petrarca per le immagini e di Dante per • lessico e contenuti Ariosto si “petrarchizza” tra la prima e la seconda • edizione 26 Era, fuor che la testa, tutto armato, et avea un elmo ne la destra mano: avea il medesimo elmo che cercato da Ferraù fu lungamente invano. A Ferraù parlò come adirato, a disse: - Ah mancator di fé, marano! perché di lasciar l'elmo anche t'aggrevi, che render già gran tempo mi dovevi? 26 Era, ad eccezione della testa, completamente armato, ed aveva una elmo nella mano destra: aveva in particolare lo stesso elmo che aveva cercato Ferraù invano per così tanto tempo. Il cavaliere si rivolse a Ferraù in tono adirato, disse: “Ah traditore che non mantiene la parola data! Perché ti dispiace anche di abbandonare l’elmo, che invece mi avresti dovuto rendere già da tanto tempo? 27 Ricordati, pagan, quando uccidesti d'Angelica il fratel (che son quell'io), dietro all'altr'arme tu mi promettesti gittar fra pochi dì l'elmo nel rio. Or se Fortuna (quel che non volesti far tu) pone ad effetto il voler mio, non ti turbare; e se turbar ti déi, turbati che di fé mancato sei. 27 Ricordati, pagano, di quanto hai ucciso il fratello di Angelico, sono io quello (Argalia), insieme alle altre armi tu mi promettesti di gettare entro pochi giorni anche il mio elmo. Ora, se la fortuna (quello che non hai voluto fare tu) ha poi voluto che si realizzasse il mio volere, non ti devi dispiacere; e se anzi ti devi dispiacere, devi solo dispiacerti di non avere mantenuto la parola data. “Era, fuor…destra mano”—Argalìa emerge con l’elmo tra le • mani, elmo che Ferraù gli aveva sottratto al momento della sepoltura. Nuovo meccanismo narrativo “Marano”—termine di sfumatura negativa, indicava gli • giudei o i saraceni convertiti al cristianesimo È stata la fortuna a restituire l’elmo ad Argalia• 28 Ma se desir pur hai d'un elmo fino, trovane un altro, et abbil con più onore; un tal ne porta Orlando paladino, un tal Rinaldo, e forse anco migliore: l'un fu d'Almonte, e l'altro di Mambrino: acquista un di quei duo col tuo valore; e questo, ch'hai già di lasciarmi detto, farai bene a lasciarmi con effetto. - 28 Ma se desideri ancora un buon elmo, trovane un altro e portalo con te con più onore; uno di buona fattura lo porta il paladino Orlando, un altro Rinaldo, forse anche migliore di quello d’Orlando: prima uno apparteneva ad Almonte e l’altro a Mambrino: conquistane uno dei due con il tuo valore, questo invece, che avevi già promesso di lasciarmi, farai bene a lasciarmelo effettivamente.” 29 All'apparir che fece all'improvviso de l'acqua l'ombra, ogni pelo arricciossi, e scolorossi al Saracino il viso; la voce, ch'era per uscir, fermossi. Udendo poi da l'Argalia, ch'ucciso quivi avea già (che l'Argalia nomossi), la rotta fede così improverarse, di scorno e d'ira dentro e di fuor arse. 29 Non appena, all’improvviso, appare dall’acqua il fantasma, si rizzo ogni pelo del Saracino ed il viso gli si fece scolorito; la voce gli si strozzò in gola. Udendo poi da Argalia, che ucciso lui aveva (perché Argalia si chiamava), rimproverare a sé stesso di non aver mantenuto la parola data, di scocciatura e di ira si accese tutto, dentro e fuori. Argalia rimprovera Ferraù, se vuole un elmo • deve lottare come orlando e Rinaldo “Ogni pelo arricciossi”—Ferraù si spaventa, elemento • che non si addice ad un guerriero “Scolorossi”—impallidisce, ripresa di Dante Paolo e • Francesca) Ferraù prova rabbia e vergogna• Se il poema fosse encomiastico, la corte verrebbe • trasfigurata nei personaggi messi in scena, ciò non avviene 30 Né tempo avendo a pensar altra scusa, e conoscendo ben che 'l ver gli disse, restò senza risposta a bocca chiusa; ma la vergogna il cor sì gli trafisse, che giurò per la vita di Lanfusa non voler mai ch'altro elmo lo coprisse, se non quel buono che già in Aspramonte trasse del capo Orlando al fiero Almonte. 30 Non avendo tempo per cercare una altra scusa, sapendo benissimo che Argalia diceva il vero, Ferraù rimase a bozza chiusa, senza controbattere; ma il suo cuore fu talmente trafitto dalla vergogna, che giurò sulla vita di sua madre (Lanfusa) non volere indossare più nessun altro elmo se non quello di buona fattura che nell’Aspromonte Orlando levò dal capo di Almonte (dopo averlo ucciso). 31 E servò meglio questo giuramento, che non avea quell'altro fatto prima. Quindi si parte tanto malcontento, che molti giorni poi si rode e lima. Sol di cercare è il paladino intento di qua di là, dove trovarlo stima. Altra ventura al buon Rinaldo accade, che da costui tenea diverse strade. 31 E mantenne questo giuramento meglio di quanto non aveva fatto con quell’altro prima. Ripartì dal fiume con tanto malcontento che per molti successivi giorni si tormentò e consumò. Ha voglia solo di cercare il Paladino (Orlando) in ogni luogo dove ritiene possa trovarlo. Avventura diversa accadde al valoroso Rinaldo che si incamminò su sentieri diversi da quelli percorsi da costui. Si innalza la narrazione • “Che giurò…Lanfusa”—Ferraù giura sulla vita di sua • madre, Lanfusa, che avrebbe conquistato l’elmo di Orlando —canto XII. Ferraù e orlando si scontrano all’uscita del castello di Atlante. Ferraù non riconosce Orlando, che si rivelerà dopo, per questo si vanta di poter combattere senza l’elmo, avendo già sconfitto molte volte il forte Orlando. Appare, poi, Angelica che, invisibile agli altri, ruba l’elmo, che perderà e che “per caso” finirà nelle mani di Ferraù Ferraù manterrà il suo giuramento, ma nel mentre cerca • Angelica L’attenzione si sposta su Rinaldo, anch lui in cerca di • Angelica 36 Quivi parendo a lei d'esser sicura e lontana a Rinaldo mille miglia, da la via stanca e da l'estiva arsura, di riposare alquanto si consiglia: tra' fiori smonta, e lascia alla pastura andare il palafren senza la briglia; e quel va errando intorno alle chiare onde, che di fresca erba avean piene le sponde. 36 Qui, credendo di essere al sicuro e lontana mille miglia da Rinaldo, per lo stancante tragitto ed il caldo estivo decide di riposare per un po’ tempo: scende da cavallo tra i fiori e lascia andare a nutrirsi, senza briglia, libero, il proprio destriero; l’animale vaga quindi nei dintorni dei ruscelli, che avevano piene le rive di fresca erba. 37 Ecco non lungi un bel cespuglio vede di prun fioriti e di vermiglie rose, che de le liquide onde al specchio siete, chiuso dal sol fra l'alte quercie ombrose; così vòto nel mezzo, che concete fresca stanza fra l'ombre più nascose: e la foglia coi rami in modo è mista, che 'l sol non v'entra, non che minor vista. 37 Non lontano da sé Angelica scorge un bel cespuglio, fiorito di susine e di rose rosse, che si specchia nelle onde limpide dei ruscelli ed è riparato dal sole dalle alte querce ombrose; vuoto nel mezzo, così da concedere fresco giaciglio tra le ombre più nascoste: le sue foglie ed i suoi rami sono talmente intrecciati che non passa il sole, e nemmeno la vista dell’uomo, meno penetrante. Angelica decide di fare una pausa• È convinta di essere lontana da Rinaldo, ciò non è vero, • essendo il suo un movimento circolare,non si è mai allontanata “Tra i fiori smonta”—topos della “donna tra i fiori”, immagine • del paradiso terrestre dantesco, poi ripresa da Petrarca per il locus amoenus e in seguito da Poliziano “Senza la briglia”—elemento in più, l’allontanamento del • cavallo permetterà ad Angelica di nascondersi (tutti sono ignari della sua presenza) —scena teatrale, Ariosto giostra l’allontanamento di Baiardo e il nascondersi di Angelica, in vista di un personaggio, che arriverà in seguito e che non vedrà la fanciulla “Chiare onde”—riferimento alle chiare, fresche e dolci acque di • Petrarca —Ariosto non lo riprende pedissequamente, ma esibisce la fonte, che modifica. Laura ha un’angelica forma; Angelica è un angelico sembiante “Prun fioriti e di vermiglie rose”—scena teatrale, • presenza di due colori tipici dell’epoca rinascimentale. Ariostocarattrizza il giaciglio di Angelica con 2 sfumature cromatiche: bianco (biancospino) e rosso (rose) relativi ai tratti della personalità della fanciulla —binomio ossimorico: Il bianco—purezza, castità e integrità Il rosso—passione —Angelica è pura, ma passionale. Ariosto la veste con quei tratti che la rendono simpatica. Dovrà, poi difendersi dall’accusa di aver giaciuto con Orlando —il bianco verrà, poi, associato anche alla figura di Bradamante, immagine della purezza e dell’integrità; guerriera e donna senza macchia, le cui azioni non sono scoordinate o guidate dal caso, ma razionali e virtuose. È nella stessa Bradamante, che il casato d’Este trova l sua celebrazione, non in Ruggiero, paladino,ma folle “Così voto nel mezzo”—il cespuglio è vuoto al centro, • immagine leggermente forzata 38 Dentro letto vi fan tenere erbette, ch'invitano a posar chi s'appresenta. La bella donna in mezzo a quel si mette; ivi si corca et ivi s'addormenta. Ma non per lungo spazio così stette, che un calpestio le par che venir senta: cheta si leva, e appresso alla riviera vede ch'armato un cavallier giunt'era. 38 L’erbetta morbida crea un letto all’interno del cespuglio, invitando a stendersi sopra chi vi giunge. La bella donna si mette in mezzo al cespuglio, lì si corica e quindi si addormenta. Ma non rimane lì addormentata molto tempo, che le sembra di sentire avvicinarsi un rumore di calpestio: si solleva piano piano e presso la riva di un ruscello vede essere giunto un cavaliere armato. 39 Se gli è amico o nemico non comprende: tema e speranza il dubbio cuor le scuote; e di quella aventura il fine attende, né pur d'un sol sospir l'aria percuote. Il cavalliero in riva al fiume scende sopra l'un braccio a riposar le gote; e in un suo gran pensier tanto penètra, che par cangiato in insensibil pietra. 39 Angelica non riesce a capire se gli è amico o nemico: il timore e la speranza le scuotono il suo cuore dubbioso; attende che quella avventura giunga ad un termine senza emettere neanche un solo sospiro. Il cavaliere si siede in riva al ruscello reggendosi la testa con un braccio; e viene tanto rapito dai propri pensieri, al punto che, immobile, sembra essersi mutato in insensibile pietra. “La bella donna…s’addormenta”—addormentarsi di Angelica • consente di cambiare ambientazione —accorgimento di natura dantesca, “ivi si corca” svenimento dantesco “Un calpestio…giunt’era”—giunge una figura, Angelica sente • i passi, ma rimane nascosta, non sa se sia giunto un nemico o un alleato (ott. 38-39) Distanza tra l’arrivo del personaggio (ott. 38-39) e la • sua presentazione (ott. 45) —il personaggio giunto è Sacripante, un saraceno che aveva difeso Angelica nel Catai (scena ripresa dal Boiardo) “Inensibil pietra”—Sacripante si riposa, sembra pietra. • Ripresa di Petrarca 40 Pensoso più d'un'ora a capo basso stette, Signore, il cavallier dolente; poi cominciò con suono afflitto e lasso a lamentarsi sì soavemente, ch'avrebbe di pietà spezzato un sasso, una tigre crudel fatta clemente. Sospirando piangea, tal ch'un ruscello parean le guancie, e 'l petto un Mongibello. 40 Assorto dai propri pensieri, con il capo basso, per più di un’ora stette, cardinale Ippolito, il cavaliere abbattuto; dopo di ché cominciò con un lamento afflitto e dolente a lamentarsi in modo tanto struggente, che avrebbe infranto un sasso per pietà, una crudele tigre fatta misericordiosa. Piangeva tra i sospiri, tanto che un ruscello sembrava scorrergli sulle guance ed il petto un vulcano infuocato. 41 - Pensier—dicea—che 'l cor m'aggiacci et ardi, e causi il duol che sempre il rode e lima, che debbo far, poi ch'io son giunto tardi, e ch'altri a côrre il frutto è andato prima? a pena avuto io n'ho parole e sguardi, et altri n'ha tutta la spoglia opima. Se non ne tocca a me frutto né fiore, perché affligger per lei mi vuo' più il core? 42 La verginella è simile alla rosa, ch'in bel giardin su la nativa spina mentre sola e sicura si riposa, né gregge né pastor se le avicina; l'aura soave e l'alba rugiadosa, l'acqua, la terra al suo favor s'inchina: gioveni vaghi e donne inamorate amano averne e seni e tempie ornate. “Più d’un’ora”—non succede niente, in scena c’è un • minuto di silenzio, scena surreale “A lamentarsi…fatta clemente””sospirando piangea…”—• nelle seguenti ottave inizia il lamento amoroso (messo in ridicolo da Ariosto) di Sacripante. Il paladino parla tanto, si lamenta del suo amore per Angelica, che purtroppo non può essere sua, avendo lei giaciuto con Orlando —donna come trofeo, non ha più valore, non essendo più pura (ciò non è vero) —il personaggio di Angelica è ispirato dalla novella numero 7 di Boccaccio, “Alatiel” —“sospirando piangea”—ripresa da Poliziano 41 Diceva: “Pensiero che mi ghiaccia ed arde il cuore, e causa il dolore che sempre lo consuma, che ci posso fare se sono giunto tardi ed altri, arrivati prima, avevano già colto il frutto (Angelica)? Ho ricevuto a stento suoi sguardi e parole, altri hanno invece ricevuto tutto il ricco bottino. Se a me non spettano né il frutto né il fiore, perché per lei voglio ancora tormentare il mio cuore? 42 La vergine è simile ad una rosa, che in un bel giardino, sul rovo che l’ha generata, si riposa finché è sola ed al sicuro, e né gregge né pastore le si avvicinano; la brezza delicata e la rugiada del mattino, l’acqua e la terra si inchinano davanti al suo fascino: giovani amanti e donne innamorate amano ornarsi il collo e la testa lei, la rosa. 49 Con molta attenzïon la bella donna al pianto, alle parole, al modo attende di colui ch'in amarla non assonna; né questo è il primo dì ch'ella l'intende: ma dura e fredda più d'una colonna, ad averne pietà non però scende; come colei c'ha tutto il mondo a sdegno, e non le par ch'alcun sia di lei degno. 50 Pur tra quei boschi il ritrovarsi sola le fa pensar di tor costui per guida; che chi ne l'acqua sta fin alla gola ben è ostinato se mercé non grida. Se questa occasïone or se l'invola, non troverà mai più scorta sì fida; ch'a lunga prova conosciuto inante s'avea quel re fedel sopra ogni amante. Sacripante ignaro di Angelica continua a parlare• Angelica non vuole cedere al paladino, lo ritiene indegno; decide pero di manipolarlo per farsi aiutare• Sacripante è un paladino imbecille• Funzione teatrale—incontro casuale tra i 2; simulazione dei sentimenti di Angelica + il lungo monologo drammatico di • Sacripante 51 Ma non però disegna de l'affanno che lo distrugge alleggierir chi l'ama, e ristorar d'ogni passato danno con quel piacer ch'ogni amator più brama: ma alcuna finzïone, alcuno inganno di tenerlo in speranza ordisce e trama; tanto ch'a quel bisogno se ne serva, poi torni all'uso suo dura e proterva. 49 Con molta attenzione Angelica, presa ascolto al pianto, alle parole, ai gesti di colui che di amarla si affaccenda molto; e non è una scoperta di questo giorno: ma, dura e fredda più di una colonna, non si degna di avere pietà di lui, come colei che snobba tutto il mondo e pensa non esista persona alcuna degna di lei. 50 Solo il fatto di trovarsi sola tra quei boschi le fa pensare di prendere il cavaliere come guida; perché chi sta nell’acqua fino alla gola, annegando, sarebbe molto ostinato se non chiedesse aiuto. Se questa occasione ora le sfugge, non potrà poi mai più trovare una scorta più fidata; poiché già in precedenza aveva sperimentato a lungo quel re, fedele più di qualunque altro suo amante. 51 Non pensa però di alleviare l’affanno che distrugge lui che la ama, e rimediare ad ogni precedente danno donandogli quel piacere che ogni amatore più desidera: ma con qualche finzione, con qualche inganno, trama ed ordisce di mantenerne viva la sua speranza; tanto che per quel suo fine se ne servirà, per poi tornare alle sue abitudini, insensibile ed ostinata. 52 E fuor di quel cespuglio oscuro e cieco fa di sé bella et improvisa mostra, come di selva o fuor d'ombroso speco Dïana in scena o Citerea si mostra; e dice all'apparir: - Pace sia teco; teco difenda Dio la fama nostra, e non comporti, contra ogni ragione, ch'abbi di me sì falsa opinïone. - 52 Fuori da quel cespuglio oscuro e buio all’improvviso si mostra nella sua bellezza, come dalla foresta o fori dall’ombrosa grotta Diana o Venere si mostrarono; e dice non appena è visibile: “La pace sia con te; ai tuoi occhi Dio difenda la nostra reputazione, e non tolleri, contro ogni giustizia, che tu abbia di me una così falsa opinione.” 53 Non mai con tanto gaudio o stupor tanto levò gli occhi al figliuolo alcuna madre, ch'avea per morto sospirato e pianto, poi che senza esso udì tornar le squadre; con quanto gaudio il Saracin, con quanto stupor l'alta presenza e le leggiadre maniere e il vero angelico sembiante, improviso apparir si vide inante. Sacripante vede Angelica, prova stupore, non sa se sia vera o un illusione• Angelica ha una nobile presenza • “E fuor…si mostra”—Angelica appare dal cespuglio, entra in • scena come una dea, movimento teatrale —dualità Diana (bianco, castità) e Venere (rosso, amore). Elemento presente in Foscolo in “a zacinto”, descrizione della nascita di Venere “dall’acqua vergine nacque Venere” Angelica rimprovera Sacripante per aver dubitato della sua • purezza Motivo della finzione/simulazione—motivo caro al • rinascimento. Utilizzato da Ariosto nel canto IV “quantunque il ◦ simular…”, in cui la menzogna può generare effetti negativi, ma anche positivi. La simulazione diviene forma di difesa legittima, Angelica, infatti, mente per difendersi dagli altri paladini, che la bramano. Ariosto non condanna il suo comportamento La simulazione da un punto di vista cristiano è un ◦ peccato. Ad esempio Agostino aveva condannato la menzogna nel libro III del “De civitate dei”, in cui polemizza l’aneddoto di Tito Livio, nel cap XIX dell’”ab urbe condita”, sull’incontro tra Numa Pompilio e la ninfa Egeria, che gli detto le leggi e la cultura di Roma; Agostino accusa Numa di aver creato Roma, la città del peccato Superamento di tale concezione con la laicizzazione ◦ umanistica-rinascimentale. —corte—ambiente della menzogna (Pietro Aretino) nel ‘400, Poggio Bracciolini elogia Numa, che, simulando, ◦ ha fatto il bene di Roma. Rovescia l’idea di Agostino (menzogna a fin di bene è accettabile; menzogna a fin di male non è accettabile; menzogna natura è simulazione teatrale, non arreca danni) —difesa del teatro—nel medioevo venivano riprodotte scene sacre (simulazione di storie vere), condannate dal mondo cristiano. Nel ‘900 centro della critica erano le attrici, “donne di facili costumi” Machiavelli tratta il tema della menzogna nel libro XI dei ◦ “Discorsi”, elogia la simulazione, Numa, vero fondatore di Roma, ha reso durevole la città (aneddoto ripreso anche nel “principe”) Nell’età moderna la menzogna non è negativa◦ 53 Mai con tanta felicità e stupore una madre posò i propri occhi sul figlio, che aveva pianto e sospirato pensandolo morto, dopo che aveva sentito ritornare l’esercito senza di lui appresso; con quanta felicità il saraceno, e con quanto stupore, la nobile figura ed il leggiadro comportamento, e le angeliche sembianze, si vide all’improvviso apparire dinnanzi a sé. 54 Pieno di dolce e d'amoroso affetto, alla sua donna, alla sua diva corse, che con le braccia al collo il tenne stretto, quel ch'al Catai non avria fatto forse. Al patrio regno, al suo natio ricetto, seco avendo costui, l'animo torse: subito in lei s'avviva la speranza di tosto riveder sua ricca stanza. 55 Ella gli rende conto pienamente dal giorno che mandato fu da lei a domandar soccorso in Orïente al re de' Sericani e Nabatei; e come Orlando la guardò sovente da morte, da disnor, da casi rei; e che 'l fior virginal così avea salvo, come se lo portò del materno alvo. “Quel ch’a Catai…forse”—rimarca la condizione per la quale Angelica si è fatta abbracciare da Sacripante, vuole farsi • solo riportare a casa “Forse”—figura retorica burlesca che sostiene l’ovvietà dell’atto di Angelica, dettato dalla volontà di tutelarsi, non • prova veri sentimenti Sacripante cade nella trappola di Angelica, quando lei gli dice ciò che voleva sentire, cioè che la purezza di Angelica è • al sicuro 54 Pieno di dolce ed amoroso affetto, corse dalla sua sua donna amata, dalla sua dea, la quale lo tenne stretto al collo con le sue braccia, come in Catai non avrebbe mai forse fatto. Al regno del padre, al nido ove era nata, avendo ora Sacripante con sé, come guida, rivolge il pensiero: subito in lei si riaccende la speranza di poter presto rivedere la sua ricca reggia. 55 Angelica gli raccontò, nei minimi particolare, ciò che successe dal giorno che fu mandato da lei a chiedere soccorso in Oriente al re Gradasso di Sericana e Nabatea; e come Orlando la salvò all’ultimo dalla morte, dal disonore e da situazioni pericolose: e che così aveva avuto la propria verginità inviolata, come l’aveva avuta dalla nascita. 60 Ecco pel bosco un cavallier venire, il cui sembiante è d'uom gagliardo e fiero: candido come nieve è il suo vestire, un bianco pennoncello ha per cimiero. Re Sacripante, che non può patire che quel con l'importuno suo sentiero gli abbia interrotto il gran piacer ch'avea, con vista il guarda disdegnosa e rea. 60 Ed ecco sopraggiungere per il bosco un cavaliere, le cui sembianze sono di uomo vigoroso e fiero: candido come la neve è il suo vestiario, un pennacchio bianco aveva come cimiero. Re Sacripante, non potendo sopportare che quel cavaliere, con l’inopportuno suo percorso, gli abbia interrotto la situazione piacevole nella quale si trovava, lo guarda con occhi minacciosi e pieni di sdegno. 61 Come è più presso, lo sfida a battaglia; che crede ben fargli votar l'arcione. Quel che di lui non stimo già che vaglia un grano meno, e ne fa paragone, l'orgogliose minaccie a mezzo taglia, sprona a un tempo, e la lancia in resta pone. Sacripante ritorna con tempesta, e corronsi a ferir testa per testa. 61 Non appena è a lui più vicino, lo sfida a combattere; credendo di disarcionarlo, farlo cadere da cavallo, facilmente. L’altro cavaliere, che di Sacripante non stimo possa valere meno, e di questo ne dà la prova, le orgogliose minacce lascia a metà, sprona subito il cavallo e pone in posizione di attacco la lancia. Sacripante con furore, presa la rincorsa, va al galoppo, e si corrono incontro per ferirsi. “Sembiante è d’uom gagliardo”—il cavaliere che • arriva sembra un uomo, in realta è Bradamante “Candido…cimiero”—il cavaliere appena giunto • indossa un’armatura bianca (candore—saggezza— valore) “Gli abbia interrotto…rea”—Sacripante sfida il • passante con lo sguardo, perché lo ha interrotto Inizia il combattimento, azione irrazionale, non c’è • dialogo —combattimento = pazzia 2 diverse idee di guerra: Ariosto—guerra ◦ inutile, rigetto della violenza; prevale l’ironia e il paradosso; Tasso—tragicità della guerra associata alla pazzia “Quel che di lui…meno”—intervento di Ariosto • 62 Non si vanno i leoni o i tori in salto a dar di petto, ad accozzar sì crudi, sì come i duo guerrieri al fiero assalto, che parimente si passâr gli scudi. Fe' lo scontro tremar dal basso all'alto l'erbose valli insino ai poggi ignudi; e ben giovò che fur buoni e perfetti gli osberghi sì, che lor salvaro i petti. 62 Non vanno i leoni od i tori in amore ad affrontarsi, a scontrarsi con così tanta crudeltà, come i due guerrieri al fiero assalto, che allo stesso modo trapassano l’uno lo scudo dell’altro. Lo scontro fece tremare dal basso all’alto le valli erbose fino alle spoglie vette; e fu vantaggioso che furono di buona fattura e perfette le corazze, tanto che salvarono i loro petti da ferite mortali. 63 Già non fêro i cavalli un correr torto, anzi cozzaro a guisa di montoni: quel del guerrier pagan morí di corto, ch'era vivendo in numero de' buoni: quell'altro cadde ancor, ma fu risorto tosto ch'al fianco si sentí gli sproni. Quel del re saracin restò disteso adosso al suo signor con tutto il peso. 63 I due cavalli, uno di fronte all’altro, non deviarono in corsa, anzi si scontrarono violentemente tra loro come fanno i montoni: il cavallo di Sacripante morì sul colpo, pur potendo essere annoverato, da vivo, tra i buoni destrieri: anche l’altro cadde a terra, ma si rialzò non appena sentì pungere al suo fianco gli speroni. Quello del re saracino restò disteso, tendendo schiacciato con il proprio peso il padrone. “I leoni o i tori”—cavalieri paragonati ad animali; • climax ascendente Leoni, violenza associata anche alla nobiltà, ◦ creatura irrazionale —l’immagine del leone è presente anche nel cap XVIII del “Principe” di Machiavelli, che riprende dal libro I del “De officis” di Cicerone (sostiene che l’uomo deve reprimere l’irrazionale e che, in caso di necessità deve diventare leone, forza). Machiavelli, distanziandosi da Ariosto, sostiene che l’uomo deve “farsi bestia”, lì dove il leone è simbolo di forza e la volpe è simbolo di furbizia, il capo di governo, se non può essere entrambe le bestie, deve divenire volpe, utilizzando, quindi, l’astuzia Tori, bestie prive di regalità ◦ Lo scontro è cosi violento che la lancia trapassa lo • scudo, i 2 non si feriscono grazie alle armature Nel duello prevale Bradamante • “Quel del…corto” “quel del re…il peso”—nello • scontro muore il cavallo di Sacripante, che cade sul paladino “Quell’altro…sproni”—cade anche il cavallo di • Bradamante, ma si rialza. Il suo obiettivo non è la vittoria, ha lottato perché non aveva alternativa 64 L'incognito campion che restò ritto, e vide l'altro col cavallo in terra, stimando avere assai di quel conflitto, non si curò di rinovar la guerra; ma dove per la selva è il camin dritto, correndo a tutta briglia si disserra; e prima che di briga esca il pagano, un miglio o poco meno è già lontano. 64 Il misterioso campione che rimase dritto a cavallo, e vide l’altro cavaliere in terra con il cavallo, ritenendo di avere avuto sufficiente trionfo da quel conflitto, non ritenne necessario rinnovare il combattimento; la dove, attraverso la selva, il sentiero è dritto, si lancia invece al galoppo; e prima che il pagano riesca a liberarsi dall’impaccio, si è già allontanato di un miglio o poco meno. 65 Qual istordito e stupido aratore, poi ch'è passato il fulmine, si leva di là dove l'altissimo fragore appresso ai morti buoi steso l'aveva; che mira senza fronde e senza onore il pin che di lontan veder soleva: tal si levò il pagano a piè rimaso, Angelica presente al duro caso. 65 Come lo stordito e stupito aratore, dopo che è passato il fulmine, si alza in piedi dal posto dove il fragore assordante l’aveva sbattuto a terra vicino ai buoi uccisi dallo stesso; guarda privo di rami, e quindi privo di onore, il pino che da lontano era abituato a scorgere: allo stesso modo si alzò il pagano (Sacripante), con Angelica testimone alla situazione imbarazzante. “Incognito campion”—Bradamante, senza dare • importanza alla vittoria, va via prima che Sacripante si liberi dal corpo del cavallo Da un punto di vista letterario la morte del • cavallo di Sacripante, porterà all’entrata in scena del cavallo di Rinaldo “Camin dritto”—Bradamante è l’unico • personaggi razionale, mentre tutti compiono un movimento circolare nella selva, lei è l’unica ad individuare la strada giusta “Istordito”—Sacripante viene schiacciato dal cavallo e dalle • circostanze “Stupido aratore”—stupido, non solo per la situazione; termine • dal latino “stultitia”, indica sciocchezza e pazzia, indica colui che, pazzo e privo di saggezza, si stupisce (il saggio non si meraviglia) —aratore, figura degradata e contraria a quella del paladino; anche Rinaldo viene paragonato a questa figura. L’aratore è colui che, dopo essere stato sfiorato da un fulmine, vede i buoi morire e il pino, che vedeva elevarsi, venire bruciato dal fulmine—> simbolo de tentativo fallito di Sacripante di violentare Angelica “Angelica…caso”—il duello è un evento casuale; Sacripante • viene umiliato, Angelica ha assistito alla sua sconfitta 70 Ella è gagliarda, et è più bella molto; né il suo famoso nome anco t'ascondo: fu Bradamante quella che t'ha tolto quanto onor mai tu guadagnasti al mondo. - Poi ch'ebbe così detto, a freno sciolto il Saracin lasciò poco giocondo, che non sa che si dica o che si faccia, tutto avvampato di vergogna in faccia. 71 Poi che gran pezzo al caso intervenuto ebbe pensato invano, e finalmente si trovò da una femina abbattuto, che pensandovi più, più dolor sente; montò l'altro destrier, tacito e muto: e senza far parola, chetamente tolse Angelica in groppa, e differilla a più lieto uso, a stanza più tranquilla. (Ottava 70–71) Viene svelata l’identità del cavaliere • Paladino confitto da una donna, mentre tentava di violentarne un’altra—Ariosto distrugge l’immagine di Sacripante• Sacripante perde la parola per la vergogna, monta in sella e porta Angelica con sè • Angelica non interviene più• 70 Lei è energica, ma soprattutto bella; ma il suo famoso nome non ti nasconderò oltre: è stata Bradamante ha toglierti più onore di quanto tu ne abbia mai guadagnato al mondo.” Dopo essersi così pronunciato, il messaggero ripartì al galoppo lasciando molto poco allegro Sacripante, che non sa più che dire o fare, con la faccia completamente infiammata dalla vergogna. 71 Dopo aver pensato a lungo, invano, alla situazione fortunosa che gli era capitata, si trovò infine steso a terra da una femmina, e più ci pensa e più ne soffre; monta sul cavallo di Angelica, silenzioso ed incapace di parlare: senza proferire parola, con calma, prede in groppa Angelica, e rimanda quindi i suoi piani ad una momento più lieto, ad un luogo più tranquillo. 72 Non furo iti duo miglia, che sonare odon la selva che li cinge intorno, con tal rumore e strepito, che pare che triemi la foresta d'ogn'intorno; e poco dopo un gran destrier n'appare, d'oro guernito, e riccamente adorno, che salta macchie e rivi, et a fracasso arbori mena e ciò che vieta il passo. 72 Non avevano percorso più di due miglia, che udirono risuonare il bosco che li circondava con un tale rumore e strepitio, che sembrava tremasse tutta la foresta: poco dopo compare dalla vegetazione un destriero possente, abbellito con oro e adornato riccamente, che procede scavalcando con balzi cespugli e torrenti, travolge e distrugge gli alberi ed ogni altro impedimento al suo passaggio. 73 - Se l'intricati rami e l'aer fosco - disse la donna - agli occhi non contende, Baiardo è quel destrier ch'in mezzo il bosco con tal rumor la chiusa via si fende. Questo è certo Baiardo, io 'l riconosco: deh, come ben nostro bisogno intende! ch'un sol ronzin per dui saria mal atto, e ne viene egli a satisfarci ratto. - 73 “Se la presenza di rami intricati e la scarsa luce (disse la donna) non mi ingannano gli occhi, è Baiardo quel destriero che in mezzo al bosco, con tale frastuono, si apre a forza la strada. Questo destriero è di certo Baiardo, lo riconosco: deh, quanto bene può fare alla nostra causa! Perché un solo destriero per due perone sarebbe poco adatto, ed è lui venuto a soddisfare subito il nostro bisogno! Dopo 2 miglia sentono un rumore, appare • Baiardo, ghermito d’oro, che fa rumore per farsi seguire da Rinaldo “Intorno”—ripetuto più volte, indica • l’indeterminatezza Angelica riconosce Baiardo, perché un tempo, • essendo innamorata di Rinaldo, ma non ricambiata da questo, si occupava spesso del cavallo (immagine nel Boiardo). Ora invece l situazione è ribaltata, Angelica odia Rinaldo, mentre questo la ama Teatralità nella scena dell’arrivo di Baiardo, • l’accurata descrizione mira a far immaginare all pubblico, ciò che non è visibile sulla scena Angelica vuole utilizzare 2 cavalli, per non • viaggiare con Sacripante sullo stesso cavallo 74 Smonta il Circasso et al destrier s'accosta, e si pensava dar di mano al freno. Colle groppe il destrier gli fa risposta, che fu presto a girar come un baleno; ma non arriva dove i calci apposta: misero il cavallier se giungea a pieno! che nei calci tal possa avea il cavallo, ch'avria spezzato un monte di metallo. 74 Sacripante smonta e si avvicina al fianco di Baiardo, pensando di riuscire ad impugnarne il freno. Il destriero risponde al tentativo con i muscoli posteriori, girandosi velocemente come un fulmine; ma non arriva a colpire là dove aveva indirizzato i calci: povero il cavaliere se avesse colpito in pieno! Poiché il cavallo aveva una tale forza nel calciare da riuscire a spezzare anche una montagna di metallo. 75 Indi va mansueto alla donzella, con umile sembiante e gesto umano, come intorno al padrone il can saltella, che sia duo giorni o tre stato lontano. Baiardo ancora avea memoria d'ella, ch'in Albracca il servia già di sua mano nel tempo che da lei tanto era amato Rinaldo, allor crudele, allor ingrato. 75 Poi va invece mansueto dalla donzella con fare umile ed atteggiamento docile, così come il cane è solito saltellare introno al proprio padrone, dopo essere da lui stato lontano per due o tre giorni. Boiardo si ricordava ancora di lei, che in Albracca lo aveva accudito e governato personalmente, nel periodo in cui Angelica tanto amava Rinaldo, che invece si mostrava allora crudele ed insensibile. “Smonta…risposta”—Sacripante smonta dal suo • cavallo e cerca di montare su Baiardo, cavallo fatato, che tenta di colpire Sacripante. Il paladino non riesce a montarlo, riferimento aulico alla figura del cavaliere e del sovrano, lì dove Plutarco sosteneva che anche uno sciocco tra loro riuscirebbe a montare un cavallo, essendo ciò parte della loro formazione “Indi va…saltella”—il fallimento di Sacripante • sfocia nell’assurdo e nel comico, nel momento in cui Baiardo i avvicina ad Angelica. Seconda scen in cui una donna fa meglio di un uomo “Baiardo ancora avea…ingrato”—ottava • 75-77-78-79–ripresa della storia di Angelica e Rinaldo nel Boiardo -CANTO II- Riflessione sull’amore (1-2). Mentre Sacripante e Rinaldo combattono, Angelica fugge di nuovo (2-12). L’eremita che ella incontra svia per arti magiche Rinaldo e il suo cavallo Baiardo; essi raggiungono Parigi, e Carlo Magno invia Rinaldo in Inghilterra (12-30). Intanto Bradamante, che cerca Ruggero, trova Pinabello; questi racconta la sua storia e l’incontro con Gradasso e, appunto, Ruggero, ora prigionieri di Atlante (30-57). Bradamante vuole liberare Ruggero facendosi guidare da Pinabello; questi però, conosciuto il casato della donna, la inganna facendola precipitare in una grotta. -CANTO III- Nella grotta c’è il sepolcro di Merlino; La voce di questo profetizza il matrimonio con Ruggero e le glorie i drammi della casa d’Este (1-64). La maga Melissa guida Bradamante fuori dalla grotta; le indica come comportarsi con Brunello, che ha l’anello magico indispensabile per liberare Ruggero (65-75). Trovato a Brunello, Bradamante lo studia (75-77). -CANTO IV- Riflessioni sulla simulazione (1-2). Dopo aver visto in cielo l’ippogrifo, Bradamante e Brunello raggiungono il castello di Atlante; la donna toglie l’anello magico a Brunello e sfida Atlante (3-15). Duello e vittoria di Bradamante, che costringe il mago a dissolvere l’incanto del castello liberare i cavalieri (16-42). Ma l’ippogrifo rapisce nuovamente Ruggero, Bradamante resta con Frontino (43-50). Intanto Rinaldo, sbattuto dalla tempesta sulle coste della Scozia, decide di difendere la causa della principessa Ginevra, di cui ha sentito parlare (51-68). Mentre è in cammino, libera una fanciulla da due malandrini (68-72). -CANTO V- Riflessioni sul comportamento violento dell’uomo nei riguardi della donna (1-3). Dalinda (la donzella liberata) narra a Rinaldo la storia di Ginevra, Ariodante e Polinesso (4-74). Rinaldo risolve la vicenda battendo Polinesso in un duello. -CANTO VI- Conclusione morale sulla vicenda di Polinesso (1-3). Conclusa la vicenda di Ginevra, Rinaldo parte della Scozia (3-16). Intanto Ruggero, giunto all’isola di Alcina, ascolta Astolfo, trasformato in mirto, che gli narra le sue vicende (17-53). Sebbene “dotto et instrutto” da Astolfo, Ruggero cede alle lusinghe dell’isola (54-81). -CANTO VII- Superata e Erifilla (mostro), Ruggero giunge al cospetto di Alcina e diviene “il successor d’Astolfo” nell’amore di lei (1-32). Nel frattempo Bradamante torna alla tomba di Merlino, dove la maga Melissa la informa della sorte di Ruggero (33-45). La maga, fattasi cedere l’anello magico, va nell’isola di Alcina; qui, sotto le spoglie di Atlante, rimprovera e disinganna il guerriero, e lo induce a fuggire verso la rocca di Logistilla (46-80). 1 Chi va lontan da la sua patria, vede cose, da quel che già credea, lontane; che narrandole poi, non se gli crede, e stimato bugiardo ne rimane: che 'l sciocco vulgo non gli vuol dar fede, se non le vede e tocca chiare e piane. Per questo io so che l'inesperïenza farà al mio canto dar poca credenza. 2 Poca o molta ch'io ci abbia, non bisogna ch'io ponga mente al vulgo sciocco e ignaro. A voi so ben che non parrà menzogna, che 'l lume del discorso avete chiaro; et a voi soli ogni mio intento agogna che 'l frutto sia di mie fatiche caro. Io vi lasciai che 'l ponte e la riviera vider, che'n guardia avea Erifilla altiera. 3 Quell'era armata del più fin metallo, ch'avean di più color gemme distinto: rubin vermiglio, crisolito giallo, verde smeraldo, con flavo iacinto. Era montata, ma non a cavallo; invece avea di quello un lupo spinto: spinto avea un lupo ove si passa il fiume, con ricca sella fuor d'ogni costume. 3 Era lei armata con il più raffinato dei metalli, ornato da gemme di svariati colori: rosso rubino, giallo crisolito, verde smeraldo, insieme a zircone color dell’oro. Era in groppa ad un animale, ma non ad un cavallo; invece di quello, spronava un lupo: aveva spinto un lupo nel punto in cui si attraversava il fiume, su di una sella riccamente adornata, fuori dal comune. 2 Poco o molto credito che io possa avere, non bisogna che io pongo attenzione al popolo sciocco e con poca esperienza. A voi, cardinale Ippolito, so bene che non appariranno invece come menzogne, dal momento che avete ben chiaro il lume della ragione; ed ogni mia intento desidera che solo da voi il frutto delle mie fatiche possa essere apprezzato. Vi ho lasciato nel punto in cui Ruggiero e le due donne videro il ponte e la riviera, a guardia della quale stava la superba Erifile. 1 Chi si allontana dalla propria patria, vede cose diverse da ciò che è abituato a credere; così che, raccontandole poi al ritorno, non viene creduto e viene quindi considerato un bugiardo: poiché il popolo sciocco non vuole dargli fede se non vede e tocca con mano le cose così che siano chiare ed evidenti. Per questo motivo so che il non aver vissuto personalmente le situazioni narrate, farà sì che al mio canto venga dato poco credito. 4 Non credo ch'un sì grande Apulia n'abbia: egli era grosso et alto più d'un bue. Con fren spumar non gli facea le labbia, né so come lo regga a voglie sue. La sopravesta di color di sabbia su l'arme avea la maledetta lue: era, fuor che 'l color, di quella sorte ch'i vescovi e i prelati usano in corte. 5 Et avea ne lo scudo e sul cimiero una gonfiata e velenosa botta. Le donne la mostraro al cavalliero, di qua dal ponte per giostrar ridotta, e fargli scorno e rompergli il sentiero, come ad alcuni usata era talotta. Ella a Ruggier, che torni a dietro, grida: quel piglia un'asta, e la minaccia e sfida. 6 Non men la gigantessa ardita e presta sprona il gran lupo e ne l'arcion si serra, e pon la lancia a mezzo il corso in resta, e fa tremar nel suo venir la terra. Ma pur sul prato al fiero incontro resta; che sotto l'elmo il buon Ruggier l'afferra, e de l'arcion con tal furor la caccia, che la riporta indietro oltra sei braccia. 7 E già, tratta la spada ch'avea cinta, venía a levarne la testa superba: e ben lo potea far; che come estinta Erifilla giacea tra' fiori e l'erba. Ma le donne gridâr: - Basti sia vinta, senza pigliarne altra vendetta acerba. Ripon, cortese cavallier, la spada; passiamo il ponte e seguitian la strada. - 4 Non credo che un lupo così grande possa essere trovato in Puglia: era infatti più grosso ed alto di un bue. Non usava un morso per guidarlo, facendogli spumare le labbra, e non so nemmeno come potesse sottometterlo alle proprie volontà. Una sopraveste colore della sabbia portava sopra la propria armatura, quella peste maledetta di Erifile: era, ad eccezione del colore, di quel tipo che i vescovi ed i prelati usano nella corte. 5 E portava, come simbolo, sullo scudo e sul cimiero un rospo gonfio e velenoso. Le due donne indicarono al cavaliere la gigantesca Erifile, giunta al capo del ponte per sfidarlo in combattimento, farsi beffa di lui ed interrompere il suo cammino, come è solita fare a volte con alcuni. Lei grida a Ruggiero di tornare indietro: lui impugna una lancia, la minaccia e la sfida a combattimento. 6 La gigantessa, non meno veloce ed audace, sprona al galoppo il grande lupo, si stringe all’arcione, pone la propria lancia, a metà del tragitto, in posizione di attacco e fa tremare la terra con il suo avanzare. Ma rimane infine stesa sul prato dopo il duro scontro; poiché il prode Ruggiero la colpisce sotto l’elmo con il ferro della lancia, e la caccia dall’arcione con tale furore, da ributtarla indietro per sei braccia di distanza. 7 E subito, sfoderata la spada che aveva in vita, avanzava verso di lei per tagliarle la superba testa: e avrebbe potuto anche ben farlo, dal momento che, come fosse morta, Erifile giaceva tra i fiori e l’erba. Ma le donne gridarono: “Accontentati che sia stata sconfitta, non voler ottenere una altra dura vendetta. Riponi, gentile cavaliere, la tua spada; oltrepassiamo il ponte e proseguiamo per la nostra strada.” 16 Avea in ogni sua parte un laccio teso, o parli o rida o canti o passo muova: né maraviglia è se Ruggier n'è preso, poi che tanto benigna se la truova. Quel che di lei già avea dal mirto inteso, com'è perfida e ria, poco gli giova; ch'inganno o tradimento non gli è aviso che possa star con sì soave riso. 17 Anzi pur creder vuol che da costei fosse converso Astolfo in su l'arena per li suoi portamenti ingrati e rei, e sia degno di questa e di più pena: e tutto quel ch'udito avea di lei, stima esser falso; e che vendetta mena, e mena astio et invidia quel dolente a lei biasmare, e che del tutto mente. 18 La bella donna che cotanto amava, novellamente gli è dal cor partita; che per incanto Alcina gli lo lava d'ogni antica amorosa sua ferita; e di sé sola e del suo amor lo grava, e in quello essa riman sola sculpita: sì che scusar il buon Ruggier si deve, se si mostrò quivi inconstante e lieve. 18 La bella donna, Bradamante, che Ruggiero così tanto amava, all’improvviso non trova più posto nel suo cuore; poiché per incantesimo Alcina gli purifica il cuore da ogni antica ferita d’Amore; e lo occupa solo con il pensiero di sé stessa e dell’Amore nei suoi confronti, e rimane in quel cuore impressa solo lei: tanto che Ruggiero si deve scusare per essere stato in quell’occasione incostante e leggero. 16 Ogni sua parte del corpo era una laccio teso per catturare gli amanti, sia che parli o rida o canti o muova passi: non c’è quindi da meravigliarsi se Ruggiero fu preso in trappola, trovandola così tanto buona nei propri confronti. Quello che riguardo a lei aveva appreso dal mirto (nel quale Astolfo è stato trasformato), di come fosse perfida e crudele, a poco gli serve; dal momento che non gli sembra possibile che l’inganno ed il tradimento possa convivere con un così gioioso sorriso. 17 Anzi vuole anche credere che da costei Astolfo fosse stato trasformato in mirto, in riva al mare, a causa del suo comportamento ingrato e malvagio, e che fosse stato degno di questa ed anche di più grave pena: e tutto ciò che riguardo a lei aveva udito, ritiene ora essere falso; e che sono il desiderio di vendetta, l’invidia e l’astio nei confronti di lei, a spingere quell’infelice, Astolfo, a rimproverarla, e che quindi lui mente su ogni cosa. Alcina seduce Ruggiero; Ariosto sottolinea come, al • contrario di Ruggiero, Bradamante, a cui il paladino è destinato, non sperimenta alcuna perdizione lussuriosa, poiché unico personaggio avente integrità morale e virtuosa 19 A quella mensa cítare, arpe e lire, e diversi altri dilettevol suoni faceano intorno l'aria tintinire d'armonia dolce e di concenti buoni. Non vi mancava chi, cantando, dire d'amor sapesse gaudii e passïoni, o con invenzïoni e poesie rappresentasse grate fantasie. 20 Qual mensa trionfante e suntuosa di qual si voglia successor di Nino, o qual mai tanto celebre e famosa di Cleopatra al vincitor latino, potria a questa esser par, che l'amorosa fata avea posta inanzi al paladino? Tal non cred'io che s'apparecchi dove ministra Ganimede al sommo Giove. 21 Tolte che fur le mense e le vivande, facean, sedendo in cerchio, un giuoco lieto: che ne l'orecchio l'un l'altro domande, come più piace lor, qualche secreto; il che agli amanti fu commodo grande di scoprir l'amor lor senza divieto: e furon lor conclusïoni estreme di ritrovarsi quella notte insieme. 22 Finîr quel giuoco tosto, e molto inanzi che non solea là dentro esser costume: con torchi allora i paggi entrati inanzi, le tenebre cacciâr con molto lume. Tra bella compagnia dietro e dinanzi andò Ruggiero a ritrovar le piume in una adorna e fresca cameretta, per la miglior di tutte l'altre eletta. 19 Alla mensa del palazzo di Alcina, cetre, arpe e lire, e diversi altri dilettevoli suoni, facevano tintinnare l’aria tutt’intorno con una dolce armonia e gradevoli accordi. Non mancava poi chi, cantando, raccontare sapesse delle gioie e delle sofferenze dell’Amore, o con poesie o invenzioni vocali sapesse rappresentare gradite fantasie. 20 Quale suntuosa, ricca, e trionfante mensa di qualsivoglia successore di Nino, primo re Assiro, o quale mai tanto celebre e famosa mensa di Cleopatra in onore del vincitore romano (Cesare o Antonio), potrebbe eguagliare questa, che l’amorosa maga aveva posta innanzi al paladino? Una simile non credo che venga apparecchiata nemmeno là sull’Olimpo dove Ganimede serve da bere al sommo Giove. 21 Dopo che erano state tolte le tavole apparecchiate e le vivande, facevano, sedendo in cerchio, un lieto gioco: nel quale ognuno domanda nell’orecchio dell’altro, come più a loro piace, qualche segreto; così che agli amanti offrì una comoda occasione di rendere noto il loro Amore senza dover rispettare alcun divieto: ed infine si accordarono per ritrovarsi insieme quella notte. 22 Terminarono subito quel gioco, molto prima di quanto non fosse abitudine là dentro: quindi i paggi, con torce, precedendoli, cacciarono le tenebre con molte luci. Circondato da una piacevole compagnia, Ruggiero andò a coricarsi in una adornata e fresca cameretta, scelta quale la migliore tra tutte le altre presenti. 23 E poi che di confetti e di buon vini di nuovo fatti fur debiti inviti, e partîr gli altri riverenti e chini, et alle stanze lor tutti sono iti; Ruggiero entrò ne' profumati lini che pareano di man d'Aracne usciti, tenendo tuttavia l'orecchie attente, s'ancor venir la bella donna sente. (Ottave 22-23) Ariosto riprende i passi del “de rerum natura” di Lucrezio, focalizzandosi, in particolare, sulla centralità e • sull’importanza delle semplici attività, in contrapposizione allo sfarzo e al lusso offerto da Alcina, che incantava i commensali e lo stesso Ruggiero —ironia con cui Ariosto condanna lo sfrenato stile di vita delle corti, falso e illusorio “Ruggiero entrò…sente”—Ruggiero si spoglia delle sue vesti di paladino, per indossare quelle di amante• —implicito rimprovero a Ruggiero, che ormai pensa solo ad Alcina 24 Ad ogni piccol moto ch'egli udiva, sperando che fosse ella, il capo alzava: sentir credeasi, e spesso non sentiva; poi del suo errore accorto sospirava. Talvolta uscia del letto e l'uscio apriva, guatava fuori, e nulla vi trovava: e maledì ben mille volte l'ora che facea al trapassar tanta dimora. 25 Tra sé dicea sovente: - Or si parte ella; - e cominciava a noverare i passi ch'esser potean da la sua stanza a quella donde aspettando sta che Alcina passi; e questi et altri, prima che la bella donna vi sia, vani disegni fassi. Teme di qualche impedimento spesso, che tra il frutto e la man non gli sia messo. 23 E dopo che con dolci e buoni vini furono nuovamente fatte le dovute offerte, e se ne andarono gli altri inchinandosi con riverenza, ed ognuno se ne è tornato alla propria stanza; Ruggiero entrò sotto le profumate coperte di lino che sembravano essere state tessute da Aracne, tenendo tuttavia le proprie orecchie attente per sentire se stava ancora per arrivare la bella donna. 24 Ad ogni piccolo movimento che lui udiva, sperando che fosse lei che arrivava, alzava il proprio capo: credeva di sentire qualcosa ma spesso era solo frutto della sua immaginazione; quindi, rendendosi conto del proprio errore, sospirava. A volte usciva dal letto ed apriva l’uscio della cameretta, guardava con attenzione fuori ma senza trovare nulla: e maledì ben mille volte l’ora che lo separava dall’arrivo di lei e che ci metteva così tanto a passare. 25 Spesso diceva a sé stesso: “Sta partendo adesso Alcina”; ed incominciava quindi a contare i passi che potevano esserci tra la stanza sua e quella dalla quale si aspettava che Alcina uscisse; prima che la bella donna fosse effettivamente giunta, immagina queste ed altri vane situazioni. Spesso teme che sia capitato qualche impedimento, a porsi tra la mano ed il frutto del desiderio. 34 Di costei prima che degli altri dico, che molti giorni andò cercando invano pei boschi ombrosi e per lo campo aprico, per ville, per città, per monte e piano; né mai poté saper del caro amico, che di tanto intervallo era lontano. Ne l'oste saracin spesso venía, né mai del suo Ruggier ritrovò spia. 35 Ogni dì ne domanda a più di cento, né alcun le ne sa mai render ragioni. D'alloggiamento va in alloggiamento, cercandone e trabacche e padiglioni: e lo può far; che senza impedimento passa tra cavallieri e tra pedoni, mercé all'annel che fuor d'ogni uman uso la fa sparir quando l'è in bocca chiuso. 36 Né può né creder vuol che morto sia; perché di sì grande uom l'alta ruina da l'onde idaspe udita si saria fin dove il sole a riposar declina. Non sa né dir né imaginar che via far possa o in cielo o in terra; e pur meschina lo va cercando, e per compagni mena sospiri e pianti et ogni acerba pena. 37 Pensò al fin di tornare alla spelonca dove eran l'ossa di Merlin profeta, e gridar tanto intorno a quella conca, che 'l freddo marmo si movesse a pieta; che se vivea Ruggiero, o gli avea tronca l'alta necessità la vita lieta, si sapria quindi: e poi s'appiglierebbe a quel miglior consiglio che n'avrebbe. 34 Racconterò, prima che degli altri, di costei, che per molti giorni andò invano alla ricerca di lui, attraverso boschi ombrosi e la soleggiata campagna, attraverso villaggi, città, monti e pianure; mai riuscì ad avere notizie del suo caro amico, che si trovava molto lontano da lei. Spesso andava nell’accampamento nemico dei saraceni, ma mai poté trovare traccia del suo Ruggiero. 35 Ogni giorno chiede di lui a più di cento persone, ma mai nessuno le sa dare notizie. Va di accampamento in accampamento, cercandolo in tende e padiglioni: e lo può anche fare; poiché senza alcun impedimento passa tra cavalieri e fanti grazie all’anello che, in un modo totalmente straordinario, la fa sparire alla vista quando viene chiuso nella sua bocca. 36 Non può e non vuole credere che Ruggiero sia morto; perché l’estrema sconfitta, la morte, di un uomo tanto famoso si sarebbe udita in tutto il mondo, da Oriente fino ad Occidente, là dove il sole tramonta. Non è in grado né di dire né di immaginare quale via possa seguire sia in cielo che in terra; e nonostante tutto, misera lei, va alla sua ricerca, e, come compagni, porta con sé i sospiri, i pianti ed ogni aspra pena. 37 Pensò alla fine di tornare alla grotta dove si trovavano le ossa del profeta Merlino, e di gridare tanto intorno a quel sarcofago fino a ché il freddo marmo non si fosse mosso per la pietà; così che, se Ruggiero era ancora vivo, o se il supremo destino, la morte, gli aveva interrotto la sua felice vita, si sarebbe quindi saputo: e poi si sarebbe aggrappata al miglior consiglio che avrebbe potuto ricevere da Merlino.. 38 Con questa intenzïon prese il camino verso le selve prossime a Pontiero, dove la vocal tomba di Merlino era nascosa in loco alpestro e fiero. Ma quella maga che sempre vicino tenuto a Bradamante avea il pensiero, quella, dico io, che nella bella grotta l'avea de la sua stirpe instrutta e dotta; 39 quella benigna e saggia incantatrice, la quale ha sempre cura di costei, sappiendo ch'esser de' progenitrice d'uomini invitti, anzi di semidei; ciascun dì vuol sapere che fa, che dice, e getta ciascun dì sorte per lei. Di Ruggier liberato e poi perduto, e dove in India andò, tutto ha saputo. 40 Ben veduto l'avea su quel cavallo che regger non potea, ch'era sfrenato, scostarsi di lunghissimo intervallo per sentier periglioso e non usato; e ben sapea che stava in giuoco e in ballo e in cibo e in ozio molle e delicato, né più memoria avea del suo signore, né de la donna sua, né del suo onore. 41 E così il fior de li begli anni suoi in lunga inerzia aver potria consunto sì gentil cavallier, per dover poi perdere il corpo e l'anima in un punto; e quel odor che sol riman di noi, poscia che 'l resto fragile è defunto, che tra' l'uom del sepulcro e in vita il serba, gli saria stato o tronco o svelto in erba. 38 Con questa intenzione Bradamante intraprese il cammino verso le foreste vicine a Pontiero, feudo dei Maganza, là dove la tomba parlante di Merlino stava nascosta in un luogo montuoso e selvaggio. Ma quella maga, Melissa, che sempre vicino a Bradamante aveva tenuto il proprio pensiero, quella, mi riferisco a lei, che nella bella grotta l’aveva istruita e messa a conoscenza della sua stirpe; 39 quella buona e saggia incantatrice, la quale ha sempre avuto cura di costei, sapendo che sarebbe stata progenitrice di uomini vittoriosi, anzi, di semidei; ogni giorno vuole sapere che cosa stia facendo, che cosa dica, ed ogni giorno fa incantesimi per sapere presente e futuro di lei. di Ruggiero liberato e poi smarrito, e del luogo in India dove si è recato, ha saputo tutto. 40 L’aveva visto molto bene su quel cavallo che non poteva guidare, non ubbidendo al freno, allontanarsi per una così grande distanza lungo un sentiero pericoloso e mai battuto, per la via dell’aria; e molto bene sapeva anche che si trovava ora preso da giochi, balli, dal cibo e dal morbido e delicato ozio, senza avere più memoria del proprio signore, né della sua donna amata, né del proprio onore. 41 Ed in questo modo, il fiore dei più bei anni della sua vita, il meglio della sua giovinezza, avrebbe potuto consumare nella lunga inerzia, nella lunga inattività, un così gentile cavaliere, per dover poi perdere il proprio corpo e la propria anima, trasformato in pianta, ad un certo punto; e quel buon nome, che solo rimane di noi dopo che tutto il resto, più fragile, è ormai defunto, che toglie l’uomo dal sepolcro e lo mantiene in vita, gli sarebbe stato o troncato o divelto come erba. 42 Ma quella gentil maga, che più cura n'avea ch'egli medesmo di se stesso, pensò di trarlo per via alpestre e dura alla vera virtù, mal grado d'esso: come escellente medico, che cura con ferro e fuoco e con veneno spesso, che se ben molto da principio offende, poi giova al fine, e grazia se gli rende. 43 Ella non gli era facile, e talmente fattane cieca di superchio amore, che, come facea Atlante, solamente a darli vita avesse posto il core. Quel più tosto volea che lungamente vivesse e senza fama e senza onore, che, con tutta la laude che sia al mondo, mancasse un anno al suo viver giocondo. 44 L'avea mandato all'isola d'Alcina, perché oblïasse l'arme in quella corte; e come mago di somma dottrina, ch'usar sapea gl'incanti d'ogni sorte, avea il cor stretto di quella regina ne l'amor d'esso d'un laccio sì forte, che non se ne era mai per poter sciorre, s'invecchiasse Ruggier più di Nestorre. 45 Or tornando a colei, ch'era presaga di quanto de' avvenir, dico che tenne la dritta via dove l'errante e vaga figlia d'Amon seco a incontrar si venne. Bradamante vedendo la sua maga, muta la pena che prima sostenne, tutta in speranza; e quella l'apre il vero: ch'ad Alcina è condotto il suo Ruggiero. 42 Ma Melissa, quella gentile maga, che aveva più cura di Ruggiero che lui di sé stesso, decise di condurlo per la via montuosa e dura che porta alla vera virtù, anche contro la sua volontà: come un eccellente medico, che cura servendosi di ferro e fuoco, e spesso anche con il veleno, all’inizio dell’operazione dà dolore, ma poi alla fine reca giovamento ed allora viene ringraziato per le cure ricevute. 43 Non era lei indulgente nei suoi confronti, ed era divenuta talmente cieca a causa dell’eccessivo Amore, che, come faceva il mago Atlante, solamente per prolungare la sua vita avrebbe dato il suo cuore. Atlante desiderava molto di più che a lungo vivesse anche senza fama e senza onore, piuttosto che, avendo tutta la fama che si poteva ottenere al mondo, perdesse anche un solo anno della sua felice vita. 44 L’aveva mandato all’isola di Alcina, perché in quella corte si dimenticasse delle armi, del suo mestiere; e come un mago dai grandi poteri, che sapeva usare ogni tipo di incantesimo, aveva stretto il cuore di quella regina nell’amore di lui, con un laccio talmente forte che non se ne sarebbe mai potuta sciogliere e liberare, anche se Ruggiero fosse diventato più vecchio di Nestore. 45 Ora, tornando a parlare di lei, Melissa, che aveva previsto quanto doveva ancora accadere, vi narro che andò direttamente là dove la girovaga e graziosa figlia di Amone, Bradamante, venne quindi ad incontrarsi con lei. Bradamante, vedendo la maga, trasforma la sofferenza, che aveva fino al quel punto sopportato, tutta il speranza; e Melissa le rivela la verità: che il suo Ruggiero è stato condotto da Alcina. 54 Di ricche gemme un splendido monile gli discendea dal collo in mezzo il petto; e ne l'uno e ne l'altro già virile braccio girava un lucido cerchietto. Gli avea forato un fil d'oro sottile ambe l'orecchie, in forma d'annelletto; e due gran perle pendevano quindi, qua' mai non ebbon gli Arabi né gl'Indi. 55 Umide avea l'innanellate chiome de' più suavi odor che sieno in prezzo: tutto ne' gesti era amoroso, come fosse in Valenza a servir donne avezzo: non era in lui di sano altro che 'l nome; corrotto tutto il resto, e più che mézzo. Così Ruggier fu ritrovato, tanto da l'esser suo mutato per incanto. 56 Ne la forma d'Atlante se gli affaccia colei, che la sembianza ne tenea, con quella grave e venerabil faccia che Ruggier sempre riverir solea, con quello occhio pien d'ira e di minaccia, che sì temuto già fanciullo avea; dicendo: - È questo dunque il frutto ch'io lungamente atteso ho del sudor mio? 57 Di medolle già d'orsi e di leoni ti porsi io dunque li primi alimenti; t'ho per caverne et orridi burroni fanciullo avezzo a strangolar serpenti, pantere e tigri disarmar d'ungioni et a vivi cingial trar spesso i denti, acciò che, dopo tanta disciplina, tu sii l'Adone o l'Atide d'Alcina? 54 Uno splendido gioiello adornato con ricche gemme gli scendeva dal collo fino in mezzo al petto; ed allo stesso modo per niente virile, al braccio portava un lucido bracciale. Un sottile filo d’oro gli forava entrambe le orecchie, formando un piccolo anello; da questi due anelli pendevano quindi due grandi perle, simili alle quali non poterono essere viste mai né dagli Arabi de dagli abitanti dell’India. 55 Portava capelli acconciati in forma d’anello ed inumiditi con gli unguenti profumati più preziosi: tutto nei suoi gesti emanava amore, come se si trovasse a Valenza e fosse abituato a servire donne: non vi era in lui nulla di sano ad eccezione del nome; tutto il resto era corrotto e molto più che marcio. Ruggiero venne ritrovato da Melissa in questo stato, così tanto cambiato, per incantesimo, rispetto alla sua natura originale. 56 La maga si mostra a Ruggiero nella forma del mago Atlante, avendone assunto le sembianze, con quella faccia severa e degna di venerazione che Ruggiero era sempre solito riverire, con quell’occhio pieno d’ira e minaccioso che aveva tanto temuto sin da quando era stato ragazzo; si mostra dicendo: “Questo è quindi il frutto del mio sudore, della fatica fatta per allevarti, che per così tanto tempo ho atteso? 57 Con midollo sia di orsi che di leoni ti ho offerto un tempo i primi tuoi alimenti, all’interno di caverne ed orribili burroni ti ho abituato a prendere per il collo i serpenti, a disarmare le pantere e le tigri strappandole gli artigli, ed ai cinghiali ancora vivi strappare a volte i denti, tutto questo affinché, dopo tanti duri insegnamenti, tu diventassi l’Adone o l’Atide, l’amante, di Alcina? 58 È questo, quel che l'osservate stelle, le sacre fibre e gli accoppiati punti, responsi, augúri, sogni e tutte quelle sorti, ove ho troppo i miei studi consunti, di te promesso sin da le mammelle m'avean, come quest'anni fusser giunti: ch'in arme l'opre tue così preclare esser dovean, che sarian senza pare? 59 Questo è ben veramente alto principio onde si può sperar che tu sia presto a farti un Alessandro, un Iulio, un Scipio! Chi potea, ohimè! di te mai creder questo, che ti facessi d'Alcina mancipio? E perché ognun lo veggia manifesto, al collo et alle braccia hai la catena con che ella a voglia sua preso ti mena. 60 Se non ti muovon le tue proprie laudi, e l'opre e scelse a chi t'ha il cielo eletto, la tua successïon perché defraudi del ben che mille volte io t'ho predetto? Deh, perché il ventre eternamente claudi, dove il ciel vuol che sia per te concetto la glorïosa e soprumana prole ch'esser de' al mondo più chiara che 'l sole? 58 Questo è ciò che l’osservazione delle stelle, le sacre viscere degli animali sacrificati, i magici disegni geometrici, i responsi degli oracoli, i voli degli uccelli, l’interpretazione dei sogni ed ogni altro tipo di sortilegio, nei quali ho troppo consumato i miei anni di studio, mi avevano promesso riguardo alla tua sorte sin dalla tua primissima infanzia, quando fosse giunta questa età della tua vita: che con le armi in pugno le tue imprese avrebbero dovuto essere tanto illustri, famose, e che lo sarebbero state altrettanto anche senza armi? 59 Questo è sicuramente un ottimo inizio sulla base del quale si può ben sperare che tu possa presto diventare un condottiero alla pari di Alessandro Magno, di Giulio Cesare, di Scipione! Chi poteva saperlo, povero me! Chi avrebbe mai potuto credere di te ciò che vedo, che saresti diventato schiavo di Alcina? E perché chiunque lo possa vedere chiaramente, al collo ed alle braccia hai la catena con la quale lei ti porta in giro completamente sottomesso ai suoi voleri. 60 Se non ti smuove da questa situazione il tuo amor proprio, né le opere eccelse che ti sono state destinate dal cielo, perché però privi ingiustamente i tuoi discendenti di tutto quel bene che più di mille volte io ti ho predetto? Deh, perché lasci sterile, chiuso, il ventre di Bradamante, nel quale il cielo vuole che sia da te concepita la prole, destinata a gloria certa ed a poteri sovraumani, che è destinata ad essere per il mondo una luce guida più chiara di quella del sole? 61 Deh, non vietar che le più nobil alme che sian formate ne l'eterne idee, di tempo in tempo abbian corporee salme dal ceppo che radice in te aver dee! Deh non vietar mille trionfi e palme, con che, dopo aspri danni e piaghe ree, tuoi figli, tuoi nipoti e successori Italia torneran nei primi onori! 62 Non ch'a piegarti a questo tante e tante anime belle aver dovesson pondo, che chiare, illustri, inclite, invitte e sante son per fiorir da l'arbor tuo fecondo; ma ti dovria un coppia esser bastante: Ippolito e il fratel; che pochi il mondo ha tali avuti ancor fin al dì d'oggi, per tutti i gradi onde a virtù si poggi. 63 Io solea più di questi dui narrarti, ch'io non facea di tutti gli altri insieme; sì perché essi terran le maggior parti, che gli altri tuoi, ne le virtù supreme; sì perché al dir di lor mi vedea darti più attenzïon, che d'altri del tuo seme: vedea goderti che sì chiari eroi esser dovessen dei nipoti tuoi. 64 Che ha costei che t'hai fatto regina, che non abbian mill'altre meretrici? costei che di tant'altri è concubina, ch'al fin sai ben s'ella suol far felici. Ma perché tu conosca chi sia Alcina, levatone le fraudi e gli artifici, tien questo annello in dito, e torna ad ella, ch'aveder ti potrai come sia bella. - 61 Non impedire che le anime più nobili, tra quelle che sono state create nelle idee eterne, possano ricevere un corpo umano, di generazione in generazione, dal quella stirpe che deve avere in te il suo principio! Non impedire, con il tuo comportamento, i trionfi e le vittorie grazie alle quali, dopo aver subito duri danni e tristi ferite, i tuoi figli, i tuoi nipoti ed i loro successori faranno tornare l’Italia allo splendore iniziale! 62 Non che a spingerti ad abbandonare la corte di Alcina dovessero essere necessario tutte queste nobili anime, che oneste, famose, nobili, sempre vittoriose e sante sono destinate a fiorire dal tuo albero fecondo, a discendere dalla tua stirpe; ma dovrebbero bastarti solo due di loro: il cardinale Ippolito e suo fratello, Alfonso d’Este; che come loro, pochi il mondo ne ha visti fino ai giorni d’oggi, qualunque sia il grado di virtù che si voglia prendere in considerazione. 63 Ero solito raccontarti più di queste due anime di quanto facessi con tutte le altre messe insieme; in quanto essi otterranno i gradi più alti, di qualunque altro tuo discendente, nelle virtù più illustri; in quanto quando ti parlavo di loro vedevo che prestavi maggiore attenzione, più di quanta ne mostravi per qualunque altro tuo discendente: Vedevo che gioivi, godevi, del fatto che simili eroi dovessero essere tuoi nipoti. 64 Che cosa ha questa donna, che hai fatto tua regina, che non abbiano mille altre meretrici? Questa donna è un concubina di molti uomini, e sai molto bene quanto sia in grado di soddisfarli. Ma affinché tu ti possa rendere veramente conto di chi sia Alcina, rimovendo i suoi inganni ed i suoi incantesimi, tieni al dito questo anello e torna da lei, così che potrai vedere quanto sia bella nella realtà.” 73 Pallido, crespo e macilente avea Alcina il viso, il crin raro e canuto, sua statura a sei palmi non giungea: ogni dente di bocca era caduto; che più d'Ecuba e più de la Cumea, et avea più d'ogn'altra mai vivuto. Ma sì l'arti usa al nostro tempo ignote, che bella e giovanetta parer puote. 74 Giovane e bella ella si fa con arte, sì che molti ingannò come Ruggiero; ma l'annel venne a interpretar le carte che già molti anni avean celato il vero. Miracol non è dunque, se si parte de l'animo a Ruggiero ogni pensiero ch'avea d'amare Alcina, or che la truova in guisa, che sua fraude non le giova. 75 Ma come l'avisò Melissa, stette senza mutare il solito sembiante, fin che de l'arme sue, più dì neglette, si fu vestito dal capo alle piante; e per non farle ad Alcina suspette, finse provar s'in esse era aiutante, finse provar se gli era fatto grosso, dopo alcun dì che non l'ha avute indosso. 76 E Balisarda poi si messe al fianco (che così nome la sua spada avea); e lo scudo mirabile tolse anco, che non pur gli occhi abbarbagliar solea, ma l'anima facea sì venir manco, che dal corpo esalata esser parea. Lo tolse, e col zendado in che trovollo, che tutto lo copria, sel messe al collo. 73 Pallido, rugoso e smunto era il viso di Alcina, pochi e bianchi i suoi capelli, di statura non raggiungeva sei palmi di altezza: ogni dente della bocca era già caduto; più di Ecuba, più della sibilla Cumana e più di chiunque altro aveva vissuto, non aveva eguali per età. ma tanto abilmente sapeva usare le arti magiche, sconosciute al nostro tempo, da riuscire ad apparire bella e giovane. 74 Appariva bella e giovane grazie agli incantesimi, tanto che molti altri uomini aveva ingannato, così come fece con Ruggiero; ma l’anello giunse ora a rivelare la verità, il suo vero aspetto, che per molti anni era stato nascosto dietro ad un incantesimo. Non è quindi un miracolo il fatto che si allontanò dall’animo di Ruggiero ogni possibile pensiero che aveva di amare Alcina, adesso che se la trova davanti in una condizione in cui nessun suo inganno può venirle in aiuto. 75 Ma come lo aveva avvertito di fare Melissa, rimase senza far trasparire le proprie emozioni, finché con le sue armi, abbandonate e dimenticate per più giorni, non si fu vestito da capo a piedi; e per far sì che ad Alcina non facessero sorgere sospetti, finse di voler vedere se con esse addosso potesse risultare aitante, desiderabile, finse di voler vedere se gli andavano ancora bene, se non era ingrassato, dopo alcuni giorni in cui non le aveva mai avuto indosso. 76 Si mise quindi al fianco Balisarda (questo era il nome della sua spada magica, fabbricata per uccidere Orlando); e prese anche lo scudo magico di Atlante, che non solo era in grado di abbagliare gli occhi, ma faceva anche venir meno l’anima, tanto che poteva sembrare essersi staccata dal corpo. Lo prese e, con il drappo di seta in cui l’aveva trovato completamente avvolto, se lo mise al collo. 77 Venne alla stalla, e fece briglia e sella porre a un destrier più che la pece nero: così Melissa l'avea instrutto; ch'ella sapea quanto nel corso era leggiero. Chi lo conosce, Rabican l'appella; et è quel proprio che col cavalliero del quale i venti or presso al mar fan gioco, portò già la balena in questo loco. 78 Potea aver l'ippogrifo similmente, che presso a Rabicano era legato; ma gli avea detto la maga: - Abbi mente, ch'egli è (come tu sai) troppo sfrenato. - E gli diede intenzion che 'l dì seguente gli lo trarrebbe fuor di quello stato, là dove ad agio poi sarebbe instrutto come frenarlo e farlo gir per tutto. 79 Né sospetto darà, se non lo tolle, de la tacita fuga ch'apparecchia. Fece Ruggier come Melissa volle, ch'invisibile ognor gli era all'orecchia. Così fingendo, del lascivo e molle palazzo uscí de la puttana vecchia; e si venne accostando ad una porta, donde è la via ch'a Logistilla il porta. 80 Assaltò li guardiani all'improviso, e si cacciò tra lor col ferro in mano, e qual lasciò ferito, e quale ucciso; e corse fuor del ponte a mano a mano: e prima che n'avesse Alcina aviso, di molto spazio fu Ruggier lontano. Dirò ne l'altro canto che via tenne; poi come a Logistilla se ne venne. 77 Andò nella stalla e fece mettere briglia e sella ad un destriero più nero della pece: questo gli aveva detto di fare Melissa; poiché lei sapeva quanto quel cavallo, che nella corsa sfiorava il terreno, fosse veloce. Chi conosceva quel cavallo lo chiamava Rabican; ed è proprio quel cavallo che insieme ad Astolfo, che ora, trasformato in pianta, è oggetto di gioco da parte del vento in riva al mare, fu portato in quel luogo da una luce abbagliante.. 78 Poteva allo stesso modo scegliere e prendere l’Ippogrifo, che stava legato vicino a Rabican; ma la maga gli aveva detto: “Ricordati bene che l’Ippogrifo è (come ben sai) troppo disubbidiente al freno.” E gli promise quindi che il giorno seguente l’avrebbe liberato da quella condizione, l’avrebbe portato via dall’isola di Alcina, per portarlo là dove sarebbe stato poi comodamente istruito su come governarlo con il freno e condurlo quindi in ogni luogo. 79 Non avrebbe fatto così sorgere alcun sospetto, non prendendo l’Ippogrifo, che stava progettando quella fuga segreta. Ruggiero fece tutto quello che Melissa aveva voluto, poiché le sue parole gli giravano continuamente per la testa, come se lei fosse, invisibile, al suo fianco. Facendo così finta, abbandonò infine il lussurioso e fiacco palazzo di quella vecchia meretrice; e si avvicinò quindi ad una porta dalla quale partiva la via che l’avrebbe portato da Logistilla. 80 Assalì i guardiani all’improvviso, buttandosi in mezzo a loro con la spada in pugno, alcuni li lasciò a terra feriti ed altri li uccise; corse fuori dal ponte a tutta velocità: e prima che Alcina potesse accorgersi degli avvenimenti, Ruggiero era già molto lontano. Dirò nel prossimo canto quale via seguì; e come infine raggiunse Logistilla. -CANTO VIII- Spunti di meditazione sulle simulazioni e menzogne umane (1-2). Ruggero in fuga deve usare lo scudo magico di Atlante per liberarsi degli inseguitori (3-11). Mentre Alcina si dispera, Melissa libera Astolfo e, riconsegnatagli la sua magica lancia d’oro, lo conduce in groppa all’ippogrifo presso Logistilla (12-18). Ruggero continua la sua fuga (19-21). Rinaldo cerca guerrieri in Scozia ed Inghilterra (21-28).Angelica è insidiata da un eremita (29-50). Gli abitanti di Ebuda la catturano e la espongono all’orca (51-68). Frattanto Orlando, spaventato da un sogno, si allontana nottetempo dal campo cristiano alla ricerca di Angelica. Lo segue l’amico Bradimarte; e a sua volta Fiordiligi, donna di Bradimarte, si allontana alla ricerca di questo (69-91). -CANTO IX- Potenza dell’amore (1-2). Durante l’“amorosa inchiesta”(la ricerca di Angelica), Orlando è indirizzato verso il Ebuda; ma il mare lo spinge verso l’Olanda (2-17). Qui il conte incontra Olimpia, che gli racconta la storia del suo amore per Bireno e delle insidie di Cimosco, e gli chiede aiuto per salvare Bireno (18-56). Orlando sconfigge Cinosco, libera Bireno (che sposa Olimpia), getta in mare l’archibugio (uno dei primi fucili), “abominoso ordigno”, e riprende la sua inchiesta (57-94). -CANTO X- Considerazioni sulla volubilità dei cuori giovanili (1-). Olimpia è abbandonata da Bireno (10-34). Ruggero giunge al regno di Logistilla (35-56). Questa insegna a Ruggero la guida dell’ippogrifo e lo congeda (57-68). Ruggero assiste alla rassegna delle forze inglesi (68-89). Giunge poi dove Angelica esposta all’orca, abbaglia quest’ultima e libera la donna (90-111). Invaghito di Angelica, Ruggero si ferma con lei in un prato (112-115). -CANTO XI- Il desiderio amoroso è reso irrefrenabile dall’occasione favorevole (1-3). Angelica scompare alla vista, aiutata dall’anello magico, e, mentre Ruggero da cerca deluso, si rifugia presso un pastore (3-12). Ruggero, abbandonato anche dall’ippogrifo, crede di vedere Bradamante bisognose di aiuto e la segue (13-21). Considerazioni sulle armi da fuoco (21-28). Orlando, giunto e Ebuda, trova Olimpia legata al sasso: uccide l’orca, fa strage degli abitanti, infine consegne Olimpia a Oberto, re d’Ibernia, che la sposa (29-80). Orlando riprende l’inchiesta (80-83). 5 che porta in braccio e su l'arcion davante per forza una mestissima donzella. Piange ella, e si dibatte, e fa sembiante di gran dolore; et in soccorso appella il valoroso principe d'Anglante; che come mira alla giovane bella, gli par colei, per cui la notte e il giorno cercato Francia avea dentro e d'intorno. 6 Non dico ch'ella fosse, ma parea Angelica gentil ch'egli tant'ama. Egli, che la sua donna e la sua dea vede portar sì addolorata e grama, spinto da l'ira e da la furia rea, con voce orrenda il cavallier richiama; richiama il cavalliero e gli minaccia, e Brigliadoro a tutta briglia caccia. 6 Non dico che fosse veramente lei, ma sembrava effettivamente la gentile Angelica che Orlando tanto ama. Egli, che la donna che adora vede, triste e addolorata, essere portava via, spinto dall’ira e dalla furia ardente, con voce spaventosa chiama il cavaliere; lo chiama e lo minaccia, ed infine lancia all’inseguimento Brigliadoro a tutta velocità. 5 che porta in braccio e sull’arcione anteriore un tristissima donzella, obbligandola con la forza, senza il suo consenso. La donna piange, si dibatte e sembra soffrire. In suo soccorso chiama il valoroso Orlando, il quale, non appena guarda la bella ragazza, crede di vedere colei, Angelica, che, per tutto il giorno e la notte, aveva cercato in ogni luogo della Francia. “Pare Angelica gentil”—sembra Angelica, ma non è. La • fanciulla chiede aiuto al principe d’Anglante (orlando). Angelica non può essere gentile, solo Bradamante lo è— rovesciamento del “tanto gentile e tanto onesta pare”— “Par che piagna” “parea Angelica gentil” (ott. 4-6)—• espediente dantesco del “parere” che, centrale in questo canto, permette ad Ariosto di dare una chiara impressione al lettore, rappresentando il centro del bosco come vero e proprio inferno “Spinto da l’ira…caccia”—Orlando minaccia il cavaliere e lo • segue con Brigliadoro (il suo cavallo) 7 Non resta quel fellon, né gli risponde, all'alta preda, al gran guadagno intento, e sì ratto ne va per quelle fronde, che saria tardo a seguitarlo il vento. L'un fugge, e l'altro caccia; e le profonde selve s'odon sonar d'alto lamento. Correndo, usciro in un gran prato; e quello avea nel mezzo un grande e ricco ostello. 7 Non arresta la propria corsa il cavaliere, né risponde ad Orlando. concentrato sulla sua prigioniera, al valore di lei, si muove così velocemente tra i rami che anche il vento sarebbe in ritardo nel suo inseguimento. L’uno fugge e l’altro lo insegue; ed i fitti boschi risuonano dell’acuto lamento della donna. Al galoppo uscirono dal bosco e si trovarono in un vasto prato, dove, nel mezzo, si ergeva un maestoso e ricco castello (del mago Atlante). 8 Di vari marmi con suttil lavoro edificato era il palazzo altiero. Corse dentro alla porta messa d'oro con la donzella in braccio il cavalliero. Dopo non molto giunse Brigliadoro, che porta Orlando disdegnoso e fiero. Orlando, come è dentro, gli occhi gira; né più il guerrier, né la donzella mira. 8 Con vari marmi, con un minuzioso lavoro, era stato costruito il maestoso palazzo. All’interno della porta costruita in oro corse il cavaliere con in braccio la donzella. Non molto dopo giunse anche Brigliadoro con in sella il fiero e sprezzante Orlando. Appena è dentro al palazzo, Orlando si guarda intorno ma non vede più né il guerriero né la donzella. Orlando segue il cavaliere nella selva• “Profonde/selve”—enjambement, che indica il • centro del bosco “Correndo…ostello” “di vari marmi…altiero” (ott. • 7-8)—nella radura c’è un palazzo “Nè più…mira”—appena Orlando entra nel palazzo, le • due figure svaniscono Palazzo di Atlante: luogo di maggiore pazzia. Per • Ariosto, la sede del potere affascina l’uomo, al punto che questo non riesca ad ottenere nulla. Nell corte vi è una molteplicità di Iardi della realta, che non coincidono, sono tutti pazzi. Visione legata all’esperienza di Ariosto stesso, in balia del protettorato degli Estensi. Il potereè il punto di aggregazione della vita infernale 9 Subito smonta, e fulminando passa dove più dentro il bel tetto s'alloggia: corre di qua, corre di là, né lassa che non vegga ogni camera, ogni loggia. Poi che i segreti d'ogni stanza bassa ha cerco invan, su per le scale poggia; e non men perde anco a cercar di sopra, che perdessi di sotto, il tempo e l'opra. 9 Subito smonta da cavallo e come un fulmine entra nelle stanze più interne del Castello: corre di qua e di là senza lasciare inesplorata né una camera né una loggia. Dopo che i segreti di ogni stanza del primo piano ha invano esplorato, sale le scale e non perde meno tempo a cercare anche di sopra di quanto ne aveva perso di sotto invano. 10 D'oro e di seta i letti ornati vede: nulla de muri appar né de pareti; che quelle, e il suolo ove si mette il piede, son da cortine ascose e da tapeti. Di su di giú va il conte Orlando e riede; né per questo può far gli occhi mai lieti che riveggiano Angelica, o quel ladro che n'ha portato il bel viso leggiadro. 10 Vede letti ornati di oro e seta. Non è possibile vedere né i muri esterni né le pareti interne perché, come il suolo dove mette piede, sono completamente nascoste da tende e tappeti. Al primo ed al secondo piano il conte Orlando torna e ritorna senza riuscire ad allietare gli occhi con la vista di Angelica, od al limite del ladro che ne aveva rapito il bel viso. “Come…di là”—inizia il movimento frenetico nel • palazzo, nè Orlando nè gli altri cavalieri si accorgeranno della presenza altrui. I cavalieri vedono solo ciò che Atlante vuole mostrare loro —espressione dantesca (uso ossessiono nel canto)— “Ha cerco invan…l’opra”—Orlando perde tempo a • cercare le due figure, la vita dei pazzi viene condotta a vuoto “D’oro…tapeti”—descrizione del palazzo, non si vedono le • pareti (non si vede ciò che c’è sotto). I luoghi del potere sono ingannevoli (apparenza di nobiltà), ma bisogna “guardar dentro e guardar dietro” Seneca—>”inspicere” “vedere oltre”, l’andate oltre ◦ l’apparenza, gli uomini di potere sono semplici uomini Potere, mascherata dentro cui non c’è nulla◦ Idea umanistica, Poggio Bracciolini riprende Seneca e ◦ Luciano di Samosata,anche Leon Battista Alberti riprende l’inspicere nel “momus”—modernismo relativo alla molteplicità del reale, dettata dalla soggettiva interpretazione individuale— L’incantesimo dei paladini è illusione del potere stesso • 16 Queste parole una et un'altra volta fanno Orlando tornar per ogni stanza, con passïone e con fatica molta, ma temperata pur d'alta speranza. Talor si ferma, et una voce ascolta, che di quella d'Angelica ha sembianza (e s'egli è da una parte, suona altronde), che chieggia aiuto; e non sa trovar donde. 16 Queste parole fanno ancora un’altra volta tornare Orlando a girare in ogni stanza, con angoscia e con molta fatica, ma con altrettanta grande speranza. A volte si ferma e sta ad ascoltare una voce, che sembra essere quella di Angelica (se lui è da una parte del castello, la voce suona in tutt’altro luogo) che chiede aiuto, ma non sa capire e trovare da dove provenga. 17 Ma tornando a Ruggier, ch'io lasciai quando dissi che per sentiero ombroso e fosco il gigante e la donna seguitando, in un gran prato uscito era del bosco; io dico ch'arrivò qui dove Orlando dianzi arrivò, se 'l loco riconosco. Dentro la porta il gran gigante passa: Ruggier gli è appresso, e di seguir non lassa. 17 Ma tornando a raccontare di Ruggiero, che ho abbandonato quando dissi che, attraverso un sentiero ombroso e buio, seguendo il gigante e la donna, era finalmente giunto, uscito dal bosco, in un grande prato; potrei dire che arrivò nel luogo dove Orlando era arrivato poco prima, se ho riconosciuto il luogo. Il gigante passa attraverso la grande porta; Ruggiero gli è subito dietro e non smette di seguirlo (entra anche lui). Atlante, facendo dire all’apparizione di Angelica • queste parole, dissolve ogni dubbio di Orlando, che ritorna nel palazzo—ripresa della passionale ricerca— “Ma tornando a Ruggier”—Ariosto interrompe la • narrazione per introdurre Ruggiero. Espediente narrativo unico, Ariosto viola l’unità della vicenda, andando contro i principi aristotelici, tanto cari agli umanisti. Tale rottura sottolinea, ancora di più, l’assurdità e l’incongruenza di quest’opera di fantasia “Ch’io lasciai…seguitando”—Ruggiero arriva a • palazzo seguendo il gigante Atlante, che porta Bradamante. Nel mentre Atlante appare ad Orlando come il cavaliere No coerenza temporale • 18 Tosto che pon dentro alla soglia il piede, per la gran corte e per le loggie mira; né più il gigante né la donna vede, e gli occhi indarno or quinci or quindi aggira. Di su di giú va molte volte e riede; né gli succede mai quel che desira: né si sa imaginar dove sì tosto con la donna il fellon si sia nascosto. 18 Appena mette il piede dentro alla porta, dà un’occhiata alla grande corte ed alle stanze ma non vede più né il gigante né la donna. Invano gira gli occhi tutt’intorno. Più volte va su e giù e ci ritorna ma mai trova quel che va cercando (mai gli accade quel che desidera) e non riesce ad immaginare dove, così velocemente, il fellone si sia nascosto con al donna. 19 Poi che revisto ha quattro volte e cinque di su di giú camere e logge e sale, pur di nuovo ritorna, e non relinque che non ne cerchi fin sotto le scale. Con speme al fin che sian ne le propinque selve, si parte: ma una voce, quale richiamò Orlando, lui chiamò non manco; e nel palazzo il fe' ritornar anco. 19 Dopo che ha controllato più e più volte le camere, le logge e le sale del primo e del secondo piano, torna comunque di nuovo a controllare, e non rinuncia a cercare fin sotto le scale. Infine, con la speranza che siano tornati nel vicino bosco, esce dal castello. Ma una voce, simile a quella che richiamò Orlando, richiamò anche lui non di meno e lo fece tornare nel palazzo. “Per la gran corte…mira”—Ruggiero entrato nel • palazzo svolge le stesse azioni di Orlando. Ripetizione delle azioni svolte nell’atmosfera infernale. “Di sù di giù”—giro frenetico • “Riede”—già ripetuta nell’ott. 10, in riferimento • ad Orlando (ripetizione delle azioni) “Nè gli succede…desira”—frase sentenziosa, • allude alla condizione umana, le cose che l’uomo desidera non vanno mai come pianificate “Quattro volte e cinque”—Ruggiero ha • controllato il palazzo 9 volte, lo ricontrolla poi un’altra volta, per un totale di 10. Ripete la medesima azione di orlando che invece controlla il palazzo per “quattro volte e sei” (ott. 13) 20 Una voce medesma, una persona che paruta era Angelica ad Orlando, parve a Ruggier la donna di Dordona, che lo tenea di sé medesmo in bando. Se con Gradasso o con alcun ragiona di quei ch'andavan nel palazzo errando, a tutti par che quella cosa sia, che più ciascun per sé brama e desia. 20 La medesima voce, una persona che era sembrata Angelica ad Orlando, sembrò ora a Ruggiero essere Bradamante, della quale era lui innamorato (che lo faceva sentire fuori di sé). Se discutesse con re Gradasso, o con altra persona di quelle che andavano vagando per il palazzo, a ciascuno sarebbe sembrata essere ciò che più ciascuno ambisce e desidera avere per sé. 21 Questo era un nuovo e disusato incanto ch'avea composto Atlante di Carena, perché Ruggier fosse occupato tanto in quel travaglio, in quella dolce pena, che 'l mal'influsso n'andasse da canto, l'influsso ch'a morir giovene il mena. Dopo il castel d'acciar, che nulla giova, e dopo Alcina, Atlante ancor fa pruova. Ruggiero come Orlando esce dal palazzo, ma • una voce, simile a quella di Bradamante (donna di Dordona), lo richiama dentro Scena teatrale, la voce che li richiama, pur • impersonando due personaggi differenti, è, in realtà, la stessa—la maschera li inganna— I paladini non si riconoscono, sono assorbiti • nella ricerca dell’oggetto del loro desiderio “Paruta era Angelica” “parve a ruggier” “per che • quella cosa sua”—parere ripetuto nuovamente 3 volte 21 Questo era un incantesimo nuovo e poco usato, che aveva creato il mago Atlante di Carena affinché Ruggiero fosse stato tenuto occupato tanto in quell’affanno, in quella dolce punizione, finché fosse vanificato l’influsso maligno degli astri che l’aveva condannato a morire giovane. Dopo il castello d’acciaio, che a nulla è servito, e dopo Alcina, Atlante tenta un nuovo incantesimo. Vengono spiegate le motivazioni dietro alle azioni • di Atlante: ha rinchiuso tutti i paladini più forti e famosi, per evitare che uno di loro uccidesse Ruggiero 28 Ma il Circasso depor, quando le piaccia, potrà, se ben l'avesse posto in cielo. Questa sola cagion vuol ch'ella il faccia sua scorta, e mostri avergli fede e zelo. L'annel trasse di bocca, e di sua faccia levò dagli occhi a Sacripante il velo. Credette a lui sol dimostrarsi, e avenne ch'Orlando e Ferraù le sopravenne. (Ott. 27-28) Angelica non sa quale paladino scegliere: Orlando potrebbe scortarla in modo sicuro, ma poi non l’avrebbe più • lasciata; Sacripante, invece, è più idiota e facilmente ingannabile Angelica, come Atlante, illude i paladini• Dopo aver scelto Sacripante, Angelica toglie l’anello dalla bocca e si mostra al paladino• “Credette a lui…sopravenne”—verbi utilizzati al passato remoto per aprire e chiudere l’azione. I piani di Angelica non • vanno come previsto, perché per errore si mostra anche a Ferraù e ad Orlando 29 Le sopravenne Ferraù et Orlando; che l'uno e l'altro parimente giva di su di giú, dentro e di fuor cercando del gran palazzo lei, ch'era lor diva. Corser di par tutti alla donna, quando nessuno incantamento gli impediva: perché l'annel ch'ella si pose in mano, fece d'Atlante ogni disegno vano. 29 Giunsero Ferraù ed Orlando, che allo steso modo avevano girato, sopra e sotto, fuori e dentro, alla ricerca all’intero del palazzo di lei, che era la donna da loro amata ed adorata. Corsero tutti insieme verso Angelica, dal momento che nessun incantesimo poteva ora impedirglielo, perché l’anello che la donna si mise alla mano, rese vano ogni tentativo di incantesimo da parte di Atlante. 28 Al contrario, quando più le piaccia, valuta di potersi liberare facilmente da Sacripante, agendo nel giusto modo. Questa sola ragione fa sì che lei decida di scegliere Sacripante come sua scorta e di mostrare a lui la sua fiducia ed il suo affetto. Angelica si toglie l’anello dalla bocca, e dalla sua faccia levò quindi quel velo che la rendeva invisibile a Sacripante. Pensò di potersi mostrare a lui solo, accadde invece che sia Orlando che Ferrù sopraggiunsero in quel momento. “Di sù di giù…fuor”—elemento dantesco, • rappresenta il movimento dei lussuriosi L’incantesimo viene annullato solo per i 3 paladini • 30 L'usbergo indosso aveano e l'elmo in testa dui di questi guerrier, dei quali io canto; né notte o dì, dopo ch'entraro in questa stanza, l'aveano mai messo da canto; che facile a portar, come la vesta, era lor, perché in uso l'avean tanto. Ferraù il terzo era anco armato, eccetto che non avea né volea avere elmetto, 31 fin che quel non avea, che 'l paladino tolse Orlando al fratel del re Troiano; ch'allora lo giurò, che l'elmo fino cercò de l'Argalia nel fiume invano: e se ben quivi Orlando ebbe vicino, né però Ferraù pose in lui mano; avenne, che conoscersi tra loro non si potêr, mentre là dentro fôro. 32 Era così incantato quello albergo, ch'insieme riconoscer non poteansi. Né notte mai né dì, spada né usbergo né scudo pur dal braccio rimoveansi. I lor cavalli con la sella al tergo, pendendo i morsi da l'arcion, pasceansi in una stanza, che presso all'uscita, d'orzo e di paglia sempre era fornita. (Ott. 30-31-32) I cavalieri sono armati; non hanno mai tolto l’armatura, definita ironicamente veste • Ferraù è l’unico senza l’elmo, a causa dell’incantesimo, non lo aveva ancora recuperato • I cavalieri, nonostante sia svanito l’incantesimo, non si riconoscono ancora • “Poetansi” “rimoveansi” “pasceansi”—verso sdrucciolo • 30 Avevano addosso la corazza e in testa avevano l’elmo, due (Sacripante ed Orlando) di questi guerrieri le cui gesta io vi canto; non di notte e neanche di giorno, dopo che furono entrati in questo palazzo, se li erano mai levati di dosso. Facili da portare, come fossero un vestito, erano per loro, tanto erano abituati a portarli. Ferraù, il terzo guerriero, era anche lui armato, ma non aveva, e non voleva avere, nessun elmo 31 fino a ché non fosse entrato in possesso di quello che il paladino Orlando tolse ad Almonte, fratello del re troiano. Perché ciò aveva giurato allora, quando l’elmo, di buona fattura, di Argalia, aveva cercato senza successo nel fiume. Sebbene avesse a portata di mano Orlando, Ferraù non lo assalì. Incrociare fra loro le armi non fu possibile fintanto che furono nel castello. 32 Era così incantato quel palazzo, che non poterono riconoscersi l’un l’altro. Né di notte né di giorno, né la spada né la corazza e nemmeno solo lo scudo dal braccio si toglievano. I loro cavalli, con la sella sul dorso, con il morso a penzoloni dall’arcione, si rilassavano in una stanza, che in prossimità dell’uscita del castello, era sempre fornita di orzo e di paglia. 33 Atlante riparar non sa né puote, ch'in sella non rimontino i guerrieri per correr dietro alle vermiglie gote, all'auree chiome et a' begli occhi neri de la donzella, ch'in fuga percuote la sua iumenta, perché volentieri non vede li tre amanti in compagnia, che forse tolti un dopo l'altro avria. 33 Il mago non sa e non può nemmeno evitare che i tre guerrieri rimontino in sella dei loro destrieri per correre dietro alle rosee guancie, alla chioma dorata ed ai bei occhi neri di Angelica, che spinge alla fuga la sua cavalla, poiché non gradisce vedere insieme i tre amanti, che forse avrebbe preso come guida se fossero arrivati separatamente. 34 E poi che dilungati dal palagio gli ebbe sì, che temer più non dovea che contra lor l'incantator malvagio potesse oprar la sua fallacia rea; l'annel, che le schivò più d'un disagio, tra le rosate labra si chiudea: donde lor sparve subito dagli occhi, e gli lasciò come insensati e sciocchi. 34 E dopo che li ebbe allontanati dal palazzo a sufficienza, da poter non più temere che contro loro l’incantatore malvagio potesse usare le proprie ingannevoli arti magiche; l’anello, che più di una brutta situazione le aveva evitato, chiuse tra le sue rosse labbra, di conseguenza scomparve alla loro vista, e li lasciò istupiditi ed increduli. Atlante non può fare niente• Angelica scappa, perché non vuole 3 amanti • “Vermiglie gote”—topos amoroso• “auree chiome”—capelli biondi, collegamento con • Laura “occhi neri”—realismo • Angelica si fa inseguire, poi, una volta lontana dal • palazzo, mette l’anello in bocca per diventare invisibile “Sparve”—dal “parere” allo “sparire”• Gli eroi rimangono sciocchi e senza un senso • 40 Poi volto a Ferraù, disse: - Uom bestiale, s'io non guardassi che senza elmo sei, di quel c'hai detto, s'hai ben detto o male, senz'altra indugia accorger ti farei. - Disse il Spagnuol: - Di quel ch'a me non cale, perché pigliarne tu cura ti déi? Io sol contra ambidui per far son buono quel che detto ho, senza elmo come sono. - 40 Poi rivolto a Ferraù disse: “Bestia di un uomo, se io non avessi visto che sei privo del tuo elmo, di ciò che hai detto, se l’hai detto a buona o cattiva ragione, senza esitare oltre, ti farei rendere conto.” Disse lo Spagnolo, Ferraù: “Delle cose che a me non importano, perché ti devi invece tu interessare? Io, contro voi due, sono capace da solo di mettere in pratica ciò che ho detto, anche ora, senza l’elmo indosso.” 41 - Deh - disse Orlando al re di Circassia, in mio servigio a costui l'elmo presta, tanto ch'io gli abbia tratta la pazzia; ch'altra non vidi mai simile a questa. - Rispose il re: - Chi più pazzo saria? Ma se ti par pur la domanda onesta, prestagli il tuo; ch'io non sarò men atto, che tu sia forse, a castigare un matto. - 42 Suggiunse Ferraù: - Sciocchi voi, quasi che, se mi fosse il portar elmo a grado, voi senza non ne fosse già rimasi; che tolti i vostri avrei, vostro mal grado. Ma per narrarvi in parte li miei casi, per voto così senza me ne vado, et anderò, fin ch'io non ho quel fino che porta in capo Orlando paladino. - “Uom bestiale”—Orlando chiama così Ferraù, • riferimento dantesco alla “matta bestialità” propria dei dannati. Anche Boccaccio ne farà uso nell’ultima novella del Decameron Se Ferraù avesse avuto l’elmo, Orlando lo • avrebbe sfidato 41 Disse Orlando a Sacripante: “Deh, fammi il favore di prestare a costui il tuo elmo, così che possa curarlo dalla pazzia; mai ho avuto occasione di vederne una paragonabile ad essa.” Il re, Sacripante, rispose: “Chi sarebbe poi più pazzo, io o lui? Se la domanda che mi hai appena fatto ti sembra ragionevole, prestagli allora il tuo di elmo; perché non sarò meno bravo, di quanto forse possa esserlo tu, a punire un folle.” 42 Aggiunge Ferraù: “Parlate da sciocchi, come se, se mi fosse cosa gradita portar un elmo, non ne sareste già voi rimasti senza, non lo avrei già sottratto a voi; perché vi avrei tolto i vostri, contro la vostra volontà. Ma per raccontarvi piccola parte dei fatti miei, me ne vado così in giro, senza elmo, per un giuramento fatto, ed andrò in giro così fino a che non potrò avere l’elmo, di ottima fattura, che porta sul capo il paladino Orlando. 43 - Dunque - rispose sorridente il conte- ti pensi a capo nudo esser bastante far ad Orlando quel che in Aspramonte egli già fece al figlio d'Agolante? Anzi credo io, se tel vedessi a fronte, ne tremeresti dal capo alle piante; non che volessi l'elmo, ma daresti l'altre arme a lui di patto, che tu vesti. - 44 Il vantator Spagnuol disse: - Già molte fïate e molte ho così Orlando astretto, che facilmente l'arme gli avrei tolte, quante indosso n'avea, non che l'elmetto; e s'io nol feci, occorrono alle volte pensier che prima non s'aveano in petto: non n'ebbi, già fu, voglia; or l'aggio, e spero che mi potrà succeder di leggiero. - 45 Non potè aver più pazïenza Orlando, e gridò: - Mentitor, brutto marrano, in che paese ti trovasti, e quando, a poter più di me con l'arme in mano? Quel paladin, di che ti vai vantando, son io, che ti pensavi esser lontano. Or vedi se tu puoi l'elmo levarme, o s'io son buon per tôrre a te l'altre arme. 46 Né da te voglio un minimo vantaggio. - Così dicendo, l'elmo si disciolse, e lo suspese a un ramuscel di faggio; e quasi a un tempo Durindana tolse. Ferraù non perdé di ciò il coraggio: trasse la spada, e in atto si raccolse, onde con essa e col levato scudo potesse ricoprirsi il capo nudo. 43 Rispose sorridendo il conte Orlando: “Dunque ritieni di poter, anche a capo nudo, fare ad Orlando quello che in Aspromonte lui stesso aveva già fatto ad Almonte? Credo io al contrario che se tu dovessi mai trovarti di fronte Orlando, avresti timore di lui dalla testa alla pianta dei piedi; non vorresti l’elmo, ma daresti a lui tutte le altre armi che hai addosso, a patto di non dover combattere.” 44 Lo spaccone Spagnolo disse: “Già molte altre volte, ed altre ancora, ho messo alle strette Orlando così che avrei potuto facilmente togliergli le sue armi, tutte quelle che aveva indosso, non soltanto l’elmetto; e se io non lo feci, è perché vengono alla mente alle volte propositi che uno non immagina neanche di poter avere: non ebbi, allora, voglia di sottrargli le armi; ora invece ne ho, e spero che possa riuscire facilmente nell’intento.” 45 Orlando non riuscì più a mostrarsi paziente e gridò quindi: “Bugiardo, brutto traditore, in quale paese, e quando, ti sei trovato ad essere più forte di me con le armi in mano? Quel paladino, alle cui spalle ti stai vantando, che pensi essere lontano da te, sono io. Ora potrai vedere se tu effettivamente puoi levarmi l’elmo dalla tesa, o se sono invece io in grado di toglierti tutte le altre armi. 46 Non voglio neanche trovarmi, rispetto a te, in condizione di vantaggio.” Detto così, si tolse l’elmo e lo appese ad un ramoscello di faggio; impugnando saldamente, allo stesso tempo, la propria spada. Ferraù non perse per questo coraggio: trasse la spada e si raccolse in posizione, così da poter, con la spada e con lo scudo levato in aria, coprire il proprio capo nudo. 47 Così li duo guerrieri incominciaro, lor cavalli aggirando, a volteggiarsi; e dove l'arme si giungeano, e raro era più il ferro, col ferro a tentarsi. Non era in tutto 'l mondo un altro paro che più di questo avessi ad accoppiarsi: pari eran di vigor, pari d'ardire; né l'un né l'altro si potea ferire. 48 Ch'abbiate, Signor mio, già inteso estimo, che Ferraù per tutto era fatato, fuor che là dove l'alimento primo piglia il bambin nel ventre ancor serrato: e fin che del sepolcro il tetro limo la faccia gli coperse, il luogo armato usò portar, dove era il dubbio, sempre di sette piastre fatte a buone tempre. 49 Era ugualmente il principe d'Anglante tutto fatato, fuor che in una parte: ferito esser potea sotto le piante; ma le guardò con ogni studio et arte. Duro era il resto lor più che diamante (se la fama dal ver non si diparte); e l'uno e l'altro andò, più per ornato che per bisogno, alle sue imprese armato. (Ott. 41-42-43-44-45-46-47-48-49) Orlando chiede a Sacripante di prestare l’elmo a Ferraù, per poterlo sfidare• “Chi più pazzo saria?”—domanda che Ariosto fa al pubblico. Sacripante non vuole dare l’elmo. Il pazzo è Orlando • Sacripante propone ad Orlando di essere lui a prestare l’elmo a Ferraù, cosicché possa sfidarlo lui• Ferraù non avendo riconosciuto i paladini, che ha davanti, si vanta della sua potenza, dicendo di poter facilmente • disarmare Orlando Sacripante ride dell’equivoco • Orlando, furioso, si rivela • Inizia il duello—>Orlando vs Ferraù. Entrambi i paladini hanno un punto debole: Ferraù, l’ombelico; Orlando, la • pianta del piede 47 Così i due cavalieri cominciarono, muovendo in cerchio i propri cavalli, a fare volteggi; e dove le placche dell’armatura si congiungevano, e mostravano parti prive di ferro, ognuno, con la propria spada, cercava di ferire l’altro. In tutto il mondo, non poteva essere trovata una altra coppia di cavalieri adatta ad affrontarsi in duello più di questa: erano eguali per forza e per coraggio; 48 Cardinale Ippolito, sono sicuro abbiate già compreso che Ferraù era completamente invulnerabile, grazie ad un incantesimo, ad eccezione dell’ombelico, là dove il suo primo alimento prende il bambino ancora rinchiuso all’interno del ventre materno: e dal giorno in cui la terra nera del sepolcro gli coprì la faccia, iniziò a coprire con armatura il punto del suo corpo dove poteva arrivare il pericolo, sempre con sette piastre di acciaio di buona fattura e ben temprate. 49 Allo stesso modo anche Orlando era completamente invulnerabile, ad eccezione di una parte del corpo: poteva essere ferito sotto le piante dei piedi; le difese perciò con ogni possibile stratagemma ed artificio. Ogni altra parte del loro copro era più dura del diamante (se la loro fama non si discosta dalla realtà); e l’uno e l’altro andavano, più come ornamento che per reale necessità, alle loro battaglie totalmente armati. 57 Angelica si ferma alle chiare onde, non pensando ch'alcun le sopravegna; e per lo sacro annel che la nasconde, non può temer che caso rio le avegna. A prima giunta in su l'erbose sponde del rivo l'elmo a un ramuscel consegna; poi cerca, ove nel bosco è miglior frasca, la iumenta legar, perché si pasca. 58 Il cavallier di Spagna, che venuto era per l'orme, alla fontana giunge. Non l'ha sì tosto Angelica veduto, che gli dispare, e la cavalla punge. L'elmo, che sopra l'erba era caduto, ritor non può, che troppo resta lunge. Come il pagan d'Angelica s'accorse, tosto vêr lei pien di letizia corse. 59 Gli sparve, come io dico, ella davante, come fantasma al dipartir del sonno. Cercando egli la va per quelle piante né i miseri occhi più veder la ponno. Bestemiando Macone e Trivigante, e di sua legge ogni maestro e donno, ritornò Ferraù verso la fonte, u' ne l'erba giacea l'elmo del conte. 60 Lo riconobbe, tosto che mirollo, per lettere ch'avea scritte ne l'orlo; che dicean dove Orlando guadagnollo, e come e quando, et a chi fe' deporlo. Armossene il pagano il capo e il collo, che non lasciò, pel duol ch'avea, di tôrlo; pel duol ch'avea di quella che gli sparve, come sparir soglion notturne larve. 58 Il cavaliere spagnolo, Ferraù, che aveva proceduto seguendo le orme di Angelica, giunse infine alla fonte. Angelica, non appena lo vede, subito scompare alla sua vista e sprona alla corsa la propria cavalla. Non può però riprendere con sé l’elmo, caduto sull’erba, perché da lei troppo distante. Non appena il pagano si accorse della presenza di Angelica, subito corse verso di lei pieno di felicità. 59 Parve a Ferraù, come ho raccontato, Angelica davanti a sé, di vederla scomparire come una visione al termine del sonno. La cerca all’interno del bosco, ma i suoi poveri occhi non possono ormai più vederla. Bestemmiando il nome di Maometto e Trivigante, e di ogni altra autorità della loro religione, Ferraù ritornò quindi verso la fonte, vicino alla quale, giaceva in mezzo all’erba l’elmo del conte Orlando. 57 Angelica si ferma presso le acque cristalline della fonte, pensando che nessuno possa sopraggiungere sorprendendola; grazie al potere dell’anello magico, che la rende invisibile, non può neanche temere che le possa capitare qualcosa di pericoloso. Appena giunta presso le rive erbose del torrente, appende l’elmo ad un ramoscello; cerca quindi, là dove, all’interno del bosco, ci sono gli alberi più robusti, di legare la propria cavalla, così che possa pascolare e rifocillarsi. 60 Lo riconobbe, subito dopo averlo visto, grazie alla scritta presente sul suo bordo; la quale diceva chiaramente dove Orlando l’aveva conquistato, ed anche come e quando ed a chi l’aveva sottratto. Ferraù lo calza subito a protezione del proprio capo e del collo, non lasciò quindi che il doloroso amore gli impedisse di prenderlo; il doloroso amore che provava per colei che era scomparsa nel nulla, come svanire sono soliti fare i fantasmi notturni. 61 Poi ch'allacciato s'ha il buon elmo in testa, aviso gli è, che a contentarsi a pieno, sol ritrovare Angelica gli resta, che gli appar e dispar come baleno. Per lei tutta cercò l'alta foresta: e poi ch'ogni speranza venne meno di più poterne ritrovar vestigi, tornò al campo spagnuol verso Parigi; 62 temperando il dolor che gli ardea il petto, di non aver sì gran disir sfogato, col refrigerio di portar l'elmetto che fu d'Orlando, come avea giurato. Dal conte, poi che 'l certo gli fu detto, fu lungamente Ferraù cercato; né fin quel dì dal capo gli lo sciolse, che fra duo ponti la vita gli tolse. 63 Angelica invisibile e soletta via se ne va, ma con turbata fronte; che de l'elmo le duol, che troppa fretta le avea fatto lasciar presso alla fonte. - Per voler far quel ch'a me far non spetta, tra sé dicea - levato ho l'elmo al conte: questo, pel primo merito, è assai buono di quanto a lui pur ubligata sono. 64 Con buona intenzïone (e sallo Idio), ben che diverso e tristo effetto segua, io levai l'elmo: e solo il pensier mio fu di ridur quella battaglia a triegua; e non che per mio mezzo il suo disio questo brutto Spagnuol oggi consegua. - Così di sé s'andava lamentando d'aver de l'elmo suo privato Orlando. 61 Dopo aver allacciato l’elmo di ottima fattura che si era messo in testa, si sembra che, per essere pienamente soddisfatto, gli resta ora solo di ritrovare Angelica, che appariva e scompariva dalla sua vista come fosse una saetta. Esplorò la profonda foresta alla ricerca di lei: dopo aver perso ogni speranza di poter ritrovare le sue traccia, ritornò all’accampamento spagnolo, verso Parigi; 62 cercando di attenuare il dolore che gli ardeva nel petto, dolore per non avere potuto soddisfare un così grande desiderio, con il conforto di portare in testa l’elmo che era appartenuto ad Orlando, così come aveva giurato. Il conte Orlando, dopo avere ricevuto notizia certa sulla sorte dell’elmo, cercò poi per molto tempo Ferraù; ma non riuscì a togliergli dal capo l’elmo fino al giorno in cui lo uccise tra due ponti. 63 Angelica, invisibile e solitaria, se ne va via, ma con espressione che mostra turbamento; si duole per le sorti dell’elmo, che per la troppa fretta aveva dovuto abbandonare presso la fonte. “Per aver voluto fare ciò che a me non sarebbe spettato fare (diceva tra sé), ho tolto al conte l’elmo: ciò, per quanto lui meriti, è proprio una bella ricompensa per tutto ciò che a lui devo. 64 Con buone intenzioni (lo sa solo Dio), sebbene il risultato dell’azione è stato triste e diverso da quanto atteso, mi sono impossessata dell’elmo: e l’unica mia intenzione era di condurre quel combattimento ad una tregua; e non che, con me come tramite, quel brutto spagnolo potesse raggiungere il suo suo scopo.” In questo modo Angelica si lamentava con sé stessa per avere privato Orlando del proprio elmo. 65 Sdegnata e malcontenta la via prese, che le parea miglior, verso Orïente. Più volte ascosa andò, talor palese, secondo era oportuno, infra la gente. Dopo molto veder molto paese, giunse in un bosco, dove iniquamente fra duo compagni morti un giovinetto trovò, ch'era ferito in mezzo il petto. 66 Ma non dirò d'Angelica or più inante; che molte cose ho da narrarvi prima: né sono a Ferraù né a Sacripante, sin a gran pezzo per donar più rima. Da lor mi leva il principe d'Anglante, che di sé vuol che inanzi agli altri esprima le fatiche e gli affanni che sostenne nel gran disio, di che a fin mai non venne. 67 Alla prima città ch'egli ritruova (perché d'andare occulto avea gran cura) si pone in capo una barbuta nuova, senza mirar s'ha debil tempra o dura: sia qual si vuol, poco gli nuoce o giova; sì ne la fatagion si rassicura. Così coperto, séguita l'inchiesta; né notte, o giorno, o pioggia, o sol l'arresta. 68 Era ne l'ora, che traea i cavalli Febo del mar con rugiadoso pelo, e l'Aurora di fior vermigli e gialli venía spargendo d'ogn'intorno il cielo; e lasciato le stelle aveano i balli, e per partirsi postosi già il velo: quando appresso a Parigi un dì passando, mostrò di sua virtù gran segno Orlando. 65 Malcontenta e sdegnata prese quindi la via che le sembrava potesse essere la migliore per raggiungere l’Oriente. A volte procedette mantenendosi invisibile, altre visibile, a seconda di cosa era opportuno, tra la gente che incontrava. Dopo aver visto molte cose in molti paesi, giunse infine in un bosco, dove, tra due compagni morti, incontrò un giovane (Medoro) ferito con crudeltà in mezzo al petto. 66 Ma racconterò di Angelica più avanti; perché molte cose devo prima narrarvi: e né a Ferraù né a Sacripante, per un bel po’, potrò dedicare versi. Distoglie la mia attenzione da loro Orlando, perché di sé vuole che, prima degli altri, narri le fatiche e le pene che dovette sostenere a causa del grande desiderio di possedere Angelica, desiderio che non giunse mai ad una fine. 67 Alla prima città che incontra (essendo molta l’intenzione di poter procedere senza essere riconosciuto) pone sulla propria testa un nuovo elmo privo di cimiero, senza badare al fatto che fosse o meno debitamente temprato: fosse in un modo o nell’altro, avrebbe potuto poco giovare o nuocere; tanto confida nell’incantesimo che lo rende invulnerabile. Così coperto in testa, procede nella ricerca: non lo ferma né la notte né il giorno, né la pioggia e neppure il sole. 68 Era giunta l’alba, ora in cui Febo conduce i cavalli fuori dal mare, con il pelo bagnato, e l’Aurora sparge tutt’intorno nel cielo fiori rossi e gialli; e le stelle terminano le proprie danze in cielo, e si sono già coperte con un velo per scomparire alla vista: quando, passando un giorno nei pressi di Parigi, Orlando diede prova del proprio valore. 77 Con qual rumor la setolosa frotta correr da monti suole o da campagne, se 'l lupo uscito di nascosa grotta, o l'orso sceso alle minor montagne, un tener porco preso abbia talotta, che con grugnito e gran stridor si lagne; con tal lo stuol barbarico era mosso verso il conte, gridando: - Adosso, adosso! - 78 Lance, saette e spade ebbe l'usbergo a un tempo mille, e lo scudo altretante: chi gli percuote con la mazza il tergo, chi minaccia da lato, e chi davante. Ma quel, ch'al timor mai non diede albergo, estima la vil turba e l'arme tante, quel che dentro alla mandra, all'aer cupo, il numer de l'agnelle estimi il lupo. 79 Nuda avea in man quella fulminea spada che posti ha tanti Saracini a morte: dunque chi vuol di quanta turba cada tenere il conto, ha impresa dura e forte. Rossa di sangue già correa la strada, capace a pena a tante genti morte; perché né targa né capel difende la fatal Durindana, ove discende, 80 né vesta piena di cotone, o tele che circondino il capo in mille vòlti. Non pur per l'aria gemiti e querele, ma volan braccia e spalle e capi sciolti. Pel campo errando va Morte crudele in molti, varii, e tutti orribil volti; e tra sé dice: - In man d'Orlando valci Durindana per cento de mie falci. - 77 Con il rumore con cui un branco di porci selvatici è solito, talora, correre per i monti o per le campagne, quando un lupo uscito da una tana nascosta, od un orso sceso dalle montagne più basse, abbia catturato un piccolo e tenero porco, che si lamenta, con grugniti e suoni acuti; con lo stesso frastuono si era mossa la schiera barbarica verso Orlando, gridando: “Addosso, addosso!” 78 Lance, frecce e spade impattarono contro l’armatura, mille alla volta, lo scudo fu colpito altrettante volte: c’è chi gli percuote la schiena con una mazza, chi lo minaccia da un fianco, chi frontalmente. Ma Orlando, che non lasciò mai spazio in sé alla paura, valuta la codarda schiera e le sue tante armi, non più di quello che un lupo, entrato a notte fonda in una mandria, valuti essere il numero di agnelli che ha di fronte. 79 Estratta dalla fodera, aveva ora in mano quella fulminea spada che aveva condannato a morte così tanti saraceni: quindi, chi volesse tenere il conto di quanti cavalieri fece cadere morti, avrebbe da compiere una impresa dura e difficile. La strada, rossa per il sangue che vi scorreva, era appena sufficiente per contenere tutti quei corpi morti; perché né scudo né elmo potevano proteggere dalla fatata Durindana, dove essa si abbatteva, 80 non potevano niente nemmeno vestiti imbottiti di cotone, o turbanti posti a circondare il capo con mille avvolgimenti. Non solo gemiti e lamenti volano per l’aria, ma anche braccia, spalle e teste separate dal corpo. La Morte crudele procede senza meta attraverso tutto il campo, facendo proprie molte e diverse persone, tutti con volti atroci; tra sé dice: “Nelle mani di Orlando, vale la spada Durindana come cento delle mie falci.” 81 Una percossa a pena l'altra aspetta. Ben tosto cominciâr tutti a fuggire; e quando prima ne veniano in fretta (perch'era sol, credeanselo inghiottire), non è chi per levarsi de la stretta l'amico aspetti, e cerchi insieme gire: chi fugge a piedi in qua, chi colà sprona; nessun domanda se la strada è buona. 82 Virtude andava intorno con lo speglio che fa veder ne l'anima ogni ruga: nessun vi si mirò, se non un veglio a cui il sangue l'età, non l'ardir, sciuga. Vide costui quanto il morir sia meglio, che con suo disonor mettersi in fuga: dico il re di Norizia; onde la lancia arrestò contra il paladin di Francia. 83 E la roppe alla penna de lo scudo del fiero conte, che nulla si mosse. Egli ch'avea alla posta il brando nudo, re Manilardo al trapassar percosse. Fortuna l'aiutò; che 'l ferro crudo in man d'Orlando al venir giú voltosse: tirare i colpi a filo ognor non lece; ma pur di sella stramazzar lo fece. 81 Orlando infligge colpi uno dopo l’altro, senza sosta. Immediatamente incominciarono tutti a scappare; e mentre prima erano giunti con il desiderio di fare presto (poiché era solo e credevano di poterlo mangiare in un solo boccone), non c’è ora chi, per sottrarsi dalla situazione critica, aspetti il proprio amico, e cerchi di andarsene insieme a lui: chi fugge a piedi da una parte, chi sprona il cavallo per una altra via; nessuno si cura troppo di scegliere la propria strada. 82 Il Valore se ne andava in giro con lo specchio che va vedere ogni imperfezione dell’anima, con la coscienza: nessuno ci si specchiò, ad eccezione di un vecchio, al quale l’età avanzata aveva asciugato il sangue e non il coraggio. Costui vide nello specchio quanto il morire fosse assai meglio del mettersi in fuga, disonorando sé stessi: sto parlando del re di Norizia (re Manilardo); perciò posizionò la propria lancia per attaccare il paladino di Francia. 83 E la ruppe contro il bordo superiore dello scudo del fiero conte, che incassò il colpo senza muoversi minimamente. Orlando, che aveva pronta la propria spada, colpì re Manilardo mentre gli passava di fianco. La fortuna lo aiutò; perché la spada di Orlando, nell’abbattersi su Manilardo, si voltò, colpendo di piatto: sferrare colpi di taglio non è sempre possibile; ma lo fece comunque stramazzare al suolo. 84 Stordito de l'arcion quel re stramazza: non si rivolge Orlando a rivederlo; che gli altri taglia, tronca, fende, amazza; a tutti pare in su le spalle averlo. Come per l'aria, ove han sì larga piazza, fuggon li storni da l'audace smerlo, così di quella squadra ormai disfatta altri cade, altri fugge, altri s'appiatta. 85 Non cessò pria la sanguinosa spada, che fu di viva gente il campo vòto. Orlando è in dubbio a ripigliar la strada, ben che gli sia tutto il paese noto. O da man destra o da sinistra vada, il pensier da l'andar sempre è remoto: d'Angelica cercar, fuor ch'ove sia, teme, e di far sempre contraria via. 86 Il suo camin (di lei chiedendo spesso) or per li campi or per le selve tenne: e sì come era uscito di se stesso, uscì di strada; e a piè d'un monte venne, dove la notte fuor d'un sasso fesso lontan vide un splendor batter le penne. Orlando al sasso per veder s'accosta, se quivi fosse Angelica reposta. 87 Come nel bosco de l'umil ginepre, o ne la stoppia alla campagna aperta, quando si cerca la paurosa lepre per traversati solchi e per via incerta, si va ad ogni cespuglio, ad ogni vepre, se per ventura vi fosse coperta; così cercava Orlando con gran pena la donna sua, dove speranza il mena. 84 Stordito per il colpo ricevuto, il re venne disarcionato e stramazzò: Orlando non si volta indietro per guardalo nuovamente; ma gli altri taglia, spezza, straccia ed uccide; a tutti, terrorizzati, sembra di averlo alle proprie spalle. Così come nell’aria, dove hanno un così grande spazio disponibile, fuggono gli storni dall’audace smeriglio (falco), allo stesso modo i cavalieri di quello squadrone ormai sconfitto, alcuni cadono a terra, altri fuggono, altri ancora si nascondono. 85 La sanguinosa spada non cessò di abbattersi, fino a quando il campo di battaglia non fu privo di persone ancora in vita. Orlando hai un dubbio sul riprendere la strada intrapresa, benché tutta la Francia sia a lui nota. Sia che vada a destra, sia che proceda a sinistra, la sua mente è sempre lontana dal sentiero intrapreso: ha sempre timore di cercare Angelica ovunque, tranne dove lei possa essere, e di intraprendere sempre una via che lo allontani da lei. 86 Mantenne il proprio cammino (chiedendo spesso notizie di lei) ora per campi ed ora attraverso foreste: e così come era uscito fuori di sé, uscì poi anche di strada; giunse quindi ai piedi di un monte, dove, di notte, da una apertura nella roccia, vide in lontananza volare in cielo una luce intensa. Orlando si accosta al sasso per vedere se in quella fessura si fosse nascosta Angelica. 87 Come in un bosco di basso ginepro, o tra la stoppia in aperta campagna, quando si è alla ricerca della paurosa lepre, passando per solchi che ostacolano il cammino e per vie poco sicure, si va ad ogni cespuglio, ad ogni arbusto spinoso, per verificare se per caso si sia nascosta proprio lì; allo stesso modo Orlando andava cercando, con gran dolore, la donna amata in ogni luogo dove la speranza di trovarla lo spingeva. -CANTO XIV- Celebrazione della battaglia di Ravenna (1-9). Rassegna delle truppe di Agraamante (10-27). Due schiere mancano alla rassegna; Mandricardo parte alla ricerca di Orlando (28-37). Incontra Doralice (principessa saracena, amata di Rodomonte), se ne innamora e le si accompagna (38-64). Mentre Agramante prepara l’assalto, in cielo si dispongono gli aiuti per l’esercito cristiano (65-97). I pagani assaltano Parigi e Rodomonte (saraceno al servizio di Agramante) entra in città (98-134). -CANTO XV- Ricordo della battaglia di Polesella (1-2). Battaglie attorno e dentro Parigi (3-9). Intanto, fornito di un libro di istruzioni contro la magia e di un cono dal suono irresistibile, Astolfo fa un lungo viaggio, durante il quale vengono celebrate le scoperte geografiche i condottieri di Carlo V (10-36). Astolfo affronta prima Caligorante, poi Orrilo (37-90). Poi va in Palestina con Grifone e Aquilante; ad essi si aggiunge Sansonetto (91-99). Grifone lascia i compagni per cercare l’amata Orrigille (100-105). -CANTO XVI- Gravi le pene d’amore (1-3). Grifone ingannato da Orrigille e Martano (4-15). Rodomonte fa strage in Parigi; ma giungono le forze inglesi guidate da Rinaldo, e attaccano Agramante (16-84). Nella città intanto Carlo chiama a raccolta i suoi per attaccare Rodomonte (85-89). -CANTO XVII- Riflessione sui flagelli che Dio infligge ai popoli peccatori (1-5). Inutili attacchi e Rodomonte (6-16). A Damasco viene narrata a Grifone la storia di Norandino (17-68). Nel torneo indetto da Norandino, Grifone prevale su tutti; ma poi Martano e Orrigille gli rubano l’armatura, e il traditore se ne fa bello presso il re (69-114). Costretto a vestirsi delle armi di Martano, Grifone e svillaneggiato (offeso) e legato; ma appena viene sciolto comincia la sua vendetta sui Damasceni (115-135). -CANTO XVIII- Lodi della prudenza di Ippolito d’Este (1-2). Grifone mena strage in Damasco (3-7). Parigi: Rodomonte esce dalla città nuotando nella Senna; ma viene assalito dalla Gelosia quando sa che Doralice lo tradisce (8-37). Nella battaglia che ancora infuria comincia a farsi luce Dardinello (38-58). Damasco: Norandino ferma la furia di Grifone (59-69). Dalla Palestina giunge frattanto Aquilante, che a catturato Orrigille e Martano (69-93). Nuova giostra di Norandino e arrivo di Marfisa (sorella gemella di Ruggiero, guerrierasaracena), Astolfo e Sansonetto; rso onore a Marfisa, e dopo che Sansonetto ha vinto la giostra, Grifone, Aquilante, Marfisa, Astolfo e Sansonetto si imbarcano per l’Occidente. Ma i sorprende una tempesta (94-145). Presso Parigi, Dardinello è ucciso da Rinaldo; e la battaglia si conclude con la sconfitta dei pagani (146-164). Impresa notturna di Cloridano e Medoro per recuperare il corpo di Dardinello (165-192). -CANTO XIX- (19-42) Difficile il giudizio sulla fedeltà dei sudditi e dei cortigiani (1-2). I cristiani di Zerbino uccidono Cloridno e feriscono gravemente Medoro (3-16). Angelica lo cura e se ne innamora; lo sposa e parte con lui verso la Spagna, dove incontra un pazzo che “dè lor noia” (17-42). Sfuggiti alla tempesta, Grifone e i compagni sbarcano nella città delle femmine omicide; qui Marfisa affronta 10 campioni e ne atterra nove, ma non riesce ad avere ragione dell’ultimo (43-108). 19 E sopra ogn'altro error via più pentita era del ben che già a Rinaldo vòlse, troppo parendole essersi avilita, ch'a riguardar sì basso gli occhi volse. Tant'arroganzia avendo Amor sentita, più lungamente comportar non vòlse: dove giacea Medor, si pose al varco, e l'aspettò, posto lo strale all'arco. 20 Quando Angelica vide il giovinetto languir ferito, assai vicino a morte, che del suo re che giacea senza tetto, più che del proprio mal si dolea forte; insolita pietade in mezzo al petto si sentì entrar per disusate porte, che le fe' il duro cor tenero e molle, e più, quando il suo caso egli narrolle. 21 E rivocando alla memoria l'arte ch'in India imparò già di chirugia (che par che questo studio in quella parte nobile e degno e di gran laude sia; e senza molto rivoltar di carte, che 'l patre ai figli ereditario il dia), si dispose operar con succo d'erbe, ch'a più matura vita lo riserbe. 19 E più di ogni altro sue errore, molto di più si era pentita del bene che aveva voluto a Rinaldo, ritenendo di essersi troppo avvilita, e di aver indirizzato gli occhi per guardare così in basso. L’Amore, avendo sentito ormai troppa arroganza, non la volle tollerare più a lungo: là dove giaceva Medoro, l’Amore si pose al varco e l’aspettò, dopo avere posto una freccia nel suo arco. 20 Quando Angelica vide il giovane ragazzo che ferito perdeva le forze, molto vicino alla morte, e che per il suo re, che giaceva senza sepoltura, si lamentava intensamente più che per il proprio di dolore; una insolita pietà in mezzo al petto si sentì entrare attraverso porte ormai non più in uso, pietà che le rese tenero e molle il suo duro cuore, e lo fece ancora di più quando lui le raccontò la sua storia. 21 E richiamando alla memoria l’arte della medicina che aveva un tempo imparato in India (poiché sembra che questa materia in quella parte della terra venga considerata nobile, meritevole e di grande lode; e senza molto studiare sui libri, venga consegnata in eredità dal padre ai figli) si preparò a lavorare con estratti di erbe, in modo da destinarlo, salvandolo, a più lunga vita. 22 E ricordossi che passando avea veduta un'erba in una piaggia amena; fosse dittamo, o fosse panacea, o non so qual, di tal effetto piena, che stagna il sangue, e de la piaga rea leva ogni spasmo e perigliosa pena. La trovò non lontana, e quella còlta, dove lasciato avea Medor, diè volta. 23 Nel ritornar s'incontra in un pastore ch'a cavallo pel bosco ne veniva, cercando una iuvenca, che già fuore duo dì di mandra e senza guardia giva. Seco lo trasse ove perdea il vigore Medor col sangue che del petto usciva; e già n'avea di tanto il terren tinto, ch'era omai presso a rimanere estinto. 24 Del palafreno Angelica giú scese, e scendere il pastor seco fece anche. Pestò con sassi l'erba, indi la prese, e succo ne cavò fra le man bianche; ne la piaga n'infuse, e ne distese e pel petto e pel ventre e fin a l'anche: e fu di tal virtù questo liquore, che stagnò il sangue, e gli tornò il vigore; 25 e gli diè forza, che poté salire sopra il cavallo che 'l pastor condusse. Non però volse indi Medor partire prima ch'in terra il suo signor non fusse. E Cloridan col re fe' sepelire; e poi dove a lei piacque si ridusse. Et ella per pietà ne l'umil case del cortese pastor seco rimase. 22 Si ricordò quindi che procedendo aveva visto un’erba in un piacevole prato; fosse stato dittamo o fosse stata panacea, o non so quale possa essere stata, tanto ricca di potere medicinale, che blocca la fuoriuscita di sangue, e della nociva piaga toglie ogni contrazione dolorosa ed ogni pericoloso doloro. La ritrovò non lontana da lì, e dopo averla colta, ritorno indietro là dove aveva lasciato Medoro. 23 Lungo la strada del ritorno incontrò un pastore che andava a cavallo attraverso il bosco, cercando una giovane vacca, che già da due giorni vagava fuori dalla mandria ed incostudita. Lo condusse con se nel luogo dove Medoro perdeva le proprie forze insieme al sangue che fuoriusciva dal suo petto; e già aveva tanto macchiato il terreno con il suo sangue, che era ormai prossimo a rimanerne senza. 24 Angelica scese dal proprio nobile cavallo, e insieme fece anche scendere il pastore. Pestò le erbe raccolte con dei sassi, quindi le raccolse e ne ricavò il succo fra le sue bianche mani; nella ferita ne versò parte, e sparse abbondantemente il resto lungo il petto, lungo il ventre e fino alle anche: e fu di tale efficacia questa sostanza liquida, che fece cessare la fuoriuscita di sangue e ridonò vigore a Medoro; 25 e gli diede tale forza, da riuscire a salire in groppa al cavallo che il pastore aveva lì condotto. Non volle però Medoro partire da lì prima che il suo signore, Dardinello, non fosse stato sepolto. Insieme al re fece seppellire Cloridano; quindi si lasciò condurre dove a lei piacque. E lei, spinta dalla pietà, nella umile casa del gentile pastore rimase con lui.
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